Page 1
FRANCESCO PAOLO PATTI
Le clausole abusive e l’“optional instrument ” nel percorso dell’armonizzazione in Europa
Sommario: 1. La nuova proposta di regolamento per un diritto comune europeo della vendi-
ta. – 2. Segue: la disciplina delle clausole abusive. – 3. L’ambito soggettivo di applicazione
e le finalità perseguite dalla Commissione europea con lo strumento opzionale. – 4.
L’ambito di controllo oggettivo. Le clausole non individualmente negoziate. – 5. Segue:
l’esclusione del controllo delle clausole principali e gli obblighi di trasparenza. – 6. I pa-
rametri di controllo nei contratti dei consumatori e in quelli tra imprese. Clausole gene-
rali e diritto dispositivo. – 7. Ulteriori criteri di individuazione delle clausole abusive: le li-
ste di clausole. – 8. Il ruolo della Corte di Giustizia: possibile mutamento di orientamen-
ti giurisprudenziali e mancato accoglimento nel progetto degli indirizzi giurisprudenzia-
li consolidati. – 9. Conclusioni.
1. – È ormai notazione diffusa quella dell’insufficienza del livello di
armonizzazione del diritto europeo nella materia dei contratti, facendosi
da più parti rilevare come permangano ancora profonde differenze tra gli
ordinamenti giuridici degli Stati membri, che si risolvono, sul piano eco-
nomico, in notevoli barriere per il mercato interno. Per proseguire nella
strada intrapresa, facendo seguito alla consultazione lanciata con il libro
verde del 2010, sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei
contratti per i consumatori e le imprese (1), la Commissione europea ha
così deciso di introdurre un ventottesimo regime contrattuale di natura
opzionale, avente lo scopo di agevolare gli scambi transfrontalieri. Si ri-
tiene, infatti, che una disciplina facoltativa possa aiutare a superare gli
ostacoli di carattere giuridico che sovente spingono imprenditori e con-
sumatori a desistere dall’operare all’estero, permettendo inoltre di non
incidere sul diritto nazionale dei contratti in vigore nei Paesi dell’Unione
europea (2).
Lo strumento opzionale è ideato soprattutto per il commercio elettroni-
(1) Libro verde della Commissione, del 1° luglio 2010, sulle opzioni possibili in vista di un
diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese, COM (2010) 348 def.
(2) Cfr., da ultimo, Communication from the Commission to the European Parliament, the
Council, the European economic and social Committee and the Committee of the regions, of
11.10.2011, a Common European Sales Law to facilitate cross-border transactions in the single
market, COM (2011) 636 final.
Page 2
co esercitato da imprese di piccole e medie dimensioni (PMI) (3). A tal pro-
posito, in ossequio a una recente risoluzione del Parlamento europeo (4), al
fine di agevolare ulteriormente la contrattazione in ambito sovranazionale,
alla disciplina opzionale dovrà accompagnarsi la creazione di “modelli di
contratto uniformi europei” (da intendersi alla stregua di modelli di con-
tratti tipici), tradotti in tutte le lingue dell’UE e connessi a un sistema on li-
ne di risoluzione alternativa delle controversie (5).
Un gruppo di esperti, sulla base di un incarico conferito dalla Commis-
sione nel 2010, ha redatto uno studio di fattibilità (feasibility study, FS), de-
stinato a divenire la base del futuro strumento opzionale. I lavori del grup-
po si sono conclusi nel giugno 2011 (6) e la Commissione ha chiamato gli in-
teressati a pronunciarsi sui risultati conseguiti, in vista di possibili migliora-
menti. Nonostante il breve tempo trascorso, la Commissione ha pertanto
modificato l’originario progetto dello strumento opzionale (7), pervenendo
l’11 ottobre 2011 alla presentazione di una proposta di regolamento per un
diritto comune europeo della vendita (8).
La proposta è strutturata in tre parti: il regolamento, composto da 16 arti-
coli; l’allegato 1, recante la disciplina del contratto di vendita, formato da 186
articoli e due appendici; e un secondo allegato concernente un modulo infor-
(3) Si vedano in proposito le considerazioni della Vicepresidente della Commissione: V.
Reding, Warum Europa ein optionales Europäisches Vertragsrecht benötigt, in ZEuP, 2011, p. 1
ss.; Id., The next Step Further Towards a European Contract Law, in R. Schulze e J. Stuyck (ed.),
Towards a European Contract Law, Munich, 2011, p. 10 ss. Da uno studio della Commissione
risulta che le PMI rappresentano il 99% delle imprese, ma che soltanto l’8% effettua scambi
transfrontalieri.
(4) Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 giugno 2011 sulle opzioni possibili in vista
di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese [2011/2013(INI)], reperibile
su http://www.europarl.europa.eu.
(5) Risoluzione, cit., punto 5. L’esigenza di sviluppare modelli di contratto è ribadita dal-
la comunicazione COM (2011) 636 final, cit., p. 11.
(6) A European contract law for consumers and businesses: Publication of the results of the
feasibility study carried out by the Expert Group on European contract law for stakeholders’ and
legal practitioners’ feedback, reperibile presso http://ec.europa.eu/justice/contract/index_en.
htm.
(7) Prima di giungere alla proposta di regolamento, la Commissione ha pubblicato due
versioni “intermedie” che hanno in parte modificato il testo presentato dal gruppo degli
esperti: una l’8 luglio e l’altra il 19 agosto 2011 (Cfr. Contract law, work in progress, version of 19
august 2011, reperibile presso http://ec.europa.eu/justice/contract/index_en.htm.).
(8) Proposal for a regulation of the European Parliament and of the Council, of 11.10.2011, on
a Common European Sales Law, COM (2011) 635 final. Il testo della Proposta è pubblicato in-
fra in questo stesso numero della rivista, nella sezione “Materiali”.
SAGGI 663
Page 3
mativo che il professionista ha l’obbligo di consegnare al consumatore prima
della stipulazione di un contratto disciplinato dallo strumento opzionale.
La normativa contenuta nel primo allegato dispone di una parte genera-
le e di norme specifiche relative al contratto di vendita e ai contratti di servi-
zio direttamente ad essa collegati (come ad esempio la manutenzione, l’in-
stallazione e le eventuali riparazioni (9)), riguardando sia i rapporti contrat-
tuali tra professionisti e consumatori (business-to-consumer, B2C; nella for-
mulazione adottata dalla proposta: trader-to-consumer) che quelli tra pro-
fessionisti (business-to-business, B2B, nella formulazione adottata dalla
proposta trader-to-trader), ove almeno una delle parti sia una piccola o me-
dia impresa ai sensi dell’art. 7 (10).
In base all’art. 4 della proposta di regolamento, l’ambito di applicazione
territoriale del nuovo diritto contrattuale è limitato agli scambi transfronta-
lieri (11); tuttavia, agli Stati membri è riconosciuto il potere di permetterne
l’utilizzazione anche per transazioni interne (art. 13, lett. a). Per ciò che con-
cerne le questioni di diritto internazionale privato, riguardanti gli scambi
transfrontalieri compiuti in ambito europeo che vedono coinvolti consu-
matori, si segnala come non sussistano incompatibilità con l’art. 6 regola-
mento Roma I (12), poiché la disciplina dello strumento opzionale risulta
identica in tutti gli Stati membri, non potendo logicamente comportare un
livello di protezione più basso rispetto a quello disposto dalle norme inde-
(9) Cfr. art. 2, lett. (m), Proposal, cit.
(10) L’art. 7 definisce l’ambito di applicazione soggettivo della nuova disciplina: “1. The
Common European Sales Law may be used only if the seller of goods or the supplier of digital con-
tent is a trader. Where all the parties to a contract are traders, the Common European Sales Law
may be used if at least one of those parties is a small or medium-sized enterprise (‘SME’).
2. For the purposes of this Regulation, an SME is a trader which (a) employs fewer than 250
persons; and (b) has an annual turnover not exceeding EUR 50 million or an annual balance
sheet total not exceeding EUR 43 million, or, for an SME which has its habitual residence in a
Member State whose currency is not the euro or in a third country, the equivalent amounts in the
currency of that Member State or third country”.
In base all’art. 13, lett. b, agli Stati membri è, tuttavia, riconosciuto il potere di estendere
l’ambito di applicazione a “contracts where all the parties are traders but none of them is an SME
within the meaning of Article 7(2)”.
(11) L’art. 4 della proposta di regolamento definisce nel dettaglio in quali circostanze ri-
corra un “cross-border contract”.
(12) Reg. CE n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla
legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I): l’art. 6, comma 2°, assicura al consu-
matore il livello minimo di tutela riconosciuto nel Paese in cui risiede. Si paventava che po-
tessero sorgere problemi applicativi allorquando il livello di tutela riconosciuto al consuma-
tore nel proprio Paese di residenza si rivelasse più elevato rispetto a quello dello strumento
opzionale.
664 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 4
rogabili dell’ordinamento del paese di residenza del consumatore (13). Tut-
tavia è agevole rilevare come la disciplina a tutela del consumatore, già pre-
sente nell’ordinamento giuridico interno – che in virtù della scelta di servir-
si dello strumento opzionale compiuta dai contraenti non trova applicazio-
ne –, possa disporre un grado di tutela più elevato per il contraente debole ri-
spetto a quanto previsto dallo strumento. Si profila quindi l’eventualità che
dall’applicazione della disciplina opzionale derivi, in alcuni contesti nazio-
nali, un abbassamento del grado di tutela altrimenti riconosciuto al consu-
matore.
2. – Nel quadro del nuovo diritto contrattuale merita particolare consi-
derazione la disciplina delle clausole abusive. L’interesse per la materia non
deriva soltanto dal contesto in cui essa si colloca e dal ruolo centrale che
nello stesso è chiamata a svolgere, ma anche dal grado di armonizzazione
raggiunto a livello europeo, alla luce dei recenti tentativi di armonizzazione
che senza successo l’hanno vista protagonista.
Nell’acquis comunitario la direttiva 93/13/CEE ricopre una posizione
particolarmente importante, rappresentando l’atto legislativo europeo che
in misura maggiore ha inciso sul diritto contrattuale degli Stati membri.
Com’è noto, la direttiva è intervenuta in un ambito nel quale i diversi Paesi
già godevano di un’autonoma tradizione giuridica, e non è riuscita a deter-
minare un avvicinamento soddisfacente delle disposizioni. Ciò soprattutto
a causa della clausola di armonizzazione minima prevista dall’art. 8, che ha
consentito agli Stati membri di riconoscere ai consumatori un livello di tu-
tela superiore a quello stabilito dalla direttiva. I legislatori nazionali, sfrut-
tando l’opportunità offerta dal blando grado di armonizzazione imposto, si
sono mossi in direzioni diverse per restare fedeli ai diversi fondamenti col-
legati ai propri precedenti interventi normativi, facendo permanere signifi-
cative differenze tra le soluzioni accolte. La diversità di vedute, che ha reso
la materia di grande complessità da un punto di vista comparatistico, ha
causato problemi nei successivi sviluppi legislativi europei: la disciplina
delle clausole abusive – dapprima inserita nella proposta della Commissio-
ne europea del 2008 (14) – non è più inclusa nel testo della direttiva ad armo-
(13) Cfr. Proposal, COM (2011) 635 final, cit., p. 6. V., inoltre, il considerando n. 12, secon-
do cui, di conseguenza, l’art. 6, comma 2°, del Reg. CE Roma I “which is predicated on the exis-
tence of differing levels of consumer protection in the Member States, has no practical importance
for the issues covered by the Common European Sales Law”. L’assunto si basa ovviamente sul
fatto che la disciplina opzionale fa parte del diritto interno di ogni Stato membro.
(14) Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’8 ottobre 2008 “sui
diritti dei consumatori”, COM (2008) 614 def., artt. 30 ss.
SAGGI 665
Page 5
nizzazione totale sui diritti dei consumatori di recente approvato dalle isti-
tuzioni dell’Unione europea (15). Con riguardo ai contratti dei consumatori,
la disciplina dello strumento opzionale potrebbe così assumere l’importan-
te funzione di colmare le lacune della scarna direttiva sui diritti dei consu-
matori e dovrà pertanto garantire ai consumatori un livello di tutela in linea
con le disposizioni ivi contenute.
L’estensione dell’ambito di applicazione soggettivo dello strumento op-
zionale a contratti fra imprese rende invece naturale, per contiguità di ma-
teria, una comparazione con la Convenzione di Vienna del 1980. A tal pro-
posito, una differenza significativa (atta ad accrescere l’interesse per una
trattazione limitata all’ambito segnalato) si riscontra proprio riguardo alle
clausole abusive poiché nella citata Convenzione, a differenza di quanto ac-
cade nella proposta di regolamento, non è presente una normativa di con-
trollo. Occorre, quindi, interrogarsi sulla congruità della previsione del con-
trollo d’abusività dei contratti B2B in una disciplina del contratto di vendita
avente natura opzionale.
