1 COLLEGIO NAZIONALE DEI PROBI VIRI RICORSO EX ART. 55 DELLO STATUTO I sotto elencati iscritti a Forza Italia: Luciano Paci (Consigliere Provinciale); Francesco Monacelli (consigliere Comunale ex Sindaco di Fossato di Vico); Ivano Rampi (Coordinatore Comunale di Città di Castello); Annunziatina Bacchi (Presidente Regionale Azzurri nel Mondo); Oliviero Bocchini (Delegato Collegio VII); Enrico Bellani (responsabile dipartimento Spettacolo); Arnaldo Ceccato (Presidente Circolo Perugia); Massimo Capacciola (Coordinamento Comunale di Gubbio); -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- tutti elettivamente domiciliati presso Ivano Rampi in Via Borgo Farinario n. 10 - 06012 Città di Castello (PG) PREMESSO -.Che, come dirigenti di partito hanno interesse a salvaguardare l’immagine e gli interessi di Forza Italia; -.Che ritengono che sia l’immagine che gli interessi di Forza Italia siano stati messi in discussione dal comportamento colpevole dei Consiglieri Regionali Luciano Rossi, Coordinatore Regionale, e Fiammetta Modena; -.Che tale comportamento si è manifestato in occasione della votazione per lo Statuto regionale -. Che contestualmente è stato presentato lo stesso ricorso anche al Collegio Regionale dei Probi Viri nei confronti della Consigliere regionale Fiammetta Modena -.Che i ricorrenti ritengono sia competente a decidere entrambi ricorsi il Collegio Nazionale dei Probi Viri per la vis actractiva dell’Organo più elevato e, oltre che per evitare una duplicazione di giudicati sullo stesso fatto, seguendo il principio della economia processuale; ciò premesso ESPONGONO Il contesto politico che si era delineato al Consiglio Regionale, nel marzo 2004, si presentava anche in Umbria con prospettive politiche improntate all’ottimismo ed apriva la speranza ad una inversione di tendenza, sia per le elezioni amministrative di giugno che per le regionali del 2005.
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COLLEGIO NAZIONALE DEI PROBI VIRI
RICORSO EX ART. 55 DELLO STATUTO
I sotto elencati iscritti a Forza Italia:
Luciano Paci (Consigliere Provinciale); Francesco Monacelli (consigliere Comunale ex Sindaco
di Fossato di Vico); Ivano Rampi (Coordinatore Comunale di Città di Castello); Annunziatina
ROSSI. (Fuori microfono). Per noi la libertà ha un significato assoluto, quindi ribadiamo la
nostra posizione.
VINTI. Sì, ribadite la vostra posizione, ma anche in un condominio, se si decide che le
persiane devono essere tutte verdi o tutte blu, non è che qualcuno non sia libero...
(Consiglieri Melasecche e Rossi fuori microfono)... ma noi siamo un arcobaleno, come
quello che c’è sulle bandiere della pace. Vedo che si scaldano gli amici di Forza Italia, e
questo è un sussulto di presenza che ci fa ben sperare per il prosieguo del dibattito, perché
molte volte, invece, il loro encefalogramma è risultato non recepibile, dal punto di vista
politico ovviamente.
Perciò, dicevo, mi sembra che il risultato vero sia il fatto che il gruppo di Forza Italia non è
in grado di esprimere un'opinione. Non è la prima volta, ma, certo, sullo Statuto, dal punto di
vista politico, è molto indicativo, e vedremo come interloquire con le varie posizioni che
verranno espresse qui.
Per quanto ci riguarda, abbiamo deciso di indicare solo alcuni emendamenti che
riteniamo politicamente più significativi e che, per quanto ci riguarda, indicano una
caratterizzazione e un'idea della politica, delle istituzioni, del rapporto politica-istituzioni-
società, della necessità del ruolo, certo, significativo e della piena legittimità che hanno tutte
le opinioni in una visione plurale, pensando che le forme di governo verticali e piramidali
come quella presidenzialista tolgano la possibilità concreta della piena legittimità di tutti gli
orientamenti politici, e su questo noi ci batteremo ovviamente contro un'idea neoautoritaria
della politica e delle istituzioni. Su questo verificheremo le possibilità concrete di una riforma
significativa, perché temiamo che la convergenza tra parti significative degli schieramenti
avversi porterà al loro interno una forte contraddizione e un imbarazzo. Se non ho capito
male, in questi giorni, qualcuno, in Parlamento, andrà a definire il nuovo assetto istituzionale;
vedremo se quello che in contemporanea si sta facendo in questo Consiglio regionale sarà
sostenibile al Parlamento durante lo scontro sulla cosiddetta "devolution" per intenderci, sugli
Londra. Mark Thatcher è finito nei guai e questa volta ri-schia 15 anni di prigione per il ruolo che avrebbe avuto neltentato golpe in Guinea equatoriale nel marzo 2004. Arrestatoin agosto, è fuori su cauzione e ieri la magistratura di CapeTown ha deciso di rinviare all’aprile 2005 l’inizio del proces-so in cui dovrà rispondere alle accuse.La situazione non appare rosea per Sir Mark, da sempre af-fascinato da quel posto al sole per gente misteriosa che è ilcontinente africano, sia che si trattasse di politica, di materieprime o magari di un servizio di ambulanze aeree, come inquesto caso. Il suo associato in Africa Air Ambulance appun-to, Crause Styeyn, si è già dichiarato colpevole di cospirazio-ne e sarà un testimone d’accusa contro Thatcher. Un passo indietro, al 6 marzo di quest’anno. Siamo all’ae-roporto di Harare, Zimbabwe, e un 767 privato appartenentea Simon Mann è bloccato sulla pista con a bordo 64 mercena-ri, armeni e sudafricani, diretti ufficialmente in Congo – ci so-no miniere da proteggere laggiù – ma secondo l’accusa in tran-sito verso il golpe in Guinea equatoriale. Intato a Malabo, lacapitale del minuscolo Stato, altri 15 mercenari cadono in ar-resto. Dovevano essere l’avanguardia, il “welcome party”, lidefinisce Nick Du Toit, il leader del gruppo, che non ci mettemolto a confessare tutto davanti alle telecamere. Ritratterà
qualche settimana dopo Du Toit, confessione sotto tortura – di-ce – e intanto il procuratore generale chiede la pena di mor-te. È proprio Du Toit la prima pedina del domino a cadere: fail nome di Simon Mann, quello di Executives Outcomes – pre-miata ditta di mercenari for hire – e di Sandline International,stessa faccenda, mercenari coinvolti in Sierra Leone. Mannaspettava il gruppo di 64 a Harare ed è già stato condannato asette anni per aver tentato di comprare armi illegalmente inZimbabwe. Mann e Thatcher si conoscevano bene e pare siastato proprio Mann a mettere in contatto Crause Steyn e That-cher, ufficialmente per la joint-venture di Africa Air Ambu-lance. Thatcher investe 260 mila dollari e la loro società vedebene di depositare 100 mila sterline sul conto di Mann e soci,intanto in stand by per l’operazione in Guinea equatoriale. Isoldi dovevano servire a comprare un elicottero, apparente-mente essenziale per il golpe. Steyn ha già confessato, i mer-cenari – Mann incluso – sono tutti condannati in Zimbabwe oGuinea e Du Toit è nei guai con la pena di morte. Le cose simettono male per Sir Mark, figlio di Margaret, e il processo po-trebbe mettere fine alle sue operazioni in Africa, le stesse chehanno risuscitato una situazione finanziaria disastrosa nei pri-mi 80. Un esempio? Mrs Thatcher, nel 1985, fu costretta a do-ver rispondere in Parlamento riguardo a un considerevole ap-
palto in Brunei che il sultano aveva visto bene di affidare aCementation, inutile dire che Sir Mark deteneva una share so-stanziale nel consorzio britannico. Questo il genere di opera-zioni andate bene a Mark, che a piccoli passi mette insiemeuna fortuna di 60 milioni di sterline. La Guinea equatoriale era ed è un bersaglio grosso perchéil minuscolo Stato dell’Africa occidentale con capitale, Mala-bo, nell’isola di Bioko, ha scoperto un sostanziale giacimentopetrolifero off-shore e produce 200 mila barili di greggio algiorno. L’economia della Guinea equatoriale cresce al ritmodel 65 per cento annuo – il più alto tasso di sviluppo sul piane-ta – ha soltanto 500 mila abitanti e un presidente ottuagenario,Obiang Nguema, in carica dalla fine degli anni 70 e che certa-mente non è un santo. La Guinea sembrava e sembra il setideale per un’impresa di sicuro successo. Frederick Forsyth,in “I mastini della guerra”, l’aveva descritto come un paesestraordinariamene vulnerabile ai colpi di mano. C’è chi ha im-parato a sue spese che i tempi sono cambiati. Mark Thatcherora deve vedersela con la giustizia sudafricana, che lo accusadi aver violato la legge che vieta ai residenti di partecipare aoperazioni militari all’estero, pena prevista 15 anni. Peggio diquando si perse nel Sahara durante la Parigi-Dakar, e poinell’82 la lady di ferro era il primo ministro delle Falklands.
