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Città dal mare. L’arte di navigare e l’arte di costruire le città

Jan 28, 2023

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Bruno Fanini
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Consiglio Nazionale delle RicercheIstituto di Ricerche sulle Attività Terziarie

Collana “Città e Architettura”diretta da Massimo Clemente

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Referees per la pubblicazioneAlfonso Morvillo, Economista, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Direttore dell’Istituto di Ricerche sulleAttività TerziarieRoberto Bobbio, Urbanista, Università degli Studi di Genova, Professore associato di UrbanisticaFrancesco Bruno, Architetto, Università degli Studi “Federico II” di Napoli, Professore associato diProgettazione architettonicaClaudio Pensa, Ingegnere Navale, Università degli Studi “Federico II” di Napoli, Professore associato diArchitettura navaleMaria Rita Pinto, Architetto, Università degli Studi “Federico II” di Napoli, Professore straordinario diTecnologia dell’architettura e Coordinatore dell’indirizzo di Dottorato di ricerca in Recupero Edilizio edAmbientale, Manutenzione e Gestione

Progetto di ricercaProgetto di ricerca svolto nell’ambito della Commessa “Strategie urbanistiche per la città contempora-nea: multiculturalismo, identità, recupero e valorizzazione”, Responsabile scientifico Massimo Clemente,Istituto di Ricerche sulle Attività Terziarie, Consiglio Nazionale delle Ricerche c/o Dipartimentodi Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali, Università degli Studi “Federico II” di Napoli

Coordinamento scientificoMassimo Clemente

Gruppo di ricercaGabriella Esposito De Vita, Eleonora Giovene di Girasole, Alona Martinez-Perez, Salvatore Oppido,Stefania Oppido, Ariadna Perich Capdeferro, Alessandra Ricciardi, Marichela Sepe, Claudia Trillo, SerenaViola

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Massimo Clemente

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Editoriale Scientifica

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Proprietà letteraria riservata

© Copyright 2011 Editoriale Scientifica s.r.l.Via San Biagio dei Librai, 3980138 NapoliISBN 978-88-6342-291-7

Progetto promosso e sostenuto dalla Fondazione Aldo Della Rocca all’interno della reta di ricercae alta formazione sulla «città interetnica cablata».

Ricerca sviluppata nell’ambito della Convenzione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e ilDipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali dell’Università degli StudiFederico II di Napoli.

Pubblicazione finanziata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’ambito della Promozione della ricerca 2004, Prima stampa 2007 - Pubblicazione opere e periodici - prot. 1262 Resp. Scient.Massimo Clemente.

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Indice

Presentazione di Alfonso Morvillo 7

Note introduttiveL’architettura e il mare di Francesco Bruno 9Cultura marittima e identità urbana di Claudio Pensa 13Ridisegnare le città di mare di Roberto Bobbio 15Uno sguardo dal mare per il recupero delle città costiere di Maria Rita Pinto 17

PARTE PRIMA

CULTURA MARITTIMA E CULTURE URBANE

Capitolo 1

Percorsi di conoscenza per le città di mare

1.1 Capire il mare per ripensare le città d’acqua 211.2 Oltre il recupero del waterfront 301.3 Genesi e trasformazione delle città di mare 341.4 Navigando tra l’analisi e il progetto 461.5 Riferimenti 51

Capitolo 2

Saper vedere le città dal mare

2.1 Prologo alle immagini 552.2 Terra vs acqua 572.3 Uomini e barche 612.4 Architetture sul mare 652.5 Luoghi urbani sull’acqua 69

Capitolo 3

Archetipi e “barchetipi” sul mare

3.1 La barca come elemento di mediazione tra terra e acqua 733.2 Storia sul mare e memoria collettiva 783.3 Innovazione, tecnologia e progresso dal mare 913.4 Riferimenti 97

Capitolo 4

Città e architetture per il mare

4.1 Cultura urbana e cultura marittima 994.2 Suggestioni dalle antiche architetture sul mare 1064.3 Mare, città e architetture nella contemporaneità 1184.4 Riferimenti 134

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PARTE SECONDA

CASI STUDIO

Capitolo 5

Città mediterranee: Barcellona, Valencia, Marsiglia

5.1 Barcellona:“in e tra” terra e acqua per un’analisi del waterfront (A. Perich Capdeferro e A. Martínez-Perez) 139

5.2 Valencia: il recupero della cultura marittima per la riqualificazione urbana (S. Oppido) 1555.3 Marsiglia: città euromediterranea tra storia, multiculturalismo e innovazione

(G. Esposito De Vita) 169

Capitolo 6

Città oceaniche: Liverpool, Belfast, Lorient

6.1 Liverpool: il recupero dell’identità culturale marittima (A. Ricciardi) 1796.2 Belfast: il waterfront per riconnettere una città divisa (G. Esposito De Vita e C. Trillo) 1906.3 Lorient: riconversione della baia e riqualificazione delle periferie (E. Giovene di Girasole) 203

Capitolo 7

Città oltreoceano: New York, Québec, Montréal

7.1 New York City: da terminal transoceanico a città metropolitana d’acqua (M. Clemente e G. Esposito De Vita) 215

7.2 Québec: valorizzazione del paesaggio culturale del fiume San Lorenzo (S. Viola) 2317.3 Montréal: riqualificazione del vecchio porto per la promozione del centro storico (S. Viola) 240

Capitolo 8

Città fluviali: Anversa, Amburgo, Bilbao

8.1 Anversa: città media europea con un porto mondiale (G. Esposito De Vita) 2498.2 Amburgo: progetto urbano e rigenerazione creativa ad Hafencity (M. Sepe) 2608.3 Bilbao: il fiume come catalizzatore per la rivitalizzazione del waterfront

(A. Martínez-Perez e A. Perich Capdeferro) 275

PARTE TERZA

CONCLUSIONI

Capitolo 9

Nuove rotte per le città di mare

9.1 Buone pratiche e strategie innovative per le città di mare (G. Esposito De Vita) 2979.2 Il recupero del costruito e dei luoghi urbani sul mare (S. Oppido) 3009.3 Bordeggiando sul mare verso nuove città (M. Clemente) 303

Note sugli autori e sui referees 311

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Presentazionedi Alfonso Morvillo

La collana “Città e Architettura” rappresenta un’occasione per approfondire, con approcci eprospettive nuove, tematiche che rientrano nei tradizionali interessi scientifici dell’Istituto diRicerche sulle Attività Terziarie; al tempo stesso, essa si pone come momento di diffusione deirisultati e sollecitazione del dibattito che coinvolge non solo la comunità scientifica ma anche e,soprattutto, i policy maker.

Il volume “Città dal mare. L’arte di navigare e l’arte di costruire le città”, il secondo della se-rie, nasce nell’ambito delle attività di ricerca della Commessa “Strategie urbanistiche per la cittàcontemporanea: multiculturalismo, identità, recupero e valorizzazione”. Esso fornisce un interes-sante contributo all’avanzamento delle conoscenze del settore della portualità, della logistica edel trasporto marittimo, integrando l’approccio di tipo economico-aziendale con una visione mul-tisciplinare, coerente con la ridefinizione del focus delle ricerche dell’Istituto che, dalla singola im-presa, si è indirizzato verso i supply network ed i sistemi territoriali nei quali si genera valore.Questi due contesti, infatti, tendono a configurarsi come sistemi dinamici di attori e reti relazionaliestese, caratterizzati da una stretta interdipendenza che rende difficile analizzare la capacità com-petitiva dell’uno, senza considerare le dinamiche di sviluppo dell’altro. In questa prospettiva, sonoentrati a pieno titolo nella missione dell’Istituto approcci di analisi legati alla valutazione degliaspetti territoriali e delle strategie urbanistiche per la città contemporanea, con particolare atten-zione al tema della sostenibilità. Di conseguenza, competenze afferenti ai settori disciplinari del-l’urbanistica e della pianificazione territoriale, della valutazione di sostenibilità, della progetta-zione architettonica e urbana e della sociologia urbana hanno fornito ciascuno il proprio apporto,aprendo nuove prospettive di ricerca.

In tale contesto, il volume di Massimo Clemente, attraverso un punto di vista originale e in-novativo, richiama l’attenzione del lettore sul ruolo assunto dalla navigazione e dalle città-portonella storia di popoli, nazioni e culture. Secondo questa visione, le città di mare sono considerate“quale espressione urbana di quelle comunità che fondano la propria identità sul rapporto con il maree la navigazione, nell’incontro felice tra cultura urbana e cultura marittima”, evidenziando l’im-portanza storico-sociale delle rotte in termini di scambi commerciali e culturali tra popolazioni eterritori.

Lo scenario attuale dei trasporti via mare mostra una situazione in evoluzione, in relazionealle particolari connotazioni assunte dai processi di sviluppo economico sempre più condizionatidalla globalizzazione in atto. Il settore portuale è, oggi, caratterizzato da profonde trasformazionistrettamente connesse ai cambiamenti del trasporto marittimo, all’innovazione tecnologica, alleesigenze della logistica e dell’intermodalità. L’accelerazione del progresso scientifico e tecnolo-gico, che ha caratterizzato il secolo appena concluso, e la crescita dimensionale delle navi hannoimposto alla portualità un modello di sviluppo caratterizzato da maggiori dimensioni e specializ-zazione. In particolare, nella seconda metà del Novecento il settore dei trasporti marittimi si è tra-sformato soprattutto in seguito all’avvento delle navi portacontainers, con ricadute significativesul territorio non solo in termini economici, ma anche fisici. Tali cambiamenti hanno determinatola necessità di un funzionale adeguamento delle infrastrutture portuali esistenti. Si è, quindi, assi-stito, da un lato, allo sviluppo senza precedenti di alcuni terminal marittimi al fine di assecondarele specifiche esigenze dei grandi global carrier che ha portato ad una progressiva polarizzazionedei traffici e, dall’altro, al contestuale declino, che in talune realtà si è trasformato in vero e propriodegrado, di alcuni importanti porti storici, spesso impossibilitati per la loro conformazione morfo-logica ad adeguarsi alle nuove esigenze infrastrutturali. In questo processo, alcuni territori inte-ressati da un recente sviluppo economico come la Cina, hanno assunto il ruolo di “poli” protago-nisti nel settore dei trasporti marittimi.

L’approccio multidisciplinare proposto dalla ricerca coordinata da Massimo Clemente for-nisce un interessante contributo alla lettura delle trasformazioni urbane delle città-porto e al

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tema della riqualificazione della linea di costa e delle strutture portuali. Emerge inequivocabil-mente il ruolo assunto dall’area portuale nel corso della storia delle città di mare e la sua capacitàdi modificarsi, sul piano delle funzioni, degli spazi e delle forme, nelle diverse epoche. Il volumemostra come la genesi delle città costiere e fluviali sia stata condizionata dall’evoluzione delle at-tività marittime e portuali, a loro volta strettamente dipendenti dalle tecniche navali e di naviga-zione, in relazione al progresso tecnologico. Attraverso un susseguirsi di suggestioni e approfon-dimenti del rapporto tra l’arte della navigazione e l’arte di costruire, il mare ci appare nella sua di-mensione di campo di sperimentazione delle innovazioni tecnologiche, delle scoperte e delleinvenzioni dell’uomo nel corso dei secoli.

La riflessione teorica e culturale si arricchisce attraverso i contributi relativi a casi studioemblematici, proponendo al lettore progetti internazionali significativi nell’ambito delle temati-che di interesse individuate, con particolare attenzione alle esperienze di riqualificazione dellearee portuali e produttive limitrofe alla linea di costa. In molti casi, si tratta di interventi di rigene-razione urbana fondati sulla volontà di recuperare e valorizzare la tradizionale vocazione marit-tima del territorio, privilegiando il rapporto tra la città e il fronte a mare.

Nello scenario delineato dal volume, la linea di costa e le città-porto riaffermano la propriavocazione di mediazione e di apertura verso le altre aree urbane e verso altri territori “oltremare”,con l’obiettivo di restituire all’area portuale la sua identità storica di luogo di relazioni non soloeconomiche ma spaziali, sociali e culturali.

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Note introduttive

L’ARCHITETTURA E IL MAREdi Francesco Bruno

I primi castelli li ho costruiti sulla spiaggia di Ischia, di fronte a quello vero, aragonese.Architetture con pietre nere dell’Arso e sabbia bianca, umida e ben pestata, che noi bam-

bini avevamo imparato a proteggere con canali e dighe: si aspettava poi l’onda del vaporetto perverificarne la resistenza. L’emozione aumentava quando, in lontananza, dietro l’isola di Vivara,vedevamo la prua di un grande transatlantico: il passaggio del Vulcania, del Saturnia e, piùraramente, del Conte Biancamano in rotta per Genova e poi per le Americhe, rappresentava co-munque un sogno ed un avvenimento da non perdere. E si aspettava la grande onda: resistevasolo qualche bastione, emergente dall’acqua che il mare in ritirata aveva lasciato.

Architettura e acqua, come le grandi navi all’orizzonte.Il diavolo è nel dettaglio ripeteva mio padre che dall’ombrellone ci osservava. Allora,

pazienti, miglioravamo i caratteri e gli artifici nella costruzione della torre e delle barriere aprotezione.

L’esempio e la suggestione ci venivano offerti dal castello di fronte, che guardavamo comequello delle favole: tanti anni dopo avremmo imparato a leggerlo come risultato di una fusionestraordinaria di artificio e natura. Primo insegnamento e, forse, prima inconscia contaminazionenell’arte di progettare, quella che molto più tardi avrei cercato di apprendere nella scuola diarchitettura.

Avevo scoperto, e mi sarebbe rimasto dentro il segno, una straordinaria architettura, so-vrapposizione di scogli giganteschi, di muri stereometrici, di torri e di cupole, tutto sull’acqua.

Ed è stato proprio dai vaporetti della Span1, in gita per le isole del golfo, che ho imparatoad amare la struttura delle coste, la bellezza delle rocce, la contaminazione delle costruzioni del-l’uomo, le grotte, i pini sulla spiaggia, i castelli sul mare, le mura corrose dal vento e dal sale, i farisugli speroni tufacei. E poi, arrivando alla meta, la bellezza delle cortine di case, colorate e artico-late sui moli di attracco.

Erano i paesi di mare. Paesi di pesca e di uomini di mare, di barche e di piccoli porti, di caseallineate sull’arenile o sullo sfondo del molo.

Al ritorno tutto era più grande e maestoso: il grande molo, le fabbriche e le ciminiere, igrandi palazzi, la mole delle cattedrali, i nastri luminosi delle strade all’imbrunire.

Era la città dal mare. La grande città sulla costa.Appariva prima via Caracciolo, la macchia verde della Villa Comunale e la sequenza dei

grandi edifici ed alberghi, il castello in tufo e poi il faro ed il porto nel quale un altro castello, tur-rito, grigio e gigantesco, dominava il molo Beverello. La stazione del mare, col suo grande arco-ponte, i magazzini, i depositi e gli uffici, tra gru e strutture misteriose in ferro riempivano in modoconfuso la vista, tra navi grandi e piccole, per i viaggi e per le guerre.

Il vaporetto nella manovra di attracco a volte rasentava le murate nere del Vulcaniache, con le onde prodotte, distruggeva i castelli di sabbia delle nostre fantasie … ancora in-nocenti.

Era la città-porto con il suo fronte ed erano le architetture delle grandi navi e la tecnica chesi evolveva.

1 Società Partenopea Anonima di Navigazione di Napoli, sostituita poi nel 1975 dalla Ca.Re.Mar. I vaporettidella Span – si chiamavano Ischia, Città di Abbazia, Principessa di Piemonte, Capri – erano, a pensarci ora, dei grandiyacht, con soggiorni e scale in legno noce e palissandro, lunghi ponti laterali e la poppa arredata da comode ed elegantipanchine.

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La lettura della Città dal mare mi ha riportato indietro nel tempo, in quei ricordi ancora in-genui, liberi da luoghi comuni e slogan del nostro linguaggio disciplinare. Il libro infatti, nei varicapitoli, affronta il tema affascinante della città e dell’acqua, dell’architettura e del mare impo-stando una ricerca approfondita per nozioni, riferimenti, riflessioni che riescono a conservare li-bere sensazioni ed il grande amore per il mare e per tutto quanto l’uomo ha progettato e co-struito per vivergli vicino ed affrontarlo.

I temi del dibattito architettonico dell’oggi, quello del waterfront, delle trasformazioni so-stenibili, quello del recupero dei docks e delle aree dismesse, con i relativi aspetti socio economicidella sostenibilità ambientale sono tutti presenti nei saggi, ma affrontati con la maggiore emo-zione dell’osservare, con l’incanto che produce la vista del bello, con la voglia di capire e rinno-vare. Non vi è la noia di certa urbanistica inutilmente dotta, e spesso troppo inutilmente sosteni-bile, ma la gioia di vedere uno straordinario ambiente naturale insieme a quanto l’uomo ha sa-puto modificare. Non si legge la protesta senza appello per interventi o trasformazioni tragiche ecolpevoli, ma il dubbio, quello che consente di riflettere anche su quanto è ritenuto assoluta-mente significante, culturalmente corretto. In altri termini si legge e si può pensare. Si vedonoesempi, luoghi, architetture, navi … con la felicità della scoperta.

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Fig. 1 - Il Castello Aragonese di Ischia. Fig. 2 - La nave Vulcania nel 1954.

Fig. 3 - Conte Biancamano ormeggiato nel porto di Napoli.

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Il viaggio di Rosa Maria nel Mediterraneo con la figlia Maria Joanna è una storia cui puremi rinvia la Città dal mare. Il bel film di M. de Oliveira2 ci offre un percorso su una nave da cro-ciera, da Lisbona a Bombay, con tappe nei posti mitici della storia del nostro mare e delle civiltàche in esso si sono sviluppate: Ceuta, Marsiglia, Napoli e Pompei, Atene ed il Pireo, Alessandria edil Nilo, Istanbul ed il Bosforo, città di mare, coste ricche di storia e di culture diverse, nel tempo in-trecciatesi.

Si intrecciano anche le lingue diverse delle protagoniste che si incontrano, la sera a cena,al tavolo del comandante: se, quasi nuova Babele, ciascuno parla la sua lingua, ognuno capiscel’altro nel confronto e nella comunicazione, vengono esaltate le differenze per apprendere me-glio, si accentuano le curiosità reciproche per ri-scoprire simboli delle diverse civiltà.

Ma il film, solo parlato e senza musica di sottofondo, con un finale sorprendente, tragica-mente inatteso ma plausibile, contiene anche la semplicità del racconto della mamma inse-gnante di storia alla figlia allieva, alla quale “piace sapere”.

Ricorre spesso, in “Um filme falado”, l’immagine della nave che fende le onde e si succe-dono, ad ogni attracco in porto, inquadrature non oleografiche di suggestive città dal mare …

2 “Un film parlato” (2003) con L. Silveira, F. de Almeida, J. Malkovich, C. Deneuve, S. Sandrelli, I. Papas – Con la fi-glioletta Maria Joanna di sette anni una giovane docente di storia si imbarca a Lisbona su una nave da crociera direttaa Bombay, dove l’aspetta il marito. A bordo si incontrano tre donne famose. Il film è il racconto di un viaggio in maredurante il quale a tavola si discorre con elegante noncuranza di grandi questioni: il destino della civiltà europea, lacomunicazione tra i popoli, lo scontro di culture diverse, il futuro dell’umanità … (il Morandini, 2010).

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Fig. 4 - La nave Saturnia in navigazione.

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CULTURA MARITTIMA E IDENTITÀ URBANAdi Claudio Pensa

Esperienza comune degli abitanti delle città di mare è il senso di disorientamento perce-pito durante la permanenza nelle città interne.

La parola disorientamento qui vive significati paralleli: uno letterale, l’altro metaforico.La più immediata accezione letterale allude al fatto che nei centri urbani lontani dal mare

frequentemente viene meno quella percezione dello spazio che, tipicamente, in molte città dimare (dovremmo dire d’acqua) viene assicurato dalla conoscenza dell’andamento della linea dicosta. Per chi è vissuto in prossimità del mare questa percezione è parte integrante – forse, peralcuni di noi, si potrebbe dire fondante – la relazione personale con il luogo: relazione tanto pro-fondamente introiettata da far parte del bagaglio sentimentale dell’abitare.

Il significato metaforico fa riferimento alla mancanza, nelle altre città, di quell’insieme dicoordinate (concettuali? visive?) che si concretizzano nelle caratteristiche di forma dell’abitato enei codici comportamentali del vivere quotidiano.

Le une e gli altri concorrono al pieno controllo della relazione spaziale con la città ed alrassicurante senso di integrazione sociale basato sulla percezione del reciproco riconoscimentoantropologico (e quindi al compimento dell’essere cittadino).

Non sfugge che, anche in questo caso, l’esito di quanto osservato condiziona il senti-mento di appartenenza o, viceversa, il senso di estraniazione che l’abitante della città di mareporta con sé.

Non sembra quindi un caso, o forse è una stringente necessità, che la prima parola che illettore incontra aprendo queste pagine fa esplicito riferimento al sentimento, più precisamente aquel particolare affetto che, antonomasticamente, giustifica l’azione. Ovviamente, proseguendo lalettura si verifica immediatamente che se il sentimento è il motore primo, la dottrina è lo stru-mento e la consapevole conoscenza è il fine della ricerca.

Dalla personale posizione di studioso del mondo navale e per annosa consuetudine con ilmondo marittimo, ho trovato stimolante e chiarificatrice l’ipotesi informatrice dello studio.Questa si struttura relazionando la tecnica navale e la vita del mondo marittimo, da una parte, ela caratterizzazione urbanistica della città dall’altra.

In tal senso la sintesi iniziale della storia della navigazione risponde alla necessità di porrele basi interpretative, si potrebbe dire l’humus di quanto viene sviluppato nelle successive tesied osservato nei casi di studio analizzati.

Una osservazione, a mio avviso centrale, che si consolida nello svolgimento della ricerca, èil riconoscimento del ruolo fondante che la cultura marittima ha nella formazione della identitàsociale delle comunità urbane o, più propriamente, nei casi delle maggiori città, degli abitanti deiluoghi della città storicamente coinvolti nelle attività del mare.

Pur ricordando la tendenza alla omologazione tipica di questi anni, resta tangibile la carat-teristica, ad un tempo diversificata ed identificante, di quel mondo urbano-marittimo che la sto-ria, anzi le storie, hanno reso intrinsecamente meticcio. Fuor di retorica, basta evitare i luoghi dimaggior disagio sociale, per continuare a ritrovare nelle città di mare quei valori di tolleranza edisponibilità che poco dipendono da convinzioni ideologiche ma che, determinate dalla vitadelle generazioni che ci hanno precedute, possono essere considerate qualità quasi biologiche,trasmesse in ragione di una sorta di genetica sociale.

Il poeta Stephen Spender ha detto degli italiani che questi sono orfani della propria tradi-zione. Ha riconosciuto in essi lo smarrimento della memoria dei valori della propria comunità, es-senza della tradizione intesa come continuità spirituale piuttosto che fenomenica. Da abitante diuna città di mare, posso sperare che una più consapevole percezione degli elementi identitari didisponibilità e tolleranza, propri delle comunità urbane e marittime, perda la tensione esclusivadell’orfano, struggente ma incoerente, per recuperare la sicurezza del figlio che ha ereditato va-lori e sensibilità.

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In tal senso lo studio delle caratteristiche urbane e delle esperienze di riqualificazioneesposte in Città dal mare ha il grande merito di promuovere il patrimonio culturale, osmotica-mente assorbito per contiguità con le attività marittime, in strumenti per la valorizzazione dellenostre città e, in definitiva, per la qualità della vita della comunità.

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RIDISEGNARE LE CITTÀ DI MAREdi Roberto Bobbio

Negli ultimi due secoli, in tutto il mondo, una quota sempre più rilevante della popola-zione si è stabilita in prossimità del mare, sui bordi continentali. Vaste aree rurali interne conti-nuano a spopolarsi, mentre nuovi immigrati affluiscono alle conurbazioni cresciute sulla costa olungo i grandi fiumi. Eppure il nostro punto di vista è sempre più terrestre. Un tempo non solo lemerci, che fin dalla preistoria hanno sempre preferibilmente viaggiato per via d’acqua, ma anchele persone arrivavano nelle città dal mare, a volte trovando, quando erano ospiti di riguardo, sfar-zose scenografie acquatiche approntate per accoglierli; mentre le immagini delle città di mareche circolavano per il mondo erano quasi sempre vedute dal mare.

Oggi l’immagine satellitare di una città ci è più comune della sua vista dal mare;d’altronde, la prima visione che abbiamo di una città è quasi sempre uno scorcio dall’alto, coltomentre l’aero atterra; o quella di una piazza centrale che ci si apre improvvisamente davantiuscendo dalla stazione, catapultati nel cuore di un’area metropolitana di cui vediamo il centroma non i limiti.

Il porto è divenuto un mero spazio di servizio: non punto di arrivo e di partenza ma “nodointermodale”, luogo dove si movimentano le merci. Alle stazioni marittime, grandiosi edifici dotatidi vaste sale e ambienti di rappresentanza, dove sbarcavano i viaggiatori venuti da altri Paesi econtinenti, si sono sostituiti terminal nei quali ci si imbarca in automobile, ingannando l’attesa inun bar o in un centro commerciale.

I waterfront urbani sono leisure centre dai quali la città “si affaccia al mare” e mai viceversa.Subito fuori dalla città, un forsennato turismo estivo affolla le spiagge, da cui i villeggianti guar-dano al mare come ad uno sfondo – molti ne evitano il contatto fisico e si bagnano in piscina.

Grazie alla sua passione di navigatore, alla sua conoscenza delle città di mare e alla suasensibilità nei confronti della qualità dell’ambiente urbano, Massimo Clemente ci propone di“guardare nuovamente alla città dal mare” – e dalle barche; ma, evitando nostalgie verso i bei“paesaggi perduti” (poco convenienti ad un urbanista), la sua visione è decisamente nuova.

L’autore va alla ricerca di ciò che rende ogni città di mare unica eppure in qualche modoapparentata a tutte le altre città di mare, in maniera quasi indipendente dalla distanza fisica; lo faprovando a verificare l’ipotesi che ciascuna di queste città sia il prodotto dell’incontro di una spe-cifica cultura (urbana e locale) con una più generale cultura marittima – che è non soltantoquella del saper andare per mare, ma anche quella del saper stabilire relazioni con chiunque econ qualunque luogo, imparando senza rinunciare a restare se stessi.

La condizione della città di mare è letta, quindi, come particolare condizione di una comu-nità che non teme il confronto perché contiene nella propria identità l’attitudine a dialogare conil mondo. Una caratteristica quanto mai preziosa in un’era come l’attuale, di grandi spostamentidi popolazioni e di risorgenti paure dell’”altro”.

Dal punto di vista dell’urbanista, quella che è una caratteristica sociale e culturale deve po-tersi esprimere anche nella forma: diventare qualità urbana per gli abitanti, immagine vivida ericca di significati e di possibilità di apprendere per i visitatori. Resta fondamentale l’attenzionealla funzione dell’organismo città e degli spazi urbani: l’efficienza della città-porto, richiesta dalruolo strumentale cui sono legate le sue fortune e dalla necessità di reggere il confronto con glianaloghi nodi della rete dei trasporti marittimi, fa sì che, in qualsiasi progetto di rinnovamentourbano, la cura dell’immagine non debba pregiudicare il conseguimento della nuova funzionalitàdettata dai mutamenti nei traffici e nei processi economici.

Sicché Clemente ci propone un lungo viaggio per mari, fiumi ed oceani, a verificare comenella varietà delle tipologie e dei singoli casi venga declinata la cultura delle città d’acqua e comesi possano individuare elementi per costruire anche una nuova cultura progettuale, una nuovacapacità di “stare sull’acqua”, ossia di ridare ai fronti d’acqua quella valenza qualitativa e quel si-gnificato comunitario e urbano che talvolta hanno perduto.

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Grazie alla sua professionalità di urbanista e alla sua esperienza di navigatore, l’autore in-vita ad acquisire prospettive inusuali per progettisti abituati a calcare il terreno (quali pianifica-tori e architetti). Ad esempio, assumendo quale habitat costiero un territorio che “inizia sotto il li-vello del mare, per poi emergere e risalire sulla terraferma”: si tratta quindi di smettere di vedere labattigia come confine, sia pure mobile, tra due mondi contrapposti per acquisire una più correttavisione di un ambiente costiero in cui ciò che sta sopra e ciò che sta sotto l’acqua sono posti incontinuità e strettamente integrati.

Questa considerazione, che in astratto potrebbe apparire ovvia, viene in realtà abitual-mente ignorata nei progetti di riqualificazione della costa e dei fronti urbani a mare, per i qualinulla esiste sotto la superficie dell’acqua; ma anche, simmetricamente, negli interventi di idraulicamarina e di ingegneria delle opere marittime, che non si curano quasi mai degli effetti che pro-durranno sul retroterra.

Un altro “rovesciamento” interessante è quello del guardare agli edifici dalle barche per sco-prire, ad esempio, che sia nelle costruzioni edili sia in quelle marittime, ad un indubbio sviluppodelle tecniche non abbia corrisposto il conseguimento di una maggior efficienza energetica. Daqui l’invito a ripensare il rapporto fra natura e costruito a partire da un contesto, quale quello co-stiero e marino, dove condizioni estreme e aggressività dell’ambiente devono suggerire, nell’ob-biettivo della manutenibilità e della durevolezza, una particolare attenzione ai condizionamentiche la natura pone all’opera umana e ad utilizzarli come stimoli alla creatività anziché tentare(inutilmente) di aggirarli.

In questa prospettiva, gli esempi di nuove architetture sull’acqua possono essere valutaticon maggior considerazione verso le caratteristiche tecniche e l’efficacia complessiva dell’opera,traguardando oltre l’originalità del disegno che può suscitare superficiali entusiasmi.

Dunque la particolare chiave di lettura impiegata da Massimo Clemente fornisce agli ur-banisti e agli architetti strumenti utili per analizzare e interpretare gli ambienti urbani costieri eper ridefinire le linee degli interventi; mentre la copiosa e accurata documentazione dei casi è or-ganizzata in un originale “atlante di urbanistica costiera comparata” in cui le schede sulle cittàraccontano altrettante storie urbane, ciascuna delle quali dà forma ad una specifica declinazionedel rapporto tra la città e il mare nel quadro delle dinamiche di crescita delle città-porto; ma rap-presenta anche un esempio significativo degli attuali processi di riqualificazione urbana.

Il gruppo di ricerca coordinato da Massimo Clemente ci offre un quadro assolutamenteaggiornato ma anche ricco di elementi che riguardano i processi di lunga durata e che, quindi,consentono valutazioni e riflessioni non estemporanee. Questa conduzione della ricerca portanaturalmente ad un’attenzione progettuale che guarda alla continuità e pone al centro dell’agireurbanistico contemporaneo il recupero, inteso come governo delle trasformazioni e capacità dirinnovamento, nella consapevolezza del significato e del valore del patrimonio, inteso non comevincolo ma come risorsa.

In conclusione, questo è un libro prezioso sia per la consultazione e la documentazione, siaper le occasioni di riflessione e di ripensamento che offre al lettore.

A rendere interessante il libro e a corroborare le tesi e i casi esposti nel volume contribui-scono non poco le illustrazioni: si tratta di riprese fotografiche che ci offrono soprattutto imma-gini di città costiere inedite e, spesso, inconsuete – o consuete solo per rari naviganti: gli equi-paggi delle navi commerciali assottigliati dall’innovazione tecnologica e dal risparmio sul costodel lavoro o i pochi diportisti che, come Massimo Clemente, viaggiano davvero per mare e non silimitano a dare fondo all’ancora nella prima caletta incontrata fuori dal “porticciolo”. Queste im-magini mostrano spazi e fronti urbani qualche volta fin troppo curati, fino a diventare fasulli; avolte trascurati ma profondamente veri e suggestivi; spesso ricchi dei segni della storia, delle arti,delle tecniche, del lavoro; sempre affascinanti per la presenza dell’acqua. Sono spazi che occorrecapire e reinterpretare e che occorre, in molto casi, ridisegnare: una straordinaria palestra per lacultura progettuale contemporanea, una sfida alla nostra capacità di imparare per ricominciare acostruire qualità urbana.

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UNO SGUARDO DAL MARE PER IL RECUPERO DELLE CITTÀ COSTIEREdi Maria Rita Pinto

Il libro di Massimo Clemente affronta un argomento affascinante e complesso nello scena-rio dell’architettura: le città di mare. Da architetti sappiamo, infatti, che le città di mare richiedonoun duplice sguardo: quello dall’interno della città e quello, appunto, dal mare. Entrambi i punti divista restituiscono caratteri che definiscono il costruito, entrambi sono indispensabili; l’assenzadell’uno o dell’altro impedisce di cogliere l’identità più profonda di ciò che si sta indagando.

L’autore, architetto e con una passione per la vela praticata sin da ragazzo, ha la fortuna eil privilegio di potersi avvalere di entrambi gli sguardi, godendo il mutare delle città sul mare almutare delle stagioni, delle condizioni atmosferiche, della luce che le investe durante il giorno.

Sul Tirreno spesso le città di mare si sviluppano lungo una costa impervia: l’orografia di-viene un indispensabile parametro di lettura per comprendere la “sapienza” delle soluzioni co-struttive. La difficile condizione orografica è stata anche la causa che ha protetto queste città datrasformazioni ingenti ed incompatibili che hanno investito, viceversa, le città della costa adria-tica, dove risulta meno forte il vincolo dell’orografia. Tuttavia anche queste città, sul Tirreno, sonostate oggetto di profonde mutazioni che, a partire dagli anni ’70, hanno determinato alterazionidei caratteri di identità e riconoscibilità del territorio costiero.

Quali sono i segni di questi cambiamenti? Come riusciamo a coglierli?Nell’ambito del recupero, gli edifici e i tessuti urbani sui quali si interviene richiedono si-

stemi di osservazione adeguati all’oggetto, che vengono fortemente influenzati dalla natura del-l’oggetto stesso. Nel caso delle città di mare l’osservazione è duplice – dall’interno delle città, maanche dal mare – ed è proprio dal mare che le trasformazioni si rivelano in modo evidente.

Se osserviamo il tessuto urbano dall’interno, i cambiamenti non appaiono molto diversidalle trasformazioni che investono la maggior parte dei nostri centri storici, dove gli interventi sulcostruito testimoniano un’assenza di cultura del recupero che genera l’incompatibilità dellescelte tecnologiche e la scarsa qualità esecutiva. Si segnalano cambi di destinazioni d’uso degliedifici con una riduzione della funzione residenziale e un incremento delle funzioni legate al ter-ziario o, nel caso di centri a vocazione turistica, le modificazioni sono conseguenti ad una pro-gressiva sostituzione della funzione residenziale con attività legate al commercio e alla ristora-zione. Le marine delle città di mare risultano profondamente investite da quest’ultimo fenomeno,con la pressoché totale sparizione dell’attività di pesca e dell’artigianato legato alla realizzazionedi barche. I simboli delle marine – le barche – che rappresentavano il naturale completamentodel paesaggio delle città di mare sono ormai spesso del tutto assenti.

Tuttavia è dal mare che è possibile cogliere le modificazioni più consistenti, è dal mare chesi percepisce, in maniera struggente, la perdita di un’identità della quale le città di mare sonoportatrici. Un’identità che unisce, come in una sorta di trama sottile, le città di mare, quelle ba-gnate dallo stesso mare – le città del Mediterraneo – i cui caratteri sembrano fluttuare da una co-sta all’altra come fossero portati dalle onde: le onde che lasciano tracce sulla battigia, depositanocaratteri comuni di identità sul costruito.

Quali sono le trasformazioni che leggiamo osservando le città dal mare?L’esempio della costiera sorrentina è significativo per comprendere come in un territorio

considerato un paesaggio di pregio ancora ben conservato, la cui qualità è unanimemente rico-nosciuta, le trasformazioni, viceversa, siano oggi pervasive e di entità notevole. Anche in questiluoghi, infatti, dove la singolarità e l’eccezionalità del rapporto tra la terra e il mare, tra la naturae il costruito, tra l’orografia dell’entroterra e la linea di costa, dovrebbero indurre scelte finalizzatealla tutela e alla valorizzazione, sono presenti numerosi interventi che sembrano inconsapevolidel valore di un tale patrimonio, o forse solo indifferenti alla responsabilità di preservarne l’iden-tità e la qualità.

Dal mare, inoltre, si svela il ruolo rivestito dall’azione antropica nella configurazione delpaesaggio, soprattutto nel territorio agricolo prospiciente la costa. Le modalità con cui sono state

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realizzate e disposte le coltivazioni sono l’espressione della profonda connessione tra il lavorodell’uomo e la morfologia del paesaggio, un patrimonio che rischia oggi una lenta ma progres-siva scomparsa, con ricadute anche sul delicato equilibrio tra ambiente e costruito. La trasforma-zione di maggiore consistenza è rappresentata da una modifica del rapporto mare/costruito/ter-ritorio agricolo. Un rapporto che, nei secoli, si è strutturato in modo da creare un paesaggio sto-ricizzato in cui la dimensione ambientale, quella sociale e quella economica erano attraversate dareciproci scambi. Il territorio agricolo, in particolare, era caratterizzato dalle coltivazioni di agrumie dai tipici manufatti contadini – la pagliarelle – che consentivano di modificare la maturazionedegli agrumi per immetterli sul mercato in periodi diversi rispetto alle produzioni nostrane, conun notevole beneficio economico. Il progressivo abbandono del territorio agricolo a causa dellamodifica della struttura socio-economica ha determinato non solo una progressiva riduzionedelle coltivazioni, ma anche la dismissione delle pagliarelle, realizzate con materiale riciclato dallapotatura, e la loro sostituzione con teli in plastica verde. Il territorio visto dal mare ne risulta pro-fondamente modificato, perdendo uno dei caratteri che hanno reso la costiera sorrentina unadelle mete irrinunciabili del Grand Tour in Italia.

Il paesaggio agricolo è cambiato anche a causa delle numerose costruzioni sparse sulterritorio, frutto delle normative che hanno legiferato sulle costruzioni agricole, ma ancor di piùdel fenomeno dell’abusivismo, che risulta fortemente incrementato negli ultimi 30 anni.L’aggressione edilizia è stata frutto di interventi di abusivismo e speculazione, attività che hanno“eroso” il territorio, provocandone l’alterazione o la perdita dei caratteri di identità e riconoscibi-lità. Al fenomeno contribuisce un regime vincolistico molto severo che, nel negare qualsivogliamodificazione del territorio, piuttosto che proporre delle regole di trasformazione, finisce perfavorire gli interventi abusivi.

A ciò si aggiungono piani urbanistici di concezione prescrittiva che limitano fortemente gliinterventi senza assicurarne la qualità. Infatti, osservando la costa dal mare, lo sguardo spessopercepisce, quasi istintivamente, l’estraneità di alcuni interventi che si “distinguono” per l’assenzadi relazioni con le caratteristiche naturali e antropiche del territorio, interventi che denunciano lapropria presenza per il contrasto stridente con il contesto. La prospettiva dal mare, quindi, ciconsente di abbracciare con lo sguardo le città costiere, di osservare indisturbati il territorio eriflettere sulle trasformazioni subite o in atto.

Quella dal mare è una prospettiva che rivela con chiarezza ai nostri occhi le tracce di unpassato in cui le comunità hanno saputo riconoscere e valorizzare le risorse endogene, attraversoscelte – di tecniche, di materiali, di forme, di usi – fondate su criteri di sostenibilità e adeguatezzaed espressione di una consolidata cultura materiale. In passato, l’arte del costruire lungo le costeè stata inevitabilmente influenzata dalla cultura delle comunità locali di mare, nella configura-zione degli spazi aperti e degli edifici, consegnandoci un patrimonio di ambienti antropizzati diforte suggestione. In questo scenario, le scelte costruttive hanno interpretato il legame di questecomunità con il mare attraverso architetture e luoghi urbani espressione di una condizione divita divisa tra terra e acqua ed una conoscenza profonda del territorio e delle sue risorse. Un pa-trimonio costruito che ancora oggi conserva una qualità indiscussa e sul quale è necessario in-tervenire, anche con tecnologie innovative, per garantirne una fruizione nel rispetto dei vincolipercettivi, morfologici e materici presenti.

Massimo Clemente richiama la nostra attenzione di tecnici, ma anche di utenti, ci esorta adun’assunzione di responsabilità per il futuro delle nostre città, sollecitandoci a ritrovare in quelprimordiale rapporto di ispirazione e contemplazione che lega l’uomo al mare la capacità diintervenire con sapienza e consapevolezza “per ripensare le città dal mare e progettare, nellacontemporaneità, la riqualificazione e la valorizzazione delle aree urbane costiere”.

Ed è proprio in virtù del fatto che le trasformazioni delle nostre coste sono decifrabili solodall’osservazione delle città di mare dal mare, che un velista le può cogliere con occhio attento,magari, nei momenti di bonaccia, quando le vele sbattono e a lui non resta che aspettare … edosservare … per cogliere i dettagli del cambiamento, di cui gli altri si accorgeranno, con stupore,molto più tardi, in maniera meno poetica.

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PARTE PRIMA

CULTURA MARITTIMA E CULTURE URBANE

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Capitolo 1

Percorsi di conoscenza per le città di mare

L’impostazione metodologica della ricerca è definita e descritta da Massimo Clemente, mettendo in evi-denza le suggestioni alla base del lavoro, le premesse culturali e scientifiche, i contributi multidiscipli-nari e i casi studio che arricchiscono e sostanziano un approccio innovativo alle città d’acqua.La tesi proposta approfondisce il rapporto tra cultura marittima e cultura urbana attraverso la letturadelle relazioni tra l’arte del navigare e l’arte del costruire le città, analizzando luoghi emblematici di con-fine tra terra e acqua e affrontando il tema del waterfront, nella storia e nella contemporaneità.L’approccio mostra come la navigazione abbia influito sulla genesi della città di mare e sulle trasforma-zioni urbane, evidenziando il ruolo delle rotte e del progresso tecnologico nel favorire l’incontro/scontrotra popoli e culture, marittime e urbane.Il percorso di ricerca interdisciplinare vuole contribuire all’elaborazione di nuove metodologie e strategieinnovative che consentano di intervenire valorizzando l’identità urbana delle città d’acqua e privile-giando il rapporto con il mare.

1.1 CAPIRE IL MARE PER RIPENSARE LE CITTÀ D’ACQUA

Amo il mare e la libertà che il mare esprime. Amo i luoghi che dal mare traggono la lorotensione vitale, la forza espressiva: le coste e le città di mare, le barche che sul mare ci accompa-gnano, tra le onde, nel vento. Questo amore mi ha spinto a sperimentare nuovi percorsi di cono-scenza, con l’obiettivo di penetrare quell’empatia che lega l’uomo al mare e su cui si fonda l’uni-cità delle città che dialogano con il mare.

Le storie dell’architettura e dell’urbanistica testimoniano la particolare sensibilità e la capa-cità delle comunità urbane marittime di esprimere in modo assolutamente speciale il rapportocon il mare. Nelle città di mare si stratifica l’incontro felice tra la cultura marinaresca e le differenticulture urbane: le architetture e i luoghi sono la rappresentazione della memoria collettiva che sicompone di vite vissute in navigazione sul mare e vite parallele vissute sulla terraferma.

Le culture urbane si esprimono in mille forme e funzioni che rappresentano le identitàdelle diverse comunità, ma il rapporto con il mare presenta delle suggestive invarianti, materichee semantiche. La cultura marittima è il fattore che unisce tutte le comunità di mare, nello spazio enel tempo, nelle diverse regioni del mondo pur lontanissime e nel corso dei secoli dalla preistoriaall’età contemporanea.

Le acque marine coprono oltre tre quarti del nostro pianeta e costituiscono una sorta disubstrato liquido da cui emergono le città di mare. La suggestione alla base di questo lavoro è cheper capire le città di mare dobbiamo spostare il nostro punto di osservazione dalla terra al maree cioè partire dalla cultura marittima per approfondire le culture urbane che sono espresse e rap-presentate nelle città di mare e, più in generale, nelle città d’acqua.

Il nuovo punto di vista suggerisce una lettura originale di quanto l’uomo ha realizzato siasul mare, navigando e raggiungendo acque e porti lontani, sia sulla terraferma, adattando la costaalle proprie esigenze marittime. In sintesi, si propone di considerare la città di mare quale espres-sione urbana di quelle comunità che fondano la propria identità sul rapporto con il mare e la na-vigazione, nell’incontro felice tra cultura urbana e cultura marittima. La città di mare, quindi, è in-tesa in senso ampio: non solo città costiere, città-porto di mare o di fiume, ma habitat elettivo dicomunità urbane indissolubilmente legate al mare.

Le città d’acqua coprono un’ampia casistica che va dal piccolo borgo di pescatori alla me-tropoli portuale, dalla città lagunare a quella costruita su canali artificiali. Le città-porto storichepossono affacciare direttamente sul mare aperto oppure su acque interne o ancora su fiumi ecanali collegati al mare.

Le forme assunte dall’architettura e dall’urbanistica nelle città costiere tramandano la

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memoria collettiva di un’unica grande comunità del mare e, allo stesso tempo, esprimono lespecifiche identità locali: da qui parte il percorso di conoscenza che si propone.

Nell’arco della storia e alle diverse latitudini, l’uomo ha trasformato l’ambiente costiero peradattarlo ai propri bisogni materiali e spirituali, attraverso una cultura comune che lega tutti gliuomini di mare, espressione di una memoria collettiva da trasmettere alle generazioni future.

La varietà delle articolazioni tipologiche delle città d’acqua pone l’interrogativo sulla sussi-stenza di elementi comuni e ricorrenti che consentano di fissare un modello astratto, un tipo, un’i-dea di città sull’acqua, di mare, di fiume, lacustre. L’astrazione di un modello ideale consentirebbedi definire un approccio specifico sia per approfondire la conoscenza degli insediamenti urbanicostieri sia per sperimentare nuove strategie mirate, per il buon governo delle trasformazioni ur-bane e territoriali nelle regioni bagnate dal mare.

Il mare esprime la complessità contraddittoria dell’essere umano, stimolandone la voglia diconoscenza attraverso l’esplorazione e l’esperienza fenomenica. Contemporaneamente, il maresuscita la paura dell’ignoto, l’angoscia esistenziale, il timore di essere inadeguati per le sfide chedobbiamo affrontare. Sul piano psicologico, il mare calmo e il mare in tempesta esprimono le dueopposte condizioni, da un lato, di serenità e, dall’altro lato, di conflitto interiore.

La cultura europea e occidentale, nel cui solco questo studio si colloca, è fortemente marit-tima, nel senso che il mare e la navigazione si offrono quale possibile chiave di lettura del pro-cesso evolutivo così come definito dalla storiografia tradizionale: le antiche civiltà fluviali nellaMezzaluna Fertile, i mitici “popoli del mare”, i Greci, i Fenici, i Romani, la competizione tra Cristianie Musulmani per la supremazia nel Mar Mediterraneo, la scoperta dell’America, le grandi esplora-zioni, la colonizzazione europea del mondo conosciuto (dagli Europei) e così via fino ai nostrigiorni. (Maritime history of Europe)

A ben vedere, anche la globalizzazione può essere rivista come un fenomeno fortementecollegato al mare e alla navigazione, ai collegamenti e ai traffici marittimi tra i più lontani portidel pianeta.

L’ambizione di maturare nuove visioni ha suggerito di uscire dai recinti disciplinari orto-dossi, in particolare dell’architettura e dell’urbanistica che costituiscono il mio principale ambitodi studio. Allo stesso tempo si è cercato di superare l’approccio alle altre discipline intese come in-tegrazione di talune competenze per il completamento trasversale delle conoscenze, nel nostrocaso, dell’approfondimento interpretativo delle città di mare.

Piuttosto, amici e colleghi sono stati sollecitati nel loro campo, dall’esterno, offrendo e rice-vendo suggestioni, talvolta eretiche, punto di partenza di questo percorso conoscitivo sull’uomoe il mare, le città costiere, i porti, la navigazione, alla ricerca di una possibile cultura urbana marit-tima presente e ricorrente nelle più diverse e lontane aree del globo terraqueo.

In questo percorso, un ruolo importante è stato svolto dalle immagini fotografiche, in virtùdella loro capacità di trasmettere suggestioni forti con immediatezza aprendo la strada alla rifles-sione più consapevole e all’approfondimento conoscitivo.

La nostra rotta per la conoscenza è partita dal mare e la navigazione ci ha condotto versola costa, dove i due elementi acqua e terra s’incontrano e si scontrano. Le città di mare si sonoaperte alla nostra lettura con le loro comunità di naviganti e donne che ne aspettano il ritorno, diesploratori e pescatori, di artigiani sapienti e maestri d’ascia. Le barche sono apparse come unprolungamento della terraferma, come la proiezione delle aspirazioni dell’uomo verso l’ignoto.

L’essere umano, nei millenni, ha trasformato la costa per adattarla alle sue esigenze di vitama è sempre ripartito per esplorare i mari. La barca ci è apparsa come un elemento di mediazionetra la terraferma e il mare, una sorta di architettura sull’acqua così come le navi ci sono sembratequasi dei luoghi urbani sul mare.

Analogamente e reciprocamente, le forme architettoniche e urbanistiche delle città di mareci sono apparse in relazione con le forme delle imbarcazioni, antiche e moderne, e ci hanno co-municato come siano frutto di un processo creativo comune che nel mare trova ispirazione e ra-gion d’essere. Cultura urbana e cultura marinaresca si sono sovrapposte nella nostra visione, l’artedi costruire le città è sembrata non lontana dall’arte di navigare, anzi simile e comparabile.

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EFig. 1 e 2 - Lower Manhattan vista dall’East River e da Ellis Island (Upper New York Bay).

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Fig. 3 e 4 - Entrata nel porto di Barcellona e affaccio nella darsena del Port Vell (Mare Balearico).

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La storia delle città di mare ha un fascino particolare e abbiamo potuto rileggerla partendodalle comunità del mare per meglio comprendere quelle forme e quegli spazi che ne esprimonoe trasmettono la memoria collettiva, assicurandone il fascino e la bellezza.

L’approccio proposto ha consentito di rivedere sotto una diversa luce gli interventi di tra-sformazione dei waterfronts che si sono succeduti sempre più numerosi, nell’arco negli ultimi cin-quant’anni. La riflessione critica può condurre alla definizione di metodologie e strategie innova-tive per intervenire nelle città di mare e valorizzarne l’identità.

Nelle città contemporanee sono molti gli esempi di architetture e spazi urbani che dialo-gano con il mare reinterpretando il rapporto storico tra la comunità e la marineria. Buone e cat-

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Fig. 5 e 6 - Luoghi urbani tra mare e terra a Helsinki (Golfo di Finlandia).

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tive pratiche si offrono all’approfondimento per estrapolarne punti di forza e di debolezza,soprattutto per dedurne ispirazioni metodologiche per il progetto architettonico e urbanistico.

Infine, abbiamo lavorato di fantasia per tracciare la nostra “lunga rotta”1 verso città d’acquapiù belle e sostenibili che nel mare ritrovino la loro storia e scoprano il futuro.

La lettura che proponiamo è incentrata sul processo di trasformazione da parte dell’uomodell’area costiera intesa in senso alquanto ampio, ivi comprendendo sia la vera e propria fascia co-stiera sia l’ambiente marino che precede la costa (Seascape). La nostra attenzione si è rivolta atutte le opere realizzate dall’uomo dall’ambito portuale a quello residenziale, dalle infrastruttureai servizi. (Caterina, 2008) (Rigillo, 2008) L’uomo modifica la linea di costa e la trasforma per adat-tarla alle proprie esigenze sia di difesa sia di conquista del mare. (Charlier et al., 2005) A tali operestabili crediamo vadano aggiunte le barche e le navi (Ship) che si possono considerare come unaproiezione dell’uomo sul mare, un elemento di mediazione tra la terra e l’acqua.

Questa chiave interpretativa pone una serie di interrogativi e suggestioni sul rapporto tracultura marinara e cultura urbana stimolando spunti di riflessione originali. Interrogativi e sugge-stioni sono delineati in questo capitolo per poi essere affrontati in modo trasversale e dai diversipunti di vista nei capitoli che seguono.

Il primo tema è se esista una relazione tra la forma della città e delle sue architetture e laforma delle navi, quesito che può generare sconcerto se posto, da un lato, ad un tecnico, ad unarchitetto o ad un urbanista, così come, dall’altro lato, ad un ingegnere navale o ad uno yachtdesigner. La stessa domanda affascina e suggestiona se riusciamo ad allontanarci dalle nostreconoscenze specialistiche. In effetti, è possibile approfondire il legame tra le tipologie navali e laforma urbis della città-porto ma il discorso si può ampliare e sviluppare per tutte le aree costiere.La lettura delle forme e la loro evoluzione nella storia, sulla terraferma e in acqua, può aiutare acomprendere il legame tra cultura urbana e cultura marinara.

Il secondo punto è sul destino comune, sul parallelismo delle trasformazioni urbane dellecittà di mare quando sono collegate da rotte che alimentano forti scambi commerciali e culturali.La linea di costa non è una barriera ma un’apertura che potenzialmente collega la forma e la so-stanza della città di mare, la sua essenza più profonda, alle tante altre città di mare. NelMediterraneo, le città dell’Europa e le città del Nord Africa sono state storicamente connesse dallerotte commerciali, favorendo lo scambio culturale che si è espresso nel linguaggio architettonicoe urbanistico. Nei Mari del Nord Europa, la Lega Anseatica è stato uno straordinario fattore unifi-cante nella crescita delle città di mare, realizzando un comune substrato culturale che ancora oggiben traspare dalla lettura dei tessuti urbani.

Il terzo oggetto di riflessione è il progresso tecnologico che è avanzato progressivamenteinfluenzando l’opera dell’uomo sulla terraferma, sul mare, sul confine terra-mare. Per quanto ri-guarda la terraferma, il progresso tecnologico si è espresso nell’evoluzione delle tecniche costrut-tive degli edifici, delle strade, delle reti tecnologiche, delle città. Sul mare, il progresso tecnologicoha trovato uno straordinario campo di sperimentazione. Nelle navi venivano sperimentati nuovimateriali e tecniche costruttive, teorie fisiche e d’ingegneria, nuovi propulsori e nuovi propellenti.Probabilmente, solo nel XX secolo la sperimentazione in campo aeronautico ha superato quella incampo navale per livello tecnologico. Infine, tra mare e terra, sulla linea di costa, il progresso tec-nologico ha consentito opere sempre più incredibili, non sempre condivisibili, di trasformazionedell’ambiente naturale costiero: dal Canale di Suez alla diga dello Afsluitdijk (Afsluitdijk), dalCanale di Panama al ponte dello Öresund (Öresund Bridge), dal tunnel sotto la Manica all’aero-porto di Kansai Osaka, per finire con le bizzarre isole artificiali di Dubai “The Palm” e “The World”.

Un quarto importante ambito di forti suggestioni e possibili approfondimenti è offerto dalrapporto tra l’arte del navigare e l’arte di costruire le città. Navigare è senza dubbio un’arte cheesprime il forte controverso rapporto dell’uomo con gli elementi naturali. Timore e ambizione diconquista, rispetto e consapevole sottovalutazione, sono tutte prerogative dell’uomo di mare e

1 La lunga rotta è il titolo di un romanzo culto per i velisti: Moitessier B. (1971), La Longue Route: seul entre mers etciels, Arthaud, Paris, France. Bernard Moitessier attraverso il racconto delle sue navigazioni solitarie esprime la dramma-tica bellezza del rapporto dell’uomo con la natura e la complessità dell’esperienza esistenziale.

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Fig. 7 e 8 - Ellis Island dall’acqua e la darsena Dennis Conner’s North Cove a Manhattan (Upper New York Bay) (Foto diFabrizia Clemente).

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del navigatore che, nei secoli, lo hanno portato a scoprire terre sempre più lontane ma lo hannotante, troppe volte, portato verso la “tempesta perfetta”2. L’arte di costruire le città, delineata daSitte in modo suggestivo anche se storicamente collocato, esprime l’ambizione umana di trasfor-mare l’ambiente naturale creando luoghi altrettanto belli quanto quelli che troviamo in natura.Troppo spesso questa ambizione è mortificata dalle brutture architettoniche e dalle città invivibiliche noi uomini riusciamo a creare distruggendo la natura, non solo sul mare.

Il quinto tema che vogliamo proporre è la comprensione profonda del rapporto tra l’uomoe il mare come contributo concreto alla costruzione di città di mare più sostenibili. L’uomo dimare trae la propria forza dagli elementi naturali, utilizza a proprio vantaggio la forza del vento edelle onde, soprattutto quando a spingere l’imbarcazione sono le vele ma anche quando sono iremi o il motore. La navigazione esprime la ricerca dell’armonia con la natura, aspira all’utilizzo ot-timale delle risorse e alla non dissipazione. La scogliera frangiflutti assorbe l’urto delle onde acco-gliendole nei suoi anfratti, frazionandone l’energia. Oggi, quella stessa energia viene trasformatain energia elettrica pulita e senza prodotti di scarto grazie alle turbine che sfruttano i moti ondosi(Wawe energy) e le maree (Tidal power).

Le città di mare hanno quel fascino particolare che deriva dall’essere luogo di confine, discontro e d’incontro, di dialogo tra la terra e il mare, tra il cielo e l’orizzonte, tra il vento e le nuvole,tra il sole e la tempesta. Nelle città di mare si incontrano gli uomini e le donne che portano storie

2 La tempesta perfetta è il titolo di un film (The Perfect Storm, 2000), bellissimo e drammatico, basato su un ro-manzo a sua volta ispirato ad una storia reale: Junger S. (1997), The Perfect Storm, W.W. Norton and Company, New YorkCity, USA. L’equipaggio del peschereccio “Andrea Gail” salpa da Gloucester, villaggio di pescatori sulla costa delMassachusetts, per un’ultima eroica battuta di pesca che risolva una stagione disastrosa. Dopo giorni di pesca infrut-tuosa, i protagonisti si avventurano sempre più al largo nel Nord dell’Atlantico e sono premiati da una copiosa pesca mala fine tragica è in agguato. L’Andrea Gail naviga, consapevolmente o inconsapevolmente, verso il naufragio: un uraganosi incontra con due zone depressionarie generando, appunto, la tempesta perfetta. (The Perfect Storm)

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Fig. 9 - La barca come prolungamento della terraferma al Battery Park, Lower Manhattan (Upper New York Bay).

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di vita e di popoli diversi, dando vita ad una memoria collettiva plurale che si esprime e trasmettenella matericità e nella spazialità delle architetture e dei luoghi urbani, nella ricchezza della multi-culturalità prodotta dall’incrocio delle rotte nei mari.

La città di mare è, contemporaneamente, punto di partenza e punto di arrivo delle naviga-zioni dell’uomo. Le navi salpano lasciando la terraferma, navigano lungo rotte che si incontrano esi scontrano con gli elementi naturali nel mare e, al ritorno, approdano alla sicurezza del portonella città di mare.

Contaminazioni e ibridazioni, sia alla scala urbana sia alla scala architettonica, sono caratte-ristiche delle città la cui storia deriva dal rapporto tra l’uomo e l’acqua, acque del mare, dei fiumi,dei laghi, dei canali creati dall’uomo. A Venezia come ad Amsterdam, a Napoli come a Barcellona,la storia delle città ci ha trasmesso dei luoghi urbani che, attraverso il rapporto con l’acqua, esal-tano le proprie valenze semantiche e, dal mare, acquistano la propria forza espressiva.

La bellezza delle cortine edilizie del Canal Grande di Venezia trova la sua ragion d’esserenello scorrere sinuoso delle acque sotto il cinquecentesco ponte di Rialto e sotto il recente pontedi Calatrava, tra gondole e motoscafi. La rete regolare dei canali di Amsterdam dona alla città lasua forma essendone al contempo la struttura.

La maestosità del Castel dell’Ovo, a Napoli, che si staglia nello skyline di una delle baie piùfamose e belle del mondo, è rafforzata dal mare soprattutto quando quel mare è in tempesta. Lamoderna Barcellona è stata realizzata ricostruendo il rapporto della città con il mare e tanti an-cora potrebbero essere i richiami.