Alla luce di quanto detto, verrà esaminata la disciplina sulle clausole
abusive, contenuta nell’allegato 1 della proposta di regolamento, nei suoi
profili più rilevanti, con particolare attenzione al contesto in cui la nuova
normativa è collocata, nonché con riguardo agli aspetti innovativi rispetto
alla direttiva 93/13/CEE, adottata quasi vent’anni or sono, e alle soluzioni
dei progetti di armonizzazione del diritto europeo dei contratti.
Occorre premettere che alla nuova disciplina sulle clausole abusive è
dedicato l’intero capitolo 8 dell’allegato 1, il quale, collocato nella parte ter-
za intitolata “Assessing what is in the contract”, è suddiviso in tre sezioni. La
prima si occupa di disposizioni generali applicabili a ogni categoria contrat-
tuale (General provisions) e contiene l’indicazione degli effetti scaturenti da
una clausola abusiva (art. 79), l’elenco delle clausole escluse dal controllo
(art. 80) e la previsione dell’inderogabilità dell’intero capitolo (art. 81). La
seconda sezione disciplina i contratti del consumatore e, oltre a prevedere
in apertura un generale “duty of transparency in contract terms not indivi-
dually negotiated” (art. 82), definisce il significato di abusività mediante una
clausola generale (art. 83) e reca due consistenti liste di clausole, rispettiva-
mente “always unfair” (art. 84) e “presumed to be unfair” (art. 85). Ai con-
tratti B2B è invece dedicata l’ultima sezione, composta da un solo articolo
(15) Invero, la direttiva 2011/83/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 otto-
bre 2011, sui diritti dei consumatori, aggiunge alla direttiva 93/13/CEE un articolo (8a), che,
tuttavia, pone soltanto obblighi informativi in capo agli Stati membri, sui quali v. infra, par. 4,
nt. 38.
666 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 6
che definisce, in modo parzialmente difforme rispetto ai contratti B2C, il si-
gnificato di abusività nei contratti tra professionisti (art. 86).
Altri punti di sicura rilevanza sono: la regola secondo la quale, nel dub-
bio, una clausola va interpretata in modo favorevole al consumatore (art.
64), la disposizione sull’interpretazione contra proferentem (art. 65) e la di-
sciplina in materia di “inclusione” di una clausola all’interno del contratto
(art. 70).
3. – A differenza della direttiva 93/13/CEE, la quale si limita a discipli-
nare i contratti dei consumatori, l’odierna versione dello strumento opzio-
nale prevede un controllo delle clausole contrattuali anche per i contratti tra
imprenditori ove, come rilevato, almeno una delle parti sia una PMI ai sen-
si dell’art. 7 (16). La novità è significativa e si pone in linea sia con l’indirizzo
politico accolto da precedenti direttive (17), il cui spettro d’azione non è li-
mitato ai contratti B2C, sia, nella materia che qui interessa, con i progetti
scientifici PECL, Principi Acquis e DCFR, i quali estendono il controllo
delle clausole contrattuali agli accordi B2B.
Le questioni riguardanti l’ambito d’applicazione soggettivo sono stret-
tamente correlate alla tematica del fondamento del controllo sull’abusività,
che in genere si rinviene alternativamente nella situazione di asimmetria
informativa tra predisponente e aderente (18) o nella disparità di potere con-
(16) Cfr. supra, nt. 10.
(17) Dir. CE 2000/35 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000, relativa
alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (la nuova direttiva adot-
tata in materia è Dir. UE 2011/7 del 16 febbraio 2011).
(18) Si tratta della nota teoria dei costi transattivi, che trova origine nell’ambito del com-
mon law americano (cfr. W.D. Slawson, Standard Form Contracts and Democratic Control of
Lawmaking Power, in 84 Harvard Law Rev., 1971, p. 529 ss.), secondo cui il soggetto utilizzato-
re di clausole contrattuali predefinite si troverebbe in una posizione di vantaggio rispetto alla
controparte, infatti, oltre a conoscere dettagliatamente le clausole adoperate, egli avrebbe la
possibilità di distribuire i costi connessi alla formulazione del contratto su una pluralità di
rapporti. Secondo la teoria si verrebbe, quindi, a costituire una situazione di asimmetria
informativa, poiché il soggetto aderente avrebbe la possibilità di procurarsi le informazioni
solo a costi sproporzionati rispetto al beneficio che potrebbe trarne. La circostanza che nella
normalità dei casi egli desisterà da tale incombenza giustifica un riequilibrio delle posizioni
contrattuali attraverso il controllo giudiziario delle clausole. Rifacendosi al celebre articolo di
G.A. Akerlof (The Market for “Lemons”: Quality Uncertainty and the Market Mechanism, in
84 Quarterly Journal of Economics, 1970, p. 488 ss.), H. Kötz, Der Schutzzweck der AGB-Kon-
trolle. Eine rechtsökonomische Skizze, in Jus., 2003, pp. 209-214, segnala inoltre che l’assenza di
tale intervento produrrebbe fallimenti del mercato, giacché gli utilizzatori di condizioni ge-
nerali di contratto, sfruttando a proprio vantaggio l’asimmetria informativa, adeguerebbero
le proprie clausole sul livello di correttezza più basso possibile al fine di ridurre i propri costi,
SAGGI 667
Page 7
trattuale tra le parti (19). La disomogeneità di vedute non si riscontra soltan-
to sul piano dell’indagine dottrinale, ma riguarda anche gli ordinamenti giu-
ridici nazionali, nei quali, in ossequio a diverse tradizioni sono previste di-
scipline sul controllo sostanziale delle clausole improntate a rationes tra lo-
ro differenti, che inevitabilmente comportano difficoltà nell’elaborazione
di una disciplina uniforme (20).
dando vita ad un vero proprio “race to the bottom” con effetti negativi sul mercato. Da ulti-
mo, P.C. Leyens e H.-B. Schäfer, Inhaltskontrolle allgemeiner Geschäftsbedingungen – Re-
chtsökonomische Überlegungen zu einer einheitlichen Konzeption von BGB und DCFR, in 210
AcP, 2010, p. 779 ss., rilevano, per ipotesi, come in un mercato nel quale tutti gli attori godano
di un perfetto livello d’informazione, un controllo giudiziario sull’abusività delle clausole
predisposte non sarebbe necessario, atteso che gli operatori nei propri contratti modulereb-
bero i rischi contrattuali in modo da ridurre al minimo, da un punto di vista economico, i co-
sti dello scambio.
(19) In questa prospettiva l’aderente è considerato un soggetto debole e bisognoso di tu-
tela, da proteggere mediante l’intervento del giudice che, pertanto, ha lo scopo di riequilibra-
re le posizioni dei contraenti. La Corte di Giustizia, in una serie di decisioni, ha aderito all’in-
dirizzo, soffermandosi tuttavia soltanto sull’esigenza di protezione del soggetto consumato-
re, nel rispetto dell’ambito applicativo definito dal legislatore europeo con la direttiva
93/13/CEE, cfr. Corte CE, 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Gru-
po Editorial e Salvat Editores, in Racc., p. I-4941, punto 25; 26 ottobre 2006, causa C-168/05,
Mostaza Claro, in Racc., p. I-10421, punto 25; Corte UE, 6 ottobre 2009, causa C-40/08, Astur-
com Telecomunicaciones, in Racc., p. I-9579, punto 29; 9 novembre 2010, causa C-137/08, VB
Pénzügyi Lízing Zrt. c. Ferenc Schneider, punto 46, secondo cui: “il sistema di tutela istituito
dalla direttiva è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione d’inferiorità ri-
spetto al professionista per quanto riguarda sia il potere contrattuale nelle trattative sia il gra-
do d’informazione”.
(20) Ad esempio, nell’ordinamento tedesco, il controllo delle condizioni generali di con-
tratto previsto dall’AGB-Gesetz del 1976 (normativa successivamente confluita nel BGB), è
fondato sull’idea che tra utilizzatore di contratti standard e aderente sussista un’asimmetria
informativa che giustifica un controllo anche per i contratti d’impresa (se ne tratta anche in E.
Ferrante e R. Koch, Le condizioni generali di contratto: collocazione e limiti del controllo di
vessatorietà nella prospettiva italo-tedesca, in questo numero della rivista). Il controllo previ-
sto nell’ordinamento francese si basa invece sulla considerazione del diverso potere contrat-
tuale delle parti. La legge n. 78-23 du 10 janvier 1978 – che disciplinava il controllo delle clau-
sole abusive prima dell’entrata in vigore della normativa d’attuazione della direttiva 93/13 –
all’art. 35 conteneva un espresso riferimento all’abus de puissance économique. In virtù di tale
impostazione, la giurisprudenza ha successivamente esteso l’ambito di applicazione dell’art.
L-132-1 Code de la consommation, introdotto dalla legge n. 95-96 du 1 février 1995, anche a fa-
vore di professionisti che agiscono nel quadro dell’attività esercitata, ma al di fuori dell’ambi-
to delle proprie competenze professionali, in argomento cfr. J. Mestre, Vingt ans de lutte con-
tre les clauses abusives, in L’avenir du droit – Mélanges en hommage à François Terré, Paris, 1999,
p. 677 ss. L’esperienza italiana in materia offre un motivo di grande interesse, poiché nel di-
battito circa l’estensione dell’ambito applicativo della tutela offerta ai consumatori è interve-
668 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 8
Nell’epoca attuale, le varie impostazioni, con riguardo alla materia in
esame, sembrano però convergere sull’opinione secondo cui la tutela non
debba limitarsi ai contratti dei consumatori. Sia guardando al fenomeno dal-
la prospettiva dell’analisi economica del diritto, sia prendendo spunto dagli
studi che affrontano la tematica relativa alla tutela del c.d. imprenditore de-
bole (21), si avverte la comune esigenza di un controllo sostanziale a vocazio-
ne generale (22). Da un lato si afferma che la situazione di asimmetria infor-
mativa può investire indistintamente consumatori e professionisti con vaste
esperienze in ambito commerciale, dall’altro si rileva che anche l’imprendi-
tore si trova sovente in una posizione di debolezza nei confronti della con-
troparte, posto di fronte all’alternativa del prendere o lasciare. Sotto questo
profilo, dunque, in termini pratici, la differenza si riduce all’intervento giu-
diziario, che secondo il primo orientamento, al fine di massimizzare i bene-
fici in termini economici, deve avvenire indistintamente per tutte le catego-
rie di contraenti (23), mentre per i fautori del secondo – di regola – non può
essere strutturato in modo analogo a quello previsto per i consumatori.
Nella prospettiva del diritto uniforme, la direzione seguita in linea teo-
rica risulta confermata dai più noti progetti di armonizzazione del diritto
nuta altresì la Corte costituzionale: cfr. Corte cost., 22 novembre 2002, n. 469, in Foro it., 2003,
I, c. 332, la quale non ha ritenuto lesiva del principio di eguaglianza la normativa di recepi-
mento italiana della direttiva 93/13 nella parte in cui limita la tutela ai consumatori e non of-
fre protezione ad altri soggetti imprenditori che si trovano nella medesima posizione di debo-
lezza contrattuale.
(21) Per tutti, V. Roppo, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto
con asimmetria del potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv.,
2001, p. 769 ss. (e anche in Il contratto del duemila, 2a ed., Torino, 2005, p. 23 ss.); F. Macario,
Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola ge-
nerale?, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 663 ss.; Aa. Vv., Il terzo contratto, a cura di G. Gitti e G. Vil-
la, Bologna, 2008, passim, spec., sulle clausole abusive, pp. 22 s., 151 ss. Con esclusivo riguar-
do alla materia delle clausole vessatorie nei contratti tra professionisti, v. L. Valle, L’ineffica-
cia delle clausole vessatorie, Padova, 2004, p. 305 ss.
(22) Per un esame approfondito della questione relativa all’estensione del controllo d’a-
busività ai contratti B2B, sotto plurime prospettive d’indagine (ad es. unequal bargaining, di-
stributive justice, market failure), cfr. M.W. Hesselink, Unfair Terms in Contracts Between Bu-
sinesses, in Towards a European Contract Law, cit., p. 131 ss., il quale giunge alla conclusione
che non sussistono controindicazioni ad un allargamento dell’ambito d’applicazione ai con-
tratti tra imprese.
(23) P.C. Leyens e H.-B. Schäfer, Inhaltskontrolle allgemeiner Geschäftsbedingungen –
Rechtsökonomische Überlegungen zu einer einheitlichen Konzeption von BGB und DCFR, cit., p.
792 ss. Con riferimento esclusivo al DCFR, cfr. Id, Judical Control of Standard Terms and Eu-
ropean Private Law, in P. Larouche e F. Chirico (eds.), Economic Analysis of the DCFR, Mu-
nich, 2010, p. 113 ss.
SAGGI 669
Page 9
europeo dei contratti, i quali in una pluralità di disposizioni tendono a pro-
teggere l’imprenditore a fronte di comportamenti scorretti della contropar-
te (24). Nel domandarsi quale posizione debba assumere lo strumento op-
zionale nel citato trend evolutivo, sembra scontato trovare una risposta sod-
disfacente nell’allargamento dell’ambito di applicazione del controllo delle
clausole anche a contratti B2B, alla stregua di una naturale prosecuzione
dell’indirizzo seguito a livello sovranazionale. Il discorso si profila comun-
que più complesso di come a prima vista possa apparire, in quanto occorre
tenere presenti lo scopo al quale mirano le istituzioni europee con l’intro-
duzione dello strumento in parola e la peculiare natura che lo stesso assu-
merebbe.
