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Città e Sedi Umane Fondate tra Realtà e Utopia A cura di Astrid Pellicano
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Città e Sedi Umane Fondate tra Realtà e Utopia

Jan 18, 2023

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Città e Sedi Umane Fondatetra Realtà e Utopia

A cura di Astrid Pellicano

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Proprietà letteraria riservata

© by Franco Pancallo Editore - Locri - ItalyVia Mercurio/C.so V.Emanuele, 71 - Tel. 0964.29168e-mail: [email protected]: www.francopancalloeditore.it

Stampato in proprio

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VInCEnzo AVERSAno

MARIA RoSARIA DE VITA

SILVIA SInISCALChI*

La Certosa di Padula e il suo territorio:una “città ideale” riscoperta e in via di valorizzazione

La Certosa di Padula: sette secoli di presenza operosa e travagliata

Pitagora di Samo, per il quale tutto è numero, saprebbe forse oggi cogliereun qualche misterioso, mistico legame tra i sette vizi capitali, i sette doni delloSpirito Santo, le sette lettere dei tre nomi legati alla nascita della Certosa di SanLorenzo di Padula1 e i sette secoli trascorsi dalla sua edificazione…

Suggestioni numeriche a parte, geografia, storia, arte e religione sono real-mente chiamate a interagire nel tentativo di penetrare i segreti di questa magnificaroccaforte della spiritualità certosina, racchiusi, tra splendori passati e presenti,nell’imponente edificio eretto ai piedi della collina su cui è ubicato il centro diPadula, nella sezione sud-orientale del Vallo di Diano, in provincia di Salerno. LaCertosa di San Lorenzo, infatti, nel corso delle sue vicende, tra il rispetto della ri-gida regola di San Brunone e la costante interazione con il territorio circostante,nel doppio ruolo di realtà mistico-religiosa e politico-sociale, dotata di incisivaforza di modellamento spaziale, rappresenta una “città ideale” ante litteram: “civitasDei” e polis spirituale, da un lato; dall’altro, istituzione mondana assai potente,con un patrimonio fondiario spintosi, nella sua costante espansione, ben oltre ilimiti della subregione dianense2.

La posizione geografica di quest’ultima – «di figura molto simile a una bar-chetta, che nel principio e nel fine è stretta e nel mezzo larga»3 – ne spiega la sto-rica funzione di collegamento tra nord e sud della penisola italiana: non a caso laStrada Statale n. 19 “delle Calabrie”, l’Autostrada del Sole e la ferrovia che oggil’attraversano riprendono, in parte, il tracciato romano dell’antica via Annia, oPopilia, che si congiungeva nella Campania alla via Appia. non meno “strategica”era la posizione per quanto riguarda i rapporti trasversali tra i due mari (Tirrenoda una parte e Ionio e Adriatico dall’altra4.

Ma, per venire subito all’atto di fondazione della Certosa, occorre collocarcinel periodo coevo e successivo alla guerra del Vespro (1282-1302), quando ilcontrollo del Vallo si rivela di vitale importanza per impedire il passaggio dei si-culo-aragonesi verso nord: Tommaso II Sanseverino, conte di Marsico e feuda-

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tario di Padula dal 1296, aveva infatti ricevuto da Carlo II d’Angiò l’ordine difortificare la zona e di erigervi un castello5; venne così realizzato un efficace si-stema difensivo, anche grazie anche alla protezione naturale offerta dagli asprimonti del Cilento6.

A guerra conclusa, per riaffermare la propria fedeltà alla dinastia angioina eingraziarsi ulteriormente il sovrano, Tommaso decise di far costruire a Padula ungrande monastero, da donare, insieme a una parte dei propri possedimenti, aicertosini, ordine monastico particolarmente caro ai sovrani d’oltralpe, per la co-mune origine francese e l’ascendenza colta e aristocratica dei suoi esponenti7. Atale scopo, dopo lunghe trattative, il conte ottenne per permuta dall’Abate Gu-glielmo di Montevergine un cenobio benedettino trasformato in grancia (una verae propria fattoria) con tutti i suoi beni (l’atto è del 14 ottobre 1305), situato pressoPadula e dedicato a San Lorenzo martire8. nel 1306 ne fece dono ai certosini,con annessi beni e privilegi, a cui aggiunse il «diritto di pesca gratuita nelle acquedel Vallo e di libero pascolo negli interi possedimenti dei Sanseverino» nonché,nel 1307, un’altra sua proprietà, chiamata «orto grande», situata a sud della granciadi San Lorenzo (SBoRDonE, 1982, p. 159).

In aggiunta ai benefici spirituali (assicurati dalle preghiere dei monaci: VI-ToLo, 2006, p. 30) e politici, la prodigalità del Sanseverino puntava a finalità diordine pratico. Dall’operato monastico egli si attendeva infatti un significativocontributo al risanamento generale dei suoi possedimenti nel Vallo, di cui emer-gevano con desolante evidenza il degrado e i guasti economici derivanti dai lunghianni di guerra. Tra immensi spazi vuoti, villaggi distrutti o abbandonati9 e campinon più coltivati, il preesistente, gravoso problema dell’impaludamento, divenutocronico, affliggeva l’intera valle, come tuttora testimonia la toponomastica deiluoghi (Padula, richiamante la palude; Buonabitacolo, Casalbuono, Montesano,Sassano, indicanti più salubri condizioni ambientali rispetto al fondovalle)10.

Le aspettative di Tommaso non sarebbero state deluse: i monaci di San Bru-none, trasformata la Grancia in Certosa (seguendo il modello della certosa di Trisulti,nel Lazio, e di Grenoble, casa madre dell’ordine)11, svolsero successivamente unruolo fondamentale nella campagna di bonifica intrapresa per il Vallo, plasman-done e rendendone durevole il paesaggio circostante, giunto sino ai nostri giorni.

ottenuti privilegi economici e giuridici dai re di napoli e ulteriori donazionidai nobili del Vallo, i monaci iniziarono ad acquistare altri piccoli territori, fino apossedere, nel corso dei secoli, zone sempre più distanti da Padula. Già nel corsodel ‘400, infatti, la loro giurisdizione raggiunse l’attuale Basilicata – attraverso l’ac-quisizione del feudo di S. Maria di Pisticci (esteso fino al mar Ionio) e di quellodi S. Basilio (che raggiungeva il Golfo di Taranto) con tutti i loro beni – per poiinglobare, nel secolo successivo, una parte dei possedimenti dei Sanseverino diMarsico, tra cui le difese feudali di Mandrano e Mandranello (due depressioni tet-toniche situate presso Marsico nuovo)12, alcuni terreni nei pressi di Sala Consilina

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e al di fuori del Vallo (Moliterno, S. Chirico Raparo e Saponara [attuale Grumentonova]). Ancora più importante si rivelò l’acquisizione, tra il 1514 e il 1515, dellaBadia di Santa Maria di Cadossa, costituita in diocesi, con i suoi beni (casali diCadossa e Casalnuovo) e altri terreni nella zona di Diano (attuale Teggiano), cheaggiungeva una nuova prerogativa alla dignità priorale della Certosa di San Lo-renzo, arricchendone prestigio e poteri13.

Anche gli Aragonesi e le famiglie feudali sostituitesi ai Sanseverino (in di-sgrazia dopo la seconda “congiura dei baroni”, prima di essere del tutto defene-strati a metà del ‘500)14 continuarono a proteggere e favorire l’operato el’ampliamento territoriale del monastero15, divenuto, nel frattempo, tappa di sostequasi obbligate lungo il percorso tra napoli e Reggio Calabria. A riguardo, tra lavisite più celebri, si ricorda quella di Carlo V d’Asburgo nel 1535 (al rientro dal-l’impresa di Tunisi), alla quale si lega l’aneddoto della frittata di mille uova (pre-parata dai certosini per lui e il suo seguito) che, sebbene frutto di fantasia16, faben capire di quale grandiosa fama godesse a quel tempo il sempre più ricco mo-nastero17. nel 1636, infatti, entrò a far parte delle sue proprietà anche il feudo diMontesano (già dei Sanseverino e, di poi, degli Ambrosino)18, a cui si aggiunsero,pochi anni dopo, Padula con Buonabitacolo, il maggior feudo del Vallo (SBoR-DonE, 1982, p. 160), di cui i certosini controllavano ormai la parte meridionale eorientale (mentre i rimanenti feudi erano divisi tra altre potenti famiglie).

Alle acquisizioni territoriali corrisposero le fasi dell’ingrandimento e arric-chimento architettonico-artistico del monastero, che, tra il XVIII e XIX secolo,costituì uno dei maggiori centri d’arte e cultura del Mezzogiorno. Una triste con-ferma della sua preziosità sarebbe giunta dalle radicali spoliazioni subite nel corsodel decennio francese, con la legge di eversione della feudalità del 1806 e la sop-pressione degli ordini religiosi, estesa a benedettini, certosini e cistercensi il 13febbraio 180719.