Le città di mare sono state raccontate come sfondo delle vicende epiche, dalla mitologiaomerica fino ai racconti di Hemingway. Mare e terra dialogano, s’incontrano e si scontrano, per-meano le vicende dell’uomo e la linea di costa ben rappresenta l’inquietudine dell’esistenza.

Ulisse non vuole lasciare la sua terra e si finge pazzo per non salpare verso la guerra ma,poi, affronta il suo destino e parte verso Troia. Dopo la lunga guerra, Ulisse naviga nelMediterraneo, prima con i suoi uomini e poi da solo, toccando Paesi e genti molto diverse tra loro,affrontando pericoli e gioie, fortune e disgrazie. L’Odissea è tutta giocata sul rapporto tra il maree la terra, in quell’area così particolare e affascinante oggetto del nostro interesse di studio.

Il vecchio Santiago di Hemingway affronta il mare per vincere il suo declino, lascia la terra-ferma e, grazie a Manolo e a Joe Di Maggio, vince la sua battaglia. Torna a terra vincitore, anche segli squali hanno spolpato la sua preda restituendo alla natura ciò che il pescatore le aveva strap-

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Fig. 10 - Navi e uomini che incrociano le loro rotte nel Golfo di Finlandia.

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pato. Terra e mare, mare e terra, al confine tra i due elementi si compiono le vicende umane delvecchio e del giovane.

In pittura, le vedute dal mare, in particolare nel Settecento e Ottocento, rappresentano navie architetture, ben esprimendo quanto cercheremo di raccontare nelle pagine che seguono. Intempi più vicini a noi, il cinema ha raffigurato il rapporto tra città e mare come rapporto com-plesso e drammatico, per esempio, nel “Fronte del porto” di Elia Kazan.

La città è una forma evoluta e colta di adattamento dell’ambiente naturale alle esigenzedell’essere umano. La città è l’habitat complesso che deriva da questo processo di adattamento etrasformazione dell’ambiente antropizzato in ambiente urbano.

L’elemento fondativo della città è sempre naturale e permane anche dopo millenni distoria umana e urbana. Le città nascono in pianura, montagna o collina, lungo i fiumi e i laghi,nell’entroterra o sul mare, vivono la loro storia di secoli e millenni ma, per sempre, permane ilseme iniziale.

Nel caso della genesi sul mare, l’acqua è un elemento primario3 che segna profondamentetutte le vicende della città, le trasformazioni urbane e il modo in cui donne e uomini vivono la lorocittà, definendone forme e funzioni. Il mare è la risorsa primaria che consente la sopravvivenza at-traverso la pesca e i traffici marittimi, è scenario delle battaglie per difendersi o per conquistarenuove terre, è utilizzato per il trasporto di persone e merci, recentemente anche per lo svago neltempo libero.

La struttura e la forma della città di mare dipendono dal mare, non semplicemente dallalinea di costa ma dal tipo di costa e dal tipo di mare: coste alte o basse, rocciose o di sabbia,lineari o curve, mare profondo o basso, mosso o piatto, ventoso o calmo, paludoso, pescoso,chiuso o aperto.

La città storica di mare conserva e racconta questo profondo rapporto con gli elementi na-turali e il modo in cui si è formalizzato nei secoli, esprime il legame con la terra e con l’acqua e lasua trasformazione in forme e funzioni, in architettura e città. La consapevolezza che la città dimare non si ferma dove inizia l’acqua, ma prosegue sulle imbarcazioni, apre nuovi orizzonti dianalisi conoscitiva e di ridisegno della forma urbana.

La cultura marittima e la cultura urbana si integrano e l’arte di navigare confluisce nell’artedi costruire le città. La città contemporanea dovrebbe proseguire quest’afflato e il progetto di ar-chitettura dovrebbe saper cogliere e interpretare questo profondo legame tra l’uomo e il mare.

Così come Piccinato individuò i principali tipi urbani medievali (Piccinato, 1943), sarebbepossibile approfondire le città di mare e classificarle considerando tutti i fattori che concorrono adeterminare la forma urbana là dove s’incontrano mare e terra. La classificazione dovrebbe partiredall’analisi dei luoghi naturali e considerare la navigazione tra i fattori antropici di adattamentodella costa, sulla riva ed oltre, sulle imbarcazioni nonché le rotte verso altre città di mare.

Questo passaggio conoscitivo ed interpretativo consentirebbe di affrontare con costruttivaconsapevolezza la progettazione degli interventi di trasformazione urbana nelle città di marecontemporanee, tenendo in giusta considerazione i caratteri invarianti e le caratteristiche specifi-che locali. La riflessione critica può condurre alla definizione di metodologie e strategie innova-tive per intervenire nelle città di mare e valorizzarne l’identità.

1.2 OLTRE IL RECUPERO DEL WATERFRONT

Il tema del rapporto con il mare è stato sviluppato soprattutto con particolare riguardo allariqualificazione delle aree portuali e produttive limitrofe alla linea di costa. La riconversione dellearee portuali ha sostanziato le politiche urbane di molte città d’acqua ma può considerarsi unsegmento del più ampio processo di riqualificazione delle aree industriali dismesse che ha inte-ressato molte città dei paesi più ricchi ed industrializzati.

3 Si richiama la definizione di “elemento primario” data da Aldo Rossi nella sua concezione del progetto urbanocome rappresentazione di una memoria collettiva (Rossi, 1966).

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Dopo la crisi energetica degli anni Settanta, a partire dagli anni Ottanta, i processi produt-tivi hanno subito profonde trasformazioni che sono state favorite dall’innovazione tecnologica edalla globalizzazione dei mercati. I grandi stabilimenti industriali hanno concluso il loro ciclo divita produttiva lasciando nella disponibilità del territorio vaste aree con volumi già edificati.

Capannoni industriali, opifici, magazzini, edifici amministrativi e residenze operaie si sonoofferti quale campo di sperimentazione progettuale di architetti e urbanisti dando vita ad una in-teressante convergenza di creatività, politica, cultura, finanza, industria delle costruzioni. I risultatisono stati eccellenti sia sul piano economico sia su quello architettonico e urbanistico, per le qua-lità spaziali e semantiche conseguite.

Nella seconda metà del secolo scorso, il trasporto marittimo visse una profonda trasforma-zione per l’avvento delle navi cargo portacontainers che, in particolare, causarono una fortedomanda di adeguamento delle infrastrutture portuali. Contemporaneamente, l’abbandono dialcune aree portuali generò la domanda di riqualificazione e di rifunzionalizzazione deiwaterfronts.

Il waterfront portuale fu oggetto di attenzione politica a partire dagli anni Cinquanta inAmerica, ma già nei decenni precedenti erano emersi il decadimento morale, la corruzione e laviolenza della vita nei porti americani. Tra il 1947 e il 1948, sul New York Sun, fu pubblicata la seriedi 26 articoli “Crime on the waterfront”, in cui Malcom Johnson denunciava il malaffare e le infil-trazioni mafiose nelle attività portuali di New York City4.

4 La raccolta degli articoli è stata più volte pubblicata, in particolare vedi il recente Johnson M. (2010). Gli articolivalsero a Johnson il Premio Pulitzer ed ispirarono il film “On the waterfront” del 1954 (Fronte del porto), a sua volta vin-citore di ben otto Premi Oscar, con la regia di Elia Kazan. La straordinaria interpretazione di Marlon Brando racconta di unlavoratore portuale redento che si oppone ai malavitosi che gestiscono le attività portuali.

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Fig. 11 - Recupero degli edifici portuali a South Street Seaport, Manhattan (Upper New York Bay).

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La sensibilizzazione dell’opinione pubblica spinse le autorità politiche ad affrontare il tema,dapprima in termini di lotta al crimine5 e poi attraverso interventi strutturali di riorganizzazione edelocalizzazione delle residue attività portuali. La soluzione del problema socio-economico, comespesso accade, apriva una grande questione urbanistica, rendendo disponibili vaste aree urbanedegradate e fino ad allora separate dalla vita della città.

I primi segnali arrivarono da New York City (Port of New York Authority, 1948) anche se la ri-qualificazione del waterfront ebbe tempi abbastanza lunghi6. Baltimora e Boston furono le primeamministrazioni ad intraprendere degli innovativi percorsi di riqualificazione delle aree portuali epiù in generale del fronte a mare, destinati a fare scuola per l’approccio, per la gestione e per i ri-sultati raggiunti.

L’esempio di Baltimora va ben oltre gli interventi, pur paradigmatici, sul Charles Center el’Inner Harbor, (Greater Baltimore Committee, 1958; 1959; 1965) per assumere una valenza territo-riale e culturale su cui riflettere e da cui imparare, ancora e soprattutto oggi. (Wallace, 2004) Laconformazione della linea di costa della Contea di Baltimora favorì la visione regionale e inter-venti di ampio respiro, in ambito urbano ed extraurbano. Il consapevole rapporto della comunitàcon il suo mare aiutò a valorizzare le potenzialità della lunga e articolata fascia costiera. (BaltimoreCounty, 1959)

Il piano di Boston prestava la stessa particolare attenzione al mare fissando tra gli obiettivi:“to achieve reconstruction of the waterfront in a manner wich will be symbolic of Boston’s historicrelationship with the sea” (Boston Redevelopment Authority, 1964a, p. 5). La rivisitazione del pro-cesso di recupero, attraverso i documenti originali, dimostra la consapevole sensibilità verso lacultura marittima come elemento fondamentale della rivitalizzazione attuata sul fronte a mare diBoston7. (Boston Redevelopment Authority, 1964a; 1964b; 1967)

Nei decenni successivi, sia a Baltimora sia a Boston, gli interventi di riqualificazione e ri-vitalizzazione proseguirono felicemente anche attraverso processi partecipativi (BostonRedevelopment Authority, 1973) (Reed Clark, 1980). Si configurò un campionario di soluzioni pro-gettuali che sarebbero state il riferimento per i progetti di riqualificazione delle città costiere intutto il mondo. Successivamente, molte città di mare sono state interessate da interventi più omeno riusciti, nel Nord America, in Europa, in Asia e nel resto del mondo.

In una prima fase, più che le città di mare, oggetto d’interesse sono state le città-porto ma-rittime e fluviali che, a seguito dell’evoluzione dei traffici via mare, avevano visto le loro aree por-tuali entrare in crisi economica e fisica, offrendo l’opportunità di ridisegnare intere parti urbanecon approcci variegati. (Falk, 1975) (Moss, 1976) (Committee on Urban Waterfront Lands, 1980)(Vallega, 1980) (Hoyle and Pinder, 1981) (Wrenn, 1983) (Wylson,1986) (Hoyle et al., 1988) (Hall,1975; 1991) (Bruttomesso, 1993) (Breen and Rigby, 1994; 1996) (Malone, 1996) (Meyer, 1999)

Dal 1990, progressivamente, la visione urbana è stata completata dall’approccio territorialecon l’attenzione rivolta, soprattutto da parte dei geografi, all’intera fascia costiera e con sempremaggiore consapevolezza degli aspetti ambientali e partecipativi. (Hoyle, 1996) (Vallega, 1992 e2001) (Soriani, 2002) (Billé, 2008) (Stocker and Kennedy, 2009) (Coastal and Waterfront SmartGrowth, 2009) (Green, 2010) (Salmona, 2010)

Negli anni 2000, poi, si può individuare un ulteriore orientamento in cui si afferma l’ap-proccio comune al tema, con metodologie condivise a livello internazionale. (Marshall, 2001)(Gastil, 2002) (Fisher et al., 2004) (Remesar and Costa, 2004) (Dovey, 2005) (Bruttomesso, 2006)(Bunce and Desfor, 2007) (Desfor, 2007) (Giovinazzi, 2007) (Hendee Brown, 2009) (Desfor et al.,2010) Approcci poco originali e linguaggi affini, però, generano waterfronts simili pur in contestiurbani molto differenti, con la moltiplicazione di progetti e realizzazioni nei cinque continenti.(WaterfrontExpo) (AVP) (WiN) (Città d’acqua)

5 Cfr. Dewey, 1953.6 Cfr. la scheda di approfondimento del caso studio di New York City nel capitolo 7.7 È significativo che nel decennio precedente il waterfront di Boston fosse già stato oggetto di due Tesi di Master

con il medesimo titolo “The redevelopment of Boston’s Atlantic Avenue waterfront” (Peterson, 1955) (Migliassi, 1961).

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Progressivamente, nei piani per il recupero dei waterfronts sembra indebolirsi il rapportoprivilegiato con il mare. Il recupero delle aree portuali è spesso affrontato come segmento del piùampio tema delle aree industriali dismesse, anche se presenta specifiche problematiche che sa-rebbero meritevoli di strategie mirate. Non è un caso che il termine waterfront, nell’accezione co-mune, abbia assunto il significato di fronte a mare del porto, laddove l’etimo originale era quellodi affaccio sull’acqua in senso lato.

Negli ultimi anni, questa tendenza negativa si è accentuata nell’ambito di un più generaleprocesso di impoverimento semantico dell’architettura e di omologazione dei paesaggi urbani,peggioramento strettamente connesso alla globalizzazione economica e culturale. I waterfrontsrecuperati risentono, come il resto della città contemporanea, dell’appiattimento del linguaggioarchitettonico e urbanistico che non riesce ad interpretare e ad esprimere le identità locali.(Clemente, 2009 e 2010)

L’approccio innovativo porterebbe a superare le tendenze progettuali in atto, immettendonuovi valori semantici nel ridisegno delle città d’acqua. In particolare, si vuole allargare l’orizzontee passare dalle aree portuali all’intera città-porto, dalla città-porto al rapporto della città con il suomare, dall’acqua alle imbarcazioni, da un porto all’altro. Vogliamo approfondire il dialogo tra l’am-biente marino e l’ambiente urbanizzato, individuando nuovi punti di vista dal mare e nuove chiavidi lettura offerte dall’arte di navigare.

Vogliamo portare l’uomo al centro della riflessione: l’uomo e il suo rapporto con il mare. Ildialogo umano con la natura è la chiave interpretativa della trasformazione dell’ambiente natu-rale in ambiente antropizzato e in ambiente urbano. Questa consapevolezza assume particolarerilievo laddove l’ambiente naturale è permeato dall’elemento mare.

La città esprime il rapporto tra l’uomo e la natura perché è l’adattamento dell’ambiente na-turale alle esigenze umane: un gruppo di uomini diventa comunità urbana e trasforma lo spazio

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Fig. 12 - Recupero del waterfront portuale per le Colombiadi a Genova (Mar Ligure).

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fisico per farne la propria città. Il rapporto dell’uomo con il mare determina il suo modo diadattare gli elementi naturali per realizzare il suo habitat, sulla linea di costa e nelle areeretrostanti. L’architettura è l’arte di creare spazi (Zevi, 1948) e la città è fatta di architetture checreano spazi e luoghi urbani. Per questo, le architetture delle città di mare sono architetture diterra, mare e vento.

1.3 GENESI E TRASFORMAZIONE DELLE CITTÀ DI MARE

La storia delle città di mare coincide con la storia del rapporto tra l’uomo e il suo mare,esprimendone l’essenza più profonda, nel bene e nel male, l’armonia o la dissonanza.

L’essere umano è fatto per la maggior parte di acqua e l’acqua è un bene essenziale per lasopravvivenza della nostra specie. L’acqua del mare proietta l’uomo verso orizzonti lontani ben ol-tre la semplice sopravvivenza.

Il mare risponde a bisogni primari come l’alimentazione attraverso la pesca e a bisogni se-condari come l’opportunità di spostamento sulle acque per raggiungere nuove terre. Sul piano fi-sico, la città è adattamento dell’ambiente naturale per soddisfare i bisogni primari e i bisogni in-dotti dalla evoluzione cultural-sociale.

Nella città-porto, il mare è fonte di sussistenza grazie al pescato che l’uomo dalle acque alteporta verso la terraferma ma è anche snodo di relazioni tra i luoghi grazie agli spostamenti chel’uomo compie sulle imbarcazioni. Queste ultime sono il mezzo dei collegamenti marittimi, il tra-mite tra la terra e l’acqua: la barca è lo strumento sia delle relazioni tra i luoghi posti sul mare siadelle relazioni tra quegli uomini che al mare hanno vincolato la loro esistenza.

Sul piano semantico, la città sul mare è l’espressione e la rappresentazione della memoriacollettiva e della cultura condivisa degli uomini di mare. Nelle città d’acqua si concentrano e si ri-

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Fig. 13 - Fascino e capacità attrattiva dei luoghi urbani tra terra e acqua a Lisbona (Estuario del fiume Tago).

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velano i simboli e i valori, significanti e significati, funzioni e spazi, relazioni che uniscono tra loroi membri di una comunità di mare e tutte le comunità di mare tra loro.

Il processo di formazione della città di mare è ricorrente nei diversi momenti della storia enelle diverse aree geografiche, pur con le specifiche caratterizzazioni. Gli uomini di mare siuniscono nella fondazione di un villaggio per praticare insieme la pesca e creano una città-portoper intraprendere scambi commerciali. La città-porto realizza l’accesso al mare di un’areaterritoriale, proiettando la produzione delle attività economiche nella rete commerciale degliscambi marittimi.

Il rapporto con il mare, quindi, è il primo elemento del codice genetico della città che sorgesulla linea di costa. La forma embrionale della città di mare è dettata dalla proiezione sulle acqueil cui tramite, come si è detto, sono le imbarcazioni. La spiaggia si trasforma in approdo e in portoche è la casa delle barche. In questo senso, il porto è il nucleo originario della città di mare, il re-cinto dei valori fondativi della comunità urbana marittima.

La cultura urbana della comunità di mare si forma e si esprime nelle costruzioni chetrasformano la linea di costa, realizzando un’architettura di mediazione tra l’elemento terra el’elemento acqua.

Il primo atto creativo è nella scelta del sito di fondazione della città sull’acqua che, quasisempre, avviene in siti riparati e porti naturali. Anche dopo secoli, nonostante le trasformazioni ei rimaneggiamenti, leggiamo il nucleo fondativo e cogliamo il profondo legame con l’acqua.

Prima che gli uomini imparassero a modificare la costa per creare approdi riparati e sicuri,le città-porto venivano fondate in acque interne, lagune ed estuari dei fiumi navigabili. Il fiumeveniva collegato alla rete dei canali artificiali che, a sua volta, si collegava alla rete dei trasportiterrestri, dando vita ad un sistema di mobilità che oggi definiremmo integrato e sostenibile.

La storia delle città di mare è una parte importante della storia dell’urbanistica e, se cia-scuna fase storica si esprime nelle architetture e nelle forme urbane che produce, sono particolari

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Fig. 14 - Le banchine, le imbarcazioni e il Castel dell’Ovo si proiettano nel mare del Golfo di Napoli (Mar TirrenoMeridionale).

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le forme e i contenuti assunti dalle città e dalle architetture, nel susseguirsi delle trasformazioniurbane, grazie al dialogo tra l’elemento terra e l’elemento mare.

La rivisitazione di alcuni casi emblematici può aiutare a cogliere la peculiarità della storiaurbanistica delle città di mare e indirizzarci verso una diversa visione e lettura interpretativa dellapresenza dell’uomo sull’area ibrida terra-mare.

Una delle più antiche città d’acqua fu Ur, crocevia di traffici marittimi e terrestri per la suaposizione strategica che in età sumerica, intorno al 2000 a. C., raggiunse il suo massimo splendore,testimoniato dalla grande ziggurat di cui ammiriamo i maestosi resti dopo ben quattromila anni.Oggi l’area è nell’interno dell’Iraq ma nell’antichità era verso la fine del fiume Eufrate attraverso ilquale si guadagnava l’accesso alle acque aperte dell’attuale Golfo Persico.

Nella Grecia classica il Pireo rappresenta l’archetipo della città-porto: la scelta del sito natu-ralmente protetto dalla natura geologica e dalla conformazione della costa è completata dall’o-pera degli uomini che realizzano le loro architetture a difesa dal mare e dai nemici. In origine, c’eraun’isola collegata da un istmo alla terraferma, le successive trasformazioni culminarono nel V se-colo a.C. con l’opera di Cimone e Pericle.

Nei secoli successivi, il Pireo condivise le sorti di Atene di cui era ed è l’interfaccia con ilmare: dalla vittoria contro i Persiani alle sconfitte contro i Romani, dalla dominazione ottomanaalla guerra per l’indipendenza della Grecia, fino all’attuale status di città-porto tra le più impor-tanti in Europa, soprattutto considerando la dimensione del traffico passeggeri.

Tornando all’antichità, Alessandria d’Egitto costituisce un esempio di città-porto molto si-gnificativo perché ponte tra la cultura greca e quella egiziana. Fu fondata nel 334 a.C. daAlessandro Magno là dove il fiume Nilo si immette nel Mar Mediterraneo, ponendo in relazione ilfiume e il mare più importanti dell’antichità. La posizione strategica la rese il fulcro degli scambicommerciali e culturali tra Grecia, Egitto e Medio Oriente, favorendone la rapidissima crescita.

In alcuni periodi fu la seconda città dell’area mediterranea, superata solo da Roma, e percirca mille anni fu capitale dell’Egitto. Fu culla dell’Ellenismo ed ospitò la più grande comunità diEbrei dell’antichità. Subì la dominazione romana e poi quella musulmana che ne rafforzarono ilcarattere di metropoli cosmopolita.

Gli edifici simbolo di Alessandria d’Egitto furono il faro, una delle sette meraviglie delmondo antico, e la biblioteca, cuore della cultura antica, lontana nel tempo ma attuale nei valori.Il faro è un elemento primario delle città di mare e la sua potenza evocativa deriva dall’essere,contemporaneamente, un’architettura di terra e di mare, guida nella navigazione e simbolo delporto in cui il navigante approda. La biblioteca custodisce e trasmette la cultura letteraria di unpopolo così come la città esprime la memoria collettiva di un popolo.

I Romani maturarono la capacità culturale e tecnica di trasformare la costa per adattarlaalle esigenze marinaresche, dedicando grandi aree al riparo delle imbarcazioni e al ricovero dellemerci nei magazzini. L’area portuale di Ostia fu tra le più vaste dell’antichità e richiese grandiopere di trasformazione per realizzare il porto sotto l’imperatore Claudio nel I secolo d.C. Durantel’impero di Traiano fu costruito il porto esagonale, più razionale e funzionale, che ancora oggi se-gna il paesaggio archeologico.

Già in epoca romana l’uomo abitava l’area lagunare veneta ma è nell’Alto Medioevo che lepopolazioni fuggirono dalla terraferma per salvarsi dalle invasioni barbariche e rifugiarsi sulleisole protette, difese naturalmente dalle acque della laguna. Sorse così Venezia destinata a diven-tare città-stato ricca e potente, città-porto che sul mare costruisce la propria buona sorte. Veneziaè nell’immaginario collettivo la città d’acqua per eccellenza, basti pensare che sia Stoccolma siaAmsterdam, bellissime e storiche città di mare, vengono entrambe talvolta chiamate “Venezia delNord”.

Nello stesso periodo, in Giappone, Osaka si sviluppava come città-porto grazie alla feliceposizione sull’isola di Honshu, alla foce del fiume Yodo. I ritrovamenti archeologici attestano iprimi insediamenti umani nel VI e V secolo a.C. ma lo sviluppo come porto si ebbe nel periodoKofun (III-VI sec. d.C.), quando Osaka assunse il ruolo di sbocco a mare delle attività economichedel Giappone nord-occidentale e divenne crocevia dei traffici marittimi.

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Dal mare veniva il potere economico e politico delle Repubbliche Marinare che erano nodidi una fitta rete di scambi commerciali marittimi. Le rotte navali univano Amalfi, Genova, Pisa eVenezia con tutti gli altri porti del Mediterraneo, favorendo le attività produttive e la ricchezza, ga-rantendo l’autonomia e il privilegio dell’indipendenza. Non è un caso che nella bandiera della ma-rineria italiana si trovino i quattro simboli delle Repubbliche Marinare.

Nel Nord Europa, dall’VIII all’XI secolo, i Vichinghi furono esploratori, guerrieri, mercanti epirati, legando tutte queste attività al mare. Forti delle loro grandi capacità marinaresche,dalla Norvegia, Danimarca e Svezia si espansero ad Est sulle coste della Finlandia e della Russia, aOvest verso Inghilterra, Scozia e Irlanda, spingendosi fino all’Islanda, la Groenlandia e il Canada, aSud sulle sponde atlantiche di Francia e Spagna. Infine, i Vichinghi navigarono anche nelMediterraneo, toccando la Spagna andalusa, la Corsica, l’Africa settentrionale e l’Italia meridionale.

Le teorie sul perché i Vichinghi lasciarono le loro terre per conquistarne altre sono diversi-ficate e vanno dalla crescita della popolazione alla scarsità di terreni abitabili e così via. Forse ro-manticamente, io immagino che non riuscirono a resistere alla tentazione di affrontare e scoprireil mare aperto. L’arte di navigare, nell’armonia con gli elementi naturali della terra e dell’acqua,produssero una civiltà colta quale fu quella normanna che influenzò notevolmente la storia euro-pea, in particolare sulle coste e nelle città di mare, risalendo di lì verso i territori interni.

Le acque inquiete del Mare del Nord suggeriscono il riparo nelle acque interne per le città-porto storiche di Amburgo, Amsterdam, Anversa, nel vecchio continente. Allo stesso modo, nelnuovo continente, la città-porto di New York sorge sull’Hudson, fondata nel 1624 dai coloni olan-desi con il nome originario di Nieuw Amsterdam. Ricorre spesso la tipologia del porto fluviale conla città che sorge laddove il corso d’acqua del fiume s’incontra con l’acqua del mare e viceversa.

Il Solent è uno stretto di mare a sud dell’Hampshire, nell’Inghilterra meridionale, da cui par-tono profondi canali dove sono ubicati i due porti storici dell’Inghilterra: Portsmouth e

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Fig. 15 - Venezia, città d’acqua per eccellenza (Laguna Veneta) (Foto di Gabriella Esposito De Vita).

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Southampton. La HMS Victory salpò da Portsmouth, base della Royal Navy, per conquistare la su-premazia inglese sui mari sconfiggendo la flotta napoleonica nella battaglia di Trafalgar, sotto ilcomando dell’Ammiraglio Orazio Nelson. Da Southampton salpò il transatlantico Titanic per an-dare incontro al più famoso tragico naufragio della storia della navigazione, sotto la controversaguida del comandante Edward John Smith.

Nel caso di mari più mansueti come il Mediterraneo, spesso le città affacciavano con i loroporti direttamente sulle acque aperte, favorendo relazioni più dirette tra le diverse comunità e ge-nerando una maggiore unitarietà culturale e sociale. (Colletta, 2006) Per questo, oggi, Barcellona,Marsiglia, Napoli, Tripoli e le tante altre città portuali mediterranee possono considerarsi un unicosistema antropizzato complesso.

Nella storia delle città di mare, il porto ha vissuto varie stagioni modificandosi sia sul pianodelle funzioni sia delle forme assunte. In alcuni momenti storici, la città di mare coincide con il suoporto, in altre fasi l’area portuale è assolutamente distinta dalla città.

Dal porto le barche partono verso il mare aperto che dà vita e speranza, ma dallo stessomare vengono i pericoli che danno paura e morte. Dal mare in tempesta arriva la furia delle ondeche distrugge quanto l’uomo ha costruito, dal mare arrivano pirati e nemici per conquistare e sot-tomettere.

La difesa dai pericoli naturali e umani suggerisce la trasformazione della linea costa con lacreazione di adeguate barriere frangiflutti che difendano dai marosi, ma pure di architetture for-tificate che si oppongano alle forze navali avverse. Questi interventi difensivi agiscono sull’area diconfine tra mare e terra, spazio peculiare dagli equilibri delicati, habitat particolarmente fragile,determinando significative ripercussioni.

La necessità di difendersi dalle mareggiate porta alla costruzione di banchine, scogliere ebarriere frangiflutto. Si costruiscono gli approdi dove con sicurezza le imbarcazioni possano or-meggiare, salpare e attraccare, imbarcazioni che si propongono come elemento di mediazione trala costa e il mare aperto.

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Fig. 16 - Il Porto Vecchio di Copenhagen, Øresund (Canale tra il Mar Baltico e il Mare di Kattegat).

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Il lavorio degli uomini sulla linea di costa produce nuove forme che nulla hanno da invi-diare alle pur bellissime forme modellate da acqua e vento nelle rocce. Gli architetti completanolo scenario con la loro creatività finalizzata alla funzione difensiva e offensiva che si compie inmassicci edifici di inusitata bellezza. Le forme variano dall’organico al razionale, dai castelli irrego-lari che si allungano nel mare verso l’orizzonte come il Castel dell’Ovo a Napoli, alle fortezze apianta centrale e simmetrica come la Mole Vanvitelliana di Ancona, pentagonale e massiccia, at-torno alla quale sono cresciuti il porto e la città.

Del dialogo tra la città e il suo mare rimane traccia anche nella toponomastica. A Venezia, an-cora oggi, la Riva degli Schiavoni racconta le relazioni della Repubblica di San Marco con i popolidalmati così come il quartiere residenziale dei Docklands, a Londra, conserva la memoria dei trafficimarittimi intercontinentali ed esprime la cultura cosmopolita dei marinai. Port Vell a Barcellona ePorto Antico a Genova custodiscono la storia marinaresca delle due città nella modernità dei nuoviluoghi urbani, delle relazioni multiculturali, delle attività e funzioni contemporanee.

La lettura delle trasformazioni urbane delle città-porto, durante i secoli, mette in evidenza ilforte legame di dipendenza dall’evoluzione delle tecniche marinaresche. In particolare, il pro-gresso tecnologico si esprime nelle tecniche e nei materiali di costruzione delle imbarcazioni non-ché dei sistemi di propulsione a remi, a vela e a motore. (Ship)

Anche il modo di navigare si evolve, per esempio, con il miglioramento progressivo dellacapacità di bolinare delle imbarcazioni a vela e, cioè, la capacità di stringere l’angolo al vento e,quindi, di non navigare soltanto con il vento a favore.

Nell’antichità, Fenici, Greci e Romani utilizzarono e perfezionarono le galee, navi che com-binavano la spinta di una grande vela quadra o triangolare con l’utilizzo dei remi disposti su piùfile, da cui il nome “triremi” per la galea con tre file di remi. La galea ebbe grande diffusione fino alRinascimento per poi essere definitivamente sostituita dalle navi con esclusiva propulsione a vela.

La vela fu inizialmente sperimentata dall’uomo sulle imbarcazioni più piccole che eranoutilizzate per la pesca. Nel Medioevo, la “cocca” era una nave di forma tonda con un unico alberosu cui si issava una grande vela quadra, aveva una stiva coperta e poteva compiere navigazioniabbastanza lunghe.

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Fig. 17 - Il borgo di Positano e la spiaggia dei pescatori, oggi suggestiva località turistica del Golfo di Salerno (MarTirreno Meridionale) (Foto di Antonella de Cristofaro).

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In Oriente erano utilizzate le “giunche” che avevano diversi alberi e grandi vele con stecchedi irrigidimento che ne miglioravano la resistenza caratterizzandone l’aspetto. Inoltre, utilizzavanodelle sorte di timoni laterali che miglioravano le prestazioni in termini di manovrabilità e, soprat-tutto, di capacità di risalire controvento. (Junk) I Cinesi furono grandi navigatori e inventarono unasorta di bussola poi probabilmente perfezionata da Flavio Gioia. Ben prima di Cristoforo Colombo,Zheng He (Zheng He) esplorò gli oceani con la sua grande flotta guidata dall’ammiraglia “Navedel tesoro” che, si narra, misurasse 180 metri e contasse nove alberi.

Nel frattempo gli Europei navigavano con le più modeste caracche e caravelle e solo nelRinascimento si affermarono i galeoni, prima nelle flotte Atlantiche e nei Mari del Nord Europa enel Seicento anche nel Mediterraneo. C’è da chiedersi come sarebbe andata la storia se alle grandiesplorazioni di Zheng He avesse fatto seguito la volontà politica di espansione commerciale ma-rittima da parte degli imperatori della Cina. Probabilmente, gli Occidentali non avrebbero trovatospazio per le loro navigazioni e anche il destino delle città-porto europee sarebbe stato diverso.

Allora, la dimensione e la potenza della Cina non trovarono espressione nei mari ma solosulla terraferma, nel continente asiatico. Dopo alcuni secoli, il gigante cinese sta superando i Paesioccidentali a seguito dell’apertura dell’ex Repubblica Popolare al mercato globale. Sui mari laCina è oggi protagonista, grazie alla China Shipping che è tra le più importanti compagnie marit-time del mondo8.

Quando le “nuove” terre e i continenti vennero scoperti e conquistati dagli Europei, cam-biarono le rotte commerciali e le navigazioni oceaniche diventarono prevalenti su quelle nelMediterraneo che, dopo secoli di centralità, diventò un mare minore, di collegamento interno.Cambiarono le polarizzazioni sul mare e crebbero le città-porto per essere capaci di risponderealle nuove esigenze delle navi transoceaniche per merci e passeggeri.

Le navi diventavano sempre più grandi e il porto si trasformava perdendo il ruolo di luogodella mediazione tra la città e il mare, conservandolo, al limite, solo per gli addetti ai lavori e cioèi marinai e i portuali. La città di mare cambiò per la maggior parte dei cittadini comuni, ma ilrapporto con il mare venne riconquistato dalle strade e passeggiate lungomare realizzate,nell’Ottocento, in molte città europee turistiche come Nizza e Brighton.

La navigazione a vela ebbe un ultimo periodo di grande vitalità, nel XIX secolo, con i“clipper” che erano navi snelle e veloci, capaci di bolinare bene, vale a dire di stringere moltol’angolo tra la rotta e la direzione del vento. Avevano una minore capacità di carico ma potevanotrasportare merci di valore, come il tè e le spezie, in tempi rapidissimi dai siti di produzione inOriente ai mercati dell’Occidente.

Con l’accelerazione tecnologica del Novecento, navi sempre più grandi richiesero portisempre più ampi e specializzati, determinando la definitiva separazione dell’area portuale dal re-sto della città. La seconda metà del secolo scorso, dopo il conflitto mondiale, registra l’ulteriorepolarizzazione e crescita dei principali terminal marittimi con il declino di alcuni importanti porti.Infine, l’avvento dei containers stravolge il comparto dei trasporti marittimi lasciando grandi areeed edifici, soprattutto magazzini, disponibili per la trasformazione e il riuso con diversa funzione.

In quest’ulteriore fase, si susseguono interessanti processi di riqualificazione delle aree por-tuali dismesse che vengono restituite alla città con nuove destinazioni d’uso rispondenti alle esi-genze delle comunità urbane contemporanee. Tra i tanti, iniziando dagli Stati Uniti, richiamiamoNew York City, Baltimora, Boston. In Canada, si segnalano le riqualificazioni delle città-porto fluvialiMontréal e Quebéc. Nel vecchio continente, in tempi più recenti, ricordiamo gli interventi di ri-conversione e riqualificazione delle aree portuali di Londra, Amsterdam e Barcellona. Per ilGiappone, si ricordano il waterfront di Osaka e quello di Kobe. In Australia, sono interessanti pro-getti realizzati e in corso di svolgimento a Sydney, Melbourne e Perth9.

8 China Shipping, fondata nel 1997, è il simbolo dell’ossimoro cinese del “capitalismo comunista”. Dal quartier ge-nerale di Shangai copre tutte le rotte commerciali del globo con la sua flotta di 440 navi.

9 Per il recente progetto di ridisegno del waterfront di Perth vedi http://www.planning.wa.gov.au/Plans+and+policies/Metropolitan+planning/Perth+Waterfront/default.aspx.

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La contemporaneità apre nuove interessanti prospettive sul rapporto tra le città e il mare,al di là dell’aspetto meramente economico, oltre il tema della obsolescenza, del recupero e riusodelle aree portuali. Oggetto d’attenzione è la linea di costa urbana, quella parte di città che si af-faccia sul mare con le sue architetture, i luoghi, gli spazi e le funzioni.

Le buone pratiche sono già numerose in molti paesi del mondo e il mare acquisisce nuovevalenze urbane, anche se con diverse modalità alle diverse latitudini.

In Spagna, la spiaggia diventa un luogo urbano come San Lorenzo a Gijon, Malvarrosa aValencia e, soprattutto, Barceloneta nella capitale catalana. In Francia la Cité del la voile a Lorientvalorizza la tradizione marinaresca dei Francesi proseguita nelle moderne competizioni velichetransoceaniche da Bernard Moitessier a Eric Tabarly.

Meno virtuosa l’esperienza in corso negli Emirati Arabi, in particolare a Dubai e ad AbuDabi, dove l’espansione urbana ruba terreno al mare e l’edificazione unita alle politiche di svi-luppo moltiplica i valori fondiari.

Stenta a diffondersi una cultura urbana capace di rinnovarsi recuperando l’essenza storicadelle città di mare, ma confortano alcuni esempi virtuosi di architetture capaci di coniugare il lin-guaggio più contemporaneo e autentico con la memoria storica del rapporto tra gli uomini e ilmare. L’approccio progettuale, talvolta, privilegia il dialogo con il mare e, più in generale, con l’ac-qua. L’architetto considera gli edifici sulla linea di costa come navi sulla terraferma e, contempo-raneamente, come edifici galleggianti. Ne derivano forza espressiva e potenza evocativa.

Il primo oggetto architettonico e luogo urbano sul quale si vuole richiamare l’attenzione èil Musikgebouw/Bimhuis (de Poorter, 2008) nell’area portuale crocieristica di Amsterdam. Il com-plesso è stato completato nel 2005 ed è opera degli architetti danesi 3XNielsen. L’opera ha rice-vuto numerosi premi per le sue qualità architettoniche ma, nell’ottica della nostra ricerca, è moltointeressante soprattutto per il suo rapporto con l’acqua e per dialogo che il nuovo luogo urbanoha con le navi ormeggiate alla banchina retrostante.

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Fig. 18 - Nave da crociera e Musikgebouw nel canale esterno dell’area portuale di Amsterdam.

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Il Musikgebouw/Bimhuis raccoglie due sale da concerto che sono dedicate, rispettiva-mente, alla musica contemporanea e alla musica jazz. Musikgebouw è un’imponente struttura incemento armato racchiusa in una leggiadra gabbia di acciaio e vetro. Una grande pensilina asbalzo copre e definisce spazialmente un terrazzo che richiama una banchina e si offre qualeluogo sul mare, estensione del foyer verso la città che nell’acqua trova ispirazione esistenziale e vi-talità. Il Bimhuis si distingue perché si innesta sulla facciata che dà verso la terraferma a cui è col-legato da una passerella così come le navi sono collegate alle banchine ed ai terminal crocieristici.

Un altro edificio e luogo urbano particolarmente interessante, dal nostro punto di vistamare-terra ma non solo, è il Museo del petrolio di Stavanger in Norvegia. Il complesso sorge al-l’imbocco del fiordo di Stavanger ed è stato aperto nel 1999 su progetto dello studio norvegeseL2 Architects10.

Il Museo celebra l’industria estrattiva e di trasformazione del petrolio nei mari dellaNorvegia, racconta la vita quotidiana sulle piattaforme, illustra i diversi e importanti utilizzi dei de-rivati del petrolio. La configurazione architettonica è ispirata sia dalla piattaforma di trivellazionedel petrolio sia dalle case in legno del vicino centro storico.

L’interesse di questo edificio è nella sua capacità di dialogare con il mare ispirandosi, con-temporaneamente, alla tradizione e all’innovazione. La tradizione è espressa dalle pareti obliqueche richiamano le forme della città antica, in particolare, degli edifici in legno. L’innovazione è benrappresentata dai tre cilindri di acciaio che, dall’alto dei pilastri su cui poggiano, si specchianonell’acqua.

La forte integrazione con gli elementi naturali caratterizza architetture famose tra le quali,probabilmente, l’archetipo per la cultura architettonica della seconda metà del Novecento è lacasa sulla cascata di Frank Lloyd Wright realizzata tra il 1936 e il 1939 a Bear Run in Pennsylvania.Wright utilizza in modo coordinato e felice i materiali tradizionali del posto e la nuova tecnologiadel cemento armato, progettando in modo unitario l’interno e l’esterno che, in questo modo, sisviluppano in continuità con l’ambiente circostante del bosco e con l’acqua che scorre a cascatasotto la casa.

Un mirabile esempio di integrazione con gli elementi naturali del mare e della costa è of-ferto dalla Casa di Malaparte (McDonough, 1999) sull’isola di Capri (Coletta, 1982) (Petrella, 1982),costruita negli stessi anni su progetto dell’architetto razionalista Adalberto Libera e dello stessoMalaparte. L’approccio razionalista di Libera, apparentemente contrapposto all’organicismo diWright, perviene al medesimo risultato. Libera usa forme geometriche pure, intonaco liscio di-pinto di un rosso pompeiano che si stacca dalla roccia ma, allo stesso tempo, le appartiene. Lacasa rossa si adagia sul promontorio di Punta Massullo, tra i Faraglioni e il Salto di Tiberio, proiet-tandosi verso il cuore del Mediterraneo, la Sicilia e l’Africa.

L’intensa essenzialità della terrazza di copertura è completata dalla parete obliqua e curva,la gradinata ci accompagna verso la parte più interna dell’isola. All’interno, colpiscono la sempli-cità distributiva degli spazi, la spettacolarità delle grandi aperture che, non a caso, affaccianoverso il luogo d’incontro tra l’isola e le acque che la lambiscono. Lo studio, luogo di meditazione,affaccia verso l’orizzonte sul mare. Suggestivo è il camino con lo sfondo vetrato che lo rende unfaro per il navigante notturno. Casa Malaparte a chi oggi la vede appare tutt’uno con il mare e lacosta, un organismo vivente nel suo habitat naturale.

Il rapporto della Casa Malaparte con la natura e il mare emerge in tutta la sua forza nelleimmagini cinematografiche di “Le Mépris” – film di Jean Luc Godard tratto dal romanzo “Il dis-prezzo” di Alberto Moravia – che si svolge in quella particolare parte di Capri protesa a Sud versoil Mar Mediterraneo, sulla e nella architettura disegnata da Adalberto Libera.

La forza suggestiva delle immagini è utilizzata al meglio da Wright e Libera anche dall’in-terno verso l’esterno. I due architetti trattano le aperture, rispettivamente nella Casa Kaufman aBear Run e nella Casa Malaparte a Capri, come visioni dinamiche della natura, offerte al fruitoredello spazio architettonico creato dalla loro genialità.

10 Cfr. cap. 4, par. 4.3 “Mare, città e architettura nella contemporaneità”.

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EFig. 19 e 20 - Terra e acqua in Costiera Amalfitana nel Golfo di Salerno (Mar Tirreno Meridionale).

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Fig. 22 - Il porto di Ponza visto dalla rada al tramonto (Mar Tirreno Meridionale).

Fig. 21 - Barca a vela in rada nelle acque di Ventotene all’alba (Mar Tirreno Meridionale).

Sul mare, non è da meno la forza evocativa e suggestiva di navi e vascelli, natanti e imbar-cazioni. La barca ha un dentro e questo la rende simile all’architettura, un dentro che serve a dareriparo, come l’Arca di Noè che diede riparo a tutte le specie animali salvandole dal diluvio univer-sale. La barca diventa soggetto delle immagini e, quando lo sfondo oltre al mare comprende la co-sta, la barca afferma con forza e chiarezza il suo ruolo di mediazione tra la terraferma e il mare.

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Fig. 24 - L’azione antropica sulla costa: viIla a Posillipo nel Golfo di Napoli (Mar Tirreno Meridionale).

Fig. 23 - Guardando il Golfo di Napoli dagli scogli di Posillipo, verso Mezzogiorno (Mar Tirreno Meridionale).

Tante altre sono le architetture contemporanee su cui potremmo riflettere, per cogliere laricchezza semantica dei luoghi urbani che, nella contemporaneità, si relazionano al mare, alle bar-che e alla navigazione, con approcci e filosofie diverse, ma frutto di un comune sentire, come sidirà nei capitoli che seguono.

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1.4 NAVIGANDO TRA L’ANALISI E IL PROGETTO

I percorsi scientifici devono partire da basi consolidate e condivise dalla comunità scienti-fica, per approdare a nuovi elementi di conoscenza, nuove competenze e approcci metodologiciinnovativi.

Lo studioso esamina la letteratura scientifica esistente, certamente considerando gli ap-procci e le diverse posizioni, soprattutto quelle che sembrano appartenere ad una parte maggio-ritaria degli esperti dell’ambito scientifico, ma senza sottovalutare la potenzialità delle posizioniminoritarie ed “eretiche”. Lo stato dell’arte è la base comune delle conoscenze su cui costruirel’avanzamento, piccolo o grande che sia, necessario affinché una ricerca possa dirsi tale.

Il passaggio successivo è quello dell’intuizione: la scintilla che mette in moto il processocreativo. La creatività si fonda sulla fantasia, altrimenti non produrrebbe innovazione, ma deve svi-lupparsi attraverso un percorso logico e nel massimo rigore di metodo. In questo modo il pro-cesso creativo porta ad un avanzamento della conoscenza.

In sintesi, la nostra ricerca sulle città di mare si è sviluppata nelle seguenti fasi:– analisi della letteratura scientifica consolidata e delle tendenze più recenti;– messa a fuoco di un approccio innovativo al tema delle città di mare;– individuazione delle tematiche d’interesse nella città di mare;– definizione degli obiettivi e messa a punto della metodologia;– sollecitazione e interrogazione di saperi diversi attraverso dialoghi;– approfondimento della barca come elemento di mediazione tra la terra e il mare;– approfondimento di architetture e luoghi urbani che si relazionano con il mare;– interpretazione e rappresentazione, grafica e fotografica, di barche e architetture;– selezione delle città di mare su cui sviluppare i casi studio;– approfondimento dei casi studio dal punto di vista marittimo;– conclusioni per un approccio progettuale innovativo alle città di mare.

L’esperienza vissuta di una vita sul mare mi ha suggerito questo percorso di conoscenzaper le città costiere, nella convinzione che possa essere utile per sollecitare i lettori a vivere nuovesensazioni, indicando loro nuove rotte da navigare, per vivere la città e contribuire alla sua vita fu-tura dialogando con il mare.

Per osservare la città costiera in modo diverso, appunto dal mare, dobbiamo predisporciculturalmente e il primo passaggio è quello di allontanarsi fisicamente dalla costa, su un’imbarca-zione. La navigazione modifica la percezione della terraferma, offre non solo una suggestione maapre la nostra mente ad una diversa modalità di conoscenza che non è tradizionale né usuale.

Questo approccio trova nell’indagine visuale un importante ed efficace contributo perché leimmagini grafiche e fotografiche consentono di cogliere, rappresentare e trasmettere le relazioniche esistono tra l’uomo, il mare e la città. (Worth Lewis, 2004) (Davies, 2008) L’indagine visuale èstata sviluppata partendo dalla definizione di alcuni tematismi originali di seguito descritti.

Il primo tematismo è quello dell’incontro-scontro tra l’acqua del mare e la linea di costa,sintetizzabile nella contrapposizione aqua versus terram. L’habitat costiero inizia sotto il livello delmare, per poi emergere e risalire sulla terraferma e l’azione antropica dell’uomo copre l’intera fa-scia, il sopra e il sotto. Il secondo tematismo coglie il rapporto dell’uomo con la barca, strumentoattraverso il quale gli è possibile staccarsi dalla terraferma per guadagnare il mare aperto, vederela costa da una nuova prospettiva, navigare verso terre e popoli altri.

Le architetture sul mare sono il terzo tematismo dell’indagine visuale che consente di rap-presentare le costruzioni dell’uomo che si proiettano sull’acqua, spesso stagliandosi come navi,con forme e valenze semantiche desunte dalla cultura marittima. Infine, il quarto tematismo co-glie e raffigura i luoghi urbani sul mare ovvero quegli spazi di aggregazione e relazione socio-cul-turale che hanno nell’acqua un elemento caratterizzante e che esprimono pienamente la meravi-gliosa unione tra cultura marittima e cultura urbana.

Le suggestioni visive introducono e stimolano gli approfondimenti conoscitivi che sonostati sviluppati, in parallelo, nel campo nautico e in quello urbanistico-architettonico. Abbiamostudiato, nel passato e nel presente, le imbarcazioni e la navigazione, cercando di capire il legame

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tra ciò che l’uomo, nel corso dei secoli, realizzava sul mare e ciò che accadeva sulla terraferma e, inparticolare, le trasformazioni delle città di mare.

Nello stesso tempo, abbiamo analizzato il profondo legame tra cultura urbana e culturamarittima, studiando le antiche architetture proiettate sulle acque insieme ai progetti più attualie di tendenza, per capire l’essenza più vera delle città che al mare affidano la propria identità.

Il diverso punto di vista ha consentito di rileggere la letteratura più consolidata delle di-verse discipline, principalmente nautiche e urbanistico-architettoniche, ricavandone interpreta-zioni originali. La messa a sistema di queste letture parallele conduce all’elaborazione di un ap-proccio innovativo alla città di mare e ci proietta verso una metodologia di analisi e progetto checoniuga la cultura marittima con la cultura urbanistica e architettonica.

La nuova prospettiva, ispirata dalla navigazione reale sull’acqua, trova un ulteriore stru-mento nella navigazione virtuale e cioè nell’utilizzo attento e consapevole di internet. Il worldwide web mette a nostra disposizione un mare magnum di informazioni in cui dobbiamo navi-gare con prudenza, adottando procedure selettive che consentano di effettuare opportuni con-trolli e riscontri.

In primo luogo, abbiamo utilizzato tutte le opportunità esplorative di internet, cercandopazientemente e consultando tutti i documenti disponibili nei siti ufficiali: università, centri di ri-cerca, istituzioni, biblioteche pubbliche, ecc. Poi, seguendo una metodologia già sperimentata inaltri studi11, abbiamo navigato liberamente nell’arcipelago internet, utilizzando i motori di ricerca,da wikipedia a googlearth e a tutti i siti che, a cascata, la rete apriva sui temi delle città di mare,delle architetture nel vento, delle barche sulle onde.

La navigazione è la metafora che si adopera per rappresentare l’esplorazione del web che,nella contemporaneità, rappresenta la più diffusa e democratica fonte di apprendimento, soprat-

11 In particolare vedi il capitolo 2 di Clemente e Esposito De Vita (2008).

Fig. 25 - Antropizzazione della linea di costa a Positano, Golfo di Salerno (Mar Tirreno Meridionale).

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tutto per le giovani generazioni. Internet offre un’enorme quantità di immagini e documenti sullecittà di mare, sulle architetture e sulle imbarcazioni.

La ricerca attraverso internet pone problemi di rigore metodologico e di attendibilità dellefonti perché l’accesso totalmente libero non consente il controllo e la verifica dell’enorme quan-tità di informazioni. Piuttosto che rinunciare alle opportunità delle rete – crogiolandosi in un at-teggiamento romantico ruskiniano nel ricordo della ricerca che fu – abbiamo provato a mettere apunto un metodo per selezionare le fonti informative a monte.

Abbiamo cercato di utilizzare soprattutto i siti ufficiali che risultano più controllati e, di con-seguenza, più attendibili. Peraltro, abbiamo anche navigato nel mare dei blog e dei siti non uffi-ciali per avere una visione più ampia delle posizioni, anche di quelle più originali e discutibili. Sisono privilegiati i siti internazionali considerando che, per esempio, wikipedia in lingua ingleseconta oltre tre milioni di voci mentre la versione italiana ne ha circa seicentomila. Soprattutto, lacomunità wikipediana di lingua inglese è molto più ampia e consolidata, per cui i riferimenti, icontrolli e le correzioni sui testi pubblicati ne garantiscono l’affidabilità.

Abbiamo confrontato le informazioni ottenute dalla rete con quanto parallelamente at-tinto attraverso la ricerca bibliografica tradizionale, verificando l’attendibilità anche attraverso lacongruenza e le connessioni logiche. In particolare, la selezione dell’enorme quantità di informa-zioni disponibili e la verifica dell’attendibilità sono state effettuate facendo riferimento alla lette-ratura scientifica e alle fonti più tradizionali, riportate in bibliografia. I websites selezionati, quindi,sono stati inseriti nei riferimenti, indicando acronimo del sito (se presente), titolo per esteso delsito, indirizzo della pagina web, giorno, mese ed anno di consultazione. Lo stesso criterio è statoutilizzato per le voci enciclopediche on-line. Si è ritenuto opportuno indicare il giorno di consul-tazione in considerazione della velocità con cui si modificano le informazioni sul web.

Fig. 26 - La Queen Victoria a Riva degli Schiavoni, Venezia (Laguna Veneta) (Foto di Gabriella Esposito De Vita).

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Per i riferimenti bibliografici, essendo alcune tematiche di interesse diffuso e affrontate intantissime opere sia scientifiche sia a carattere divulgativo, si sono privilegiati quei testi ritenutipiù vicini alla nostra impostazione metodologica.

L’allargamento degli orizzonti consente di confrontarsi con esperti e studiosi di diverse di-scipline creando delle aree di sovrapposizione dei saperi che, a loro volta, aumentano i possibiliambiti di approfondimento richiedendo uno sforzo di circoscrizione e di finalizzazione. (Beguinot,1998) (Mazzetti, 2006) (Forte, 2008)

La riflessione teorica consente, quindi, di passare alla costruzione di una proposta meto-dologica che, però, vada verificata attraverso il riferimento a casi studio reali, emblematici eparadigmatici12.

Sono stati selezionati casi studio emblematici in relazione al nostro punto di vista, conl’obiettivo di analizzare progetti internazionali ritenuti significativi nell’ambito delle tematicheindividuate, ponendo particolare attenzione alle esperienze di riqualificazione, condotte o in atto,finalizzate a recuperare il rapporto tra città e acqua.

Tali esperienze testimoniano un rinnovato interesse per il recupero del ruolo che l’acqua haavuto nella storia del territorio, mirando a stimolare nuove politiche di sviluppo urbano che, in al-cuni casi, si mostrano in grado di apportare importanti ricadute economiche, sociali e culturali.

In particolare, la riqualificazione dei waterfronts si rivela un tema emergente nei processi dirivitalizzazione delle aree costiere e portuali, determinando, in molti casi, non solo la trasforma-zione fisica del confine tra terra e acqua ma l’opportunità di realizzare veri e propri programmi divalorizzazione del territorio.

I casi selezionati sono stati descritti in paragrafi organizzati come schede di approfondi-mento. L’utilizzo di un format comune per tali schede si è rivelato uno strumento efficace sia intermini di chiarezza del percorso descrittivo del singolo caso, sia in termini di confrontabilità dellediverse esperienze analizzate.

La scheda, corredata di immagini grafiche e fotografie, è stata sviluppata in collaborazionecon colleghi italiani e stranieri secondo il seguente schema:– Titolo: titolo sintetico ma che anticipi il focus del caso studio;– Autori: curatrici e curatori della scheda d’approfondimento del caso studio;– Parole chiave: cinque parole concordate durante l’approfondimento dei casi studio;– Focus del caso studio: il tema forte che emerge nel caso studio in relazione agli obiettivi della ri-cerca e la motivazione della scelta nella logica complessiva della ricerca;– Inquadramento storico, urbanistico e marittimo: il contesto geografico-territoriale e brevi notestoriche, funzionali alla lettura della buona pratica nell’attualità;– Descrizione del caso studio: lo scenario contemporaneo, l’esplicitazione dei principali temi e pro-blemi, la metodologia e l’attuazione degli interventi recenti sull’area costiera;– Riferimenti: volumi, riviste, websites etc. che sono stati consultati o che consentono un appro-fondimento del caso studio.

Nell’ambito della scheda elaborata, in particolare, l’esplicitazione del focus ha consentito dievidenziare in maniera sintetica e immediata il tema di interesse in relazione agli obiettivi del no-stro lavoro. In altre parole, si è inteso sottolineare le peculiarità del progetto su cui si ritiene inte-ressante focalizzare l’attenzione, per sollecitare riflessioni di carattere metodologico e culturale.

Con questo approccio, quindi, sono state esplorate diverse declinazioni di un tema ampioe trasversale come quello delle città d’acqua, per comprendere le modalità attraverso cui al-cune realtà urbane si stanno trasformando, rinnovando, sviluppando, ispirandosi al dualismoterra-acqua.

Le dodici città scelte esemplificano il felice rapporto delle rispettive comunità urbanecon il mare, nella storia e nella contemporaneità. La forma urbana, le architetture, i luoghi, gli

12 Renato De Fusco sviluppa la sua storia dell’architettura contemporanea attraverso l’approfondimento dipoche opere, scelte per la loro emblematicità e paradigmaticità, offrendo un riferimento metodologico chiaro ed effi-cace. (De Fusco, 1974)

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spazi e le funzioni raccontano la storia marittima: uomini e barche, rotte di traffici sui mari,navigazioni tra porti.

La scelta dei casi studio è stata suggerita dal mare e dalla marineria, in coerenza con ilnostro approccio al tema: città sull’acqua, porti storici e moderni, sui mari interni, sugli oceani,risalendo lungo gli estuari dei fiumi.

Le tre città scelte per il primo gruppo, costituito da porti che affacciano sul MareMediterraneo, sono Barcellona, Valencia e Marsiglia.

Con le Olimpiadi del 1992, Barcellona ha vissuto un profondo processo di recupero e ri-qualificazione della fascia costiera urbana, proponendosi come modello positivo, emblematico eparadigmatico. L’esperienza di Barcellona è stata analizzata a fondo da molti punti di vista ma,forse, senza mai guardare la città dal mare. I progetti e gli interventi a Poblenou e Barcelonetasono stati rivisitati dal mare, interpretati attraverso l’identità culturale marittima di Barcellona.

Sul mare si fondano le fortune passate e recenti di Valencia, seconda città-porto dellaSpagna sul Mar Mediterraneo. Nel 2007 e nel 2010 Valencia ha ospitato l’America’s Cup che è, pro-babilmente, la più famosa e redditizia competizione velica del mondo. La città di Valencia ha uti-lizzato la Coppa America come completamento di un processo di valorizzazione del rapportodella città con il mare durato alcuni decenni. Si può parlare di un “effetto Valencia” come best prac-tice emersa dalla competizione con le altre città candidate ad ospitare l’America’s Cup tra cuiNapoli. (Clemente, 2005)

Marsiglia è il più importante porto francese sul Mar Mediterraneo ed è caratterizzata da unafortissima identità marittima. La città ha intrapreso un percorso di rinnovamento della fascia co-stiera urbana che può conferirle il ruolo trainante per la Francia di porto-porta del Mediterraneo,coniugando mare e innovazione. Nel caso di Marsiglia la cultura marittima mediterranea diventa laparola chiave, declinata in tutti gli interventi, di recupero e di nuova realizzazione.

Nel secondo gruppo, abbiamo approfondito tre città portuali del Nord Europa la cui mari-neria si relaziona con l’Oceano Atlantico: Liverpool, Belfast e Lorient.

Nella città di Liverpool, riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, la valorizzazionedella fascia portuale a stretto contatto con la città storica rappresenta un’opportunità di ricucituradel territorio e l’acqua diventa l’elemento capace di ritessere relazioni tra organizzazione spaziale,funzioni portuali e urbane, aspetti economici, ambientali e sociali.

A Belfast la riqualificazione del waterfront ha assunto, negli ultimi anni, un ruolo rilevantenel processo di pace, in grado di riconnettere parti della città divise dal lungo periodo dei“troubles”. In questo processo di trasformazione urbana, il fiume può configurarsi come elementodinamico di coesione sociale lungo il quale incrementare sempre di più le aree “neutrali” dell’in-contro e della interazione tra i gruppi sociali divisi.

Su una riabilitazione non solo fisica ma identitaria si fonda anche l’esperienza di Lorient,città francese dalla lunga storia marittima, al centro di un processo teso ad innovare e potenziarele attività legate al suo tradizionale rapporto con il mare, realizzando luoghi dedicati alla vela ealla nautica da diporto. Gli interventi sulla linea di costa hanno fornito l’occasione per rifletteresulla riqualificazione delle aree retrostanti e per rimodellare la maglia urbana, costruendo unanuova connessione tra l’Oceano ed il centro della città.