Come indicato in apertura, la Commissione europea, principale fautri-
ce del nuovo progetto legislativo, pur non disconoscendo l’esigenza di eli-
minare situazioni di disequilibrio del potere contrattuale o informativo,
persegue in primo luogo l’obiettivo di aumentare la mole degli scambi tran-
sfrontalieri in modo da rafforzare il mercato interno. Lo strumento opzio-
nale è precipuamente concepito al fine di agevolare le transazioni in Paesi
esteri delle imprese di medie o piccole dimensioni che generalmente non
dispongono dei mezzi economici (segnatamente per usufruire dell’assi-
stenza necessaria) per superare le barriere poste dalla diversità degli ordina-
menti giuridici in cui andrebbero ad operare, dai problemi linguistici, ecc.
Seguendo il suddetto ordine d’idee, alla luce del grado di armonizzazio-
ne in cui versa attualmente il diritto europeo, un buon risultato potrebbe
già ritenersi raggiunto con l’adozione di una disciplina limitata ai rapporti
B2C. Tenuto conto dell’aggiramento delle difficoltà attualmente derivanti
dall’art. 6 del Regolamento Roma I (25), una disciplina preordinata alla tute-
la del consumatore agevolerebbe l’attività commerciale transnazionale del-
l’imprenditore, il quale potrebbe operare nei diversi Paesi uniformando le
proprie condizioni contrattuali al solo modello dello strumento opzionale,
riducendo in tal modo i costi da sostenere (26). Specularmente anche il con-
sumatore dovrebbe nutrire maggior interesse a stipulare un contratto con
(24) Senza pretesa di esaustività, si ricordano le specifiche norme in materia di clausole
abusive applicabili anche ai contratti fra imprenditori: art. 4:110 PECL; art. 6:301, comma 2°,
ACQP; art. II.–9:405 ss. DCFR, nonché il noto art. 3.10 dei Principi Unidroit rubricato “Gross
Disparity”: cfr., diffusamente, M. Timoteo, Nuove regole in materia di squilibrio contrattuale:
l’art. 3.10 dei Principi UNIDROIT, in questa rivista, 1997, p. 141 ss.
(25) V. supra, ntt. 12 e 13.
(26) Per rendere lo strumento opzionale più appetibile e favorire il miglioramento del
mercato unico è auspicabile che esso possa essere scelto altresì per disciplinare transazioni
domestiche (interne alla nazione in cui risiede l’imprenditore), cfr. O. Lando, On a European
670 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 10
un imprenditore, avente la sede degli affari in uno Stato membro diverso
dal proprio, ma che offre prodotti e servizi sotto la lex contractus dello stru-
mento opzionale. È presumibile, infatti, che il consumatore riporrebbe
maggiore fiducia nella disciplina di conio europeo piuttosto che in un siste-
ma giuridico al quale non è avvezzo. In definitiva, si offrirebbe alle PMI la
possibilità di esercitare la propria attività, entro i limiti dell’ambito applica-
tivo dello strumento opzionale, come se in materia vigesse un’armonizza-
zione totale della disciplina sui contratti dei consumatori (27), mediante l’u-
so di uno strumento notevolmente meno invasivo per gli ordinamenti degli
Stati membri, rispetto ad una direttiva sui diritti dei consumatori, la quale
però colmerebbe proprio le lacune che residuano dalla formulazione attua-
le di quest’ultima (28).
Diverse considerazioni devono svolgersi con riferimento ai contratti
fra imprese. Se in generale estendere l’ambito di applicazione dello stru-
mento a tale categoria di contratti potrebbe avere l’effetto positivo di spin-
gere gli operatori del mercato ad adottare un unico regime sia nei rapporti
con altre imprese che nei rapporti con i consumatori (29), in considerazione
del grado di armonizzazione raggiunto a livello europeo in materia di clau-
sole abusive e la natura “opzionale” della disciplina proposta, la previsione
di un sistema di controllo delle clausole esteso anche ai rapporti B2B com-
porterebbe il rischio di effetti diversi, rispetto alla situazione poc’anzi pro-
spettata, per i contratti tra imprese e consumatori. Infatti, mentre in tutti
gli Stati membri, seppur con notevoli differenze, sussiste un controllo con-
tenutistico delle clausole contrattuali predisposte nei confronti dei consu-
matori, ciò non avviene con riferimento ai contratti d’impresa. Ne conse-
Contract Law for Consumers and Businesses – Future Perspectives, in Towards a European Con-
tract Law, cit., p. 213 s.; J. Basedow, European Contract Law – The Case for a Growing Optional
Instrument, ibidem, p. 170. L’opinione risulta diffusa, cfr. già A. Colombi Ciacchi, An Optio-
nal Intrument for Consumer Contracts in the EU: Conflict of Laws and Conflict of Policies, in
Somma (ed.), The Politics of the Draft Common Frame of Reference, 2009, Austin et al., p. 17 s.
(27) Si ritiene che, nonostante i vincoli informativi e di forma di cui agli artt. 8 e 9 del re-
golamento proposto, la scelta di adottare o meno lo strumento opzionale nella regolamenta-
zione dei contratti B2C sia esclusivamente rimessa all’imprenditore. Così già Basedow, op.
loc. cit., il quale considera la teoria del blue botton – secondo cui sarebbe il consumatore a de-
terminare la legge applicabile al contratto – “a nice theory, but nothing more”.
(28) In quest’ottica si ribadisce l’importanza di definire un livello di protezione del consu-
matore che riesca a mediare in modo soddisfacente tra le soluzioni adottate dagli ordinamen-
ti giuridici nazionali.
(29) Così W. Doralt, Diritto europeo dei contratti: rischi e opportunità del regime opziona-
le, in Resp. civ. e prev., 2011, p. 1221.
SAGGI 671
Page 11
gue che le imprese aventi maggiore potere contrattuale, in particolar modo
se presenti in Paesi in cui non è prevista alcuna delle suddette forme di
controllo, avranno uno scarso incentivo ad utilizzare la disciplina opziona-
le (30). In quest’ottica la soluzione della Commissione che, come si vedrà,
cerca di mediare tra le varie impostazioni degli Stati membri, prevedendo
un controllo piuttosto blando per i contratti B2B, rischia di scontentare tut-
ti, poiché essa può apparire eccessiva in esperienze giuridiche non abituate
al controllo dei contratti B2B e, viceversa, troppo debole negli ordinamen-
ti giuridici che tradizionalmente stabiliscono tale forma di controllo (31). In
sintesi, il grado di armonizzazione raggiunto in materia – nell’ambito dei
contratti fra imprese – rende più complessa la stesura di una disciplina con-
vincente a livello sovranazionale mentre appare incerto, a causa della sua
natura facoltativa, il successo dello strumento, in termini di ricorso alla
normativa europea (32).
A favore di un controllo esteso ai contratti B2B milita ad ogni modo la
circostanza che verrebbe offerta una disciplina modello, seppur avente na-
tura facoltativa, alla quale in futuro gli Stati membri potrebbero uniforma-
re le proprie discipline contrattuali. Con una sorta di argomento a contrario,
si potrebbe dire che la scelta di non prevedere il controllo giudiziale dei con-
(30) Ciò anche alla luce del fatto che, ai sensi dell’art. 81 della versione più recente del pro-
getto, le disposizioni relative al capitolo sugli “Unfair Terms” non sono derogabili. Si conside-
ri inoltre che, in Germania, alcuni autori segnalano come sempre più spesso le imprese na-
zionali decidano di non applicare ai propri contratti il diritto tedesco per sfuggire al controllo
sostanziale delle condizioni generali di contratto ivi previsto anche nei contratti B2B (si di-
scorre ad esempio, di una “fuga nel diritto svizzero”: cfr. per tutti S. Brachert e A. Dietzel,
Deutsche AGB-Rechtsprechung und Flucht ins Schweizer Recht, in ZGS, 2005, p. 441 ss.), tanto
che in dottrina si ritiene necessaria una riforma; cfr. da ultimo, per alcune proposte in tal sen-
so ed una panoramica dello stato attuale della giurisprudenza tedesca, K.P. Berger, Für eine
Reform des AGB-Rechts im Unternehmerverkehr, in NJW, 2010, p. 465.
(31) Non a caso, la soluzione ha sollevato opinioni divergenti in seno al Conseil des bar-
reaux européens (CCBE), Position Paper concerning the feasibility study carried out by the Expert
Group on European Contract Law, reperibile presso http://www.ccbe.org, punto 6.3.
(32) La circostanza che la scelta dell’adozione dello strumento opzionale nei rapporti B2B
sembra rimessa alle imprese controparti delle PMI determina il rischio che la protezione vo-
luta a livello europeo resti inefficace. In argomento, v. M.R. Maugeri, Alcune perplessità in
merito alla possibilità di adottare il DCFR come strumento opzionale (o facoltativo), in Nuova
giur. civ., 2011, p. 259. Sul punto cfr., tuttavia, Hesselink, Unfair Terms in Contracts Between
Businesses, cit., p. 146, il quale segnala che la scelta di volersi sottoporre a tale disciplina po-
trebbe raffigurare un chiaro indice di serietà e correttezza dell’impresa nei confronti dei pro-
pri clienti (e presumibilmente, in quanto non viene affermato dall’a., comportare effetti posi-
tivi dal punto di vista economico per l’impresa che decida di operare in tal modo).
672 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 12
tratti fra imprese apparirebbe un passo indietro, rispetto alla tendenza ri-
scontrabile a livello sovranazionale di sanzionare comportamenti scorretti
anche nell’ambito di tale categoria contrattuale.
In tal senso un’interessante proposta, da tenere a mente nel futuro iter
legislativo, è stata presentata in Inghilterra e in Scozia dalle rispettive Law
Commissions nel 2005 (33). Il testo prevede un controllo di abusività nei con-
tratti B2B per i c.d. “small business contracts”, ossia i contratti, stipulati da
imprese con non più di 9 dipendenti, aventi un valore massimo di £ 500,000
(circa e 550.000) (34). Il fondamento della normativa fa leva sull’assunto che
generalmente i costi della transazione diminuiscono in proporzione all’au-
mentare del valore del contratto e inoltre che ad un aumento del valore cor-
risponde una crescita dell’interesse a negoziare le singole clausole dell’ac-
cordo. La dottrina giuseconomica, pur non reputando necessaria nell’am-
bito dei contratti B2B una limitazione alle sole imprese di esigue dimensio-
ni– come viceversa previsto dall’art. 7 dell’allegato 1 –, ha espresso il proprio
favore per la proposta (35). La scelta di introdurre un simile criterio discrimi-
nante suscita interesse perché, oltre ad indicare parametri sicuri per deter-
minare quando nei contratti d’impresa sia necessario un intervento del giu-
dice – ciò che potrebbe costituire, per altro verso, il suo limite come spesso
accade quando i confini per l’applicabilità della norma sono puramente
quantitativi e numerici – incide in misura più lieve sull’autonomia dei con-
traenti (36).
In conclusione, le tematiche affrontate negli studi in materia di clausole
vessatorie devono essere rivisitate alla luce degli obiettivi e della natura del-
lo strumento opzionale, tenendo conto del contesto generale in cui si collo-
cherebbe la disciplina di settore. Avuto riguardo al grado di armonizzazio-
(33) Law Commission e Scottish Law Commission, Unfair Terms in Contracts (in LAW
COM n. 292 e SCOT LAW COM n. 199), nn. 27-29, reperibile presso http://www.justice.gov.
uk/lawcommission/docs/lc292_Unfair_Terms_In_Contracts.pdf. Nel computo si tiene altresì
conto dei dipendenti di altre eventuali imprese esercitate dal medesimo soggetto, nonché dei
dipendenti di soggetti associati all’imprenditore.
(34) Al n. 29 dell’Unfair contract terms Bill sono indicati altri casi in cui non sussiste il con-
trollo d’abusività.
(35) Cfr. P. Leyens e H.-B. Schäfer, Inhaltskontrolle allgemeiner Geschäftsbedingungen –
Rechtsökonomische Überlegungen zu einer einheitlichen Konzeption von BGB und DCFR, cit., p.
790 ss.
(36) A favore dell’introduzione, nello strumento opzionale, di un tetto massimo di valore
cui subordinare il controllo d’abusività: Hesselink, Unfair Terms in Contracts Between Busi-
nesses, cit., p. 138 s., 146, e H.-W. Micklitz, A ‘Certain’ Future for the Optional Instrument, in
Towards a European Contract Law, cit., p. 186.
SAGGI 673
Page 13
ne raggiunto in materia dagli Stati membri, la previsione di un controllo so-
stanziale dei contratti B2B, pur fornendo un modello che a livello europeo
trova un numero di sostenitori sempre crescente, rappresenta il profilo del-
la disciplina che desta maggiori preoccupazioni in relazione all’effettivo uso
che della disciplina contrattuale europea verrà fatto.