Dopo la restaurazione borbonica, il rientro di un piccolo numero di monacinella Certosa (dove vivevano oramai miseramente: LénoRMAnT, 1990, p. 111)durò appena cinquantuno anni: gravemente danneggiata dal terremoto del 1857(MALLET, 1990, p. 108), definitivamente chiusa a seguito delle leggi eversive delneogoverno unitario italiano (1866-67), pur dichiarata monumento nazionale nel1882 (su insistenza del Consiglio Provinciale, che volle così evitarne la vendita ela demolizione), fu destinata a subire negli anni successivi un degrado crescente,tra calamità naturali (come la disastrosa alluvione di fine ‘800 del fiume Fabbri-cato, i cui effetti sono tuttora visibili nel dislivello di circa 3 metri tra la strada eil perimetro murario esterno) e storiche (tra cui la sua utilizzazione come campodi concentramento durante la prima e la seconda guerra mondiale, a seguito dellaquale l’ultima riportò notevoli danni: SBoRDonE, 1975, pp. 160-161).

orfanotrofio fino al 1956, la Certosa, totalmente abbandonata a se stessa eall’azione devastante degli agenti naturali per quasi vent’anni (dalla seconda metà

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degli anni Cinquanta fino agli anni ottanta), nel 1982 fu finalmente affidata allecure della Soprintendenza ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storicidi Salerno, per essere poi dichiarata, dieci anni dopo, patrimonio dell’umanitàdall’UnESCo20.

2. «Felix coeli porta»: il monastero di Padula e la città ideale

Secondo L. Mumford, i «veri discepoli spirituali di Platone arrivarono circamille anni dopo e furono i monaci benedettini» (MUMFoRD, 2002, I, p. 237). Di-fatti, sotto il profilo ideologico e nel concreto della storia, esistono molteplicianalogie tra le utopie urbanistiche della filosofia occidentale (a partire da Platonee Aristotele) e le utopie religiose della Città di Dio, o dell’anima, proprie del mo-nachesimo cristiano.

All’indomani della caduta dell’impero romano e della crisi morale, culturaleed economica conseguitane, il monastero rappresenta infatti un nuovo tipo dipolis, i cui abitanti sono accomunati da un medesimo scopo: condurre sulla terrauna vita cristiana rivolta unicamente e sinceramente al servizio di Dio. La coloniamonastica diviene così la nuova cittadella dell’anima, allo stesso tempo «l’attua-zione dell’ideale di Aristotele: una società di eguali che aspiravano a vivere nelmiglior modo possibile […] Qualunque fosse la confusione del mondo esterno,il monastero era un’isola di serenità e ordine» (MUMFoRD, II, p. 319).

Il paragone tra il monastero benedettino e la città ideale, pur non essendouna novità («basti ricordare il piano ideale dell’abbazia di S. Gallo [benedettina,appunto] che è dell’XI secolo»: Leoncini, 1988, p. 55), diviene ancora più si-gnificativo ed emblematico nel caso di una certosa, paragonabile a una piccolacittà-stato, con dei cittadini che vi risiedono volontariamente, partecipano delsuo governo e sottostanno alle sue regole, visibili nella sua stessa struttura ar-chitettonica21.

Infatti, poiché la formula originale dell’ordine (unione di solitari in una pic-cola comunità) esige una rigida separazione degli spazi (per l’armonica convi-venza, come in un unico corpo, della preghiera e dell’azione, dell’aspettoascetico-contemplativo e di quello pratico-operativo)22, la Certosa è divisa in dueparti: “casa alta” (interna), dimora dei monaci claustrali (consacrati al silenzio as-soluto, alla preghiera, alla contemplazione e allo studio)23 e “casa bassa” (esterna),sede dei fratelli conversi, certosini anch’essi, ma dediti alle mansioni pratiche perla cura materiale dell’ordine, tra cui l’amministrazione dei beni (affidata ai padriprocuratori), la sovrintendenza delle attività agricole e artigianali e la cura dei rap-porti con le comunità residenti circostanti24.

L’isolamento della casa alta doveva essere assoluto: perciò la Certosa, comeprevisto dalla regola, è circondata da un grande spazio verde recintato (il cosid-

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detto desertum), funzionale anche al sostentamento materiale monastico (era difatticertamente coltivato), le cui forme rettangolari, scandite, come la pianta dell’edi-ficio, da viali ortogonali, richiamano la graticola di San Lorenzo (SBoRDonE,1975, p. 160, DE CUnzo, 1988, p. 21 e WEAVER, 1990, p. 12)25.

La protezione è tanto più necessaria perché la casa alta, un tempo inaccessi-bile agli estranei, è appunto la Civitas Dei: «varcata quella soglia, saremo entratinella Gerusalemme Celeste» (DE MARTInI, 1990, p. 85), come preannunciato dalcartiglio «Felix coeli porta» (visibile sulla grande facciata interna del monastero)e come confermato dalle impareggiabili bellezze artistiche, dal richiamo all’infinitodegli immensi spazi claustrali e delle forme geometriche elicoidali, dagli incrociortogonali dei muri, inseriti all’interno di un perfetto rettangolo, secondo unoschema costantemente immutato. Come la «città ideale vive in una “situazionesotto vetro e nella lontananza nello spazio e nel tempo – condizione fondamen-tale del sogno utopistico – […] la certosa “è” il luogo ideale e attuale per il pienoesercizio della qualità di monaco»26, dove, come nelle città ideali dei “geometrisociali” della filosofia classica, rinascimentale e moderna, la regola di San Brunonesi trasforma in «un esercizio di geometria solida» (MUMFoRD, 2002, I, p. 226)27.nasce così spontaneo l’accostamento «del monastero certosino a quella cittàideale vagheggiata da Leon Battista Alberti e Leonardo, città ordinata e felice, chefavorisce il buon governo e l’educazione dei singoli cittadini. La certosa, con ilsuo silenzio, il mistico raccoglimento e la semplicità delle azioni quotidiane rap-presenta appunto il luogo ideale che agevola il passaggio del monaco dalla vitaterrena alla Gerusalemme celeste»: così Didier (1988, p. 297) riassume il pensierodi Leoncini.

non apparirà allora casuale la concomitanza tra la comparsa delle utopie sullacittà e le fase critiche della civiltà occidentale28 (a cui non fa eccezione neppure laCertosa di Padula, costruita proprio all’inizio di uno dei periodi più bui dellachiesa cattolica)29: l’utopica e “apollinea” visione del mondo (in senso nietz-scheano) sembra sorgere infatti dalla necessità di arginare il caos di una realtà in-quietante attraverso un controllo organizzato dello spazio e del tempo (di cuioffrono testimonianza la stabilitas loci e la regolazione delle successioni temporalidell’ora et labora benedettino)30, di poi riproposto, in chiave laica, dalle città idealidei filosofi rinascimentali e moderni31.

Tale controllo è l’indispensabile condizione per il perseguimento di un fineimmanente e trascendente, materiale e spirituale (la giustizia e il bene supremo,platonicamente inteso come idea eterna, immutabile, essere pieno e totale, con-trapposto al male, assenza totale di essere)32. Per questo la città-certosa deve essereisolata, autonoma, capace di vivere con rigore dei prodotti del proprio suolo, pro-tetta da confini geografici netti, mura poderose, leggi accorte e regole morali33,con un numero limitato di abitanti, dediti alle attività intellettuali o pratiche34. Intale ottica, la divisione dei certosini in due categorie interdipendenti, frutto delle

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diverse attitudini e capacità (ciascuno svolge il compito corrispondente alla pro-pria disposizione e natura), garantisce la perfezione della loro funzione individualee “specializzazione professionale” (proverbiale la compiutezza del “lavoro cer-tosino”), condizione del benessere spirituale e materiale della collettività intera.

L’ordine di quest’ultima è riflesso da quello temporale (la giornata-tipo delcertosino si svolge secondo una successione prestabilita di occupazioni) e spaziale,grazie alla divisione in due parti dell’impianto “graticolare” della Certosa. Tale ideaè già presente in Ippodamo di Mileto – ideatore del modello urbanistico basatosull’organizzazione “a griglia” (intersecazione ad angolo retto) delle strade (orien-tate nella direzione nord-sud dei cardini e in quella ovest-est dei decumani) e sullaconseguente scansione regolare degli isolati35 – il quale aveva ben compreso chela forma di una città esprime la forma del suo ordine sociale e che, per riplasmarela prima, è necessario introdurre adeguate riforme e modifiche nella seconda36.

L’impianto architettonico della Certosa di Padula, costruita come un castrumo una città della Magna Grecia (vedi fig. 3), non si limita tuttavia a riflettere l’or-dine razionale in esso sotteso; il lunghissimo percorso rettilineo che ne unisce leparti bassa e alta, quale «via sacra che dall’esterno conduce, di chiostro in chiostro,di corridoio in corridoio, verso ambienti sempre più riservati», fino a raggiungerelo spettacolare doppio scalone ellittico (attribuito a Gaetano Barba: de Martini,1988, p. 216 e 1990, p. 94; DE CUnzo, 1990, p. 75), trasmette infatti un messaggioassoluto e trascendente: il percorso verso Dio è unico, perciò il certosino nonpuò che avere un’unica strada (DE CUnzo, 1990, p. 41. Cfr. anche nota 27).

Tale impostazione, accentuata nel XVIII secolo – allorché «l’asse rettilineoera scelta univoca, segno dell’assolutismo, prima della crisi e della rivoluzione, daVersailles a Caserta e in più piccola scala nelle ville e nei palazzi» (DE CUnzo,1990, p. 42) – è d’altra parte strettamente connessa alle prescrizioni della regolacertosina, per la quale il monastero non è un rifugio sicuro dalle insidie delmondo, «ma un luogo ideale e spirituale, segno e anticipazione del paradiso»37.