Roma. Abu Mussab al Zarqawi, via Internet, si scaglia po-lemicamente contro gli ulema sunniti iracheni, colpevoli, asuo dire, di non avere spinto l’intera umma musulmana a ri-voltarsi contro l’assedio e la presa di Fallujah: “Oh ulema del-la nazione, ci avete tradito nelle circostanze più oscure. Ciavete consegnato al nemico. Avete lasciato i mujaheddin adaffrontare da soli la più grande potenza mondiale. Fino aquando lascerete l’umma musulmana ai tiranni dell’est e del-l’ovest che stanno infliggendoci le peggiori sofferenze, ta-gliando la gola ai mujaheddin, ai migliori figli della umma, eche ci prendono le ricchezze? Centinaia di migliaia di mu-sulmani hanno avuto la gola tagliata dagli infedeli per colpadel vostro silenzio. Se non siete campioni del jihad, allora la-sciate che a fare la guerra santa siano le donne!”. E’ evidente che con questo delirio, al Zarqawi tenta di ge-stire il disastro della – peraltro scontata e certa – sconfitta diFallujah, ma è altrettanto evidente che si tratta soltanto diuno sfogo infantile, pur nella tragedia, che ha però l’effetto difrantumare ulteriormente il mondo sunnita. E’ la riprova chein nessuna crisi mondiale come in quella irachena si è maivisto un movimento in grado di sviluppare una potenza di fuo-co e di distruzione così imponente, cui non corrisponde perònessuna capacità di gestione politica. Prima con Moqtada al
Sadr, rapidamente isolato politicamente nella comunità scii-ta e poi sconfitto militarmente dalla coalizione, e oggi con iribelli del “triangolo sunnita” si constata quell’incredibiledifferenziale tra forza militare e consistenza di strategia po-litica che rende difficile la ricomposizione della crisi. A fian-co di una componente terroristica islamica, che non si rendeconto che la coalizione fa sul serio e che a Fallujah finirà co-me il topo in trappola, si schierano i miliziani baathisti cheseguono la stessa logica suicida, uniti da un’unica strategia:la convinzione ideologica che “i crociati” siano deboli e vili(che era anche quella di Saddam Hussein). Quando poi van-no a sbattere nella loro determinazione, manca qualsiasi stra-tegia di ricambio.Purtroppo non molto diversa è la situazione nelle compo-nenti sunnite non eversive, che non riescono a svincolarsidall’abbraccio mortale dell’appello jihadista dei terroristi.Ecco allora che il principale partito sunnita, (il Partito isla-mico iracheno, di Mohsen Abdul Hamid, che fa riferimentoal presidente Ghazi al Yawar, della grande tribù degli Sham-mar) ha dichiarato ieri che forse boicotterà il voto, se nonsarà rimandato. In realtà, questa presa di posizione è più unadissociazione dall’assedio di Fallujah, che un attacco di so-stanza. Ma resta il fatto che anche in Iraq, come già alla con-
ferenza di Sharm el Sheikh, partiti o governi sunniti (ancheGiordania ed Egitto) non sono in grado, di fronte alle proprieopinioni pubbliche, d’isolare nettamente la strategia dei ter-roristi, e si limitano a una mediazione di bassa lega: il rinviodelle elezioni, in piena sintonia con l’unica tappa politicachiara che hanno in mente al Zarqawi e i baathisti. Questo pesante velleitarismo di tutte le componenti politi-che sunnite irachene, anche quelle interne al processo de-mocratico, è il portato non soltanto della desertificazione cul-turale operata da Saddam Hussein, ma anche della pochez-za di proposta politica che viene oggi dal mondo sunnita. LaTurchia, per prima, non riesce a esportare un islam sunnita– che pure condiziona il partito al potere – e interviene sol-tanto per porre pregiudiziali anti curde; la Giordania espor-ta soltanto l’immagine di un giovane re saggio, privo però diproposte politiche coinvolgenti; l’Egitto tenta soltanto di di-sinnescare la “bomba” dei Fratelli musulmani e naviga sul-la corruzione; l’Arabia Saudita esporta e importa in e dall’I-raq terrorismi e terroristi; la Siria è ferma alla strategiabaathista. L’emarginazione dei sunniti iracheni a favore de-gli sciiti non è dunque una scelta di questi ultimi, ma il dram-matico sintomo di una crisi epocale che attraversa il mondomusulmano.
Roma. Dalla Corea del nord continuanoa giungere notizie contraddittorie. Le ulti-me riguardano il dislocamento di 10 milasoldati cinesi lungo il confine tra i due pae-si e un messaggio positivo sulla questionenucleare affidato dal governo di Pyongyanga un funzionario dell’Onu.Il movimento di truppe ordinato da Pe-chino viene messo in relazione a possibili eforse traumatici cambi al vertice politico: inpoche parole, la caduta di Kim Jong Il. I sol-dati avrebbero il compito di bloccare le fu-ghe in massa dei nordcoreani, ma secondofonti sudcoreane, che hanno dato la notizia,la Cina si preparerebbe anche a fare frontea tumulti in caso di caduta di Kim Jong Il.La presa di posizione ufficiale della Cina èstata fornita da Wu Dawei, viceministro de-gli Esteri, che ha smentito il movimento ditruppe e ha assicurato che il vertice nord-coreano è al suo posto. Con qualche riserva,
rimozione delle immagini dagli edifici pub-blici. E l’agenzia Radiopress di Tokyo hanotato che nei giornali della Corea del nordi roboanti titoli con cui viene sempre ac-compagnato il nome del presidente si sonoridotti. Secondo alcuni analisti, Kim avreb-be scelto un profilo basso per non essere in-dicato come il principale o solo responsa-bile delle difficoltà, economiche e alimen-tari, del paese. Per l’agenzia sudcoreanaYonhap, invece, i soliti titoli “grande lea-der” e “grande comandante” continuano aessere usati normalmente. Queste notizie contraddittorie dall’ultimodei paesi del mistero consigliano la pru-denza. Intanto il presidente dell’Assembleagenerale dell’Onu, il cinese Jean Ping, in-contrando mercoledì scorso funzionari delgoverno sudcoreano al ritorno da una visitacompiuta nella Corea del nord, ha detto diessere latore di un messaggio di Pyongyang
secondo il quale il regime comunista “vuo-le coesistere con gli Stati Uniti”. Se fosse ve-ro, significherebbe che Pyongyang, che ave-va interrotto il dialogo probabilmente in at-tesa del risultato delle elezioni americane,considerando la conferma di George W. Bu-sh e l’arrivo di Condoleezza Rice al Diparti-mento di Stato, avrebbe deciso di lanciareun segnale distensivo, anche in risposta al-l’incontro di Bush, il 21 scorso, a Santiagodel Cile, con i leader della Corea del sud,del Giappone, della Cina e della Russia, perstringere i tempi sul problema della proli-ferazione nucleare che vede in primo pianola Corea del nord e l’Iran. Washington famolto affidamento sul ruolo del presidentecinese Hu Jintao, ma Pechino, prima di ap-poggiare a fondo le tesi americane, vuolegaranzie su Taiwan, dove la prospettiva diun referendum sull’indipendenza turba isonni della leadership cinese.