Da ultimo, va considerata l’estensione dell’ambito di applicazione sog-
gettivo della normativa ai c.d. contratti C2C (consumer-to-consumer), in mo-
do da permettere l’utilizzo dello strumento opzionale anche a piattaforme
di vendita online, come ad esempio ebay (37).
4. – La versione del progetto dello strumento opzionale presentata dal
gruppo degli esperti recava un ulteriore cambiamento, rispetto alla direttiva
93/13/CEE, con riferimento all’ambito oggettivo della valutazione di abusi-
vità. A differenza della menzionata direttiva che all’art. 3, comma 1°, limita
il controllo alle clausole non oggetto di negoziato individuale, il FS per i
contratti dei consumatori annoverava l’elemento in parola soltanto nel-
l’ambito dei “fattori” da prendere in considerazione nella valutazione di
abusività di cui all’art. 82, lasciando intendere che l’esistenza della trattativa
non fosse di regola d’ostacolo ai fini del giudizio di abusività (38). L’esclusio-
ne del controllo era (ed è, anche nella più recente versione), viceversa,
espressamente prevista per i contratti d’impresa.
La scelta degli esperti lasciava trapelare qualche dubbio, e non a caso l’e-
stensione del controllo a clausole non oggetto di negoziato individuale rap-
presentava uno dei punti del feasibility study (n. 2 pag. 8 FS), per i quali era
stato domandato un parere agli interessati (39). Sulla soluzione accolta ave-
(37) H. Schulte-Nölke, Scope and Function of the Optional Instrument on European Con-
tract Law, in Towards a European Contract Law, cit., p. 41.
(38) Occorre ricordare che già la proposta di direttiva del Consiglio del 24 luglio 1990 con-
cernente le clausole inique nei contratti stipulati con i consumatori, COM (90) 322 def., pre-
vedeva un controllo esteso a clausole oggetto di negoziazione e, inoltre, che al di là delle so-
luzioni adottate nel contesto dello strumento opzionale, le questioni concernenti l’ambito di
controllo oggettivo continueranno ad essere all’ordine del giorno in considerazione dell’art.
32 (che aggiunge l’art. 8bis alla dir. 93/13/CEE) della direttiva UE 2011/83 sui diritti dei con-
sumatori che obbliga gli Stati membri ad informare la Commissione al ricorrere di un inter-
vento normativo dei parlamenti nazionali ex art. 8 dir. 93/13/CEE, in uno degli specifici set-
tori della trattativa individuale, delle clausole “principali” (v. infra, par. 5) e delle clausole con-
siderate abusive in base agli elenchi (v. infra, par. 7).
(39) Cfr., ad esempio, la posizione critica assunta in merito dal CCBE, Position Paper con-
cerning the feasibility study carried out by the Expert Group on European Contract Law, cit., pun-
to 6.2.
674 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 14
va sicuramente pesato l’intento della Commissione di riconoscere al con-
sumatore un livello di tutela elevato, al fine di evitare che questi, attraverso
la disciplina facoltativa, venisse sottoposto ad un trattamento deteriore ri-
spetto a quello assicurato nell’ordinamento dello Stato in cui risiede. Tut-
tavia, la stessa Commissione europea è intervenuta eliminando la novità,
cosicché l’art. 83 allegato 1 dispone che il controllo interviene limitatamen-
te al ricorrere di un “contract term supplied by the trader which has not indivi-
dually negotiated”. La scelta della Commissione, che si pone in linea con la
suddetta direttiva e le soluzioni della maggior parte degli Stati membri,
sembra più che altro attenta ad evitare il sorgere di discussioni nel corso del-
l’iter legislativo.
Limitando il discorso ai contratti del consumatore, occorre comunque
esaminare il problema, posto che l’esclusione del controllo in presenza del
negoziato individuale è una delle poche questioni ad aver diviso i gruppi di
studiosi incaricati di redigere il Draft Common Frame of Reference. Gli espo-
nenti dell’Acquis group erano infatti del parere che la restrizione dell’ambi-
to di controllo andasse mantenuta nella stesura del DCFR, mentre quelli
dello Study Group on a European Civil Code volevano espungerla (40).
A favore dell’ampliamento del campo di applicazione si rileva che ver-
rebbero eliminati o ridotti i tentativi di elusione del controllo ai danni dei
consumatori. Inoltre, nella realtà della contrattazione standardizzata, la
possibilità che intervenga una trattativa è comunque molto tenue (41). Il da-
to da ultimo ricordato risulta ancor più rilevante per una disciplina pensata
in primo luogo per il commercio elettronico. In senso contrario si afferma
che siffatto controllo inciderebbe in modo eccessivo sull’autonomia nego-
ziale (42) e – in base a considerazioni di analisi economica del diritto, basate
sull’idea che il consumatore agisca sempre come soggetto razionale – che al
ricorrere di una negoziazione del consumatore, necessariamente questi co-
noscerebbe il contenuto della clausola e non sussisterebbe pertanto un’a-
(40) La stesura definitiva dell’art. II.–9:403 (valutazione d’abusività nei contratti B2C) re-
ca, infatti, due distinte versioni: la prima (senza il contenuto delle parentesi) non limita il con-
trollo a clausole proposte dal professionista, non oggetto di trattativa individuale.
(41) Invero, tale constatazione ha valore altresì nella realtà della contrattazione interna-
zionale tra imprese per le c.d. day-to-day operations, ovvero operazioni di esiguo valore com-
piute con cadenza giornaliera e per le quali sarebbe eccessivamente oneroso negoziare di vol-
ta in volta i termini dell’accordo, cfr. D. Echenberg, Negotiating International contracts, in G.
Cordero-Moss, Boilerplate Clauses, International Commercial Contracts and the Applicable
Law, Cambridge, 2011, p. 17 s.
(42) Per tutti, T. Pfeiffer, Von den Principles of European Contract Law zum Draft Com-
mon Frame of Reference, in ZEuP, 2008, p. 704.
SAGGI 675
Page 15
simmetria informativa tra i contraenti (43). In quest’ottica, tornando all’ar-
gomento della ratio della disciplina sulle clausole abusive, la soluzione del
controllo esteso a clausole negoziate appare in linea con l’impostazione se-
condo cui il giudizio sulle clausole sarebbe teso a combattere situazioni di
disparità del potere contrattuale, giacché la parte economicamente più for-
te potrebbe comunque, nell’ambito della trattativa, sopraffare il consuma-
tore (44).
Non sembra fosse questa la sola ragione ad aver spinto i compilatori
del FS alla scelta in esame. Un interesse ulteriore era, infatti, quello di eli-
minare dalla disciplina una fonte di possibili disomogeneità nell’applica-
zione delle norme, in considerazione delle questioni interpretative solle-
vate dalla nozione “trattativa individuale” nelle diverse esperienze giuridi-
che (45). La circostanza che l’elemento figurava nell’elenco dei criteri ex
art. 82 FS collideva, però, con l’obiettivo prefissato, poiché dal combinato
disposto degli artt. 81 e 82 FS poteva comunque risultare possibile un’e-
sclusione del giudizio di abusività della clausola in presenza di trattativa
individuale.
Infine, intendendo porre rimedio a problemi applicativi, la proposta del-
la Commissione reca una definizione di “Not individually negotiated con-
tract terms” all’art. 7 allegato 1, nel quale sono altresì indicati alcuni fatti di
per sé non idonei a provare il negoziato su di una clausola; viene individua-
to il contraente sul quale grava l’onere della prova dell’avvenuta trattativa,
che nei contratti B2C è il professionista; e viene prevista la regola secondo
cui nei contratti dei consumatori le clausole redatte da un terzo si conside-
(43) Ne dà conto M.R. Maugeri, Clausole non oggetto di trattativa individuale: l’ambito di
applicazione del sesto capitolo dei principi acquis, in G. De Cristofaro, I “principi” del diritto co-
munitario dei contratti, Torino, 2009, p. 448.
(44) Cfr. H. Beale, Unfair Terms in Contracts: Proposals for Reform in the UK, in 27 Journal
of Consumer Policy, 2004, p. 292 s.: “Negotiation may ensure that the consumer knows the clause
exists, but unless she has a reasonably full understanding of what the term means and what the
impact of the term is likely to have on her, the negotiation will be pretty meaningless even if she is
offered any choice”; sulla stessa linea S. Weatherill, EU Consumer Law and Policy, Chel-
tenham, 2005, p. 117 ss. Contra Mazeaud, Unfairness and Non-negotiated Terms, in Towards a
European Contract Law, cit., p. 127. Per evidenti ragioni nell’ambito della consultazione avu-
tasi con il Libro verde sulla revisione dell’acquis relativo ai diritti dei consumatori dell’8 feb-
braio 2007, COM (2006) 744 def., le associazioni rappresentative dei consumatori hanno
espresso il loro favore in ordine all’abbandono dell’esclusione del controllo delle clausole in-
dividualmente negoziate.
(45) Cfr. L.A. Scarano, Commento sub Art. 1469-ter, comma 4°, in Clausole vessatorie nei
contratti del consumatore, a cura di G. Alpa e S. Patti, ne Il c.c. Comm. diretto da P. Schlesin-
ger, Artt. 1469-bis-1469-sexies, Milano, 2003, p. 935 ss.
676 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 16
rano poste dal professionista, salvo siano state introdotte nel contratto dal
consumatore.
5. – Aderendo sul punto alle soluzioni elaborate nella maggior parte de-
gli Stati membri e nei progetti di codificazione (46), il progetto dello stru-
mento opzionale esclude il controllo di abusività delle pattuizioni concer-
nenti l’oggetto e l’adeguatezza del corrispettivo nei contratti dei consuma-
tori, qualora le clausole siano redatte in modo chiaro e comprensibile.
La soluzione di cui all’art. 80, comma 2°, allegato 1 (47), a differenza di
quanto inizialmente accaduto in tema di trattativa individuale, rimane fe-
dele alla direttiva 93/13/CEE, riproducendone sostanzialmente l’art. 4,
comma 2°: in tal caso il livello di tutela scelto è sicuramente inferiore ri-
spetto a quello previsto negli Stati membri che non hanno attuato la men-
zionata disposizione della direttiva (48). Sebbene occorra valutare le reazio-
ni dei pochi Paesi nei quali le clausole in esame sono soggette in ogni caso a
controllo, a prima vista dalla soluzione adottata non emergono particolari
problemi, atteso lo scarso numero di interventi giudiziari in materia, regi-
strati in dette esperienze giuridiche (49). Con riferimento al prezzo di vendi-
ta, l’art. 85, lett. (k), sembra inoltre garantire al consumatore una protezio-
ne adeguata (50).
Riguardo alla problematica del rapporto delle clausole principali con
l’obbligo di trasparenza, desta invece perplessità la formulazione del terzo
comma dell’ art. 80 allegato 1 dedicato ai contratti B2B, se confrontata con
(46) La stessa soluzione è prevista nei PECL, nei Principi Acquis e nel DCFR.
(47) Art. 80: “2. Section 2 [dedicata ai contratti business-to-consumer] does not apply to the
definition of the main subject matter of the contract, or to the appropriateness of the price to be
paid in so far as the trader has complied with the duty of transparency set out in Article 82. 3. Sec-
tion 3 [dedicata ai contratti business-to-business] does not apply to the definition of the main
subject matter of the contract or to the appropriateness of the price to be paid”.
(48) In argomento M. Farneti, La vessatorietà delle clausole “principali” nei contratti del
consumatore, Padova, 2009, p. 134 ss.
(49) Le preoccupazioni relative ad un’eccessiva limitazione dell’autonomia contrattuale,
manifestate da parte della dottrina e in alcuni ambienti professionali, si sono rivelate infon-
date: cfr. la relazione della Commissione del 27 aprile 2000 sull’applicazione della direttiva
93/13/CEE: COM (2000), 248 def., p. 15.
(50) L’art. 85, lett. (k), dispone una presunzione di abusività per le clausole che “provide
that the price of goods, digital content or services is to be determined at the time of delivery or sup-
ply, or allow a trader to increase the price without giving the consumer the right to withdraw if the
increased price is too high in relation to the price agreed at the conclusion of the contract; this does
not affect price-indexation clauses, where lawful, provided that the method by which prices vary is
explicitly described”.
SAGGI 677
Page 17
il contenuto del secondo comma del medesimo articolo rivolto, come det-
to, ai contratti B2C (51) (il problema era altresì riscontrabile nei commi 3° e
2° dell’art. 78 della prima versione del feasibility study). Infatti, se nei con-
tratti dei consumatori la regola dell’assenza di sindacato sul tipo di clauso-
le in esame si applica soltanto nella misura in cui queste siano redatte in
modo chiaro e comprensibile, nella versione più attuale le clausole devono
rispettare il generale obbligo di trasparenza stabilito dall’art. 82 (“duty to
ensure that they are drafted and communicated in plain, intelligibile langua-
ge”); diversamente, per i contratti fra imprese l’art. 80, comma 3°, allegato
1 non contiene alcun riferimento all’obbligo di trasparenza, dando adito al-
l’idea che il giudizio di abusività nei contratti B2B sia escluso anche a fron-
te di una clausola redatta in modo incomprensibile. Non sembra condivisi-
bile la soluzione che prevede per l’imprenditore aderente un trattamento
deteriore rispetto a quello del consumatore. La norma non trova riscontro
nei citati progetti di codificazione (52) e sembra porsi in contrasto con una
pluralità di disposizioni, presenti in diverse sedi della proposta disciplina
contrattuale, che pongono in capo ai contraenti obblighi di informazione e
di correttezza.