Il terzo raggruppamento ci conduce oltreoceano, negli Stati Uniti e in Canada, precisa-mente a New York City, Québec City e Montréal.

È emblematico il caso studio di New York City, area metropolitana acquatica, sede di unporto storico e nodo strategico tra l’Oceano e le vie d’acqua interne. L’acqua rappresenta, altempo stesso, fattore di coesione tra le emergenze urbane ed elemento identitario, in grado diconnettere, nei recenti interventi di riqualificazione, antico e nuovo. Anche in questo caso il rin-novamento urbano parte dalla linea di costa, con il recupero delle aree produttive dismesse delfronte del porto.

Quebéc City è stata oggetto di un progetto di valorizzazione delle aree del primo apprododei coloni francesi, riqualificando l’ecosistema costiero lungo le coste del San Lorenzo con la crea-zione di un grande parco urbano. Il progetto si è posto l’obiettivo di restituire identità all’interfac-cia tra quartiere storico e fiume attraverso il riferimento alla genesi insediativa della città.

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Nell’ambito delle esperienze condotte nel territorio canadese, nel corso degli ultimi de-cenni, anche la riqualificazione dell’area portuale della città di Montréal ha posto particolare at-tenzione ai siti della prima fondazione. Il progetto ha rappresentato l’occasione per sperimentareuna concezione di fruizione collettiva degli spazi esterni, restituendo al porto il proprio ruolo diluogo di incontro e aggregazione. Le aree che delimitano la città verso il fiume sono state inter-pretate come occasione progettuale per valorizzare aspetti specifici della cultura locale.

Tre città fluviali, ancora nel vecchio continente, concludono gli approfondimenti: Anversa,Amburgo e Bilbao.

La valorizzazione di una vocazione portuale, ad Anversa, diventa l’occasione per costruireun ampio programma articolato in interventi di recupero dell’esistente e realizzazione di architet-tura contemporanea. La città, crocevia tra Mar Baltico e Mediterraneo, ha trovato nel rapporto conl’acqua la chiave per un rinnovamento, affidando al recupero delle aree dismesse lungo il fiumeSchelda, la valorizzazione della propria identità di città-porto di rilevanza mondiale. Al fiume è at-tribuito il ruolo di asse portante su cui si innestano le azioni di recupero, riqualificazione e rifun-zionalizzazione di parti della città in passato connesse alle attività portuali, ruolo confermato dalPiano Strategico di cui la città si è dotata nel 2006.

Nel caso di Amburgo, l’ambizioso progetto per HafenCity si fonda sulla valorizzazione diuna storica vocazione marittima. Un mix di funzioni, forme, flessibilità e sostenibilità concorronoalla creazione di un ambiente urbano favorevole all’insediamento di attività innovative, capace ditrasformare il tema dell’acqua nel fattore attorno al quale si sviluppano nuovi settori produttivi enuova economia.

Last but not least il caso della città di Bilbao, uno degli esempi più famosi di waterfront re-development, assunto come riferimento da molte grandi città, a livello internazionale. Il fiume èstato trasformato da elemento di divisione sociale ad elemento di integrazione, utilizzando l’ar-chitettura e gli spazi urbani come interazione con il fiume. In particolare, il Museo Guggenheim,progettato dall’architetto Frank Ghery, è diventato il simbolo di questa rigenerazione urbana, con-ferendo una vocazione turistica e culturale alla città ed innescando un processo virtuoso di svi-luppo economico, tanto da far parlare di effetto Bilbao.

La disanima dei casi studio ha consentito di trarre delle conclusioni metodologiche, chesono illustrate nell’ultimo capitolo del volume sotto forma di linee guida. Si apre così la prospet-tiva di sperimentare, in progetti architettonici e urbanistici, le suggestioni ricevute dal mare, im-pegno necessario per passare dall’analisi conoscitiva alle proposte di intervento.

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Capitolo 2

Saper vedere le città dal mare

L’autore affronta il tema delle città di mare attraverso la forza evocativa e la capacità di suggestionedelle immagini fotografiche, invitando all’osservazione e alla riflessione e suggerendo quattro categorieinterpretative: Terra vs acqua, Uomini e barche, Architetture sul mare, Luoghi urbani sull’acqua.Gli scatti fotografici di Massimo Clemente sostengono la tesi della ricerca e costituiscono un efficace stru-mento di interpretazione e di rappresentazione che non sostituisce ma supporta e integra, attraversol’immediatezza della percezione visiva, le tradizionali analisi scientifiche e sistematiche del territorio.

2.1 PROLOGO ALLE IMMAGINI

La complessità della città di mare può essere restituita solo dalla esperienza reale: vivereuna città di mare significa guardare l’orizzonte, sentire il rumore delle onde e del vento, respirarel’aria salmastra e, contemporaneamente, vivere l’identità dei luoghi urbani, la memoria collettivacustodita e trasmessa dalle architetture e dagli spazi della città.

Vivere in una città di mare significa poter guadagnare il mare, staccarsi dalla costa tuffan-dosi da uno scoglio, dalla spiaggia, e nuotare al largo verso l’orizzonte. Significa poter salire su unapiccola barca a remi, un dinghy a vela, una nave grande o piccola, e salpare. Staccarsi dalla ban-china e girarsi, vedere la costa che si allontana, i rumori della città che si affievoliscono per lasciareil campo ai suoni del mare, del vento, delle onde, delle vele o del motore.

Dal mare, la città offre vedute particolari che ne esaltano le caratteristiche, consentendo dicogliere le tante sfumature del rapporto tra la città e l’acqua, tra l’uomo e il mare, tra la riva e labarca, offrendoci tutta l’intensità paesaggistica dell’incontro tra acqua e terra. Lo skyline urbanodal mare, la linea di costa, le imbarcazioni con lo sfondo retrostante della terraferma realizzano unribaltamento del punto di vista che offre l’occasione di un approfondimento conoscitivo originalee innovativo.

Le immagini fotografiche semplificano e sintetizzano ma non banalizzano, piuttosto, ren-dono immediata e trasferibile la percezione di un luogo, di un fenomeno urbano. In questo modo,facilitano la coscienza e la conoscenza del proprio ambiente naturale e costruito.

La fotografia è apparentemente statica rispetto al video ma, in realtà, innesca processi psi-cologici dinamici che possono andare molto più in profondità nel nostro io. L’immagine fotogra-fica può essere, in questo modo, una rappresentazione complessa della realtà fenomenica, capacedi interagire con le diverse sensibilità e identità culturali.

Le immagini colgono gli elementi essenziali della relazione tra l’oggetto e il suo contesto:l’architettura dal mare e la terra come sfondo, la barca dalla costa e dietro il mare, la barca nelmare e la costa come sfondo, l’architettura dalla terra e lo sfondo del mare.

L’oggetto architettonico assume una valenza del tutto particolare sul mare perché il rap-porto con gli elementi naturali ne esalta alcune valenze di elemento di dialogo tra l’uomo e la na-tura. L’architettura è materia naturale trasformata in spazio antropizzato e, sul mare, il processocreativo coinvolge anche l’elemento acqua e tutto l’habitat marino e costiero.

La tradizione pittorica di rappresentazione delle città porto, delle navi e del mare proseguenel lavoro dei fotografi che scelgono, quale soggetto del loro lavoro, l’affascinante incontro-scon-tro tra terra e acqua. La capacità interpretativa e la tecnica rappresentativa dei grandi pittori dimare è stata raccolta dai fotografi e le immagini si offrono come strumento di conoscenza non su-perficiale soprattutto per le giovani generazioni.

La fotografia è uno strumento di rappresentazione recente che si sta diffondendo anche inambito scientifico come strumento di conoscenza che completa le indagini tradizionali rendicon-tate attraverso scritti, schemi grafici e tabelle. In architettura e urbanistica, la fotografia è abba-stanza utilizzata come forma di rilievo e rappresentazione dell’esistente, dello stato dei luoghi,

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della parte materica di città e architetture. Le immagini possono cogliere e ben rappresentare lerelazioni che le donne e gli uomini hanno con l’architettura e la città rendendone vivi gli spazi.

L’utilizzo scientifico di uno strumento richiede la definizione di una metodologia e di unaprocedura condivisibile in diversi scenari e da parte di soggetti indipendenti, nel nostro casocome forma di conoscenza. Le analisi tradizionali non possono certamente essere sostituite dalleimmagini fotografiche che, peraltro, rappresentano le situazioni con immediatezza, sono facil-mente trasferibili e condivisibili anche in internet, quindi, favoriscono quella conoscenza.

Inoltre, la fotografia digitale consente, rispetto alla fotografia tradizionale, una quantità discatti enormemente superiore, la grande facilità di archiviazione, la semplicità di visione, tra-sferimento e condivisione di immagini-files, che è propedeutica ad ogni forma di urbanisticapartecipata.

Il progetto urbanistico si fonda sull’analisi scientifica e sistematica del territorio e di tutte lesue componenti: la storia, la struttura e le previsioni demografiche, le attività economiche eproduttive, il sistema insediativo, i quartieri, le architetture. La progressiva complessificazionedelle analisi conoscitive del territorio allontana sempre più l’uomo comune dalla consapevolezzadell’habitat in cui vive rendendo difficile ogni partecipazione ai processi decisionali per il governodelle trasformazioni territoriali.

La fotografia digitale è uno strumento di comunicazione di massa che rende partecipi tutti,le donne e gli uomini, soggetti attivi del territorio, compiendo il primo passo verso la maggiorepartecipazione del cittadino alla pianificazione territoriale e urbanistica, e indirizzandoli verso laconsapevolezza del divenire urbano e verso quella partecipazione che, come cantava GiorgioGaber, è l’unica vera libertà.

Le immagini fotografiche sperimentano una forma interpretativa e rappresentativa per iltema del rapporto tra la città e il suo mare, nell’incontro tra cultura marittima e cultura urbana: dalmare alla costa e dalla costa al mare. Nel prologo alle immagini si individuano le categorie inter-pretative attraverso cui leggere le immagini: Terra vs acqua, Uomini e barche, Architetture sulmare, Luoghi urbani sull’acqua.

Il primo tematismo delle immagini “Terra vs acqua” rappresenta l’incontro-scontro tra dueelementi naturali così diversi di cui si compongono, rispettivamente, la costa e il mare.

“Uomini e barche” è la seconda categoria interpretativa, proposta al lettore attraversoimmagini che raccontano come l’uomo costruisce le imbarcazioni, sale a bordo e si allontanadalla costa, per raggiungere terre lontane. Le immagini mostrano uomini impegnati nella na-vigazione, imbarcazioni tradizionali e a vela, imbarcazioni moderne e tecnologiche imbarcazioni avela da competizione.

Il terzo gruppo di immagini coglie le “Architetture sul mare” che interagiscono con glielementi naturali: l’acqua, il vento, il sole. Il mare incontra le architetture e le architetturedialogano con il mare e con il tema della navigazione, in una sintesi interpretativa tra acqua,barche, terra e costruito.

I “Luoghi urbani sull’acqua” sono rappresentati nel quarto gruppo di immagini fotograficheche coglie la complessità e la valenza delle forme che la città può assumere laddove affaccia sulmare e testimonia la forte capacità di attrazione ed aggregazione che questi parti della città con-temporanea esercitano sull’uomo. L’acqua entra nella città e i luoghi urbani si proiettano sull’ac-qua realizzando una integrazione materica e semantica, annullando il confine terra-mare, com-piendo la sintesi tra cultura marittima e cultura urbana.

La città di mare può essere un laboratorio aperto per sperimentare un approccio innova-tivo alla riqualificazione urbana dei waterfront. Le immagini sono un possibile punto di ri-par-tenza, con la loro forza evocativa e la capacità di suggestione, per cogliere la sfida del progetto dispazi di vita per le donne e gli uomini, tra il mare e la terra, sulla terra, sul mare.

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2.2 TERRA VS ACQUA

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EFig. 1 e 2 - L’onda frange sulla spiaggia di Positano e l’acqua entra nella Grotta Bianca di Capri (Mar Mediterraneo).

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Fig. 3 e 4 - Scontro-incontro tra habitat marino e habitat costiero nel Golfo di Finlandia.

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Fig. 5 e 6 - L’ambiente costruito e l’ambiente naturale guardano l’orizzonte marino da Visby, Isola di Gotland (MarBaltico).

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Fig. 7 e 8 - Il mare incontra la città nel St. Peter’s Port all’alba, Guersney Island (English Channel).

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2.3 UOMINI E BARCHE

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EFig. 9 e 10 - Gente di mare in navigazione nel Solent (English Channel).

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Fig. 11 e 12 - L’isola di Wight dal Solent (English Channel).

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EFig. 13 e 14 - Barche da regata nella darsena di Southampton, Ocean Village (Estuario dell’Itchen).

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Fig. 15 e 16 - Scuola vela a Southampton e mobilità urbana d’acqua ad Amsterdam.

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2.4 ARCHITETTURE SUL MARE

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EFig. 17 e 18 - Il faro di Punta Carena e Casa Malaparte, Capri (Mar Mediterraneo).

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Architetture sul mare

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Fig. 19 e 20 - Bassa e alta marea: l’architettura dialoga con il mare, la Grande Plage (Golfo di Saint-Malo).

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EFig. 21 e 22 - Le case incontrano l’acqua a Genova Boccadasse (Mar Ligure) e a Murano (Laguna Veneta).

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Architetture sul mare

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Fig. 23 e 24 - Verticalismi navali e architettonici a New York, East River (Upper New York Bay).

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2.5 LUOGHI URBANI SULL’ACQUA

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EFig. 25 e 26 - Il Pier 17 di New York: l’area portuale diventa luogo urbano, East River (Upper New York Bay).

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Luoghi urbani sull’acqua

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Fig. 27 e 28 - Il mare entra in città nel Porto Vecchio di Copenhagen, Øresund (Canale tra il Mar Baltico e il Mare diKattegat).

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Luoghi urbani sull’acqua

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EFig. 29 e 30 - La spiaggia di Barceloneta (Mare Balearico) e il molo di Bagnoli (Golfo di Pozzuoli, Napoli).

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Luoghi urbani sull’acqua

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Fig. 31 e 32 - Guardando il mare dal giardino del Foro Italico a Palermo e dalla piazza Unità d’Italia a Trieste (MarMediterraneo).

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Capitolo 3

Archetipi e “barchetipi” sul mare

Attraverso riflessioni sulla storia della cultura marittima, Massimo Clemente ripercorre momenti significa-tivi della marineria e della navigazione, ragionando sulla forma e sulla funzione delle imbarcazioni, in re-lazione alla genesi e all’evoluzione delle città di mare. La barca è interpretata come proiezione sul maredell’habitat dell’uomo sulla terraferma, elemento di mediazione tra l’ambiente terrestre e l’ambiente ma-rino, strumento di relazione tra luoghi, popoli e culture. La cultura marittima rappresenta il fattore che,dalla preistoria all’età contemporanea, ha unito i popoli in un’unica grande comunità del mare che si ri-flette nella spazialità delle architetture e dei luoghi urbani e si esprime nella ricchezza della multicultura-lità, frutto dell’incrocio delle rotte nei mari.I disegni di Salvatore Oppido ritraggono imbarcazioni emblematiche in termini di innovazione tecnolo-gica, evidenziandone segni e significati e rivelandone i legami, culturali e formali, con le architetture dellecittà di mare affrontate nel capitolo successivo.

3.1 LA BARCA COME ELEMENTO DI MEDIAZIONE TRA TERRA E ACQUA

Guardiamo il mare e il nostro sguardo lascia la terraferma per raggiungere rapidamentel’orizzonte; si accende in noi il desiderio di andare oltre e la barca è lo strumento che realizzaquesto desiderio.

In questo nostro viaggio siamo partiti dal fondo del mare, siamo venuti su e abbiamo rag-giunto la terraferma. Abbiamo osservato le trasformazioni naturali della linea di costa, l’interventodell’uomo. Abbiamo ragionato sull’azione antropica per adattare lo spazio alle esigenze umaneavviando quel processo storico che ha determinato la nascita e la crescita delle città di mare.Adesso, partiamo di nuovo, lasciamo la terra, salpiamo dalla città-porto e, sulle onde, facciamorotta verso il mare aperto.

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EFig. 1 - Imbarcazioni alla boa nel porto di Santa Margherita Ligure (Mar Ligure).

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La storia delle città di mare è condizionata dall’evoluzione delle attività marittime e por-tuali, a loro volta strettamente dipendenti dalle tecniche navali e di navigazione. Pertanto, lastessa identità delle città di mare è permeata dalle imbarcazioni, dalle loro forme e dimensioni,dalla cultura marinaresca. (Maritime history) (Maritime history of Europe)

Se la linea di costa è il punto d’incontro e di scontro tra l’ambiente marino e l’ambiente ter-restre, la barca è la proiezione della terraferma sul mare. Grazie alla barca l’uomo vince il mareconquistando la possibilità di solcare le onde. Le imbarcazioni, grandi e piccole, a vela, remi o mo-tore, restituiscono l’uomo a quel mare da cui è venuto, quel mare che è la ragion d’essere dellacittà sull’acqua.

Le imbarcazioni costituiscono la proiezione sul mare dell’habitat dell’uomo sulla terra-ferma, una sorta di mediazione tra l’ambiente terrestre e l’ambiente marino. Si può pensare in ter-mini di terra che si proietta nel mare, lungo le banchine e le scogliere frangiflutti, per poi prose-guire sulle imbarcazioni grandi e piccole che salpano verso le acque alte.

Allora, è interessante riflettere sulla forma e sulla funzione delle imbarcazioni, così come siragiona sulle forme e sulle funzioni della città e delle sue architetture. Le imbarcazioni sono cam-biate, nei secoli, per dimensione e caratteristiche, si sono evoluti i sistemi di propulsione, sono pro-gressivamente migliorate le prestazioni, la capacità di trasporto di merci e passeggeri, l’efficacia ela sicurezza. Non altrettanto può dirsi per l’efficienza energetica e, cioè, il bilancio tra le risorseconsumate e le prestazioni ottenute, come si approfondirà nei successivi paragrafi.

Piuttosto che sviluppare un quadro esaustivo, si vogliono offrire alcuni spunti di riflessione,partendo da momenti particolarmente significativi nella storia della marineria e della naviga-zione, in relazione alla storia delle città di mare. Si parte dall’uomo che è protagonista dell’evolu-zione sia della cultura urbana sia della cultura marittima. Poi, alcune navi e imbarcazioni, famose eben presenti nell’immaginario collettivo, consentono di approfondire aspetti significativi, in de-terminate fasi storiche del rapporto tra uomini e barche, tra barche e architettura, tra architetturae città di mare.

Non è facile scegliere casi emblematici e paradigmatici, ma è possibile scegliere navi cheevocano forti suggestioni perché, per la loro storia unica, irripetibile e affascinante, appartengonoalla nostra memoria collettiva. Il “Mauretania” era la nave più grande e più veloce dei suoi tempi;nel 1907 conseguì il primato nella traversata atlantica e lo tenne per ventidue anni, ma non tuttila conoscono.

Tutti ricordano il “Titanic” per il suo naufragio e non per i suoi primati; pochi sannoche aveva due gemelle, il Britannic e l’Olympic, e che quest’ultima navigò fino al 1935. Il Titanic,quella tragica notte tra il 14 e il 15 aprile, è entrato nella memoria collettiva e il ricordo è statoalimentato da racconti, indagini, esplorazioni, film, leggende su quanto accadde durante ilnaufragio e fu riportato dai fortunati superstiti.

La forma della barca è generata dalla funzione di ben galleggiare e navigare unitamentealla necessaria capacità di ospitare perlomeno chi la conduce. La conformazione della barca,sia della carena sia della coperta, deve essere polivalente ed adeguata a fronteggiare le mute-voli condizioni meteorologiche e marine. Le imbarcazioni devono potersi adattare alle diversesituazioni, alle più o meno forti intensità del vento, al moto ondoso, alla navigazione sotto costao al largo.

Ci sono barche nate per navigare sotto costa, su fondali bassi, altre pensate per risaliredall’estuario dei fiumi in mare, lungo i corsi d’acqua, fin nelle lontane aree rurali. Ci sono barchefatte per navigare nei mari interni, protetti, e barche pensate per lunghe navigazioni nei mariaperti, negli oceani.

La barca, in navigazione, esprime l’armonia e l’equilibrio tra l’opera viva in acqua e l’operamorta sopra la linea di galleggiamento, la stabilità che deriva dalla giusta distribuzione dei pesi,l’equilibrio tra forma e dimensione. In effetti, il navigare è la risultante di un sistema di forze: laforza di gravità, la spinta dal basso del galleggiamento, il vento, il moto ondoso, le correnti marine,la propulsione naturale o meccanica e la resistenza all’avanzamento. Tutti questi fattori concor-rono a determinare la forma della barca affinché risponda alla sua funzione nel migliore dei modi.

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La velocità di un’imbarcazione è funzione del rapporto tra la forma della carena, i pesi abordo, la potenza propulsiva. A parità di forze in gioco è la forma dell’opera viva a determinare ledifferenze: l’armonia del dialogo tra la barca e il mare determina la “performance”. Nell’architetturanavale, ancor più che nella progettazione architettonica sulla terraferma, la forma è determinatadalla funzione. Superfici curve e piane, spigoli, raccordi, alette, l’opera viva si conforma all’acquaentro cui scorre. Le caratteristiche del mare in cui si navigherà suggeriscono, insieme all’uso nau-tico previsto, la scelta della carena planante, dislocante o intermedia tra le due.

Sopra la linea di galleggiamento, l’imbarcazione assume forme variegate e il bordo liberoraggiunge il ponte di coperta nella necessaria continuità idrodinamica con la carena. Le cabine ele stive accolgono i naviganti, i passeggeri e le merci trasportate da una città di mare all’altra.

L’uomo crea, sulla barca, gli spazi che sono necessari allo svolgimento delle proprie azioni,al ricovero per proteggersi dagli agenti atmosferici, alla navigazione in sé. La riproduzione deglispazi di vita quotidiana richiede l’adattamento alla peculiarità della barca, sia per le dimensioni li-mitate e vincolate sia per l’instabilità propria del navigare.

Indipendentemente dalle dimensioni più o meno ridotte, la distribuzione e l’articolazionedegli spazi sono soggette a notevoli vincoli, in primis l’equilibrio complessivo dei pesi. Si sottoli-nea come si tratti di un equilibrio dinamico per il fatto che la barca è sottoposta ad un continuomovimento longitudinale e trasversale causato dal vento, dal moto ondoso, dalle correnti.

L’estetica dell’imbarcazione dipende dalla destinazione d’uso, dalle acque più o menoaperte che dovrà navigare, dalla dimensione, dal materiale di costruzione, dal sistema di propul-sione e, naturalmente, dall’apporto creativo di chi l’ha ideata e realizzata. Vogliamo mettere in ri-salto come tutto questo leghi strettamente l’estetica dell’imbarcazione alla terra da cui salpa, allaforma delle architetture e delle città. Nella città di mare, la cultura marinaresca concorre alla for-mazione dell’identità urbana e del genius loci. (Konvitz, 1978)

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Fig. 2 - Antica imbarcazione in legno, con carena piatta per la navigazione in fondali bassi e acque tranquille.

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Iniziamo con l’esame del possibile uso che può essere lo spostamento sul mare di uomini,merci o entrambi. Lo spostamento può essere finalizzato al trasporto da una costa all’altra,attraversando il mare aperto o navigando lungo la terraferma. In questo caso la rotta si confi-gura come una strada virtuale che collega due insediamenti sulla terraferma determinando rela-zioni funzionali, sociali e culturali. Lo spostamento può altresì essere finalizzato alla pesca e,quindi, con partenza e ritorno nella medesima località che unisce le due funzioni di approdo perle barche e mercato per il pescato, influenzando le attività umane e, quindi, le forme architettoni-che e urbane.

Il secondo fattore che consideriamo è il mare in cui l’imbarcazione dovrà navigare, perchéquesto influenzerà fortemente la forma della carena. Mari più inquieti richiedono una maggiorealtezza del bordo libero, che è la parte di scafo compresa tra la linea di galleggiamento e lacoperta, zona che dovrà evidentemente essere stagna. Questo influenzerà le modalità d’approdo,la forma delle banchine e del waterfront che dovrà offrire un riparo sicuro dalla forza dellemareggiate.

La dimensione delle imbarcazioni, terzo fattore, è fortemente legata alla dimensione del-l’insediamento umano da cui esse salpano, nel senso che da un piccolo villaggio di pescatori sal-pano piccoli imbarcazioni, da una grande città porto salpano grandi navi per passeggeri e per iltrasporto delle merci. Parallelamente alla scala dimensionale delle imbarcazioni, si sviluppano letipologie urbane che vanno dal piccolo insediamento sul mare fino alle grandi città, in cui l’areaportuale è una parte fortemente specializzata del sistema urbano.

Il quarto fattore che consideriamo è il materiale di costruzione che va dal papiro nell’anticoEgitto alla fibra di carbonio nei moderni scafi da competizione nei quali si sperimentano e antici-pano le nuove tecnologie dell’ingegneria navale. Storicamente, il materiale più utilizzato per co-struire imbarcazioni è stato il legno a cui si affiancava la canapa necessaria per fabbricare le cimee, insieme a lino e cotone, le vele.

La localizzazione dei cantieri navali doveva facilitare l’approvvigionamento dalle aree di ta-glio e lavorazione degli alberi più adatti, nonché della canapa e degli altri materiali. Il peso urba-nistico dei cantieri navali era direttamente proporzionale alla potenza sul mare della città ed ilmigliore esempio è offerto dall’Arsenale di Venezia. Nell’epoca d’oro, l’Arsenale occupava oltrediecimila uomini e varava centinaia di imbarcazioni ogni anno con medie produttive che ancoraoggi impressionano. Nella Venezia moderna, l’Arsenale è ancora un importante luogo urbano inquanto sede di attività culturali di rilevanza internazionale, come le mostre della Biennale diArchitettura. (Concina, 2006) (Arsenale di Venezia)

A Venezia, città d’acqua per eccellenza, l’Arsenale è l’espressione più chiara della nostra vi-sione del passaggio graduale dalla terra al mare, tramite l’architettura, le banchine, gli scali di alag-gio e le imbarcazioni che nascono sulla terraferma per poi lasciarla e prendere il mare, navigandoprima in laguna e poi verso il mare aperto per raggiungere terre lontane.

Se le barche sono l’elemento di mediazione tra la terra e il mare, esse raccontano il rap-porto complesso tra uomo, terra e mare, nei processi di trasformazione degli insediamenti umanisulle coste, nella storia delle città di mare.

Nelle pagine che seguono, si richiamano alcuni capisaldi della storia dell’uomo sui mari,spaziando dalle origini nell’antichità più remota fino alla contemporaneità con tutto il suo por-tato di tecnologie sofisticatissime. La riflessione sarà sviluppata ragionando sulle navi che hannofatto la storia della marineria, soffermandosi su alcuni casi particolarmente suggestivi perchéhanno segnato la storia dell’umanità.

La tradizionale chiave di lettura cronologica e descrittiva si arricchisce attraverso ulteriorichiavi interpretative, in relazione alla velocità della nave ed alla capacità di carico, indipendente-mente dai sistemi di propulsione. La velocità della nave può essere considerata come la contra-zione del tempo che divide una città di mare dall’altra, rafforzando il collegamento tra una costae l’altra che è al di là del mare. Parallelamente, la progressiva crescita dimensionale è stata consi-derata come dilatazione dello spazio, sulla e nella nave, che consente il miglioramento della ca-pacità di trasporto di passeggeri e merci, da un porto all’altro.

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Fig. 3 e 4 - La barca come elemento di mediazione tra la terra e l’acqua: gondole alla banchina nel sestiere di San Marco(Laguna Veneta) e “Floating Bridge” nel porto di Cowes (Solent).

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L’utilizzo del disegno, inoltre, può consentire di privilegiare alcuni segni e significati rispettoad altri, rivelando i legami, culturali e formali, tra le navi e le architetture.

3.2 STORIA SUL MARE E MEMORIA COLLETTIVA

La nascita della navigazione non è certa, né per il luogo né per la datazione e le ipotesi de-gli studiosi sono variegate, per l’assenza di fonti documentali dirette e attendibili. Alcuni studiosiritengono che la navigazione risalga addirittura a 60.000 anni a.C. e ciò sarebbe testimoniato dalraggiungimento del continente australiano da parte dell’uomo. Altri collocano l’origine della na-vigazione nel Neolitico, sulla base dei ritrovamenti archeologici delle più antiche imbarcazionicreate dall’uomo lavorando grandi tronchi d’albero. È pur vero che i ritrovamenti archeologici nondanno certezze, perché potrebbero essere arrivati a noi i resti delle imbarcazioni più robuste men-tre, magari, si sarebbe persa ogni testimonianza di imbarcazioni più antiche, ma anche più fragili.

Certamente, ad un certo punto della sua complessa vicenda evolutiva, l’uomo ha presoconsapevolezza di poter galleggiare sull’acqua tramite qualcosa, ma questo potrebbe essereavvenuto in tempi molto diversi nelle diverse regioni del mondo. L’acqua è necessaria alla vita e,per questo, i primi insediamenti stanziali sorsero vicino a fonti, fiumi, laghi. Successivamente, leantiche civiltà monumentali sorsero lungo i fiumi: Tigri, Eufrate, Nilo.

È probabile che le prime imbarcazioni siano state realizzate svuotando il tronco di ungrosso albero del quale si era empiricamente verificata la galleggiabilità, oppure collegandopiccoli tronchi o giunchi per realizzare zattere flottanti. La tecnica dello scavo del tronco è carat-terizzata dall’operosità che richiede nella lavorazione, inoltre, l’imbarcazione così ottenuta ha unascarsa stabilità. La tecnica dello scavo fu progressivamente migliorata con la bruciatura control-lata per limitare l’assorbimento dell’acqua e completata dalla lavorazione della parte esternaaffinché lo scavo avesse migliori prestazioni nautiche.

Peraltro, nel nostro ragionamento, non è tanto importante dove e quando fu costruita laprima imbarcazione quanto, piuttosto, il fatto che l’uomo guadagnò la possibilità di staccarsi dallaterraferma, aprendo una nuova fase nella storia dell’umanità che dura, sul mare, fino ai nostrigiorni. (Villiers, 1962) (Casson, 1971) (Hockmann, 1985) (Janni, 1996) (Finamore, 2004)

Il primo risultato pratico fu la possibilità di cacciare e pescare lontano dalla riva ma, soprat-tutto, l’uomo ebbe la possibilità di vedere la terraferma da un nuovo punto di vista, il che gli aprìenormi prospettive. A partire da questo momento, la storia delle imbarcazioni si sviluppò paralle-lamente alla storia delle trasformazioni operate dall’uomo sul paesaggio naturale per adattarloalle proprie esigenze. Inoltre, la conquista del mare ebbe un’enorme influenza sull’evoluzione delpensiero scientifico e sul progresso.

L’arca di Noè fa parte della tradizione delle tre religioni monoteiste che nel Medio Orientehanno la loro culla e cioè il Giudaismo, il Cristianesimo e l’Islamismo. Dio punisce gli uomini peraver rovinato la Terra a causa dei loro comportamenti sbagliati, copre tutto d’acqua con un dilu-vio e indica la nave come strumento di salvezza. L’arca salverà gli uomini migliori e preserverà lespecie animali dall’estinzione. La navigazione è la metafora del passaggio evolutivo da una faseprimordiale ad uno stadio più maturo e consapevole dell’esperienza umana e della convivenzadegli uomini tra loro e in armonia con la natura.

Nell’Antico Egitto gli uomini navigavano sul fiume Nilo e sui canali artificiali, con imbarca-zioni a vela e a remi, con diversi tipi di natanti. La navigazione poteva avere scopi commerciali dimovimentazione delle merci o rituali di celebrazione di autorità politico-religiose. Il fiume Nilo erail principale mezzo di trasporto di merci e persone, ma gli Egizi arrivarono anche a navigare nelmare aperto; secondo Erodoto di Alicarnasso i Fenici circumnavigarono l’Africa intono al 600 a.C.Le imbarcazioni più antiche furono inizialmente zattere che furono progressivamente miglioratefino a diventare delle imbarcazioni vere e proprie. Le barche che solcavano le acque del Niloerano realizzate dagli antichi Egizi unendo giunchi che venivano resi solidali con corde ricavatedalla lavorazione del papiro. Queste imbarcazioni erano spinte da remi e da vele e consentivano iltrasporto di merci e persone lungo il fiume in modo rapido e sicuro.

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Le imbarcazioni di papiro rappresentano un mirabile esempio dell’ingegno umano, dellacapacità di valorizzare quanto offerto dalla natura e si collocano in un più ampio discorso di rap-porto armonico con la risorsa fiume sui cui si fondava la civiltà egizia sin dalle origini, secondo unapproccio che mostra analogie con il moderno concetto di sostenibilità.

L’esploratore norvegese Thor Heyerdahl (Thor Heyerdahl) dimostrò che queste antiche im-barcazioni, apparentemente primitive, erano potenzialmente in grado di attraversare gli oceani,ponendo interrogativi sulle affinità e sulle relazioni culturali esistenti tra popoli divisi da migliaiadi miglia marine. Nel 1947 Heyerdahl attraversò 8000 km di Oceano Pacifico a bordo del Kontiki,zattera di balsa. Nel 1969 effettuò il primo tentativo di attraversare l’Oceano Atlantico con l’im-barcazione di giunco Ra I, riuscendo a coprire comunque 5000 km prima di abbandonare la nave.Nel 1970 costruì Ra II e riuscì a portare a termine l’impresa coprendo 6800 km da una costa all’al-tra dell’Oceano Atlantico. Infine, nel 1977-78 la spedizione Tigris nell’Oceano Indiano dimostròche l’antico Egitto avrebbe potuto avere relazioni commerciali e culturali con il lontano Oriente.

Certamente gli Egizi costruirono anche imbarcazioni in legno, in particolare per scopi ri-tuali, come le cosiddette navi del dio sole Ra, come testimoniano i ritrovamenti archeologici e imodellini di barche rinvenuti nelle tombe dei faraoni.

La nave di Cheope fu trovata in ottime condizioni di conservazione nel complesso funera-rio monumentale di Giza, ai piedi della grande piramide che ospitava la tomba del secondo fa-raone della quarta dinastia dell’antico regno. Lunga oltre quaranta metri, fu scoperta nel 1954 dal-l’archeologo egiziano Kamal el-Mallakh, scomposta in 1224 pezzi; ci vollero dieci anni per com-pletarne l’assemblaggio nel museo che ancora oggi la ospita.

La funzione rituale della nave era, probabilmente, quella di accompagnare il Faraone nelsuo ultimo viaggio funebre lungo il Nilo. Un’altra ipotesi, è che la nave non fu usata ma costruitaper essere disponibile al Faraone dopo la morte, affinché potesse seguire gli altri Dei lungo ilfiume verso il Sole.

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Fig. 5 - Modello di antica imbarcazione egizia a remi per la navigazione sul fiume Nilo.

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Il mare fu protagonista dell’antichità e dai “popoli del mare” vennero i pericoli per l’Egittoche nel XIII e XII secolo a.C. fu minacciato dalle flotte Haunebu – ovvero “dietro le isole” – come ri-sulta dalle antiche iscrizioni. La civiltà minoica si sviluppò a Creta dal III millennio fino alla metàdel secondo millennio a.C. e, nel periodo di massimo splendore, fu una potenza marittima, laprima talassocrazia della storia, essendo il suo potere basato sulla supremazia marittima nel MarMediterraneo Orientale e nel Mar Egeo.

Le navi minoiche erano dotate di alte murate per ben tenere le onde, navigavano tra laGrecia e la Turchia, consentendo fiorenti e redditizi commerci; sfruttavano il Meltemi, vento sta-gionale ben noto ai velisti che frequentano le Isole Cicladi. (Avilia, 2002)

Il collasso della civiltà minoica da alcuni storici è messo in collegamento con il cataclismadi Santorini ed il conseguente violento maremoto. L’onda gigante potrebbe aver colpito le costedi Creta e delle altre isole, travolgendo i porti e, soprattutto, affondando le navi, strumento dell’e-conomia e del potere minoici.

Al mare, alle navi ed alla navigazione si lega lo spostamento del baricentro della civilizza-zione del mondo antico, dalla Mezzaluna Fertile ai Paesi del Mediterraneo. Questo spostamento fupossibile perché sia i Greci sia i Fenici furono grandi navigatori e furono capaci di valorizzare lagrande risorsa costituita dal Mar Mediterraneo.

Sul mare, i Greci difesero la propria libertà e indipendenza combattendo e sconfiggendonella battaglia di Salamina la flotta persiana e i suoi alleati, Egizi e Fenici.

La civiltà dei Fenici si sviluppò dal secondo millennio fino al IV secolo a.C. nell’attuale re-gione del Libano e in parte delle attuali Siria, Israele e Palestina. Le città-stato fenicie erano indi-pendenti anche se solidali tra loro e avevano un’organizzazione politica ed amministrativa similealle successive polis greche. I Fenici furono uniti dalla comune cultura commerciale marittima cheli spinse lungo le coste europee in Italia, Spagna, Portogallo e sulle coste settentrionali dell’Africa,fino alla Tunisia e al Marocco.

Le città-stato dei Fenici erano costruite su promontori della costa, erano proiettate verso ilmare ma avevano un forte legame con le zone interne dalle quali provenivano i prodotti da com-merciare come il legno di cedro. Le più importanti città fenicie furono Tiro e Sidone; la principalecolonia fu Cartagine, fondata in Tunisia nel IX secolo e distrutta dai Romani nel 146 a.C. alla finedella terza guerra punica.

I Romani, a Cartagine, distrussero anche il mitico portolano cartaginese, di cui sono statitrovati alcuni frammenti, facendo ipotizzare che si trattasse di grandi tavole di argilla. Di ritorno daogni navigazione, i Cartaginesi effettuavano un puntuale resoconto, descrivendo le rotte, i venti, lecorrenti, le coste, le isole e le altre navi incrociate. Per capire quale importanza avesse la cono-scenza delle coste e delle rotte nella competizione sul mare, si pensi che gli antichi potevanoarrivare ad autoaffondare una propria nave se si rendevano conto di essere inseguiti e spiati.

I Cartaginesi furono grandi navigatori e si narra, da fonti romane, che Imilcone raggiunse laBritannia e Annone navigò lungo le coste dell’Africa occidentale. (Gråberg, 1802) Le fonti disponi-bili non sono sufficienti a ricostruire con esattezza le caratteristiche e la tecnica costruttiva dellenavi fenicie (Bonino, 2009), ma consentono di fare delle ipotesi. Sulla base dei dipinti, delle testi-monianze storiche e dei relitti ritrovati sui fondali marini, come ad esempio la nave punica diMarsala, si possono tracciare alcune linee guida.

Le navi fenicie erano tecnologicamente avanzate, ben manovrabili grazie al doppio timonee con sistemi di carico molti razionali, fattori che contribuirono al predominio dei Fenici sulle rottemercantili del Mediterraneo, in particolare dal XXIII al IX secolo a.C. Avevano la chiglia in pezzounico, il bordo libero basso, la doppia propulsione a vela ed a remi. Si deve probabilmente aiFenici l’introduzione della seconda fila di remi sulle galere. (Bonino, 2005 e 2009)

Ulisse è un personaggio conosciuto e caro a tutti noi in quanto rappresenta, nell’im-maginario collettivo, l’uomo che combatte per superare le avversità della vita e riesce a farlograzie alla sua intelligenza, alla determinazione e alla tenacia. Il mare ha un ruolo importantenell’Odissea perché è il collegamento tra un evento e l’altro, contemporaneamente, fonte dipericolo e liberazione dal pericolo stesso. Ogni volta che Ulisse lascia la terra e salpa, la naviga-

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zione gli consente di concludere una fase del suo viaggio e di proiettarsi verso la fase successiva.La nave, per Ulisse, è lo strumento per ampliare le prospettive di conoscenza e arricchire l’espe-rienza esistenziale. Il mare è la via di liberazione per scappare dai Ciclopi, da Circe, da Calypso, daScilla e Cariddi. Il mare è la via per ritornare a casa, seppur dopo tante peripezie, ritrovare i propricari cacciando i Proci usurpatori e riprendendo la propria vita, perché la navigazione lo ha reso piùricco di vita vissuta.

In particolare, l’episodio delle sirene ha un forte valore evocativo perché Ulisse, grazie allostratagemma di legarsi all’albero e tappare le orecchie dei compagni, può navigare ascoltando ilcanto ammaliatore senza farsi risucchiare. L’intelligenza gli consente di spingere all’estremo la vo-glia di conoscenza, anche se rischiando molto: il mare è fonte di sapere, di pericolo e di salvezza.

Il mare ha sempre sedotto gli uomini coraggiosi che, grazie alle loro esplorazioni, sono en-trati a far parte della storia e dell’immaginario di tutti noi, talvolta dimenticando il contributo de-terminante che fu dato dagli equipaggi. I marinai delle grandi spedizioni marittime furono prota-gonisti, spesso inconsapevoli; lottarono, soffrirono e tanti persero la vita in mare per garantire lagloria a pochi.

Secondo la tradizione, il più audace navigatore greco fu Pitea che visse nel IV secolo a.C. edesplorò il Mare del Nord partendo da Marsiglia, sua probabile città natale. Pitea navigò nei Maridel Nord e raggiunse la mitologica isola di Thule, posta a sei giorni di navigazione dalla Bretagna,che potrebbe essere l’attuale Islanda ma anche un’isola norvegese. Conobbe la straordinarietà delfenomeno delle maree, intuendone il legame con le fasi lunari e osservò il sole di mezzanotte el’aurora boreale. (Pytheas)

La straordinarietà delle navigazioni di Pitea testimonia la centralità del Mar Mediterraneonella storia delle civiltà antiche. Superare lo Stretto di Gibilterra e raggiungere terre scono-sciute era un’impresa eroica perché ci si allontanava dalle rotte abbastanza sicure e comunqueconosciute che connettevano le coste dell’Africa settentrionale, dell’Europa meridionale edell’Asia minore.

La potenza dell’antica Roma si sviluppò attorno al Mar Mediterraneo che i Romani chiama-vano “Mare Nostrum”, certamente per manifestarne il dominio ma anche per simboleggiarne lacentralità nella strutturazione geopolitica dell’Impero. La flotta militare, composta essenzialmenteda galee, aveva le sue due basi principali, rispettivamente sul Mar Tirreno a Miseno (ClassisMisenensis) e sul Mare Adriatico a Ravenna (Classis Ravennatis).

La flotta commerciale era composta di navi con lo scafo più tondeggiante (naves onera-riae), meno veloci e manovrabili delle navi da guerra ma più adatte a trasportare le merci da unporto all’altro, consentendo lo spostamento dal luogo di produzione a quello della vendita almercato. La forma delle città porto romane fu influenzata dalla comune cultura marittima nellasua interazione con la cultura urbanistica e architettonica. (Avilia, 2002)

Se l’antichità classica fu caratterizzata dal forte rapporto con il mare, il Medioevo in Europafu prevalentemente un periodo storico di terra, più che di mare. Lo scambio culturale avvenneprevalentemente lungo i percorsi terrestri, sulle vie commerciali e negli itinerari dei pellegrinaggireligiosi come, per esempio, la via francigena. Peraltro, i traffici marittimi proseguirono, così comele battaglie navali per il predominio sul Mar Mediterraneo e per il controllo delle rotte che garan-tivano vie prioritarie per gli sbocchi commerciali.

Le tipologie navali prevalenti furono le galee di derivazione greco romana e le navi tondecome la “cocca”. Le galee moltiplicarono gli ordini di rematori, conservando la vela come una sortadi motore ausiliario per spostarsi da una battaglia all’altra. Le navi tonde, invece, avevano la velaquale unico propulsore ed erano dedicate soprattutto al trasporto di merci e uomini, come in oc-casione delle crociate. Queste ultime, iniziate per motivi religiosi, progressivamente furono finaliz-zate al controllo delle rotte mercantili nel Mar Mediterraneo.

L’espansione musulmana favorì i traffici commerciali tra le coste del Nord Africa, del MedioOriente, della penisola d’Arabia e di lì verso l’India e l’estremo Oriente.

Le crociate avvennero dall’XI al XIII secolo e furono un fenomeno complesso, di natura reli-giosa, culturale ed economica che può essere letto dal punto di vista marittimo. Le crociate ave-

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vano come obiettivo principale dichiarato la liberazione dei luoghi sacri della Cristianità, le terredove Gesù nacque, visse e morì. Per raggiungere Gerusalemme e il Medio Oriente, i Crociati navi-gavano lungo le vie del mare, toccando i principali porti del Medioevo, di fatto combattendo perassicurare alle flotte cristiane la libertà di cabotaggio e di traffico marittimo nel Mediterraneoorientale. (Unger, 1980)

Nel Basso Medioevo si pongono le basi dell’ascesa di Venezia le cui flotte commerciali e mi-litari conquistarono il Mare Adriatico e svilupparono fiorenti traffici con l’Oriente vicino edestremo. Venezia è la città d’acqua per antonomasia, come la Repubblica di San Marco è l’esem-plificazione più nota di talassocrazia cioè di potere che viene dal mare. La talassocrazia è il potereeconomico e politico fondato sull’arte marittima intesa in senso ampio, ivi comprese le tecnichecostruttive navali, la capacità di navigare, il controllo delle rotte, la potenza della flotta militare el’efficacia della flotta commerciale.

La storia di Venezia si può raccontare attraverso gli spostamenti degli uomini sull’acqua, co-minciando dalle popolazioni che scapparono, in barca, per sfuggire alle invasioni barbariche incorso sulla terraferma e cercarono rifugio sulle isole della laguna veneta. (Morris, 1980)

Le isole lagunari ospitavano, già in epoca pre-romana, popoli dediti alla pesca e, in epocaromana, si formò un sistema insediativo la cui rete connettiva era costituita dalle acque della la-guna. Il nome latino Venetiae è plurale in quanto esprime la struttura policentrica degli insedia-menti lagunari e sulla terraferma collegati dalle rotte delle imbarcazioni.

Successivamente alle invasioni barbariche, che durarono dal II al V secolo dopo Cristo,rimase all’Impero Romano d’Oriente la sola fascia costiera della laguna e questo favorì la nascitadi nuovi porti come Torcello e Metamauco oggi Malamocco. Nell’VIII secolo, durante l’Esarcato diRavenna, fu stabilita la sede del Doge proprio a Malamocco, località che è situata nella parte me-ridionale dell’attuale Lido di Venezia.

All’inizio del IX secolo, la sede del Doge fu trasferita da Malamocco a Rialto, dando inizio alperiodo aureo di Venezia ed al processo di sviluppo urbano che ha generato la città sull’acquacosì come oggi la conosciamo. Nell’828 i due commercianti veneziani Buono da Malamocco eRustico da Torcello portarono le spoglie di San Marco via mare, da Alessandria d’Egitto a Veneziapassando per Malamocco.

Sulle acque della laguna i Veneziani cercarono la salvezza e la sicurezza, alle acque del mareaffidarono le loro ambizioni. Venezia fu il crocevia marittimo tra l’Impero Carolingio e successiva-mente il Sacro Romano Impero Germanico, da un lato, l’Impero Romano d’Oriente e poi l’ImperoOttomano, dall’altro lato del Mare Adriatico che, non a caso, fu chiamato Golfo di Venezia.

L’acqua è ben nota come elemento primario della città di Venezia ma analoga importanzahanno le imbarcazioni e non solo le tradizionali gondole nere che fanno parte del paesaggio ur-bano. Le navi per Venezia, ancor più che altrove, sono architetture del mare e proiezione della cittàverso l’Oriente. Solo quando si profila la fase calante, nel XV secolo, si ha l’espansione di Veneziasulla terraferma che può essere considerata una fase involutiva collegabile alla scoperta dellerotte oceaniche per le Americhe.

L’Arsenale è il luogo simbolo della potenza marittima di Venezia e della sua cultura mari-naresca. Nel cantiere della Repubblica, migliaia di navi furono varate a ritmi impressionanti ancheper le nostre moderne capacità tecniche. I maestri d’ascia veneziani idearono e sperimentarononuove tecniche di lavorazione e tipologie originali di navi, come la galeazza, più grande e meglioarmata della galea tradizionale, con la possibilità di far fuoco dalle murate laterali.

Nell’Arsenale era ubicata la Casa del Bucintoro che era la galea più importante di Veneziaperché simbolo del rapporto della città con il mare. Una volta all’anno il doge si imbarcava sulBucintoro e, con la partecipazione di tutti i Veneziani, celebrava lo sposalizio della città con il mare.

Nella tradizione marinaresca italiana, Venezia è considerata una delle quattro Repubblichemarinare, insieme ad Amalfi, Genova e Pisa, per questo presenti con i loro quattro stemmi nellabandiera tricolore della Marina militare d’Italia. (Benvenuti, 1989)

La storia delle quattro Repubbliche è variegata e alquanto sfalsata temporalmente. Se perRepubbliche marinare, poi, si intendono quelle città di mare indipendenti politicamente, la cui

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moneta era accettata in tutto il Mediterraneo e che avevano una flotta propria di navi e “fondaci”con propri consoli a rappresentarli nei principali porti, allora, Ancona e Ragusa in Dalmatia eranoRepubbliche Marinare e, secondo alcuni anche Gaeta, Trani e Noli. A ben vedere, tra l’undicesimoed il quindicesimo secolo, si sviluppò nel bacino mediterraneo una rete di città porto di diversa di-mensione ed importanza ma accomunate dalle rotte che le collegavano e che ne univano le sorti.economiche, sociali e culturali. (Maritime Republics)

Di Venezia si è detto che, senza dubbio, fu la più importante delle Repubbliche Marinare,per longevità, potenza navale, potere economico e politico nel Mar Mediterraneo. Amalfi rag-giunse la fase apicale nell’XI secolo, per poi subire la conquista normanna dal mare (1131), il sac-cheggio da parte dei Pisani (1135 e 1137) e un maremoto distruttivo (1343). Il mare diede la pro-sperità e il potere, il mare ne causò, indirettamente o direttamente, il declino. Amalfi diede i natalia Flavio Gioia che nell’immaginario diffuso fu l’inventore della bussola magnetica anche se, pro-babilmente, si tratta di un personaggio mai esistito, la bussola era già stata inventata dai Cinesi efu importata in Europa dopo il viaggio di Marco Polo.

Pisa ebbe il suo splendore nel XII e XIII secolo anche grazie all’alleanza con Genova che,però, divenuta nemica, sconfisse la flotta pisana nella battaglia navale della Meloria (1284). Pisafu un importante porto fluviale posto alla foce dell’Arno e la sua flotta, prima di soccomberea quella genovese, controllò il Mediterraneo occidentale e, in particolare, la Sardegna, la Corsicae le Isole Baleari.

Genova fu seconda per potenza, rivaleggiò con Venezia e la sconfisse nella battaglia navaleche si tenne al largo della Croazia, nel basso Adriatico, presso l’isola Curzola (1298). Sulle navi ve-neziane c’era anche Marco Polo che fu fatto prigioniero e condotto a Genova. Durante la prigio-nia, Marco Polo narrò i suoi viaggi a Rustichello da Pisa che così scrisse il Milione, sinonimo diesplorazioni avventurose e incredibili meraviglie nell’immaginario di tutti noi, navigazione vir-tuale tra mondi lontani.

La battaglia di Curzola stabilì un equilibrio tra le due potenze marittime che, successiva-mente, convissero nel Mediterraneo fino al configurarsi di nuovi scenari che spostarono versoOccidente il baricentro dei commerci marittimi. In particolare, nel XIII e XIV secolo, Barcellona as-sunse un ruolo importante di crocevia dei commerci marittimi nel Mediterraneo occidentale.

Nel XV secolo nuovi eventi di mare accaddero, nuove rotte furono percorse in acque ignoteo quasi, le marinerie del bacino mediterraneo e dei mari del Nord, fino ad allora abbastanza lon-tane, entrarono in contatto influenzandosi e arricchendosi reciprocamente. Iniziò la stagione delleesplorazioni oceaniche che vide grandi protagoniste le marinerie e i grandi navigatori delPortogallo e della Spagna. Il Mar Mediterraneo, che per migliaia di anni era stato, con le sue rotte,il fulcro dei rapporti commerciali e culturali tra le più importanti città di mare, divenne, progressi-vamente, un mare interno e secondario. (Age of discovery) (Maritime history of Europe)

L’Europa era collegata all’Oriente vicino e lontano attraverso un reticolo di itinerari terrestrie marittimi lungo i quali si sviluppavano i traffici commerciali e alcune città di mare erano glihub di queste rotte terra-mare: Alessandria, Bisanzio e Venezia furono le principali nel MarMediterraneo.

L’apertura delle nuove rotte oceaniche vide il Portogallo nuovo protagonista tra le nazionidi mare grazie, in particolare, all’opera di Enrico il Navigatore. Enrico fu un principe illuminato e,anche se in realtà navigò ben poco, promosse lo sviluppo delle arti navali, cartografiche, dellanavigazione.

Gli storici non concordano sull’esistenza di una vera e propria “scuola di navigazione” maEnrico fu senz’altro un personaggio carismatico e d’ispirazione per la marineria portoghese, an-che secoli dopo la sua morte. Certo è che in quegli anni il Portogallo iniziò l’esplorazionedell’Oceano raggiungendo le Isole Azzorre, le Canarie, Capo Verde e la costa africana fino all’at-tuale Sierra Leone. (Russell, 2000)

I reali di Spagna Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, dopo ripetuti dinieghi, ap-poggiarono Colombo che, avendo anche sostegno da alcuni finanzieri genovesi, poté intrapren-dere il suo primo viaggio per raggiungere le Indie per la via marittima occidentale. La navigazione

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Fig. 6 e 7 - Galea del XVII secolo ricostruita nel Galata, Museo del Mare di Genova (Mar Ligure).

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EFig. 8 e 9 - Galea del XVII secolo ricostruita nel Galata, Museo del Mare di Genova (Mar Ligure).

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di Colombo sancisce nella storiografia classica il passaggio dal Medioevo al Rinascimento allorchéil navigatore genovese scoprì per caso il nuovo continente.

Il 12 ottobre del 1492 la flotta di Cristoforo Colombo raggiunse San Salvador, aprendo ilprocesso storico di “europeizzazione” del mondo. Sul mare era avvenuto un evento che avrebbecambiato il corso della storia e, in seguito, fu la supremazia marittima dell’Europa che ne garantìla supremazia sul globo terraqueo. (Muscarà, 2007)

In verità, dal punto di vista navale, la spedizione di Colombo era abbastanza modesta e perquesto ancora più coraggiosa. La flotta era composta dalla nave ammiraglia Santa Maria che erauna piccola caracca accompagnata da due modeste caravelle, ancora più piccole, che erano laNiña e la Pinta. La navigazione fu tranquilla grazie alla costanza dell’Aliseo, vento caratteristicodell’Oceano Atlantico di intensità moderata e direzione favorevole.

Nel 1498 Vasco da Gama doppiò il Capo di Buona Speranza e raggiunse per primo le Indievia mare, assicurando al Portogallo il controllo del commercio marittimo con le Indie, la rotta dellespezie. È interessante notare come l’impresa di Vasco da Gama completi un processo durato oltreottant’anni e avviato da Enrico il Navigatore, il principe che insegnò ai Portoghesi a credere nelleopportunità offerte dal mare. (Hart, 1950)

Un Mar Mediterraneo ormai periferico continuò ad essere oggetto di contesa tral’Occidente cristiano e l’Oriente musulmano. Le acque di Lepanto furono lo scenario della storicabattaglia navale del 1571 con la flotta della Lega Santa guidata da Giovanni d’Austria che prevalsesulla flotta dell’Impero Ottomano, a sua volta comandata da Ali Pasha. Lepanto, Meloria, Curzola etanti altri sono i luoghi di mare insanguinati che hanno fatto la storia del Mar Mediterraneo, unastoria talvolta cruenta, di guerre per il controllo delle rotte commerciali.

La Spagna e il Portogallo furono seguiti dall’Inghilterra, la Francia e l’Olanda sulle rotteoceaniche per la conquista delle terre d’oltremare, il predominio nei traffici commerciali marittimi,la supremazia navale. Le marinerie del Mediterraneo e del Mare del Nord, che fino ad allora eranorimaste alquanto distanti, si influenzarono arricchendosi reciprocamente, dando vita ad una cul-tura marittima comune delle genti di mare europee, pur tra rivalità e guerre.

Nel XVI secolo iniziò l’ascesa dell’Inghilterra di Elisabetta I che entrò in conflitto con laSpagna di Filippo II. Francis Drake fu un eroe per gli Inglesi ed un pirata per gli Spagnoli, certa-mente fu un ottimo uomo di mare, capace di condurre una nave e di guidare una flotta anche inacque e condizioni meteorologiche molto avverse. Elisabetta I appoggiò la guerra contro laSpagna e Francis Drake ne fu il protagonista grazie alla sua perizia marinara. (Thrower, 1984)

La flotta inglese e l’Invincibile Armada spagnola si fronteggiarono nel 1588 e l’Inghilterraebbe la meglio, non tanto per la maggior potenza navale ma sul piano della marineria. Le navispagnole erano delle possenti fortezze galleggianti ma certamente meno agili e manovrabili diquelle inglesi, in più l’Armada condusse la battaglia navale con strategie proprie delle battagliesulla terraferma.

Nello scontro tra i due approcci alla guerra sul mare, vinsero i più marinari Inglesi, gliSpagnoli scapparono circumnavigando la Gran Bretagna a Nord e incontrarono violente tempe-ste che decimarono la flotta residua.

Nel XVII secolo i navigatori europei, in particolare James Cook, scoprirono e colonizzaronol’Australia e la Nuova Zelanda. (Villiers, 1967) Le popolazioni preesistenti furono sopraffatte dai co-lonizzatori che venivano dal mare e con il mare conservarono un rapporto privilegiato che ancoradura. Australiani e Neozelandesi sono uomini di mare e grandi velisti, protagonisti assoluti dellecompetizioni veliche come la Coppa America che è la regata più famosa del mondo, nota ancheai non addetti a i lavori.

Alla memoria collettiva appartiene la nave “Mayflower” che condusse i Padri Pellegrinidall’Inghilterra nell’America del Nord avviando il processo che avrebbe portato alla formazione diuna potenza mondiale e di una cultura dominante a livello planetario, cioè gli Stati Unitid’America. In realtà, le navi chiamate Mayflower erano più di una e il processo di formazione de-gli Stati Uniti non ha un punto di avvio preciso, come d’altronde tutti i fenomeni storici complessiper natura intrinseca.

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EFig. 11 - Modello di fregata, nave da guerra veloce e manovrabile del XVIII secolo.

Fig. 10 - Modello di caracca a vele latine, nave usata nelle grandi esplorazioni del XV secolo.

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L’immaginario collettivo, però, ha voluto dare un forte valore simbolico ad una nave, alporto da cui è salpata ed alla costa su cui è atterrata. La rotta della Mayflower rappresenta nellamemoria collettiva l’avventura verso il nuovo mondo e la costruzione di una società più giusta, su-perando le asperità della navigazione transoceanica sull’acqua che, in chiave religiosa, assume an-che un valore purificatore. Non a caso, il viaggio della Mayflower e lo sbarco dei Padri Pellegrini inAmerica è un caposaldo nell’educazione dei giovani statunitensi. (Arenstam et al., 2003)

Un’altra nave che appartiene alla memoria di tutti è il “Bounty”, grazie al famoso ammutina-mento, alle vicende che lo indussero e a quanto accadde successivamente, tutto narrato in ro-manzi, spettacoli e film. Il Bounty era una nave commerciale che fu trasformata in vascello armatoper intraprendere una spedizione esplorativa a Tahiti. La severità del Comandante William Blighportò all’esasperazione una parte dell’equipaggio che nel 1789 lo abbandonò su una scialuppa inmezzo all’oceano con diciotto uomini. Bligh che era un valente marinaio e, tra l’altro, aveva parte-cipato alla terza e ultima spedizione di James Cook, riuscì a salvarsi navigando per oltre tremilamiglia marine e raggiungendo l’isola di Timor. Gli ammutinati si rifugiarono nelle isole dellaPolinesia unendosi alle donne indigene ma molti furono successivamente catturati dalla spedi-zione punitiva della marina britannica. (Maxton, 2010)

Nel XIX secolo si ebbe la massima specializzazione delle navi a vela e, parallelamente, ap-parvero le prime navi mosse da motore a vapore. In questo periodo di transizione si collocano ivelocissimi clipper e i moderni windjammer.