però, in quanto Wu si è riferito a un proprioviaggio nella Corea del nord effettuato asettembre, durante il quale avrebbe anchenotato un miglioramento delle condizionidi vita della popolazione. L’ipotesi di un rovesciamento del regimesarebbe invece avvalorata dalla lunga as-senza in pubblico del presidente e dalla ri-mozione dei suoi ritratti: cosa, questa, peròsmentita da un portavoce del ministero de-gli Esteri nordcoreano, che anzi ha affidatoall’agenzia di stampa cinese Xinhua la suaversione, e cioè che si tratterebbe di uncomplotto americano, di una manovra tipi-ca di Washington quando intende rovescia-re un regime. Un modo incruento, verrebbeda dire, ma anche simbolico per definire dicartone quel regime stesso. L’agenziaXinhua non precisa quando le dichiarazio-ni sarebbero state fatte, mentre la russaItar-Tass ha confermato nei giorni scorsi la
Milano. George W. Bush sta facendo lepulizie di casa alla Cia, l’agenzia di intelli-gence accusata di moltissime cose, tra cuidi aver sottovalutato il pericolo terroristaprima dell’11 settembre, di aver sbagliatoprevisioni sulle armi di sterminio in Iraq(ma ieri a Fallujah è stato trovato un labo-ratorio di armi chimiche), di aver sprecatoenergie per danneggiare l’ex favorito delPentagono, Ahmed Chalabi, piuttosto cheper catturare il capo terrorista al Zarqawie, da ultimo, di aver condotto una campa-gna per screditare Bush e favorire il candi-dato democratico John Kerry. “E’ assurdo –ha scritto il vicedirettore (uscente) JohnMcLaughin in un articolo pubblicato dalWashington Post – La Cia non ha istituzio-nalmente complottato contro il presiden-te”. Ma McLaughlin non ha potuto negareche negli ultimi mesi dalla Cia siano uscitidocumenti che hanno messo in cattiva lucele posizioni della Casa Bianca. Più volte,nel corso della campagna elettorale, il New
mici di Bush sono in certi uffici della Cia –aveva scritto due settimane fa sul New YorkTimes l’editorialista David Brooks – Se nonpagheranno il prezzo per il loro comporta-mento nessuno pagherà un prezzo per nien-te, e ogni cosa sarà consentita”. Il prezzo sta per essere pagato. A settem-bre Bush ha nominato il nuovo direttoredell’Agenzia, l’ex agente segreto in SudAmerica, ex deputato repubblicano ed expresidente della Commissione parlamen-tare sui servizi, Porter J. Goss. Il neodiret-tore nei mesi scorsi si era scontrato con l’al-lora capo, George Tenet, chiedendo un am-pio rinnovamento. L’arrivo di Goss ha pro-vocato tensioni all’interno dell’Agenzia alpunto che si sono dimessi il direttore ope-rativo e il suo vice, mentre l’altro ieri si so-no ritirati il capo della Cia in Europa equello nel sud-est asiatico. Contempora-neamente Goss ha inviato un memo ai suoidipendenti ricordando che compito dellaCia è quello di servire il presidente, non di
York Times ha avuto soffiate da anonimefonti della Cia che hanno imbarazzato divolta in volta il presidente, il Pentagono eil Dipartimento di Stato: dagli apocalitticiscenari iracheni, a opinio-ni contrarie alla politicadella Casa Bianca, finoall’autorizzazione conces-sa a un agente per scrivere informa anonimaun libro forte-mente critico della po-litica di Bush, “Impe-rial Hubris” (“Arro-ganza imperiale”).D’altra parte, però, ilpremier irachenoIyyad Allawi, sulquale Bush oggifa tanto affidamento, è l’uomoche gli è stato consigliato dalla Cia.“E’ un’agenzia canaglia”, ha detto il se-natore repubblicano John McCain. “I ne-
fargli l’opposizione. Ma la rivoluzione incorso non si ferma al repulisti di Goss. Bu-sh ha ordinato di aumentare del 50 per cen-to il numero degli analisti e delle spie e,contemporaneamente, di ampliare il ruolodel Dipartimento della Difesa nelle azionicoperte antiterrorismo e paramilitari chetradizionalmente sono state di competenzadella Cia. Entro 90 giorni, la Cia dovrà rife-rire alla Casa Bianca come intende miglio-rare la sua performance antiterrorismo.Poi c’è il progetto di legge di riorganizza-zione delle attività di intelligence, nato peraccogliere i suggerimenti della Commissio-ne sull’11 settembre. La legge incontra l’op-posizione di una buona parte dei deputatirepubblicani e, sottotraccia, anche del Pen-tagono, perché prevede l’istituzione di unanuova figura dentro l’Amministrazione, ilnational intelligence director, che avrà ilpotere di controllare il budget dei servizi edi coordinare l’afflusso delle informazionidalle varie agenzie.