Ancora in materia di trasparenza, più intensi dubbi suscitava l’art. 80 FS
(ora art. 82) il quale, collocato nella 2° sezione dedicata ai contratti dei con-
sumatori, disponeva un obbligo generale di presentare le clausole in modo
chiaro e comprensibile. Invero, anche in questo caso la portata della dispo-
sizione non era evidente. Il problema più grave determinato dalla norma ri-
guardava l’incertezza in ordine agli effetti di una sua violazione, posto che –
a differenza degli originari artt. 81, 85, 86 e 87 FS – le clausole redatte in vio-
lazione dell’obbligo di trasparenza non erano qualificate vessatorie. A pare-
re di uno dei primi commentatori, la formulazione della norma rischiava di
indebolire la posizione del consumatore, poiché avrebbe potuto essere let-
ta nel senso di non consentire il giudizio di abusività di una clausola redatta
in modo chiaro e comprensibile (53). Sul punto è intervenuta la Commissio-
ne, inserendo un riferimento all’obbligo di trasparenza nell’elenco di fatto-
ri di cui tener conto nel giudizio di abusività disciplinato dall’attuale art. 83,
comma 2° . Ciò significa che una violazione del suddetto obbligo integra
(51) V. supra, nt. 47.
(52) Cfr. art. 4:110 PECL; art. 6:303, comma 3°, ACQP; art. II.–9:406, comma 2°, DCFR.
(53) Mazeaud, Unfairness and Non-negotiated Terms, cit., p. 127: “as far as I know, clarity
and comprehensibleness are not necessarily antidotes to unfairness!”. Mentre da una lettura dei
due commi dell’art. II.–9:402 DCFR, dedicato al duty of transparency, risulta chiara la possibi-
lità di dichiarare abusiva una clausola redatta in violazione dell’obbligo nell’ambito dei con-
tratti B2C.
678 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 18
uno dei parametri per concretizzare la clausola generale del significativo
svantaggio ex art. 83, comma 1° . La trasparenza non compare invece tra i
criteri da prendere in considerazione nel giudizio di abusività dei contratti
B2B (elencati, nella versione più recente, dall’art. 86, comma 2°). Alla stre-
gua di quanto rilevato a proposito dell’attuale art. 80, non si comprende per-
ché l’obbligo di trasparenza sia limitato ai contratti del consumatore.
6. – Uno degli aspetti di maggior interesse all’indomani dell’adozione
della direttiva 93/13/CEE concerneva l’utilizzo della clausola generale di
buona fede come parametro di valutazione della vessatorietà delle clausole
sottoposte a controllo giudiziale (54). Com’è noto, la direttiva comunitaria –
influenzata sotto questo profilo dal modello tedesco dell’AGB-Gesetz del
1976 – ha optato per una soluzione non corrispondente alle tradizioni giuri-
diche di molti Stati membri. Ciò spiega in parte perché, in sede di attuazio-
ne della direttiva, i legislatori nazionali si siano mossi in direzioni diverse: il
legislatore francese ha rinunciato ad inserire nella normativa d’attuazione
un riferimento alla buona fede (55), mentre in altri ordinamenti, nonostante
la mancanza di familiarità, essa è stata viceversa assunta come parametro di
valutazione (56).
(54) Con riferimento alla direttiva 93/13/CEE, cfr. G. Alpa e S. Patti, Introduzione, in Id.
(a cura di), Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, ne Il c. c. Comm., diretto da P. Sch-
lesinger, cit. p. 19 ss.; S. Patti, Significato del principio di buona fede e clausole vessatorie: uno
sguardo all’Europa, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e con-
temporanea, in Atti del convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese, a cura di L.
Garofalo, vol. III, Padova, 2003, p. 59 ss. Nella prospettiva qui adottata il significativo squili-
brio dei diritti e degli obblighi viene inteso alla stregua di un modo di manifestarsi della con-
trarietà al principio di buona fede, cfr., per tutti, M. Bin, Clausole vessatorie: una svolta storica
(ma si attuano così le direttive comunitarie?), in questa rivista, 1996, p. 439.
(55) Come risulta dallo studio comparatistico di M. Ebers, La revisione del diritto europeo
del consumatore: l’attuazione nei Paesi membri della direttiva sulle clausole abusive
(93/13/CEE) e le prospettive d’ulteriore armonizzazione, in questa rivista, 2007, p. 771, anche Bel-
gio, Danimarca, Grecia, Lituania, Lussemburgo e Slovacchia si limitano a fare riferimento al
“significativo squilibrio”, non menzionando la buona fede.
(56) Gli esempi più significativi sono rappresentati dagli ordinamenti di common law. In
Inghilterra la direttiva è stata recepita con l’Unfair terms in Consumer Contracts Regulations
del 22 luglio 1999, il quale, applicabile ai contratti fra professionisti e consumatori, rimette la
valutazione di abusività ad un giudizio di buona fede. Diversamente, l’Unfair terms Act del
1977, rimasto in vigore e applicabile indifferentemente dallo status delle parti, implica un con-
trollo di ragionevolezza delle clausole. Atteso che i criteri di valutazione, a parere della giuri-
sprudenza e della dottrina, sostanzialmente tendono a coincidere, la Law Commission e la
Scottish Law Commission – alle quali, come visto, è stato conferito l’incarico di riscrivere la di-
SAGGI 679
Page 19
L’esempio della disciplina delle clausole abusive induce a riflettere su
una delle questioni maggiormente ricorrenti con riferimento alla legislazio-
ne dell’Unione europea: le clausole generali ed i concetti indeterminati a li-
vello sovranazionale assumono un significato del tutto peculiare. Per un
verso sono strumenti che agevolano la coesione nel processo di armonizza-
zione normativa tra i diversi Paesi, per altro verso sono fonte di disegua-
glianze nella fase di applicazione del diritto (57). Le clausole generali, in de-
finitiva, consentono una rapida armonizzazione da un punto di vista termi-
nologico alla quale, però, non sempre segue un’armonizzazione di tipo so-
stanziale, atteso che la buona fede viene compresa in modi diversi all’inter-
no degli ordinamenti giuridici nazionali (58).
La clausola generale contenuta nella disciplina in esame, tuttavia, non
va intesa soltanto come strumento volto a favorire il raggiungimento di un
accordo a livello sovranazionale, bensì, in quanto consente un giudizio
flessibile, adattabile ad ogni peculiarità del caso concreto, come un ele-
mento irrinunciabile per disciplinare un giudizio d’abusività di natura so-
stanziale. In ogni caso, da una prospettiva sovranazionale, le difficoltà sca-
turenti dalla previsione della clausola generale restano immutate. Ed al ri-
guardo si afferma che la presenza della clausola generale costituisce il vero
ostacolo all’armonizzazione piena della disciplina delle clausole vessatorie
poiché, anche ricorrendo ad una regolamentazione uniforme a livello eu-
ropeo, la concretizzazione della clausola generale avverrebbe alla luce del-
sciplina delle clausole abusive in maniera unitaria – hanno redatto un progetto in cui si fa a
meno del criterio di buona fede a favore del più familiare paradigma fair and reasonable. In ar-
gomento H. Collins, Good faith in European Contract Law, in 14 Oxford Journal Leg. St.,
1994, p. 229 ss.; G. Teubner, Legal Irritants: Good faith in British Law or How Unifying Law
Ends Up in New Divergences, in 61 Modern Law Rev., 1998, p. 11 ss.; Beale, Unfair Terms in Con-
tracts: Proposals for Reform in the UK, cit., p. 289 ss.; G. Alpa, Brevi note sulle proposte di rifor-
ma della disciplina delle clausole vessatorie nel Regno Unito, in Contratti, 2005, p. 91 ss.; E. Mc
Kendrick, La buona fede tra common law e diritto europeo, in Manuale di diritto privato euro-
peo, a cura di C. Castronovo e S. Mazzamuto, II, Milano, 2007, p. 715 ss. Nello specifico si rin-
viene un’interessante applicazione del principio di buona fede, nell’ambito della disciplina
della direttiva 93/13, nel caso Director General of Fair Traiding v. First National Bank del 1999,
sul quale cfr. L. Antoniolli Deflorian, L’interazione del diritto inglese con il diritto comuni-
tario: l’esempio della direttiva sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori ed il principio
di buona fede, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 460 ss.
(57) S. Patti, Clausole generali e discrezionalità del giudice, in Riv. notariato, 2010, p. 311.
(58) Recentemente si segnalano diverse ricerche comparatistiche: cfr. R. Zimmermann e
S. Whittaker, (a cura di), Good faith in European Contract Law, Cambridge, 2000; S.
Grundmann e D. Mazeaud (ed.), General Clauses and Standards in European Contract Law,
The Hague, 2006.
680 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 20
la disciplina contrattuale del singolo Stato membro (59). Infatti, il giudice
nazionale nel valutare l’eventuale carattere abusivo utilizzerebbe come
principale parametro di valutazione le norme dispositive dell’ordinamento
giuridico interno.
I giuristi tedeschi, a fronte del descritto metodo di operare dell’inter-
prete, attribuiscono al diritto dispositivo una Leitbildfunktion, ovvero la
funzione di indicare i parametri di giustizia sostanziale in base ai quali mi-
surare l’eventuale abusività di una clausola contrattuale (60). Più la clauso-
la del contratto si discosta dalle indicazioni provenienti dal diritto disposi-
tivo, maggiori saranno i dubbi circa la sua legittimità, in assenza di una
pattuizione che attribuisca alla parte pregiudicata dalla deroga del diritto
dispositivo un vantaggio tale da compensare il sacrificio sofferto. Da que-
sta prospettiva, l’ausilio del diritto dispositivo interno nel concretizzare la
clausola generale coincide sostanzialmente con un’applicazione diretta di
(59) J. Basedow, Der Europäische Gerichtshof und die Klauselrichtlinie 93/13: Der verwei-
gerte Dialog, in Festschrift für Günter Hirsch, München, 2008, p. 51 ss.; In senso conforme E.-
M. Kieninger, Die Vollharmonisierung des Rechts der Allgemeinen Geschäftsbedingungen – ei-
ne Utopie?, in RabelsZ, 2009, p. 793 ss., la quale, in base ad una ricerca sulla giurisprudenza te-
desca in materia, rileva come nella stragrande maggioranza dei casi i giudici, invece di adope-
rare gli elenchi di clausole presenti nel BGB, facciano uso della clausola generale di buona fe-
de, e come tale modo di operare, da una prospettiva sovranazionale, sia fonte di disomoge-
neità.
(60) La teoria risale a L. Raiser, Das Recht der allgemeinen Geschäftsbedingungen, rist.,
Bad Homburg, 1961 (1a ed., Hamburg, 1935), p. 291 ss. Essa si fonda sulla constatazione che la
deroga apportata dalle condizioni generali di contratto al diritto dispositivo rappresenta una
manifestazione di autonomia contrattuale di particolare intensità poiché la deviazione dal te-
sto di legge acquista un connotato di generalità che abitualmente il singolo atto dell’autono-
mia privata non possiede. Anche dalla dottrina tedesca più recente è stata sempre dedicata
grande attenzione alla Leitbildfunktion; riferimenti alla stessa si trovano anche nelle attuali
edizioni dei tanti commentari del BGB e in moltissime decisioni giurisprudenziali. La teoria
ha, inoltre, ottenuto un riconoscimento espresso nello stesso BGB, al § 307, Absatz 2°, (ana-
logo al precedente art. 9 AGB-Gesetz del 1976) secondo cui “uno svantaggio inadeguato si de-
ve nel dubbio supporre, se una clausola 1. non è compatibile con principi fondamentali della
regolamentazione legale che ha derogato”. Viceversa, nella dottrina italiana l’argomento non
ha, in generale, suscitato notevole interesse, tuttavia, cfr. A. di Majo Giaquinto, Condizioni
generali di contratto e diritto dispositivo, in Condizioni generali di contratto e tutela del con-
traente debole. Atti della Tavola rotonda tenuta presso l’Istituto di diritto privato dell’Università
di Catania, 17-18 maggio 1969, Milano, 1970, p. 65 ss., il quale si sofferma sul rapporto tra prin-
cipio di buona fede e diritto dispositivo (p. 77 ss.) affermando che: “affinché la concretizza-
zione della clausola generale non proceda secondo criteri soggettivi e arbitrari (. . .) il diritto
dispositivo e per esso le sue singole norme (caratterizzate da una diversa intensità equitativa)
rappresentano un terreno di concretizzazione proficuo e prezioso per la clausola generale di
buona fede o correttezza”.