3. Il monastero reale e il territorio: l’incontro-scontro con altri enti laici e religiosi

L’idealità della prospettiva ultraterrena dei certosini padulensi, riflessa dallaloro nobiltà, gentilezza e generosità (SoAnE, 1990, p. 105 e de SAInT-non, 1990,p. 106), sulla scia dell’operato dei monaci basiliani e benedettini (“pionieri” nelleopere di trasformazione e “pianificazione” territoriale), era sorretta da un’ammi-nistrazione efficace dei loro estesi possedimenti feudali. Ancora oggi è facile im-maginare la “casa bassa” brulicare di contadini, fittavoli, braccianti, giornalieri,manovali, artigiani, fornitori, pellegrini, postulanti, paesani, che «si svuotava altramonto quando si serrava il grande portone di accesso alla corte, sorvegliato avista dagli armigeri chiusi nella poderosa torre inserita nel muro di cinta» (DE

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MARTInI, 1990, p. 86). La serie continua di offerte e lasciti testamentari a favore della Certosa (risa-

lenti già al 1326) da parte di donatori di condizione sociale anche modesta ne te-stimoniano infatti il precoce collegamento con la realtà locale e la rapida capacitàdi rendersi indipendente, «non rimanendo legata né ai destini dei Sanseverino néa quelli di un altro o di pochi altri benefattori e impegnandosi subito, vale a direfin dal 1311, in una attività politica patrimoniale, che porta non solo ad un incre-mento continuo dei possedimenti, ma anche, grazie alle permute, al loro accor-pamento e quindi ad una più razionale conduzione»38.

Il rapporto con i suoi vasti territori («tanti corpi complessi, che entrano nelgran corpo della Certosa»: Sacco, cit. da ALLIEGRo, 1941, p. 57) era basato sul-l’attenta «organizzazione della proprietà in una serie di nuclei sparsi, affidati a fit-tavoli e massari senza differenze significative con la prassi di altri enti benedettinie cistercensi» (VIToLo, 2006, p. 32). Era perciò fitta la rete di grange e abbaziepresenti sui territori certosini (è il caso dell’Abbazia di S. Maria di Cadossa), sot-toposti a un’incessante opera di trasformazione dell’ambiente naturale, progres-sivamente bonificato, messo a coltura e utilizzato in tutte le sue risorse. Locomprovano alcune carte storiche settecentesche, dove, a conferma della grandeattenzione prestata dai certosini ai campi coltivati e ai giardini39, sono ben visibili,accanto ai corsi d’acqua e alla rete dei collegamenti, i simboli figurativi di nume-rose attività dei settori primario e secondario (campi coltivati, porcili, mulini, for-naci, gualchiere, neviere, ecc.), testimoniate altresì dalla toponomastica, evocantecoltivazioni ortofrutticole o la trilogia mediterranea (“Giardino”, “Isca delleVigne”, “Campo di Fusco”, “Aria delli Monaci”, ecc.)40.

Tale situazione, «se pure non mancò di suscitare la cupidigia di signori e pro-prietari confinanti, provocando i consueti tentativi di usurpazione delle terre mo-nastiche e i relativi interventi protettivi delle autorità ecclesiastiche e laiche,nell’insieme non valse a determinare quelle situazioni di tensione con le comunitàlocali che non di rado crearono altrove problemi alle certose, separate dalle primeda un muro di indifferenza […], se non addirittura di ostilità […]» (VIToLo, 2006,pp. 32-33).

Il buon operato dei monaci nell’amministrazione delle proprie terre, d’altraparte, era tanto più rilevante in considerazione del coevo degrado di altri terrenidel Vallo, non solo a causa degli agenti naturali, ma anche del disboscamento ope-rato dai baroni per accrescere le proprie entrate, nonché dei contrasti tra questiultimi e le Università e tra le Università stesse, «che si traducevano spesso nelladistruzione di opere idrauliche e nell’allagamento dei seminativi; gli stessi baronia più riprese si adoperarono a tener viva la discordia e quindi a sabotare i purinefficaci progetti di bonifica patrocinati dal governo»41. La comunità certosinapadulense, dunque, pur essendo una piccola società, autonoma, sopranazionale,autosufficiente e separata dalle collettività locali, attingeva di certo alla cultura del

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territorio su cui insisteva, esercitandovi un’innegabile influenza, dal punto di vistaorganizzativo, economico e sociale. nel XVI secolo, mentre numerosi casali evillaggi del Vallo continuano a essere abbandonati, Padula rientra infatti tra i quat-tro paesi con maggiore concentrazione di popolazione (VIToLo, 1982[a], p. 61),mentre la Certosa, grazie a un sempre più esteso patrimonio fondiario, divieneuno dei centri propulsori di tutta l’economia del Vallo, frequentato con crescenteintensità da «coloro che avevano interessi economici ed intrattenevano relazionifinanziarie e commerciali con i certosini» (RoSSI, 1982, p. 110).

Di certo, l’influenza della Certosa divenne ancor più decisiva durante e dopoil Concilio di Trento, non solo per la caduta dei Sanseverino di Marsico (1552), acui i certosini subentrano nell’amministrazione di gran parte dei loro feudi, maper il significato assurto dal monastero agli occhi delle popolazioni locali, qualeimportante punto di riferimento politico e religioso presente sul territorio. Taleruolo è ulteriormente potenziato dall’inesperienza pastorale dell’episcopato deltempo, non ottemperante all’obbligo della residenza (i vescovi definiscono infatti«vasta et horrida» la fisionomia geografica del paesaggio e dell’ambiente dellavalle) e, dunque, incapace di comprendere e interpretare le esigenze del popolo(VIToLo, 1982[b], p. 153 e RoSSI, 1982, pp. 95-96 e p. 112).

Una società rurale e silvo-pastorale come quella del Vallo di Diano si era d’al-tra parte secolarmente strutturata attorno agli ordini monastici; tra questi i cer-tosini – soggetti a una regola rigorosa per la vita claustrale dell’ordine, ma nonper la gestione delle pratiche cultuali della popolazione – si erano rivelati capacidi organizzarne l’esistenza spirituale e materiale e guadagnarsene la fiducia, ac-cogliendone, al contempo, le particolari forme religiose e cultuali, legate ad abi-tudini e costumi mentali caratteristici della società contadina42. La religiositàpopolare del Vallo, infatti, profondamente legata alle vicende della terra, ai tempidel raccolto e a culti propiziatori con forti tendenze magiche, era piuttosto rozzae non irreggimentata in una disciplina chiaramente formulata: di qui, inevitabile,nasce lo scontro tra il particolarismo religioso e sociale delle collettività locali ela burocratica autorità della Curia diocesana post-conciliare, che «si faceva sentiresolo mediante decreti e disposizioni restrittive della effervescente pratica liturgicao per la riscossione di decime sacramentarie, censi e canoni enfiteutici. All’insa-nabile sutura di questo iato è riconducibile la incomprensione del popolo e delclero ricettizio per la religiosità e la vita tridentina di vescovi e preti formatisi inseminario» (RoSSI, 1982, pp. 96-97). I fedeli, dunque, sempre più ostili nei con-fronti dell’istituzione ecclesiastica burocratizzata, continuano a scegliere comeguide spirituali i monaci (fonte di aiuti anche materiali), con i loro abati e priori.Pertanto, dopo il secolare sostegno ricevuto dalle diocesi di Salerno, Marsico eCapaccio (in cui sorgeva la Certosa), nel corso del Cinquecento si registrano mo-menti di tensione (VIToLo, 2006, p. 33): i vescovi richiedono infatti il ridimen-sionamento dei poteri degli ordini monastici, di cui la Certosa di Padula

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rappresenta l’espressione più compiuta.Esplode così, nella seconda metà del Settecento, il contrasto tra la gerarchia

ufficiale e i certosini di San Lorenzo, accentuato dalle tensioni tra questi ultimi eil fisco borbonico (DE SAInT-non, 1990, p. 106) e proseguito anche dopo il de-cennio francese e il ritorno dei Borbone sul trono di napoli: i preti ordinari eranoinfatti incapaci di comprendere «che la Certosa era il frutto più eclatante della re-ligiosità di una società agraria a prevalente economia silvo-pastorale» (RoSSI, 1982,pp. 109-110).

L’autonomia e la centralità propulsiva economico-culturale del monasterotraspare, per altro verso, dall’originalità dei suoi elementi artistici e architettonici.Pur facendo parte del Regno di napoli e nonostante i forti legami con i Sanse-verino di Marsico, i certosini di Padula non avevano maturato alcun legame didipendenza intellettuale o pratica nei loro confronti, attenti piuttosto a seguiredirettamente i mutamenti del proprio tempo, nel fermento e nell’ansia di nuoveesperienze culturali, «tanto da abbandonare un programma per avviarne unonuovo, per fare, magari meglio, quello che avevano visto fare in altre certose»43.

Anche in tale prospettiva, la Certosa ha indubbiamente ricoperto un’impor-tanza secolare nello sviluppo economico complessivo della zona di Padula e deicentri limitrofi: intere generazioni di manodopera locale sono state impegnatenei lavori di manutenzione, rifacimento e abbellimento dell’edificio monastico,per le quali si ricorreva alla cosiddetta “Pietra di Padula”, ricavata dai ricchi gia-cimenti calcarei del Vallo (MALLET, 1990, p. 108). Le sue stesse imponenti dimen-sioni trasformavano il complesso in una specie di “Fabbrica di San Pietro”, ungrande cantiere sempre aperto, dove, in relazione agli eventi e alla disponibilitàeconomica del momento, ogni opera intrapresa poteva essere interrotta, ripresae proseguita, per vario tempo. oltre alle modifiche messe in atto dai nuovi priori,«capitava anche, per lavori che duravano così a lungo, che alla fine non piacevapiù quello che si era iniziato. Allora si chiamava un nuovo artista che, con l’ag-giunta di altri elementi, cambiava l’aspetto di quanto già fatto» (DE CUnzo, 1990,p. 59). Di qui l’esistenza di una vera e propria scuola locale di valenti scalpellini– come testimoniato dai pregiati lavori di intarsio e commesso su legno, pietredure o marmo policromo, presenti nella Chiesa dei padri e ancora oggi eseguitida qualche giovane artigiano di Padula – costretti a una dolorosa, inevitabile emi-grazione (soprattutto verso il Venezuela: SBoRDonE, 1975, p. 161) negli anni suc-cessivi alla soppressione del Monastero, loro principale committente.