I clipper erano navi a vela snelle e veloci che ebbero la massima diffusione verso la metàdell’Ottocento. La forma del clipper penalizzava la capienza, per cui i costi di trasporto erano ele-vati e accessibili solo ai mercanti di beni pregiati e poco ingombranti come le spezie. (Clipper)

Il windjammer era una tipologia di nave a vela, costruita nella seconda metà del XIX secoloe all’inizio del XX, in ferro e successivamente anche in acciaio, applicando le tecnologie più inno-vative ad una navigazione antica, quale è la vela. I windjammer avevano quattro o cinque alberied erano abbastanza veloci, anche se non quanto i clipper. Grazie all’uso del ferro, erano molto piùcapienti delle navi in legno e potevano essere condotte da equipaggi relativamente contenuti.(Windjammer)

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Fig. 12 - La nave da carico Wavertree costruita in ferro (1885) e oggi ormeggiata a New York, East River (Upper New YorkBay).

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La Great Eastern fu ideata da Isambard Kingdom Brunel per essere la più grande nave mairealizzata. Il piroscafo era lungo oltre duecento metri e combinava la propulsione delle vele su seialberi con quella del motore a vapore che muoveva grandi pale a ruota sui lati dello scafo.L’equipaggio di circa quattrocento uomini avrebbe consentito di trasportare ben quattromila per-sone al di là degli oceani.

In realtà la Great Eastern non ebbe la vita gloriosa che Brunel e gli investitori si aspetta-vano. Fu varata nel 1854 ma si arenò nel Tamigi e raggiunse il mare solo nel 1858 per compiere laprima traversata nel 1860 e concludere la sua vita nel 1890, quando fu demolita perché la ge-stione era troppo costosa.

Peraltro, la creatura di Brunel rimane nella memoria e nella storia per la genialità dell’inge-gnere navale che la creò, per la propulsione ibrida quanto mai moderna, per le dimensioni incre-dibili a quei tempi e, in ultimo, per aver posato il primo cavo telegrafico transoceanico dall’Europaal Nord America. (Great Eastern) (Isambard Kingdom Brunel)

Il progressivo superamento della vela e il sopravvento del motore come mezzo di propul-sione coincisero con la stagione delle grandi migrazioni verso le Americhe, a bordo dei piroscafitransoceanici, tra i quali il più noto rimane il Titanic della Compagnia di navigazione inglese WhiteStar Line. Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, il Titanic urtò un iceberg e, dopo due ore di ago-nia, affondò causando la morte di oltre millecinquecento persone. (RMS Titanic)

Il tragico avvenimento, descritto in libri, musical, film, ha reso il Titanic la nave più famosa ecitata di tutti i tempi, protagonista addirittura di un museo dedicato nel Missouri. (TitanicBranson)

Ben meno famosa è la nave gemella Olympic che pur navigò dal 1911 al 1935, traspor-tando molte migliaia di persone da una riva all’altra dell’Oceano Atlantico. Eppure l’Olympic ebbeuna vita degna di memoria, perché sopravvisse ad una tremenda collisione con la nave militareHMS Hawke, nel 1912, al largo dell’isola di Wight. Nello stesso anno, l’equipaggio dell’Olympic siammutinò chiedendo migliori condizioni di sicurezza sulla base del disastro del Titanic del quale,tra l’altro, aveva raccolto la richiesta di soccorso ma non poté intervenire perché molto lontanodall’area del naufragio. Durante la Prima Guerra Mondiale, svolse un importante ruolo di servizioe traghettamento delle truppe affondando un sottomarino tedesco nel 1918 e conquistando ilsoprannome di “Old Reliable”. (RMS Olympic)

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Fig. 13 - Nave da carico Seute Deern costruita negli Stati Uniti (1919) e oggi ormeggiata nel porto di Bremerhaven (Maredel Nord).

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Se la White Star Line puntava su dimensioni, prestigio e lusso delle sue navi, la rivale CunardLine privilegiava la velocità con i transatlantici Lusitania, Mauretania e Aquitania. La Mauretania fuvarata nel 1907 e restò in servizio fino al 1934, nel 1909 conquistò il Nastro Azzurro e cioè il pri-mato di velocità sulla rotta tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti, in direzione contraria alla Corrente delGolfo. Questo primato della Mauretania durò ben ventidue anni ma non le valse per superare latragica fama del Titanic.

Gli architetti del Movimento Moderno furono affascinati dai transatlantici, tant’è che la co-pertina di “Vers une architecture” di Le Corbusier (1920) mostra un’immagine dell’elegante pontedell’Aquitania e la Carta di Atene fu scritta dai CIAM durante la navigazione tra Marsiglia ed Atenea bordo della nave Patris II.

La grande crisi del 1929 spinse le compagnie di navigazione Cunard Line e White Star Linead allearsi per sostenere i costi di navi sempre più ambiziose, vere e proprie città galleggianti. Lafusione delle due compagnie consentì di varare e metter in regolare servizio di collegamento dauna sponda all’altra dell’Oceano Atlantico prima la Queen Mary (1934-1967) e poi la QueenElizabeth (1938-1968). Quest’ultima fu per alcuni decenni la prima nave per capienza passeggeried equipaggio, per complessive 3200 persone. (Fox et al., 1999)

Anche l’Italia volle i suoi transatlantici e il più famoso fu il Rex che, varato nel 1931, dopo al-terne vicende, nel 1933 conquistò il Nastro Azzurro e lo detenne fino al 1935. Federico Fellini lo haregalato alla memoria di tutti noi nella memorabile scena di Amarcord, quando tante piccole im-barcazioni prendono il mare di notte da Rimini, per vedere da vicino il passaggio del Rex.(Prinzhofer, 1978)

Dopo la seconda guerra mondiale, la tradizione navale italiana proseguì con l’Andrea Doria,che fu varata nel 1951 e divenne famosa per il naufragio del 1956, causato dalla collisione con lasvedese Stockholm. Minor fama ebbe la Cristoforo Colombo che, pur simile all’Andrea Doria, na-vigò dal 1953 al 1977 trasportando nel 1964 la Pietà di Michelangelo dall’Italia a New York.Simbolo dell’eleganza italiana furono anche le gemelle Michelangelo (1962-1975) e Raffaello(1963-1975), espressione della rinascita economica, tecnologica e culturale dell’Italia negli anniSessanta. (Eliseo e Piccione, 2001)

Quando negli anni Sessanta l’aereo si afferma definitivamente come mezzo di trasportoprivilegiato per superare gli Oceani, i transatlantici diventano appannaggio di pochi che cercanorelax e comfort sulle grandi navi da crociera. Parallelamente, la specializzazione spinge verso la co-struzione di navi merci sempre più grandi, confermando il trasporto marittimo come il più impor-tante strumento di sviluppo dei traffici commerciali. In particolare, dagli anni Sessanta si diffondesempre più l’uso del container che oggi è utilizzato nella quasi totalità del trasporto di merci viamare. (Vallega, 1980)

Negli anni Settanta si registra un periodo di transizione simbolicamente rappresentatodalla Queen Mary che attracca a Long Beach, in California, per non salpare più e diventare unalbergo di lusso. Sono gli anni della dismissione e demolizione degli ultimi ocean liners divenutiobsoleti a seguito dell’affermazione del trasporto aereo per motivi di rapidità ed economicità.

Un nuovo impulso si ebbe negli anni Ottanta, quando la tipologia della grande nave dacrociera, di dimensioni sempre maggiori, raccolse definitivamente l’eredità della navi di lineatransoceaniche, anche grazie al progresso tecnologico e alla formazione di una specifica do-manda del mercato crocieristico.

Alcuni famosi architetti si cimentarono nella progettazione di grandi navi da crociera cheesprimevano pienamente l’idea della nave come prosecuzione della città e delle sue architetturesul mare, al di là delle valutazioni estetiche e funzionali sia architettoniche sia navali. Le navi em-blematiche di quegli anni sono la Crown Princess di Renzo Piano (1990) ispirata ad un delfino conesiti e giudizi controversi – non sempre positivi – e la Costa Classica di Gregotti Associati (1988)dalle forme tradizionalmente legate all’architettura.

Ben più interessanti erano i progetti futuristi di Norman Bel Geddes e Raymaond Loewyche, negli anni Trenta, immaginarono transatlantici superveloci dalle forme aereodinamiche. Cosìcome, per altri motivi, suscitano interesse gli allestimenti interni che, parallelamente all’evolversi

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del gusto architettonico, proponevano decorazioni prima in stile e poi essenzialmente funzionali-ste, negli anni del Razionalismo architettonico e dell’avvento del Movimento Moderno. (Rizzo,2006) Il filone decorativo, in Italia, fu finemente rappresentato dai fratelli Coppedè nel ConteGrande e dalla ditta Ducrot nel Rex. Il design navale razionale e funzionalista fu ben interpretatoda Gustavo F. Pulitzer nel Conte di Savoia. (Prinzhofer, 1978)

Attualmente le grandi navi da crociera trasportano e ospitano decine di milioni di passeg-geri ogni anno, ma offrono ben poco contatto con il mare perché più che navi sono delle vere eproprie città galleggianti, proposte ai turisti come villaggi turistici e come parchi di divertimento.Il fatto che si muovano da un porto all’altro costituisce, di fatto, un corollario, tant’è che naviganoprevalentemente nelle ore notturne in modo da consentire, durante il giorno, le gite sulla terra-ferma, nelle città porto e nei dintorni.

Un più forte ma tragico contatto con il mare hanno i barconi di migranti che trasbordanouomini e donne disperati dalle coste dei paesi poveri verso quelle dei paesi ricchi, troppo spessotrascinandoli con sé sul fondo del mare. Le rotte della disperazione incrociano quelle del diver-timento in un grottesco sovrapporsi di vissuti umani che collega coste, città, popoli e culturelontane.

3.3 INNOVAZIONE, TECNOLOGIA E PROGRESSO DAL MARE

Le esplorazioni marittime hanno sempre contribuito, fin dall’antichità, al progresso del ge-nere umano, pur attraverso vicende complesse e talvolta tragiche. L’ambizione di raggiungereterre d’oltremare sempre più lontane ha reso necessarie innovazioni e sperimentazioni, favorendol’evoluzione delle tecniche costruttive delle imbarcazioni, il miglioramento delle capacità mari-nare e di navigazione, l’invenzione di nuovi strumenti di ausilio all’orientamento in mare.

L’apertura di nuove rotte e la scoperta di terre sconosciute hanno messo in contatto popolilontani, con conseguenze articolate che vanno dai traffici commerciali agli scambi culturali ma,nella storia, sono molte anche le conquiste violente di territori, dal mare, accompagnate da spo-liazioni e genocidi, come nel caso dell’America Latina dove i conquistadores spagnoli in pochianni distrussero del tutto civiltà plurisecolari.

Il mare è stato un campo di sperimentazione delle innovazioni tecnologiche, delle scopertee delle invenzioni dell’uomo che, sulle navi e nella navigazione, ha potuto verificare le sue intui-zioni. Nel medio e lungo periodo, possiamo dire che il bilancio delle esplorazioni sul mare è posi-tivo ed ha aiutato l’avanzamento delle conoscenze migliorando, complessivamente, la condizioneumana, anche se attraverso un percorso non lineare.

I grandi esploratori hanno fatto la storia della civiltà umana per la loro capacità di pensarein modo differente, per la loro fantasia e lo spirito di avventura. Sul mare, i grandi navigatori vol-lero solcare acque ignote, senza mappe né adeguati strumenti di orientamento, ma, quando vin-sero le avversità, il risultato fu eccezionale perché segnarono la storia dell’umanità. (Exploration)

I nomi dei navigatori sono ben presenti nella nostra memoria e i più noti appartengonoalla cultura collettiva popolare: il greco Pitea, il vichingo Eric il Rosso, Cristoforo Colombo,Ferdinando Magellano, Vasco de Gama, James Cook e tanti altri.

Molti grandi esploratori sono poco noti e soprattutto sono poco ricordati gli equipaggi checonsentirono le grandi esplorazioni. Uomini rozzi e ignoranti ma dotati di grande coraggio o in-coscienza che, comunque, hanno contribuito alla conoscenza dei mari e delle terre più lontane,anche sacrificando la loro vita, perché il mare dà e il mare prende.

Tante furono le spedizioni sfortunate, senza ritorno, ma utili perché aprirono delle rotte in-vitanti per i marinai più ardimentosi. I fratelli Vivaldi, alla fine del XIII secolo, vollero oltrepassare leColonne d’Ercole, superarono lo Stretto di Gibilterra e affrontarono l’Oceano Atlantico, forse rag-giunsero le Isole Canarie ma senza far ritorno. Giovanni Caboto, un secolo dopo, navigò su latitu-dini più settentrionali di quelle seguite da Colombo, nel tentativo di raggiungere le Indie supe-rando l’ostacolo incontrato dal navigatore genovese; raggiunse l’America settentrionale rite-

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nendo fosse l’Asia e fece ritorno in Europa, guadagnando la fiducia del sovrano inglese Enrico VII,ma la spedizione successiva gli fu fatale.

Il mare ha offerto all’uomo l’opportunità di verificare intuizioni e scoperte, partendo dal-l’empirismo per giungere alla comprensione razionale. Il principio del galleggiamento è stato sco-perto e sfruttato con le prime canoe di legno ma è stato razionalizzato quando Archimede nel IIIsecolo a.C. mise in relazione il volume del corpo immerso in acqua con la spinta idrostatica versol’alto ricevuta dallo stesso corpo.

Sul mare è stato realizzato lo sfruttamento della prima fonte di energia rinnovabile da partedell’uomo, cioè il vento, qualche millennio prima che noi dissertassimo di fonti energetiche pulitee sviluppo sostenibile, nucleare si e nucleare no. Per orientarsi in mare, l’uomo ha prima capito eutilizzato la disposizione delle stelle nella volta celeste e poi ha inventato la bussola sfruttandol’attrazione magnetica naturale. Le navi sono state il principale banco di prova dell’innovazionetecnologica fino all’avvento dell’aereo negli anni Venti.

La sintonia del marinaio con gli elementi naturali e il rapporto armonioso con il marehanno permesso di migliorare sempre più le tecniche di navigazione e le tecnologie costruttivedelle imbarcazioni. Grazie all’avanzamento delle conoscenze, navigazioni sempre più arditehanno raggiunto terre sempre più lontane offrendo un banco di prova di tante scoperte e inven-zioni. Il mare è stato una sorta di laboratorio sperimentale delle intuizioni dell’uomo le quali, dopola verifica in acqua, venivano proiettate e applicate sulla terraferma.

Dal mare il progresso è venuto in maniera diretta, attraverso l’evoluzione delle tecniche na-vali e della cultura marittima, o in maniera indiretta, per le scoperte rese possibili dalle esplora-zioni dei mari e dal raggiungimento delle terre più lontane.

Il progresso che deriva direttamente dalle arti marittime riguarda la conoscenza dei mate-riali e delle relative tecniche di lavorazione, l’ingegneria strutturale, l’idrodinamica, la meteorolo-

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Fig. 14 - La grande piazza sull’acqua ai piedi del Monumento alle Scoperte, Lisbona (Estuario del fiume Tago).

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gia, l’architettura navale, i diversi sistemi di propulsione a remi, a vela e a motore. Le conoscenzedal mare sono passate sulla terraferma e sono state utilizzate dall’uomo per adattare l’ambientenaturale ai suoi bisogni, per costruire alloggi, mezzi di trasporto, strumentazioni sempre più sofi-sticate.

La nave è stata l’unico mezzo di trasporto di persone da un continente all’altro fino alla dif-fusione dell’aereo come mezzo di trasporto e, ancora oggi, la nave è il più importante vettore ditrasporto merci a livello globale. Questo ha favorito l’applicazione sperimentale dei nuovi mate-riali, delle tecniche costruttive originali e delle tecnologie innovative nell’industria navale e nellanavigazione.

Il fenomeno è durato perlomeno fino agli anni Venti del Novecento, quando l’aeronautica èprogressivamente diventata il campo di sperimentazione delle innovazioni tecnologiche, pa-rallelamente alla conquista del mercato nel trasporto passeggeri intercontinentale a scapito deitransatlantici.

La stagione delle grandi esplorazioni dei mari, da parte dei navigatori europei, coincisetemporalmente con il Rinascimento e fu favorita dal clima di apertura culturale, dalla fiducia nellepossibilità dell’uomo, dalle scoperte, dalle invenzioni, dall’innovazione tecnologica. In Europa,l’epoca delle grandi esplorazioni si incrociò con il Rinascimento culturale ed inaugurò una fase diapertura culturale verso le scoperte scientifiche e geografiche. (Age of discovery)

Si creò un circolo virtuoso di viaggi in mare sempre più audaci che spingevano a migliorarele navi sulla base dell’esperienza che progressivamente cresceva. Di ritorno da ogni navigazione, idiari di bordo consentivano di aggiornare i portolani e le carte nautiche che diventavano, così,sempre più affidabili. Entusiasmo e fiducia alimentavano la voglia di esplorare, conoscere e con-quistare nuove terre al di là dei mari conosciuti e oltre.

La lotta per il controllo delle rotte fu molto dura e vide fronteggiarsi le principali nazioni dimare cosicché l’uso militare favorì l’innovazione nelle costruzioni navali e nelle tecniche di navi-gazione. Il progresso tecnologico fu determinante nella costruzione di imbarcazioni sempre piùcapienti, sicure e veloci e, nell’arco di un secolo, si passò dalle cocche medievali alle caracche, allecaravelle e ai galeoni.

I galeoni furono protagonisti delle dispute tra la flotte di Spagna e Inghilterra che si con-clusero con la vittoria di quest’ultima, guidata da Sir Francis Drake, sulla Invincibile Armada. In par-

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Fig. 15 - Unità navale della Guardia Costiera svedese ormeggiata nel porto di Visby, Isola di Gotland (Mar Baltico).

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ticolare, la supremazia degli Inglesi fu progressivamente conseguita attraverso l’innovazione.L’Ammiraglio John Hawkins fu un personaggio pessimo sul piano etico perché molto attivo nelcommercio degli schiavi ma notevole fu il suo interesse teso al miglioramento delle navi inglesi.Hawkins innovò profondamente l’armatura dei galeoni, con alberi e vele che migliorarono la ma-novrabilità e la velocità delle navi della Regina Elisabetta. (Andrews, 1972)

Il progresso dell’ingegneria navale produsse nuove navi per i traffici commerciali marittimiil cui incremento favorì lo sviluppo dei porti esistenti e la fondazione di nuove città portuali. InBelgio, Anversa visse un forte sviluppo, mentre, in Francia, furono fondate Brest, La Rochellee Lorient.

La simbiosi tra cultura marittima e cultura urbana visse, tra il XVI e il XVII secolo in Europa,un periodo particolarmente felice che fu favorito da molteplici fattori interrelati (Konvitz, 1978). Leprincipali città di mare si trasformarono per diventare città-porto nelle quali le funzioni si integra-vano perfettamente perché il porto era, allo stesso tempo, il centro della vita economica e dellavita sociale. L’area portuale era il principale polo commerciale in cui si concretizzava la domandadi materie prime e di prodotti posta dal territorio. Contemporaneamente, il porto era il luogo ur-bano degli incontri e delle trattative, passeggiata e mercato sul mare.

La colonizzazione del mondo da parte degli Europei avvenne per la concorrenza di molte-plici fattori il cui filo conduttore è nello spirito di avventura degli esploratori che si è potuto espri-mere nelle scoperte geografiche, grazie alla capacità di innovare sul piano tecnologico. Le tecni-che costruttive e i materiali sperimentati in mare venivano successivamente assorbiti dalla culturatecnologica di terra che li applicava nella costruzione delle nuove architetture e nella trasforma-zione delle città di mare.

Grandi imperi come la Cina svilupparono la loro potenza sulla terraferma e prestaronoscarsa attenzione al mare, lasciando ai navigatori europei l’opportunità di conquistare nuove rottee nuovi continenti. Gli Europei, invece, conquistarono le Indie Occidentali e quelle Orientali perpoi lanciarsi alla ricerca del mitologico continente australe e, infine, vincere le acque più freddedel pianeta nei due poli estremi.

L’apertura di nuove rotte oltreoceano aprì nuovi orizzonti, non solo geografici ma ancheculturali e scientifici e le menti più raffinate furono capaci di intraprendere nuovi percorsi di co-noscenza. Possiamo dire che il mondo, il nostro mondo visto come noi esseri umani lo vediamo,esiste perché è stato esplorato, studiato e classificato. Nel XVIII e nel XIX secolo furono molte lespedizioni navali con obiettivi scientifici ma vogliamo ricordare, in particolare, due protagonisti:Alexander von Humboldt e Charles Darwin.

Alexander von Humboldt, navigando tra l’Europa e le Americhe, a bordo della nave“Pizarro” dal 1799 al 1804, diede un contributo fondativo alle scienze della geografia fisica e dellameteorologia. Lo scienziato contribuì al progresso in mare e in terra attraverso i suoi studi sullacomparazione delle condizioni climatiche alle diverse latitudini, l’affievolirsi dell’attrazione ma-gnetica terrestre allontanandosi dai poli, le tempeste tropicali e la loro origine. (Alexander vonHumboldt)

Per capire il peso della capacità di navigare e l’influenza della navigazione sul progressodell’umanità possiamo ben dire che senza la nave “HMS Beagle” (HMS Beagle) la teoria dell’evolu-zionismo non sarebbe stata elaborata da Charles Darwin (Charles Darwin) (Grimaudo, 2009). Il bri-gantino “HMS Beagle” fu varato nel maggio del 1820 e, nel successivo mese di giugno, partecipòalla parata sul Tamigi del Re Giorgio VI. Dopo alcuni anni di inattività, fu trasformata in unità di ri-cognizione e salpò per tre lunghi viaggi di esplorazione intorno al mondo.

La prima esplorazione fu segnata dal tragico suicidio del Comandante Pringle Stokes, in-dotto da una profonda crisi depressiva che lo spinse a rinchiudersi nella sua cabina per due setti-mane per poi spararsi. Probabilmente, la crisi di Stokes fu causata o comunque favorita dallegrandi difficoltà della navigazione nelle acque ostili dello Stretto di Magellano.

La seconda esplorazione, durata ben cinque anni, fu guidata dal giovanissimo capitanoRobert FritzRoy che, vista la precedente tragica esperienza di Stokes, volle condividere la cabinacon un compagno di viaggio passeggero civile. La scelta cadde sul giovane naturalista Charles

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Darwin che avrebbe avuto l’opportunità di visitare ambienti naturali nelle aree del mondo piùlontane dal vecchio continente.

Il viaggio di Darwin era destinato a cambiare radicalmente la cultura scientifica occidentaleche fino ad allora aveva creduto in maniera pedissequa alla creazione del mondo descritta dal li-bro della Genesi della Bibbia. La “HMS Beagle” navigò dal dicembre del 1831 all’ottobre del 1836tra i cinque continenti offrendo a Darwin l’opportunità di scoprire il meccanismo della selezionenaturale e dell’adattamento delle specie, evidentemente in contrasto con la creazione del mondoin sei giorni raccontata dalle Sacre Scritture. (Burkhardt, 2008)

Esistono passaggi epocali per l’evoluzione tecnica della navigazione: dalla scoperta dellestelle come guida per le rotte notturne, alla invenzione della bussola che consentì il controllo an-che nelle ore diurne; dai mitici portolani dei Fenici assurdamente distrutti con Cartagine daiRomani, al progressivo affinamento delle carte nautiche da parte degli esploratori del XVII e XVIIIsecolo; dalla misurazione della latitudine attraverso il sestante, alla soluzione ben più complessadel problema di misurare la longitudine durante le navigazioni in mare aperto. (Sabel, 1995)

Sul piano costruttivo, il legno è stato l’unico materiale fino al XIX secolo quando si iniziò adutilizzare il ferro prima come elemento strutturale e poi anche per le murate e le paratie. Semprenel XIX secolo, si ebbe la lenta ma inesorabile affermazione della propulsione motorizzata che so-stituì, dopo alcuni millenni, i remi e la vela.

Navi e navigazioni furono e sono un volano anche per la ricerca sulle comunicazioni, ini-zialmente con i segnali ottici e con le bandiere del codice marittimo. Nel secolo scorso la ricercapermise l’invenzione e la messa a punto di strumenti sempre più raffinati di ausilio alla naviga-zione marittima che, successivamente, furono applicati sulla terraferma.

La scoperta delle onde elettromagnetiche trovò in mare uno straordinario campo di speri-mentazione ed applicazione. Innanzitutto ricordiamo il radar che fu sviluppato a partire dall’iniziodel Novecento e largamente utilizzato in mare durante la Seconda Guerra Mondiale, per indi-viduare la presenza di coste, ostacoli alla navigazione e altre navi ben prima del contatto visivo.Per alcuni decenni i radiofari hanno accompagnato e poi sostituito i fari luminosi nella guida deinocchieri.

L’evoluzione della radionavigazione ha prodotto il Loran (Long Range Navigation), sistemadi localizzazione radio basato su punti fissi che trasmettono dalla terraferma consentendo trian-

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EFig. 16 - Catamarano per il collegamento veloce tra la Francia e la Gran Bretagna (English Channel).

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golazioni multiple con ottima approssimazione della posizione stimata in mare. Nell’ultimo de-cennio il Loran-C è stato definitivamente sostituito dal GPS (Global Positioning System) che stimala posizione collegandosi ai satelliti in orbita. Dapprima utilizzato per la navigazione in mare, èoggi largamente diffuso sulla terraferma nei navigatori satellitari terrestri, nei palmari e nei servizidi localizzazione dei telefoni cellulari.

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Fig. 18 - Il catamarano del team di Alinghi, defender sconfitto da Oracle nella America’s Cup 2010 a Valencia (Disegnodi Salvatore Oppido).

Fig. 17 - Nel 1992 il monoscafo italiano Destriero conquistava il Nastro Azzurro, record di velocità di attraversamentodell’Oceano Atlantico (Disegno di Salvatore Oppido).

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Le innovazioni tecnologiche nei sistemi di localizzazione e nelle tecniche di controllo dellerotte hanno enormemente semplificato la navigazione, incidendo sul rapporto tra l’uomo e ilmare e, di fatto, avvicinando sempre più le città portuali tra loro. Le nuove tecnologie hanno mo-dificato le reti di connessione marittima e la stessa percezione dello spazio marino da parte del-l’uomo si è modificata. La ridefinizione della percezione spaziale, dal mare, si è spostata sulla ter-raferma, influenzando il modo di percepire e vivere le città di mare, con il conseguente ed inevi-tabile impatto sulla forma urbana.

Innovazione e tradizione sono elementi che caratterizzano le navi e la marineria, così comecaratterizzano tutte le città di mare la cui identità è fortemente marcata dalla cultura marittima.La consapevolezza del senso identitario delle comunità marittime può diventare la chiave dilettura per penetrare l’essenza più autentica delle architetture e delle città di mare, dalle navi edal mare.

3.4 RIFERIMENTI

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Capitolo 4

Città e architetture per il mare

L’analisi e l’interpretazione di luoghi urbani e architetture sul mare focalizza l’attenzione sul rapporto tral’arte del navigare e l’arte del costruire, premessa di un approccio innovativo alla riqualificazione e va-lorizzazione delle aree urbane costiere nella contemporaneità. Massimo Clemente propone una lettura del-l’ancestrale presenza dell’uomo nelle aree costiere evidenziando le relazioni tra cultura marittima e cul-tura urbana e l’influenza delle rotte e dell’evoluzione delle tecniche navali nelle trasformazioni delle città.Partendo da riflessioni sulla capacità suggestiva esercitata dal mare nella costruzione delle antiche ar-chitetture, l’autore affronta il tema del rapporto tra città e mare nella contemporaneità attraversoesempi, alla scala edilizia e urbana, frutto di un processo creativo che nel mare trova ispirazione e ragiond’essere. Le immagini grafiche di Salvatore Oppido, attraverso la forza dei segni, consentono di cogliere taleispirazione in alcune architetture emblematiche contemporanee, evidenziando le relazioni tra il progettoarchitettonico e la cultura marinaresca.

4.1 CULTURA URBANA E CULTURA MARITTIMA

L’architettura della città di mare è l’espressione forte e diretta del rapporto che la comunitàurbana ha con il suo mare. La forma della città di mare è determinata da molteplici elementi pri-mari che dialogano e interagiscono: l’acqua, l’habitat marino e quello costiero, la linea di costa, leforme create dall’uomo attraverso la produzione architettonica ed edilizia, ma anche le formecreate attraverso la costruzione di navi e imbarcazioni.

Il rapporto con il mare si esplica nella forma delle architetture, nella configurazione dei luo-ghi urbani che si proiettano sulle acque, nelle navi e nelle barche che prolungano la città, attra-verso la navigazione, verso le altre città di mare.

L’approfondimento delle attività che l’uomo svolge interagendo con il mare aiuta a sco-prire come si formano e si trasformano, influenzandosi reciprocamente, i luoghi urbani sull’acquae le navi che collegano quei luoghi sul mare ad altri, raggiungibili dopo brevi o lunghe naviga-zioni, attraverso rotte sicure o perigliose.

Nella forma che un insediamento umano assume sulla costa, si compie un’affascinante sin-tesi tra cultura urbana e cultura marittima, sintesi ricca di suggestioni e valenze semantiche che ri-vela ed esalta la forza espressiva dell’incontro tra terra e acqua. L’unione armonica della culturamarinaresca e della cultura urbana produce quella che Konvitz definisce “urban maritime culture”.(Konvitz, 1978)

L’approfondimento della relazione tra una città e il suo mare può essere sviluppato attra-verso la chiave di lettura del dialogo tra architetture e barche, tra forme che si fronteggiano sul-l’acqua e sulla terraferma. Questa particolare e originale lettura va oltre l’approccio monodiscipli-nare e rigidamente tecnico che si rivela insufficiente e inadatto a cogliere la complessità dell’inte-razione tra architetture e barche, tra terra e acqua, tra l’essere umano e il mare.

L’architetto e l’urbanista, costretti nei loro ambiti settoriali, potrebbero provare sconcertodall’accostamento tra barche e architetture, così come dubbiosi potrebbero essere gli ingegneri egli architetti navali. Cosa può legare la storia dell’architettura e dell’urbanistica con la storia dellenavi e della navigazione? Perché il futuro delle città di mare dovrebbe essere influenzato dall’e-voluzione delle navi e delle tecniche di navigazione? Forma e funzione della città e delle sue ar-chitetture dialogano con forma e funzione di navi e imbarcazioni?

La risposta a queste suggestive e affascinanti domande può venire solo se siamo capaci diallontanarci dai rigidi steccati delle discipline codificate e se riusciamo a far navigare la nostra fan-tasia, passando dalla terra al mare e viceversa.

Il primo più immediato passaggio è il possibile approfondimento del legame tra le tipolo-gie navali e la forma urbis della città-porto, facilmente rilevabile attraverso una lettura storico-ur-

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banistica che consideri l’evoluzione tecnologica di navi e navigazioni, le necessità e modalità diattracco, la trasformazione del carico, dello stivaggio e dello scarico delle merci, il trasporto nellenavi sul mare. (Konvitz, 1978 e 1994) (Lee, 2005) (Wang et al., 2007)

Il passaggio successivo è l’estensione alle aree urbane costiere ed alla lettura delle formeinsediative come espressione del rapporto della comunità di uomini e donne con il mare, analiz-zando in parallelo l’evoluzione storica degli insediamenti e l’evoluzione del rapporto con il mare.L’incontro tra i diversi saperi è fondamentale per penetrare l’essenza più profonda del legame tracultura architettonica urbanistica e cultura marittima. (Al Naib, 1991) (Kokot et al., 2008)

Questa lettura potrebbe partire dalle feluche per arrivare alle navi portacontainers, pas-sando attraverso le caravelle, i clipper e i windjammer. Ancora oggi possiamo vedere le felucheche guadagnano la terraferma sulla spiaggia gettando un ponte per caricare e scaricare le merci.La crescita dimensionale delle navi e la quantità di merci trasportate ha richiesto approdi semprepiù sicuri e grandi, sempre più integrati alla città di mare di cui il porto divenne il cuore pulsante.(Palmer, 1999) (Graf and Huat, 2009)

L’avvento dei containers ha rafforzato la globalizzazione delle reti marittime e la regionaliz-zazione delle reti che a terra iniziano e proseguono il tragitto delle merci. I porti sono prima cre-sciuti a dismisura e poi talvolta abbandonati perché le attività portuali sono state delocalizzate inaree extraurbane. Questo ha favorito prima la separazione e poi l’alienazione del porto dal tessutourbano ma anche l’allontanamento culturale della comunità urbana dal suo mare. (Vallega, 1992)(Broeze, 2002) (Levinson, 2006)

Alcune città virtuose hanno recuperato il rapporto con il mare ridisegnando la fascia co-stiera e proiettando i luoghi urbani e le architetture verso l’acqua: New York, Barcellona, Valencia,Amsterdam, ecc.1 In Italia si registrano interventi interessanti come Genova ma anche tanti pro-getti che stentano a tradursi in pratica. (Greco, 2009) (Savino, 2010)

1 Cfr. cap. 1, par. 1.2 “Oltre il waterfront”.

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Fig. 1 - Nave portacointainers nell’estuario del fiume Tago e diretta verso l’Oceano Atlantico.

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Le trasformazioni urbane delle città di mare si influenzano reciprocamente per il legameche il mare stesso realizza tra le sponde, da una costa all’altra, essendo l’acqua un fattore di me-diazione e unificante. Le città collegate dalle rotte delle navi stabiliscono legami non solo com-merciali ma anche culturali che influenzano i processi evolutivi delle comunità urbane e le tra-sformazioni fisiche delle città.

Sul piano funzionale si creano relazioni tra le attività che si svolgono su una sponda equelle che avvengono sull’altra sponda. Il ciclo parte dal reperimento delle materie prime che av-via la produzione, si prosegue con il processo di trasformazione e si conclude con la distribuzioneed il consumo delle merci. Queste fasi del ciclo possono avvenire attraverso molti passaggi marit-timi, da una sponda all’altra, da un porto all’altro, da una città di mare all’altra.

Le relazioni che si instaurano diventano presto relazioni culturali che mettono in moto pro-cessi comuni di trasformazione dell’architettura urbana, delle sue forme e delle funzioni. I luoghiurbani e le architetture della fascia costiera si proiettano sul mare e oltre, verso le altre città rag-giungibili navigando: questo assicura interdipendenza e reciproca influenza. I lungomare, lespiagge urbane, le rotonde, le piazze aperte e le passeggiate sulle banchine si proiettano sulmare, dalla città, realizzandone una prosecuzione. Il mare diventa, così, lo strumento di trasferi-mento, da una città all’altra, della complessità urbana che comprende gli uomini e le donne, leloro attività, le strade, le piazze, le case, gli edifici pubblici, tutte le architetture e la stessa “archi-tettura della città”.

Il Mar Mediterraneo offre un chiaro esempio di influenza reciproca tra le città-porto del ba-cino che unisce più che dividere l’Europa meridionale, l’Africa settentrionale e il Medio Oriente.Nel corso dei secoli la geografia politica del Mediterraneo è mutata influenzando le connessioni ele relazioni via mare. Nell’antichità, ricordiamo il rapporto tra le città della Grecia e le colonie dellaMagna Grecia, così come il modello urbano romano esportato in Nord Africa e Medio Oriente.(Janni, 1996)

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EFig. 2 - L’incontro suggestivo tra mare e architettura: Palazzo Donn’Anna a Posillipo (Golfo di Napoli).

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Successivamente, l’espansione islamica ha posto forti legami funzionali e formali tra le cittàarabe, del Medio Oriente e del Nord Africa con i centri urbani delle terre conquistate in Spagna ein Sicilia, cosicché l’osmosi culturale si è espressa nel linguaggio architettonico e urbanistico.

Il Mar Mediterraneo “è un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro, e quindi di cittàche, dalla più modesta, alle medie, alle maggiori, si tengono tutte per mano. Strade e ancora strade,ovvero tutto un sistema di circolazione” (Braudel, 1949, p. 348).

Secoli dopo, sulle coste del Nord Europa, si formò e si sviluppò la Lega Anseatica (HanseaticLeague) che raccoglieva alcune decine di città in un’alleanza finalizzata ai traffici commercialimarittimi nel Mar Baltico e nel Mare del Nord. Le rotte della Lega Anseatica, dal XIII al XVII secolo,collegarono, in un’unica grande rete, città e popoli di mare, realizzando un substrato culturaleoltre che commerciale.

Nelle città anseatiche, le tipologie urbane ed architettoniche, i caratteri compositivi degliedifici, le spazialità, pubbliche e private, si influenzarono reciprocamente. Le rotte anseatiche,dal Mar Baltico, entravano nel Golfo di Riga e nel Golfo di Finlandia, nel Mare del Nord risalivanoverso i grandi porti fluviali di Anversa, Amburgo, Lubecca e Colonia, ad Ovest raggiunge-vano Londra. I convogli di navi mercantili erano scortati da navi militari che li proteggevano daattacchi corsari.

Le città della Lega Anseatica erano città-stato indipendenti che, insieme, difendevano laloro autonomia collaborando militarmente. Lubecca e Danzica erano le principali città della Legaanche perché sede di cantieri che costruivano le navi per le altre città e oltre, fino al MarMediterraneo. Visby fu un centro importante di smistamento per la sua posizione strategica sull’i-sola di Gotland al centro del Mar Baltico. Oggi Visby fa parte della Svezia, dal 1995 è nell’elencodei siti protetti dall’Unesco perché patrimonio mondiale dell’umanità e si presenta come miglioretestimonianza dell’aspetto delle città anseatiche nei secoli dello splendore della Lega.

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Fig. 3 - Il “caos calmo” di Napoli: il costruito invade la spiaggia, Posillipo da Palazzo Donn’Anna (Golfo di Napoli).

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L’influenza commerciale e culturale della Lega Anseatica si proiettò fin dentro il cuore delMar Mediterraneo raggiungendo Napoli, l’unica città italiana che fece parte della Lega. Molti stu-diosi sottolineano l’importanza del legame anseatico nella formazione del senso identitariodell’Europa moderna (Pichierri, 1997). (Baltic connections)

Un altro importante campo di approfondimento è l’influenza del progresso tecnologicosulle trasformazioni dell’habitat umano sul mare, sulla terraferma e sul confine terra-mare.

In mare, le navi e in generale le imbarcazioni hanno vissuto una progressiva crescita di-mensionale permessa dal miglioramento delle tecniche costruttive dal XVI secolo fino al XIX.L’evoluzione delle tecniche ha consentito il progressivo passaggio dal legno al ferro e il succes-sivo passaggio è avvenuto con la diffusione della propulsione meccanica.

Fino all’età moderna, l’ingegneria navale è stata il principale ambito di sperimentazionedelle tecniche più moderne, in applicazione dell’avanzamento delle conoscenze scientifiche,fisiche e geografiche. Nuovi materiali e tecniche costruttive, nuovi propulsori e propellenti perle navi, fino al XX secolo, quando la sperimentazione in campo aeronautico superò quella incampo navale.

La trasformazione delle navi che è stata determinata dall’evoluzione tecnologica haindotto la trasformazione delle aree portuali e delle aree urbani retrostanti. Sulla terraferma,il progresso tecnologico ha condizionato il modo di fare architettura e l’evoluzione delletecniche costruttive ha trovato espressione nell’evoluzione delle forme e degli spazi architet-tonici e urbani.

L’accelerazione del progresso scientifico e tecnologico, negli ultimi centocinquanta anni, haacuito lo sfalsamento, storicamente già esistente seppure in misura minore, tra l’evoluzione so-cioculturale delle comunità urbane e la trasformazione della città fisica (Beguinot e Cardarelli,

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Fig. 4 - Le tecnologie sperimentate nell’ingegneria navale venivano applicate anche nella costruzione dei ponti, TrotskijBridge a San Pietroburgo (Fiume Neva).

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1992)2. Il progresso tecnologico ha influenzato il modo di fare architettura e urbanistica anchenelle città di mare e l’accelerazione dell’ultimo secolo sta lasciando il segno nelle nostre città, avolte positivo altre volte negativo.

L’avanzamento tecnologico ha sostanzialmente mutato il rapporto tra terra e mare perchéha consentito opere ardite di trasformazione dell’ambiente naturale costiero come il Canale diSuez, il Canale di Panama, la diga dello Afsluitdijk, il tunnel sotto la Manica, l’aeroporto di KansaiOsaka, il ponte dello Øresund, ecc.

L’arte di costruire le città e l’arte del navigare offrono un’ulteriore suggestione per interpre-tare e approfondire il complesso rapporto tra la terra e il mare, nella mediazione operata del-l’uomo. Sulla terraferma e nel mare, gli esseri umani interagiscono con l’ambiente naturale peradattarlo alle proprie esigenze e realizzare un habitat favorevole. Gli strumenti della mediazione edell’adattamento, per l’ambiente terrestre e per l’ambiente marino, sono differenti ma comparabili.

Sulla terraferma, l’antropizzazione ha modificato il paesaggio naturale quasi ovunque sulnostro pianeta ma è nelle città che abbiamo concentrato le nostre capacità creative per crearespazi e funzioni favorevoli alla vita umana. Attualmente, la maggior parte della popolazione mon-diale vive nelle aree urbane e metropolitane e la città – nelle sue diverse espressioni – è diventatal’habitat privilegiato delle donne e degli uomini del XXI secolo. (UN-Habitat, 2009)

L’ambizione dell’architetto urbanista è di costruire città belle, dove uomini e donne diculture diverse possano vivere in armonia, dove l’architettura coniughi forma e funzione in unasintesi espressiva e semanticamente forte. L’arte di costruire le città fu raccontata da Camillo Sittein modo suggestivo che oggi può apparire semplicistico ma il suo messaggio è ancora valido.(Sitte, 1889)

Sul mare, navi e imbarcazioni consentono all’uomo di vivere in spazi che riproducono ana-loghi spazi della terraferma. La nave è uno strumento di adattamento dell’ambiente naturale ma-rino alle esigenze, una sorta di tramite per l’antropizzazione del mare. Rispetto ai manufatti sullaterraferma, la peculiarità della nave è nella sua mobilità, essendo il navigare il suo scopo principale.

Navigare è un’arte della marineria e, intesa in senso ampio, comprende la progettazione ela costruzione delle imbarcazioni, la conoscenza degli elementi naturali mare e vento, la padro-nanza delle tecniche di conduzione navale, il coraggio e la prudenza. L’uomo di mare, nella navi-gazione, esprime la cultura e la memoria della comunità di mare a cui appartiene, così come ac-cade per la città che è l’espressione più viva e concreta della comunità urbana.

Comprendere e approfondire l’essenza più profonda del rapporto tra l’uomo e il mare puòaiutarci a indirizzare lo sviluppo delle nostre città di mare verso la sostenibilità. L’uomo di maredialoga con gli elementi naturali, li rispetta e ne apprezza la forza prorompente, conosce il mododi assecondare e utilizzare l’energia del vento e delle onde.

Il progressivo passaggio dalla vela al motore per la propulsione delle navi e il progressodelle tecniche per la navigazione non hanno intaccato il rapporto del navigatore con gli elementinaturali. Il timore reverenziale si è evoluto nell’alleanza con il mare e le onde: la navigazione è an-cora oggi intesa come interazione con le forze della natura, anche perché navigare continua adessere molto rischioso e tantissime sono le vittime del mare.

Le barriere protettive lungo le coste assorbono l’enorme energia generata dal mare frazio-nandola grazie all’effetto delle scogliere che distribuiscono l’impatto nei vuoti tra un blocco e l’al-tro. In alternativa, sarebbe possibile utilizzare la forza dell’acqua per soddisfare il fabbisogno ener-getico delle città di mare. Utilizzare l’energia pulita che viene dal mare è una sfida affascinanteche è già partita da alcuni anni.

In diverse parti del mondo, la linea di costa, essendo esposta ai venti causati dalle diffe-renze termiche tra terra e mare è stata riconfigurata come fabbrica del vento (Wind farm) con un

2 Beguinot distingue la città della pietra (fisica), la città delle relazioni (funzionale) e la città del vissuto (psico-per-cettiva). La città delle relazioni, a causa dell’accelerato progresso tecnologico, muta più velocemente della città fisica chenon riesce a trasformarsi in tempo utile ai nuovi bisogni funzionali.

Questa discrasia influisce negativamente sulla città del vissuto causando un disagio negli abitanti. (Beguinot eCardarelli, 1992)

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forte impatto paesaggistico che può piacere o meno ma è una realtà di fatto in paesi come laDanimarca e la Svezia.

Le onde e le correnti sono una fonte, energetica, già disponibile nelle aree costiere, certa-mente rispettosa dei principi della sostenibilità perché non inquinante e rinnovabile. La non dis-sipazione dell’energia marina può essere garantita dalle turbine che utilizzano sia i moti ondosisia le più regolari correnti marine generate delle maree e la città di mare, anche per questo, si pro-pone come un modello di città sostenibile.

La cultura urbana e la cultura marittima si uniscono e generano una cultura urbana marit-tima che unisce tutte le città di mare in una comune memoria collettiva. Questo è il nostro puntodi partenza per ripensare le città dal mare e progettare, nella contemporaneità, la riqualificazionee la valorizzazione delle aree urbane costiere.

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Fig. 5 - Bassa marea nel porto di Saint-Malo con le barche adagiate sul fondale emerso (Golfo di Saint-Malo).

Fig. 6 - L’energia delle onde e del vento plasma la costa tufacea, Capo Posillipo (Golfo di Napoli).

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4.2 SUGGESTIONI DALLE ANTICHE ARCHITETTURE SUL MARE

La volontà di dialogo dell’architettura con il mare non è un’aspirazione nuova per l’uomoma ha radici nell’antichità più remota.

Ci sono territori che sembrano aver attratto l’uomo da sempre. Ragioni di natura geogra-fica, topografica, climatica ed idrogeologica sono state fattori determinanti nella scelta del sito incui decidere di vivere in maniera stanziale o stagionale.

Le architetture sul mare, sorte in luoghi tra loro lontani, ad opera di popoli diversi per etnia,storia, religione e cultura, ci appaiono accomunate da un medesimo carattere: essere l’espressionedi un rapporto profondo tra l’uomo ed il mare. La propensione del genere umano ad insediarsi inaree costiere, nel corso dei millenni e nelle diverse parti del mondo, è stata tradotta in architetturesul mare caratterizzate da forme, materiali, destinazioni d’uso diversi.

L’ancestrale presenza di vita nelle aree costiere è imputabile sia alle caratteristiche del ter-ritorio sia alla posizione strategica rispetto alle vie del mare. L’uomo, infatti, costruiva sulla linea dicosta per molteplici motivi che vanno dalle condizioni climatiche favorevoli all’opportunità dellapesca e, successivamente, all’accesso alla rete dei traffici marittimi. Tuttavia “c’è un mistero su per-ché gli uomini scelsero di vivere in città, di occupare certi siti, e di collegare i loro destini al movimentodelle navi che non può essere spiegato interamente con eventi economici, sociali e politici” (Konvitz,1978, p. XI).

Sin dalla preistoria, quindi molto tempo prima della nascita delle nostre città, l’uomo ha de-ciso di costruire i propri villaggi in prossimità del mare e lo testimoniano i numerosi resti di inse-diamenti preistorici costieri come il bellissimo villaggio sul promontorio del Milazzese a Panarea(Bernabò Brea e Cavalier, 1968) e quello scoperto in prossimità del Castello di Lipari, i cui scavi in-dicano la presenta di nuclei abitati sull’isola a partire dalla fine del V millennio a.C.3

I numerosi ritrovamenti dimostrano che la posizione geografica è stata tra i fattori deter-minanti nella scelta di un sito: l’intera fascia costiera della Sicilia meridionale, da Capo Pachinosino al golfo di Gela, ha assunto un ruolo strategico tra l’Africa ed il Mediterraneo centrale sin dallapreistoria, come documentato dagli scavi archeologici. I ritrovamenti hanno evidenziato, infatti,una vera e propria rete di piccoli insediamenti costieri risalenti al periodo Neolitico ma soprat-tutto al Bronzo, come Branco Grande e Bruca4. (Di Stefano e Sammito, 2008)

Alcuni insediamenti preistorici erano noti sin dall’antichità: l’Area Marina Protetta delPlemmirio, a sud della città di Siracusa, deve il proprio nome al villaggio preistorico costiero can-tato dal poeta Virgilio nell’Eneide (Eneide III, 693). Le ricerche condotte a partire dall’Ottocentohanno evidenziato la presenza di vita in questo territorio nella preistoria e nella protostoria5. I ri-trovamenti riguardano la penisola della Maddalena, chiamata dai Siracusani “Isola”6, un’area chediventerà importante crocevia per il passaggio delle navi e dei bastimenti di Cartaginesi, Romanie Greci. Con la nascita di Siracusa, infatti, nell’VIII secolo, il Plemmirio entrerà a far parte della piùpotente città greca dell’antichità siciliana7. (Vincenti, 2006)

Nell’area del Mediterraneo, lungo le coste italiane esistono numerosi altri siti abitati sin daitempi più remoti, come testimoniano gli insediamenti del Neolitico lungo il litorale tarantino op-pure in Sardegna, nella zona di Li Mizzani e Sajacciu, a pochi chilometri da Palau, dove sono pre-senti i resti di un villaggio preistorico e le cosiddette Tombe dei Giganti, ascrivibili al periodo delBronzo Medio.

3 Un esteso insediamento risalente al periodo del Bronzo che presenta analogie con il villaggio preistorico diPanarea è stato scoperto anche nell’isola di Ustica, in località Colombaia.

4 L’abitato di Bruca, lungo il litorale ibleo, era insediato in prossimità di Punta Bruca, in una depressione rocciosaoccupata da un antico stagno costiero. Il sito offriva riparo da venti e correnti dominanti e si trovava nei pressi della focedel fiume Mothycanos, importante via di penetrazione verso il territorio ibleo. La zona è stata sottoposta a vincoloarcheologico con D.A. n. 8203 del 29/12/2000.

5 Importante il ritrovamento, alla fine dell’Ottocento, di numerose tombe dell’età del Bronzo portate alla luce dal-l’archeologo Paolo Orsi.

6 Nel Mesolitico la primitiva isola si collegò all’entroterra.7 Lungo la costa esistono sei latomie (cave estrattive di età greca) a testimonianza ulteriore che in quest’area

sorgeva l’antico quartiere sub-urbano del Plemmyriom. (Plemmirio)

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Reperti preistorici sono stati rinvenuti anche lungo la costa della Campania, nelle grotte diSorrento, Miseno, Cuma e dell’isola di Capri8.

Questa forza attrattiva esercitata dai luoghi di mare nel corso dei millenni non è imputabilesoltanto a motivazioni di ordine strategico ed economico o legate alla sopravvivenza, piuttosto ri-siede in un rapporto interiore, contemplativo e di suggestione che da sempre coinvolge l’uomo elo lega alle aree costiere. Le due cose spesso non sono disgiunte ed accade che ragioni di ordinestrategico conducano l’uomo alla scoperta di siti dotati di grande fascino.

È il caso del Golfo di Napoli, dove la bellezza dei luoghi e la presenza delle sorgenti termaliindussero molti patrizi romani a costruire le proprie residenze e ville, come la villa di VedioPollione a Posillipo9 o la villa di Lucio Lucullo nel sito dove oggi sorge il Castel dell’Ovo a Napoli.

Motivazioni strategiche e capacità seduttiva dei luoghi determinano il destino di interi ter-ritori. i Romani scelsero la baia di Misenun come sede della flotta pretoria dell’imperatore, laClassis Misenensis10, per il controllo del Mediterraneo, ma l’amenità dell’area dei Campi Flegrei fupresto un richiamo per imperatori ed aristocrazia romana che vi edificarono meravigliose villaemaritimae. (Alisio, 1995)

Il considerevole patrimonio archeologico dell’area flegrea testimonia la millenaria frequen-tazione di questo territorio, il cui ruolo strategico per la flotta romana è celebrato anche nella to-ponomastica: l’attuale nome della spiaggia di Miliscola deriva da militum schola, ricordo degli al-lenamenti dei marinai romani in questi luoghi.

L’uomo ha scelto ed amato i luoghi di mare per il desiderio di dominio ma anche per la bel-lezza ed il benessere che essi offrono. Le aree costiere, caratterizzate spesso da un rilevante patri-monio naturalistico, sono diventate, nel corso dell’antichità, non solo empori, città, porti ma ancheluoghi di svago e di riposo, la cui bellezza ed amenità indussero gli antichi a realizzarvi dimoraremeravigliose, frutto del felice connubio tra la terra ed il mare.

In Campania, la Penisola Sorrentina è un’area emblematica da questo punto di vista ed i nu-merosi resti di ville romane sul territorio testimoniano l’antica presenza dell’uomo in queste terre,scelte dalla nobiltà romana come meta privilegiata di riposo e vacanze. Un esempio è la Villa dettadi Pollio Felice, a Capo di Sorrento, che occupava l’intera area della punta del capo, offrendo unameravigliosa veduta del Golfo di Napoli.

La Villa era accessibile sia da terra sia da mare, grazie ad una piccola darsena collegata almare attraverso un passaggio tra le rocce. Scrive il poeta Stazio, che sembra abbia soggiornatonella Villa, “Nella rada il mare è sempre calmo, e anche d’inverno vi si avvertono meno i rigori delfreddo e del vento”.

L’amenità di questi luoghi esercitò una forte attrattiva sulla nobiltà romana che vi trovò lecondizioni ideali per dedicarsi ai propri otia, sia per la possibilità di fruizione del patrimonio natu-rale presente sia per le condizioni climatiche particolarmente favorevoli nelle aree costiere.

Nelle regioni più calde, infatti, la fascia costiera beneficia del refrigerio apportato dallebrezze termiche che di giorno spirano dal mare verso la terraferma e di notte in senso contrario,causate dallo scambio termico tra terra e acqua durante il ciclo delle ventiquattro ore.

Inoltre, i benefici e le opportunità, in termini di sviluppo economico, sociale e culturale cheil mare offre all’uomo, sono stati evidenti sin dagli albori della navigazione. Attraverso il mare, neisecoli, si sono instaurate relazioni e avviati scambi commerciali tra paesi lontani. Il mare ha rap-presentato fonte di economia e di ricchezza, suscitando desiderio di conquista e dominio delleterre prospicienti la costa.

La navigazione, da sempre, è stata il mezzo per mettersi alla ricerca di nuovi luoghi o di sestessi, il richiamo dell’ignoto che si esprime nel lungo viaggio di Ulisse narrato nell’Odissea. Giànell’antichità ritroviamo questa metafora della navigazione come viaggio della vita, terrena ed ul-

8 I reperti rinvenuti nella Grotta delle Felci a Capri, esposti al Museo di Antropologia di Napoli, rappresentano uninteressante documento storico a testimonianza della presenza e delle abitudini di vita dell’uomo nell’Isola durante latarda preistoria. (http://www.musei.unina.it/h_capri.php 14/10/2010)

9 Posillipo deriva dal greco “Pausilypon” e significa “riposo dagli affanni”.10 Le flotte di Miseno (Classis Misenensis) e di Ravenna (Classis Ravennatis) rappresentavano le basi principali della

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traterrena. Alcuni archeologi ritengono che “la barca solare di Cheope”, imbarcazione lunga 43 me-tri rinvenuta accanto alla piramide di Cheope (2585 a.C.) nel 195411, fosse destinata a trasportareil corpo del faraone da una sponda all’altra del Nilo, verso la tomba.

La navigazione è stata anche strumento di potenza ed egemonia. Nel corso della storia lacosta ha rappresentato, infatti, un luogo di confronto e di scontro tra culture, di ricchezza e di po-tere ma anche di pericoli legati alla permeabilità che caratterizza il confine tra terra e mare. La ne-cessità di proteggersi dai pericoli che potevano arrivare dal mare ha determinato l’edificazione dicastelli e fortezze lungo i litorali (Bianchi, 2008).

11 Cfr. cap. 3, par. 3.2 “Storia sul mare e memoria collettiva”.

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Fig. 7 - Torre di avvistamento lungo le coste tirreniche della Calabria, Praia a Mare (Foto di Stefania Oppido).

Fig. 8 - La fortezza di Le Castella cicrcondata dalle acque dell’Area Marina Protetta di Isola Capo Rizzuto (Foto diStefania Oppido).

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Le torri che segnano i territori costieri, come nel caso della Penisola Sorrentino-Amalfitanaper lungo tempo crocevia fra l’Occidente e l’Oriente mediterraneo, ne sono la testimonianza. Sitratta di fortificazioni integrate in un complesso sistema di avvistamento e di segnalazione perproteggersi dai pericoli che potevano arrivare dal mare attraverso il collegamento visivo con lealtre fortificazioni presenti nell’entroterra e sulla costa.

Molte località lungo le coste italiane derivano il proprio nome dalla antica presenza diqueste architetture che continuano ad essere un punto di riferimento per i naviganti.

Il sistema di difesa e avvistamento si sviluppò più o meno contemporaneamente lungo lecoste della Penisola Italiana, ma il maggior numero fu realizzato nel Regno di Napoli, più espostoalle scorrerie12.

Questo tipo di difesa era presente lungo le coste del Mediterraneo già nel VI secoloquando, in seguito alla conquista bizantina del nord Africa ad opera di Belisario, furono realizzatenumerose torri. Il sistema fu ripreso ed intensificato per resistere alle incursioni dei Saraceni e poidei Normanni.

La paura dell’assedio, da Troia in poi, attraversa la storia dei popoli determinando, lungotutti i territori costieri, la comparsa di architetture accomunate da obiettivi difensivi, seppure ca-ratterizzate da materiali, tecniche e stili differenti nei diversi luoghi del mondo. Le fortezze di maresi trasformano nei secoli in funzione dei progressi delle tecnologie belliche, delle tecniche militari,dell’evoluzione delle armi ma anche in funzione della necessità di proteggere le flotte civili e mi-litari su cui si fondano l’economia e la sicurezza dei territori costieri.

Ciò vale per vaste aree del nostro territorio nazionale: l’estensione delle superfici costierelungo la Penisola Italiana e la sua conformazione, infatti, la fanno apparire come un grande moloproteso nel Mare Nostrum, un “lunghissimo approdo collocato in mezzo al Mediterraneo (…) dasempre crocevia di civiltà e culture, di idee e di traffici, all’intersezione di paci e guerre” (Bianchi, 2008,Prefazione).

Numerose sono le antiche architetture del mare che hanno assunto per lungo tempo rile-vanza strategica, a protezione dei golfi lungo la penisola italica, come il fortilizio di Le Castella

12 In seguito all’intensificarsi delle incursioni turche, la Regia Corte di Napoli con le ordinanze del 1532-33 solle-citò alcune Università del Regno affinché si dotassero di fortificazioni ma, essendosi rivelata insufficiente l’iniziativaprivata, avviò la costruzione delle torri costiere per diretto intervento statale. (Cfr. L’Abbate, 1985 e De Vita, 2001)

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Fig. 9 - La pietra e il mare: il profilo tufaceo del Castel dell’Ovo sull’acqua del Golfo di Napoli (Foto di Massimo Liparulo).

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(XIII-XVI sec.) a Isola Capo Rizzuto. Il primo nucleo è rappresentato da una torre cilindrica, secondoalcuni studiosi risalente al periodo angioino, posta a difesa del litorale calabro al momentodell’acquisizione del regno meridionale. Le Castella oggi è il risultato dei numerosi interventisuccedutisi nel corso dei secoli, soprattutto in funzione delle evoluzioni delle tecniche di guerrae dei pericoli che arrivavano dal mare, come l’aggiunta nella seconda metà del Quattrocento diuna cortina muraria bassa destinata a resistere alle bordate delle armi da fuoco, o i bastionipentagonali realizzati dagli Aragonesi nel Cinquecento, quando il litorale fu munito di una serie ditorri d’avvistamento e castelli per resistere alle incursioni musulmane. L’unico comune denomi-natore di tutte le fasi costruttive della fortezza è rappresentato dall’impiego della pietra locale(Bianchi, 2008).