Ucraina, non si scherza con il voto
Dopo la dichiarazione di Bratislava,il manifesto pubblicato dal Foglio ela lettera al presidente dell’Ue sulla stu-pida rigidità di Maastricht, in due gior-ni abbiamo il taglio fiscale concordatocon la maggioranza, la fine del rimpastopiù lungo e tortuoso del secolo, soprat-tutto l’inizio di una credibile e realisti-ca battaglia sul fronte dell’euro grasso edei suoi parametri. Prendano nota ilCav., protagonista di un recupero fanta-stico a tempo scaduto, il suo staff troppotimido, i suoi critici che se ne stanno lìinterdetti, con un palmo di naso, a spro-loquiare di regali ai ricchi come faceval’opposizione negli anni Cinquanta. Sta-re all’attacco in politica si può. Si può inmodo credibile, mentre tutti parlano diconcertazione come premessa della pa-ralisi e della consumazione a fuoco len-to del significato della politica, agireper decisioni, correre dei rischi reali-stici, sollevare questioni direttamentediscendenti dal mandato elettorale ri-cevuto, rincuorare truppe sparse e de-relitte perché costrette a farsi spettatri-ci di interminabili verifiche in cinese.Berlusconi ha letteramente rovesciatoil tavolo, e ha vinto. L’importante ades-so è che riscopra la sua forza senza abu-sarne mai, sapendo che anche sul restoquesta è la procedura giusta: discuterecon pazienza, decidere con la giusta do-
se di irruenza, soprattutto quando gli in-terlocutori (oppositori o amici-rivali)nicchiano e si fanno i fatti loro inveceche quelli del paese o della coalizione. Non è una rivoluzione fiscale. Non èancora l’accoppiata di ristrutturazionedella spesa pubblica e modifica delrapporto tra cittadino e Stato che il ma-nifesto di Berlusconi ha richiamatocon linguaggio chiaro. Ma è un passo inquella direzione, un buon inizio e so-stanzioso dopo anni di timidezze e me-si in cui sembrava possibile perfino unrinnegamento di quell’orizzonte. La co-sa più importante di tutte è che il pre-mier è deciso a far valere il parere del-l’Italia in Europa senza complessi, eche la lettera a Balkenende ha rag-giunto il capo di un governo, quelloolandese, che annuncia di aver sforatocome Francia e Germania il parametrodel deficit fissato a Maastricht. Il Cav.l’ha detto, e ne siamo davvero compia-ciuti: le rivoluzioni fiscali si fanno, so-prattutto nei periodi in cui occorronopolitiche anticicliche, anche governan-do in deficit con duttilità non stupida.E’ una piattaforma vincente per la no-stra politica economica e per la nostrapolitica estera, una “scelta americana”che lascerà gli avversari di stucco e liindurrà a mangiarsi per intero il lorofegato fiscale.
Zapatero, da noi, è il nome dei consi-gli regionali. I nuovi statuti delle re-gioni di sinistra, e in particolare quel-lo dell’Umbria, scardinano di soppiat-to principi costituzionali, a partire daquello del matrimonio. Le maggioran-ze consiliari, se zoppicanti sostenuteda qualche oppositore collaborazioni-sta, hanno coniato infatti il “riconosci-mento” (Toscana) o la “tutela” (Um-bria) delle tante “forme di conviven-za”, senza specificare: eterosessuali,gay, terzetti, poligamie islamiche? Dafatti liberi e privati, le convivenze di-vengono diritti pubblici senza capirebene come. Si vuol cambiare, col gri-maldello degli statuti, non solo la Co-stituzione, ma la stessa società italiana. Si gioca coi santi, però, per lasciarfare i fanti. L’azzeramento sottintesodel matrimonio è una icona volgaruc-cia per attrarre la politica sul simboli-co del politically correct. Serve a di-strarre l’attenzione dalla tenera polpaneostatutaria, che è la moltiplicazione,in tempi di magra nazionale, di unquarto o un quinto dei posti di consi-gliere regionale. Anzi, di più dellametà, con il trucchetto del “consiglieresupplente”, un fantoccio che sostitui-sce quello diventato assessore. E nonbasta. Si aggiungono le nano-corti co-stituzionali locali, costosi e fedeli cani
da guardia dei governatori. Ecco i pri-mi, nuovi costi del federalismo di sini-stra: sono quelli del crescente suo cetopolitico, lo stesso che grida contro glisprechi del federalismo governativo.Al fine di sdoganare questi concretiobiettivi e fare le apposite leggi eletto-rali in tempo utile per le elezioni diprimavera, si trovano tutte le corsiepreferenziali per accelerare il giudiziocostituzionale, timidamente avviato dalGoverno con un suo ricorso. Ma lo scandalo peggiore è quellodell’Umbria. Si deve solo al coraggiocivile di Carlo Ripa di Meana, che lì èconsigliere regionale, se la Corte Co-stituzionale ora sa, e non può non sa-pere, che, per la fretta di assaltare ladiligenza, è stata spudoratamentestracciata la regola costituzionale del-le due letture di delibere consiliariconformi. La posta in ballo è, a questopunto, la stessa procedura costituzio-nale. E’ consentito alle regioni di sini-stra farsene beffa? Il “come” della de-mocrazia, e Bobbio quando non è co-modo, non vincolano anche loro ? E chiè chiamato a custodire la legalità co-stituzionale, se non la Corte ? Il giudi-ce relatore alla Consulta è il fiorentinoUgo De Siervo. All’udienza del 16 no-vembre segue una sentenza sulla qua-le bisogna tenere gli occhi aperti.
La profonda crisi che attanaglia l’U-craina è simile, per qualche aspettonon secondario a quella che si sviluppò,con esiti disastrosi, nei Balcani nel de-cennio scorso. Allora l’Unione europeamostrò tutti i suoi limiti, non riuscì ascongiurare le tragedie della Bosnia edel Kosovo, e intervenne, quando la si-tuazione era già arrivata oltre il puntodi rottura, solo al riparo delle truppeamericane. Anche per questa ragionele credenziali europee nella nuova cri-si sono piuttosto scarse, come dimostrail sostanziale fallimento, su questo te-ma, del vertice euro-russo di ieri. Vla-dimir Putin, anche se ha appoggiato laposizione franco-tedesca nella vicendairachena, non ha stabilito con i leaderdella “vecchia Europa” un rapporto sta-bile e costruttivo. La partita russa equella franco-tedesca con l’America so-no restate distinte, e oggi sono netta-mente separate. Tuttavia la questioneucraina si può risolvere con danni limi-tati solo con una collaborazione dellaRussia, che ha nell’area interessi pre-valenti, da quelli che riguardano gli
oleodotti fino alle produzioni militari.Se l’Unione europea su queste mate-rie è afona, uno spazio reale si apre perla diplomazia italiana, naturalmentenon in alternativa, ma come elementoche può rendere dinamica quella euro-pea. Gianfranco Fini, grazie soprattuttoai rapporti stabiliti da Silvio Berlusco-ni con la Federazione russa, ha unabuona occasione per far valere le suedoti e il ruolo che l’Italia si è conqui-stata nelle relazioni internazionali. Evi-tare o almeno limitare il processo dibalcanizzazione dell’Ucraina, scongiu-rare il rischio di una guerra civile, con-solidare la pace nel nostro continente.Per farlo bisogna favorire una soluzio-ne politica che garantisca le parti inconflitto e gli interessi reali dell’Euro-pa e della Russia. A un esito di questotipo si può giungere però solo sulla ba-se di una preventiva presa di distanzadalla manipolazione della democraziaelettorale, denunciata in modo chiaroda una parte consistente del popoloucraino, dagli Stati Uniti, dalla GranBretagna e dall’Unione europea.
Zapaterismo senza nomeLe regioni di sinistra si fanno statuti à la carte, e violano le procedure (IL Foglio 26-11-04)
OGGI – Nord: nuvoloso con possibilitàdi precipitazioni in serata. Formazionedi banchi di nebbia sulle zone pianeg-gianti. Centro: molto nuvoloso su Tosca-na, Umbria e Lazio, poco nuvoloso sulleregioni adriatiche. Sud: parzialmentenuvoloso con schiarite su Sicilia e Cala-bria.DOMANI – Nord: molto nuvoloso, conpossibilità di qualche debole precipi-tazione sui rilievi. Centro: molto nuvo-loso. Sud: molto nuvoloso sulle zonedel versante tirrenico peninsulare, consporadiche precipitazioni sulla Cam-pania.