SAGGI 681
Page 21
norme dell’ordinamento giuridico dello Stato membro. A livello sovrana-
zionale, sembrerebbe il caso di anticipare che questo modus operandi dei
giudici nazionali sia confermato dall’indirizzo interpretativo della Corte di
Giustizia, la quale nella nota decisione Freiburger Kommunalbauten ha af-
fermato che spetta al giudice nazionale determinare se una clausola di un
contratto possa essere qualificata abusiva ai sensi della clausola generale
di cui all’art. 3, comma 1°, della direttiva 93/13/CEE e di come ciò debba
avvenire alla luce dell’ordinamento giuridico nazionale all’interno del
quale il giudice opera, visto che occorre valutare le conseguenze che la
clausola contrattuale può avere nell’ambito del diritto applicabile all’ac-
cordo (61).
Il problema è già stato affrontato in dottrina, con la proposta, al fine di
contrastare l’evidente fonte di disomogeneità a livello applicativo, di utiliz-
zare come parametro interpretativo della clausola generale a livello euro-
peo il testo di progetti di codificazione del diritto europeo dei contratti (in
particolare i PECL ed il DCFR) (62). In senso contrario, oltre al rilievo del-
l’inidoneità formale dei testi a fungere quale parametro vincolante nell’e-
sercizio interpretativo dei giudici nazionali (63), si è sottolineato come, a dif-
ferenza degli ordinamenti giuridici degli Stati membri, tali documenti non
contengano previsioni sufficientemente precise, e anzi a causa della pre-
senza di una serie di concetti indeterminati (primo fra tutti il termine reaso-
nable), che delegano ai giudici il compito di riempire di significato le dispo-
sizioni ivi contenute, non possano individuare in modo soddisfacente i cri-
teri di concretizzazione del principio di buona fede (64). Inoltre, vista la
complessità e i tempi processuali, è difficile immaginare che i giudici nazio-
(61) Corte CE, 1° aprile 2004, Causa C-237/02, Freiburger Kommunalbauten, in Racc., p. I-
3403, punto 21. Un’eccezione a tale principio sussiste soltanto in presenza di una clausola,
preventivamente redatta da un professionista, che determini esclusivamente svantaggi per il
consumatore (come ad esempio una clausola che attribuisce la competenza, per tutte le con-
troversie derivanti dal contratto, al giudice del foro in cui si trova la sede del professionista),
nel qual caso la Corte di Giustizia può dichiarare l’abusività di una clausola in base all’art. 3,
comma 1°, direttiva 93/13.
(62) O. Remien, Die Vorlagepflicht bei Auslegung unbestimmter Rechtsbegriffe, in 66 Ra-
belsZ, 2002, p. 526.
(63) Ma sul punto v. N. Jansen, Klauselkontrolle im europäischen Recht, in ZEuP, 2010, p.
98 s., secondo cui in astratto sarebbe possibile per i giudici nazionali adottare come parame-
tro di riferimento una disciplina che non è diritto positivo; si pone in concreto un problema di
“autorevolezza” dei progetti scientifici attualmente esistenti. Le critiche dell’a. si rivolgono
principalmente al DCFR.
(64) Cfr. Kieninger, Die Vollharmonisierung des Rechts der Allgemeinen Geschäftsbedin-
gungen, cit., p. 812 ss.; Jansen, Klauselkontrolle im europäischen Recht, cit., p. 98 ss.
682 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 22
nali possano esser chiamati ad utilizzare i suddetti documenti come ausilio
interpretativo; essi semmai potrebbero essere adoperati dalla Corte di giu-
stizia, che però, come detto, si astiene dal concretizzare la clausola genera-
le della direttiva 93/13/CEE.
Venendo alla normativa dell’allegato al regolamento, occorre in primo
luogo rilevare come nel testo siano presenti due distinti parametri di valuta-
zione, a seconda che si tratti di un contratto B2C o B2B: nel primo caso è
considerata vessatoria la clausola che “significantly disadvantages the consu-
mer, contrary to good faith and fair dealing” (art. 83), mentre, nel secondo,
quella che “significantly disadvantages the other party; and it is of such a na-
ture that its use grossly deviates from good commercial practice, contrary to
good faith and fair dealing” (art. 86, comma 1°, lett. (b)). Se non desta pro-
blemi la locuzione “fair dealing”, comunemente utilizzata negli ordina-
menti giuridici di common law e alla quale non sembra debba attribuirsi un
significato distinto e autonomo rispetto a quello di buona fede (65), maggio-
re attenzione deve invece dedicarsi all’ulteriore elemento della “deviazione
dalla buona prassi commerciale”, richiesto al fine di dichiarare vessatoria
una clausola nei contratti B2B. La soluzione prescelta riproduce quanto
previsto dal DCFR (art. II. – 9:405) e dai Principi Acquis (art. 6:301, comma
2°), mentre si discosta dai PECL (art. 4:110), i quali prevedono un parame-
tro di valutazione unitario, applicabile ai contratti B2C e B2B, che non fa ri-
ferimento agli usi commerciali. In questo quadro, non è ben chiaro il signi-
ficato di “good commercial practice” e l’adozione della locuzione, sebbene
già presente in atti legislativi di matrice europea (66), ha suscitato perplessità
in dottrina; in discussione è soprattutto l’utilizzabilità del parametro in esa-
me, non esistendo al momento usi commerciali riconosciuti dalla giuri-
sprudenza a livello europeo (67). Invero, nell’ottica di una concretizzazione
da effettuare alla luce di sicuri indici legali, sarebbe stato più semplice adot-
(65) In termini analoghi con riferimento al nostro ordinamento giuridico si afferma che la
correttezza di cui all’art. 1175 c.c. e la buona fede sono equivalenti, cfr. C.M. Bianca, Dell’i-
nadempimento delle obbligazioni, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Libro VI, Delle obbligazioni,
Art. 1218-1229, 2a ed., Bologna-Roma, 1979, p. 76, nt. 1.
(66) Art. 3 (3) Dir. CE 2000/35 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000
relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Cfr. altresì la
nuova Direttiva adottata in materia: 2011/7/UE del 16 febbraio 2011.
(67) In riferimento alla disciplina del DCFR e dei Principi Acquis, cfr. Jansen, Klau-
selkontrolle im europäischen Recht, cit., p. 91. In argomento v. anche Maugeri, Clausole non
oggetto di trattativa individuale: l’ambito di applicazione del sesto capitolo dei principi acquis, in
I „principi” del diritto comunitario dei contratti, cit., p. 449 ss.; Id., Alcune perplessità in merito
alla possibilità di adottare il DCFR come strumento opzionale (o facoltativo), cit., p. 254.
SAGGI 683
Page 23
tare anche per i contratti B2B il criterio della buona fede/significativo svan-
taggio, come avviene all’interno dell’ordinamento giuridico tedesco (68).
Ciononostante, non sembra che la diversità terminologica sia destinata a
determinare notevoli discrepanze da un punto di vista applicativo tra le due
categorie di contratti.
Lungi dal rispecchiare la volontà di costituire due parametri del tutto
differenti, la normativa sembra soltanto esigere un sindacato, circa il ca-
rattere abusivo della clausola, meno rigoroso (nei confronti dei contraen-
ti) per le clausole contenute in contratti tra professionisti. Una conferma
in tal senso deriva dalle quasi identiche liste di criteri di concretizzazione
delle due clausole generali, contenute nella versione più recente del pro-
getto dello strumento opzionale (69), le quali suscitano l’idea, peraltro già
maturata con riferimento ai Principi Acquis e al DCFR, che si tratti di una
soluzione di compromesso volta a mediare tra le diverse scelte adottate
dagli Stati membri (70). In definitiva, l’intento è quello di dare un impulso
al fine di evitare che i giudici esercitino un tipo di controllo analogo per
entrambe le categorie contrattuali; non è però possibile definire in base al-
la sola lettera della norma se e quali saranno le reali differenze in ambito
applicativo.
Per quanto concerne la concretizzazione delle clausole generali, il dirit-
to comune europeo della vendita offre nuovi spunti di riflessione, poiché la
disciplina delle clausole abusive, a differenza di quanto avvenuto con la di-
rettiva 93/13/CEE, è questa volta inserita in un più ampio contesto norma-
tivo di matrice europea. Al momento, lo strumento in esame contiene una
parte generale nonché la regolamentazione del contratto di compravendita
e dei contratti di servizio ad essa collegati; il diritto dispositivo del futuro
strumento opzionale offrirebbe, quindi, un parametro di riferimento diret-
to per la concretizzazione della clausola generale. In altri termini, il giudice
nazionale nel valutare l’abusività di una clausola – invece di ricorrere all’or-
dinamento contrattuale interno – dovrebbe avere riguardo alla normativa
complessiva dello strumento opzionale e ciò determinerebbe un’armoniz-
(68) In senso conforme, ma con riguardo al DCFR, H. Eidenmüller, Party Autonomy,
Distributive Justice and the Conclusion of Contracts in the DCFR, in Eur. Rev. Contract Law,
2009, p. 129 s.
(69) L’unica differenza attiene al riferimento all’obbligo di trasparenza, contenuto nella li-
sta relativa ai contratti B2C e assente in quella prevista per i contratti B2B.
(70) Cercando, cioè, una posizione intermedia tra gli ordinamenti che prevedono una va-
lutazione di abusività nei contratti B2B e i Paesi che si astengono. Critici, sul punto, N. Jan-
sen e R. Zimmermann, Grundregeln des bestehenden Gemeinschaftsprivatrechts?, in JZ, 2007,
p. 1121.
684 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 24
zazione anche in sede applicativa della disciplina in materia di clausole abu-
sive presente nel suddetto strumento (71).
In astratto, lo scenario prospettato potrebbe comportare un mutamento
sensibile del contesto normativo di riferimento; sussiste, tuttavia, qualche
dubbio in ordine alla concreta possibilità dello strumento di svolgere, nella
formulazione attuale, la funzione sopra indicata. Invero, possono muover-
si i medesimi rilievi già rivolti ai PECL e al DCFR: la disciplina contenuta
nelle versioni dello strumento opzionale sinora accessibili non sembra suf-
ficientemente dettagliata per poter offrire una valida base interpretativa al
fine di valutare l’abusività di una clausola. Infatti, in molte disposizioni
(nella prima versione del FS se ne contano circa ottanta in 189 articoli) è uti-
lizzato il termine reasonabless, che, nonostante la definizione contenuta
nell’attuale art. 5 dell’allegato 1, lascia a sua volta un ampio spazio interpre-
tativo ai giudici, i quali in definitiva nel giudizio di abusività si troverebbero
con frequenza di fronte a due concetti indeterminati.
Inoltre, volendo ricollegare la tematica in esame alla più ampia proble-
matica relativa all’idoneità dello strumento in esame a fungere da modello
di riferimento per gli ordinamenti giuridici interni nel futuro processo di ar-
monizzazione, le poche figure contrattuali attualmente presenti nella nor-
mativa non offrono una base adeguata per una uniforme concretizzazione
della clausola generale, al di fuori dell’ambito applicativo dello strumento.
Pare infine appena il caso di rilevare come – in considerazione della plura-
lità di criteri-guida indicati al giudice dagli artt. 83, comma 2°, e 86, comma
2°, che tra gli altri elementi, invitano a tener conto delle circostanze che
hanno accompagnato la conclusione del contratto e le clausole di un even-
tuale contratto dal quale il contratto soggetto al controllo dipende – risulti
evidente che non sempre il solo diritto dispositivo è in grado di offrire ri-
sposte soddisfacenti per la valutazione dell’abusività di una clausola (72).
In conclusione, pur risultando indubbio che il contesto in cui sarebbe
collocata la nuova disciplina muterebbe sensibilmente lo scenario prece-
dente, le difficoltà nel reperire criteri uniformi di concretizzazione della
(71) Il quadro delineato risulta in linea con l’art. 4, comma 1°, dell’allegato 1, ai sensi del
quale: “This instrument is to be interpreted and developed autonomously and in accordance with
its objectives and the principles underlying it”. Ed inoltre parzialmente suffragato dalla presen-
za, in entrambe le suddette liste di criteri di concretizzazione delle clausole generali, del rife-
rimento a “the nature of what is to be provided under the contract” (artt. 83, comma 2°, lett. (b),
e 86, comma 2°, lett. (a).
(72) Ciò si segnala anche nella dottrina tedesca, cfr. Remien, Die Vorlagepflicht bei Ausle-
gung unbestimmter Rechtsbegriffe, cit., p. 525 s.
SAGGI 685
Page 25
clausola generale inducono a dedicare precipua attenzione alle liste di clau-
sole presuntivamente o tout court vessatorie, presenti nella disciplina pro-
posta, nonché al ruolo che, sulla base della disciplina opzionale, potrebbe
essere svolto dalla Corte di giustizia lussemburghese.