Tra le fortezze di mare che hanno accompagnato la millenaria storia di un sito, il Casteldell’Ovo a Napoli è un caso emblematico. (Marini, 2006) Sorto in età normanna sull’isolotto tufa-ceo di Megaride, propaggine naturale del monte Echia, nel golfo di Napoli, il Castello appare piut-tosto come una cittadella fortificata, con una strada principale fiancheggiata da abitazioni, spinadorsale del complesso, che conduce ad un quadrilatero cintato, vera rocca del castello.

La denominazione Castel dell’Ovo risale al Trecento e per alcuni è imputabile proprio allaconfigurazione ovoidale del complesso fortilizio, per altri deriva da una leggenda medioevale se-condo la quale il castello custodiva un uovo “magico” posto nell’edificio dal poeta mago latinoVirgilio. (Dattilo, 1956) La leggenda narra “Como Virgilio consacrò uno ovo, lo quale fece mettere den-tro un carrafa, e fecelo conservare ne lo castello dell’Ovo, e che lo ditto castello dovesse tanto durarequanto dura lo ovo”13 (Villari, 1865, p. 118). Secondo la credenza popolare la rottura dell’uovoavrebbe provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di catastrofi per la città.

La complessità di questa fortezza è frutto di una lunga storia di aggiunte e modificazioni,un luogo in cui convivono fabbricati medioevali, strutture cinquecentesche e seicentesche, log-giati di epoca angioina ed aragonese, i resti della Chiesa di San Salvatore e della grandiosa villache Lucio Lucullo fece costruire proprio in questo luogo, come racconta Plinio. (Ferraioli, 1995)

Il nome di Castrum Lucullanum, che il sito mantenne fino all’età tardoromana, deriva dal ri-cordo di questa villa, dotata di allevamenti di murene e di alberi importati da luoghi lontani, comei peschi della Persia. Una guida turistica dell’Ottocento ci racconta che “In un’isoletta di formaovale, della lunghezza di 230 tese, è stato costruito questo castello, al quale si va per mezzo d’un granponte. (…) quest’isola si distaccò dalla collina di Pizzofalcone per causa d’un terremoto. Essa è chia-mata Megaris da Plinio, e Megalia da Stazio; e secondo i nostri Antiquarj, si crede che Lucullo, ConsoleRomano, vi avesse una deliziosa villa, e che perciò il medesimo castello lungo tempo abbia portato ilnome di Castrum Lucullanum” (De Ferrari, 1826, pp. 89-90).

Questo luogo così ricco di storia e leggende fu testimone della fine dell’Impero Romanod’Occidente perché nel 476 Odoacre vi esiliò l’ultimo imperatore romano d’Occidente, RomoloAugustolo, risparmiandogli la vita in virtù della sua giovane età.

La conformazione del complesso architettonico, le numerose stratificazioni, la posizioneprotesa sul mare e collegata mediante un ponte alla terraferma, la presenza del “Borgo Marinari”,con le sue case, il suo porticciolo e le attività turistiche, conferiscono al Castel dell’Ovo il caratteredi un piccolo nucleo urbano con una sua identità. La complessa forma ed articolazione delle sueparti determinano, inoltre, una dinamicità che è un carattere ricorrente nelle fortezze di mare, ren-dendola più simile ad uno spazio urbano piuttosto che ad un edificio.

Il suggestivo rapporto tra la pietra e l’acqua è un elemento ricorrente in queste architettureche dominano il mare: il contrasto cromatico e materico tra il costruito e l’elemento naturale, trala sensazione di staticità che suggerisce la pietra e la vitalità e dinamicità dell’acqua e del suomoto ondoso, i segni sulla pietra dell’azione erosiva della mare e della brezza marina rafforzano ilpotere attrattivo di molti baluardi difensivi.

Questo binomio pietra-acqua è evidente nel caso del sito di Le Castella e della sua pietra lo-cale, come nel Castel dell’Ovo, dove il tufo ed il mare sembrano fondersi progressivamente nelpassaggio dalla tessitura muraria al banco tufaceo affiorante dall’acqua.

13 La leggenda di Virgilio Mago, Cavata dalla Cronica napoletana di Bartolomeo Caracciolo (Villari, 1865).

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EFig. 10 e 11 - Lungomare e Torre di Belém a Lisbona (Estuario del fiume Tago).

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Fig. 12 e 13 - La darsena turistica e il Monumento alle scoperte a Belém (Estuario del fiume Tago).

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Il fascino di questi complessi, la dinamicità della conformazione, la loro capacità di comuni-care a chi li osserva la complessità delle vicende che si sono succedute lungo le coste italiane li haresi oggi importanti mete turistiche, testimonianze di pietra della storia di luoghi e di regni chehanno visto l’incontro e lo scontro tra popoli e culture.

Maggiore era l’importanza raggiunta da una città marittima, maggiore si imponeva la ne-cessità di difesa. Lungo le coste, dunque, si moltiplicavano castelli e torri.

Il porto di Lisbona, alla fine del XV secolo, aveva raggiunto una rilevanza di primo piano ela città viveva un periodo di grandi fortune militari ed economiche. La Torre di Belém fu eretta nel1515-21 a difesa del porto e della città per volere del re Manuel il Fortunato. Costruita per cele-brare la spedizione di Vasco da Gama, è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanitàcome simbolo delle conquiste marittime che hanno cambiato il mondo. (UNESCO)

Dal punto di vista architettonico l’edificio testimonia il momento di passaggio dallo stilegotico al rinascimentale, arricchito di reminiscenze di tradizione araba. (Boschini, 2000)

Nel corso dei secoli la Torre, posta alla foce del fiume Tago, svolse la funzione di faro e dibaluardo di difesa. La funzione difensiva è descritta con chiarezza in un’opera dell’Ottocento: “(…)levasi una torre quadrata della la torre di Belém, la quale è tutta munita di cannoni per difenderel’ingresso del porto. Nessun vascello può passare dinanzi a quelle bocche di fuoco senz’essersi primarigorosamente conformato alle discipline che governano il porto”14.

Il progressivo insabbiamento dell’area del porto antico, soprattutto in seguito al terremotodel 1755, ha modificato l’originaria posizione della Torre, avvicinandola alla terraferma. Distruttadai Francesi e ricostruita nel 1807 secondo il progetto originario, la Torre non svolge più la fun-zione di avvistamento, tuttavia il passato marittimo di quest’area della città, sottolineatodall’UNESCO, è rievocato e celebrato anche dal Museo della Marina e dal Monumento alle sco-perte, realizzato sulle rive del fiume Tago nel 1960.

Architetture ricorrenti lungo i litorali sono, appunto, i fari, con funzione non di avvistamentoma di segnalazione per i naviganti, punti di riferimento sulla terraferma, le cosiddette “sentinelledel mare”. Proprio a Lisbona la Torre progettata da Gonçalo Byrne (2001) rappresenta un vero eproprio faro di nuova generazione15 con la funzione di centro di coordinamento e controllo deltraffico marittimo del porto ed è il primo edificio del Centro di Controllo Costiero NazionalePortoghese. La Torre (finanziata dall’UE) si sviluppa su nove piani, con un andamento inclinato chesembra protendersi verso l’acqua. Con la sua composizione architettonica, suddivisa in tre fascesuccessive – un basamento rivestito in pietra, una fascia rivestita in rame ed un’ultima fascia inte-ramente vetrata e protetta da brise-soleil in rame – costituisce un esempio interessante di attua-lizzazione del faro, sia in chiave compositiva che tecnologica.

La derivazione del termine “faro” viene attribuita all’isolotto di Pharos, alle foci del Nilo difronte alla città di Alessandria, su cui sorse nel 280 a.C. il Faro di Alessandria d’Egitto, una dellesette meraviglie del mondo,“la prima luce accesa dall’uomo sul Mediterraneo” (Fatta, 2002, p. 15).

Il Faro era stato realizzato per garantire maggiore sicurezza al traffico marittimo in entrataed in uscita da Alessandria, reso pericoloso dai banchi di sabbia presenti nel tratto di mare pro-spiciente il porto e dall’assenza di rilievi orografici che potessero favorire l’avvistamento da terraverso il mare. Secondo alcuni, durante il giorno le segnalazioni avvenivano mediante specchi dibronzo lucidato che riflettevano la luce del sole, mentre di notte era la luce di fuochi ad illumi-narne la sommità. Con un’altezza di circa 120-140 metri, si racconta che il Faro di Alessandria fossevisibile da una distanza di circa 47 km. (Lighthouse of Alexandria)

Definito da Plinio “monumento memorabile”, fu rappresentato su monete dell’ImperoRomano, diventando una vera icona; una testimonianza tarda della sua notorietà è il mosaico diS. Marco a Venezia (XIII secolo), in cui è rappresentato l’arrivo del Santo ad Alessandria, simbo-leggiata dal Faro. (Barbagli, 2003)

14 La descrizione è contenuta in AA.VV.,1858, III, p. 260, guida alla città di Lisbona.15 Questo faro di nuova generazione utilizza l’innovativo sistema VTS (Vessel Traffic Service), costituito da appa-

recchiature radar,“Vhf” e “Gps” che consentono il controllo del traffico marino ed il coordinamento e comando centraliz-zato di tutte le misure d’intervento.

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Il valore iconografico di questo edificio, esaltazione della bellezza e della potenza dell’in-tera città, è presente già nella letteratura antica, scenografia della fuga d’amore di “Leucippe eClitofonte”, narrata dallo scrittore Achille Tazio, vissuto ad Alessandria nel II secolo d.C.: “Dopo tregiorni di navigazione giungemmo ad Alessandria. Entrando su per la cosiddetta Porta del Sole, subitomi veniva incontro la sfolgorante bellezza della città e mi riempì gli occhi di godimento”. E parlandodel Faro afferma:“Era sera, e il sole era tramontato e non c’era affatto notte, ma un altro sole era sorto,che sminuzzava la sua luce in tante piccole luci: allora infatti vidi la città contendere col cielo per lapalma della bellezza”16.

La sua dimostrata efficacia indusse molte altre località del Mediterraneo ad erigere strut-ture simili lungo le coste. Ma questa emblematica opera non influenzò solo le architetture di fari:la sua configurazione tripartita, costituita da un alto basamento quadrangolare, a cui si sovrappo-neva una torre ottagonale ed una costruzione cilindrica, è riproposta in molti minareti di moscheeislamiche egiziane.

Nonostante la querelle sulla configurazione di questo Faro sia aperta, un’iconografia diepoca giustinianea che lo rappresenta sormontato da una statua ci restituisce il valore simbolicoattribuito a queste architetture, identificando il faro con il Dio Sole che illumina la via al naviga-tore, riferimento ancora più esplicito nel faro di Rodi.

Uno dei fari più famosi e anche uno dei più antichi è il Faro di Eddystone, lungo la costa me-ridionale dell’Inghilterra, citato da Herman Melville in Moby Dick, e ritratto da Victor Hugo (Focillon,1983, p. 29). Quello attuale è il quarto della serie di fari eretti in quel punto a partire dal 169817.

In Portogallo, il Faro di Cabo da Roca è famoso perché segna il punto più occidentale delcontinente europeo verso l’Oceano Atlantico (9° e 30’).

Ma i mari e le coste del mondo sono disseminati di fari, antichi o di nuova generazione, ar-chitetture diverse eppure sempre riconoscibili, nelle quali la tecnologia ha affiancato ed in molticasi sostituito la presenza solitaria del guardiano.

16 Per un approfondimento delle vicende di Leucippe e Clitofonte vedi Vox, 1987.17 Il primo faro di Eddystone fu distrutto da una violentissima tempesta che nel 1703 investì Inghilterra e Galles,

soprannominata La Grande Tempesta. La tempesta provocò l’affondamento di centinaia di imbarcazioni e migliaia divittime, soprattutto nel Canale de la Manica. Lo stesso architetto che lo aveva progettato, Henry Winstanley, si trovava sulfaro al momento della tempesta e vi trovò la morte.

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Fig. 14 - Il faro più occidentale del continente europeo, Cabo da Roca (Oceano Atlantico).

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Anche la penisola italica, proprio in virtù dell’estensione delle sue coste e dell’antica tradi-zione marittima, è costellata dalla presenza di fari, di cui circa 200 attualmente in funzione,“archi-tetture solitarie” come i fari di Capo Spartivento, Capo Caccia e Capo Testa in Sardegna, PuntaCarena a Capri, la Lanterna del Montorsoli a Messina e la Lanterna di Genova18. (Bartolomei, 2005)(Bartolomei e Amoruso, 2006, 2007, 2010)

Nel corso dei secoli la storia dei fari e delle tecniche di segnalazione accompagna la storiadella navigazione e dell’innovazione tecnologica ad essa connessa, perfezionandosi soprattuttonel XIX secolo in relazione all’applicazione del vapore alla propulsione delle navi. A partire dallafine del ‘700 la manualistica, soprattutto francese ed inglese, si arricchisce di esempi di infrastrut-ture per la difesa delle coste e per l’approdo, come strade, ponti, fari, arsenali. (Fatta, 2002)

Oggi la dismissione di molti fari induce a riflettere su una loro rifunzionalizzazione e sullaloro capacità di accogliere attività diverse da quella originaria. La prassi sembra indirizzarsi versoil riuso puntuale ed episodico, spesso in seguito ad operazioni di carattere privato, come nel casodi capo Spartivento in Sardegna, il cui faro è stato trasformato in un resort.

Tuttavia è necessario interrogarsi sulle modalità con cui tali operazioni vengono condotte.Il riuso dell’esistente dovrebbe sempre confrontarsi con le caratteristiche dell’edificio, con la tu-tela della sua identità, in una dialettica tra trasformazione e conservazione. La conoscenza del-l’esistente, della sua storia, del suo rapporto con il territorio, della sue caratteristiche materiche,costruttive, morfologiche, è un momento indispensabile per comprenderne le vocazioni e pre-figurarne nuovi usi compatibili con l’identità dell’edificio.

Nei fari, in particolare, il rapporto con il mare è un carattere forte e suggestivo. Inoltre, comeper altre categorie di edifici – si pensi alle case cantoniere ed alle stazioni postali – si tratta di ma-nufatti concepiti in una logica di rete, marittima nel caso dei fari, il cui funzionamento e la cui uti-lità originaria erano connesse strettamente all’esistenza di un sistema ed all’appartenenza ad un

18 A Genova, per celebrare la storia della città e della sua Lanterna è stato realizzato il Museo della Lanterna, rag-giungibile dal Faro attraverso una passeggiata di circa seicento metri che costeggia le vecchie mura. Il Museo raccontaGenova attraverso filmati sulla città e sul territorio ed ospita una sezione dedicata proprio ai fari, con antichi disegni, pro-getti ed apparecchiature per la segnalazione e per l’illuminazione.

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Fig. 15 - Il faro del porto di Cascais all’imbrunire (Oceano Atlantico).

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network. La tutela di questo carattere identitario, pertanto, dovrebbe essere perseguita negliinterventi di riuso.

Il concetto di network, in fondo, è insito nella navigazione: le vie del mare collegano ideal-mente e fisicamente luoghi lontani rendendoli parte di un grande sistema. In questa “rete” le cittàdi mare rappresentano i “nodi”, punti di arrivo e di partenza di traffici, storie, culture e religioni.

Nel XVII secolo i porti fluviali in Italia, Fiandre, Germania e Francia ed i porti marittimi lungole coste del Baltico, del Mare del Nord e del Mediterraneo univano l’Europa. I porti erano anche losbocco delle aree rurali e delle città lontano dalla costa: la rete dei traffici marittimi era il fattoreunificante (Konvitz, 1978).

La capacità di una popolazione di assumere un ruolo di preminenza in queste reti ha con-tribuito fortemente a determinare il destino di un luogo, la sua fortuna e la sua potenza e forseanche per questo “Ci sono porti che restano per sempre soltanto degli approdi o ancoraggi, mentrealtri diventano palcoscenici e infine mondi” (Matvejevic, 1991, pp. 25-26).

La laguna di Venezia era un contesto difficile in cui risultavano praticamente impossibili at-tività di prima sussistenza come l’agricoltura. La capacità di sopravvivenza dei Veneziani ha do-vuto giocoforza rapportarsi con l’acqua che ha determinato la forma, la struttura fisica e sociale,ma anche economica e politica, della città.

Lo sviluppo mercantile della città, che ampliò progressivamente nei secoli il suo raggio d’a-zione, fu una necessità più che una scelta, favorita dalla felice posizione di cerniera tra ilMediterraneo ed il continente europeo. La potenza ed il dominio di Venezia sul mare sono testi-moniati dal fatto che nel X secolo l’Adriatico era chiamato dagli Arabi “giun al Banadiqin” ossiagolfo dei Veneziani.

Nel corso dei secoli XIV e XV la Repubblica di Venezia, ormai un vero e proprio impero ma-rittimo, dominò il Mare Adriatico ed il Mediterraneo orientale, con rotte commerciali che si esten-devano verso la Grecia, Creta e Cipro19. (Morris,1980)

La potenza imperialista di Venezia fu fortemente connessa alla capacità produttiva del suoArsenale, nel quale le fatiche di un ingente forza lavoro erano in grado di produrre navi velocis-sime. Attorno a questo simbolo della forza marittima veneziana si sviluppò un vero e proprioquartiere industriale (Bianchi, 2008). La vocazione marittima e le attività ad essa connesse segna-rono, quindi, la configurazione del territorio e delle architetture.

Gli impianti cantieristici sono stati progressivamente dismessi dopo il secondo conflittomondiale, determinando un periodo di degrado ed abbandono. La destinazione a nuove attivitàin grado, da un alto, di tutelare la memoria storica e, dall’altro, di restituire un ruolo importante nelcontesto urbano, ha segnato un nuovo corso nella storia dell’Arsenale: oggi è un’area multifun-zionale destinata a diventare polo scientifico, culturale e produttivo attraverso un ampio progettodi riqualificazione. Attività espositive e di spettacolo sono ospitate negli edifici assegnati in con-cessione temporanea alla Biennale di Venezia, comprendenti tutte le aree e gli edifici ad est e asud della darsena, ad esclusione di quelli in uso alla Marina Militare20.

Questo rapporto endemico e primordiale della città con l’acqua ha ispirato una sezionedella 9ª Biennale, nel 2004, dedicata alle trasformazioni di aree urbane fondate sulla valorizza-zione delle relazioni terra-acqua21.

19 In “The Venetian Empire: A Sea Voyage” Jan Morris ricostruisce il dominio di Venezia attraverso un viaggio permare, navigando lungo le vie storiche del commercio veneziano e descrivendo questa città d’acqua e la sua potenzaguardandola proprio dal mare, evocando luoghi e personaggi storici. È il libro di un viaggiatore che, attraverso il mare,descrive lo Stato da Mar (o Domini da Mar), termine con cui erano indicati i domini marittimi della Repubblica di Venezia.

La creazione dei domini coloniali veneziani iniziò intorno al 1000 con la conquista della Dalmazia e raggiunse lamassima espansione al termine della Quarta Crociata con l’acquisizione di tre ottavi dell’Impero Romano d’Oriente.(Stato da Mar)

20 Nel 2003 è stata costituita la Società Arsenale di Venezia Spa “con lo scopo di gestire il restauro e la valorizza-zione del patrimonio storico dell’Arsenale di Venezia e di restituire quest’area al suo ruolo originale di polo produttivo e cultu-rale per Venezia e la comunità internazionale”. I suoi azionisti sono il Comune di Venezia e l’Agenzia del Demanio. (Arsenaledi Venezia Spa)

21 Sotto la direzione di Rinio Bruttomesso (direttore del Centro Internazionale Città d’Acqua di Venezia), alcunecittà caratterizzate da significativi rapporti con il mare, i laghi e i fiumi, da Bilbao a Buenos Aires, da Lione a Seoul, hanno

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Fig. 16 e 17 - I cantieri navali dell’Arsenale dove i Veneziani costruirono la storia della loro città sul mare (LagunaVeneta) (Foto di Gabriella Esposito De Vita).

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La storia marittima della città la pone oggi al centro di interessanti dibattiti sul tema dellecittà d’acqua, come dimostra l’istituzione del Centro Internazionale Città d’Acqua22, per iniziativadel Comune di Venezia, dell’Istituto Universitario di Architettura, dell’Università Cà Foscari e delConsorzio Venezia Nuova.“Cities on water” ha l’obiettivo di “favorire e migliorare gli scambi scienti-fici e culturali tra le diverse città d’acqua, in ogni parte del mondo, creando a Venezia un punto di rife-rimento per tutti coloro che operano per ripristinare una positiva relazione tra acqua e città, tra acquae ambiente urbano”.

Forte della propria vocazione storica di crocevia tra terre lontane, le città d’acqua ribadi-scono così la propria identità di luogo di incontro e confronto, all’interno di un network non solo fi-sico – legato alle vie del marittime e fluviali – ma culturale e scientifico. L’acqua si ripropone comeelemento unificante: i luoghi di incontro tra terra ed acqua ereditano dal passato non solo archi-tetture, storie, suggestioni, ma questa rinnovata capacità, quasi genetica, di essere snodo tra cultureed esperienze, in una dimensione multiculturale che da sempre contraddistingue le città d’acqua.

4.3 MARE, CITTÀ E ARCHITETTURE NELLA CONTEMPORANEITÀ23

La complessità delle città d’acqua, territorio di confine tra terra e mare, frutto di una storiadi incontri tra popoli e culture e luogo di ricchezza semantica e simbolica, rappresenta per urba-nisti ed architetti una sfida ricca di fascino.

L’uomo continua, oggi come nel passato, ad avere la necessità di trasformare l’ambiente co-stiero per adeguarlo alle nuove esigenze della città contemporanea. Nuove attività, nuove fun-zioni, nuovi destini si prospettano per le città d’acqua che si rinnovano, in molti casi recuperandoil dialogo con il mare, a volte smarrito nel corso di lunghe vicende storiche.

Molte città tornano ad affidare al mare la propria identità: cultura urbana e cultura marittimasi confrontano e si sovrappongono nella costruzione di luoghi ed architetture, attraverso processidi recupero e di valorizzazione delle relazioni tra città e mare. La linea di costa riafferma la propriavocazione di mediazione e di apertura verso il mare e verso le altre parti della città, ritornando adessere un luogo di relazioni spaziali ma anche sociali e culturali. (Meyer, 1999) (AA.VV., 2004)

Nella storia delle città costiere, il fronte a mare è sempre stato un luogo urbano di fortevitalità: nelle vedute di fine ‘500 e inizio ‘600 il waterfront è rappresentato come il principale spazioaperto della città, con la funzione di passeggiata sul mare e area di attività e di lavoro.

La posizione geografica delle città costiere, di confine tra terra e mare, le rende “cerniera na-turale tra i tessuti urbani e gli specchi acquei prospicienti: una cerniera delicata perché deve tenere incontatto elementi diversi se non opposti” (Bruttomesso,1998). Come nel passato, questa specificitàpuò rappresentare un’opportunità di sviluppo e di valorizzazione delle vocazioni di un territorio.

Il rapporto tra città ed acqua, tra uomo e mare, tra architetture e risorse naturali, inoltre,fornisce spunti e riflessioni per la costruzione di città più sostenibili, in cui l’habitat urbano siafrutto di un ritrovato equilibrio tra ambiente costruito e ambiente naturale. (Bobbio, 2008)(Novotny and Brown, 2007) Il dibattito culturale e scientifico è animato da questo rinnovato ecrescente interesse degli architetti contemporanei per il tema delle relazioni tra la città, le ar-chitetture ed il mare.

illustrato le trasformazioni dei propri waterfronts. Nel padiglione galleggiante che ha ospitato la sezione sono statiesposti numerosi progetti di “città d’acqua”. Inoltre il dibattito sul rapporto tra architettura ed acqua è stato oggetto diun Workshop tenutosi a Cuba “AquaTektur – Architecture and Water > Water Houses – Houses beside, around, in and ofwater” ed una selezione dei progetti elaborati è stata esposta in occasione della 9ª Biennale dell’Architettura.(Bruttomesso, 2004)

22 Il Centro Internazionale Città d’Acqua svolge attività di documentazione, informazione, studio e ricerca suiproblemi e sulle esperienze degli insediamenti urbani fortemente caratterizzati dal rapporto con l’acqua. Ha definito treambiti principali della propria attività: la rivitalizzazione delle aree urbane di Waterfront, che implica anche una partico-lare attenzione per il recupero del patrimonio storico-industriale (Archeologia industriale) legato all’acqua; i moltepliciaspetti della Relazione città-porto; il rilancio del Trasporto urbano d’acqua. (Città d’acqua)

23 Il paragrafo è stato sviluppato in collaborazione con Stefania Oppido che, in particolare, ha approfondito il rap-porto tra città contemporanea e cultura marittima alla scala edilizia.

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Il recupero e la valorizzazione del rapporto di un territorio con l’acqua è una questioneemergente nelle politiche urbane: la riqualificazione dei waterfronts ha assunto, infatti, un ruolostrategico nei processi di riconversione urbana. Gli interventi di riqualificazione dei waterfrontsspesso interessano aree dismesse o in uno stato di obsolescenza ed abbandono, aree il cui ruolonell’ambito del tessuto urbano si è progressivamente indebolito, conseguenza dei profondicambiamenti determinati dall’evoluzione tecnologica che ha investito il comparto marittimo-portuale24.

Non è un caso che il recupero delle zone portuali e la riqualificazione del fronte verso il maresiano di solito accompagnati dall’espansione dell’area portuale e dall’insediamento di funzioni mi-ste, ricreative, culturali, residenziali, direzionali. (Bruttomesso, 1999) Il successo delle iniziative, in-fatti, deve misurarsi con l’attenta valutazione delle scelte relative al land and water use, anche inconsiderazione di valutazioni sulla sostenibilità del progetto in termini ambientali ed economici.

Ancora una volta si vuole porre l’attenzione sul fatto che il tema del waterfront sia gene-ralmente affrontato identificandolo con la questione del recupero e della rifunzionalizzazionedelle aree portuali.

La sfida è costituita dalla capacità non solo di dare nuova vitalità alla linea di costa ma diriconnetterla al tessuto urbano circostante. È opportuno, quindi, ampliare concettualmente laproblematica all’intera fascia costiera urbana e la necessità di un tale approccio appare ancor piùevidente nel caso delle città del Mediterraneo, dove solitamente la zona portuale è prossima alcentro storico ma spesso fisicamente separata.

Si tratta di prefigurare antiche e nuove relazioni, fisiche e funzionali, tra la città e il suofronte a mare, fondate su valutazioni che tengano conto delle caratteristiche orografiche, dellastoria e della cultura del sito, della tutela delle preesistenze e del loro valore materiale e simbolico.

La rigenerazione del waterfront, quindi, deve essere in grado di ricongiungere la città almare, risolvere il diaframma tra il centro urbano e linea di costa ed incrementare i livelli di acces-sibilità e fruibilità dell’intera fascia urbana costiera.

24 Cfr. cap. 1, par. 1.2 “Oltre il waterfront”.

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Fig. 18 - Il terminal dei traghetti per Ellis Island suI waterfront del Battery Park, Manhattan (Upper New York Bay).

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Gli interventi di riqualificazione di waterfronts, infatti, possono diventare efficace stru-mento di rinnovamento e rivitalizzazione solo se non si limitano ad una trasformazione di facciatadella zona costiera, spesso in forme omologate e decontestualizzate, attraverso progetti privi di ri-ferimenti al preesistente. Al contrario, il processo reale di rigenerazione urbana avviene quando ilprogetto si dimostra in grado di tessere relazioni con il tessuto urbano, di interpretare le specifi-cità locali, i caratteri consolidati e storici del luogo, la cultura marittima locale. In questi casi, la ri-qualificazione del fronte urbano dove la terra incontra l’acqua può rimettere in gioco un’interacittà, inaugurandone un nuovo fortunato periodo di vitalità economica e culturale. (Hoyle, Pinderand Husain, 1988) (Craig-Smith and Fagence, 1995) (Malone, 1996) (Basset, Griffiths and Smith,2002) (Fisher et al., 2004), (Desfor et al., 2010)

È frequente che progetti di “restyling” di waterfronts si realizzino in concomitanza di eventiculturali o sportivi di carattere internazionale. L’organizzazione dell’evento diventa occasione dipromozione di un luogo: la città si trasforma per offrire bellezza, svago, cultura, ospitalità, valoriz-zando le proprie risorse. Nell’ambito di una più ampia strategia di marketing del territorio, quindi,il waterfront rappresenta il biglietto da visita delle città lungo la costa, l’immagine percepibile dachi arriva dal mare, l’interfaccia tra la città ed i visitatori. (Smith, 2006)

In quest’ottica, accanto alla realizzazione di architetture contemporanee commissionatealle archistars del momento, si assiste alla riconversione di magazzini portuali e di strutture indisuso della cantieristica navale – segni di un passato marittimo spesso glorioso – e si realizzanoprogetti di riuso di edifici esistenti, tesi a valorizzare le preesistenze prefigurandone nuovi usi enuove vocazioni.

Tuttavia, se gli interventi messi in moto in occasione del “grande evento” non si collocanonell’ambito di una visione complessiva di riqualificazione e valorizzazione del territorio, non pos-sono essere in grado di attivare processi di sviluppo locale reale e duraturo. Tali operazioni ri-schiano di diventare fallimentari perché basate su interventi puntuali e spesso “di facciata” che,anche quando coinvolgono grandi nomi del mondo della progettazione, sono in grado di crearesolo cattedrali nel deserto.

È il caso de La Maddalena dove le importanti risorse impiegate in previsione del G8 del2009 in Italia oggi fanno nascere numerosi interrogativi sul destino di questo luogo25. Le opererealizzate nell’ex Arsenale e nell’ex ospedale militare appaiono come la testimonianza di un’occa-sione persa, in termini di recupero e promozione del territorio e di sviluppo economico.

Nei propositi originari “Sfruttando i suoi vantaggi logistici (situato nel cuore dell’arcipelago,protetto dai venti dominanti e dalle correnti di superficie, dotato di fondali continui e adatti a grandiimbarcazioni) l’ex Arsenale sarebbe diventato l’epicentro di questo nuovo turismo diffuso: un polonautico polifunzionale, dedicato prevalentemente alla vela; un luogo senza eguali per dimensioni eprestazioni (per qualità dei posti barca, numero di alaggi e di stalli di riparazione, metri di banchina)nel Mediterraneo occidentale”26.

Se spesso ci si pone l’interrogativo circa la capacità degli spazi progettati di sopravvivereall’evento, nel caso de La Maddalena si tratta addirittura di interrogarsi sulla capacità di soprav-vivere ad un evento, il G8, svanito prima ancora di realizzarsi.

Un’altra occasione per il destino di questo sito è stata la scelta de La Maddalena comeunica tappa italiana del Louis Vuitton Trophy27, di nuovo un evento, che ha utilizzato le strutturesorte per il G8, tra le quali la “Casa del Mare” (ovvero il Palazzo delle Conferenze), progettata dallostudio di Stefano Boeri nell’area dell’ex Arsenale: una struttura sospesa ad un’altezza di 6 metrisopra l’acqua, che si affaccia verso il panorama della Gallura.

Tuttavia l’area stenta a diventare volano di sviluppo per il territorio proprio per l’assenza di

25 Realizzato in 10 mesi e poi abbandonato in seguito alla decisione di spostare il G8 a l’Aquila, dopo l’evento si-smico del 6/4/2009.

26 Il testo è di S. Boeri, inviato il 15.2.2010 al sito www.abitare.it, è tratto dal libro “Effetto Maddalena. Una vicendadi architettura”, edito da Rizzoli nel 2010. Attraverso la pubblicazione i progettisti del gruppo dell’arch. Stefano Boeri rac-contano gli obiettivi del progetto e la storia degli interventi, poi travolti da scandali e inchiesta giudiziaria.

27 L’evento si è svolto dal 22 maggio al 6 giugno 2010.

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una visione complessiva, capace di coinvolgere stakeholders e mondo imprenditoriale e di gene-rare ricadute a lungo termine.

Al contrario, il “grande evento”, quando è collocato nell’ambito di un’adeguata strategiadi pianificazione urbanistica, si rivela essere un elemento catalizzatore – di interessi, di investi-menti, di azioni … – fornendo l’opportunità per innescare un processo di sviluppo urbano e dimarketing turistico della città in grado di amplificare e prolungare nel tempo i benefici derivantidall’evento stesso.

È emblematico, in tal senso, il caso della città di Lisbona e del suo rinnovamento in occa-sione dell’Expò del 1998. La riqualificazione dell’area destinata all’esposizione ha rappresentatoun momento di rinascita per la città che, all’inizio degli anni ’90, si presentava in uno stato di de-grado e di decremento demografico.

Il progetto ha interessato la zona orientale, includendo 5 km di riva precedentementeoccupati da industrie inquinanti, depositi e persino una discarica. La scelta del sito è diventatal’occasione non solo per riqualificare queste aree ma, soprattutto, per recuperare il tradizionalerapporto della città con il fiume, elemento intorno al quale si era sviluppata nei secoli come unenorme anfiteatro.

Nato sulla scia delle grandi trasformazioni che avevano investito la città di Barcellona per iGiochi Olimpici, il progetto di Lisbona ha rappresentato il motore per la trasformazione e la valo-rizzazione di tutta la città, l’occasione di riqualificazione e di rinnovamento.

L’elemento acqua, che ha ispirato il progetto, era stato scelto anche come temadell’Esposizione Mondiale di Lisbona che, già nel titolo, “Oceani: un’eredità per il futuro”, intendevasottolineare la necessità di discutere del mare in quanto risorsa evidenziandone il ruolo nella sto-ria dell’umanità, nel passato e, soprattutto, nel futuro, in un’ottica di sviluppo sostenibile.

Alcuni anni dopo, nel 2008, le complesse relazioni tra acqua e sviluppo sostenibile sonostate affrontate nell’ambito dell’Expò di Saragozza “Agua y Desarrollo Sostenible”. L’Expò ha dedi-

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EFig. 19 - Ponte scorrevole al Port Vell di Barcellona (Mare Balearico).

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cato una piazza tematica alle Città d’acqua (“Ciudades de Agua”) illustrando, attraverso l’esposi-zione di 80 città, “buone pratiche” ed esempi virtuosi, con particolare attenzione alla città ospi-tante, Saragozza, che in occasione dell’Expò ha recuperato una parte del suo territorio in prossi-mità del fiume Ebro.

Le trasformazioni urbane e gli interventi di riqualificazione di waterfronts attivati in occa-sione di grandi eventi sono tanti, da Barcellona per i giochi olimpici estivi del 1992, a Genova perle Celebrazioni Colombiane tenutesi nello stesso anno (Bisio e Bobbio, 2004), ad Atene per i gio-chi olimpici del 2004, a Valencia per l’America’s Cup del 2007.

In altri casi, la rigenerazione dei waterfronts non scaturisce da necessità di restyling legatead un evento, ma si colloca nell’ambito di una visione strategica complessiva di crescita e di rin-novamento urbano, come nel caso di New York City28.

In Italia le operazioni messe in campo sono numerose, come il lido di Venezia, il waterfrontdi Reggio Calabria, di Salerno, il porto di Ravenna, l’area di Bagnoli a Napoli. (Soriani, 2002) (Balzanie Montalti, 2008) (Greco, 2009) (Savino, 2010) Tuttavia, il bilancio italiano non è positivo:“Dieci annidi progetti sui waterfront e pochissimi cantieri. Salvo rare eccezioni la rigenerazione della costa ita-liana soffre per mancanza di strategia, per carenza di fondi e mancato consenso sulle possibili trasfor-mazioni”29.

Questo fermento di idee e progetti intorno al tema della rigenerazione dei waterfronts hadeterminato, in alcuni casi, la costituzione di veri e propri network di città d’acqua per favorire ilconfronto culturale e scientifico. Le città di mare, in passato connesse da rotte commerciali che nehanno favorito un comune substrato culturale evidente nei tessuti urbani – come nel caso dellacitata Lega Anseatica30 – ripropongono nella contemporaneità questa attitudine a rendersi parte

28 Per un approfondimento si rimanda ai casi studio illustrati nei capitoli successivi.29 Il supplemento Progetti e Concorsi 30 (2/7 agosto 2010) di Edilizia e Territorio (il Sole 24 ore) contiene un’in-

chiesta dedicata al tema del waterfront in Italia, curata da Paola Pierotti.

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Fig. 20 - Oceanario nel Parco delle Nazioni di Lisbona, realizzato per l’Expò del 1998 (Estuario del fiume Tago).

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di una rete di realtà urbane. Le nuove reti di città d’acqua si costituiscono per intraprenderepercorsi di rinnovamento e valorizzazione, condividendo obiettivi, esperienze, buone pratiche eknow how.

È interessante l’iniziativa Waterfront Communities Project, un network di nove città(Edimburgo, Gateshead, Newcastle, Oslo, Gotenburg, Aalborg, Odense, Kingston, Amburgo) che siaffacciano sul Mare del Nord e che si sono poste l’obiettivo di riconnettere i propri spazi urbani almare. (Waterfront communities project)

Nell’ambito del network, il caso del Fjord City Plan di Oslo rappresenta un grande progettodi sviluppo urbano sostenibile, coerente con il programma ecologico 2002-2014 della città, chemira ad una migliore qualità della vita, all’incremento delle attività culturali e di ricreazione.

Il piano pone come obiettivi principali la realizzazione di un sistema di mobilità sostenibileche migliori l’accessibilità dell’area e l’integrazione del waterfront nel tessuto urbano attraverso laprogettazione di spazi urbani finalizzati a riconnettere la città con l’acqua. Il collegamento tra cittàe fiordo è supportato dalla recente realizzazione di un tunnel autostradale a sei corsie nella baiadi Bjørvika, lungo 1.100 metri, di cui 675 sommersi. (Bjørvika Tunnel)

Fjord City è un’esperienza in itinere complessa ed estesa che coinvolge un’area di 225 et-tari, suddivisi in 13 aree di progetto. Alcuni progetti sono attualmente in corso di realizzazione,altri sono già stati completati. (City of Oslo, 2008)

L’entità dell’iniziativa, intesa come un grande programma di sviluppo e di valorizzazionedella città, ha determinato l’istituzione dell’Oslo Waterfront Planning Office. Come affermato sulwebsite del Comune di Oslo, “the Office shall contribute to the realisation of the Fjord City as statedin the Acts adopted by the City Council. (…) The strategy and plan include urban renewal of a string ofwaterfront properties in the heart of the City, in order to create better connections between the Cityand the sea”.

Un’altra esperienza rilevante in tema di reti è rappresentata da URBACT II, programma eu-ropeo di cooperazione interregionale finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR).

Il programma ha l’obiettivo di favorire lo scambio di esperienze tra città europee dif-fondendo le conoscenze acquisite in materia di sviluppo urbano sostenibile ed è il prosieguo diURBACT I, creato nel 2002 per mettere in rete le città beneficiarie di programmi europei a carattereurbano (Urban I, Urban II, Urban Pilot Projects)31.

Port Cities è una delle nove aree tematiche in cui si articolano i progetti di URBACT II.Nell’ambito di questa area tematica, la città di Napoli è lead partner del progetto CTUR (CruiseTraffic and Urban Rigeneration of City Port Heritage as a key for sustainable economic, social andurban development)32, “che considera il traffico delle navi da crociera ed il recupero del porto e delpatrimonio edilizio urbano come forti elementi del comune interesse delle città di mare per svilup-pare/rafforzare il settore del turismo urbano”. Il progetto pone come questioni rilevanti ai fini degliobiettivi dell’iniziativa migliorare l’accessibilità della zona portuale ed il rafforzamento della con-tinuità tra città e porto.

La condivisione di know how e l’avanzamento scientifico e culturale in tema di città d’acquae di riqualificazione sono tra gli obiettivi del già citato Centro Internazionale Città d’Acqua diVenezia (cfr. par. 4.2) che, in particolare, ha aderito ad una piattaforma informale, River//Cities plat-form, nata nel 2006 a Varsavia, per connettere enti ed organizzazioni di città fluviali europee.Finalità di cooperazione internazionale ed interculturale sono alla base della piattaforma che in-tende promuovere lo sviluppo delle potenzialità delle aree fluviali in termini culturali, economicie sociali. (RIVER//CITIES)

30 Cfr. cap. 1, par. 1.1 “Capire il mare per ripensare le città d’acqua”.31 Tra il 2003 e il 2006 sono stati sviluppati 38 progetti, tra i quali figurano gruppi di lavoro, reti tematiche,

studi, programmi di formazione nei nuovi Stati Membri. Questi progetti hanno coinvolto 217 città di 29 Paesi.(http://www.unich.it/dart/urbact/urbactII.html)

32 Partners del progetto Napoli - Autorità portuale di Napoli (Italia) lead partner, International Association Citiesand Ports (Aivp), Alicante (Spagna), Dublino (Irlanda), Helsinki (Finlandia), Matosinhos - Autorità portuale di Leixoes(Portogallo), Generalitat Valenciana (Spagna), Rhodes (Grecia), Rostock (Germania), Trieste (Italia), Varna (Bulgaria),Istanbul (Turchia). (URBACT)

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Inoltre nel 2001, per iniziativa del Centro Internazionale Città d’Acqua, si è costituita l’asso-ciazione RETE (Asociaciòn para la colaboraciòn entre Puertos y Ciudades), con l’obiettivo di “valo-rizzare e sviluppare la cooperazione tra porti e città portuali dei due continenti nel campo della riqua-lificazione dei waterfront urbano-portuali e, più in generale, della relazione porto-città”33. (RETE)

Si configura, invece, come un forum permanente tra soggetti a vario titolo interessati e co-involti in processi di rigenerazione urbana il Waterfront Center, organizzazione non-profit costi-tuita nel 1981, con sede a Washington. Il centro sostiene l’importanza dell’apprendimento condi-viso, sponsorizza una Conferenza internazionale annuale negli Stati Uniti ed un workshop in col-laborazione con la Conferenza che ha lo scopo di dare alla città ospitante l’opportunità dipresentare la sua storia e l’evoluzione del suo litorale e discutere le esperienze condotte nella pia-nificazione e progettazione del proprio waterfront. Inoltre, sponsorizza un premio annuale intito-lato “Excellence in the Waterfront” assegnato ad interventi realizzati, progetti e piani34. IlWaterfront Center persegue gli obiettivi di diffusione e condivisione di problematiche ed espe-rienze legate al tema dei waterfronts anche attraverso pubblicazioni, in particolare i co-direttoriAnn Breen e Dick Rigby negli anni ‘90 sono stati autori di interessanti volumi dedicati ad inter-venti di riqualificazione di waterfronts35.

33 La missione dell’Associazione è costruire una rete internazionale di città portuali e di porti, con particolare, manon esclusivo, riferimento a quelli dell’Europa meridionale e mediterranea e dell’America Latina, al fine di conseguire unosviluppo equilibrato e qualificato degli ambiti urbani e portuali. Gli obiettivi dell’Associazione riguardano la promozione,lo sviluppo e la realizzazione di programmi, progetti, attività e iniziative di formazione, studio, ricerca e diffusione che fa-voriscano: la cooperazione tra le amministrazioni portuali e quelle locali, regionali e statali, così come i soggetti pubblicie privati interessati; la migliore integrazione dei porti nei loro contesti territoriali, economici, sociali, culturali e ambien-tali; la prosperità e il miglioramento della qualità della vita delle città portuali. (RETE)

34 I premi, esaminati da una giuria interdisciplinare di esperti internazionali, sono presentati alla Conferenza an-nuale del Waterfront Center.

35 Cfr. Breen and Rigby, 1996.

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Fig. 21 - Luoghi urbani di incontro e di aggregazione sul waterfront al Pier 17 (Upper New York Bay).

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Le iniziative che si possono approfondire, dunque, sono numerose. Queste nuove forme direti di città d’acqua contribuiscono, in modo e con mezzi differenti, alla diffusione del dibattitoscientifico e culturale ed al confronto su temi ed esperienze che riguardano le complesse relazionitra ambiente urbano ed acqua.

Il mondo del web contribuisce alla realizzazione di questi networks, configurandosi comeuna grande rete che consente l’accesso ad una moltitudine di progetti realizzati o in atto suwaterfront. Gli esempi si moltiplicano in ogni parte del mondo, l’accesso alle informazioni è faci-litato ma più complessa appare la ricerca, in questo mare magnum, di esempi di buone pratiche,di iniziative in grado di interpretare e valorizzare il legame tra terra e mare, tra cultura urbana ecultura marittima.

Tuttavia, se molti interventi di riqualificazione di waterfronts mostrano una certa omologa-zione e debolezza semantica (Clemente, 2009), in molte città contemporanee, architetti ed urba-nisti cercano e trovano ispirazione proprio in queste relazioni tra terra ed acqua, tra città e mare.Nuove architetture e spazi urbani dimostrano la grande forza suggestiva che l’acqua, oggi comein passato, esercita nella costruzione delle città.

Il legame con il mare e con la storia del territorio è spesso reinterpretato dagli architetti con-temporanei in un dialogo tra tradizione ed innovazione, nelle forme, nei materiali e nelle tecniche,in un rapporto di ispirazione e contemplazione dell’elemento acqua. Molte architetture contem-poranee sorte in città di mare mostrano come il complesso lavoro degli architetti si misuri anchecon la capacità di comprendere ed interpretare in maniera soggettiva ed innovativa l’anima di unluogo, il genius loci, la cultura, la storia, il modo di vivere il mare degli abitanti. (Green, 2008)

Spesso questa capacità si traduce in edifici capaci di diventare dei landmark nel tessuto ur-bano e di assumere, in alcuni casi, un valore “iconico” simboleggiando il processo di rinnovamentourbano in atto. (Jencks, 2005) È il caso del National Opera & Ballet a Bjørvika, nella città di Oslo,progettato da Snøheò Architects AS ed aperto al pubblico nell’aprile del 2008, in cui il legame conl’acqua è evidente. L’Opera, con le sue superfici bianche, sembra sorgere dalle acque stesse delfiordo: grandi piani inclinati uniscono l’edificio all’acqua, invitando il visitatore a passeggiare dallaterrazza di copertura sino alla “riva” di questa bianca isola artificiale e realizzando un vero e pro-prio luogo di aggregazione. (Davey, 2008)

Anche l’arte del navigare rappresenta una fonte di ispirazione per le architetture contem-poranee realizzate in città d’acqua: il processo creativo è illuminato da una suggestione che de-riva da forme archetipe della tradizione marittima, forme sedimentate nella memoria collettiva.Linguaggi contemporanei si confrontano con un lessico universale, un patrimonio che unisce edaccomuna le popolazioni di naviganti.

L’arte del costruire le città e l’arte del navigare si incrociano e dialogano in architetture con-cepite con il dichiarato intento di ispirarsi alle forme tipiche delle imbarcazioni tradizionali, nonuna mera citazione formale ma la volontà di evocare l’atavico legame di un territorio e del suopopolo con il mare.

Alcuni edifici rivelano questa sensibilità del progettista, la capacità di cogliere ed interpre-tare una cultura sedimentata, come quella marittima, traducendola in architetture che, non soloformalmente, si riallacciano alla tradizione locale. Non si tratta semplicemente di una riproduzionedi forme che evocano il mare – vele, onde, sagome di navi – ma di un processo di interiorizzazioneda parte dell’architetto, della comprensione dei caratteri di un luogo, caratteri permanenti eppuremutevoli nelle tante possibili manifestazioni, espressione di una cultura e di una memoria collet-tiva marittima.

Se le navi ci appaiono come luoghi urbani in perenne navigazione, alcune opere di archi-tettura contemporanea sembrano concepite come barche pronte a salpare per nuove rotte, comea voler esprimere la consapevolezza che una città d’acqua non si esaurisce nel suo confine fisicotra terra ed acqua ma realizza la propria storia aprendosi verso il mare.

La tradizione marittima è enfatizzata in alcune recenti realizzazioni che incontriamo neimari del Nord Europa. In particolare, a Copenaghen, l’edificio del Teatro dell’Opera e l’amplia-mento della Biblioteca Reale trovano nell’acqua l’elemento di ispirazione.

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Il Teatro dell’Opera di Copenaghen, realizzato nel 2005 su progetto dell’architetto daneseHenning Larsen, è tra i più grandi d’Europa. L’edificio sorge sull’isola di Holmen, sull’area dei vec-chi cantieri navali di Doken, e si inserisce nell’ambito di un piano di sviluppo urbano di un’ampiazona da destinare a centro culturale, in cui l’acqua e gli spazi aperti pubblici assumono la funzionedi elementi unificatori che collegano percorsi, edifici nuovi e preesistenti36. Come in altri casi,nonostante il cambiamento di destinazione d’uso di questa area urbana, da portuale a culturale,il progetto è caratterizzato dalla permanenza del legame storico con la cultura marittima, dallaquale il progettista riceve suggestioni che traduce in forme architettoniche.

Il Teatro è costituito dall’intersezione di due volumi sormontati da una copertura metallicaa sbalzo. All’interno, la forma e la posizione dell’ampia vetrata curva, illuminata nelle ore notturne,congiungono l’edificio con la superficie d’acqua, rievocando la prua di una nave e riservando ai vi-sitatori una splendida vista panoramica di Copenaghen a 180° 37. (Royal Danish Theatre)

Il riferimento a forme di matrice navale riecheggia anche all’interno dell’Opera: la paretecurva e levigata che delimita la sala dell’auditorium, rivestita con pannelli in legno di acero, che ri-propone nel tono cromatico la cassa di un violino, si protende verso il foyer, al di sopra dei visita-tori, creando la suggestione di trovarsi davanti allo scafo in legno di un’imbarcazione. Il tema delmare domina anche la configurazione interna dell’auditorium che, per la forma ispirata ad unaconchiglia, è stata ribattezzata “the conch” dallo stesso studio Larsen. (Henning Larsen Architects)

Il progettisti, relazionandosi da un lato con la funzione, in questo caso la rappresentazionemusicale, e, dall’altro lato, con la presenza imponente dell’elemento naturale acqua, si sono misu-rati con forme archetipe di grande forza evocativa.

L’altro edificio che testimonia la capacità suggestiva del mare nelle architetture contempo-ranee è la Biblioteca Reale della città di Copenaghen, anch’essa situata su un’isola, nata dalla ne-cessità di ampliare la struttura novecentesca della Kongelige Bibliotek, inglobando la preesistenzasenza stravolgerla. Un volume trapezoidale, rigido e puro, rivestito di lastre lucidate di granitonero che le è valso l’appellativo di “den sorte diamant” (diamante nero), è attraversato nella partecentrale da un cuneo di cristallo trasparente per l’intera altezza dell’edificio. Questa cesura realizzauna stretta relazione tra l’interno e le acque del canale su cui l’edificio si prospetta. Il tema del-l’acqua, che scenograficamente penetra nell’edificio attraverso la cesura trasparente, è enfatizzatodalle forme curve delle balconate interne che si affacciano sull’atrio centrale della Biblioteca,dando l’impressione di trovarsi sul ponte di una nave in navigazione lungo il canale.

Il legame tra la cultura olandese, il mare e la navigazione trova espressione in architetturecontemporanee nelle acque di Amsterdam, come il Nemo di Renzo Piano e il Silodam di MVRDV,edifici ben saldi sulle loro fondazioni ma che appaiono come navi tra le navi.

Il Nemo è il Museo della Scienza e della Tecnologia progettato da Renzo Piano e inauguratonel 1997. Sorge nell’area portuale di Amsterdam, nel tratto compreso tra la stazione centrale e ilmuseo marittimo dei Paesi Bassi. Per la sua ubicazione e la composizione architettonica, l’edificiosembra appartenere più al porto che alla città: la sua forma evoca la prua di una nave antica, gra-zie anche al suggestivo rivestimento di rame preossidato. Il tetto praticabile è una grande piazzainclinata dalla quale si può godere di un incantevole panorama sulla città storica, meta di turisti eluogo di aggregazione per gli abitanti del quartiere. Da lassù sembra di vedere la terraferma dallatolda di una nave.

Questo carattere “portuale” distingue anche il Silodam, progettato dallo studio olandeseMVRDV, realizzato nella zona occidentale del porto di Amsterdam. È un edificio residenziale dallaforma di parallelepipedo con le strisce abitative di diverso colore. Il parallelepipedo poggia su pi-lastri che si immergono nell’acqua creando l’effetto del galleggiamento. Ne risulta un’immaginemolto simile ad una nave portacontainers. L’edifico è ubicato nel canale che dal porto diAmsterdam conduce al mare aperto. Partendo dal porto, navighiamo lungo il canale verso il mare

36 Una vecchia darsena e una stazione di pompaggio sono ancora presenti a pochi metri ad ovest dell’Opera.37 Per un tour virtuale all’interno dell’Opera House di Copenaghen: http://www.old.kglteater.dk/Virtual_tour/ope-

raen/index.html.

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e incontriamo il Silodam: tanto sembra una nave che viene voglia di salutare il suo equipaggio,così come fanno i marinai quando le navi incrociano le loro rotte.

Questa nave-quartiere si sviluppa in verticale su vari ponti, partendo dalla linea di galleg-giamento e arrivando alla plancia di comando e fino al più alto dei ponti sopra coperta. L’effettodi nave portacontainers è rafforzato dal terrazzo in legno a sbalzo sull’acqua e dal patchwork di

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Fig. 22 - Il Nemo di Renzo Piano, architettura e luogo urbano, “ormeggiato” nel porto di Amsterdam (Disegno diSalvatore Oppido).

Fig. 23 - Il Silodam di MVRDV, complesso residenziale, pronto a “salpare” verso il Mare del Nord (Disegno di SalvatoreOppido).

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rivestimenti multicolore della facciata: mattoni, vetro, lamiere colorate, legno, e alluminio. In realtà,la varietà esterna esprime, pur nell’essenzialità del parallelepipedo, le diverse tipologie abitativeche, all’interno si aggregano attorno agli spazi comuni. (de Poorter, 2008)

Anche il centro culturale Lowry, a Manchester, realizzato nel 2000 su progetto dell’archi-tetto inglese Micheal Wilford (Michael Wilford), attraverso la composizione dinamica di volumiesagonali, cilindrici, triangolari e rettangolari, dà l’impressione di trovarsi al cospetto di una nave.

L’acqua dei canali si riflette nei rivestimenti dei volumi, in acciaio e vetro, e la torre cilin-drica, al centro della composizione, di giorno le conferisce l’aspetto di un gigantesco battello avapore; di notte illuminandosi e proiettando raggi laser, rievoca i fari posti lungo la costa per age-volare la navigazione e l’approdo.

Il centro culturale ospita due teatri, una galleria d’arte interattiva per bambini, sale esposi-tive, bar ristoranti, negozi ed una pinacoteca di quadri del pittore Laurence Stephen Lowry (1887-1976), artista famoso per i numerosi panorami industriali di Manchester.

In alcune architetture la navigazione è assunta dal progettista anche come metafora dellavita: è il caso della chiesa Dives in Misericordia di Richard Meier che non sorge sul mare ma nellaperiferia romana, nel quartiere popolare di Tor Tre Teste, realizzato in occasione del Giubileo del2000. I suoi tre gusci concavi, realizzati con un cemento bianco al biossido di titanio per garan-tirne il candore nel tempo, evocano nell’osservatore tre vele gonfiate dal vento. Attraverso questaarchitettura la navigazione può assurgere a metafora della vita in terra del buon cristiano,essendo la chiesa la nave che può condurlo nella grazia divina superando le tempeste delletentazioni del male.

Il riferimento alla cultura marinara è presente in numerose altre architetture del XXI secolo.Riconoscimenti e premi sono stati assegnati ad un edificio emblematico, che trae suggestioni edispirazioni dalla tradizione velica: il Museo Norveg, di Gudmundur Jonsson, nel porto della città diRørvik, della Norvegia settentrionale. Il nucleo centrale, in cemento armato, è sagomato come laprua di una nave diretta verso sud e tre vele, in parte sovrapposte, compongono la facciata prin-cipale dell’edificio.

La forma dell’edificio è strettamente connessa non solo alla tradizione marittima locale maanche alla funzione insediata, poiché questo moderno “veliero” ospita il Coast Cultural Center.

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Fig. 24 - La “prua” del Lowry, centro culturale e per il tempo libero, si specchia nello Ship Canal di Manchester (Disegnodi Salvatore Oppido).

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Sollevato dalla superficie dell’acqua e posto su palafitte, il Museo assume l’aspetto di un trealberi pronto a salpare dal porto di Rørvik. La città rappresenta un nodo strategico, incrocio dellalinea postale di Hurtigruten che collega 34 porti della costa della Norvegia. Il Norveg, quindi, te-stimonianza della storia del litorale, sottolinea questa vocazione del territorio ed il suo stretto le-game con il mare, legame che trova espressione nella forma dell’architettura che lo ospita.

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Fig. 25 - Il Norveg sembra “salpare a vele spiegate” dal porto di Rørvik (Disegno di Salvatore Oppido).

Fig. 26 - La “flotta in navigazione” del complesso residenziale Armada Housing a Den Bosh (Disegno di SalvatoreOppido).

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Il tema della vela è centrale anche nel progetto del complesso residenziale olandeseArmada Housing, il cui nome rievoca le flotte di velieri, definito dai progettisti dello studio ingleseBDP “An ‘armada’ of ten, billowing craft now sails down a new canal”. (BDP)

Acqua e vento del nord sono gli elementi ricorrenti nel territorio olandese che hanno sem-pre influenzato l’architettura locale. Ad essi si ispira il progetto dell’Armada Housing e, probabil-mente, il fatto che il progetto sia stato votato dai cittadini olandesi e giudicato il migliore tra i 43proposti deriva proprio dall’essersi riconosciuti in un’architettura che propone, in chiave contem-poranea, questo legame con il territorio e con la sua tradizione marittima.

Nel caso dell’Armada Housing la soluzione formale delle vele attraverso le grandi pareticurve rivestite in acciaio inossidabile, utilizzate per i prospetti posti a sud, consente di opporre mi-nore resistenza al vento e di ottimizzare le condizioni di soleggiamento degli appartamenti.

Vele trapezoidali caratterizzano anche il prospetto principale della Biblioteca del MayoInstitute a Galway, in Irlanda, realizzata su progetto di Murray O’Laoire Architects. L’edificio ospitail Learning Resource Centre e celebra il passato marittimo della città, situata sulla costa atlantica,attraverso una composizione architettonica ispirata alla tradizione velica: sulla facciata posta asud troneggiano tre vele inclinate e sfalsate, realizzate mediante una doppia parete che all’e-sterno presenta strisce oblique di rame verde pre-patinato con un’intelaiatura in acciaio.

Nella Biblioteca del Mayo Institute, le tre vele non hanno una valenza puramente formale,al contrario sono state concepite secondo il binomio “forma e funzione”. Esse fungono da prote-zione dall’irraggiamento solare, isolano acusticamente attraverso la composizione della doppiaparete e riflettono la luce. Inoltre attraverso la camera d’aria realizzata all’interno della doppiaparete delle vele, funzionano da convogliatori d’aria, contribuendo alla naturale aerazione dellabiblioteca. (Murray O’Laoire)

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Fig. 27 - Le “vele trapezoidali” del Mayo Institute Galway (Disegno di Salvatore Oppido).

L’utilizzo ottimale delle risorse naturali in un’ottica di sostenibilità è un’esigenza delle ar-chitetture contemporanee che trova ispirazione nell’arte della navigazione, in cui l’uomo sfrutta leforze delle natura, mare e vento, a proprio vantaggio, in modo armonico e senza dissipazione.

Il binomio forma-funzione raggiunge forza espressiva e semantica anche nel Museo del pe-trolio a Stavanger, progettato dallo studio L2 Architects e realizzato nel 1999 per celebrare la vo-

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cazione industriale petrolifera del territorio norvegese. L’edificio è concepito come una grandepiattaforma per le trivellazioni. In esso la funzione e la forma perseguono il medesimo obiettivo:evocare la storia industriale della città, ai primi posti nel mondo per le attività petrolifere.