Gli dicono che deve difendere il pontee lui, che si chiama Lelio Zoccai e havent’anni, ci va. Perché è un guastatore al-pino, perché a Rossosch i russi stanno perpiombare sul comando dell’Armir. Quan-do arrivano i fanti con la stella rossa spa-ra col suo mitragliatore. Per un momentopensa davvero di poterli fermare. Poi i so-vietici, che sono tanti, che sono troppi,piazzano il mortaio. Arrivano anche i car-rarmati, di quelli grandi col cannone,quelli che sfondano le pareti e ti stritola-no. I guastatori fanno quello che solo lorosanno fare: correre, infilarsi sotto i cingo-li, agganciare la mina magnetica.Restano vivi in 50 su 135, gli tocca scap-pare come tutti gli altri, smarriti in unalunga fila grigioverde che solca la nevebianca. Lelio si perde, resta solo in un de-serto bianco. Lo catturano i partigiani, luiscappa, lo riprendono i regolari. Finiscenel gorgo della prigionia. I campi sonoenormi, pieni di feriti che muoiono ab-bandonati nei propri escrementi. Il cibo,una sbobba di pesce marcio e verdure im-
balsamate, arriva ogni due o tre giorni.Chi non vuole rubare o picchiare si adat-ta a masticare aghi di pino, a far bollirepellicce. Mentre gli alpini crepano, qual-che altro italiano, che sta a Mosca da unpo’, ci vede solo “la concreta espressionedi quella giustizia che il vecchio Hegel di-ceva essere immanente in tutta la storia”.Zoccai sopravvive come può, fa finta diessere un meccanico, ripara i cinturinidegli orologi delle guardie, strombazzanella banda per avere un pezzo di pane inpiù. I russi ballano contenti, peccato che
lui sappia suonare solo “Giovinezza” e “IlPiave mormorava”. Finisce nel mirino delcommissario politico. Del resto c’è chi pertornare a casa firma accuse contro tutti.Quelli come lui, che non vogliono puntareil dito contro nessuno, restano a racco-gliere cotone negli assolati campi del-l’Uzbekistan. Quando finalmente lo la-sciano andare è il 1950, non gli risparmia-no nemmeno un processo politico.Questo l’allucinante racconto che LelioZoccai si è deciso solo ora a pubblicare, apartire dai diari scritti dopo il ritorno. Daallora ha sempre fatto l’imprenditore,chiudendo in un cassetto il passato chenessuno voleva ascoltare. Lo riviveva solodi notte, negli incubi che non lo hannomai abbandonato. Riaffiorano però anchei ricordi di chi riuscì, in tanto abisso, acomportarsi da essere umano. Tra gli altriquello terso e sognante di una ragazzabionda, vestita di sacco, alla stazione diMosca. Credeva che il comunismo fosseGaribaldi con la camicia rossa e che inItalia ci fosse sempre il sole.
Lelio ZoccaiPRIGIONIERO IN RUSSIA188 pp. Mursia, euro 14.50
Caro don Pietro - Aderendo al canto funebredella Diva, da lei sapientemene intonato duegiorni fa, abbiamo pensato di restringere il no-stro culto alle uniche cinque femmine su pelli-cola (ovvero su tv e dvd) degne di questo nome:Ava Gardner, Hedy Lamarr, Lucia Bosé,Anouk Aimée e Virna Lisi (non oltre il 1971 di“Roma bene”). Inutile perder tempo con la purapprezzabilissima varietà delle stelline (LauraAntonelli compresa). Solo il meglio ci può sal-vare dal baratro della mitomania per min-chioni dei giorni nostri. Con viva cordialitàPaolo Priolo, MilanoAllora: Virna Lisi va bene. Lucia Bosé hafatto le sue dichiarazioni pacifiste, delle al-tre non sappiamo eccetto che di AnoukAimée: una dea. Turca oltretutto.Don Pietro - Quanto ha ragione nel pezzocon la “stortignaccola erezione”! Ci si potrebbescrivere un articolo intero, tipo quelle in un ci-nema di Piazza Armerina (mi dicono). Ma sache anche noi vecchi puppi non ne possiamopiù dell’attuale trend. Cosa ci rimane senzasenso di colpa, furtività, inconfessabilità, si fama non si dice? Saluti dal limboUna Vecchia ConoscenzaVoi sotto mentite spoglie scrivete. A Piaz-za Armerina solo il generale Cascino c’è:“La valanga che sale”. lettere a [email protected]
Forme di convivenza che non si capiscebene cosa siano; consiglieri regionali diserie A e di serie B, questi ultimi ripescatimalgrado la trombatura del voto popolare;un governo regionale che legifera a colpi didecreti peggio che la Quinta Repubblica diDe Gaulle; e perfino una Corte Costituzio-nale regionale, ancorchè mascherata da“commissione di garanzia statutaria”.L’Umbria, cuore verde d’Italia, ha messopiù di una stranezza nel proprio nuovo Sta-tuto regionale. Ma la cosa più bizzarra è,appunto, che tale nuovo statuto tecnica-mente non risulta essere stato approvato.Costituzione della Repubblica Italiana, ar-ticolo 123, secondo comma: “Lo statuto èapprovato e modificato dal Consiglio regio-nale con legge approvata a maggioranza as-soluta dei suoi componenti, con due deli-berazioni successive adottate ad intervallonon minore di due mesi”. Ebbene: a Peru-gia il 2 aprile e 29 luglio 2004 sono stati in-vece votati due testi ben diversi. L’imbroglio è all’articolo 9, che nel testoprimaverile parla di “Comunità familiare.1. La Regione riconosce i diritti della fami-glia e adotta ogni misura idonea a favorirel’adempimento dei compiti che la Costitu-zione affida ad essa e tutela le varie formedi convivenza”. Arriva l’estate, e poiché co-me insegna la fisica il calore dilata i corpi,anche il comma si moltiplica per due, comed’altronde si sdoppia il titolo: “Famiglia.Forme di convivenza. La Regione riconoscei diritti della famiglia e adotta ogni misuraidonea a favorire l’adempimento dei com-piti che la Costituzione le affida. Tutela al-tresì forme di convivenza”. La maggioranzadel Consiglio ritiene evidentemente che sitratti di un mero aggiustamento formale,ma non è così. Una cosa sono “le varie for-me di convivenza”, per di più fatte rientra-re nell’ambito di una “comunità familiare”evidentemente più ampia della “famiglia”costituzionale. Tant’è che, dal testo, risultaben chiaro che questa tutela è qualcosa diulteriore rispetto a quanto dice la Costitu-zione. Cosa ben diversa sono queste “formedi convivenza” appiccicate accanto alla fa-miglia nel titolo, e tutelate poi a parte dopoil punto. Se non sono più “le varie”, dun-que, non sono tutte. Ma allora, quali sì equali no tra conviventi more uxorio, coppiegay, matrimoni poligamici di tipo islamicoo mormone, e chi più ne ha più ne metta? “Una tale modificazione, intervenuta conla seconda deliberazione, ha evidente ca-rattere sostanziale ed impedisce di poterritenere realizzata la fattispecie delle ‘duedeliberazioni successive’ prevista dal-l’art.123, secondo comma, Cost. Il procedi-mento previsto da questa norma costituzio-nale non si è perfezionato, perché non v’èstata la cosiddetta doppia conforme, chedeve caratterizzare le ‘due deliberazionisuccessive’ adottate ad almeno due mesi didistanza. Dunque non vi è imputabilità alConsiglio regionale di una volontà di legi-ferare davvero in ambito statutario”. E’ iltesto di un ricorso alla Corte Costituziona-le che è stato fatto contro questa disinvoltaprocedura. E se si tiene presente il parti-