Pertanto, considerando la tangibile concretezza degli effetti della Certosa sulterritorio del Vallo, l’utopia (“utopia certosina”, nello specifico), quale «esercizioo gioco sui possibili laterali, che apparterrebbero al campo scientifico», poiché«si costruisce in funzione delle proprietà possibili dell’oggetto» (RUyER, 1988, p.9), non ha affatto una natura irreale, bensì “virtuale” (intendendo il termine nelsignificato di “potenziamento del reale”)44 e affonda le sue radici proprio nella

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realtà sociale e storica di riferimento. In tal senso, se gli «utopisti, come gli artisti,sono indubbiamente importanti agenti sociali» (CoLoMBo, 1994, p. 132), i certo-sini di Padula possono essere senz’altro annoverati tra questi ultimi.

4. Certosa e turismo oggi

Dalla sua fondazione sino agli inizi del secolo XIX, la Certosa di Padula, ilcui attuale aspetto architettonico risale in massima parte alla ristrutturazione set-tecentesca, è divenuta dunque uno dei più grandiosi corpi monumentali dell’ItaliaMeridionale, per estensione (52.000 mq) e patrimonio artistico. nonostante lasua maestosità, il monumento, negli anni del degrado e del totale abbandono dellesue strutture (ulteriormente danneggiate dal violento sisma del 1980), sembravacondannato a una rovina inesorabile. L’affidamento alle cure della SoprintendenzaBAAAS di Salerno ha fortunatamente posto fine a questa triste parabola discen-dente, restituendogli, per quanto possibile, l’aspetto originario. Al contempo èstata messa in campo una serie di iniziative volte a evidenziarne e sfruttarne lepotenzialità attrattive, quali spinte propulsive per lo sviluppo complessivo del tu-rismo culturale nel territorio circostante. Questi due aspetti, parafrasando quantoscritto da L. Benevolo nei suoi studi sulla città, evidenziano dunque il doppioruolo della Certosa di Padula, “àncora” calata nel passato e potenziale “motore”di sviluppo futuro del territorio.

Sotto il primo aspetto, come osservato dal Turri a proposito delle testimo-nianze monumentali in generale, la Certosa, icona del paesaggio stratificato delVallo, segno della sua identità e del suo carattere proprio, si afferma indubbia-mente quale «suo marchio primo e più autentico […] a dimostrare come dopo ilprimitivo imprinting territoriale […], la storia successiva abbia continuato a ricalcaregli originari tracciati […] nel continuo persistere delle attività umane sugli stessispazi, nelle reiterate forme di sfruttamento degli stessi campi, nel seguire le stessedirettrici viarie […], nell’occupazione più o meno fitta delle stesse aree a secondadelle risorse […]» (TURRI, 2000, p. 68).

Sotto il secondo aspetto, la Certosa, storico attore dello sviluppo del Vallo,mira a ridiventarne il rinnovato strumento di crescita economica e culturale. Intale direzione, nel corso degli ultimi anni, si è mossa la sua valorizzazione, voltaa restituirle il ruolo di “città ideale” e di polo trainante del territorio, con alcunepositive ricadute economico-sociali sulle aree limitrofe (anche grazie all’istituzionedel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano45, di cui il comune di Padula faparte), sebbene limitate rispetto alle aspettative. La rivalutazione del complessocertosino, infatti, promossa dalle istituzioni politiche provinciali salernitane, nonè ancora riuscita a creare un effettivo circuito sociale, politico e amministrativo-territoriale. Le diverse iniziative gravitanti attorno all’imponente monastero – dai

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congressi alle manifestazioni folcloristiche (tra cui il concorso ippico estivo e l’an-nuale preparazione della leggendaria frittata di mille uova); dai seminari di studioalle mostre d’arte46; dalla ripresa di antiche attività artigianali all’allestimento delmuseo archeologico della Lucania (che raccoglie una collezione di reperti prove-nienti dagli scavi delle necropoli di Sala Consilina e di Padula, dalla preistoria al-l’età ellenistica) – non hanno infatti prodotto i risultati sperati. Pertanto, laprospettiva di riqualificazione, ribadita di recente (SESSA, 2006), rimane una sfidaaperta.

Le ragioni dei mancati obiettivi sono molteplici, ma la principale, probabil-mente, risiede nel fatto che le destinazioni d’uso della Certosa non sono state si-nora ricavate dalle esigenze in atto nella società e nel territorio circostanti mapiuttosto, in assenza di un adeguato indotto e di un reale bacino di utenza delcomplesso, da progetti di promozione e rilancio fini a se stessi (per lo più a fi-nanziamento pubblico ed europeo)47, da “utopie” pianificatorie, dunque, moltolontane dallo spirito certosino, e artefici della sempre più concreta e rischiosa tra-sformazione della “Certosa-città ideale” in “Certosa-cattedrale nel deserto”.

In tale prospettiva, sulla scia delle direttive contenute nella Convenzione Europeadel paesaggio48, la scelta del monumento per la ratifica della cosiddetta “Carta diPadula” (2005)49 e come sede dell’Osservatorio europeo del paesaggio (2008)50 divieneoggi ancora più emblematica della pericolosa disgiunzione tra piano ideale e realedella politica territoriale, di cui i pesantissimi danni ambientali, paesaggistici edeconomici causati dalla cattiva gestione del problema dei rifiuti in Campania co-stituisce, sul piano regionale e nazionale, la punta dell’iceberg51.

Dal punto di vista turistico, le numerose visite alla Certosa sembrerebberocontrastare tali analisi, rappresentando piuttosto un positivo fattore di sviluppoeconomico complessivo. Un più attento esame dei dati disponibili a riguardo mo-stra, però, come il numero annuale di ingressi gratuiti al monumento superi digran lunga quello degli ingressi a pagamento (vedi Tab. 1). Le ricadute economi-che effettivamente vantaggiose per il territorio circostante, anche in considera-zione dei costi di mantenimento e gestione della immensa struttura, sono dunquein realtà molto al di sotto di quanto sembri di primo acchito52.

La prova ulteriore della scarsa incidenza della rivalutazione della Certosa diSan Lorenzo sullo sviluppo turistico-culturale del territorio negli ultimi anni èdata anche dalle modalità di crescita del terziario nel Vallo di Diano, caratterizzatoda un forte sviluppo del commercio tradizionale e da uno sviluppo debole dellestrutture ricettive (con un comparto alberghiero al 49%53 e un comparto extraalberghiero al 51% sul totale)54.

A riguardo è significativo osservare la pressoché sostanziale coincidenza trala situazione attuale e quella registrata dal Fabiano negli anni ottanta del secoloscorso a proposito della crescita della rete di connessioni territoriali interne delVallo di Diano, ritenute più importanti rispetto ai grossi percorsi di transito per

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l’economia e le prospettive del suo sviluppo territoriale, visto che il suo bacinodi gravitazione e di utenza investiva prevalentemente i rapporti commerciali (pro-dotti agricoli, auto, edilizia, attrezzature meccaniche, ecc.), il servizio d’istruzionesecondaria superiore (Sala Consilina) e il servizio ospedaliero (Polla, S. Arsenio).Al tempo, nonostante il superamento consolidato delle disfunzioni strutturali edei caratteri peculiari delle aree economicamente depresse (cause dei noti feno-meni di emigrazione e abbandono dei territori montani, con effetti devastanti,attenuatisi solo da pochi anni), erano evidenti i ritardi e le carenze di efficaci in-terventi concertati nei settori chiave della sua economia produttiva. Le conse-guenze si avvertono tuttora sul tessuto sociale e sul sistema territoriale del Vallo,spinto ancora oggi a gravitare (con relativi disagi e svantaggi) nell’orbita della fa-scia costiera e nella conurbazione napoli-Salerno55.

Di qui, alla luce dell’incapacità amministrativa provinciale nel valorizzarneadeguatamente le risorse territoriali, nasce il senso di abbandono e il desiderio,da parte di alcuni comuni della zona, di congiungersi ufficialmente alla provinciadi Potenza, dando vita alla “Grande Lucania” (frutto dell’aggregazione alla Re-gione Basilicata dei territori del Vallo di Diano e del Cilento) e sottraendosi cosìai vincoli di un’appartenenza amministrativa e culturale non completamente sen-tita. Il progetto, dunque, «esprime disagi e difficoltà di intere popolazioni che vo-gliono contare di più in termini di democrazia e di valorizzazione e distribuzionedi risorse»56.

Senza entrare nel merito della questione identitaria del Vallo, ovviamenteproblematica, si può auspicare che, nel futuro prossimo, le politiche di interventoper la valorizzazione della Certosa di Padula siano più rispondenti alle necessitàeffettive del territorio e rientrino in un quadro di iniziative coordinate, volte alrecupero complessivo delle risorse presenti nei luoghi limitrofi.

Con ciò non si esclude altresì l’auspicio di una più concreta risposta alle esi-genze di sviluppo delle comunità locali da parte del mondo delle imprese e del-l’iniziativa privata. nella cooperazione sinergica tra enti pubblici e privati e nellavirtuosa congiunzione tra tutela e riuso dei beni culturali, infatti, anche la Certosadi Padula e il suo territorio, come osservato da un territorialista riguardo al re-cupero dei monumenti in generale, potrebbero realmente costituire una preziosaoccasione di investimento imprenditoriale, con i vantaggi insiti «nel minor costodell’opera che sfrutta una situazione territoriale già consolidata» (TURRI, 2000,p. 68).