Al corpo principale, un blocco tronco-piramidale rivestito di lastre di roccia, si collegano trevolumi cilindrici, di acciaio inossidabile, sopraelevati sulle acque del porto, che appaiono comepiattaforme di trivellazione.

In altre architetture è l’acqua a diventare elemento caratterizzante e ad ispirare il pro-gettista. L’acqua, con la sua forza suggestiva, entra nella composizione architettonica diventandoparte dell’edificio, spesso con l’intento di rievocare un carattere distintivo del territorio e dellasua storia.

In Olanda, nella città di Haarlemmermeer, in prossimità dell’aeroporto Schiphol diAmsterdam, nel 2002 in occasione dell’esposizione florovivaistica Floriade è stato realizzato il pa-diglione Hydra Pier, che accoglie una galleria multimediale ed un ristorante. L’edificio sorge su unpolder38, un’area pianeggiante posta 5 metri sotto il livello del mare, in una regione la cui storia ècaratterizzata dal forte legame tra terra e acqua. Questo legame è enfatizzato nell’Hydra Pier giànella composizione architettonica fondata su due elementi, uno sulla terraferma e l’altro sul lagoartificiale. Quest’ultimo si protende nell’acqua con la sua forma aerodinamica, riferimento alla vi-cina area aeroportuale.

In questa architettura galleggiante l’acqua diventa anche elemento costitutivo dell’edificio,scorrendo sul piano inclinato del tetto trasparente e cadendo a cascata tra la parte di edificio po-sta sulla terraferma e quella galleggiante. (de Poorter, 2008) Il progettista evoca, all’interno dellacomposizione architettonica, il pompaggio dell’acqua del mare, tipico dei polder, con l’intento ditradurre in architettura un carattere storico e consolidato del territorio. Gli Olandesi, infatti, sono

38 Un polder è un tratto di mare prosciugato artificialmente attraverso dighe e sistemi di drenaggio dell’acqua.La tecnica, sperimentata per la prima volta in Belgio, nella città di Bruges nel XII sec., fu poi perfezionata dagli Olandesinei secoli successivi attraverso una lunga storia di bonifica del territorio. Oggi oltre la metà della superficie di terreno ot-tenuto con questa tecnica si trova in Olanda, circa 3.000 polder, enfaticamente testimoniato dal detto “God created theworld, but the Dutch created Holland”. Uno dei più significativi esempi di polder è quello di Beemster, nei Paesi Bassi, oggiPatrimonio dell’UNESCO, creato nel 1612. (Polder)

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Fig. 28 - La “piattaforma marina” del Museo del Petrolio di Stavanger (Disegno di Salvatore Oppido).

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sempre stati consapevoli dell’uso dell’acqua nel progetto urbano, esportando questa consapevo-lezza nelle colonie come New Amsterdam, oggi New York. (Konvitz, 1978)

In alcuni casi è proprio il riferimento al mare, alla sua forza, al moto ondoso ad esercitareuna forte suggestione traducendosi in forme architettoniche. Tra le recenti architetture olandesiche traggono ispirazione dal mare, ad Almere sorge un edificio soprannominato “the Wave”(l’onda) per la forma ondulata della facciata posta a sud. Il Block 16 – questo è il nome dell’edifi-cio progettato da Renè van Zuuk – nasce nell’ambito del piano regolatore per la città di Almere39

dello studio OMA ed ospita un parcheggio al piano terra ed un centro fitness e appartamenti aipiani superiori. (Renè van Zuuk)

La suggestiva soluzione ad onda del prospetto che si specchia nelle acque del Weerwaterè realizzata attraverso l’inclinazione e la sovrapposizione dei pannelli modulari rivestiti in allumi-nio anodizzato che compongono la facciata. Nel Block 16 anche la soluzione tecnologica adottataper gli infissi sottolinea e rafforza l’idea ispiratrice del progetto. Infatti, la loro disposizioneinclinata è ottenuta grazie all’utilizzo di pannelli sandwich modulari di alluminio che inglobano ilserramento, in modo da poter essere sovrapposti sia in verticale che in orizzontale, seguendodiverse inclinazioni.

La scelta di incentrare la composizione dei prospetti sull’inclinazione degli elementi modu-lari, oltre a conferire un inconfondibile richiamo alle onde, determina una mutevole e dinamicariflessione della luce nelle diverse ore della giornata.

Questo concetto di dinamicità enfatizzato dalla luce suggerisce paralleli nelle arti figura-tive, come gli acquerelli veneziani di William Turner40, in cui lo stesso luogo, ritratto in diversi mo-menti della giornata, documenta il ciclo naturale della luce, sottolineando le capacità espressive

39 La città di Almere, a pochi chilometri da Amsterdam, è la più giovane città dei Paesi Bassi, realizzata nel 1976su un polder, nella parte meridionale della Provincia di Flevoland. L’architetto Rem Koolhaas ed il suo studio OMA (Officefor Metropolitan Architecture) hanno elaborato, per conto del Comune di Almere, il Master Plan per la città. La realizza-zione è stata organizzata in blocchi, commissionati a diversi architetti. In particolare, il Block 16 è un progetto di René vanZuuk.

40 Joseph Mallord William Turner (1775-1851), pittore e incisore inglese, appartenente al movimento romantico,è conosciuto con il soprannome di “Il pittore della luce”.

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Fig. 29 - Il Block 16, complesso residenziale “plasmato” dal moto ondoso (Disegno di Salvatore Oppido).

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degli elementi naturali come l’acqua, in grado di amplificare le variazioni delle condizioni lumi-nose41. (Warell, 2004)

Le architetture sono la testimonianza delle infinite e molteplici forme in cui il progetto puòtradurre, in un linguaggio contemporaneo, le suggestioni che arrivano dal mare e dalla culturamarittima. La dinamicità, la capacità suggestiva e l’influenza delle condizioni atmosferiche sullapercezione dei luoghi sono caratteri che si esaltano proprio nelle città di mare e che si riflettononegli spazi urbani e nelle architetture.

Il mare e l’acqua, oggi come sempre, si dimostrano una fonte inesauribile di ispirazionenella costruzione della città. Per urbanisti ed architetti significa soprattutto entrare in sintonia conluoghi di grande ricchezza semantica, esaltandone le vocazioni e le identità. Memoria storica e lin-guaggi contemporanei si confrontano nelle trasformazioni che investono città o parti di cittàd’acqua, attraverso il recupero di preesistenze e valori e la realizzazione di nuove architetture, de-terminando la configurazione di nuovi luoghi sul mare.

Proiettandosi verso l’acqua, mediando tra nuove e antiche funzioni, nuove e antiche archi-tetture, alcune città hanno restituito ai luoghi sul mare la valenza di spazi di aggregazione e di in-contro, dove si sviluppano relazioni sociali e culturali, in una dimensione multiculturale che stori-camente e geneticamente caratterizza la città d’acqua. (Clemente e Esposito De Vita, 2008)L’obiettivo è la costruzione di luoghi che, focalizzando l’attenzione sull’uomo e sul suo habitat,siano in grado di recuperare e valorizzare il legame atavico con il mare.

Il rapporto empatico con un luogo è qualcosa che appartiene all’uomo sin dalla fondazionedei primi insediamenti, è un mistero che risiede nell’affascinante e complesso rapporto tra l’uomoe il mare che spinge una comunità a costruire una città in un’area costiera piuttosto che in un’al-tra (Konvitz, 1978) perché in quel preciso punto d’incontro tra l’acqua e la terra, e non altri, scattal’empatia particolare.

Se in alcuni casi si tratta della realizzazione di nuove parti della città, in cui nuove funzionie nuove architetture offrono a residenti e turisti nuovi spazi urbani, in altri contesti l’obiettivo di-venta la riappropriazione di un luogo e, soprattutto, il recupero del suo rapporto con il mare.

Questa attitudine delle aree sul mare ad essere luoghi di relazioni sociali e culturali, in cuila gente decide di incontrarsi e di trascorrere il proprio tempo, può essere valorizzata non soloattraverso grandi operazioni di trasformazione e riqualificazione ma anche interventi di minoreentità, in grado di dare risposta a questo desiderio ancestrale di vita sul mare.

Un buon esempio è dato dal pur semplice intervento di recupero del vecchio Molodell’Italsider nel quartiere di Bagnoli a Napoli, trasformato in una lunga e profonda passeggiatasul mare. La frequentazione di questo luogo testimonia probabilmente la volontà condivisa di ri-appropriazione di un’area la cui vocazione marittima era stata negata dal lungo passato indu-striale. Poter finalmente godere, dal mare, della suggestiva vista sul golfo e sui Campi Flegrei, areadi grande valenza storica e paesaggistica, ha contribuito in maniera determinante al successo diquesta operazione.

È la forza espressiva del mare che influenza fortemente il modo in cui uomini e donne vi-vono e sentono i luoghi. La capacità di interpretare le aspettative della comunità e la memoriacollettiva, traducendole in forme architettoniche e trasformazioni urbane, si dimostra un fattoredeterminante da cui dipende in buona parte la forza attrattiva e di aggregazione dei luoghi sulmare e la possibilità di tracciare nuovi destini e nuove rotte per le città d’acqua.

41 Turner visitò la città lagunare tre volte tra il 1819 e il 1840: le caratteristiche di Venezia, in cui l’acqua ed i ca-nali diventano elementi di genesi del tessuto urbano accanto alle architetture, suscitarono in Turner un grande interessesoprattutto per lo studio della luce, del colore e delle superfici riflettenti, come la pietra e l’acqua. (AA., 2008) Il tema del-l’acqua in Turner non si riferisce solo allo studio della luce: il pittore, infatti, era particolarmente affascinato dalla forza delmare, come dimostrano le numerose opere dedicate a questo soggetto (Naufragio, Pescatori nel mare, Scialuppa di salva-taggio e uomini). Per questa capacità di percepire gli aspetti emozionali nella mutevolezza e nella dinamicità di ciò cherappresentava – tanto che John Ruskin lo definì l’artista che più di ogni altro era capace di “rappresentare gli umori dellanatura in modo emozionante e sincero” (Ruskin, 1843) – si possono cogliere nella sua ricerca alcuni impulsi che troverannoespressione nelle avanguardie figurative.

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PARTE SECONDA

CASI STUDIO

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Capitolo 5

Città mediterranee: Barcellona, Valencia, Marsiglia

Il primo gruppo di casi studio è costituito da tre città portuali che si affacciano sul Mare Mediterraneo,accomunate da esperienze recenti di rigenerazione urbana. La specificità delle coste mediterranee e lastoria del Mare Nostrum si rivelano in felici operazioni di recupero fondate sulla valorizzazione di una sto-rica tradizione marittima.Ariadna Perich Capdeferro e Alona Martínez-Perez affrontano il caso di Barcellona focalizzando l’attenzionesul processo di rivitalizzazione del margine tra terra e acqua, nell’ambito di un rinnovamento comples-sivo e costante della città. L’analisi sottolinea alcuni aspetti formali e le relazioni spaziali che caratterizzanogli interventi realizzati lungo il waterfront, identificando episodi specifici di architettura contemporanea edi spazi urbani. Stefania Oppido delinea il percorso di riqualificazione del waterfront di Valencia, in occa-sione dell’America’s Cup del 2007, inquadrandolo nell’ambito di un piano più ampio di ricucitura tra il tes-suto urbano e il fronte a mare. Il nuovo volto di Valencia è stato costruito attraverso il recupero dell’iden-tità marittima individuando nella fascia costiera una risorsa e un’opportunità di sviluppo in termini eco-nomici, ambientali e culturali. Gabriella Esposito De Vita affronta il caso di Marsiglia che ha rilanciato lafascia del waterfront trasformandola in nodo strategico per le relazioni euromediterranee. Nelle inten-zioni del governo francese, la città si trasformerà in un hub della cultura mediterranea, porto-porta delMediterraneo, attraverso il potenziamento e la valorizzazione del ruolo marittimo.

5.1 BARCELLONA: “IN E TRA” TERRA E ACQUA PER UN’ANALISI DEL WATERFRONT

AutoriAriadna Perich Capdeferro e Alona Martínez-Perez

Traduzione di Stefania Oppido

Parole chiavemargine - rivitalizzazione del waterfront - limite - memoria collettiva - infrastrutture

Focus del caso studio

Barcellona è stata descritta come una città vibrante, con la tradizione di reinventarsi conti-nuamente. Questo rapporto conflittuale nei confronti della propria identità si manifesta nella re-lazione tra la terra e l’acqua, che consente di percepire e misurare la tensione dinamica della città.

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SIGLIAFig. 1 - La città vecchia dalla torre di Jaume I del Porto Antico. Parte della funivia che collega il porto con la zona di

Miramar nella montagna del Montjuïc (Foto di Ariadna Perich Capdeferro).

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La fascia urbana costiera di Barcellona comprende alcuni degli episodi più importanti e co-nosciuti di recupero e riqualificazione, grazie ai quali è gradualmente diventata un elemento fo-cale della struttura urbanistica della città e della regione.

L’analisi dello sforzo costante che Barcellona ha impiegato e ancora impiega nella ridefini-zione della sua costa – significato e forma – è fondamentale per comprendere la vicenda urbanache le ha conferito fama internazionale.

Inquadramento storico, urbano e marittimo

Terra e acqua

“The Romans called “limitanei” at the inhabitants of the limes. They constituted the bordersector of the army that camped at the “limes” of the imperial territory, lived in that space anddedicate themselves to defend it with arms and cultivate it at the same time. As a consequenceof this double military and agriculture job, the limes possessed full territorial consistency and itdefined the empire like a gigantic perimeter wall that was delimited by that inhabited and cul-tivated area, always in a precarious and changeable way. Beyond that district the barbarians,foreign and estrangers were the eternal threat. This one’s also felt so attracted by that borderbecause in a certain way it opened a possible entrance to the civic condition of the empireinhabitant”. (Trías, 1991, pp. 15)

La definizione del waterfront implica la nozione di margine1, descritto come un’area (laterra) che esiste accanto ad un corpo di acqua convivendo con entrambi gli elementi ma senzadivenire mai uno di loro. In questo senso, al fine di inquadrare alcuni aspetti inerenti allo spazioche stiamo analizzando, sembra opportuno il riferimento metaforico all’idea di limes sopra de-scritto.

È interessante considerare questa zona come un territorio a sé, con le proprie regole in-terne, che tuttavia non può esistere senza le due aree che lo delimitano. Da un lato, l’ambiente di-namico e universale dell’acqua, dall’altro, quello stabile e locale della terra. (Quaderns, 1996) Taleduplice situazione, ricca di contrasti, spesso promuove interventi con un forte carattere speri-mentale, che cercano di dare una risposta diretta a questa condizione “in e tra”.

Le operazioni effettuate sul confine sono anche elementi chiave per gli sviluppi urbanidelle città costiere e sono diventate rilevanti per la configurazione della loro immagine. Non pos-siamo dimenticare che il waterfront, come margine solitamente lasciato indefinito o libero, è statoper tanti anni uno spazio “esterno” al sistema urbano, pur esprimendo molte potenzialità (Solà-Morales Ignasi, 1996).

La comprensione delle caratteristiche originali di questo territorio e l’identificazione del-l’attuale realtà urbana diventano un esercizio utile per comprendere il particolare processo di tra-sformazione che queste zone hanno subito. Il caso di Barcellona non è un’eccezione e la letturaattenta di quanto accaduto, in particolare lungo il suo waterfront, può chiarire l’approccio speci-fico assunto dalla città per risolvere la condizione di ambiguità permanente del sito.

Questo lavoro intende presentare un’analisi che focalizzi alcuni aspetti formali e le relazionispaziali che riteniamo si instaurino solo lungo i waterfront, identificando, inoltre, episodi specificidi architettura di margine “in e tra” ed esempi di aree urbane che caratterizzano lo scenario diBarcellona che oggi conosciamo. Coerentemente con le dualità che si confrontano su questo ter-ritorio al margine della città, il contributo organizza le informazioni attraverso titoli costituiti dacoppie di parole e concetti opposti che riassumono i temi che abbiamo voluto evidenziare.

1 Definizioni di waterfront:– Land on the edge of a body of water (http://dictionary.reference.com/browse/waterfront, Accessed:

Nov. 2010).– Land with buildings, or a section of a town fronting or abutting on a body of water (http://www.merriam-web-

ster.com/dictionary/waterfront, Accessed: Nov. 2010)

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Passato e presente

“No poet, no artist of any art, has his complete meaning alone. His significance, his appreciationis the appreciation of his relation to the dead poets and artists. You cannot value him alone; youmust set him, for contrast and comparison, among the dead. I mean this as a principle ofaesthetic, not merely historical, criticism. The necessity that he shall conform, that he shallcohere, is not one-sided; what happens when a new work of art is created is something thathappens simultaneously to all the works of art which preceded it”. (Eliot, 1920)

La storia di Barcellona è stata sempre legata al mare. Questa affermazione può sembrareovvia, ma a volte l’ovvio è qualcosa che abbiamo la tendenza a trascurare e che deve essere riaf-fermato per comprendere le principali caratteristiche di ciò che stiamo osservando. Il legame trail presente e il passato non sempre è chiaramente visibile, eppure questo rapporto si riproponecontinuamente con diverse sfaccettature. Inoltre, lo sviluppo del waterfront di Barcellona non puòessere compreso senza ricordare alcuni aspetti storici del sito che testimoniano l’alleanza strettatra porto/acqua e città/territorio nella sequenza degli eventi che costituiscono il processo conti-nuo di trasformazione.

La prima area portuale, in origine, si trovava sul lato ovest della collina di Montjuïc duranteil periodo degli Íberi, tribù che occupavano il territorio della attuale Barcellona. Nel corso del I se-colo, quando i romani fondarono Barcino in cima al monte Taber (l’attuale area di Pl. San Jaume),l’attività portuale si trasferì a nord, di fronte a quello che è oggi il centro della città vecchia.

Durante l’età medievale Barcellona divenne la principale città marittima del Mediterraneo,grazie all’espansione territoriale e commerciale della Corona d’Aragó (Regno d’Aragona). La cittàsi proiettò verso il mare e, tra i secoli XII e XIII, la costruzione del Drassanes Reials2 (cantiere navalereale) ne aumentò la potenza navale. Tutto questo splendore non fu accompagnato da una ade-guata struttura portuale (anche perché Barcellona non sorse presso un porto naturale). Agli inizidel XV secolo fu realizzata una diga (Est dock) per proteggere l’area dalle onde e dalle correntimarine. Il molo di levante si estese progressivamente verso sud e sud-ovest e, contemporanea-mente, cominciò ad accumularsi sabbia su un lato, formando quello che sarebbero in seguito di-ventate le fondamenta della Barceloneta (1753), quartiere progettato e costruito per accogliere lepersone le cui case erano state demolite per la costruzione della fortezza La Ciutadella (Fig. 2).

Il problema dell’insabbiamento del porto impose l’estensione delle banchine verso il fiumeLlobregat a sud (Fig. 3) e favorì lo sviluppo di nuove banchine trasversali, come il pontileBarcellona. Tale pontile fu costruito nel 1882 dove più tardi, in occasione dell’EsposizioneUniversale del 1929, sarebbe stata realizzata la torre per la funivia aerea collegata a Montjuïc.

2 Il Drassanes Reials de Barcelona (XIII-XIV sec.) è uno degli edifici civili in stile gotico meglio conservati nelmondo.

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Fig. 3 - Veduta del porto di Barcellona con laMontagna di Collserola sullo sfondo, circa 1850.

Fig. 2 - Pianta della città e del porto di Barcellona, 1806.

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Nel XIX secolo la città visse un periodo di prosperità economica, grazie soprattutto all’in-dustria del cotone3 e al commercio con le Americhe che favorirono l’ulteriore crescita delle atti-vità portuali. Gradualmente Port Vell e Barceloneta si riempirono di moli per le spedizioni e di ma-gazzini. La costruzione della ferrovia4 e la comparsa dei battelli a vapore agevolarono le fabbrichedel settore siderurgico a Barceloneta, dando vita ad una zona industriale lungo la costa (lungo lalinea ferroviaria) fino a nord di Poble Nou. Peraltro, ciò provocò l’isolamento di Barceloneta, permolti anni unico quartiere residenziale lungo la costa di Barcellona.

Nel corso del XIX secolo e in parallelo con gli sviluppi industriali, la città subì alcune dellesue più importanti trasformazioni urbane. La città vecchia era una delle più densamente popolated’Europa al tempo e ciò determinò, nel 1854, la demolizione delle mura. L’urgenza di amplia-mento urbano richiese la realizzazione di un piano, imposto dal governo centrale, progettato dal-l’ingegnere Ildefons Cerdà e presentato nel 1859 (Fig. 4). Non vi è dubbio che il Piano di Cerdà haplasmato l’immagine e il carattere di Barcellona e ha dimostrato di essere una struttura urbana ingrado di trasformarsi ed adattarsi nel tempo.

Come si può osservare dal piano (Fig. 4), la città del XIX secolo fu progettata senza definirnein modo netto i margini, come se fosse stata intesa e concepita per un’espansione infinita. Ilwaterfront fu occupato dalle infrastrutture (porto, ferrovia), dal tessuto industriale e da alcuniinsediamenti di capanne che per anni occuparono il litorale5, come la parte retrostante della città,

3 Nel 1800 Barcellona aveva già 150 fabbriche tessili e questo numero ha continuato a crescere fino alla crisidel 1861.

4 La prima linea ferroviaria in Spagna partiva da Barcellona, collegandola con la città di Mataró, nel nord. Il viag-gio inaugurale fu effettuato nell’ottobre del 1848.

5 Gli insediamenti di capanne, per tanti anni presenti sulla spiaggia di Barcellona, sono stati definiti “La città di-menticata”. Quelli che occupavano porzioni della costa (Somorrostro e Camp de la Bota) erano i più significativi in terminidi dimensioni e la loro demolizione è stata una delle più recenti e anche delle più brusche. Nel 1970 Somorrostro era unacomunità di 10.000 abitanti e Camp de la Bota di 5.000. Vivevano in condizioni di estrema povertà e spesso i rifugi veni-vano distrutti dalle mareggiate.

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Fig. 4 - Mappa dei quartieri della città di Barcellona ed il progetto per il suo miglioramento e ampliamento, IldefonsCerdà I Sunyer, 1859. Si noti che il disegno è orientato seguendo le direzioni della griglia.

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invaso dalle “infrastrutture” che ne consentivano il funzionamento. Il waterfront rimase così finoalla fine degli anni Novanta, quando la città affrontò la grande trasformazione urbana in occa-sione dei Giochi Olimpici.

L’Esposizione Universale del 1888 può essere vista come il primo grande evento che la cittàha utilizzato per rigenerare e trasformare una grande area urbana6. In seguito Barcellona com-prese che certi tipi di eventi possono creare opportunità chiave (economicamente e simbolica-mente) per sviluppare e promuovere progetti importanti per la città. In questo senso, aver ospi-tato i Giochi Olimpici del 1992 ha portato ad una ridefinizione strutturale di Barcellona come cittàlungo il mare e lungo la montagna, ed anche alla localizzazione della città sullo scenario interna-zionale. Sono state costruite grandi infrastrutture stradali in modo da punteggiare la città con unsistema più veloce e a più grande scala, collegandola con le città limitrofe e consentendo, inoltre,di attraversare più velocemente la città. Più tardi, quando nel 2004 Barcellona ha organizzato ilForum delle Culture, ciò che si è davvero cercato di ottenere è stata la completa trasformazionedell’unico angolo lasciato incompiuto: la parte nord-est del waterfront, vicino al fiume Besòs, e l’e-stensione del viale Diagonal per raggiungere il mare.

A volte sembra che Barcellona, mossa da una forte e indiscutibile inerzia, sia costretta a cer-care continuamente eventi da ospitare. La sua connessione con il mare non solo ha plasmato il ca-rattere della città, ma è anche diventata una fonte importante per questi eventi. Una delle ultimeha avuto luogo nel 2008, quando Barcellona è stato nominata capitale del Mediterraneo dell’UpM(Unione per il Mediterraneo). Questa organizzazione, avviata da 43 nazioni europee e mediterra-nee, è stata creata per istituire uno spazio comune di dialogo, di cooperazione e sviluppo nel con-testo mediterraneo. Eletta come sede per il segretariato permanente dell’Unione, la città ha avutol’opportunità di rafforzare il suo ruolo storico marittimo non solo aprendo il mare a milioni di tu-risti che arrivano in barca nel suo Port Vell, ma anche assumendo un potere definitivo nel ristabi-lire le connessioni con le altre città e regioni che condividono le coste del Mediterraneo.

Descrizione del caso studio

Privato e pubblico

Una cosa che sorprende quando tracciamo la linea di costa di Barcellona è la dimensione delporto in relazione al resto della città (Fig. 5). Più del 50% del fronte a mare all’interno dei confiniamministrativi della città è occupato dalle strutture del Porto di Barcellona, che è autonomo sulpiano giuridico e territoriale. Il resto è costituito dalle spiagge pubbliche (4,5 Km), che includono i2 porti turistici principali. Il Porto è diviso in 3 parti in funzione dei diversi usi, per un’organizzazionepiù efficiente: il porto della logistica, il porto commerciale (crociere e linee regolari7) e il Port Vell(Porto Vecchio) destinato ad attività di tempo libero e vendita al dettaglio (distribuzione).

Questa dualità, che osserviamo sul waterfront della città, fa emergere anche una specificaparte del porto, che svolge un ruolo speciale nel rapporto tra la città e il mare: il Port Vell (Fig. 5area in grigio scuro). Il Port Vell è la zona più vicina alla città e – come, su altra scala, il confine traterra e mare – è anche un territorio di frontiera naturale tra la parte più privata del porto e la zonadelle spiagge pubbliche. Questa condizione ed il fatto che tutte le attività ed i luoghi realizzati sutale area non sono controllati dalle autorità locali ma da un operatore privato (l’Autorità del Portodi Barcellona) potrebbero determinare uno spazio fragile, pieno di ambiguità. Può sembrare chesiamo in un’area pubblica, ma in realtà si tratta di uno spazio collettivo su terreni privati. In que-

6 Nel 1888 Barcellona ha ospitato l’Esposizione Universale. Come un preludio ad eventi successivi, l’Esposizione èstata utilizzata dal Comune per trasformare l’area della fortezza della Ciutadella in un parco. Nel 1929 l’EsposizioneInternazionale di Barcellona ha portato alla riorganizzazione della zona vicino Piazza Espanya e Montjuic, che ora con-tiene alcuni dei musei più importanti della città e la Fira.

Nel1992 Barcellona ha ospitato i Giochi Olimpici e sviluppato il waterfront e alcune grandi arterie infrastrutturali(circonvallazione Ronda Litoral, Ronda de Dalt e Ronda del Mig).

7 Nel 2009 il porto commerciale ha registrato 2.533.228 passeggeri. Fonte: Barcelona’s Port: traffic statistics. Database for September 2010, pp. 17. (Autoritat Portuaria de Barcelona)

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sto senso, la zona rischia di diventare un “non luogo” più di altri, un luogo dove il cittadino si tra-sforma nella categoria di fruitore passivo o di spettatore (Augé, 1992) piuttosto che protagonista,non vedendo rafforzata la propria identità.

Questo spazio è stato il primo che Barcellona ha cercato di riconquistare (Fig. 6), non soloper la sua vicinanza, ma anche per il desiderio di riavvicinarsi al fronte a mare e rivitalizzare l’i-dentità marittima che la città ha sempre avuto. Il processo è stato avviato all’inizio degli anniOttanta insieme con le altre aree di nuova centralità8, promosso dalla candidatura per i GiochiOlimpici 1992, e continua ancora oggi. In 20 anni (1981-2000) sono stati completati molti pro-getti9 nell’ambito del recupero del porto e, per i motivi che abbiamo descritto in precedenza ri-guardo la natura “in e tra” della zona, questi progetti hanno attraversato tre fasi: il successo iniziale,la decadenza successiva e, infine, la necessità di una previsione di miglioramento.

La riappropriazione del porto da parte della città si può ottenere solo quando il waterfrontsmette di essere semplicemente uno scenario e diventa un collegamento definitivo con la città edi cittadini, iniziando a stabilire relazioni di vicinanza. (Magrinyà, 2005) Si tratta di un processo com-plesso di negoziazione tra due entità che, in sostanza, non sempre condividono gli stessi obiettivi.Ciò che è vero, ed i politici ne sono consapevoli, è che quando la città assume una posizione forteriguardo al destino del porto vecchio, e mostra chiaramente ciò che vuole, è solo una questionedi tempo. Ciò non senza aver ottenuto prima qualcosa in cambio, naturalmente.

8 Aree di intervento per i Giochi Olimpici del 1992: Montjuïc, Vila Olímpica, Vall d’Hebron y Diagonal-Camp Nou+ il Port Vell.

9 I primi progetti in ordine cronologico: 1. Moll de la Fusta (1981-87), 2. Moll de la Barceloneta-Passeig Joan deBorbó (1988-1993), Moll d’Espanya - Maremagnum (1994-96) and Moll de Barcelona - World Trade Center (1998-2000).

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Fig. 5 - Diagramma che mostra la suddivisione pubblico-privato e l’importanza e la centralità del porto vecchio comeporta d’ingresso per i forti legami verticali che vanno dal mare (le strade marittime) al centro città, attraverso il centrostorico (Disegno di Ariadna Perich Capdeferro).

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“I want a new seaside promenade for Barcelona, to put underground the coast motorwaywhich will allow the citizens to access without any obstacles to the sea, an element historicallylinked to the city and natural for its citizens”. (González, 2009)

Il fatto che un membro del Consiglio comunale pronunci queste parole in un’intervistapubblica è indicativo di un rinnovato interesse intorno al Port Vell. Per la sua posizione strategicadescritta in precedenza, il porto vecchio è essenziale al fine di collegare e migliorare le relazioniurbane del centro storico di Barcellona. Fino ad ora, la città ha guardato il mare sempre da unacerta distanza. Le trasformazioni in corso di realizzazione non sono state sufficienti e sono state,per la maggior parte, ambigue. Infatti, nell’area portuale, o in prossimità, sarebbe opportuno nonrealizzare architetture o spazi pubblici che si comportino come barriere fisiche o visive. Al contra-rio, tutte gli interventi dovrebbero considerare ciò che è rimasto dell’identità del sito e interveniresecondo una logica di continuità e permeabilità.

Guardare la città vecchia dal porto vecchio ci consente di capire quanto questo spazio siaimportante e quanto possa contribuire a dare unità organica e apertura alla città. Allo stessotempo, non possiamo sottovalutare la potenzialità rappresentate da oltre 2 milioni di persone cheutilizzano il porto come principale ingresso e uscita di Barcellona e che, dopo aver messo piede aterra, arrivano in città. Inoltre è importante considerare il punto di vista privilegiato e la perce-zione della città di cui i visitatori possono godere durante la manovra nel porto.

L’immagine di questa mano aperta che proviene dal porto (Fig. 7), con le sue cinque ditache abbracciano i 5 quartieri con i 4 viali principali (Fig. 5) salendo dal mare sotto il faro diMontjuïc10, è una promessa che la città non rinuncerà a recuperare la sua identità marittima, la suamemoria collettiva legata al mare, perché è uno degli elementi che conferiscono unità e signifi-cato a tutta Barcelona.

10 Itziar González, che a quel tempo era il membro del Consiglio comunale incaricato del quartiere della cittàvecchia, durante un’intervista per il futuro di Paral.lel Avenue disegnò una mano su una mappa.

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Fig. 6 - Veduta verso il Port Vell dalla collina di Montjuïc. Il centro storico di fronte al porto vecchio con le nuove archi-tetture iconiche costruite sul resto del waterfront (Foto di Ariadna Perich Capdeferro).

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Centro e periferia

“Barcelona has exceeded its original territory, the sloping coastal plan. Then, a city until nowwithout landscape has reached, first, the sea (south-east front, 1980-1992) and now (2000-…)the mountain (Vall d’Hebron, Collserola) and the rivers (Llobregat, Besós).The landscape it counts for the first time for the project of Barcelona, and it must also count forits public space. The new public spaces will have to take part of the landscape, dealing si-multaneously with the city and the territory: at the urban fabrics, the mountains and the rivers”.(Bru, 2001)

La Barcellona di oggi è una città che, come molte altre del sud d’Europa, ha occupato granparte del suo territorio amministrativo e naturale. La città si affaccia direttamente sui propri con-fini, consapevole di averli superati. (Bru, 2001) Il territorio del waterfront appartiene a questaestrema periferia il cui centro principale è il tradizionale quartiere interno di Eixample. Come lamaggior parte degli altri confini, lo spazio in riva al mare è costantemente sotto pressione, so-prattutto da quando questa parte di città è oggetto di intervento (Fig. 8).

Per comprendere questa condizione periferica del waterfront e come essa ne abbia in-fluenzato la configurazione, dobbiamo analizzare alcuni aspetti del Plan Cerdà. Il progetto diIldefons Cerdà per l’Eixample de Barcelona (Fig. 4) non conteneva una risposta specifica alla lineadi costa della città. Era concepito per la città interna che poteva espandersi lungo il territorio,senza risolvere – ancora – la questione del rapporto con il mare. Gli unici due momenti in cui ilprogetto sembrava dire qualcosa su questo tema riguardano i collegamenti con la città vecchiaed il fiume Besòs.

L’infinita griglia omogenea della nuova città ha iniziato ad essere costruita a partire daiconfini della città vecchia ma, per stabilire connessioni più strutturali con essa e con il waterfront,il progetto ha previsto che alcune delle nuove strade dovessero passare attraverso il tessuto delcentro storico e lo ha tagliato invece di cingerlo11. La seconda operazione sui margini, che il piano

11 Dei tracciati del piano (l’apertura di due strade verticali e una orizzontale proveniente dal sistema a griglia)solo la Via Laietana è stata completamente costruita. La strada fu progettata nel 1879 ed iniziata nel 1907 per collegarel’Eixample al mare (Porto), attraverso il centro storico. I tracciati delle altre due operazioni hanno minacciato il centro sto-rico come un fantasma che sorvola continuamente il territorio. Recenti interventi come la Rambla del Raval o CambóAvenue seguono i tracciati di queste strade che hanno dovuto tagliare il tessuto della città vecchia. Per fortuna o no, que-

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Fig. 7 - Diagramma che mostra i cinque quartieri che convergono nel porto antico (Disegno di Ariadna PerichCapdeferro).

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ha immaginato ma non ha realizzato, era costituita dal Parco vicino al fiume. La città doveva fer-marsi in questa area e, sei isolati prima di raggiungere il fiume, creare un enorme parco della di-mensione di Montjuïc. L’asse della Gran Via12 sarebbe stato l’unico ad attraversare il parco e ilfiume, collegandosi con le aree esterne alla città (Fig. 9). Tutto ciò avrebbe potuto essere ungrande progetto per Barcellona, magari equivalente al Central Park di New York. La speculazioneedilizia e il fatto che la città, arrivata a quel punto, sembrava aver dimenticato significato e ade-guatezza del progetto, fecero svanire ogni possibilità per il parco di esistere.

ste fratture sono state reinterpretati nel contesto attuale, fermo restando che tali incisioni radicali non possono esserefatte senza produrre gravi danni.

12 La Gran Via è la strada metropolitana per eccellenza. (Solà-Morales, 2004)

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Fig. 8 - Veduta di Barcellona dalla collina di Montjuïc, guardando dalla Montagna di Collserola. Disegno di un pianodella città che mostra la tangenziale costruita per i Giochi Olimpici, il waterfront (grigio scuro), la collina di Montjuïc, lacittà romana accanto ad essa e frammenti delle città che toccano Barcellona (grigio chiaro). Il confine amministrativodi Barcellona è indicato in bianco (Foto e disegno di Ariadna Perich Capdeferro).

Fig. 9 - Sovrapposizione storica: la linea di costa attuale e le montagne con l’inserimento di alcuni elementi del PianoCerdà per l’Eixample. Inoltre nel disegno sono rappresentati i punti cardinali geografici di Barcellona: montagna, maree due fiumi. Si noti che il piano è orientato seguendo le direzioni della griglia (Disegno di Ariadna Perich Capdeferro).

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Il waterfront era uno spazio occupato da infrastrutture essenziali per il funzionamentodella città e la cui rimozione è sempre stata difficile. Dopo il Plan Cerdà vale la pena di menzionareun tentativo forte, che ha affrontato il progetto del lungomare. Negli anni Settanta, i proprietaridella maggior parte dei terreni promossero il cosiddetto Plan de la Ribera, il primo progetto mi-rato a definire il lato “pubblico” della linea di costa, mantenendo il porto dove è ora. L’ambiziosopiano aspirava a dare una risposta alle caratteristiche specifiche del sito e usava un linguaggioarchitettonico che differiva da Eixample. Approvato dal Consiglio comunale, provocò una fortereazione sociale e, infine, non fu realizzato.

Come abbiamo osservato, la costruzione del waterfront di Barcellona, dal fiume Llobregatnel sud-ovest al fiume Besòs nel nord-est, è stata ed è ancora un processo lento e frammentato.L’immagine che oggi possiamo vedere è il risultato di un’addizione più o meno coerente di inter-venti parziali piuttosto che il frutto di un unico progetto.

Questo processo di addizione di parti si è verificato in un modo specifico. I precedenti con-cetti di centro e di periferia possono essere applicati anche qui ma in una scala diversa. La storiadegli interventi sul waterfront inizia a Port Vell e da lì si sposta gradualmente ai margini della co-sta verso i fiumi (Fig. 10).

Il villaggio Olimpico fu terminato nel 1992 e, insieme alla strada tangenziale, ha rappresen-tato il primo grande intervento sul waterfront. Per l’occasione sono stati realizzati un porticcioloOlimpico, cinque grandi spiagge, diverse aree verdi, l’estensione della passeggiata sul mare dellaBarceloneta, più di 2000 appartamenti e 44 blocchi di abitazioni. Questo sviluppo ha dato alla cittàun nuovo quartiere e contribuito a riconquistare l’affaccio sul mare, con un impatto positivo an-che in termini sociali.

Inoltre, il progetto del Mar Bella, “gli ultimi 5 blocchi di Cerdà vicino al mare”, ha riscosso unenorme interesse per la sfida che ha costituito: estendere le regole di Eixample (zona interna) sinoalla riva per volgersi verso il mare (zona esterna). Questo incontro ha rappresentato un campo disperimentazione e tutte le diverse proposte presentate per la zona hanno esplorato possibilitrasformazioni del blocco tradizionale in considerazione della nuova situazione di limes. In alcunidi essi, tra cui quello costruito, questa alterazione è stata realizzata utilizzando la torre come

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Fig. 10 - Diagramma che mostra come il waterfront sia stato costruito per parti in un processo di lungo tempo e a se-guito di una crescita radiale da un’area centrale (Disegno di Ariadna Perich Capdeferro).

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elemento che, inserito su ciascun blocco, rappresenta in un’altra scala il rapporto waterfront-terri-torio, ma conserva ancora la logica del sistema urbano (attraverso il binomio griglia-città).

Gli ultimi interventi importanti sul watefront hanno riguardato l’area del Forum of Cultures,con l’estensione della via Diagonal fino al mare (2004), e il Diagonal Mar (area residenziale eparco). L’evento del Forum, insieme alle nuove zone residenziali sviluppate in altezza, ha miratoalla riqualificazione di una vasta area dotata di un grande potenziale grazie alla sua posizione.L’espansione della città è arrivata sino alla periferia e ha iniziato a cambiarne la configurazione.L’area sta soffendo di un processo di gentrification estremo, con il passaggio dalla classe socialebassa ad una classe estremamente superiore di residenti che possono permettersi di vivere in unadelle nuove torri con affaccio sul mare. Questo angolo della città è ancora in sviluppo ed è forseuno degli spazi della città più complessi e pieni di contrasti.

Dopo aver osservato tutti gli interventi effettuati sul waterfront, possiamo identificare unprogressivo cambiamento di configurazione, mano a mano che si avvicinano alla periferia, anchese la loro dimensione in lunghezza (sul lungomare) è simile. Nella parte iniziale tutti gli sviluppitentano di relazionarsi, per la sua vicinanza, alla griglia di Cerdà o prolungando le sue strade o la-vorando attraverso l’idea del blocco. Nella parte finale, i riferimenti cambiano ed anche la risposta,la griglia non è più presente e la città ha adottato una nuova forma lungo il mare e il fiume. Le duetorri sulla Villa Olimpica, pensate come due oggetti isolati situati vicino al mare, diventano qui unmodo di costruire la città e sembrano dimostrare che a Barcellona crescere intensamente in al-tezza è una prerogativa che appartiene alla periferia, appartiene al waterfront.

Alto e basso

I principali elementi geografici che definiscono il territorio di Barcellona (mare-montagna-fiumi) sono ben presenti nella memoria collettiva dei suoi cittadini. Il Piano di Cerdà, che strutturail nucleo centrale della città, è stato progettato ponendo particolare attenzione alle caratteristichetopografiche del sito e alle condizioni di soleggiamento naturale. Le vie della griglia sono dispo-ste parallele e perpendicolari al mare e gli angoli dei blocchi coincidono con i punti cardinali.

Questi confini naturali forniscono orientamento (fisico e simbolico), soprattutto quando siè all’interno del quartiere centrale di Eixample, dove la griglia di Cerdà13, costruita sulla pendenzadel 5%, degrada verso il mare e diventa un forte meccanismo di localizzazione, distinguendo lestrade dirette al mare e alla montagna da quelle piatte dirette verso i fiumi Besòs e Llobregat. Se imargini esterni sono strettamente legati alla percezione e alla comprensione dello spazio internodella città, possiamo affermare che ciò che accade in essi influenza il resto in modo molto signifi-cativo (Fig. 12 e Fig. 13).

Guardando il tessuto urbano di Barcellona si può dire che è una città compatta, dominatada una altezza regolare dei suoi edifici, ma quando la città si estende e arriva ai suoi confini siosserva come cresca in altezza. In questi territori di frontiera, come il waterfront, dove il layoutdella città diventa confuso, il progetto urbano sembra introdurre nuove norme per la sua con-cezione, regole che non si applicano all’esistente e in ogni caso possono essere viste come suevariazioni (Fig. 11).

A differenza di altri “margini” della città, il waterfront è un paesaggio artificiale tra due ter-ritori particolari: la terra (vicinanza, solidità, memoria, paesaggio figurativo, permanenza) e il mare(infinito, volatile, astratto, in movimento, riflesso). (Quaderns, 1996) Ponendo attenzione a tali ca-ratteristiche, un’architettura o uno spazio urbano costruiti in questo territorio dovrebbero con-frontarsi con i concetti di permeabilità e continuità e con le possibili loro interpretazioni. Questapremessa ci porta a mettere in discussione recenti architetture costruite sulle sponde diBarcellona che avrebbe dovuto tenere conto di tali sollecitazioni e forse non lo hanno fatto.

13 Il Piano Cerdà propone una griglia ortogonale, con un sistema viario orientato nord-est sud-ovest (paralleloalla linea di costa) e le sue perpendicolari. La larghezza delle strade è 20m ed aumenta, per le vie più importanti, a 30m(Rambla Catalunya), 40m (Paral.lel Avenue) e 60m. Il blocco è di 113,3 m per 113,3 m e gli angoli sono tagliati a 45o. Ogniblocco comprende 1,24 ettari di superficie.

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“I didn’t know that the sea could be seen from the highest point in my childhood neighborhood.Yesterday I came back to the avenue, went up through the Alió passage, turned left and I putmyself in the point of view that Rojo indicated me and I saw that only from that spot it waspossible to see this fantastic perspective and then I was there I don’t know for how long untilfinally, above the Arc de Triomf, I saw a white ship, and the truth is, ladies and gentleman, Inearly died of emotion”. (Vila-Matas, 1996)

In questa strada di Barcellona l’esperienza sopra descritta non è più possibile14. La torre delGas Naturale, costruita nel 2007 sull’asse del viale Passeig Sant Joan, ha alterato un episodio dellamemoria collettiva dei suoi cittadini. Non è un caso isolato nella città (Fig. 12) ma è importantenotare che, per la maggior parte, si tratta di interventi realizzati sull’area del waterfront (Fig. 13).

La forma specifica della torre del Gas Naturale15 risponde ad una particolare interpreta-zione del sito. Da una parte, il volume frammentato della torre – con la sua verticalità – appartienealla famiglia degli edifici alti, posti lungo la costa autostradale, dunque allo skyline del waterfronte, dall’altro, – con la sua orizzontalità – cerca di relazionarsi con l’ambiente urbano chiuso: i bloc-chi residenziali de La Barceloneta e un parco. Ma guardando in basso, dall’asse di Passeig Sant Joanverso l’Arco di Trumph (Fig. 13), l’edificio, con la sua architettura, sembra sia stato collocato comeun oggetto interposto di fronte al paesaggio.

Le due torri del piano del Villaggio Olimpico16, al contrario di quanto accade per la torre delGas, si trovano sui lati del viale della Marina, ad una distanza l’una dall’altra pari alla larghezzadella strada (Fig. 13). In questo caso, il vuoto gioca un ruolo attivo nel progetto e nei volumi, in ter-mini di dimensioni, proporzioni e posizione rispetto all’asse della Marina, riproducendo simboli-

14 Enrique Vila-Matas è uno scrittore che risiede a Barcellona. Il libro “Desde la ciudad nerviosa” comprende – tragli altri testi – la compilazione delle sue Cronache giornalistiche sulla città di Barcellona, che ha scritto dal 1996 nel gior-nale El Pais.

15 La torre per uffici del Gas Natural è un progetto di EMBT (Enric Miralles and Benedetta Tagliabue) realizzato nel2007. È alta circa 1000 metri.

16 La pianificazione urbana del Villaggio Olimpico è un progetto di MBM (Martorell, Bohigas, Mackay) e AlbertPuigdomènech. La commissione è stata costituita nel 1984 e il progetto terminato nel 1992 e realizzato in 2 anni. Le 2torri sono alte 154m e comprendono 40-43 piani. La torre Mapfre è un progetto di Iñigo Ortiz e Enrique Leon (Madrid) el’Arts hotel è un progetto di Bruce Graham (Skidmore), Owings e Merrill (Chicago) e Frank Ghery (San Francisco).

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Fig. 11 - Vista dalla Sagrada Familia verso il mare e le due torri del villaggio Olimpico (Foto di Ariadna PerichCapdeferro) e frammento del documento del Piano Cerdà (1859) orientato con il mare in alto (Montaggio di AriadnaPerich Capdeferro).

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camente una porta verso il mare. La monumentalità di questo progetto è evidente, le due torri in-corniciano lo spazio d’ingresso come due colonne, simboleggiano – sul waterfront – la nuova po-sizione che la città ha assunto versus il mare. L’estensione naif di una delle strade di Cerdà versol’acqua (superando l’area delle torri) non ne ha ridefinito forma o carattere ed ha causato l’inter-ruzione di una continuità potenziale e logica del lungomare. L’intervento, quindi, può essere vistocome un ostacolo perché non ha risolto il bivio su cui è stato realizzato.

La torre del Gas si è identificata con il movimento e la direzione della ronda litoral e la lineadi costa, ma ha finito per voltare le spalle all’asse di Sant Joan. Le torri del Villaggio Olimpico ac-compagnano letteralmente la città verso il mare ma non risolvono l’incrocio con i flussi sinuosidelle spiagge e della promenade (Fig. 16). E se questa monumentalità forzata può essere ritrovatain architetture e paesaggi costruiti sul confine tra terra e mare, altri interventi evocano metaforemarittime.

Oltre alla scultura a forma di pesce di Ghery ai piedi dell’Arts hotel, il nuovo intervento ico-nico sul waterfront, terminato nel 2009, è un edificio che adotta la forma di una vela. Si tratta del

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Fig. 12 - Architetture e paesaggio dalle strade del quartiere Eixample. Da sinistra a destra: Rambla Catalunya Street conla Montagna di Collserola e gli edifici Tibidabo, Casp Street con la torre Agbar e Sant Pau Street, con la collina diMontjuïc (Foto di Maarten Neering - Montaggio di Ariadna Perich Capdeferro).

Fig. 13 - Architetture in riva al mare, viste dalle strade del quartiere Eixample. Da sinistra a destra: Marina Avenue con ledue torri della Villa Olimpica, St. Joan Avenue con la Torre del Gas e Balmes Street, con il W Hotel (Foto di MaartenNeering - Montaggio di Ariadna Perich Capdeferro).

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W Barcelona Hotel17 “seduto” sulla riva del Port Vell, sopra una piattaforma collegata all’elementolineare della diga vecchia.

Popolarmente conosciuto come “Sail” Hotel, l’edificio ha improvvisamente fatto irruzionenel vissuto dei cittadini di Barcellona. Più che la sua forma, ciò che veramente lo rende presente inmodo aggressivo è la sua posizione sul waterfront di Barcellona. La linea di costa inizia a proten-dersi nel mare dopo le torri del Villaggio Olimpico, appena superato il quartiere di Barceloneta(Fig. 14). La torre sorge proprio di fronte alla città vecchia e lungo la diga ed è, quindi, visibile daogni punto del lungo waterfront (Fig. 15). Inoltre, essendo allineata con l’asse di Balmes street,rappresenta una presenza forte per l’interno Eixample (Fig. 13).

17 Il W Barcelona Hotel è un progetto di Ricardo Bofill realizzato nel 2009. La prima proposta prevedeva un’al-tezza di 160m, poi ridotta a 88m.

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Fig. 14 - La posizione delle torri sul waterfront e le strade di Cerdà che visivamente si connettono. Da sinistra a destra:W Barcellona Hotel con Balmes street, la torre del Gas Naturale con Sant Joan Avenue e le due torri gemelle del VillaggioOlimpico con Marina Avenue (Disegno di Ariadna Perich Capdeferro).

Fig. 15 - W Barcellona Hotel dalla spiaggia di Bogatell, con le due Torri delle Olimpiadi, e dalla spiaggia di Llevant difronte al progetto Diagonal Mar, vicino all’area del Forum 2004 (Foto di Maarten Neering - Montaggio di Ariadna PerichCapdeferro).

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D’altra parte, ciò che può determinare un forte impatto visivo dalla lunga distanza, guar-dato da vicino può avere un impatto minore. La vista dal lungomare del centro storico e dall’in-terno del porto mostra il volume nel modo in cui è stato concepito per essere osservato e alla giu-sta scala. La nuova vela blu, come il colore dell’acqua che riflette il cielo, è ancorata al porto,accanto al vecchio orologio ed alla torre della funivia, o edificio del World Trade Center; inoltre, hala forma di una nave da crociera, che non lascia mai la città (Fig. 16).

Lo skyline del fronte a mare va da queste architetture – che sembrano oggetti ancorati allacosta – alla nuova topografia costruita in prossimità del mare (una montagna fatta di edifici) (adestra della Fig. 17) e tutto ciò diventa parte del paesaggio, orientando Barcellona ed i suoi citta-dini (Fig. 18).

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Fig. 16 - Il W Barcelona Hotel dalla città vecchia (Foto di Maarten Neering - Montaggio di Ariadna Perich Capdeferro).

Fig. 17 - Veduta del waterfront dalle spiagge e dal lungomare. Le due torri come asse centrale di tutti gli interventirealizzati in seguito (Foto di Maarten Neering - Montaggio di Ariadna Perich Capdeferro).

Fig. 18 - Vista del mare da Park Güell. L’architettura costruita sul limite tra terra e mare, in un costante dialogo con lacittà che è alle spalle (Foto di Maarten Neering).

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Terra e acqua, passato e presente, privato e pubblico, centro e periferia e alto e basso cihanno delineato l’approccio che Barcellona ha con il mare. Il territorio del waterfront si muove “ine tra” questi concetti e, anche se con regole proprie, rappresenta l’intera città. Guardare Barcellonadal mare, analizzando l’architettura e gli spazi urbani in costruzione al confine con l’acqua, signi-fica ottenere una comprensione più chiara e più profonda della città e dei suoi processi di tra-sformazione.

RIFERIMENTI

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5.2 VALENCIA: IL RECUPERO DELLA CULTURA MARITTIMA PER LA RIQUALIFICAZIONE URBANA

AutoreStefania Oppido

Parole chiavecittà portuale - identità marittima - governance - evento sportivo - rivitalizzazione urbana

Focus del caso studio

La città di Valencia ha vissuto un processo di trasformazione urbana e di progressiva espan-sione e avvicinamento alla costa, sostenuto negli ultimi venti anni dalla realizzazione di impor-tanti infrastrutture. Questo significativa evoluzione si è fondata su una visione della città che hainteso recuperare e valorizzare la propria identità culturale e marittima attraverso iniziative e pro-getti coerenti, mirando alla rivitalizzazione urbana e alla valorizzazione dell’area costiera.

La designazione come città ospitante, nel 2007, la 32ª edizione dell’America’s Cup suggellaper Valencia un percorso di rigenerazione che, a sua volta, è frutto di un percorso di crescita socio-economica durato cinquant’anni, fornendo l’opportunità di proiettare la città sulla scena interna-zionale e rafforzare processi e strategie già in atto. La riqualificazione del waterfront in occasionedella più importante competizione velica nel panorama mondiale si inserisce, infatti, in un pianopiù ampio di ricucitura tra la città e il suo fronte a mare. (Clemente, 2005)

Oggi Valencia è diventata il simbolo di un processo di riqualificazione che ha saputo rin-novare la città, confrontandosi con il recupero del patrimonio marittimo e culturale. La sua con-ferma come sede dell’edizione dell’America’s Cup nel 2010 è un ulteriore risultato determinatodalla volontà e dalla capacità di ritrovare e valorizzare la propria identità di città di mare.

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SIGLIAFig. 1 - La darsena in occasione dell’America’s Cup (Foto di Stefano De Simone).

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Inquadramento storico, urbanistico e marittimo

Valencia, dopo Madrid e Barcellona, è la terza città della Spagna per numero di abitanti,circa 8.000 con un trend in crescita, su un’estensione del territorio municipale di 13.465 ettari.(Ajuntament de València) Posta al centro del bacino del Mar Mediterraneo Occidentale, in lineacon il corridoio marittimo est-ovest che attraversa il Canale di Suez e lo Stretto di Gibilterra, la po-sizione strategica lungo le vie del mare la rese, sin dalla sua fondazione romana nel II secolo a.C.,un sito molto ambito.

Proprio in virtù di questa localizzazione, durante le invasioni dei Visigoti nella penisola ibe-rica, all’inizio del V secolo, Valencia fu sede di contingenti militari contro le truppe dell’ImperoRomano d’Oriente.

Alla lotta per il controllo della Spagna da parte dei Visigoti subentrarono le invasioni deiVandali, l’impero bizantino di Giustiniano I (518-556) e la conquista dei Musulmani nel 711.

Ma è soprattutto in seguito alla conquista della città da parte del Re Giacomo I di Aragonanel XIII secolo, dopo cinque secoli di dominazione araba, e con l’istituzione del Regno di Valenciache la città pose le basi per la sua età più fiorente, diventando un importante porto. Crocevia degliscambi tra le coste italiane, l’Europa Occidentale e il nord Africa, in questo periodo Valencia svi-luppò la propria vocazione marittima, determinando una crescita culturale, artistica e commerciale.

Venti anni dopo la conquista della città, Re Giacomo pubblicò Customs of Valencia, “a freetranslation of the Justinian Digest and Code with the same Byzantine-Rome provisions for maritimelaw”. Le norme riguardavano questioni relative ai doveri di proprietari e capitani di navi, regoleper l’acquisizione e l’attribuzione di ritrovamenti in mare e per casi di naufragio. “The guildprivileges extended to Barcelona had already been granted to Mallorca and Valencia, whose maritimeconsuls and the customs of the sea law where both well known and influential in the region”.(Mangone, 1997, p. 10)

Il ruolo di snodo portuale strategico è testimoniato dalla presenza a Valencia del Consolatde Mar18, istituzione mercantile che regolava il commercio marittimo. Organo amministrativo diquestioni marittime e commerciali, il Consolato era costituito da una assemblea corporativachiamata a pronunciarsi su questioni relative al commercio via mare, attraverso norme elaboratedagli stessi commercianti. L’istituzione di “Consolati del mare” nei principali porti fu una consue-tudine della casa di Aragona e quello di Valencia fu tra i primi: infatti, l’attività commercialefiorente indusse Pietro III d’Aragona a concedere alla città il diritto di giurisdizione marittima ecommerciale nella seconda metà del XIII secolo.

Dal 1498 la sede del Consolat de Mar di Valencia fu l’edificio Llotja de la Seda (la Borsa dellaSeta), oggi simbolo del potere e del prestigio della città, come si evince dalla motivazione del suoinserimento nella lista del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, un edificio “which dramaticallyillustrates the power and wealth of one of the great Mediterranean mercantile cities”. (La Lonja de laSeda de Valencia)

La Llotja de la Seda divenne il centro principale del commercio della seta e, oltre al Consolatde Mar, ospitò la Taula de Canvis de la Ciutat de València. Fondata nel 1408 per finanziare le attivitàmercantili, la Taula de Canvis era una sorta di banca municipale, nata ad immagine e somiglianzadella omonima Taula de Canvis de Barcelona fondata nel 1401. (García-Chicote, 2002)

La costituzione della Taula aveva lo scopo di promuovere gli scambi commerciali agevo-

18 Per la guida dei Consolati fu redatto il Llibre del Consolat de mar, conosciuto con il titolo di Book of theConsulate of the Sea, la cui prima edizione fu stampata a Barcellona nel 1494. Conosciuto in Europa con il titolo TheConsulate of the Sea, nel XVI secolo fu tradotto in castigliano, italiano e francese. La traduzione italiana, stampata aVenezia intorno al 1549 da Jean Baptista Pedrezano, fu la versione più diffusa nell’Europa settentrionale. Nel secolo suc-cessivo, il testo fu tradotto in olandese da Westerven e in tedesco da Engelbrecht. (Consulate of the sea) Il libro contieneun codice di procedura rilasciato dal re d’Aragona per la guida dei tribunali consolari, una raccolta di antiche usanze ma-rittime e ordinanze emanate per la regolamentazione delle navi da guerra.

Documento importante per comprendere il ruolo di questa istituzione è Consulate of the Sea and RelatedDocuments, (Jados, 1975), che “Contains the complete text of the Consulate as well as a number of royal and municipal ordi-nance pertaining to maritime commerce. They date from 1271 and the end in 1484 with an especially interesting document of25 articles on marine insurance”. (Jados, 1975)

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lando il tasso di cambio. Governata dal “Consell de la Ciutat” (corrispondente all’attualeMunicipio), era l’unico ente pubblico autorizzato a svolgere tali funzioni19.

Nonostante le attività commerciali fossero state presenti nel territorio sin dall’antichità, lacosta non possedeva un riparo naturale per i naviganti; il primo porto fu realizzato in seguito adun privilegio concesso il 17 Marzo 1491 da Re Ferdinando il Cattolico ad un nobile valenciano dinome Antoni Joan. (Valenciaport)

Nei secoli XV e XVI il porto di Valencia divenne tra i più importanti del Mediterraneo, unodei principali centri commerciali d’Europa. Nel XV secolo, in particolare, la città visse quello che fudenominato “siglo de oro”, il secolo d’oro valenciano.

Nella storia marittima della città, il porto e il fiume Turia costituirono un efficiente sistemaintegrato per il commercio: attraverso la navigazione con barche a chiglia piatta, il fiume fu, infatti,di supporto alla navigazione marittima fino al XVII secolo. (Rocchi, 2005)

L’importanza strategica della città determinò una considerevole crescita economica nelcorso del XV secolo: il potere economico, in quegli anni, è dimostrato dal fatto che i banchieri va-lenciani prestarono alla Regina Isabella di Castiglia il denaro necessario per l’impresa di CristoforoColombo. Tuttavia, proprio la scoperta dell’America determinò la fine del periodo d’oro per ilporto di Valencia: l’asse del commercio mondiale, infatti, si spostò dalle acque del Mediterraneoall’Oceano Atlantico, tagliando la città fuori dalle nuove rotte.