7. – I problemi concernenti l’armonizzazione della disciplina, trattati nel
precedente paragrafo, sono accentuati dalla mancata trasposizione dell’al-
legato ex art. 3, comma 3° (elenco di clausole), avvenuta in molti Stati mem-
bri, la quale ha determinato negli ordinamenti dei medesimi Paesi (con tut-
ti i problemi ad esso correlati) un ricorso diretto alla clausola generale da
parte dei giudici. I redattori sembrano coscienti del problema; infatti la nor-
mativa proposta dedica alla contrattazione consumeristica due lunghi elen-
chi di clausole agli artt. 84 e 85, rispettivamente rubricati “Terms which are
always unfair” e “Terms which are presumed to be unfair”. Riguardo ai due
menzionati articoli sembra opportuno svolgere alcune considerazioni ge-
nerali concernenti la tecnica legislativa adottata.
Nella recente proposta compare un modello diverso da quello della di-
rettiva 93/13/CEE, la quale, come è noto all’art. 3, comma 3°, si limitava ad
offrire una lista indicativa e non esauriente di clausole che nelle intenzioni
del legislatore europeo doveva fungere da sussidio ai fini dell’interpretazio-
ne della clausola abusiva (73). La scelta espressa dalla Commissione, in linea
con le soluzioni adottate da alcuni legislatori nazionali, segue la proposta
del 2008, concernente la direttiva ad armonizzazione totale sui diritti dei
consumatori. Attraverso la qualificazione in termini di abusività di alcune
clausole (black list) e la previsione di una presunzione di abusività per altre
(grey list), l’attuale versione dell’optional instrument garantisce al consuma-
tore un livello di protezione più elevato rispetto a quello della direttiva. I
vantaggi, tuttavia – soprattutto da una prospettiva sovranazionale – non si
risolvono soltanto a favore del consumatore.
In effetti, la suddetta tecnica legislativa, oltre a rendere più agevole il
compito interpretativo del giudice, sembra da condividere anche in vista di
un’armonizzazione della disciplina in esame poiché, fornendo una base in-
terpretativa uniforme, elimina in parte i problemi relativi ai diversi indirizzi
giurisprudenziali riscontrati in materia (74). In linea teorica la previsione del-
(73) Cfr. Corte CE, 7 maggio 2002, causa C-478/99, Commissione delle comunità europee c.
Regno di Svezia, in Racc., p. I-04147, punto 22.
(74) Cfr. G. Alpa, Towards a European Contract Law, in Towards a European Contract Law,
cit., p. 32, il quale rileva che al fine di risolvere problemi di coordinamento tra i diversi ap-
procci dei giudici nazionali occorre espandere la lista di clausole contenuta nella direttiva
686 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 26
le liste dovrebbe determinare un utilizzo soltanto residuale della clausola di
buona fede (Auffangnetz), riducendo quindi i problemi connessi alla con-
cretizzazione del parametro generale. Altri vantaggi si rinvengono nella
funzione di modello/guida che le liste potrebbero svolgere a livello euro-
peo; gli operatori economici avrebbero a disposizione un’ampia rassegna di
clausole vietate alla quale adeguare il contenuto delle proprie condizioni di
contratto. In definitiva, aumenterebbe il grado di sicurezza negli scambi in-
ternazionali dal momento che gli imprenditori avrebbero agevolmente mo-
do di conoscere per quali contenuti del contratto è posto un divieto a livel-
lo europeo.
L’adozione delle due liste nell’ambito del progetto della direttiva sui di-
ritti dei consumatori del 2008 ha, tuttavia, sollevato anche alcune perples-
sità. In primo luogo, occorre rilevare che gli elenchi incidono su molti set-
tori della disciplina dedicata alla parte generale del contratto dagli Stati
membri (75). L’esperienza della direttiva 93/13/CEE ha insegnato che ogni
singola clausola contenuta nell’elenco viene in effetti riplasmata alla luce
dell’ordinamento giuridico nazionale in cui è chiamata ad operare. In altre
parole, i legislatori nazionali tendono ad adeguare le clausole contenute
nell’allegato al proprio diritto contrattuale interno. Il nuovo approccio del-
la proposta del 2008 sembrava pertanto problematico, in quanto l’armoniz-
zazione piena, anche sotto questo profilo, incontrava dei limiti nel diritto
contrattuale degli Stati membri dal momento che per comprendere le sin-
gole clausole contenute negli elenchi sarebbe stato comunque necessario
ricorrere al diritto nazionale. Gli elenchi di clausole, nonostante gli indubbi
vantaggi, se facenti parte di una mera disciplina settoriale, non consentono
un’armonizzazione piena a livello sovranazionale, rendendosi a tal fine ne-
cessaria un’uniformazione in senso proprio degli interi ordinamenti con-
trattuali nei quali le liste farebbero il proprio ingresso (76).
93/13. Già G. De Nova, La tutela dei consumatori nei confronti delle clausole standard abusive,
in Contratti, 1993, p. 356, osservava con riferimento all’art 3, comma 3°, della direttiva 93/13
che l’elenco delle clausole potrebbe attenuare le prevedibili diversità di approccio tra c.
lawyers e civilian. Lo stesso considerando n. 50 della proposta della Commissione del 2008
(COM (2008), 614 def.) recita inoltre: “Per garantire la certezza giuridica e migliorare il fun-
zionamento del mercato interno è opportuno che la direttiva comprenda due elenchi di clau-
sole abusive (. . .)”.
(75) Non a caso un’opera monografica tedesca si domanda se l’allegato della direttiva
93/13 sia ricognitivo dei principi generali del diritto contrattuale europeo: R. Henke, Enthält
die Liste des Anhangs der Klauselrichtlinie 93/13/EWG Grundregeln des Europäischen Vertrags-
recht?, Tübingen, 2010.
(76) S. Whittaker, Unfair Contract Terms and Consumer Guarantees: the Proposal for a
SAGGI 687
Page 27
Posto che la tecnica legislativa c.d. “tripartita” (clausola generale + due
elenchi) funziona in modo soddisfacente solo se inserita nel contesto di un
ordinamento contrattuale completo, lo strumento opzionale segna un’im-
portante novità. Infatti, come già rilevato con riferimento alla clausola ge-
nerale, sebbene in questo caso il compito dell’interprete appaia più sempli-
ce, le liste contenute nello strumento opzionale dovranno essere applicate
alla luce della sua complessiva disciplina, e ciò dovrà avvenire in modo ana-
logo all’interno di tutti i Paesi in cui essa troverà applicazione. In vista di
un’armonizzazione tra le decisioni giurisprudenziali sul piano sovranazio-
nale, il ruolo delle liste assume così fondamentale importanza. Maggiore
chiarezza si raggiungerà nella loro formulazione, più consistenti saranno i
benefici per il commercio internazionale in termini di sicurezza degli scam-
bi. Inoltre, compiendo un discorso di tipo quantitativo, alla neutralizzazio-
ne di un ampio numero di ipotesi di abusività mediante lo strumento delle
liste, dovrebbe corrispondere un minor ausilio della clausola generale di
buona fede quale criterio di valutazione dell’abusività, e quindi, conseguen-
temente, un ulteriore vantaggio, in termini di certezza del diritto ed unifor-
mazione delle decisioni giurisprudenziali a livello sovranazionale (77).
Sotto quest’ultimo profilo, la disciplina sulle clausole abusive prevista
nell’allegato alla proposta di regolamento, contenendo due consistenti
elenchi di clausole, sembra rispondere adeguatamente alle aspettative; ciò
vale soprattutto per la black list che secondo parte della dottrina individua
un chiaro indice della volontà di riconoscere ai consumatori un grado di
protezione molto elevato (78). Nel dettaglio, senza poter svolgere in questa
sede un esame complessivo degli elenchi, la scelta di inserire soltanto nella
Directive on Consumer Rights and the Significance of ‘Full Harmonisation’, in Eur. Rev. Contract
Law, 2009, p. 232 ss. Sulla stessa linea H.-W. Micklitz, Reforming European Unfair Terms Le-
gislation in Consumer Contracts, ivi, 2010, p. 349, secondo cui, alla luce dei suddetti problemi,
avrebbe senso soltanto un’uniformazione della black list in tutti gli Stati membri, e N. Reich,
Von der Minimal- zur Voll- zur “Halbharmonisierung”. Ein europäisches Privatrechtsdrama in
fünf Akten, in ZEuP, 2010, p. 35, il quale rileva come il pericolo di interpretazioni discordanti
si ponga soprattutto per le clausole contenute nella grey list, che lasciano al giudice un eleva-
to margine di discrezionalità.
(77) Cfr. supra, par. 6.
(78) Cfr. M. Storme, Fatal attraction, in Eur. Rev. Private Law, 2011, p. 343. In proposito
risulta interessante il computo numerico dei tipi di clausole contenute negli elenchi degli at-
ti normativi susseguitisi nel tempo: la direttiva 93/13/CEE contiene 17 clausole; la proposta
di direttiva del 2008 contiene 5 clausole nella lista nera e 12 nella grigia; il FS contiene 9 clau-
sole nella nera e 21 nella grigia; il progetto attuale contiene 23 clausole nella grigia e 11 nella
nera.
688 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 28
grey list la clausola avente l’effetto di limitare indebitamente i mezzi di pro-
va a disposizione del consumatore o imporgli un onere della prova che stan-
do alla legislazione applicabile incomberebbe al commerciante appare però
discutibile, potendo rendere difficoltoso l’esercizio dei diritti da parte del
consumatore (79).
Da ultimo, nonostante la formale applicabilità degli elenchi soltanto a
contratti B2C, alla luce soprattutto dell’esperienza giuridica tedesca, non è
escluso che gli stessi possano comunque costituire una valida base inter-
pretativa nei giudizi di abusività che hanno ad oggetto clausole contenute in
contratti tra imprese.
8. – Uno dei sicuri vantaggi che lo strumento opzionale offrirebbe ri-
spetto all’adozione di altre discipline uniformi, come ad esempio la Con-
venzione di Vienna del 1980, è la presenza di un’istanza interpretativa uni-
taria. Le sentenze della Corte di giustizia avrebbero efficacia vincolante per
tutti gli Stati membri anche con riferimento allo strumento opzionale, nel-
l’ambito del quale la Corte europea sarebbe chiamata a svolgere le proprie
competenze come per qualsiasi altro atto legislativo di matrice europea,
fornendo un’essenziale funzione di guida per i giudici nazionali (80).
In molteplici occasioni i giudici di Lussemburgo si sono pronunciati in
materia di clausole abusive, e quindi con riferimento alla direttiva
93/13/CEE. La sentenza da cui conviene muovere – e che genera i maggio-
ri spunti d’interesse alla luce della nuova normativa contenuta nello stru-
mento opzionale – è quella che ha deciso il caso Freiburger Kommunalbau-
ten (81). Come già rilevato, in quella circostanza la Corte ha affermato che
non rientra nella sua competenza, ma in quella dei giudici nazionali, sin-
dacare se una clausola è abusiva ai sensi dell’art. 3, comma 1°, non poten-
(79) In questo senso Mazeaud, Unfairness and Non-negotiated Terms, in Towards a Euro-
pean Contract Law, cit., p. 128.; contra, con riferimento all’inclusione di siffatta clausola nella
black list della proposta di Direttiva sui diritti dei consumatori del 2008, Whittaker, Unfair
Contract Terms and Consumer Guarantees, cit., p. 234 s.
(80) Ovviamente, l’interpretazione uniforme del diritto opzionale è possibile soltanto at-
traverso l’impegno dell’intero formante giurisprudenziale degli Stati membri. In tal senso,
per favorire un dialogo tra i diversi giudici nazionali, l’art. 14 del regolamento impone agli Sta-
ti membri l’obbligo di assicurare che le decisioni interpretanti norme dello strumento opzio-
nale, emesse dalle proprie Corti, siano comunicate alla Commissione; la quale a sua volta do-
vrà predisporre un database che consenta al pubblico di consultare le sentenze dei giudici na-
zionali e della Corte di giustizia (cfr. altresì il considerando n. 34 della proposta).
(81) Corte CE, 1° novembre 2004, causa C–4147, Freiburger Kommunalbauten, cit., punto
25.
SAGGI 689
Page 29
do la stessa interpretare norme di diritto interno al fine di riempire di signi-
ficato la clausola generale della direttiva. Costituendo in definitiva una ri-
nuncia ad interpretare la disposizione centrale contenuta nella disciplina,
la sentenza dei giudici della Corte di giustizia ha determinato effetti nega-
tivi per il processo di armonizzazione, tanto da spingere a parlare di un ve-
ro e proprio “rifiuto al dialogo” (82), mentre ha suffragato la tesi degli auto-
ri che negano il potere della Corte di giustizia di interpretare le clausole ge-
nerali (83).
Allo stato occorre accertare se la nuova sede in cui sarebbe contenuta la
disciplina delle clausole abusive possa determinare una modifica del men-
zionato indirizzo. Anzitutto, una delle argomentazioni appare di particola-
re interesse, in quanto si afferma che il giudice europeo non dispone del po-
tere di concretizzare una clausola generale contenuta all’interno di una di-
rettiva, mentre ne dispone se la clausola fa parte di un regolamento (84), per
cui si dovrebbe avere riguardo alla forma dell’atto. Tale tesi, seppur non im-
mune da critiche (85), depone a favore del potere della Corte di concretizza-
re i criteri generali contenuti nello strumento opzionale poiché quest’ulti-
mo attualmente riveste la forma di un regolamento (86). Inoltre, alla stessa
(82) Basedow, Der Europäische Gerichtshof und die Klauselrichtlinie 93/13: Der verweigerte
Dialog, cit., p. 51 ss.