In tal modo, forse, si raccoglierebbero finalmente i frutti invisibili e più pre-ziosi dell’eredità certosina, racchiusi nella profonda cultura geografica dei monacie riflessi non solo nella grandiosità delle loro architetture monumentali, bensì,ancor più, nella loro capacità di conoscere, pianificare, costruire e amministrarecon competenza e buon senso il proprio territorio di riferimento.

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Tab. 1 – Prospetto riepilogativo dei visitatori e degli introiti annuali della Certosa di Padula neglianni 1998-2007. In grassetto l’anno con il maggior numero di visite e in grigio i dati riguardantigli ingressi gratuiti, di numero evidentemente superiore a quello degli ingressi a pagamentoFonte: Soprintendenza B.A.P.S.A.E. di Salerno e Avellino

note: 2007 (*) aggiornato al 30/03/07

Emergono i dati relativi alla tipologia di biglietto (intero, ridotto, speciale o gratuito) degli ingressiin Certosa. La situazione è indubbiamente altalenante, per cause ancora poco chiare, con una ten-denza negativa negli ultimi anni: dal 2002 al 2006 si registra infatti una media annua di circa 20.000ingressi in meno, passando dai 132.000 del 2002 (dato più elevato degli ultimi 10 anni) ai 118.000del 2006. Il risultato è tanto più sconfortante in considerazione dei numerosi investimenti com-piuti, proprio nel 2002, dalla Regione Campania e dalla Provincia di Salerno per la realizzazionedi grandi eventi riguardanti la Certosa. Le informazioni statistiche attualmente disponibili nonpermettono di comprendere la tipologia e la provenienza dei turisti in visita alla Certosa, ma, daun’indagine parziale ancora in corso (sulla base dei dati gentilmente fornitici dall’Ufficio Turisticodella Certosa di Padula), quest’ultima risulta essere varia, pur nell’ovvio primato dei visitatori pro-venienti dalla Regione Campania. nel 2006, infatti, i turisti campani in visita guidata alla Certosasono stati 6.430, seguiti da quelli pugliesi (4.008), con maggiore affluenza nei mesi di aprile emaggio (tipici del turismo scolastico). Per quanto riguarda i turisti europei, il 2006 vede in testa itedeschi (100 presenze), seguiti da francesi (34 presenze) e austriaci (14). I visitatori extraeuropei,infine, risultano essere per lo più australiani e statunitensi.

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Tab. 2 – Incremento degli agriturismi di Padula e dei centri vicini dal 1996 al 2006Fonte: interviste sul campo a cura delle autrici

Fig. 1 – Andamento della nascita di nuovi agriturismi nel Vallo di Diano negli anni compresi trail 1996 e il 2006

Su un totale complessivo di 20 nuovi agriturismi, il grafico mostra come gli anni 1996, 1997, 1999e 2006 registrino la nascita di appena 1 agriturismo. All’incremento registrato dal 1998 (3), conun picco massimo nel 2000 (5), e una progressiva decrescita nel 2001 (4) e 2002 (2), segue un pe-riodo di stasi di tre anni (2003, 2004, 2005).

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Fig. 2 – La Certosa di San Bartolomeo di Trisulti, modello originario per la trasformazione inCertosa della grancia benedettina di PadulaFonte: da Sacco, Vol. II

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Fig. 3 – La “città ideale” nella pianta della Certosa di San Lorenzo di Padula con impianto “gra-ticolare”

Atrio (1), facciata barocca (2), chiostro (3), chiesa (4), sagrestia (5), quattro cappelle intercomu-nicanti (6), capitolo dei conversi (7), tesoreria (8), sala del capitolo (9), antico cimitero (10), cappellae tomba di Tommaso II Sanseverino (11), refettorio (12), cucina (13), chiostro delle cucine (14),scala elicoidale e accesso alla biblioteca (15), chiostro grande (16), cimitero dei monaci (17), celle(18), scala ellittica (19). Si notino la simmetria tra le celle dei monaci, la ripartizione geometricatra il grande chiostro e il cimitero (la cui vista doveva costantemente ricordare al certosino la ca-ducità dell’esistenza terrena), la perfetta corrispondenza tra la facciata barocca (ingresso) e la scalaellittica (uscita), idealmente congiunte da uno dei corridoi claustrali. Evidente anche il richiamoalla graticola di San Lorenzo: «[…] il manico è raffigurato dalle due braccia che chiudono l’atrio;i quartieri dei Certosini attorno al chiostro rappresentano i ferri della graticola, e una grande scalasporgente a semicerchio e coperta da cupola rappresenta forse il coppino per l’untume». Fonte: T.C.I. 2005, pp. 631-632

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Fig. 4 – Dinamica e distribuzione geografica dei possessi materiali e dritti immateriali della Certosadi Padula tra il XIV e il XVII secoloFonti: Sacco (cit.), Alliegro (cit.), Vitolo (cit.)

Note

* La presente ricerca è stata condotta all’interno del Laboratorio LA:CAR.ToPon.ST. delDip. di Teoria e Storia dell’Università degli Studi di Salerno col coordinamento generale del prof.V. Aversano per quanto attiene a metodo, procedimenti e selezione di materia bibliografica. Lastesura del testo, tuttavia, va così attribuita per paragrafi: 1. (V. AVERSAno); 2. e 3. (S. SInISCALChI);4. (M. R. DE VITA).

1 Ci si riferisce ai nomi di S. Brunone di Colonia, iniziatore dell’ordine certosino, TommasoII di Sanseverino, storico fondatore, nel 1306, della Certosa padulense, e Lorenzo, il santo martirecui è dedicata.

2 Le corpose testimonianze riguardanti la fondazione e gli ampliamenti della Certosa di Pa-dula nel succedersi delle vicende storiche coeve sono state faticosamente recuperate e approfon-ditamente studiate dal sacerdote Antonio Sacco, che, tra gli ultimi anni dell’ottocento e i primidel novecento, vi dedicò gran parte della propria vita (STRoCChIA, 2006, p. 227).

3 L’immagine, tratta dalla Descrizione di tutta Italia di Leandro Alberti (in AVERSAno, 2003, p.139), esprime bene la forma del Vallo: una conca a polje, tra le più estese dell’Appennino meri-dionale, sorta dal progressivo interrimento di un primitivo lago pleistocenico, lunga circa 40 Km(per un’area di 585 kmq, con una larghezza oscillante tra i 2 e i 9 km), percorsa dal fiume Tanagro

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e delimitata, a nE, dalla continua catena della Maddalena (che, oltre a dividerla dalle Valli dell’Agrie del Melandro, segna pure il confine tra Campania e Basilicata) e, a So, dai massicci dell’Alburno,del Motola e del Cervati (SoRICILLo, 1979, p. 5; SBoRDonE, 1975, p. 121; FABIAno, 1981, pp. 15-17). nella descrizione dell’Alberti l’intero «Vallo di Diano è l’unica oasi nel grigiore produttivo-insediativo della B. [Basilicata: di cui all’epoca il Vallo di Diano era considerato parte], ancheperché sembra che le alture circostanti, ricche di sorgenti, non fossero così disboscate come siamoabituati a vederle oggi e immaginarcele per il passato» (AVERSAno, 2003, p. 139).

4 Per le illuminanti considerazioni sui collegamenti esistenti nel periodo Greco e Lucano frail Vallo di Diano, la costa Cilentana, la Val d’Agri e tutto l’entroterra Lucano, si vedano SoRICILLo,1979, pp. 44-46, e FABIAno, 1981, p. 17. Circa l’evoluzione medioevale e successiva della viabilitànel Vallo, si rimanda a Vultaggio, 1982.

5 Fabiano, 1981, pp. 249-251. Per quanto riguarda la storia di Tommaso II Sanseverino diMarsico, figlio di Ruggero I e di Teodora d’Aquino (sorella del celebre San Tommaso), si rimandaa SACCo: 2004, vol. I, pp. 211-236; SChIAVo, 1940, pp. 5-7. Per un profilo storico la storia deiSanseverino di Marsico e di Salerno, si vedano: nATELLA, 1980 e 2006; CoLAPIETRA, 1985.

6 Aversano, 1987[a], pp. 88-89.7 L’ordine certosino (ma il termine “certosa” sarebbe stato usato tardi dall’ordine per definire

i propri monasteri) – così chiamato dal Massiccio della Certosa (Massif de la Chartreuse), sulle Alpifrancesi a nord della città di Grenoble in val d’Isère, dove San Bruno e sei compagni cercaronola solitudine per dedicarsi alla vita contemplativa –, sin dalla fondazione, «si mantenne semprepiù aristocratico degli altri ordini monastici, per quanto fosse sottoposto ad una regola più rigidae severa. V’entravano per lo più giovani di nobile casato che […] si segregavano dal mondo, concui non dovevano avere più alcun rapporto» (PESCE, 1916, p. 6). La loro espansione, più lenta ri-spetto a quella di altri ordini coevi (SEREno, 2006), fu sostenuta dai regnanti francesi in Italia Me-ridionale: dopo la fondazione della Certosa di Padula, infatti, gli angioini favorirono anche quelledella Certosa di San Martino, a napoli (1325), e di San Giacomo, a Capri (1371). La scelta, nelcorso del secolo XIV, di fondare i monasteri a ridosso dei centri urbani, in aree non più imperviee isolate ma dotate di patrimoni rilevanti e di relazioni più intense che in passato con il secolo,mostra l’evoluzione della congregazione certosina verso un’osservanza delle norme meno rigidae più in sintonia con le contemporanee trasformazioni dell’intera societas Christiana, analogamentea buona parte delle congregazioni religiose del tempo (SEREno, 2006).