Nei secoli successivi, le attività marittime e portuali subirono una progressiva contrazione.Nel XVIII secolo l’industria manifatturiera, in particolare l’industria tessile della seta, determinòuna ripresa economica della città, ma il porto rimase praticamente in disuso. È significativo che laseta prodotta a Valencia, trasportata via terra, venisse imbarcata nella città di Cadiz per essereesportata nel resto del mondo.

19 Dopo la Taula di Valencia, nel 1408 fu fondato il Banco di San Giorgio a Genova.

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Fig. 2 - L’edificio Llotja de la Seda, patrimonio dell’umanità (Foto di Katia Fabbricatti).

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A partire dal 1792, sotto la direzione dell’ingegnere Manuel Mirallas, iniziarono i lavori direalizzazione del porto, che sino ad allora era costituito essenzialmente da un molo di legno,periodicamente distrutto dalle tempeste provenienti da levante.

Nel 1796 il Barone di Bourgoing20 raccontava che “Per molto tempo Valencia non ha avuto unporto (…) le imbarcazioni di piccola taglia rimanevano a mezza lega di distanza dalla terra ferma eraramente una nave a tre alberi riusciva ad avvicinarsi a sufficienza. Le merci dovevano esserescaricate prima su barche che si avvicinavano alla riva per essere poi trascinate da buoi fino allaspiaggia”21.

Gli interventi nell’area portale interessarono anche i piccoli villaggi costieri di pescatori chesi trovavano al di fuori delle mura. I lavori continuarono nel corso dei secoli XIX e XX (BoiraMaiques, 2007), trasformando il porto di Valencia nel centro principale del commercio e del cabo-taggio nel Mediterraneo, in virtù della sua posizione e della sua capacità di ormeggio.

La crescita demografica registrata nel XIX secolo determinò l’espansione della città, conl’abbattimento delle antiche mura che delimitavano il borgo del Grau e l’urbanizzazione dellezone a ovest e a sud del centro storico. Sino ad allora, infatti, l’espansione della città era avvenutain prossimità della riva destra del fiume Turia, a causa delle frequenti inondazioni che colpivano ilmargine opposto. In questo processo di espansione urbana, “The separation between the city andthe sea began to diminish through municipal annexation of coastal districts or Poblats Marítims(Maritime Villages) in the 1890s, and slow extension of a monumental new Blasco Ibáñez Avenuetowards the coast” (Prytherch and Boira Maiques, 2009, p. 105).

Successivamente, il Valencia and Area Urban Planning General Plan del 1946 stabilì definiti-vamente la divisione di usi e funzioni, destinando la zona a nord ad attività residenziali con un

20 Giovan-Francesco barone di Bourgoing dal 1777 fu primo segretario dell’ambasciata francese in Spagna. Tra lesue opere più note “Nuovo viaggio in Spagna”, “Quadro della Spagna moderna” definita “una delle migliori opere chesieno fino ad ora comparse intorno alla penisola, a quell’epoca sì poco conosciuta”. (Olivier-Poli, 1824, Tomo II, p. 39)

21 La descrizione è tratta da Boira Maiques, 2007 e tradotta dall’autrice.

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Fig. 3 - I monumentali edifici della Plaza Ayuntamiento (Foto di Stefano De Simone).

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ampio sviluppo residenziale di fronte al mare, fino a Malvarrosa. La zona a sud del porto, collegatacon la periferia industriale, fu destinata quasi esclusivamente ad attività portuali e industriali, conl’eccezione della zona di Nazaret. Il Valencia and Area Urban Planning General Plan del 1966 ha raf-forzato questa suddivisione generale delle funzioni – residenziali a nord, industriali e portuali asud – con un’espansione delle infrastrutture portuali.

La crescita della città e la sua progressiva estensione verso il mare, in seguito alla demoli-zione delle mura, e la deviazione del fiume Turia rappresentano elementi determinanti per il re-cupero delle sue caratteristiche di città fluviale e marittima. In particolare, la deviazione del fiumeha segnato un momento di importanti interventi di trasformazione urbana. Nel 1957, infatti,Valencia subì una violenta esondazione del fiume Turia. L’amministrazione comunale e l’intera co-munità vollero e seppero affrontare questo problema con determinazione, trasformandolo in unarisorsa rivelatasi strategica per le sorti di Valencia. Negli anni Sessanta, il corso del fiume fu deviatorendendo disponibile l’alveo prosciugato che, con il suo percorso tortuoso, attraversava tutta lacittà offrendosi come elemento di ricucitura, riqualificazione ed integrazione delle diverse partiurbane. (Campisano e Muratore,1983) (Gaja Díaz, 1993)

La caduta del Franchismo e del regime autarchico liberò lo sviluppo economico di Valenciaattraendo flussi finanziari d’investimento sulla città e, mentre nel letto del fiume si realizzava ilJardín del Turia, con giardini, edifici e attrezzature per la comunità urbana, anche il lungomareveniva sistemato aprendo la città al suo mare. (Clemente, 2005)

Nel 1984 fu approvato il Plan Especial de ordinaciòn del Cauce del Turia progettato daRicardo Bofill, fu avviato l’action plan e gradualmente il paesaggio dell’antico fiume cominciò acambiare, diventando un grande spazio pubblico verde. (Ricardo Bofill)

Negli anni Ottanta iniziarono gli interventi per il riutilizzo della darsena, che si limitaronoalla riqualificazione di alcuni edifici storici di grande interesse, come la vecchia stazione marittima,l’edificio dell’orologio ed i tinglados, depositi per le merci testimonianza del modernismo aValencia. (Boira Maiques, 2007)22

22 Il testo di Boira Maiques (Universitat de València, Departament de Geografía) è stato tradotto e pubblicato nel n.7/2007 della collana “Ambiente Società Territorio. Geografia nelle scuole”, nata nell’ambito delle attività divulgativedell’AIIG (Associazione Italiana Insegnanti di Geografia) e rivolta a studiosi, docenti e studenti universitari. L’Associazioneè membro dell’European Standing Conference of Geography Teachers ed è accreditata alla formazione del personale do-cente dal MIUR. Boira Maiques è Consulente Scientifico della Collana.

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Fig. 4 - La città cinta dal fiume Turia e l’area portuale sullo sfondo, Alfred Guesdon, 1858 circa.

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Questo periodo segnò una fase di importanza storica per il ruolo dell’area portuale diValencia. Nel 1985, a seguito di un Regio Decreto, i porti di Sagunto e Gandía furono integrati al-l’interno del dominio amministrativo dell’ex Porto Autonomo di Valencia, oggi denominataAutorità Portuale di Valencia. Attualmente, quindi, Valenciaport comprende i porti di Valencia,Sagunto e Gandía e rappresenta una struttura leader nella Spagna mediterranea in termini ditraffico commerciale, il principale porto commerciale sulla costa occidentale del Mediterraneoin termini di volumi di merci containerizzate. Nel corso del 2008, oltre 59,7 milioni di tonnellatesono passate attraverso i porti di Valencia, Sagunto e Gandía, 11,48% in più rispetto al 2007.(Valenciaport)

Descrizione del caso studio

Le trasformazioni urbane messe in atto a Valencia negli ultimi decenni hanno determinatoun progressivo “avvicinamento” della città alla costa, facendo emergere le potenzialità di questa ri-sorsa e l’opportunità di valorizzarla in termini economici, ambientali e culturali.

Nel corso degli anni, piuttosto che limitarsi ad interventi puntuali e settoriali, le ammini-strazioni locali si sono dimostrate capaci di configurare piani e progetti all’interno di una visionecomplessiva della città, attraverso lo sviluppo di una governance coerente.

La città ha vissuto una vera e propria metamorfosi, con il contributo di importanti firmedell’architettura contemporanea nella realizzazione di progetti significativi per il rinnovamentodella città: il Jardin de Turia su progetto di Ricardo Bofill, il Palau (Palacio) de la Música di José MariaBarcia de Paredes, La Ciudad de las Artes y las Ciencias del valenciano Santiago Calatrava, realizzataproprio nel letto prosciugato del fiume Turia, il Palau de Congresos dell’architetto Norman Foster.(AA. VV, 2000) (La Ciudad de las Artes y las Ciencias) (Valencia. Un Rìo De Cultura)

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Fig. 5 - La Ciudad de las Artes y las Ciencias (Foto di Katia Fabbricatti).

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Le trasformazioni urbane sono state sostenute dalla realizzazione di importanti infrastrut-ture, come il porto, l’aeroporto, la fiera e la metropolitana, ma nel rispetto degli equilibri ambien-tali con la valorizzazione del Parco dell’Albufera e delle spiagge El Saler, Pinedo e Malvarrosa.

Negli ultimi anni, il desiderio di connettere la città al mare ha guidato scelte e decisioni:“A succession of urban planning operations have been undertaken in an attempt to recompose andadapt the limits between the different areas and with the clear aim of decreasing the distancebetween the city and the coast” (Pateco, 2006).

Nell’ambito di questo lungo processo di rinnovamento, caratterizzato dalla volontà di re-cuperare e valorizzare la propria identità di città d’acqua, la America’s Cup ha rappresentato unmomento significativo e di grande impatto mediatico. (Clemente, 2005)

Infatti, la designazione, nel 2003, di Valencia come città sede di un evento sportivo di rile-vanza internazionale ha determinato la realizzazione di numerosi progetti di sviluppo urbano,come il miglioramento della darsena interna del porto per ospitare le basi dei team partecipantialla competizione, la costruzione di un canale che collega la darsena con il mare, la creazione dinuovi edifici, spazi pubblici ed infrastrutture. Sono stati messi in bilancio 444 milioni di euro per lariqualificazione del porto tradizionale, incluso la costruzione dell’edificio Veles i Vents e l’aperturadi un nuovo canale verso il mare. (Prytherch and Boira Maique, 2009)

I lavori di trasformazione del waterfront, iniziati alla fine del 2004, hanno mirato alla rige-nerazione del fronte a mare e, soprattutto, alla “ricucitura” del legame tra il centro urbano e la co-sta, obiettivo espresso chiaramente nel progetto Balcón al Mar, dell’architetto Jose Maria TomasLlavador23.

L’ambito di intervento comprendeva l’area nord del porto fino alla spiaggia di Malvarrosa,configurandosi come una vera e propria cerniera tra la zona urbana e il mare. (Llavador, 2004)

23 José María Tomás Llavador aveva vinto già nel 1998 il concorso di idee “Balcón al mar” per una rimodellazionedella zona portuaria di Valencia.

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Fig. 6 - Il Ponte dell’Esposizione di Santiago Calatrava (Foto di Stefano De Simone).

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In particolare, la conversione dell’area della darsena è stata sottesa dalla volontà di faremergere le potenzialità del fronte a mare, un patrimonio degradato, caratterizzato da edifici ob-soleti o in disuso, conferendo al waterfront una vocazione marittima e turistica e migliorando icollegamenti tra la città e la sua area portuale.

La riqualificazione della darsena, infatti, ha rappresentato la premessa all’estensione degliassi viari di collegamento con il porto e il lungomare della Malvarossa e al recupero degli edificistorici dei Tinglados, dell’Edificio del Reloj, del Varadero e dell’Edificio de Adinas. (Lecardane, 2008)“(…) the port has represented an authentic urban barrier to the seafront and has prevented its propercoordination with this part of the city. The recovery of the inner dock as a public space and the pre-sence of the America’s Cup enable the envisagement of a definitive solution to this urban conflict”(Pateco, 2006).

Gli interventi realizzati hanno cambiato l’immagine dell’area portuale ed introdotto nuoveattività di accoglienza e promozione turistica, concepite non esclusivamente in funzione dell’e-vento velico ma soprattutto come opportunità per dotare la città di nuovi servizi di carattere edu-cativo, culturale, ricreativo e di svago: il polo sportivo marittimo, una piscina da competizione, lascuola municipale di vela ed il Museo marittimo.

Simbolo della rigenerazione della città e del recupero del legame con l’acqua, l’edificioVeles y Vents, degli architetti David Chipperfield e Fermín Vázquez ha assunto un valore iconico inun’area in passato periferica. Caratterizzata, come scrive lo stesso Chipperfield, da “a series of stac-ked and shifting horizontal planes that provide shade and uninterrupted views extending out the sea”,questa bianca architettura protesa verso l’acqua ha offerto, con le sue terrazza, una posizione pri-vilegiata agli spettatori della competizione velica e oggi regala a turisti e residenti una meravi-gliosa vista sul mare.

La rilevanza dell’evento e la consistenza delle operazioni di trasformazione urbana messein atto hanno richiesto l’istituzione del Consorcio Valencia 2007, per garantire l’organizzazione

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Fig. 7 - Le banchine in occasione dell’America’s Cup (Foto di Stefano De Simone).

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dell’America’s Cup e la collaborazione tra le diverse amministrazioni pubbliche coinvoltenell’evento.

Il Consorzio è stato costituito mediante un accordo di cooperazione reciproca fra lo Statogenerale, la Generalitat Valenciana (Governo Regionale Valenciano) e il Consiglio della città diValencia per la gestione dei lavori e delle infrastrutture legate all’America’s Cup.

Per facilitare la gestione degli interventi e il rispetto dei tempi, inoltre, già prima della can-didatura della città per la competizione velica, la darsena era stata ceduta alla municipalità: que-sto passaggio ha rappresentato un momento importante ai fini della governance del processo dirigenerazione urbana, che testimonia la volontà di integrazione tra la città e il suo porto. Nel 1997la firma del primo accordo tra il Consiglio del Comune di Valencia e il Ministero spagnolo dellaPromozione per il trasferimento della darsena interna del porto aveva costruito la premessa perrealizzare la riqualificazione del waterfront, a cui ha fatto seguito un successivo accordo firmatotra le due parti nel 2006.

Nello stesso anno, il Consorcio Valencia 2007 ha indetto un concorso internazionale per svi-luppare la “Marina Real Juan Carlos I”. L’occasione dell’America’s Cup, infatti, ha consentito di acce-lerare la realizzazione di trasformazioni urbane già in previsione, agevolate anche dai finanzia-menti ottenuti in seguito alla designazione di sede della competizione velica. In questa otticasono stati avviati i progetti per la risistemazione della Marina Reale Juan Carlos I e l’organizza-zione del Gran Premio di Formula 1.

La Marina Real Juan Carlos I è ubicata nel cuore della città di Valencia, a nord del porto com-merciale e lungo la spiaggia della Malvarrosa. Per la sua riqualificazione, l’organo direttivo delConsorcio Valencia 2007 ha approvato il Concorso Internazionale di idee “Valencia del Mar - MarinaReal Juan Carlos I”. L’obiettivo del concorso era la valutazione di proposte per la pianificazioneurbanistica e la progettazione dell’area, coerentemente con “the requirement to produce a projectnot only capable of renovating the port area, but also capable of integrating the new developmentinto the existing city” (Pateco, 2006).

Il concorso di idee ha riguardato il settore della darsena interna, comprese le aree realizzateper l’America’s Cup, il Dock Poniente, parte del Dock Astilleros e terreni resi disponibili per uso por-

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SIGLIAFig. 8 - Le terrazze dell’edificio Veles y Vents, location privilegiata per gli spettatori della competizione velica (Foto di

Stefano De Simone).

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tuale all’interno del Dock Levante. Inoltre, il Consiglio comunale di Valencia ha incluso 393.449 me-tri quadrati delle Infrastrutture del Grao Infrastructures Plan e l’area urbana di confine con il peri-metro del porto, per una maggiore coerenza nello sviluppo urbano di questa zona. Pertanto, la su-perficie finale interessata dal progetto presentava un’estensione di 1.350.000 metri quadrati, e in-cludeva una superficie d’acqua di circa 565.000 metri quadrati.

Come sottolineato nella documentazione elaborata per il concorso da PATECO Office delValencia Chambers of Commerce, Industry and Navigation Council, commissionata da Consorcio2007, “Beyond the renewed connection between the city and its sea and the creation of a new urbancentre, the scale of the project will have a significant impact on local, metropolitan and regional levelsas a result of the substitution and the incorporation of functions and activities”24 (Pateco, 2006).

Il concorso era stato presentato alla Biennale di Architettura di Venezia nell’ottobre del2006 e, allo scadere del bando, erano pervenuti 59 progetti. Il primo premio ex aequo è stato as-segnato allo studio GPM Internacional Arquitectos e Ingenieros, (Hubert Nienhoff, Jochen Köhn,Martin Glass, Kristian Uthe-Spenker, Kerstin Otte y Florian Schwarthoff ) e al gruppo Ateliers JeanNouvel, J. Ribas G. - J. Ribas F. Arquitectos Asociados e Tomás Llavador Arquitectos S.L.

Già nel 2004, la proposta di Jean Nuovel,“Valencia Litoral” (2004) prospettava un interventoinnovativo per integrare il sobborgo residenziale della città portuale (Natzaret e Grau) con inter-venti urbanistici ed architettonici nel dock. (Boira Maiques, 2007) La proposta presentata al con-corso dal team di Jean Nouvel, Valencia Litoral, in collaborazione con l’urbanista e sociologo JoséMiguel Iribas e un gruppo internazionale di prestigiosi architetti e urbanisti25 prevede la creazionedi un’area verde nell’antico delta del río Turia e il recupero del litorale ubicato a sud della darsenaportuaria. (Valencialitoral)

24 Lo studio condotto da PATECO Office riguarda un’area di 1.354.925 m2 di superficie, la cui proprietà è divisa tral’Amministrazione Comunale e l’Autorità Portuale di Valencia e include 64 edifici di diverse caratteristiche, principal-mente destinati ad attività pubbliche e attività portuali.

25 Importanti architetti nazionali e internazionali come Alberto Campo Baeza, Peter Cook, Norman Foster, RichardRogers, Salvador Perez Arroyo, Renzo Piano, Frank O. Gehry e Ben Van Berkel, hanno fornito il loro supporto a questo pro-getto. (Valencialitoral)

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Fig. 9 - Delimitazione dell’ambito di intervento del concorso di idee. Fonte Consorcio Valencia 2007, elaborazionegrafica di Ermanno Ferrante.

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Articolato in tre fasi, nel decennio 2005-2015, Valencia Litoral mira a stimolare lo sviluppoeconomico e sociale del territorio valenciano attraverso tre gruppi fondamentali di attività: atti-vità innovative riguardanti l’economia, la logistica e il turismo.

La rilevanza e l’emblematicità del caso di Valencia ha suscitato l’interesse degli addetti ai la-vori, non solo urbanisti e architetti ma anche esponenti del mondo del marketing turistico e delmanagement dei grandi eventi sportivi.

Nell’ambito del V International CSBM26 Forum “The Hosting of Major Sport Events: Key toEconomic Development City”, tenutosi a Valencia nel marzo del 2009, sono state illustrate le strate-gie adottate dalle città dei cinque continenti negli ultimi anni, in occasione dell’organizzazione diimportanti eventi sportivi internazionali. Valencia è stata scelta da CSBM/IESE come caso studio,per la strategia adottata e per i risultati ottenuti durante gli ultimi quindici anni in occasione dieventi sportivi di livello internazionale (America’s Cup, Formula 1, Volvo Oceans Race, Open 500,Mondiali di Atletica Indoor Championship, tra gli altri).

Il Forum ha rappresentato un momento di dibattito e confronto tra rappresentanti pubblicidelle città, proprietari degli eventi sportivi principali, sponsor e media in relazione al successo digrandi eventi sportivi e allo sviluppo sociale ed economico della città.

Dal 2004 la città ha ospitato il Valencia Summit “Major Sports Events as Opportunities forDevelopment: The International Promotion of the City”, organizzato da NOOS Institute, registrandouna grande partecipazione di managers, amministratori, università, centri di ricerca e di marketing.

La città, inoltre, ha ricevuto, negli ultimi anni, premi e riconoscimenti; in particolare, nel2008, attraverso Turismo Valencia, la fondazione responsabile della promozione dell’offerta turi-stica della città, Valencia ha ricevuto l’“Ulysses” Award dal World Tourism Organisation (WTO) perla sua politica turistica innovativa. Il premio è stato conferito nel riconoscimento dei meriti dellacittà, per la pianificazione delle attività di promozione turistica, lo sviluppo della città come desti-nazione, l’attuazione di strategie di turismo, l’uso di nuove tecnologie e l’attenzione ai visitatori.Ma la città era già stata premiata dal WTO nel 2006 per l’attuazione di Best Practices nella ge-stione e promozione del turismo, prima destinazione europea a ricevere questo premio.

26 CSBM-Center for Sport Business Management, IESE Business School University of Navarra.

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Fig. 10 - Imbarcazioni nella darsena in occasione dell’America’s Cup (Foto di Stefano De Simone).

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Molti esperti internazionali hanno parlato del “caso Valencia”, riferendosi ad un modello diturismo che ha visto la città diventare la terza destinazione spagnola in pochi anni ed essere lea-der in termini di crescita in Europa. (VLC Valencia) (VLC Tourism Valencia, 2009)

Questo percorso di rigenerazione urbana, sostenuto dalla volontà di recuperare la voca-zione marittima di Valencia, si avvale inoltre del Piano Strategico Valenciaport (2002-2015) chemira a rendere competitivo il porto di Valencia secondo un modello di hub logistici di grandi di-mensioni, integrati nella catene delle fornitura globali.

Il Piano, articolato in sette linee strategiche di sviluppo27 suddivise in 25 progetti prioritaristrategici, ha l’obiettivo di promuovere lo sviluppo dei tre porti di Valencia, Sagunto e Gandía, ge-stiti dall’Autorità Portuale di Valencia. In particolare, il Piano intende:– consolidare Valenciaport come il principale gateway marittimo della penisola iberica;– convertire Valenciaport nella distribuzione regionale e leader della piattaforma logistica inter-modale nel Mediterraneo;– avere la capacità di gestire, entro il 2015, un traffico di circa 68 milioni di tonnellate e 4 milionidi TEU28. (Valenciaport)

Inoltre, nel 2008 l’Autorità portuale di Valencia è stata il primo porto commerciale spagnoload ottenere la Certificazione EMAS. (Sympic) La rilevanza assunta nel bacino del Mediterraneo ètestimoniata da interessanti iniziative tra le quali EUROPHAR EEI e Simpyc (Sistema d’IntegrazioneAmbientale tra Città e Porti).

EUROPHAR EEIG è un’associazione europea di interesse economico fondata nel 1997 dallaCapitaneria di porto di Valencia, Marsiglia e Genova, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo so-stenibile e la tutela ambientale nei porti europei e nelle zone limitrofe. Obiettivi prioritari sono ladefinizione e la realizzazione di sistemi di gestione ambientale nei porti, per la riduzione dell’im-patto ambientale delle attività portuali e per l’incremento della protezione delle loro zone adia-centi, come le spiagge, le interfacce porto-città, gli ecosistemi.

Simpyc project (Sistema d’Integrazione Ambientale tra Città e Porti) è un progetto cofinan-ziato dal programma Europeo LIFE, realizzato in tre città europee con porti industriali e commer-ciali: Valencia (Spagna), Tolone (Francia) e Livorno (Italia). (Sympic) Il progetto ha avuto inizio nelmese di agosto 2004, con la partecipazione delle autorità locali e dei porti coinvolti ed altre isti-tuzioni e aziende impegnate nella salvaguardia ambientale in questo ambito, l’Assessorato alleInfrastrutture e Trasporti della Generalitat Valenciana, l’Università di Valencia, Azahar Ingeniería,Fondazione Comunidad Valenciana Región Europea e l’organismo statale Puertos del Estado.

L’Autorità Portuale di Valencia ha svolto attività di coordinamento del progetto, al fine dielaborare strumenti per uno sviluppo armonioso porto-città dal punto di vista ambientale, fon-dando sulla convinzione che i porti possono “constituted engines for growth and development ofcities, providing economic as well as cultural wealth”29 (Layman Report).

La città di Valencia, inoltre, è stata partner del network tematico CTUR (Cruise Traffic andUrban Regeneration), nell’ambito del Programma Europeo URBACT II per la promozione dello svi-luppo sostenibile, il cui seminario conclusivo è stato ospitato a Napoli30 nel mese di luglio del2011. Coerentemente con gli obiettivi del progetto CTUR, Valencia ha definito il proprio LAP (Local

27 Le sette linee strategiche riguardano: 1. Estensione delle attuali infrastrutture e dello spazio portuale e riquali-ficazione degli accessi portuali; 2. Integrazione porto-città; 3. Innovazione e modernizzazione costante del porto attra-verso i servizi portuali 4. Espansione delle aree di influenza (entroterra e zona antistante); 5. Aumento dei collegamentitransoceanici (compagnie di navigazione); 6. Servizi logistici di sviluppo (piattaforma logistica); 7. Articolazione intermo-dale (servizi di sviluppo intermodale). (Valenciaport)

28 Il TEU (acronimo di Twenty-Foot Equivalent Unit) è un’unità di capacità di carico spesso usato per navi contai-ner e terminal container. 1 TUE corrisponde alla capacità di carico di un container standard intermodale, di lunghezza 20piedi (6,1 metri) e larghezza 8 piedi (2,4 m). (TEU)

29 Gli obiettivi principali del progetto sono stati: dimostrare l’importanza socio-economica dei porti e il loro rap-porto con la conservazione dell’ambiente; coordinare la gestione ambientale di processi condotti in ambienti urbani enelle aree portuali; sviluppare iniziative congiunte di gestione ambientale porto-città, sottolineando l’importanza delleazioni di monitoraggio e controllo dell’inquinamento acustico, atmosferico e indesiderati impatti visivi; determinare, neicittadini, la consapevolezza dell’importanza dell’ambiente costiero e della necessità della sua conservazione.

30 Il Comune di Napoli è stato lead partner del progetto CTUR.

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Action Plan) attraverso 3 obiettivi specifici – “improving reception of tourists and cruise ships in theterminal; reinforcing the connection between the Port and the city; improving the city’s touristattractions” – individuando le relative azioni per il raggiungimento degli obiettivi.

Come dimostrano gli interventi e le iniziative descritte, Valencia sembra avere ormai riac-quistato consapevolezza della propria identità di città marittima, protesa ad una riconciliazionecon il proprio waterfront e ad una integrazione armoniosa tra il porto e la città.

Gli interventi di riqualificazione ed ampliamento dell’area portuale per l’America’s Cup2007, insieme alla realizzazione della Città dell’Arte e della Scienza, progettato dall’architetto va-lenciano Santiago Calatrava, e del circuito di Formula 1, hanno conferito un nuovo volto alla città.Non si tratta, in questo caso, di un mero intervento di restyling del waterfront ma, soprattutto, diun piano complessivo di rigenerazione urbana in grado di realizzare una efficace ricucitura trafronte a mare e centro urbano. Il recupero del rapporto città-acqua ha consentito di riqualificarezone degradate, quartieri urbani obsoleti, aree industriali dismesse.

Se per decenni Valencia era stata una ciudad que vivía de espaldas al mar (Bofarull et al.,2009), una città che voltava le spalle al mare, in questo percorso di rinascita la città ha immaginatoe costruito il proprio futuro proprio attraverso un “ritrovato” legame con la cultura marittima.

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Fig. 11 - Guardando il mare all’orizzonte della città di Valencia (Foto di Stefano De Simone).

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5.3 MARSIGLIA: CITTÀ EUROMEDITERRANEA TRA STORIA, MULTICULTURALISMO E INNOVAZIONE

AutoreGabriella Esposito De Vita

Parole chiavetradizione marittima - città euromediterranea - architettura contemporanea - ponte traculture - multiculturalismo

Focus del caso studio

Il caso studio di Marsiglia appare emblematico sia per la rilevanza della dimensione marit-tima nello sviluppo urbano che per il suo ruolo quale laboratorio di sperimentazioni urbanisticheed architettoniche – sancito dalla realizzazione negli anni Quaranta del progetto corbusierianodella Unité d’Habitation, nel sud della città, manifesto dell’architettura razionalista31. Questa tradi-zione che coniuga mare e innovazione si rispecchia nel dinamismo delle trasformazioni in attoorientate, da un lato, a rilanciare il fronte-mare quale perno di sviluppo delle relazioni euro medi-terranee e, dall’altro, a rivitalizzare le aree interne della dismissione industriale e dell’ediliziasociale32.

La tradizione marittima, il multiculturalismo e la permeabilità all’innovazione architettonicahanno permeato un massiccio intervento di riqualificazione orientato a fare di Marsiglia la cittàponte verso le culture mediterranee. In una fase geopolitica nella quale si ridisegnano gli equilibrinord-sud, il Mediterraneo riassume una centralità nelle politiche europee: il governo francesescommette su Marsiglia con l’intento di trasformarla in un hub della cultura mediterranea, cer-cando di coniugare i legami culturali d’oltremare con gli interessi economici.

31 Quale Maestro del Movimento Moderno, Le Corbusier troverà occasione di concretizzare le proprie teorie sul-l’edificio quale macchina per abitare a Marsiglia, realizzando la prima delle sue Unités d’Habitation, un vero e proprio edi-ficio-città. Questa costruzione imponente evoca la tematica del piroscafo urbano ancorato in un parco, ospitando più ditrecento appartamenti di ‘tagli’ diversi e servizi alla residenza.

32 L’attuale fase di rinascita socio-economica è dovuta anche ad una strategia di lungo periodo, partita nel 1996all’interno del Patto per la rinascita della città, che coinvolge due Zone Franche Urbane con misure per l’occupazione, lacreazione d’impresa, il sostegno sociale, l’infrastrutturazione e la riqualificazione del tessuto edilizio. Ai risultati immedia-tamente tangibili, quali insediamento di nuove industrie o attività terziarie e incremento dell’occupazione si associano ri-sultati più estesi di rivitalizzazione. (Di Risio, 2010).

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Fig. 1 - Le suggestioni del Vieux Port di Marsiglia. Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/File:Marseille_Vieux_Port_Night.jpg.

Inquadramento storico, urbanistico e marittimo

Marsiglia, primo porto francese per dimensione e flussi e seconda città per abitanti(826.700, INSEE), è una città della Francia meridionale, capoluogo della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Dal punto di vista amministrativo la città è divisa in 16 arrondissements che rag-gruppano 111 quartieri; vi si possono riconoscere quattro zone: il centro con il porto storico, il sudresidenziale ricco, il nord dove sono concentrati i quartieri del disagio sociale e l’est della dismis-sione industriale. A partire dal 2000, Marsiglia si è associata con i 18 comuni limitrofi per formare

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la Communauté urbaine Marseille Provence Métropole, riconoscendo a livello amministrativo la“Grande Marsiglia” come comunità urbana33.

L’insediamento umano in quest’area costiera può vantare una storia di plurimillenaria34

e, oggi, si estende su cinquantasette chilometri circondati dalle colline del massiccio dei calanchi.Il nodo intorno al quale la città si è sviluppata è il “porto vecchio” che coincide con l’area di fon-dazione della città nel 600 avanti Cristo, da parte dei Focesi, sulla riva nord protetta da tre colline(Saint-Laurent, Moulins e Carmes) e in prossimità della sorgente del Lacydon. Alla scelta localizza-tiva hanno contribuito anche le isole di Pomègues e Ratonneau che potevano svolgere il ruolo dibarriera difensiva naturale. (Bertrand, 2001)

Fu solo con Luigi XIV, nel 1666, che la città si sviluppò verso sud con l’apertura dellaCanebière che, alla scomparsa del Grande Arsenale alla fine del XVIII secolo, verrà prolungata finoal porto ed arricchita di edifici di pregio. Il regime di Re Sole imporrà anche un nuovo statuto poli-tico alla città, affidando la gestione urbana ai magistrati municipali e cambiando il regime portuale:edificio simbolo di queste trasformazioni è il Municipio35. A partire dal Secondo Impero la città èstata caratterizzata da una successione di ampliamenti e grandi architetture. (Bertrand, 2001)

Le origini e lo sviluppo del tracciato urbano sono strettamente legati ed influenzati dallatradizione marittima: il ruolo della marineria marsigliese è storicamente riconosciuto così come laposizione strategica lungo le rotte storiche. Ciò ha condotto la cultura marittima ad intrecciarsicon la cultura urbana in un mutuo condizionamento dal quale è scaturita una forma urbis che siprotende nel mare con le proprie architetture di servizio al porto che diventano edifici simbolodelle diverse fasi storiche.

33 Questa struttura intercomunale conta 18 membri: Allauch, Carnoux-en-Provence, Carry-le-Rouet, Cassis,Ceyreste, Châteauneuf-les-Martigues, La Ciotat, Ensuès-la-Redonne, Gémenos, Gignac-la-Nerthe, Le Rove, Marsiglia,Marignane, Plan-de-Cuques, Roquefort-la-Bédoule, Saint-Victoret, Sausset-les-Pins, Septèmes-les-Vallons. Cfr URL:http://www.marseille-provence.com/.

34 Presenza testimoniata dai dipinti parietali paleolitici della Grotta di Cosquer.35 Anche il Municipio è stato coinvolto nelle trasformazioni recenti e costituisce un esempio della declinazione

marsigliese della dialettica tra antico e nuovo con la sistemazione sotterranea della piazza attigua. Il progetto a cura del-l’architetto Franck Hammoutène ha consentito la creazione dell’Espace Villeneuve Bargemon, premiato con l’Equerred’Argent 2006, premio nazionale di architettura.

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Fig. 2 - L’Area Metropolitana di Marsiglia. Fonte Communauté urbaine Marseille Provence Métropole, http://www.mar-seille-provence.com.

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La maggioranza dei luoghi simbolo della città sono legati in modo diretto o indiretto allastoria delle attività marittime. La natura portuale con vocazione commerciale nel bacino delMediterraneo accompagnerà lungo i secoli lo sviluppo urbano arricchendolo di edifici religiosi ecivili fino all’attuale assetto, determinatosi nell’ottocento con lo spostamento del porto allaJoliette (a partire dal 1842) e la realizzazione di arterie haussmanniane e di palazzi prestigiosi36.L’ampliamento del porto verso la Joliette, realizzato a seguito della saturazione del Vieux Port edell’innovazione tecnologica dei battelli a vapore che richiese nuove attrezzature e spazi, diedevita all’area ottocentesca della Compagnie des Docks et Entrepôts. L’area è stata recentemente re-staurata e si sviluppa per quattrocento metri lungo la linea di costa, con magazzini tipologica-mente simili a quelli di Londra.

Il porto era il luogo nel quale la comunità urbana dialogava con il mare, in continuità con iluoghi simbolo della cultura marittima locale: la fortezza-prigione dello Chateau d’If ed il VieuxPort, immortalati da Dumas, fanno da sfondo alle gesta di Edmond Dantès; la Corniche, passeg-giata panoramica realizzata a partire dal 1848, per assorbire manodopera priva d’occupazione, eribattezzata Corniche J.F. Kennedy nel 1963 dopo un intervento di maquillage che ha interessatoanche il piccolo porto per la pesca di Vallon des Auffes; la collina della Garde, che è sempre statanella storia in un rapporto dialettico con il mare e le attività ad esso associate, per poi assumeresempre più il valore di simbolo della città (marittimo, militare e religioso).

Ancora oggi, a differenza di altre città-porto altamente ingegnerizzate, Marsiglia – anche at-traverso collegamenti marittimi – consente a turisti ed abitanti la scoperta e la fruizione di sug-gestive risorse culturali ed ambientali quali il Vieux Port, i cinquantasette chilometri di costa dis-

36 L’area della Rue de la République, situata nell’ambito del Vieux Port destinato alla realizzazione del quartier d’af-faires Euroméditerranée, è oggi oggetto di una profonda trasformazione attraverso il recupero degli edifici prestigiosi del-l’area e la realizzazione di un nuovo sistema integrato per la mobilità urbana che ne garantisce l’accessibilità senza con-gestione.

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Fig. 3 - L’area dei Docks ed il litorale (Foto di Dionigia Barbareschi, 2009).

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Fig. 4 - Immagine satellitare della linea di co-sta. Fonte http://translate.google.it/trans-late?hl=it&langpair=en%7Cit&u=http://en.wi-kipedia.org/wiki/Marseille.

Fig. 5 - Lo scenario portuale con vecchi enuovi simboli della città (Foto di Dio-nigia Barbareschi, 2009).

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seminata di isole, la Promenade de la Corniche, costellata da “folies” e il massiccio dei Calanchi. Ilsuo ruolo di ponte tra l’Europa ed il Mediterraneo è stato rafforzato con l’inaugurazione della li-nea ferroviaria ad alta velocità (TGV) che collega Marsiglia a Parigi in tre ore, garantendo una ac-cessibilità privilegiata al mare da tutto il continente.

Descrizione del caso studio

Il rinnovamento di Marsiglia in chiave euromediterranea si affida alla dialettica tra le anti-che suggestioni ed atmosfere di una città-porto – che ha ispirato alta letteratura e leggende po-polari – e la ricerca di un nuovo ruolo nel mediterraneo. Nella sua città di mare per antonomasia,che sarà anche Capitale della Cultura nel 2013, il governo francese ha investito risorse culturali,umane ed economiche per valorizzarne il ruolo marittimo quale ponte euro-mediterraneo.L’intensa attività progettuale è in bilico tra la reinterpretazione originale del ruolo di Marsigliaquale porto-porta nel Mediterraneo e l’ennesima versione globalizzata dell’idea di città-porto.

Il programma di riqualificazione urbana – iniziato con lo status di Operazione di RilevanzaNazionale e di maggiore progetto di rinnovamento urbano del sud dell’Europa – si proponeobiettivi di carattere sociale, economico e culturale, oltre che di risanamento ambientale, da per-seguire attraverso la trasformazione di quattrocentottanta ettari di aree e volumi industriali, daidocks ottocenteschi della Joliette, a nord del Vieux Port, fino alla Belle de Mai37. La parola chiaveche accomuna tutti gli interventi è la cultura mediterranea che viene declinata nella valorizza-zione dei collegamenti marittimi locali, nella progettazione di una fascia di waterfront densa difunzioni di livello internazionale e di spazi per la vita quotidiana, nella realizzazione di volumi ar-chitettonici che possano divenire i nuovi simboli della dimensione marittima della città e nel re-cupero di luoghi della memoria nei quali la comunità si è relazionata con coloro che giungevanoda un altrove d’oltremare.

Il primo “blocco” del progetto che si incontra sulla linea di costa è La Joliette, in una localiz-zazione strategica tra porto e centro urbano ed accessibile grazie a collegamenti veloci con l’ae-roporto, la stazione ferroviaria TGV, viadotti e linee tramviaria e metropolitana38. Tra il 1992 ed il2002 è stato completato in recupero degli edifici dei Dock e nel 1998 è stata inaugurata la Placede la Joliette intorno alla quale ruotano il business district e le residenze per i lavoratori impiegatinella downtown.

Ad est del perimetro di Euromediterranée, nei pressi del nodo intermodale di Gare SaintCharles si assiste al recupero degli antichi capannoni industriali della Belle de Mai: un ambito de-dicato all’industria digitale e multimediale e alla cultura, attraverso un cluster museale e archivi-stico, un media center che costituisce il nucleo del “Incubateur national multimédia Belle de Mai”,ed un ampio villaggio tematico che ospita produzioni televisive e cinematografiche rilevanti, dinatura pubblica e privata39.

Il progetto di pianificazione urbana Euromediterranée40, progetto urbano rilevante perestensione ed investimenti impegnati, traina il processo di trasformazione ed adeguamento ur-bano imperniato sulla dialettica tra recupero dell’esistente e nuova architettura41. Nello specifico,nuovi quartieri di abitazioni e di uffici sono stati realizzati o sono in fieri nelle aree industriali e

37 La superficie del progetto è di 480 ettari con un incremento di alloggi di 18.000 unità, un milione di mq dedi-cati ad uffici, 200.000 mq per il commercio, altrettanto per attrezzature pubbliche. Lo spazio verde copre 60 ettari e l’in-tero progetto prevede un investimento di sette miliardi di euro con un ritorno di 35000 nuovi occupati e 38000 abitanti.Cfr. http://www.euromediterranee.fr/qui-sommes-nous/les-partenaires-publics/quelques-chiffres.html.

38 Nel progetto rientrano anche gli interventi di rinnovamento di sedici ettari dei due principali accessi aMarsiglia: il nodo intermodale della Gare Saint-Charles dove arriva il TGV mediterraneo, collegata attraverso Place VictorHugo all’Università della Provenza e, per la mobilità su gomma, la Porte d’Aix, accesso della autostrada A7 in una zona atraffico limitato nella quale sono stati realizzati studentati, residenze e servizi urbani.

39 Fonte: http://www.belledemai.org/.40 Euroméditerranée dichiara di essere un progetto per costruire una nuova città nella città nel rispetto dei prin-

cipi dello sviluppo sostenibile, cercando un equilibrio tra equità sociale, crescita economica e protezione ambientale. Lenuove edificazioni e gli interventi di recupero e riqualificazione riguardano infrastrutture e spazi pubblici ma anche uf-fici, abitazioni, attività commerciali, strutture ricettive e attrezzature culturali e per il tempo libero.

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portuali dismesse e verranno supportati dal completamento della rete tranviaria. I cinque poliprincipali sono il Pôle Belle de Mai: luogo di creatività e di socializzazione che ospita spazi perspettacoli, esposizioni, opere artistiche, alloggi, gli archivi municipali, il polo multimediale (con ilBureau du Cinéma ed i set cinematrografici), il CICRP (Centre Interrégional de Conservation et deRestauration du Patrimoine) e l’archivio dell’Istituto Nazionale dell’Audiovisivo; il Pôle Saint-Charles - Porte d’Aix che ospita le attività istituzionali e universitarie, le attività commerciali e ilsettore dei trasporti; il Pôle d’Arenc: polo di sviluppo economico immobiliare; il Pôle de la Jolietteche concentra attività economiche, abitazioni e scambi e il Pôle Saint-Jean che accoglierà ilMuCEM. L’orizzonte temporale delle trasformazioni in atto è il 2013, anno nel quale Marsiglia saràla città europea della cultura.

Il progetto si configura quale interessante oggetto di riflessione in quanto costituisce unbanco di prova di un modello di sviluppo locale legato al waterfront che appare ricorrente nellecittà d’acqua e che, a Marsiglia, può contare su risorse economiche notevolissime, sulla identitàd’intenti tra soggetti pubblici e privati non solo locali, e sul concorso di un complesso sistema diinterventi di sostegno allo sviluppo sociale che investono l’intera città.

Nella direzione del miglioramento della qualità della vita urbana e di rinnovamento fisico efunzionale di una arteria residenziale e commerciale centrale nella realtà e nella percezione dellospazio urbano da parte dei Marsigliesi muove il progetto di riqualificazione della Rue de laRepublique: il restauro della facciate haussmanniane, l’adeguamento di 5200 unità abitative nel-l’ambito del Housing Improvement Program (OPAH), la realizzazione di parcheggi, servizi, retail,marciapiedi, la piantumazione di 200 alberi e l’apertura (2007) della linea tramviaria Blancarde-Euroméditerranée Gloves.

La Cité de la Méditerranée rappresenta il progetto di rivitalizzazione di tre miglia di water-front tra Arenc e il Fort Saint Jean nel Vieux Port, ricucendo le relazioni tra questi due siti simbolodella vita cittadina e riaprendo la città al mare e riconfigurando l’interfaccia con il porto. Il nuovoskyline scaturisce dalla creazione di un nuovo terminal ferry prospiciente La Major e da conteni-tori che ospitano attività culturali, formative, ricreative e di servizio che concorrono a formare unpolo dedicato allo scambio economico e culturale tra Europa e Mediterraneo. Il progetto si inte-gra con lo sviluppo del Mole J4 e delle fondazioni del Fort S. Jean, consentendo l’accesso ad unlungomare che ospiterà iniziative temporanee.

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Fig. 7 - Gli ambiti di trasformazione coinvolti dal progetto Euromediterraneè.Fonte http://www.euromediterranee.fr/themes/mer, http://www.marseille.fr/sitevdm/jsp/site/Portal.jsp?document_id=6771&portlet_id=967.

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Oltre al già citato ambito di Rue de la Republique si contano altri due interventi OPAH nelperimetro di Euroméditerranée, partiti nel 2001 e confermati fino al 2013, orientati ad integrare ilrinnovo degli spazi pubblici, riqualificare le residenze esistenti e realizzare nuclei di edilizia so-ciale.

Nel 2007, agli ambiti originariamente individuati, si è aggiunta un’area di 169 ettari a bassadensità da riurbanizzare e riconnettere all’area d’intervento entro il 2020; l’ambito è compreso traCap Pinède e Les Arnavaux a nord, il villaggio di Canet a est e Bougainville/CMA Tower a sud.

L’etichetta EcoCité, sulla scorta della carta per la qualità, raccomandazioni sullo sviluppo so-stenibile edite dal comune, viene perseguita dai progetti partiti nel 2007, quali l’eco-quartiereSainte-Marthe e i quindici ettari del parco Aygalades. La ZAC dell’area di Euromed II per 10.000abitanti, in oltre 3.000 alloggi, deve rispondere ai quaranta requisiti ambientali imposti dalla Cartaper potersi candidare quale modello mediterraneo di comunità sostenibile42.

L’ambizioso intento è quello di rendere competitiva Marsiglia attraverso il raddoppio delbusiness district, per attrarre attività di pregio e poco impattanti sul tessuto urbano, ed il miglio-ramento della qualità della vita urbana attraverso interventi sulla residenza, sugli spazi pubblici esull’accessibilità e mobilità urbana43. I tre pilastri del progetto culturale, politico ed urbanisticosono: le arti per interpretare il Mediterraneo, le relazioni internazionali euromediterranee, letradizioni locali.

Euromediterranée è un progetto ciclopico per estensione e per risorse investite che si pro-pone di restituire il mare ai Marsigliesi. In realtà tra le maglie di questo manifesto ideologico si rav-visa l’obiettivo di rilanciare una città in profonda crisi, usandola quale cartina di tornasole di un ri-posizionamento geo-politico verso il Mediterraneo. Una tempesta di investimenti, creatività e tec-nologia ha dato vita a palazzi avveniristici in vetro, una città della moda, le banchine trasformatein una lunga passeggiata sospesa, l’autostrada destinata a sparire sottoterra. Ci si affida alle formeaudaci della sede della compagnia marittima CMA CGM disegnata da Zaha Hadid (2007) ed a unainnovazione sia formale che funzionale del fronte del porto. Il nuovo skyline urbano si è dotatocon questa torre sinuosa alta 148 metri, di un faro che rivaleggia con la duecentesca Madonnadella Guardia, aurea statua che da secoli protegge il destino dei marinai di ogni etnia e confes-sione religiosa, per diventare il nuovo simbolo della capitale della Provenza. Una teoria di nomi il-lustri dell’architettura ha firmato la trasformazione urbana: il progetto per il nuovo waterfront,

41 Il progetto è partito nel 1995 per iniziativa del governo nazionale francese, la città di Marsiglia, la MetropolitanUrban Community Marseille-Provence, la regione Provence-Alpes-Cote d’Azur ed il Consiglio Generale della Bouches duRhone ed è supportato con fondi europei.

42 Fonte: http://www.marseille.fr/sitevdm/jsp/site/Portal.jsp?document_id=6771&portlet_ id=967.43 I progetti – con un processo partecipato – contemplano trasporto pubblico, verde, servizi locali efficienti, at-

trezzature commerciali e spazi pubblici che concorrono a migliorare la vivibilità da parte dei residenti e nel contempol’attrattività per attività qualificate. A ciò si aggiunge la sperimentazione di un eco-quartiere con 15 ettari di corridoioverde (Parc des Aygalades) e sistemi innovativi per la riduzione del consumo energetico.

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Fig. 8 - La nuova passeggiata a mare integrata al nuovo edificio del MuCEM e l’Euromed Center. Fonte http://www.fuk-sas.it/#/progetti/0704/ e http://www.euromediterranee.fr.

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l’Euromed Center di Massimiliano Fuksas44, la Torre di Jean Nouvel e quella di Hadid rappresen-tano alcuni cardini dell’idea di rilanciare la Capitale della Cultura 2013 senza dissipare il fascinodel Vieux Port evocativo e romantico45. Ora si attende la realizzazione del MuCEM, il Museo dellaCiviltà d’Europa e del Mediterraneo46.

Ma i segni del cambiamento si scoprono anche nel Vieux Port e nei quartieri un tempoabitati da un melting pot di maghrebini, italiani, corsi, come la Canebière, o il Panier, dove ora siaprono gallerie d’arte contemporanea e atelier di creativi.

Il limite che si ravvisa nell’imponente processo di trasformazione in atto è che – pur avendoscelto il waterfront per caratterizzare gli interventi con la tradizione marittima della città – si èperseguito un approccio più stereotipico che innovativo. Come spesso accade nei processi diriconversione di attività produttive dimesse e di terziarizzazione del sistema economico, ci siaffida, da un lato, a nomi noti dello star system architettonico tentando di riprodurre l’effettoBilbao e, dall’altro, si persegue un approccio identitario che reinterpreta oleograficamentel’iconografia locale.

Il modello seguito si potrebbe provocatoriamente definire un franchising, una etichettaglobalizzata giustapposta alle forme seducenti di una città storica investita dall’onda del cambia-mento; teoria suffragata dall’elenco delle “firme” multinazionali che hanno aderito al progetto dirinnovo urbano e che vi si collocheranno con i loro concept store. In questo modo le peculiaritàdel genius loci marsigliese si perdono, da una lato, nelle forme plastiche di esercizi progettualid’eccezione, che seducono dalle pagine delle riviste di settore e non evocano alcuna unità diluogo e di tempo e, dall’altro, in interventi di maquillage sull’edilizia esistente e di riorganizza-zione funzionale secondo un modello standardizzato: si potrebbe essere a Soho come nel Marais.La decadenza urbana ha sempre un sapore peculiare, unico, che le arti sanno restituire mirabil-mente, mentre la riqualificazione tende ad uniformare ad un standard precostituito e normaliz-zante, che si ritiene il migliore.

Questa chiave di lettura delle trasformazioni future non vuole essere una laudatio tempo-ris acti: anche il compiacimento nella conservazione di un’aura del passato slegata dall’evoluzionedella società diventa manierismo e negazione dell’afflato vitale dei luoghi. Piuttosto, il potere evo-cativo di Marsiglia aiuta a comprendere che partendo dalla fluidità delle acque, per loro natura fo-riere di cambiamento, si può cercare la chiave per rinnovare e rivitalizzare la città, adeguandola almutare della domanda delle comunità urbane così come è stato sempre fatto per la navigazione.

RIFERIMENTI

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octobre 2005.

44 Le sinuose e seducenti forme dell’Euromed Center di Massimiliano Fuksas si distinguono nell’area d’interventoper il potere evocativo che trasmettono i volumi “erosi dall’acqua e dal vento”. Questo maxi-complesso sul waterfront, nelcuore del quartiere d’affari La Joliette, è composto da uffici, hotel, spazi per il commercio, per i servizi, per lo svago e uncinema multisala.

45 Tra i luoghi della dimensione marittima-multiculturale di Marsiglia si distinguono: il Cafè Turc, simbolo dell’a-pertura di Marsiglia sul mondo, che segnava contemporaneamente l’ora turca, cinese, araba e europea e la MaisonDiamantée che, alla fine del XIX secolo, ospitò i lavoratori del porto e gli immigrati italiani.

46 L’edificio di 15.000 mq in costruzione – ad opera dell’architetto Rudy Ricciotti associato a Roland Carta nascesull’antico molo J4 – si presenta come un cubo minerale con tamponamento traforato che consentirà il passaggio di lucee aria e dando colore alla promenade interna. Una passerella lo collega al Fort Saint-Jean.

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Capitolo 6

Città oceaniche: Liverpool, Belfast, Lorient

Il secondo gruppo di casi studio è costituito da tre città portuali del Nord Europa la cui tradizione marit-tima si è sviluppata in relazione al contesto geografico e culturale dell’Oceano Atlantico ed in cui oggil’acqua si pone come elemento dinamico di ricucitura di parti urbane. L’eccessiva densificazione edilizia,tuttavia, rischia di sbilanciare il delicato equilibrio tra costruito e costa.Alessandra Ricciardi affronta il caso di Liverpool, città che ha ritrovato nell’acqua l’elemento su cui fondareinterventi per riconnettere l’organizzazione spaziale, le funzioni portuali ed urbane, aspetti economici,ambientali e sociali. In una visione complessiva di riqualificazione dell’immagine urbana, le operazioni inatto coinvolgono sia la fascia portuale a stretto contatto con la città storica sia le aree industriali più mar-ginali lungo il fiume. Gabriella Esposito De Vita e Claudia Trillo approfondiscono il caso di Belfast, città cheeredita dal periodo dei “Troubles” una frammentazione del disegno di suolo urbano e della struttura ur-bana. Nell’ambito dei numerosi interventi di rigenerazione urbana attivati a Belfast, il tracciato fluviale siconfigura come l’elemento strategico di ricucitura fisica e sociale per supportare il processo di pace.Eleonora Giovene di Girasole analizza il processo di rinnovamento della città di Lorient che ha trasformatoil waterfront potenziando le attività legate al rapporto con il mare attraverso la realizzazione di luoghi de-dicati alla vela e alla nautica da diporto. Questo processo di rigenerazione del fronte a mare è stato messoa sistema con la riqualificazione delle aree periferiche svantaggiate dei territori circostanti.

6.1 LIVERPOOL: IL RECUPERO DELL’IDENTITÀ CULTURALE MARITTIMA

AutoreAlessandra Ricciardi

Parole chiavefiume - oceano - rotte intercontinentali - arte - architettura

Focus del caso studio

Liverpool è un eccezionale esempio di città d’acqua in cui il fiume si pone come elementobaricentrico e risorsa fondamentale nella promozione di una nuova immagine che recupera l’an-tica identità marittima. Nei secoli XVIII e XIX la città fu il fulcro di sviluppo della cultura marittimamercantile, alla base della costruzione dell’Impero Britannico. Nel 2004, i 135 Km di costa lungo ilfiume Mersey, caratterizzati dalla presenza di un patrimonio naturale ed architettonico di inte-resse internazionale, hanno fortemente contribuito all’inserimento della città mercantile diLiverpool tra i siti del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Inquadramento storico, urbanistico e marittimo

Liverpool Harbor: 53° 24’ 1.36 N, 2° 59’ 32.21 W

“In the town where I was born, lived a man who sailed to sea and he told us of his life, in the landof submarine…” (The Beatles, “The yellow submarime”, 1966)1

Le origini

Liverpool sorge lungo l’estuario del fiume Mersey e affaccia sul Mare d’Irlanda, non lontanodal confine con il Galles. Già dal 1190, il luogo dove ora sorge l’odierna Liverpool era noto con il

1 Nel film di animazione “Yellow submarime” dal porto di Liverpool comincia per i Fab Four una incredibile av-ventura tra terre e isole lunari e psichedeliche e strane creature, attraversando ben sei mari: il sottomarino giallo scanda-glia il fondale degli abissi marini, l’elemento acqua è metafora dell’inconscio, l’edificio The Pier è un luogo di fantasia, ilmolo (Pier) è il luogo dove i sogni fluttuano e l’irrealtà può materializzarsi.

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nome di Liuerpul, che in inglese significa stagno o insenatura con acqua fangosa. Altra ipotesi sul-l’origine del nome è elverpool in riferimento alla grande quantità di anguille (elver in inglese in-dica la giovane anguilla) presenti nelle acque del Mersey.

La data di fondazione di Liverpool viene fatta solitamente risalire all’agosto del 1207,quando Giovanni Senzaterra concesse il privilegio di “libera città” all’allora villaggio di Liverpool:con molta probabilità Giovanni desiderava la creazione di un nuovo porto nella regione che fossesotto il controllo del conte di Chester, suo alleato.

Per più di quattro secoli dalla sua fondazione, Liverpool rimase un piccolo porto, subor-dinato a quello di Chester, fino al 1650, con una popolazione che non superava i cinquecentoabitanti.

Liverpool vertice del commercio triangolare

“La durata del viaggio dipendeva dai venti, sfruttati adeguatamente, ma principalmente dalleoperazioni di tratta sulla costa africana: sedici mesi di viaggio per compiere l’intero circuitocostituiva una buona media”

“I mezzi e le modalità della tratta”, America: la tratta degli schiavi

Nel XVIII secolo per Liverpool incomincia una grande trasformazione urbana, strettamentelegata alle rotte marittime che alimentano forti scambi culturali e commerciali incidendo inmaniera tangibile sulla sua forma e dimensione tanto che nel 1880 le viene riconosciuto lo statusdi città.

Con la decadenza del porto di Chester (dovuta al progressivo insabbiamento del fiumeDee) e la costruzione nel 1715 del primo bacino acqueo artificiale di tutta l’Inghilterra, Liverpooldiventò il porto principale del paese; ma è con l’apertura del commercio verso le IndieOccidentali, incentrato soprattutto sulla tratta degli schiavi, che la città conobbe uno svilupposenza precedenti.

La tratta degli schiavi trasformò la città da un modesto villaggio in una capitale di scambimercantili: da qui partivano beni di consumo alla volta dell’Africa del nord, dove venivano scam-biati con schiavi, che a loro volta venivano deportati per farli lavorare o essere usati nuovamentecome merce di scambio per beni di valore2.

Commercio questo, detto triangolare o del grande circuito, che si va a sommare a quello giàpresente con Irlanda ed Europa: all’inizio del XIX secolo, qualcosa come il 40% di tutto il commer-cio mondiale transita ormai nel porto di questa città.

Alla grande espansione commerciale segue la grande espansione urbana di Liverpool conla costruzione di numerosi nuovi edifici a supporto dell’intenso traffico di merci e uomini in città:St. George’s Hall, Lime Street Station, ecc., edifici che diventano il fulcro dell’impianto urbanisticodi Liverpool, che si va affermando come uno dei principali centri commerciali marittimi delmondo.

Liverpool e l’età dei viaggi in transatlantico

“(…) La casa dei terrestri è l’espressione di un mondo piccolo e superato. Il piroscafo è la primatappa nella realtà di un mondo organizzato secondo lo spirito nuovo”

Le Corbursier “Occhi che non vedono”, Vers un architecture, 1923

Con i grandi transatlantici la forma del porto ne resta segnata: per entrare all’interno delporto il transatlantico richiede che si allarghino le porte dei bacini. Si tratta di tagliare un solco nel

2 Le navi impiegate nel commercio triangolare non erano costruite appositamente per questo scopo: esse, nei li-miti del possibile, dovevano possedere un’ampia carenatura per trasportare il massimo numero di schiavi e di viveri edavere nello stesso tempo una sufficiente velocità. Si trattava in generale di imbarcazioni di media grandezza dalle 100alle 500 tonnellate; solo dopo il 1784 vennero costruite navi comprese tra le 1000 e le 1500 tonnellate. La lunghezza delleimbarcazioni più diffuse andava dai 20 ai 30 mt, la larghezza da 6 ad 8, la profondità da 3 a 4 mt. e mezzo. (America: latratta degli schiavi).

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suolo, consolidare le pareti e il fondo, costruire all’estremità chiuse mobili che a loro volta si in-cassino in alloggiamenti scavati nel terreno, costruire stazioni di pompaggio che possano, unavolta allargato il solco, svuotarlo delle acque. L’affaccio a mare della città è ridisegnato con calatee moli per permettere l’attracco di questi giganti del mare, ne accoglie le forme, si adatta allenuove dimensioni e questa trasformazione ha un forte impatto sulla morfologia urbana a testi-monianza del particolare rapporto che esiste tra la città mercantile e il suo porto.

L’espansione di Liverpool continuò incessante anche durante la prima parte del XX secoloquando la città diventò uno degli obiettivi principali per i grandi flussi migratori di passaggiodall’Europa continentale e il principale porto europeo per i collegamenti con gli Stati Uniti.

L’evoluzione delle prime linee di navigazione, per il trasporto dei passeggeri e della postatra un continente e l’altro, ha un grande impulso nei primi anni del XIX secolo con l’introduzionedel primo motore marino. L’Ottocento fu il secolo della rivoluzione industriale e in particolaredelle applicazioni del motore a vapore alle navi che rese possibile il dimezzamento dei tempi dipercorrenza transatlantici e determinò la fine dell’uso millenario delle navi a vela, fu il secolo in cuiiniziò il culto e la ricerca della velocità, in tutti i campi, dalla navigazione al trasporto terrestre e al-l’inoltro della corrispondenza3.