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colare che lo statuto della Regione Umbriaè uno dei tre impugnati dal governo, assie-me a quelli della Toscana e dell’Emilia-Ro-magna, sarebbe allora facile ricostruire tut-ta la vicenda nei termini di un ennesimoscontro tra una maggioranza nazionale ispi-rata e motivata dalla Chiesa e le tre storicheregioni rosse. Don Camillo contro Peppone,nell’era del federalismo.Il suggerimento di monsignor PagliaE invece no, lo scenario è molto più com-plesso. Prima di tutto, la gerarchia cattolicain Umbria non solo non ha fatto barricate,ma secondo una precisa strategia del dialo-go a tutti i costi di cui alcuni dei suoi massi-mi esponenti sono propugnatori ha piutto-sto lodato che criticato. E’ il caso in partico-lare del vescovo di Terni Monsignor Vin-cenzo Paglia, uomo della trattativa anche inquanto presidente della Commissione epi-scopale ecumenismo e dialogo della Confe-renza episcopale italiana. “E’ da ritenerepositiva la scelta di aver legato il concettodi famiglia a quanto contenuto nella Costi-tuzione italiana”, disse quando uscì il testoin prima lettura. E affermò anche di non“voler negare all’autorità civile di voler te-nere conto di determinate situazioni”. In-somma, sembra di capire che non avrebbe
obiezioni di fondo a una disciplina sull’u-nione tra gay simile al Pacs francese, sullalinea di quanto proposto dal Foglio e in pas-sato accettato anche dalla Chiesa spagnola.La sua obiezione fu che “se si usa la ragio-ne e la logica oltre che il buon senso, equi-parare le ‘varie forme di convivenza’ aquanto la Costituzione afferma relativa-mente alla famiglia, rende più che equivo-co quanto è stato prima affermato”. Di quila provocazione: “anche le comunità reli-giose, così tanto presenti in Umbria, sonouna forma di convivenza”. Il suggerimentodi Monsignor Paglia? “Non resta che unastrada: quella di dividere i due concetti, fa-miglia e forme di convivenza, non equipa-rando la definizione a quella della altreconvivenze, interrompendo in una successi-va revisione del testo, la consequenzalitàpresente nell’articolo ponendo i distinguodel caso”.Per dargli retta, gliela hanno data. Il nuo-vo testo dell’articolo 9 interrompe infatti la“consequenzialità” dei due concetti, in mo-do altrettanto netto e letterale di quanto ilBertoldino del famoso libro non mettesse inpentola due fagioli contati, alle richiestedella madre di cucinare “due fagioli”. E iltesto dice poi proprio “forme di conviven-
za”, senza neanche un articolo determinati-vo o indeterminativo: proprio come Pagliaaveva chiesto. E’ stato dunque per venire in-contro alle richieste del presule senza ri-tardare l’approvazione definitiva di altridue mesi che è stato fatto lo sgarro istitu-zionale? Lo stesso vescovo di Terni ha fattosapere di ritenere che “la redazione delloStatuto risente di una certa fretta nell’ap-provazione”. D’altra parte, ciò a cui la Chie-sa umbra teneva particolarmente era piut-tosto l’inserimento di un qualche riferi-mento a San Francesco d’Assisi e San Be-nedetto da Norcia, i due umbri più famosidella storia (a parte lo storico Tacito, delquale non è però del tutto accertato che fos-se nato nella città che ai suoi tempi si chia-mava Interamna e che oggi è invece Terni).Ma questa gliel’hanno bocciata. E qui va fat-ta un’altra notazione: lungi dall’essere unatto di forza di una maggioranza rossa con-tro una minoranza “clericale”, lo Statuto èstato approvato da un’ammucchiata alle-gramente consociativa, dai Ds ad An pas-sando per Sdi, Margherita e Forza Italia. Esolo sulle “altre forme di convivenza” in pri-ma lettura la Margherita aveva votato con-tro, facendo blocco col centro-destra. Incompenso, ad opporsi allo Statuto sono poirestati Rifondazione comunista e Italia deiValori, oltre a Carlo Ripa di Meana. E, tan-to per scompaginare di più le carte, era sta-to proprio un personaggio dalle credenzialidi laicità ineccepibili come lo stesso Ripa diMeana l’unico a proporre, inascoltato, l’in-serimento dei due santi nel documento.La denuncia di Carlo Ripa di MeanaMa non è finita. Perché è proprio dal ri-corso che ha poi fatto ancora Ripa di Mea-na, come “consigliere dissenziente”, che èstata tratta la denuncia su cui siamo partiti,a proposito della mancata corrispondenzatra i testi delle due letture. Il governo, in-fatti, ha fatto evidentemente ricorso sul con-trasto tra il disposto della Costituzione e lagenericità di quel “forme di convivenza”.Ha poi eccepito sugli articoli 39 e 40, checonsentirebbero alla giunta regionale di fa-re leggi attraverso strumenti analoghi ai de-creti legge e decreti legislativi del governocentrale, senza tener conto che in quel casoc’è una deroga esplicita della Costituzioneal principio della separazione tra potere le-gislativo ed esecutivo. C’è poi l’articolo 66,che sottrae allo Stato l’indicazione dei casidi incompatibilità elettorale. E c’è l’artico-lo 82, istituente una Commissione di Garan-zia che in qualsivoglia modo la si chiaminon può essere che un organo rappresenta-tivo. Salvo che poi funzionerebbe da CorteCostituzionale regionale, col potere di sin-dacare la conformità allo Statuto di leggi eregolamenti già adottati da Giunta e Consi-glio: una cosa che, trattandosi di un organoamministrativo, non potrebbe evidente-mente fare.Senonché il governo non sembra averniente da obiettare sull’altra conseguenzadell’articolo 66. Ovvero, come spiega il com-ma 2 dopo che il comma 1 ha stabilito l’in-compatibilità tra appartenenza alla Giunta
E I N A U D I P U B B L I C A “ T E A T R O D I V A R I E T À ”