8 Per queste notizie, cfr. Sacco, 2004, vol. I, p. 101. Secondo quanto riportato dal medesimoautore, il cenobio verginiano dedicato a S. Lorenzo, non anteriore al XII secolo, sarebbe statofondato a sua volta proprio dai primi Sanseverino (SACCo, 2004, vol. I, p. 107).

9 Per i villaggi abbandonati del Vallo cfr. VIToLo, 1982[a] (in particolare la carta a p. 65) e,più in generale, per i danni devastanti causati dalla Guerra del Vespro al Mezzogiorno continentale,cfr. Aversano, 1987[a] (con particolare riguardo alle pp. 88-91, alla carta di p. 93 e alla p. 94).

10 DE CUnzo, 1990, p. 46. Il toponimo «Padula» (derivato, per metatesi, dal latino palus,palude, significante «palude», «acquitrino»: AA.VV., 2007, sub voce «Padula») richiama per l’appuntogli stagni e le paludi che, nel passaggio dall’antichità al medioevo, con l’abbandono dei lavoriidraulici e lo spopolamento di città e campagne, conformemente al resto delle grandi pianure ita-liane, afflissero il Vallo di Diano. Di qui, già alla fine del X secolo, con il ripresentarsi del graveproblema del disboscamento, la necessità di una nuova leva di pionieri per il prosciugamentodelle paludi e la costruzione dei ponti. In questo, come in altri settori, un grosso impulso provienedagli ordini monastici (innanzitutto dai Basiliani): infatti, la «fondazione di una chiesa […], for-nendo ai contadini un inquadramento religioso, li induceva a fissare la loro residenza nelle vici-nanze delle terre da essi messe a coltura». La nascita di un abitato intorno alle mura di unmonastero rurale, dunque, era frequente (VIToLo, 1982[a], p. 50).

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11 La scelta della Certosa laziale di Trisulti (fondata nel 1204), piuttosto che di quella calabresedi S. Maria della Torre (dove S. Brunone era morto nel 1101), è spiegata da quanto osserva ilVitolo sulla particolare vicenda di quest’ultima. Dopo la morte del santo, in assenza di una regolascritta (le Consuetudini certosine sono infatti stese tra il 1121 e il 1128 da Guigo, quinto prioredella Chartreuse), l’eremo calabrese era divenuto di fatto sempre più indipendente, fino ad aderireall’ordine benedettino e, successivamente, a quello cistercense (sarebbe ritornato certosino nel1514). La conseguenza di questa vicenda è che «in Italia meridionale non ci fu alcuna presenza diCertosini prima del 1306, anno della fondazione della Certosa di S. Lorenzo di Padula, e che laloro penetrazione nel corso del Trecento è da considerare un fenomeno del tutto nuovo, senzacollegamento diretto con l’antecedente della fondazione dell’eremo di S. Maria della Torre daparte di Bruno di Colonia del 1091» (VIToLo, 2006, pp. 27-34).

12 Cfr. LAURETI, 1976. Sui problemi attuali di queste aree, si veda la nota 50. 13 SBoRDonE, 1982, pp. 159-160. Per quanto riguarda la depressione economica di S. Maria

di Cadossa nel XIV e XV secolo e il crollo demografico del vicino abitato di Casalnuovo (oggiCasalbuono) dopo la peste del 1656 (per cui si rimanda ad AVERSAno, 1987[a], pp. 97 e 111), sinoti come la Certosa, a conferma degli effetti “terapeutici” della sua presenza nel Vallo, dopol’acquisizione di questi territori li avesse rivitalizzati. Per un approfondimento dei rapporti tra iCertosini e i loro feudi in età spagnola, si rimanda a Musi, 2006.

14 Per la congiura, ordita tra il 1485 e il 1486 contro il re Ferrante I d’Aragona, si riamandaa PoRzIo, 1859.

15 Gli ampliamenti più significativi comprendono un considerevole numero di oliveti, quer-ceti, case, mobili e industrie di ogni genere di cui la Certosa entra in possesso a Teggiano, Vibonatie Policastro, acquisendo inoltre diritti e possedimenti nelle Contrade di Padula (Rofreddo [Rio-freddo], Serra rotonda, Malanotte, il Monastero Benedettino di S. nicola delle Donne, di originebasiliana), a Eboli, Salerno e napoli (Quartiere del Pendino, Piazza degli orefici, ospizio di S.Lorenzo): ALLIEGRo, 1941, pp. 44-45.

16 La tradizione è avvalorata anche dallo storico Pacichelli (1703, Parte I, p. 283). Tuttavia,«Monsignor Sacco non accetta, nella sua poderosa e robusta opera, ciò che per molti secoli fucredenza comune (ed erroneamente lo è tuttora) intorno a questa visita» (ALLIEGRo, 1941, p. 55).

17 L’aneddoto è probabilmente frutto anche della meraviglia suscitata dalle ingegnose inven-zioni dei certosini: nella cucina della Certosa di Padula, per esempio, arrivava il latte direttamentedal pianalto di Mandrano, attraverso un sistema di trasporto di loro ideazione (PESCE, 1916, p.6). La circostanza conferma quanto osservato dal Mumford sugli ordini monastici in generale, iquali, proprio «perché tendevano a eliminare le fatiche non necessarie per dedicare più tempoallo studio, alla meditazione e alla preghiera, […] furono i primi a utilizzare fonti meccaniched’energia e a inventare congegni atti a far risparmiare fatiche» (MUMFoRD, 2002, II, p. 332).

18 Grazie a questa acquisizione, il priore della Certosa ottenne il titolo di Barone, aggiungendola relativa corona nel proprio stemma.

19 Alisio, 1988. Sulle condizioni del paesaggio e delle strutture socio-economiche del Vallonel decennio napoleonico, cfr. il par. 4/f (Vallo di Diano e Alburno, regno di seminativi e di incolto-

boscoso) in AVERSAno, 1987[b], pp. 65-69 e figg. f.t. Cfr. anche AVERSAno 1987[a], pp. 54-63 e figg.5 e 6.

20 Per le vicende recenti della Certosa di Padula si vedano Miccio (2006) e Sessa (2006). 21 Anche alcuni viaggiatori del “Grand Tour” paragonano la Certosa di Padula a una vera e

propria città: è il caso del Lenormant («Le sue strutture sono così grandi che guardandole dall’altodella Civita hanno quasi l’aspetto di una piccola città»: riportato in Cassa di Risp. Salernit., 1990,p. 111) e dell’Abate di Saint-non (questo «convento potrebbe essere considerato una piccolacittà, dove sono rappresentati tutti i mestieri. Si contano ottanta religiosi e circa trecento persone

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tra padroni e servi, che ci vivono tutto l’anno; un chiostro immenso, dei bei giardini, degli alloggiconfortevoli e tutto quello di cui c’è bisogno per rendere felice un uomo saggio che decida di sa-crificare la propria libertà»: riportato in Cassa di Risp. Salernit., 1990, p. 106).

22 Si tratta in sostanza delle due anime della Chiesa cattolica, emblematicamente rappresentatedalle figure evangeliche delle due sorelle di Betania, la contemplativa Maria e l’operosa Marta(LoREnzI, 1988, p. 29). I monaci, ribaltando il concetto negativo del lavoro elaborato dalla filosofiagreca (soprattutto da Platone), che poneva una cesura tra le attività manuali e quelle dello spirito,esaltano il lavoro pratico e lo coniugano con la cultura, riunendo così azione e contemplazione.Pure, secondo alcuni studiosi, la regola certosina sarebbe per certi aspetti più vicina a modelli ar-caici di monachesimo cenobitico, come quello di San Pacomio, che alla Regola di san Benedetto(SEREno, 2006).

23 Per evitare ogni eventuale, pericolosa “deriva” intellettuale, nel secolo XV «venne proibitoai certosini lo studio troppo approfondito del diritto, dell’astronomia, dell’alchimia; nel 1542[poco prima del Concilio di Trento] furono interdetti ai monaci la lettura delle opere di Erasmoe lo studio del greco e del latino» (de Martini, 1990, p. 92). Perciò tra le scansie della biblioteca diPadula, una era dedicata ai “Libri prohibiti”: era il priore a decidere chi poteva leggere cosa (Wea-ver, 1990, p. 20), escludendo ogni forma di scienza «peregrina ab ordine aliena, inexemplaris etcuriosa» (Vianini, online). Per quanto riguarda i libri esistenti nella Certosa di Padula alla fine delXVI sec., si rimanda a RICCIARDI, 2006.

24 «Gli aggettivi “alto” e “basso” non vanno presi alla lettera, poiché si riferiscono al gradodi spiritualità e non a caratteristiche architettoniche o geologiche», WEAVER, 1990, p. 16. Confor-memente a tale divisione, nella Certosa di Padula, al di là dell’ampia corte di ingresso antistantela facciata principale, si incontrano prima gli ambienti di rappresentanza e di uso comune, poiquelli di stretta clausura. Per una visualizzazione della pianta dell’edificio, si rimanda alla fig. 3.

25 Irrigare l’orto e i giardini adiacenti alle celle dei padri era molto semplice: la Certosa, infatti,era dotata di un acquedotto appositamente costruito ed era «attraversata da un corso d’acqua che,dopo aver alimentato canali di irrigazione, fontane, mulini e fabbriche, usciva all’esterno per lamonumentale bocca di un mascherone sul muro di cinta». L’acqua non serviva solo per i bisogniquotidiani, ma aveva un importante valore simbolico, quale fons vitae e manifestazione pura e lim-pida «della gioia donata in eterno al certosino» (DE CUnzo, 1990, pp. 44-45).