(83) Tra gli altri, W.-H. Roth, Generalklauseln im europäischen Privatrecht – Zur Rollenver-
teilung zwischen Gerichtshof und Mitgliedstaaten bei ihrer Konkretisierung, in Festschrift für Ul-
rich Drobnig, Tübingen, 1998, p. 135 ss.; M. Franzen, Privatrechtsangleichung durch die Eu-
ropäische Gemeinschaft, Berlin e New York, 1999, p. 536 ss. In senso contrario, oltre a Base-
dow, op. loc cit., cfr., da ultimo, A. Röthel, Die Konkretisierung von Generalklauseln, in K.
Riesenhuber (ed.), Europäische Methodenlehre – Handbuch für Ausbildung und Praxis, 2a ed.,
Berlin e New York, 2010, p. 345 ss.
(84) C.-W. Canaris, Der EuGH als zukünftige privatrechtliche Superrevisionsinstanz, in
EuZW, 1994, p. 417; Roth, Generalklauseln im europäischen Privatrecht, cit., p. 141 ss.; Id., Ca-
se note C-137/08 VB Pénzügyi Lizing Zrt v Ferenc Schneider, in Eur. Rev. Contract Law, 2011, p.
430, secondo il quale le clausole generali contenute in una direttiva attribuiscono agli Stati
membri un ampio margine di discrezionalità, sul quale non può incidere la Corte di Giustizia.
In senso conforme, pur non giungendo al risultato di escludere la competenza a concretizza-
re dei giudici di Lussemburgo, bensì concentrando il discorso sulla fase attuativa nell’ambito
della legislazione nazionale, G.A. Benacchio, La buona fede nel diritto comunitario, in Il ruo-
lo della buona fede, cit., I, p. 193.
(85) Soprattutto con riferimento alla clausola generale contenuta nella direttiva 93/13, la
quale, come (supra par. 6) indicato, non è il frutto di un accordo politico, ma rappresenta una
caratteristica della tecnica legislativa sul controllo delle clausole contrattuali: cfr., sul punto,
S. Troiano, Clausole generali e nozioni giuridiche indeterminate nei principi Acquis del diritto
comunitario dei contratti, in I principi del diritto comunitario dei contratti, cit., p. 230 s.
(86) In linea peraltro con la Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 giugno 2011, cit.,
690 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 30
stregua di quanto già rilevato, gli indici legali di riferimento per concretiz-
zare la clausola sarebbero rinvenibili all’interno dell’atto legislativo euro-
peo che trova applicazione alla controversia, venendo quindi a mancare
uno degli argomenti addotti dalla Corte di giustizia nel caso della direttiva
93/13 per negare la propria competenza, atteso che non occorrerebbe (rec-
tius: in base all’attuale art. 4, sarebbe vietato) ricorrere agli ordinamenti giu-
ridici nazionali. Sussistono quindi argomenti per operare un cambio di rot-
ta rispetto al precedente indirizzo, tanto più che nello svolgimento di que-
sto nuovo compito, la Corte sarebbe agevolata dalle liste di clausole pre-
suntivamente o tout court abusive che fornirebbero un adeguato supporto
nel giudizio di abusività.
Un ulteriore esempio del probabile nuovo ruolo della Corte concerne la
recente decisione Caja de Ahorros, in cui i giudici di Lussemburgo hanno
affermato che in virtù della clausola di armonizzazione minima ex art. 8 è ri-
conosciuto agli Stati membri il potere di istituire, a beneficio dei consuma-
tori, un controllo sul carattere abusivo delle clausole indicate all’art. 4, com-
ma 2°, dir. 93/13 (definizione dell’oggetto del contratto e adeguatezza del
prezzo), anche se redatte in modo chiaro e comprensibile (87). È appena il
caso di rilevare che la decisione si pone in contrasto con l’obiettivo di armo-
nizzazione degli ordinamenti giuridici nazionali, giacché permette ai Paesi
membri di discostarsi dalla soluzione del legislatore europeo (88). L’attività
interpretativa della Corte di giustizia, che dovrebbe muovere verso una
convergenza tra gli ordinamenti nazionali, è frenata dal potere riconosciuto
ai legislatori nazionali di stabilire un livello di protezione del consumatore
più elevato rispetto a quello previsto dalla direttiva. È di tutta evidenza che,
nel caso da ultimo richiamato (a differenza che nel primo), il risultato nega-
tivo per l’armonizzazione della disciplina non è imputabile alla Corte di
giustizia, bensì all’approccio di armonizzazione minimale della direttiva.
Sotto questo profilo, nell’interpretare lo strumento opzionale, la Corte eu-
ropea non incorrerebbe più in tali ostacoli, dovendo anzi favorire un’inter-
pretazione il più possibile omogenea all’interno degli Stati membri.
Con riferimento ad una diversa questione concernente la disciplina del-
le clausole abusive di cui alla direttiva 93/13/CEE, la Corte non ha mostra-
punto 6, secondo cui soltanto la forma giuridica del regolamento garantirebbe la chiarezza e
la certezza giuridica necessarie.
(87) Corte UE, 3 giugno 2010, causa C-484/08, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid
c. Asociación de Usuarios de Servicios Bancarios (Ausbanc), punto 40. Cfr. supra par. 4.
(88) Cfr. A. Viglianisi Ferraro, La sentenza Caja de Ahorros e l’armonizzazione tradita,
in Contratti, 2010, p. 880 ss.
SAGGI 691
Page 31
to incertezze. In più occasioni, e si può pertanto discorrere di un indirizzo
consolidato, il giudice europeo ha affermato la rilevabilità d’ufficio dell’a-
busività di una clausola (89); precisando, tuttavia, che il giudice – una volta
esercitato il suddetto potere officioso – non deve disapplicare la clausola,
qualora dopo aver avvisato il consumatore circa la sua abusività, quest’ulti-
mo non intenda invocarne la natura abusiva (90).
Volendo utilizzare la formula linguistica dell’autore poc’anzi citato, il ri-
fiuto al dialogo è questa volta manifestato nei confronti della Corte di giu-
stizia dai gruppi incaricati di redigere i progetti di codificazione del diritto
europeo dei contratti. In modo analogo a quanto avvenuto con i Principi
Acquis e con il DCFR, la normativa proposta non dispone la rilevabilità
d’ufficio dell’abusività, astenendosi così dal recepire espressamente un in-
dirizzo che nell’ambito dei contratti B2C è ormai da considerare diritto vi-
vente (91). In quest’occasione non occorre un mutamento di rotta della Cor-
te, bensì da parte di coloro, giuristi e organi preposti alla funzione legislati-
va, competenti a recepire gli orientamenti del giudice europeo, allo scopo di
valorizzarne l’operato per favorire un aumento della certezza giuridica.
9. – Senza alcuna pretesa di trarre conclusioni definitive, non soltanto in
considerazione del fatto che le questioni dibattute hanno appena iniziato a
porsi all’attenzione degli studiosi, ma anche perché la materia – ancor più ri-
spetto ad altri settori del diritto privato europeo – è in continua evoluzione,
si cercherà comunque di riepilogare alcuni dei risultati conseguiti.
Riguardo all’adozione della clausola generale e alle liste di clausole con-
tenute nello strumento opzionale, vi sono alcuni argomenti che militano a
favore di un’applicazione più uniforme a livello sovranazionale, rispetto a
quella riscontrata nel caso della direttiva 93/13/CEE; ciò anche in virtù di
un possibile revirement della Corte di giustizia dall’indirizzo inaugurato con
il caso Freiburger Kommunalbauten. In definitiva, molti dei problemi inter-
pretativi che si sono posti con riferimento alla direttiva risulterebbero forte-
(89) Inizialmente la Corte si è espressa in termini di “facoltà” riconosciuta al giudice, cfr.
Corte CE, 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e Sal-
vat Editores, cit., punto 29; pervenendo successivamente al risultato di sancire l’esistenza di
un obbligo del giudice di rilevare la abusività di una clausola, cfr. Corte CE, 4 giugno 2009,
causa C-243/08, Pannon GSM c. Erzsébet Sustikné Gyõrfi, in Racc., p. I-04713, punto 32.
(90) Corte CE, 4 giugno 2009, causa C-243/08, Pannon GSM c. Erzsébet Sustikné Gyõrfi,
cit., punto 33.
(91) Cfr. G. De Cristofaro, “Invalidity” of Contracts and Contract Terms in the Feasibility
Study on a Future Instrument for European Contract Law, in Towards a European Contract Law,
cit., p. 106 s.
692 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011
Page 32
mente attenuati nel quadro di una disciplina opzionale. Ciò non dipende
tanto dalla qualità delle disposizioni in materia di clausole vessatorie conte-
nute nel progetto esaminato, quanto dal contesto in cui è collocata la disci-
plina, atto ad aprire nuovi scenari. Le soluzioni accolte in materia non de-
stano sorpresa, avendo esse, come segnalato, recepito in genere scelte com-
piute nei precedenti progetti scientifici di armonizzazione del diritto con-
trattuale europeo.
Nel dettaglio, le modifiche intervenute rispetto al testo originario pre-
sentato dal gruppo degli esperti sembrano, comunque, aver determinato
dei miglioramenti. Oltre alle variazioni indicate con riguardo al generale
obbligo di trasparenza, in materia di “inclusione” di clausole all’interno del
contratto, parte dell’originaria sezione 4a, recante il titolo – già di per sé cri-
ticabile – “Terms which are unfair because of the way the other party’s agree-
ment was obtained” è stata trasferita nel capitolo 7° dedicato ai contenuti e
agli effetti del contratto (art. 70).
Restano, tuttavia, irrisolti gravi problemi concernenti l’invalidità delle
clausole poiché nell’attuale progetto viene semplicemente adottata la
“sanzione” della non vincolatività (not bindingness) (92), mancando quindi
una chiara presa di posizione riguardo ad una pluralità di problemi sorti
negli Stati membri con riferimento alla direttiva 93/13/CEE (93). La que-
stione si collega evidentemente al mancato recepimento degli indirizzi
della Corte di Giustizia, come rilevato nel precedente paragrafo: oltre alla
rilevabilità d’ufficio della vessatorietà di una clausola connessa alla salva-
guardia dell’interesse del consumatore, non sono affrontate – ad esempio
– le problematiche legate all’integrazione del contratto, all’operatività ipso
(92) Nel caso dell’art. 70, in materia di inclusione di clausole nel contratto, la sanzione
prescelta è la “non invocabilità”: “Contract terms supplied by one party and not individually ne-
gotiated may be invoked against the other party only if the other party was aware of them, or if the
party supplying them took reasonable steps to draw the other party’s attention to them, before or
when the contract was concluded”. Il progetto invece tace sugli effetti in caso di deroga al capi-
tolo sulle clausole abusive, la quale, come già rilevato, è vietata ai sensi dell’art. 81 dell’attua-
le versione (“The parties may not exclude the application of this Chapter or derogate from or vary
its effects”).
(93) Invero, nella stesura del progetto non è stata colta l’opportunità di formulare una di-
sciplina unitaria in materia di invalidità. Tale incompletezza rappresenta un grave vulnus del-
la disciplina e potrebbe far desistere molti imprenditori dall’adoperarla, atteso che per le sin-
gole soluzioni sarà comunque necessario ricorrere alle norme dell’ordinamento giuridico che
troveranno applicazione in base alle disposizioni di diritto internazionale privato. Per le pro-
blematiche concernenti i regimi d’invalidità dello strumento opzionale si rinvia a De Cristo-
faro, “Invalidity” of Contracts and Contract Terms in the Feasibility Study on a Future Instru-
ment for European Contract Law, cit., p. 97 ss.
SAGGI 693
Page 33
iure della non vincolatività e alla convalida di una clausola abusiva (94).
Conviene, infine, insistere sulla soluzione che desta maggiore perples-
sità, in virtù del carattere opzionale dello strumento: l’estensione dell’am-
bito di applicazione soggettivo del controllo contenutistico ai rapporti tra
professionisti, come già rilevato, potrebbe far desistere gli imprenditori dal-
l’utilizzare lo strumento opzionale, poiché verrebbe introdotto un control-
lo che non trova riscontro nella maggior parte dei Paesi membri. Gli inter-
rogativi legati alla disciplina opzionale non investono ovviamente soltanto
le clausole abusive, ma la questione esaminata nelle pagine precedenti non
è di poco rilievo, se si considera come l’auspicabile eventualità che le solu-
zioni accolte all’interno dello strumento vengano recepite dagli ordina-
menti nazionali, per disciplinare settori ancora non toccati dalla legislazio-
ne di matrice europea, dipenda dal successo dello strumento e dall’interes-
se che esso sarà in grado di suscitare nella pratica degli affari.
(94) Questi e altri esempi si trovano in De Cristofaro, op. cit., p. 106 s.
694 CONTRATTO E IMPRESA / EUROPA 2-2011