Come un “critico d’ispirazione”, per comesi diceva una volta dei “critici d’ispira-zione marxista” per definirli al meglio co-me uomini di fiducia, Nicola Fano, curato-re di “Teatro di Varietà”, un bel volume Ei-naudi (16,50 euro) che raccoglie l’opera co-mica di Ettore Petrolini, paga pegno. Inveceche continuare a fare quello che dimostradi saper fare bene – un’ottima postfazioneche vale un saggio – sul finale ce la rovinaperché paga pegno uscendosene con una fe-tecchia gratuita: “Affermare che Petroliniabbia avuto una qualche consapevolezza ar-tistica (o, peggio politica) della sua militan-za prima futurista e poi fascista sarebbe in-generoso nei suoi confronti: esattamente co-me ogni attore di ogni tempo, anche Petro-lini fu di un’ignoranza colossale in materiadi politica”. La discussione la chiudiamo su-bito qui. Petrolini diede una precisa dispo-sizione sul letto di morte: essere seppellitoin camicia nera, con la divisa di Consoledella Milizia. Aveva una meravigliosa con-sapevolezza di sé l’inventore di Gastone equando per una beffa crudele la sua tombaverrà devastata nel terribile bombarda-mento americano sul quartiere San Loren-zo sarà la sua scarpa sbattuta su una paretesbrecciata a fare da testimone in quel largo
mare di dolore. Più consapevole di così simuore appunto e se c’è da fare un’ultimanota sull’altra militanza, quella futurista, ilcuratore Fano avrebbe dovuto mettersid’accordo con i grafici dell’editrice perchéin copertina – una splendida copertina – virifulge un mirabile “Grandi marche”, la ri-produzione di una tempera di FortunatoDepero. Sempre parentele da rinnegare? Ma la discussione la chiudiamo qui e tor-nando a Petrolini, ritornando anche allasuccosa postfazione di Fano (soprasseden-do sulla solita citazione di Antonio Gramsciche ormai fa il paio con la richiesta di unalugubre glossa ad Alberto Asor Rosa in undocumentario su Totò), facciamo nostro l’a-natema contro gli “spettatori impegnati”,specie quelli di sinistra come sottolinea consofferenza Fano, ma catturiamo per nostrouso e abuso il Petrolini del “buon pretestoe null’altro”. Ancora Fano ci racconta unepisodio straordinario vissuto sul crinaledell’assurdo quando, presentando Petrolinial pubblico di Caserta l’Amleto, nella paro-dia redatta a quattro mani con Libero Bo-vio, alla fine del primo tempo, venne rag-giunto in camerino da un militare coman-dato a fare un formale controllo dalla cen-sura prefettizia. Il milite lo dichiarò in ar-
resto per avere dileggiato Vittorio Alfieri.“Petrolini – scrive Fano – chiamò in came-rino Libero Bovio e lo pregò di spiegare cheAmleto non era di Alfieri ma di un’inglesedal nome pieno di h e di k, però non ci funulla da fare”. In caserma ci andò LiberoBovio, ma dove si trova un così buon prete-
sto – e null’altro – per immaginare la forzapubblica impegnata a far da salvaguardiaalle patrie lettere? Nel libro Einaudi, il let-tore avrà il piacere di scovare un testo chel’attore scrisse nel 1928 per la rivista “Co-moedia”, è il “Discorso dell’attor comico”dove Petrolini affronta storicamente e congusto da tecnico “il periodo di musoneriaitaliana in cui un buon attore non era con-
Vite paralleleCaro don Pietro
Cara Guia - Dovendo viaggiare (…)Maria Cristina LinettiAnch’io ho commesso un errore. Ho pre-so un volo della British airways. Non l’hofatto di mia volontà, altri l’hanno prenotatoe pagato, non mi dava i miei beneamatipunti millemiglia, ma pazienza. Comunque,prendo questo benedetto volo British e fac-cio scalo a Londra. Lì mi imbarco sul voloper Los Angeles, più o meno puntuale perstar poi fermi un’ora sulla pista. A destina-zione, aspetto invano il mio bagaglio, quel-lo che per i 2.555 euro per fortuna da altripagati era etichettato “priority”. Non spun-ta. Vado da un signore con targhetta Britishsul petto e quello spulcia una lista: sì, aLondra non hanno fatto in tempo a imbar-carlo. Come sia possibile, visto che ho fattoin tempo a imbarcarmi io, e ad aspettareun’ora, non me lo dice quel tizio né quellada cui mi manda. Né mi dicono perché, vi-sto che lo sapevano, non mi abbiano avver-tito prima. In compenso, la tizia da cui ven-go spedita, mi dice che il bagaglio nonverrà imbarcato sul primo volo utile: non èloro policy. Verrà imbarcato, forse, sullostesso volo che ho preso io, il giorno suc-cessivo. Il mio bagaglio. Quello coi miei ve-stiti. Il caricabatterie del computer. Il cari-cabatterie del cellulare. I miei attrezzi damessinpiega. Le mie scarpe. Il portiere delFour Seasons prende in carico la pratica, efa da spalla alle mie battutacce sulla policydella British (“complete customer dissati-sfaction”). Il concierge scuote la testa: “Bri-tish li perde sempre”. Ancora non sappia-mo cosa ci aspetta. Tre giorni in cui gli uffi-ci di Londra dicono di chiamare il baggagetracking e gli uffici di Los Angeles diconoche British non ha un servizio di baggagetracking. Tre giorni – che passo a cercareun caricabatterie compatibile col mio te-lefono (e non lo trovo) e uno per il mio lap-top (lo trovo, e lo pago imprecando). Tregiorni – di ricambi d’emergenza di Gap. Seisettimane – che sto aspettando che la Briti-sh mi faccia le sue scuse, nonché mi offraun rimborso delle spese sostenute e dei co-glioni girati. Ma siccome che errore è senon lo ripeti, la settimana scorsa ne ho pre-so un altro. British. Partito in ritardo, arri-vato in ritardo. Il bagaglio non l’avevo im-barcato, ma a Los Angeles ho perso la coin-cidenza. L’ultima. La tipa al gate (il mio vo-lo per Palm Springs era già un puntino nelcielo) mi ha detto: “Vada alla British, è lororesponsabilità, devono pagarle un alber-go”. Al terminal Tom Bradley, della Britishnon c’è nessuno. Un ufficio? Boh, nessunosa niente. Saranno tutti al baggage tracking.lettere a [email protected]
Cara donna Guia
siderato tale se non si prestava alle parti la-crimose, io – scrive il protagonista – passaicome un buffone distinto”. Indicato comel’interprete dell’idiozia sublime, proclamòcon convinzione una verità: “Non esistecommedia impossibile da recitare”. Esegeta del pretesto, avido di slittamenti(“L’uscire dalle dimensioni della finzionescenica passando per un momento in quel-le della realtà”), Petrolini spiega l’alchimiadella rappresentazione attraverso il lavorodi scena: “Ho recitato nella mia vita dellecose stupidissime che avevano soltanto iltorto di non essere a quel punto di imbecil-lità che desideravo e che, alla fine, per ot-tenerlo, dovetti inventare da me”. Il puntodi imbecillità massimo raggiunto da Petro-lini coincide con la più potente traccia poe-tica impressa nella commedia dell’arte, uo-mo d’avanspettacolo, romano de Roma, mi-nore forse per discendenza rispetto ai Gu-stavo Modena, Ernesto Rossi e TommasoSalvini (“Discendo dalla scale”, diceva disé), Petrolini non concede alibi alla pur po-tente greppia della musoneria, ai prototipidegli “spettatori impegnati”. Petrolini, quel-lo dei Salamini – e chiudiamo qui il discor-so – è l’esatto opposto del trash. P. Butt.