26 Leoncini, 1988, p. 57. Così lo stesso studioso sottolinea che la «città ideale vive in una “si-tuazione sotto vetro e nella lontananza nello spazio e nel tempo – condizione fondamentale delsogno utopistico” –; la certosa continua la sua esistenza immutata da nove secoli [ossia a partiredalla fondazione dell’ordine]. Anche l’abbazia cistercense del XII o XIII secolo attuava un modelloideale, ma nel corso della storia i cistercensi hanno dovuto, o hanno saputo, adattarsi a molte ediverse situazioni contingenti che hanno fatto venir meno la necessità inderogabile per quelle co-munità di disporre del monastero-tipo. Ciò non si è verificato per i certosini» (1988, p. 57).

27 Per una descrizione puntuale del significato simbolico e ideale di alcuni elementi dellaCertosa di Padula, si rimanda a FAGIoLo, 1988.

28 è il caso sia delle città ideali di Platone e Aristotele (e, ancor prima, della comunità filo-sofica di Crotone fondata da Pitagora di Samo), concepite nel periodo di decadimento e dissolu-zione della polis greca (V-IV sec. a.C.), sia della città celeste dei cristiani (concepita da S. Agostinoe S. Benedetto), nuova capitale ideale dell’Europa dopo il tramonto dell’impero romano d’occi-dente, sia, infine, dei monasteri dei certosini, fondati in piena lotta per le investiture tra Imperoe Papato.

29 Il riferimento è al periodo della “cattività avignonese” (1305-1377) e al successivo Scismad’occidente (1378-1417), durante il quale la Certosa padulense si sarebbe ritrovata suo mal-grado coinvolta nel conflitto tra Carlo III di Durazzo e Giovanna I d’Angiò, regina di napoli.

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Mentre l’antipapa è sostenuto dagli Angioini (di Francia e di napoli) e dalla casa madre deicertosini di Grenoble, in Italia l’ordine si schiera al fianco del legittimo pontefice (per questa ele precedenti notizie storiche, cfr. Sacco, 2004, vol. I, pp. 282-295). La spaccatura determinasmarrimento: in alcune Certose, come risulta dalle carthae dei capitoli generali dell’epoca, si ren-dono necessari provvedimenti per rafforzare la disciplina, con relativi trasferimenti o sostitu-zioni dei rispettivi priori (cfr. a riguardo hoGG, 2003 e LE BLéVEC, 2003). La crisi è comunquesuperata, al punto che il Petrarca considera la Cartusia come «la contro-immagine di Avignonee se Avignone equivale all’apocalittica Babilonia, la certosa corrisponde alla celeste Gerusa-lemme» (LEonCInI, 1988, p. 53).

30 A tale regola si sarebbero rifatti tutti i grandi movimenti monastici del X-XII secolo (Si-sinni, 1988, p. 18), così che nel monastero si seguono le leggi «della misura, dell’ordine, della re-golarità, dell’onestà e della disciplina interiore, che sarebbero poi state ereditate dalla cittàmedioevale e dal successivo capitalismo sotto forma di invenzioni e di pratiche commerciali: l’oro-logio, il libro dei conti e la giornata regolata secondo un orario» (MUMFoRD, 2002, II, p. 319).

31 Al riguardo basti pensare all’Utopia di Tommaso Moro (1516) – di poco precedente l’af-fissione delle 95 Tesi di Lutero (1517) – alla Città del Sole di Tommaso Campanella (1623) – redattadurante la sua detenzione nelle carceri napoletane (a seguito di una fallita insurrezione antispagnolada lui stesso promossa) – e alla Nuova Atlantide di Francesco Bacone (1627), risalente a uno deiperiodi critici della storia inglese, tra contrasti politici e religiosi. Per converso, molti storici sisono spinti a ricercare nelle opere di Platone, Moro, Campanella, Bacone, Fénelon, ecc., i modellidai quali i missionari gesuiti del Paraguay avrebbero tratto ispirazione per organizzare la vitasociale delle Reducciones, da loro fondate nel XVII-XVIII secolo (SPAGnUoLo, 2001-2006, p. 9),che rappresentarono, nonostante l’impostazione paternalista, un esempio unico di rispetto delletradizioni autoctone (nello specifico dei Guaraní) ed edificazione di una società comunitaria du-rante l’epoca coloniale (CASTAGnARo, 2001).

32 Per quanto riguarda la filosofia del bene perfetto ricercato da San Brunone, si rimanda aSChETTIno, 2006, p. 15.

33 Si noti a riguardo la perfetta corrispondenza tra la predilezione platonica per i canti dorici,suscitanti fermezza e sopportazione (al contrario di certa musica e poesia atte a rammollirel’animo) e quella certosina per i canti a cappella (ossia privi di qualunque accompagnamento stru-mentale), austeri e sobri, secondo le indicazioni della riforma operata da Guigo (Vianini, in rete).

34 Tale separazione, di ascendenza platonica, è altresì presente nella società medioevale nelsuo complesso: Adalberone di Laon (950?- 1030) distingue infatti gli oratores, gli uomini di pre-ghiera, monaci e chierici; i bellatores, i combattenti, cioè i signori e i loro uomini d’armi e infine ilaboratores, cioè i coltivatori e gli artigiani (DAVRIL e PALAzzo, 2002).

35 Citato da Aristotele (secondo libro della Politica) come teorico dell’egualitarismo sociale einventore della “divisione regolare della città”, Ippodamo da Mileto traccia, secondo un disegnogeometrico, una regola razionale, applicata dalla scala dell’edificio alla scala della città, le cui strade,tracciate ad angolo retto, la dividono in isolati rettangolari e uniformi (variabili in casi concreti diadattabilità al terreno). Tale schema sarebbe stato riproposto, in parte, dai romani: sulle differenzetra la città ellenistica e la città romana, cfr. MUMFoRD, 2002, I, pp. 270-271.

36 non a caso, quindi, la città ippodamea ha un numero limitato di abitanti, divisi in classi(guerrieri, artigiani e agricoltori, aventi il compito di sostentare le altre due classi) e un territoriotripartito (parte sacra, per il culto degli dei, pubblica, per i guerrieri, e privata, per gli agricoltori).

37 LEonCInI, 1988, p. 49. nella Certosa di Padula sono in sintesi ravvisabili tutti i caratteriprincipali delle città ideali della filosofia, riassumibili in nove punti essenziali: «1) l’isolamento; 2)la pretesa di completezza (carattere di mondo in piccolo) e perciò la tendenza all’autarchia; 3) lecaratteristiche naturali del territorio, non particolarmente favorevoli; 4) il superamento del dettato

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ambientale grazie ad un intervento umano massiccio e guidato; 5) la tendenza al simbolismo ra-zionalistico: regolarità, uniformità, geometria delle forme; 6) la completa e razionale utilizzazionedel suolo; 7) l’aspetto statico (carattere antistorico); 8) il capovolgimento della realtà (tendenza arifare il mondo); 9) l’urbanesimo, cioè il posto di primo piano dato alla città» (DEMATTEIS, 1963,p. 411).

38 VIToLo, 2006, pp. 31-32. Lo stesso studioso osserva come il rapporto concreto tra certo-sini padulensi e territorio spieghi la lunga durata del loro potere feudale. Infatti, nel periodo delloro arrivo e della loro diffusione «era in espansione al Sud, per sua capacità intrinseca di irradia-zione, il movimento dei Celestini, che era impostato, proprio come quello dei Certosini, sulla coe-sistenza di solitudine e di vita comunitaria, ma che da esso si differenziava per la forte improntapauperistica, per cui non solo non era consentito ai monaci-eremiti possedere alcunché, ma lestesse risorse del monastero-eremo erano destinate in larghissima parte ad attività assistenziali.Questo fece sì che, mentre i Celestini poterono contare subito sul favore popolare, i Certosiniebbero a volte all’inizio non poche difficoltà, che portarono in due casi su sei […] al fallimentopiù o meno rapido del progetto» (2006, p. 29).

39 Per quanto riguarda il rapporto tra paesaggi e giardini nella Certosa di Padula, si rimandaa Capone, 2006.

40 Ci si riferisce alla cartografia del XVII-XIX sec. dei possedimenti della Certosa di Padula,allegata ai documenti conservati nel “Fondo Monasteri Soppressi” dell’Archivio nazionale dinapoli. L’indagine cartografica è stata svolta nell’ambito del programma di ricerca nazionaleCARPA (“Cartografia come fonte per la ricostruzione storico-culturale del Paesaggio”), direttae coordinata, a livello nazionale, dai proff. C. Cerreti (Univ. di Roma “La Sapienza”) e L. Feder-zoni (Univ. degli Studi di Bologna) e, a livello locale, dal prof. V. Aversano (Univ. degli Studi diSalerno).

41 Il virgolettato è tratto dal Vitolo, (1982[a], pp. 56-57), il quale aggiunge come appaia diconseguenza comprensibile il rilievo assunto nel corso del sec. XV dall’allevamento di ovini,bovini e suini nell’economia della valle, «dimostrato indirettamente dallo spazio occupato negliStatuti di Diano dalle norme che riguardano la transumanza, per impedire danni ai luoghi coltivati»(VIToLo, 1982[a], p. 57).