e al Consiglio regionale: “Al Consigliere re-gionale nominato membro della Giunta su-bentra il primo tra i candidati non elettinella stessa lista, secondo le modalità sta-bilite dalla legge elettorale. Il subentrantedura in carica per tutto il periodo in cui ilConsigliere mantiene la carica di Assesso-re”. Capito? Non solo dunque sarebbe pos-sibile alla maggioranza ripescare sino a no-ve candidati non premiati dall’elettorato.Addirittura, tali eletti sarebbero provvisori,e dunque persino ricattabili col sempliceespediente di far dimettere l’assessore chehanno sostituito per farlo tornare consiglie-re al loro posto. Macchinosità di questa en-trata e uscita dal Consiglio come da un ces-so pubblico a parte, che fine fa quel “divie-to di mandato imperativo” che è uno deiprincipi base non solo della Costituzione,ma di tutta la democrazia moderna?E il governo, inoltre, ha deciso di far pas-sare anche la doppia deliberazione diffor-me. “Il dire che il governo lo ha rinviato algiudizio costituzionale per ragioni politichee non tecnico-giuridiche diviene esercizioche si addice solo a chi non sa di dirittopubblico”, ha scritto sul Corriere dell’Um-bria il consigliere di Stato Giuseppe Severi-ni. “Semmai è da sottolineare la benevo-lenza mostrata nel non impugnare la nonconformità tra le due delibere, che in Con-siglio regionale era stata negata un po’ allamaniera del curato che il venerdì battezzapesce la carne”. Cosicché, appunto, a ecce-pire alla fine è stato isolato il “consiglieredissenziente” Carlo Ripa di Meana: non so-lo con un “intervento” sul ricorso del go-verno, ma anche con un ricorso per contoproprio. “La Costituzione non prevedeespressamente, a proposito dello Statuto re-gionale, la legittimazione a ricorrere delConsigliere regionale non consenziente”,ammette lo stesso ricorso. “Nondimenoquesta è implicita nel sistema costituziona-le medesimo”. “L’acquiescenza dell’ordina-mento… di fronte ad una tale illegalità…,con cui si vorrebbe far passare per esisten-te un’approvazione regionale in realtà maivenuta in essere, significherebbe ridurre lavolutamente rigorosa previsione procedi-mentale costituzionale a mera opzione, condemolitivi effetti di precedente in ordine al-la precettività delle norme costituzionalistesse”. E dunque, “se ora non si ricono-scesse la legittimazione a ricorrere del con-sigliere regionale non consenziente, circasiffatti aspetti che il governo non intendeimpugnare, l’interesse al rispetto, anche inrito, della legalità costituzionale resterebbeadespota e relegato a questione sottopostaalla sola valutazione governativa di oppor-tunità politica, con evidente elusione dellagiuridicità della Costituzione rispetto agliStatuti regionali”. Naturalmente, la CorteCostituzionale potrà sempre dire di non es-sere d’accordo. Ma il ricorso dovrà pureaverlo letto. E non potrà dunque non sape-re com’è veramente andata, su un punto digravità tale da poter essere sollevato d’uffi-cio. Anche il governo direttamente non l’haimpugnato. Maurizio Stefanini
Stanislaw SkalskiNacque il 27 ottobre 1915. Nacque in unvillaggio a nord di Odessa. Aveva due anniquando in Russia scoppiò la rivoluzione. Ilpadre lo mandò con la madre in un villaggiopolacco non lontano dalla frontiera. In Po-lonia frequentò il liceo, si appassionò al vo-lo. Cominciò con gli alianti, prese il brevet-to per guidare aerei da turismo. Decise didiventare pilota militare. Frequentò l’acca-demia. Nel 1938 fu nominato ufficiale del-l’aviazione polacca. Ci fu l’invasione tede-sca. Con la sua squadriglia Skalski contrat-taccò. Abbattè un bombardierenemico prima che la resisten-za polacca cessasse. Skalskiriparò in Romania, riuscì aimbarcarsi su una nave. Giro-vagò per il Mediterraneo,seguendo le opportunità.Finalmente nel gennaiodel 1940 arrivò in Inghilter-ra. Fu accolto nella Raf. In agostopartecipò alla Battaglia d’Inghilterra. Il 30agosto abbattè il primo aereo nemico. Il pri-mo settembre ne abbattè un altro. Altri dueil giorno dopo. Pochi giorni dopo toccò alsuo aereo di essere colpito. Skalski si gettòcon il paracadute e finì all’ospedale. Vi ri-mase poco più di un mese. Tornò a combat-tere, a abbattere aerei tedeschi sulla Mani-ca. Fu nominato istruttore. Obbedì, maquando fu creata una squadriglia di volon-tari polacchi ne ottenne il comando. Ab-battè trenta aerei nemici in Nord Africa, co-prì lo sbarco degli alleati in Sicilia. Compìraid sulla Germania, scortò i bombardieriche nel Nord della Francia preparavano losbarco in Normandia. Guadagnò ogni sortadi medaglia, rifiutò un grado nella Raf,tornò nella Polonia liberata dai Russi. Dap-prima fu accolto come un eroe nel quartie-re generale del rinato esercito polacco, manel 1948 fu arrestato. Fu interrogato perspionaggio e tradimento. Si difese inutil-mente. Fu condannato a morte. In una cellaattese per sei anni il giorno dell’esecuzione.La condanna fu tramutata in ergastolo. Do-po altri due anni fu liberato. Gli fu offerto diritornare in aviazione. Accettò, volò sui Mig,divenne generale. Fu pensionato a Varsa-via. E’ morto a 89 anni.K C YeoNacque il 1 aprile. Nacque a Penang inMalesia. Nacque primogenito nella casa diun povero raccoglitore di gomma che avreb-be avuto altri otto figli. Si dedicò al solleva-mento pesi. Nella sua categoria fu campio-ne del mondo. Lo sport gli consentì di stu-diare. A Penang frequentò il liceo, a HongKong si laureò in medicina, a Liverpool sispecializzò in malattie tropicali, a Cam-bridge in medicina sociale. Tornò a HongKong per assumere il posto di assistentedell’ufficiale sanitario. Copriva ancora quelruolo quando i giapponesi invasero la Cina.Decise di passare in Cina, per raggiungerealcuni parenti della moglie. L’ufficiale sani-tario, temendo di essere arrestato dai giap-ponesi, gli chiese di rimanere per prender-si cura dell’ufficio. K C Yeo accettò. La not-te che il suo capo fu arrestato con il prete-sto di essere il capo della rete di spionaggioinglese a Hong Kong, Yeo fu svegliato nelsuo letto da un soldato giapponese che glichiese di seguirlo per identificare un corpo.Yeo, intimorito da un grosso cane, ubbidì. Sitrovò confinato in una cella di isolamento.Vi rimase due mesi. Si trovò poi in cella conun pastore anglicano che gli parlò di Dio elo aiutò a pregare e a ritrovare fiducia in sestesso. Finalmente fu rilasciato. I giappone-si, che non si fidavano di lui e lo facevanoseguire dovunque andasse, avevano tuttaviabisogno di personale sanitario. Lo assegna-rono all’istituto batteriologico dove Yeoonorò i principi della sua professione. Fi-nalmente gli occupanti lasciarono la città.Gli inglesi, riconoscenti, lo nominaro vice-direttore dei servizi medici sociali. Lavoròalla realizzazione di un ospedale di milleposti, introdusse la vaccinazione contro latbc, aprì un lebbrosario. Tornò in Inghilter-ra per esercitare la psichiatria. E’ morto a101 anni.
Uno strampalato statuto regionale che non ha santi a cui votarsi
Bellissima storia del piccoloGavroche ucraino, che cor-re da una trincea all’altra: eil cielo ci riservi il lieto fine.Ma perché, dalla Romania all’U-craina, non sono mai con noi i minatori?(Va bene, lo so perché).
PICCOLA POSTAdi Adriano Sofri
FORME DI CONVIVENZA NON SPECIFICATE, RIPESCAGGIO DI CONSIGLIERI TROMBATI E MOLTE ALTRE STRANEZZE (MAI)APPROVATE
Scusate, tutti a fare ironia sullibro di Bruno Vespa, tutti a fare gli altez-zosi sul giornalista che tenta la scalata al-l’Olimpo misurandosi con la storia. Ab-biamo letto il libro: è dignitoso. E poi, ave-te presente tutte le storie d’Italia di pri-ma? A fumetti. Scritte da Biagi, poi?
IL RIEMPITIVOdi Pietrangelo Buttafuoco
Gad. disperant. Fed. dispe-rant. Uliv. disperant.Sguardo intenso. Stu-penda foto di Luc. e Ar-ton. su Rep. Anni luce da Marcel.