42 In effetti «il fatto che il fondatore dei certosini san Bruno non abbia lasciato una rigida re-gola scritta ha favorito le tendenze particolaristiche dei religiosi di Padula. Il tentativo di equilibrarele esigenze della vita cenobitica con quelle della vita eremitica operato dai certosini diventa unaattesa risposta alle istanze di religiosità anacoretica propria dei tanti monaci basiliani della zona.Ebbe perciò facile presa su religiosi e popolazione che trovano nella Certosa la garanzia di unasopravvivenza delle proprie forme cultuali contro le ingerenze episcopali» (RoSSI, 1982, p. 109).

43 De Cunzo, 1988, p. 21. Per quanto riguarda le relazioni e le influenze artistiche della Cer-tosa di Padula, si rimanda a BRACA, 2006 e a GALLo, 2006.

44 Il concetto di “virtuale”, solitamente impiegato nell’accezione (tratta dall’informatica) direaltà formale o di simulazione del reale, dal punto di vista filosofico denota invece ciò che è po-tenziale, ossia ciò che esiste in potenza ma non si è ancora realizzato (Aristotele, Metafisica, 1049a5-27). In tal senso gli utopisti, intravedendo le potenzialità insite in un determinato contesto delreale, ne prefigurano lo sviluppo ottimale: di qui la loro minuziosa pianificazione di tutte le con-dizioni e azioni idonee a potenziarne la coerente e organica evoluzione. Da questo punto di vistaogni utopista può essere quindi considerato un pianificatore sociale e territoriale ante litteram.

45 Il Parco in parola (PnCVD) è stato istituito nel 1991, con la legge quadro del 6 dicembren. 394.

46 nelle ventiquattro celle della Certosa è raccolta una collezione di arte contemporanea per-manente, comprendente circa cento opere tra dipinti, sculture, installazioni, fotografie e video,

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realizzate dal 2002 al 2004, nell’ambito della manifestazione Le Opere e i Giorni, a cura di A. Bonitooliva. L’iniziativa (che non ha prodotto risultati durevoli sul territorio) ha provocato anche lareazione negativa di alcuni commentatori, che hanno ritenuto poco significative e inutilmentedissacranti alcune delle opere esposte, in contrasto con il profondo spirito religioso dei certosinie l’austerità del luogo. A riguardo si ricorda l’esplicita polemica sollevata dall’ex direttrice dellaCertosa di Padula, V. de Martini, e sostenuta anche da V. Sgarbi (cfr. Corriere del Mezzogiorno, 24giugno 2007).

47 Emerge tra questi ultimi il Progetto Integrato “Certosa di Padula”, approvato dalla GiuntaRegionale della Campania nel 2002 con Fondo Sociale Europeo e Fondo Europeo Sviluppo Re-gionale (Delibera n. 6201 del 18/12/02:http://www.sito.regione.campania.it/burc/pdf03/burc04or_03/del6201_02.pdf), e l’assegna-zione di ulteriori risorse nel 2006 (Delibera n. 1322 del 15/10/05:http://www.sito.regione.campania.it/burc/pdf05/burc59or_05/del1322_05.pdf), volto a «inte-grare la valorizzazione, la promozione e l’uso innovativo della Certosa di Padula in un processoche trasformi l’intero territorio del Vallo di Diano in un sistema culturale turistico. Gli interventiproposti vanno dal restauro dei beni culturali alla dotazione di infrastrutture e servizi, dalla for-mazione delle risorse umane al potenziamento del sistema ricettivo» (Cfr. Portale della RegioneCampania, www.regione.campania.it, sezione “PoR → Progetti integrati → I 51 Progetti integrati→ Progetti”. Consultazione del 15 giugno 2007). Gli esiti tangibili di tali interventi sono ancorada registrare…

4 Si tratta, come noto, di un documento adottato dal Comitato dei Ministri della Cultura edell’Ambiente del Consiglio d’Europa il 19 luglio 2000. Firmata da ventisette Stati della UE e ra-tificata da dieci, la Convenzione si applica all’intero territorio degli Stati firmatari (art. 2) e ha l’obiet-tivo di promuovere presso le autorità pubbliche l’adozione di politiche di salvaguardia, gestionee pianificazione dei paesaggi (intesi come risorsa per lo sviluppo generale) e di organizzare lacooperazione europea nelle politiche di settore.

49 Ci si riferisce al documento di intesa della Regione Campania (Delibera n. 1475, 2005:http://www.sito.regione.campania.it/burc/pdf05/burc62or_05/del1475_05.pdf) ratificato nellaCertosa di Padula, con la sottoscrizione di tutti gli enti territoriali interessati della regione, perl’attuazione dei principi della Convenzione Europea del Paesaggio e la predisposizione di un documentodenominato “Linee Guida per la individuazione, tutela e valorizzazione dei paesaggi della Cam-pania”.

50 L’osservatorio (con sede di rappresentanza presso la Certosa di Padula e operativa pressola Grancia di Sala Consilina) controlla le azioni di monitoraggio e valorizzazione della Provinciadi Salerno nei confronti del patrimonio ambientale sotto l’egida UnESCo(http://www.cilento.it/news/view.asp?ID=6753).

51 Su questo versante sono recentemente stati scoperti dalle forze dell’ordine molti casi dismaltimento non autorizzato di rifiuti speciali nel Vallo di Diano. A tali scoperte si aggiungonole reazioni del mondo accademico e scientifico contro l’ipotesi di aprire discariche in aree con unassetto geologico assolutamente inadeguato allo scopo, come in quelle dei già citati Mandrano eMandranello (ex proprietà della Certosa), due bacini di origine tettonico-carsica (ubicati alla som-mità dei monti costituiti da rocce calcaree separanti il Vallo di Diano dalla Val d’Agri) e impor-tantissimi serbatoi naturali di acqua potabile (alimentanti la Campania, la Basilicata e la Puglia),caratterizzati da numerosi fenomeni carsici (inghiottitoi). Cfr. a riguardo, oRToLAnI, 2007.

52 Una conferma a tale proposito arriva dai numeri della popolazione residente a Padula,passata dai 9.307 abitanti del 1871 (quando era il centro più dinamico e popoloso del Vallo), alpauroso spopolamento di inizio novecento (5.114 abitanti nel 1901, dopo la prima emigrazionenelle Americhe), alle oscillazioni degli anni successivi (7.810 residenti nel 1961; 5.941 nel 1971;

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5.952 nel 1976: per questi e i precedenti dati si veda FABIAno, 1981, p. 251), sino agli attuali 5.368residenti (Comune di Padula, dato aggiornato al 2002), a testimonianza dell’ulteriore peggiora-mento della situazione e della sostanziale inefficacia dei progetti di valorizzazione della zonasinora attuati.

53 Il settore extra alberghiero comprende tre tipologie di operatori: gli agriturismi (ricavatidalla ristrutturazione di case rurali del XIX e inizio XX secolo), i Bed and breakfast e gli affittaca-mere. La capienza ricettiva dei due comparti è la seguente: 630 camere (di cui 527 alberghiere),per un totale di circa 1336 posti letto (di cui 1094 alberghieri). La maggioranza degli alberghi èconcentrata per motivi strategico-logistici lungo l’arteria autostradale A3: ad Atena Lucana (chedetiene il primato assoluto del numero di alberghi e di alberghi di qualità), a Padula, Polla, SalaConsilina. I numeri dell’extra-alberghiero (formula ricettiva non ancora ben diffusa nel Vallo,contrariamente alla vicina Basilicata; solo 7 i paesi che l’hanno adottata: Montesano sulla Marcel-lana, Padula, Polla, Sala Consilina, S. Arsenio, S. Rufo e Sanza) sono i seguenti: 103 camere, 242posti letto, 781 coperti.

54 Il dato è altresì confermato da un’indagine sul campo, a cura delle autrici, dalla quale risultala scarsità di agriturismi sorti sul territorio del Vallo negli ultimi dieci anni (vedi Tab. 2). Questorisultato è tanto più indicativo, in considerazione delle molte leggi di finanziamento attualmenteesistenti in Italia per la realizzazione e l’avviamento di simili attività.

55 Per queste e le precedenti considerazioni, si veda FABIAno, 1981, pp. 17-18. Per un ap-profondimento della problematica sugli squilibri territoriali della Campania in generale, si rimandaa MAUTonE-SBoRDonE, 1983, e a TALIA, 2007.

56 Associazione Promotore Grande Lucania, 2007 (http://www.grandelucania.it), a cui si ri-manda per un approfondimento di presupposti e obiettivi del progetto sull’istituzione dellaGrande Lucania, dettagliatamente illustrati nello “Statuto dell’Associazione Promotore GrandeLucania” (http://www.grandelucania.it/statuto.php). Fa piacere annotare che, già più di un de-cennio addietro, un geografo “coi piedi per terra” affrontava queste problematiche e disegnavasu carta (PREzIoSI, 1997, fig. 16) il profilo della «istituenda sesta Provincia della Campania», daimperniare sul Vallo di Diano e comprendente altresì il Cilento nonché la porzione tirrenica dellaprovincia di Potenza, annotando che, di «buona consistenza demografica (circa 350.000 abitanti),essa potrebbe risolvere il problema del capoluogo solo adottando la soluzione già sperimentatain quella di Verbano, con una suddivisione delle funzioni tra Vallo della Lucania, Sala Consilinae Lagonegro, a condizione ovviamente che siano migliorate le comunicazioni tra Vallo e gli altridue centri» (ivi, pp. 98-99).

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2009 nel

Centro stampa Franco Pancallo Editore - Locri (RC)

Carta Fedrigoni Arcoprint edizioni da 85 gr. / mq

Copertina carta Fabriano Acquerello da 160 gr. / mq

Printed in Italy

Collaborazione di Germana Curulli e Alessandro Origlia

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