3 Filippo II, re di Spagna dal 1556 al 1598, doveva aspettare un anno per ottenere risposta alle sue comunicazionicon le Filippine, sei mesi per quelle con l’America. Il viaggio per l’America del nord durava molto più di un mese e questitempi rimasero identici fino alla prima metà dell’800; già dalla seconda metà del secolo il tragitto durava 15 giorni, per ri-dursi a 10 negli ultimi anni. (Il tragitto transatlantico)

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Fig. 1 - Ponti e sezione dellanave inglese Brookes adibitaal trasporto degli schiavi.Fontehttp://it.wikipedia.org/wiki/Tratta_atlantica_degli_schia-vi_africani.

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La prima imbarcazione mossa dalla forza meccanica che attraversò l’Atlantico, fu una pic-cola nave a pala meccanica, la Savannah, di 320 tonnellate, partita dal porto di Savannah, Georgia,il 22 maggio 1819 per Liverpool, ove giunse il 20 giugno4. Questo primo tentativo, cui seguironoaltri, non portò a un’effettiva istituzione di una linea transatlantica e bisognerà attendere il 1838perché alcuni imprenditori inglesi entrassero in competizione per stabilire linee regolari tra i duecontinenti.

L’emigrazione era in costante incremento verso gli Stati Uniti e il Canada, mentre dall’altraparte del mondo, in Australia e Nuova Zelanda, milioni di acri erano disabitati e incolti. Ma nonsolo: oltre a merci e passeggeri c’era in gioco il trasporto della corrispondenza e, con questa, lesovvenzioni statali che riducevano sensibilmente i costi e le spese di viaggio.

Il contratto per il trasporto postale fu affidato a un mercante canadese di Halifax, SamuelCunard, che già svolgeva servizi di posta e passeggeri tra Halifax e Bermuda. Senza avere navi emezzi finanziari per un compito così impegnativo, Cunard formò una società con George Burns diGlasgow e David Mc Iver di Liverpool, avvalendosi della collaborazione di Robert Napier, uno deipiù noti ingegneri marittimi del tempo; il nome della compagnia appena nata fu “British & NorthAmerican Royal Mail Steam Packet Company”.

I viaggi furono effettuati dalle prime grandi quattro navi a pale di 1200 t. – Acadia,Britannia, Caledonia e Columbia – che iniziarono il loro servizio transatlantico lo stesso anno traLiverpool, Halifax e Boston.

Le navi ebbero tanto successo che Cunard, nel 1844, ne fece costruire altre due, Hibemia eCambria, ancora più grandi e veloci delle prime quattro: Hibemia, infatti, fu il primo piroscafo adattraversare l’Atlantico in meno di dieci giorni. Nel 1848 mise in cantiere altre quattro navi da1820 t. e con velocità superiore ai 10 nodi – Niagara, America, Europa, Canada – cui seguirono dueanni dopo Africa e Asia e, nel 1853, l’Arabia. A questo punto, la compagnia britannica poteva of-frire, con una flotta di tredici piroscafi, un servizio più frequente e veloce: le navi erano poste, al-ternativamente e secondo le esigenze, in linea con Boston e New York, via Halifax, per Liverpool.

4 Il suo piccolo motore monocilindrico era stato azionato solo per breve tempo poiché il capitano aveva avutomodo di osservare che vela e motore, contemporaneamente, non potevano coesistere: una pala affondava nell’acqua e,sottovento, un’altra girava a vuoto facendo avanzare la nave in cerchio.

Le due ruote a pale, in ferro battuto, presentavano un diametro di 4,9 m. con otto pale per ruota e come com-bustibile il vascello trasportava 75 t. di carbone e 90 metri cubi di legname. La Savannah era dotata di 32 cuccette per ipasseggeri e furono approntati tre saloni dotati di ogni confort.

Dei 27 giorni di navigazione la Savannah azionò la trazione a motore solo per 80 ore. Durante la sosta aLiverpool, durata 25 giorni, ricevette la visita di migliaia di persone, l’equipaggio raschiò e ridipinse la nave e il 21 luglio1819 lasciò la città inglese diretta a San Pietroburgo. Di questo storico viaggio si conosce solo una lettera, pubblicata sulfondamentale lavoro di Alan W. Robertson “Ship Letter”. (Savannah - Wikipedia the free Encyclopedia).

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Fig. 2 - La Savannah.Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/ SS.Savannah.

Fig. 3 - William Turner: “Temeraire” olio su tela90,7x102,6, 1839-1839, National Gallery, Londra.La nave inglese a vela da battaglia della RoyalNavy, trasportata alla demolizione da un piccoloe fumoso battello a motore. Fonte http://it.wiki-pedia. org/wiki/La_valorosa_Temeraire.

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Anche il tragico viaggio inaugurale del Titanic doveva in origine partire da Liverpool, e fusolo in un secondo momento che questo fu spostato a Southampton.

Dalla Seconda Guerra mondiale a oggi

Dopo la guerra, durante la quale ci furono circa ottanta raid aerei sul Meyerside, seguironogli anni della grande ricostruzione: vennero edificate nuove zone residenziali e soprattutto ilnuovo bacino di Seaforth, il più grande del Regno Unito. Tuttavia negli anni cinquanta la città en-tra in profonda crisi con la chiusura delle fabbriche: anche l’attività portuale partecipa al declinoeconomico della città tanto che dal 1970, con l’introduzione dei container per lo stoccaggio deimateriali, il bacino di Seaforth diventa obsoleto e in gran parte inutilizzato.

A partire dalla metà degli anni novanta l’economia e lo sviluppo sono finalmente tornati inattivo: la città ha cercato di dare risalto alle proprie attrazioni culturali e lo sforzo, frutto di una ma-turazione avvenuta nel tempo, è stato premiato con l’assegnazione a Liverpool del titolo diCapitale Europea della Cultura per l’anno 2008.

In un contesto di contrazione dell’occupazione industriale e di generale crescita dell’eco-nomia dei servizi, Liverpool ha dato inizio alla rigenerazione del waterfront: ha puntato sulla ri-sorsa acqua per legare la riqualificazione della città allo sviluppo dell’economia, al commercio, agliscambi marittimi ed al turismo dimostrando come nella competizione allargata le città d’acquapossono contare su una risorsa in più nella promozione di una immagine nuova.

Descrizione del caso studio

“Try to see it my wayDo I have to keep on talking till I can’t go on?While you see it your wayRun the risk of knowing that our love may soon be goneWe can work it outWe can work it out…”

(The Beatles - We can work it out - 1988)

È in cantiere per il waterfront di Liverpool una rigenerazione tanto grandiosa quanto èstato, nel recente passato, il suo declino. “We can work it out”, il titolo di una delle canzoni deiBeatles nativi di Liverpool, sintetizza al meglio la ricchezza dei lavori in corso, delle partnership,delle idee urbane, delle potenzialità e delle realizzazioni da toccare con mano, che hanno portatola città fuori dalla crisi del manifatturiero e dalla crisi sociale, con un numero di disoccupati edeprivati che nemmeno Ken Loach, il regista di “Full Monty”, è riuscito a farci percepire.

Liverpool, assieme alle cosidette città del North West (Midlands, Yorkshire, Meyerside),costituisce l’area urbana più densa d’Europa dove è nata l’industria e dove l’insieme delle attivitàlegate ai porti ed alle manifatture di base (tessile, carbone, acciaio, plastica) hanno dato luogo adun unicum straordinario.

Negli ultimi trecento anni Liverpool si è sviluppata come un importante porto sia dal puntodi vista strategico che geografico, chiave dell’economia della Gran Bretagna. Nel 1715 il primodock è stato costruito sul Mersey e tale è stata la domanda che altri quattro bacini sono staticostruiti durante il corso del secolo.

Oggi, ricoprendo più di 200 acri Liverpool è diventato il terzo porto più grande della GranBretagna grazie alla nascita di nuove industrie in tutto il Lancashire come quelle del carbone, tes-sili, del sapone e del vetro. Durante il XX secolo, malgrado la contrazione delle attività portuali,molte delle potenzialità che si erano sviluppate durante l’intenso periodo di crescita sono rimastee Liverpool ha continuato ad avere un peso nel campo marittimo e logistico e un controllo suiprincipali mercati del mondo come quello del commercio del cotone.

La tematica del recupero dei waterfront si declina in modi diversi in relazione alle differentitipologie di aree urbane costiere, allo specifico rapporto tra sviluppo urbano e sviluppo delle fun-

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zioni legate alla costa ed al fiume. Nel caso di Liverpool è necessario distinguere tra due situazioniben diverse.

Le operazioni di ridisegno di Pier Head, Albert Dock, Princess Dock interessano la fascia por-tuale a stretto contatto con la città storica. In tutti questi casi la riqualificazione del waterfront rap-presenta una straordinaria opportunità di coesione e di ricucitura del territorio dove l’acqua – pa-trimonio della collettività – gioca un ruolo di centralità; è il motore di uno sviluppo sostenibilecapace di ricreare la relazione tra spazi, usi, visioni, di ricostruire il dialogo tra organizzazionespaziale, funzioni portuali ed urbane, aspetti economici, ambientali e sociali.

Il Piano per Wirral Waters interessa la porzione di penisola adagiata sulla sponda oppostadel Mersey rispetto alla città storica: si tratta di un’area industriale/portuale di estese dimensioniche sarà oggetto di progetti urbani di grande dimensione volumetrica. Il Piano, tenendo contodella vocazione dell’area, nasce dall’idea di città d’acqua intesa come il portale di potenti piatta-forme produttive situate tra l’Atlantico e il Mediterraneo, tra America e Asia, in grado di insediarenuove funzioni che superino la retorica delle aree marginali e degradate che spesso caratterizza iporti per ambire a mettere in valore il capitale che possiedono.

Il waterfront di Liverpool non è solo storia e non è solo futuro, ma è una sintesi feconda distoria e prospettive: un luogo in cui la sapiente conoscenza storica alimenta le visioni per il futuroe in cui l’ambizione delle strategie produce un’efficace interpretazione del passato.

Pier Head

Il tratto più famoso del Mersey, probabilmente il cuore immaginario della regione delMeyerside, è il cosidetto Pier Head ossia la testa di molo che da’ vita al suggestivo scorcio diLiverpool con i suoi tre edifici più rappresentativi noti con il nome “Three Graces”: il Liverpool PortBuilding del 1905, il Royal Liver Building del 1911 e il Cunard Building del 1917.

Il luogo è stato foggiato dal passato della città quando il ruolo di Liverpool come cittàmercantile e marinara e la sua importanza come porto commerciale, in una epoca in cui la GranBretagna era all’apice del suo dominio a livello mondiale, furono le ragioni principali del suosuccesso.

Nel 1207, i monaci del priorato di Birkenhead iniziarono il primo servizio di traghetto sulfiume Mersey a servizio degli agricoltori che vendevano capi di bestiame e altri prodotti in città.Ma solo nel lontano 1817 un servizio di traghetti a vapore inizia tra Liverpool e Birkenhead, il solomezzo di trasporto per un numero sempre crescente di pendolari. Trent’anni più tardi viene co-struito, in questa parte di fiume che diverrà noto come Pier Head, un piccolo molo galleggiante:che sale e scende con la marea permettendo in ogni condizione l’ormeggio della barche.

Nel 1876 questo piccolo molo galleggiante diventa un’enorme struttura galleggiante, la piùlunga del mondo al momento: la testata a nord, Princess Landing Stage, era a servizio della lineatransatlantica (qui attraccavano le navi della linea di navigazione Cunard - il Mauretania el’Aquitania), mentre l’estremità a sud era destinata ai traghetti locali che trasportavano i pendolarisul lato Wirral del fiume. Dopo un’ulteriore allungamento avviato nel XX secolo la struttura com-

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Fig. 4 e 5 - Il National Museum of Liverpool, in costruzione, visto dall’acqua. Fonte http://architetturadipietra.it.

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binata misurava quasi mezzo miglio: entrambi sono stati demoliti nel 1973 a seguito della cessa-zione dei servizi della linea transatlantica.

A gennaio del 2005, a conclusione di una competizione internazionale a inviti, il NationalMuseum of Liverpool affida al gruppo danese 3XN l’incarico di costruzione del nuovo museo,coinvolgendo, localmente, per la fase esecutiva, il gruppo inglese AEW.

Il museo sorge sul Pier Head, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, si sviluppa sudi un’area di circa 6600 mq e nel suo punto più alto raggiunge i 26 m. di altezza. Punto focale diconnessione tra passato e futuro, l’edificio è il simbolo del processo di rigenerazione urbana diLiverpool, luogo dove scoprire le tradizioni e le attività che hanno segnato la vita sociale ed eco-nomica della città. Il Museo agisce a scala urbana come un “faro”, concepito come “scultura marit-tima”: una progressione dinamica di superfici litiche elemento di dialogo tra l’acqua e la città.

L’involucro, una sequenza continua di piani, è sostenuta da una struttura di acciaio (si trattadi 2100 tonnellate). La scelta dell’acciaio oltre che legata alla tradizione costruttiva rispondeall’esigenza di avere grandi luci strutturali e maggiore flessibilità distributiva dello spazio interno:volumi lineari di grandi dimensioni, percepibili dall’esterno attraverso una vetrata alta 8 mt. elarga 28 che, nel dialogo tra interno ed esterno offre una suggestiva prospettiva sul canale.

L’involucro, una parete ventilata di nuova generazione, è una superficie dalle infinite pieghe,una sorta di bugnato gigante ottenuta con lastre di pietra Jura spesse 4 cm, una pietra calcareamolto diffusa in Scozia e Germania. Le lastre di pietra hanno forma trapezoidale e danno luogo, nelsistema generale della facciata, ad una superficie tridimensionale: un origami di pietra che esalta leombre. Un senso di ambiguità percorre tutto l’edificio che alla apparente struttura massiva dellafacciata percepita a distanza, disvela, ad una visione ravvicinata, un esile rivestimento.

Geometrie elementari consentono il passaggio dalla bidimensionalità del piano alla tridi-mensionalità della concezione scultorea della superficie di facciata, esaltata dai giunti tra le lastreche “disegnano” un reticolo ordinatore. Da lontano l’edificio appare come una massa scolpita,quasi un gigante del mare arenato, un volume unitario che nel “viaggio di avvicinamento” tende aframmentarsi: le superfici, i piani, le connessioni, i chiaroscuri, l’ordito si rivelano nella loro com-plessità ed articolazione.

All’edificio è affidata la mediazione del passaggio di stato tra la solidità della terra e la flui-dità dell’acqua, fra la permanenza della città e la precarietà formale delle costruzioni sull’acqua: èconcepito come una serie di piattaforme inclinate ed elevate che danno vita ad una struttura di-namica ed aperta, accessibile dalla passeggiata lungo le banchine.

Il museo si articola su tre livelli in quattro gallerie principali – due delle quali completa-mente vetrate alle estremità con una vista mozzafiato sul Mersey verso Birkenhead e sulle cosi-dette “Tre Grazie” riferite ad altrettante caratterizzazioni di Liverpool (Port City, Creative City,People’s City e Global City) e associate ad un percorso lungo la storia dall’ultima glaciazione adoggi ed ad un allestimento pensato per i bambini in età prescolare. Negli 8000 mq della strutturarientrano anche un teatro da 180 posti e una serie di attrezzature a disposizione delle comunitàper attività ricreative e convegni.

Albert Dock

Il complesso dell’Albert Dock è stato inaugurato nel 1846 dal marito della regina Vittoria, ilprincipe Alberto, e in onore del quale prende il nome5.

La struttura chiusa del Dock ed il carico e scarico diretto delle merci dai magazzini hannoreso questo Dock più sicuro degli altri ancoraggi all’interno del porto di Liverpool: di conse-guenza qui venivano stipate merci di grande valore quali brandy, cotone, tea, seta, tabacco, avorio

5 La visita è così riportata dal “The Pictorial Times”: “Dalla sponda del Cheshire del fiume il Fairy ha raggiunto lasponda di Liverpool e la linea delle banchine tra gli applausi di migliaia di persone e rombo delle artiglierie. Lo spetta-colo è stato veramente magnifico, tutte le navi del porto sono state decorate ed il fiume era pieno di persone sulle bar-che. Alle 14,30 il Fairy entrò nella darsena dove erano riunite duecento onorevoli persone, l’elite della città: essi applau-dirono con entusiasmo e sua Altezza Reale alla fine di compiacere la folla ha navigato attorno al bacino…”

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e zucchero. Nonostante la grande prosperità che il Dock aveva offerto alla città, già dopo ventianni dalla sua costruzione l’Albert Dock cominciava a decadere6.

Il lungo e interessante passato marittimo, con uno dei più grandi porti al mondo, ha in-fluenzato l’arte e l’architettura cittadina conferendole un aspetto particolare ed una atmosferaunica. Un buon posto per conoscere una parte significativa della storia di Liverpool è il MeyersideMarittime Museum dove sono esposti oggetti e testimonianze appartenenti a coloro che emigra-vano verso l’America e l’Australia, in cerca di fortuna imbarcandosi sui transatlantici che salpavanodal porto della città inglese7.

Nel 1982 è stata fondata la MDC (Meyerside Development Corporation) con l’obiettivoprincipale di ristrutturare l’area portuale ed ha convertito il dock per ospitare il MeyersideMarittime Museum e la Tate Gallery Liverpool aperta nel 1988 come prima sede distaccata dell’o-monima galleria londinese destinata ad ospitare opere provenienti dalle collezioni della TateGallery di Londra e mostre d’arte contemporanea ed esposizioni di artisti britannici e stranieri.

James Stirling è stato l’architetto invitato da Tate per convertire l’ala nord-ovest del magaz-zino di sette piani in una galleria d’arte moderna, la più grande fuori Londra. Ciò che si trovò difronte Stirling era un monumentale edificio in pietra e mattoni rossi con alla base un robusto co-lonnato di colonne doriche: l’edificio, completato nel 1848, era stato progettato dall’architettoJesse Hartley ed uno dei più grandi esempi di architettura industriale in Europa. I lavori per la con-versione del magazzino, caduto in stato di abbandono già nel 1952, sono iniziati nel 1985 e l’alle-stimento degli interni un anno dopo: Stirling ha lasciato l’esterno quasi intatto ma ha trasformatol’interno in una maniera semplice, con gallerie eleganti adatte per l’esposizione dell’arte moderna.

6 Progettato e costruito per gestire navi a vela fino a 1000 tonnellate, al volgere del secolo solo il 7% delle navinel porto di Liverpool erano ormai a vela. Lo sviluppo delle navi a vapore nel XIX secolo comportò che il dock non fossesemplicemente abbastanza grande: gli ingressi stretti impedivano alle navi più grandi di entrarvi, strutturalmente il ba-cino non aveva abbastanza profondità per le navi a vapore e la sua mancanza di banchina era diventato un problema. Imagazzini che una volta avevano fatto dell’Albert Dock un elemento cosi’ attraente ora erano diventati un ostacolo peril futuro. Nel 1920 praticamente tutte le attività di trasporto erano cessate al molo, anche se i suoi magazzini erano rima-sti in uso per lo stoccaggio delle merci.

7 I primi transatlantici erano sostanzialmente delle navi a vela su cui veniva inserito un motore usato in generesenza continuità, ma già pochi anni dopo tutte le navi che operavano sulle rotte transatlantiche, pur non abbandonandodefinitivamente le vele, utilizzavano prevalentemente il motore a vapore. La successiva grande rivoluzione fu determi-nata dall’affermazione definitiva dell’elica rispetto alle ruote a pale; poiché la supremazia dell’una rispetto all’altra eracontroversa l ‘Ammiragliato inglese organizzò una speciale sfida, una sorta di tiro alla fune, tra una nave a pale ed una adelica, vincolandole di poppa. Vinse quella ad elica.

I galeoni, poi i brigantini e i clipper furono le navi commerciali a vela; le prime navi a motore avevano la stessastruttura delle navi a vela con modifiche che col tempo diventarono sempre più evidenti. (Il tragitto transatlantico)

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Fig. 6 e 7 - L’imponenza delle strutture presentiall’Albert Dock: porta di ingresso dal mare alla cittàstorica con l’inconfondibile presenza delle cosid-dette “tre Grazie”. Fonte Fig. 6 http:// le buone inter-ferenze.blogspot.com/2010/04/il-viaggio. FonteFig. 7: http//en.wikipedia.org/wiki/Albert_Dock).

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Princes Dock

Princes Dock è la più meridionale delle banchine del porto di Liverpool, zona cuscinetto delsito nominato Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Il molo è stato costruito da John Foster: la realizzazione è iniziata nel 1810 ed in origine ilsuo nome era quello del principe reggente Giorgio IV, infatti il dock fu inaugurato il giorno dellasua incoronazione nel 1821. L’accesso alla parte meridionale del molo avveniva attraversoGeorges Bacino, Georges Dock e Canning Dock: nel 1899 sia Georges Bacino che Georges Docksono stati riempiti in modo da creare quello che oggi è il Pier Head.

Il 12 giugno 1895, sul molo è costruita la stazione ferroviaria di Liverpool Riverside ma,oggi, del terminal ferroviario non rimangono resti poiché fu fortemente danneggiato durante ilsecondo conflitto mondiale e chiuso definitivamente nel marzo del 1941.

Nel 1967,a seguito dell’aumento dell’utilizzo dei containers, il dock è diventato sede del ter-minal passeggeri per i servizi di traghetto per Belfast con la realizzazione di un terminal traghettialla testata sud del molo. Nel 1981 il terminal ha chiuso e ne è stato aperto un altro a VictoriaDock: la darsena è stata successivamente vietata alla navigazione ed è stata in parte riempita.

Nel giugno del 2008 gran parte delle banchine e spazi magazzini del Princes Dock sonostate sostituiti da tre blocchi per uffici, da un Hotel – il Malmaison – e tre blocchi di appartamenti.

Il bacino è stato suddiviso in due parti, attraversato da un ponte pedonale che è stato pro-gettato dal Liverpool John Moores University Centre for Architectural Research and ConsultancyUnit (CARCU)

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Fig. 8 - Alexandra Tower: uno degli edificipiù alti sul molo con un totale di 27 pianiraggiunge l’altezza di 88 mt.

Fig. 10 - Blocchi per uffici su Princes Parade.Fonte Fig. 8-9-10http://en.wikipedia.org/wiki/Princes_Dock.

Fig. 9 - Princes Dock vista in direzione del Royal Liver Building.

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Il Piano per Wirral Waters

Dopo il successo ottenuto con l’elezione a Capitale della Cultura 2008 Liverpool continua lasua trasformazione con quella che si annuncia come una delle rigenerazioni urbane più ambi-ziose in Gran Bretagna: ad ottobre del 2010 il consiglio comunale ha dato il via libera a “LiverpoolWaters” un piano di sviluppo da realizzarsi nell’arco di trent’anni per rigenerare i docks di Wallaseye Birkenhead sulla sponda opposta del fiume Mersey, a diretto contatto visivo con lo skyline dellacittà storica.

L’intervento, firmato da Chapman Taylor Architects ed ispirato ai progetti costieri molto hi-tech ed avveniristici di Dubai e Shangai, si svilupperà su circa 60 ettari e vedrà la costruzione di 14torri per uffici e aree commerciali, oltre a 40 nuovi edifici più bassi, tra cui 15.000 abitazioni. PeelHolding, l’impresa proprietaria dell’area, spenderà circa 5,5 miliardi di sterline per la realizzazionedell’intero progetto, la cui conclusione è prevista nel 2034, compresa la monorotaia che colle-gherà l’area al centro storico e all’aeroporto.

L’intervento programmato a Wirral comporta un’idea di waterfront inteso come incrocio difasci infrastrutturali (marini e terrestri) che lo attraversano, che lo alimentano: nodo di una retesempre più planetaria di energie relazionali. Non è solo un nodo infrastrutturale, è soprattutto unluogo formato dall’intersezione di usi, di funzioni, di flussi, sintesi di spazio e di comunità: è capi-tale territoriale.

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Fig. 11 - Rendering del Piano perWirral Water. Fonte http://www.wir-ralnews.co.uk/wirral-news.

RIFERIMENTI

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6.2 BELFAST: IL WATERFRONT PER RICONNETTERE UNA CITTÀ DIVISA

AutoriGabriella Esposito De Vita e Claudia Trillo

Parole chiavewaterfront fluviale - società conflittuale - aree dismesse - real estate - rigenerazione urbana

Focus del caso studio

La scelta di Belfast quale teatro di un caso studio nell’ambito della ricerca sulle città di mareè dovuta principalmente al ruolo che sta giocando – e che potrebbe essere potenziato – il water-front nel riconnettere parti di città che il lungo e drammatico periodo dei “Troubles” ha diviso,producendo profonde alterazioni nel tessuto urbano.

Tra le molteplici implicazioni che il lungo conflitto ha determinato – documentate critica-mente in un nutrito gruppo di studi e ricerche afferenti a discipline diverse – si riscontra, infatti,una serie di ricadute significative sull’organizzazione fisica e funzionale della città. Ne è risultatauna frammentazione del disegno di suolo urbano che ricalca la struttura di una società divisa eche, con l’avvio del processo di pace, si cerca di riconnettere seguendo diverse strade.

In questo scenario, il tracciato fluviale, che costeggia il centro città condizionando le diret-trici d’espansione urbana, genera un waterfront punteggiato di elementi emergenti da riconnet-tere in una logica sistemica. Tali elementi sono costituiti da importanti interventi di rigenerazioneurbana che sono stati avviati per supportare il processo di pace mediante lo sviluppo di attivitàproduttive ed il recupero di aree dismesse in abbandono.

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Fig. 1 - Il fiume Lagan e lo skyline urbano, 2010.

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Inquadramento storico, urbanistico e marittimo

Belfast è la capitale, e lo è stata sin dalla sua creazione nel 1920, nonché la più grande cittàdell’Irlanda del Nord (per popolazione, funzioni e sistema economico); amministrativamente faparte del Regno Unito, con una specifica disciplina degli organi di governo8.

8 Le note vicende politiche dovute alle istanze indipendentiste irlandesi hanno generato una successione di mo-difiche del quadro normativo che disciplina il sistema di governo dell’isola che si articola in una sorta di governatorato“Regional government” plenipotenziario e relativamente autonomo con sede a Stormont a le amministrazioni cittadine.La necessità di gestire un drammatico conflitto ed un complesso processo di pace ha determinato una divisione dellecompetenze che non facilita un approccio sistemico alla pianificazione urbana.

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Fig. 2 - Belfast City Hall e St. George Market: vestigia del passato, 2010.

Fig. 3 - La documentazione iconografica della LinenLibrary, Belfast, 2010.

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La scelta insediativa è stata determinata, sin dalle origini, dalle peculiarità della rete idricadi questa propaggine a nord-est dell’antica regione dell’Ulster, Belfast si affaccia sulla foce delfiume Lagan e lungo il Belfast Lough. L’insediamento originario si sviluppò lungo il fiume Farset;in una prima invasione di Anglo-Normanni fu realizzato un castello di dimensioni non rilevanti nel1177. I tentativi della corona britannica di controllare la ribelle regione dell’Ulster portarono ad in-coraggiare l’immigrazione nell’area dalle isole britanniche e Re Giacomo I emanò la prima cartanel 1613 affidando alla famiglia feudale dei Chichesters il ruolo di sedare le ribellioni per oltre duesecoli (Royle, 2006). Anche se la città vanta origini antichissime, fu a partire dalla Plantation ofUlster da parte della Corona inglese durante il XVII secolo che la città cominciò a crescere assu-mendo dimensioni considerevoli, con l’arrivo dei coloni inglesi e scozzesi e l’espansione delle at-tività commerciali dovuta all’apertura delle colonie americane. In tal modo l’Ulster divenne la re-gione irlandese con il più significativo insediamento di religione Protestante, in profondo contra-

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Fig. 4 - Edifici dismessi e nuove aree produttive, 2010.

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sto con la popolazione autoctona prevalentemente rurale e cattolica. Nel 1801, con l’Act of Union,l’Irlanda fu incorporata nel Regno Unito e fu sciolto il parlamento irlandese: a questa epoca si puòfar risalire l’origine delle tensioni etno-religiose attuali.

Per quanto concerne il complesso scenario politico ed istituzionale, si registra una costantecrescita delle istanze nazionaliste che sfociarono nel secolo scorso nelle tensioni tra indipenden-tisti, i cui campioni erano l’Irish Republican Army (IRA), formata nel 1914, e formazioni paramilitariloialiste o unioniste quali la Ulster Volunteer Force (UVF), costituitasi nel 1912, a prevalenza prote-stante. Le ostilità si chiusero nel 1921, dando vita alla divisione dell’isola nella Repubblica indi-pendente d’Irlanda e nella regione Nordirlandese parte del Regno Unito, ma con un proprio par-lamento elettivo. Le tensioni rimasero sottotraccia (Graham and Nash, 2006) con sporadicheesplosioni; i cosiddetti “Troubles” si scatenarono alla fine degli anni sessanta, quando l’IRA intra-prese una campagna contro quella che era percepita come una occupazione britannica militare.La lotta senza quartiere tra le forze paramilitari loyaliste9 vicine all’esercito britannico e l’IRA, brac-cio armato delle forze indipendentiste, ha coinvolto l’intera popolazione mietendo anche vittimeestranee alla lotta armata ed ha condotto all’annullamento dei diritti civili mediante il varo dinorme straordinarie per lo stato d’emergenza. Il conflitto fu punteggiato da drammatiche esplo-sioni di violenza come il massacro di Londonderry nel 1972 (la Bloody Sunday) e quotidiane ten-sioni durante le quali persero la vita 3600 persone (oltre 1500 nella sola Belfast) e circa 40.000 fu-rono colpite. (Murray, 2006) La città fu divisa, si crearono delle “no-go zones” ed il centro città, rite-nuto il target ideale per gli attentati per il suo profilo economico, fu blindato con un “ring of steel”che si chiudeva virtualmente alle sei del pomeriggio. (Graham and Nash, 2006) Non è questa lasede per affrontare un tema estremamente complesso, con molteplici implicazioni culturali, so-ciali, politiche ed economiche e che è stato oggetto di studi approfonditi da diversi punti di vista,da diverse competenze disciplinari e da diverse espressioni artistiche. Si rinvia alla corposa lette-ratura che si può consultare presso la Linen Hall Library di Belfast, interamente dedicata alla rico-struzione storica dei tragici eventi irlandesi.

Un altro elemento fondamentale per comprendere lo scenario nordirlandese è l’evoluzionedelle attività produttive a partire dalla fortunata lavorazione del lino, introdotta dai rifugiati ugo-notti alla fine del diciassettesimo secolo, e la sua industrializzazione avviata all’inizio del diciotte-simo secolo, che produsse il boom economico e demografico. Lo sviluppo industriale proseguìdurante il diciannovesimo secolo, con una rapida espansione dovuta allo sviluppo delle attivitàproduttive – testimoniata dall’erezione di edifici civici quali la Grand Opera House (1895) e la CityHall (1906) – che darà alla città un aspetto essenzialmente riconducibile al modello delle città in-dustriali del diciannovesimo secolo. (Hart, 2006) Le fortune economiche della città cominciaronolentamente a declinare a partire dagli anni trenta, con brevi fasi di ripresa, con una brusca accele-razione a partire dagli anni sessanta, quando furono travolti i principali settori manifatturieri lo-cali, la produzione di lini e la cantieristica navale, e si inasprirono i conflitti civili. (Hanna, 1999) Laricaduta più evidente di questi fenomeni sono il tasso di disoccupazione a lungo termine e l’altaproporzione di famiglie dipendenti da sussidi pubblici, tra i più alti della Gran Bretagna. (Gaffikinand Morrissey, 1998) Un’altra anomalia del mondo del lavoro irlandese è rappresentata dalla altapercentuale di occupazione nel settore pubblico, potenziato durante i “Troubles” quale ammortiz-zatore sociale. La comunità cattolica ha sofferto pratiche discriminatorie nel mercato del lavoroche per decenni, soprattutto nel settore privato, ha privilegiato la popolazione protestante. Questisquilibri hanno contribuito ad alimentare le tensioni politiche su descritte.

Per quanto concerne il sistema marittimo, originariamente il fiume di riferimento dell’inse-diamento era il Farset, al cui estuario Belfast deve il nome in gaelico; nel corso degli sviluppi ur-banistici il Farset è stato interrato (ne resta traccia nella toponomastica con Bridge Street) e sosti-tuito quale via d’acqua dal fiume Lagan. (Royle, 2006) La posizione dell’insediamento – su di unafoce che è al contempo aperta e protetta – rappresenta una risorsa strategica e la sua stessa ra-gione d’esistere con lo status di città, concesso nel 1888 dalla Regina Vittoria sulla scorta dello svi-

9 Uno di tali gruppi paramilitari imperversava negli anni ’70 lungo la Shankill Road, conquistandosi l’appellativodi Shankill Butchers.

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luppo dell’industria cantieristica, delle lavorazioni di lino, corda e tabacco e della crescita dei traf-fici commerciali. (Hanna, 1999) Dal punto di vista logistico, l’insenatura del Belfast Lough rappre-sentava il luogo più naturale ove avviare la costruzione del porto che, in breve tempo, divenne unnodo fondamentale degli scambi tra l’Irlanda, l’Europa e le Americhe10. Al porto erano collegateanche le principali attività di trasformazione: Belfast è stata nel XIX secolo il principale centro diproduzione ed esportazione di lino nel mondo ed ha cominciato a connotarsi per lo sviluppo del-l’attività cantieristica navale.

Il porto si espanse attraverso il diciannovesimo secolo con l’introduzione di altre attivitàproduttive legate al mare ed alla navigazione (distillerie, corderie, produzione di velari), anche sel’industria chiave era rappresentata dalla cantieristica navale. Tali attività richiesero nella prima

10 Nel porto di Belfast transitavano i prodotti più disparati: alimentari (carne, burro, vino e cereali) ma anche ve-stiario, pellami, tabacco e carta. Il legname ed il carbone erano prevalentemente importati.

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Fig. 5 - Il fiume e lo skyline urbano, 2010.

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metà dell’Ottocento interventi di drenaggio ed espansione del porto, con la realizzazione delDonegall Quay sul fiume; sulla riva opposta si scorgono ancora i carri-ponte degli antichi cantieriche furono realizzati nell’area, tra i quali spiccava la compagnia Harland & Wolff, che fu fondata nel1861 e a partire dal 1914 rappresentò la più grande fonte d’occupazione della città con oltre14.000 dipendenti. Si pensi che agli inizi del 900 questo cantiere navale, che tra gli altri ha varatoil celeberrimo RMS Titanic ed il suo più fortunato gemello, era il più grande d’Europa ed uno deipiù grandi al mondo.

La crisi delle città industriali europee del dopoguerra colpì particolarmente Belfast perchési calava in una realtà di conflitti religiosi che si inasprirono a causa del disagio sociale, rendendol’economia nordirlandese incapace di competere con la vivacità economica della vicina Dublino.

I bui decenni nei quali la città era “pietrificata” dalla paura e dal dolore, coincidenti anchecon il picco della dismissione industriale e della crisi economica, hanno lasciato tracce rilevanti nelsistema sociale, nell’organizzazione economica, nel tessuto urbano e nelle dinamiche demografi-che. La popolazione di Belfast ha registrato una graduale ma persistente contrazione a favore dipiccole aree urbane litoranee a nord quali Carrickfergus e Lisburn; da un picco di 400.000 abitanticensito antecedentemente la prima guerra mondiale si giunge nel 2008 ad una popolazione di268.323 abitanti11 che rappresenta circa il 15% della popolazione totale nordirlandese, mentre l’a-rea metropolitana di Belfast12 ha una popolazione di 650.958 unità. (NISRA)13 Un importante indi-catore a supporto delle prospettive di sviluppo è la giovane età della popolazione: oltre il 60%

11 Una fase di intenso declino, con perdite della popolazione ad un ritmo del 12%, ha caratterizzato il periodo deiTroubles, mentre più recentemente si registra una stabilizzazione collegabile al processo di pace. http://www.belfast-city.gov.uk/factsandfigures/demographics.asp (31/1/2011).

12 Area metropolitana di Belfast (BMUA) http://www.nisra.gov.uk/archive/demography/publications/urban_ru-ral/ur_gaz.pdf (31/1/2011).

13 La densità della popolazione non è elevata ed è pari a 2,447 abitanti per chilometro quadrato ma si registrauna lieve tendenza alla crescita: 0.35% tra il 2006 ed il 2008. Northern Ireland Statistics and Research Agency NISRAhttp://www.nisra.gov.uk/demography/default.asp3.htm (21/1/2011).

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Fig. 6 - Aree d’intervento, 2010.

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della popolazione è in età lavorativa e quasi il 20% appartiene alle classi d’età più giovani (0-16anni). La presenza di gruppi etnici e religiosi non autoctoni è irrilevante numericamente; la popo-lazione si divide equamente tra comunità cattolica (47.2%) e protestante (48.6%) che convivonocon alterne vicende. (NISRA)

Questa connotazione religiosa ha avuto da sempre una implicazione politica e la coesi-stenza travagliata di questi due gruppi culturali ha condotto allo scatenarsi dei sudescritti conflittitra unionisti-lealisti filobritannici di religione protestante e nazionalisti-repubblicani prevalente-mente cattolici.

Dal punto di vista squisitamente urbanistico, si registra una forte tendenza alla suburbaniz-zazione, soprattutto da parte della middle-class protestante, incoraggiata dallo scenario di vio-lenze e degrado della città e dagli indirizzi della pianificazione d’area vasta, a partire dal RegionalPlan for Northern Ireland del 1964. Tale piano prevedeva lo sviluppo di poli residenziali intornoalle città esistenti, in particolare Ballymena, Antrim, Carrickfergus, Newtownards e Bangor. Neglianni sessanta si assiste, inoltre, alla realizzazione di nuove strade a scorrimento veloce che proiet-tano lo sviluppo urbano verso nord e avviano un processo spinto di decentralizzazione del com-mercio. (www.geographyinaction.co.uk) Questo fenomeno, unitamente alla scarsità dei trasportipubblici ed al retaggio della stagione della paura, è tra le principali cause del primato di Belfastquale area metropolitana più automobile-dipendente in UK e città media più automobile-dipen-dente nell’Europa occidentale (Smyth, 2006)14.

L’attività di pianificazione, timidamente ripresa durante gli anni di violenza, trova nuovoslancio con l’avvio del processo di pace alla fine degli anni novanta:– riqualificazione degli alloggi pubblici (Northern Ireland Housing Executive),– infrastrutturazione per mobilità, energia e telecomunicazioni,

14 La scarsa equità sociale di questo modello è avvalorata dal fatto che quasi la metà delle famiglie dellaworking-class dei quartieri della inner-city Belfast non possiede la propria auto.

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Fig. 7 - Esempi di interface areas, 2010.

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– rigenerazione del porto (Belfast Harbour Commissioners) e del Lagan riverside,– regenerazione del city centre.

La formula adottata per accelerare il processo di rigenerazione fisica e sociale della città erilanciarne il ruolo nel firmamento UK è stata la partnership pubblico-privato mediante UrbanDevelopment Corporations (UDC). Questa fase di rigenerazione è stata affidata ai programmi‘Making Belfast Work’ (1988) e Belfast Urban Area Plan (Department of the Environment, 1990).(OECD, 2000, p. 28). Quest’ultimo progetto è stato orientato ad avviare un processo di rafforza-mento del ruolo di Belfast nella regione, creare i presupporti per il miglioramento della qualitàdella vita urbana, innescare un processo di sviluppo locale.

I due principali progetti di rigenerazione, intrapresi quando ancora era in atto il conflittoarmato, sono il Laganside redevelopment e la rivitalizzazione del centro cittadino, entrambiorientati a favorire la realizzazione di “zone neutrali” che abbattessero le barriere tra comunità.

Descrizione del caso studio

La città di Belfast è stata oggetto, negli ultimi quindici anni, di numerosi e rilevanti progettidi rigenerazione e sviluppo orientati a creare una nuova immagine di pace e benessere che can-cellasse nell’immaginario collettivo la memoria dei tragici eventi del conflitto civile. Ma una trac-cia della violenza è rimasta nel clima teso che si respira nei quartieri politicamente connotati, nelladivisione tra le comunità e nei murales celebrativi delle parti avverse che, nonostante alcuni “re-stauri” mirati a mitigarne i contenuti di istigazione alla violenza, tracciano invisibili o visibili lineedi demarcazione. Queste divisioni permangono, nonostante l’impegno di attivisti ed istituzioniverso il processo di pace, configurando una autosegregazione di fatto. (Shirlow and Murtagh,

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Fig. 8 - Il centro città con l’area pedonale di VictoriaSquare e il Cathedral Quarter con la sede universitaria,2009 e 2010.

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2006) Ricerche recenti dimostrano che l’80% della popolazione ancora vive in strade e complessiresidenziali segregati e segreganti (Boal, 2006), divisi dalle cosiddette “peace lines” (Murtagh,2002) e nei quali si registrano elevati livelli di disagio socio-economico (NISRA)15. Le aree nellequali le due comunità condividono confini comuni vengono chiamate “interface areas” e ap-paiono frequentemente in stato d’abbandono e declino16.

Verso la fine del conflitto ed in modo più intenso a partire dal Good Friday Agreement(Accordo di Belfast) del 1998 che ha sancito la fine del conflitto armato, la città cerca di rinverdireantichi fasti con interventi urbanistici, di real estate e di terziarizzazione avanzata. Come si vedràin seguito, sono stati effettuati notevoli investimenti e sono stati realizzati significativi interventiquali il centro commerciale nel centro cittadino di Victoria Square, con la pedonalizzazione diparte dell’area, la riqualificazione del waterfront della Laganside Corporation con la WaterfrontHall, il complesso sportivo e per il tempo libero della Odyssey Arena, il recupero dell’area indu-striale dismessa dei Gasworks ed il complesso in corso di completamento del Titanic Quarter17. Lavivacità culturale si manifesta nella presenza di due prestigiose università: la più antica Queen’sUniversity nell’area sud della città e la più giovane ma molto produttiva University of Ulster che,oltre ad i Campus dislocati nel territorio, sta realizzando una sede prestigiosa nel CathedralQuarter a nord del city center.

15 “Land use planning has been an arduous task in Northern Ireland over the past decades. Not only has thelegitimacy of any state intervention been questioned by a large proportion of the Nationalist community, but the‘Troubles’ have created a society polarised along sectarian lines that has resulted in specific planning related issues ofsocial and economic deprivation, distorted land markets, blighted space and the duplication of many urban services”.(Boal, 1999)

16 Nel 2005 si sono censite 25 aree ascrivibili alla categoria delle interfaces. (Shirlow and Murtagh, 2006)17 Shaping our future. Regional Development Strategy (RDS) 2025, January 2011 http://www.drdni.gov.uk/draft_

equality_impact_assessment_jan_2011.pdf; www.drdni.gov.uk/shapingourfuture/.

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Fig. 9 - Laganside, 2010.

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Laganside

Su entrambe le rive del fiume Lagan, per una estensione di circa centoquaranta ettari18,nelle adiacenze della stazione cittadina e del vittoriano St George’s Market si stendeva un’area in-dustriale dismessa contaminata e circondata da quartieri degradati con alto tasso di disagio so-ciale (deprivation indexes, NINIS). Quest’area è stata scelta nel 1989 per una sorta di progetto pi-lota di riqualificazione con l’intento di dimostrare il “potential of the property market to recoverthe city from economic decline and political turmoil” (Sterrett et al, 2005, p. 380). Per perseguirequesto intento è stata creata – sul modello dichiarato dell’esperienza di rigenerazione dei water-front di Baltimora (USA) e dei Docks di Londra – una società mista pubblico-privata (UrbanDevelopment Corporation UDC) denominata The Laganside Corporation e finanziata principal-mente con fondi del governo britannico. Tra i soggetti pubblici coinvolti il Belfast City Council, ilNorthern Ireland Housing Executive (NIHE), l’autorità portuale (Belfast Harbour Commissioners) ei dipartimenti governativi competenti. Il progetto si è concluso, come da statuto, nel 2007 e sonostati avviati ulteriori segmenti di attività lungo il fiume per farne parte integrante della città, qualiLanyon Place, Donegall Quay, Clarendon Dock e l’Odissey complex.

Gasworks

L’approvvigionamento energetico della fiorente stagione industriale di Belfast è stato ga-rantito, a partire dal 1822 e per oltre 150 anni, dal Gasworks. La dismissione dell’area di dodici et-tari occupata da tale attività ha lasciato dei volumi di archeologia industriale di grande sugge-

18 Conclusa la mission iniziale, all’estensione originaria è stata estesa a 200 ettari per includere l’area dello storicoCathedral Quarter adiacente al centro città e a vocazione culturale (ospita una delle sedi della Ulster University e di nu-merose attività artistiche e culturali.

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Fig. 10 - Gasworks e Lagan Towpath, 2010.

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stione dai quali si è partiti per un progetto, per iniziativa del City Council, di riuso e rifunzionaliz-zazione orientati alla realizzazione di una sorta di incubatore industriale, con volumi per il ricet-tivo (Radisson Hotel) ed imprese avanzate. L’area include anche la sistemazione di spazi pubblici,con esposizione di opere d’arte, e l’accesso al percorso ciclo-pedonale lungo il fiume Lagan. L’areaè accessibile principalmente via gomma, anche se la distanza non particolarmente elevata dalcentro cittadino potrebbe far supporre una percorrenza a piedi che è disincentivata dalle barrierevirtuali rappresentate da una viabilità a scorrimento veloce.

Titanic Quarter

Il progetto, non ancora concluso, del Titanic Quarter rappresenta uno dei più ambiziosi pro-getti di rigenerazione urbana attualmente in corso in UK. Questo sito contaminato (brownfield) si

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Fig. 11 - Titanic Quarter area, 2009 e 2010.

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estende sulla superficie di settantacinque ettari che ospitava la Harland & Wolff shipyards, nellapenisola di Queen’s a nord-est del centro città e collegato da un ponte con il Donegall Quay. Lacompagnia che costruì il Titanic continua ad operare in una piccola area del sito originario dandoil nome a questo complesso quartiere in stato avanzato di realizzazione (www.titanicquarter.com). Il piano di sviluppo prevede un ampio raggio di funzioni: una mixitè di attività commerciali,istruzione e ricerca, residenze di diversa pezzatura e con target d’uso diversificati. (Bairner, 2007) Ilpiano economico prevede un cospicuo investimento per la realizzazione di 2.500 unità residen-ziali, oltre 50.000 metri quadri di aree produttive, 10.000 metri quadri di attrezzature per il tempolibero, due hotel e oltre 7.000 metri quadri di attrezzature commerciali e un edificio che ospiteràun college che, negli intenti, dovrebbe essere innovativo dal punto di vista energetico. L’area, diproprietà della Belfast Harbour Commission, è stata data in gestione a due compagnie miste pub-blico-privato create ad hoc e che gestiscono autonomamente il piano di riqualificazione dell’a-rea19. Tra gli intenti dichiarati anche quello di produrre un indiretto effetto positivo nei quartieriworking-class dell’area est che sono stati molto danneggiati dalla dismissione dei cantieri navali edell’indotto che essi producevano. Quest’ultimo aspetto sembra di difficile realizzazione, inquanto la tipologia delle attività previste e la dimensione elitaria dei servizi erogati difficilmenteavrà un riverbero ampio in tali aree.

Ciascuno dei progetti descritti rappresenta un importante tassello del processo di rivitaliz-zazione della città, che assume connotazioni particolarmente forti se si considera la peculiarità delcontesto di riferimento e la cornice di tensioni nella quale si opera. Nel volgere di poco più di undecennio, il centro città ha conseguito un risultato di “normalizzazione” impensabile negli anninovanta. Le vestigia di un florido passato industriale sono state riconvertite ad un futuro di ter-ziarizzazione avanzata e si è intrapreso un processo di “branding” più che di marketing territoriale,per creare una nuova immagine che cancelli le tracce di sangue.

Ciò non di meno, una lettura attenta dell’organizzazione urbana evidenzia una tendenza al-l’insularità degli interventi. Se si esclude il perimetro molto ridotto del city center – nel quale lapedonalizzazione e l’arredo urbano creano il tessuto connettivo per gli interventi di rivitalizza-zione – gli altri elementi emergenti realizzati o in itinere appaiono slegati tra di loro e non con-corrono a produrre l’auspicato “effetto città”. Tale obiettivo potrebbe essere raggiunto rafforzandoil ruolo di connessione tra quartieri politicamente connotati e aree neutrali per la cultura ed iltempo libero, svolto dal fiume nel suo tratto cittadino. Il costruendo Titanic quarter, l’antistantewaterfront ridisegnato dalla Laganside Corporation e l’area terziario-ricettiva del Gasworks sispecchiamo tutti nel fluire del fiume e sono collegati da percorsi ciclopedonali che potrebbero di-ventare il fulcro della vita cittadina. Il fiume, al completamento del processo in corso, potrebberappresentare l’elemento dinamico della coesione sociale estendendo sempre di più le aree “neu-trali” dell’incontro e della interazione tra i gruppi sociali divisi.

Per raggiungere tale obiettivo è, però, necessaria l’interazione tra istituzioni locali, centrali edevelopers, in una logica di rigenerazione e riconciliazione (Plöger, 2007), che consentirebbe aBelfast di emergere nello scenario di competitività europea e risultare vincente nella sfida localecon la vicina tigre celtica.

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19 Il bilancio dell’intervento appare, nonostante la criticità dello scenario socio-economico attuale, ampiamentein attivo come illustrato dall’CEO della Società Mike Smith in occasione del convegno Belfast@Venice tenutosi a Veneziail 29 ottobre 2010, nell’ambito della rassegna UrbanPromo.

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6.3 LORIENT: RICONVERSIONE DELLA BAIA E RIQUALIFICAZIONE DELLE PERIFERIE

AutoreEleonora Giovene di Girasole

Parole chiavewaterfront periferici - fronti deboli - waterfront sociali - identità urbana - cultura marittima

Focus del caso studio

Lorient si caratterizza come paradigmatica città di mare “storica” della Francia, sviluppatasilungo la linea di costa alla foce del fiume Scorff con l’Oceano, la cui tradizione risale a Luigi XIV ealla straordinaria rete di porti commerciali e militari che realizzò tra il 1660 e il 1715. La città, at-tualmente, in continuità con la sua storia, è al centro di un processo con cui vuole rinnovare la suaidentità e la sua cultura marina, potenziando le attività legate al rapporto con il mare. Questo hadeterminato la trasformazione sia del waterfront, tramite la realizzazione di luoghi dedicati allavela e alla nautica da diporto, sia delle aree periferiche subito prossime, ovvero non ci si è con-centrati solo sul waterfront ma si è guardato oltre, verso il “fronte debole”. L’occasione del ripri-stino di una forte relazione tra città e mare, con un recupero fisico e sociale delle aree marine, haofferto l’opportunità per un miglioramento della qualità della vita per i residenti e dell’offerta tu-ristica di tutta la città (Figura 1).

20 La presenza di monumenti megalitici dimostra un insediamento a Lorient già dal 3000 a.C., mentre i resti distrade romane, che collegavano Valvole a Quimper e Port Louis a Carhaix, l’occupazione gallo-romana.

21 Il nome della città deriva dalla prima nave costruita dalla Compagnia delle Indie Orientali la “Soleil d’Orient”,una nave di 1000 tonnellate, armata con 60 cannoni. La tradizione vuole che i costruttori della nave chiamassero il sito “leSoleil d’Orient” e “l’Orient” per metonimia.

22 La Compagnia fu fondata per competere con la Compagnia Inglese delle Indie Orientali e con la CompagniaOlandese delle Indie Orientali. Ideata da Jean-Baptiste Colbert, fu istituita da Re Luigi XIV con lo scopo di commerciarecon l’Emisfero Orientale. Essa derivò dalla fusione di tre precedenti compagnie, la Compagnia della Cina del 1660, la

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Fig. 1 - Vista dell’ex base sommergibili Keroman ed il nuovo porto. Fonte http://cap.caplorient.fr.

Inquadramento storico, urbanistico e marittimo

Lorient, situata nel dipartimento del Morbihan nel sud della Bretagna, si affaccia sulla rivanordoccidentale dell’estuario formato dalla confluenza del fiume Scorff nel Blavet. La sua storia20

è strettamente legata alla sua posizione strategica di fronte all’Oceano Atlantico e all’Isola deCroix, un ex porto di pesca del tonno. Lorient è la contrazione di Port de l’Orient21, nome con cui lacittà fu chiamata nel XVII sec., quando le navi della Compagnia Francese delle Indie Orientali22 at-

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traccavano nel porto. I commercianti della città instaurarono proficui scambi con l’India, realiz-zando i loro capannoni nella vicina Port-Louis che, nel 1628, grazie allo sviluppo dei traffici, furonospostati proprio a Lorient. Successivamente, con la presenza dei cantieri navali della CompagniaFrancese delle Indie Orientali, fondata nel 1664 e guidata dal Luigi XIV23, la città conobbe un pe-riodo di grande sviluppo. Agli inizi del 1700 il commercio marittimo risentì fortemente delleguerre della Lega di Augusta e quella di Successione Spagnola, tanto che la Compagnia delleIndie dichiarò il fallimento. Questo comportò per Lorient un periodo di stasi, fino al 1719, quandola Compagnia riprese, e in modo considerevole, gli scambi commerciali con l’Africa, le coloniedella Louisiana e dei Caraibi, Oceano Indiano e Mar della Cina24. Lorient tra il 1709 e il 1730, graziea ciò, vide la sua popolazione aumentare da 6.000 a 20.000 abitanti. La città, che inizialmente siera espansa in modo incontrollato lungo le due strade principali che portavano ai cantieri navali,si trasforma proprio a seguito della presenza della Compagnia. Infatti la crescita degli abitanticomportò un forte ampliamento della città, realizzato dall’architetto della Compagnia delle IndieJacques Gabriel.

Il nuovo fallimento della Compagnia delle Indie del 1769 non ferma il commercio conl’India mentre, nel 1770, Lorient viene trasformata in porto militare e arsenale reale, diventandouno dei quattro porti francesi in grado di costruire navi di linea25 capaci di affrontare la rottatransatlantica Lorient-New York. Contemporaneamente, aumentarono gli scambi commercialigrazie allo sviluppo degli armamenti privati nell’Oceano Indiano e alla Guerra d’IndipendenzaAmericana. Questo sviluppo delle relazioni economiche permise a Lorient di entrare in contattocon le città di oltreoceano, con le loro società e culture, traendone positive influenze e, nel con-tempo, arricchendosi di impulsi, che contribuirono al progresso della città e alla sua trasforma-zione fisica e sociale.

Nel XIX secolo, con l’avvento delle nuove tecnologie in campo navale, la Marina Franceseattua importanti investimenti nell’ingegneria navale grazie ai suoi cantieri avanzati: la prima navea vapore è del 1818, la fregata con elica del 1845, la corazzata del 1875. Gli investimenti non sonosolo nella costruzione delle navi, ma coinvolgono anche il porto commerciale, la modernizzazionedei territori circostanti (in cui si registra un incremento della popolazione), la realizzazione nel1862 della prima linea ferroviaria tra Savenay e Lorient e l’inaugurazione, nel 1865, della stazione.Inizia, inoltre, a svilupparsi la pesca con la scoperta della conservazione sott’olio. La città siespande a sud con la realizzazione di un nuovo bacino, l’installazione di un mercato del pesce, ela costruzione di nuovi quartieri con un impianto ortogonale, espandendosi oltre le mura.

Tra il 1880 e il 1930, Lorient è caratterizzata da profonde trasformazioni fisiche, politiche,economiche e sociali. Il porto diventa uno dei più importanti del paese, grazie anche alla presenzadell’industria metallurgica, all’energia idraulica delle dighe del Blavet, alla forte richiesta della lattada parte delle industrie conserviere di pesce, ed una mano d’opera rurale numerosa ed econo-mica. Vengono, conseguentemente, realizzate numerose infrastrutture, come l’ampliamento dellarete d’acqua potabile, i tram elettrici, la costruzione di nuove strade, scuole, ospedali.

Anche la pesca si sviluppa ulteriormente, e con lei le industrie di trasformazione e con-servazione.

Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale Lorient è all’avanguardia nella tecnologia navalecon un nuovo importante porto commerciale e di pesca, il Keroman, costruito tra il 1922 e il 1927.

Compagnia d’Oriente e la Compagnia del Madagascar (Compagnia Francese delle Indie Orientali). La prima sede fu Port-Louis, da cui partivano le navi la cui rotta prevedeva uno scalo sull’isola di Gorea, in Senegal, per poi circumnavigarel’Africa, attraversare l’Oceano Indiano, arrivare in Arabia per caricare il caffè e navigare di nuovo verso Pondichery inIndia, il principale scalo Francese della Compagnia. A Lorient, dal 1878, è stato realizzato un museo sulla Compagnia delleIndie (http://musee.lorient.fr).

23 Sotto Luigi XIV la Francia si dotò di una straordinaria rete di porti commerciali e militari e furono fondate,oltre Lorient, anche Brest, Rochefort e Séte (Konvitz, 1978).

24 Il principale commercio è quello degli schiavi scambiati con zucchero e materie prime, che fece di Lorient ilfulcro del commercio marittimo francese.

25 Per la storia cantieristica di Lorient, tra il 1666 e il 2009, e l’elenco di tutte le navi: http://cheronnet.yannick.perso.neuf.fr/pages/accueil.html.

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Nel 1941 Lorient fu scelta dall’ammiraglio tedesco Karl Doenitz per ospitare una delle cin-que grandi basi sommergibili, installate sulla costa atlantica francese, per ospitare gli U-Boot. Labase fu costruita sulla penisola Keroman, per difendere i sommergibili dai bombardamenti aereiinglesi, nei pressi del porto peschereccio di fronte alla cittadella di Port Louis. Sotto il fuoco degliaerei della Royal Air Force, 15.000 operai costruirono, tra il febbraio 1941 e gennaio 1943, tregrandi bunker in cemento, capaci di ospitare più di 25 sottomarini di imponenti dimensioni: 130m circa e 18,5 m di altezza per il Kéroman I e il Kéroman II, con il tetto di 3,5 m di spessore, e 170m di lunghezza e 122 m di larghezza per il Kéroman III, con spessore del tetto di 7,5 m. Lacostruzione del Keroman IV iniziò, invece nel 1944 a nord-est del Keroman I e II, ma è rimastoincompiuto in quanto le opere furono interrotte nell’aprile del 1944.

Proprio a causa della presenza della base, durante la Seconda Guerra Mondiale, la città fuquasi totalmente distrutta dai bombardamenti, in quanto obiettivo per l’ultima missione, la venti-cinquesima, della famosa “Fortezza volante” B-17 “Memphis Belle”, dell’USAAF.

Dal 1943 per la ricostruzione di Lorient con criteri moderni, coordinata dall’architettoGeorge Tourry, fu operata una suddivisione della città in aree funzionali (il porto, l’area industriale,amministrativa, per lo sport, ecc.). La progettazione fu affidata a più di cinquanta architetti; questoha permesso la realizzazione di una città con una architettura diversificata. La ricostruzione fu ac-compagnata da una forte crisi degli alloggi dovuta alla presenza, oltre che delle vittime dellaguerra ancora alloggiate in baracche, anche della migrazione rurale e della generale crescita dellapopolazione. Vittima della depressione economica negli anni ‘80, Lorient vede nel 1992 l’annunziodella chiusura della base dei sommergibili Keroman, non più adatta ad ospitare i sottomarini apropulsione nucleare. La chiusura definitiva si avrà nel 1997, con la decisione della riconversionedella base in continuità con la sua cultura marittima.

La città oggi, di circa 59.000 abitanti, ha una forte tradizione cantieristica, di porto militare,commerciale (1° in Bretagna), turistico e passeggeri, di pesca (2° in Francia) con il Port de Pêche alKeroman, che ha condizionato e caratterizzato sia il waterfront, sia lo sviluppo del suo territorio,con una forte rilevanza socio-economica.

Il porto commerciale di Lorient presenta due siti: Kergroise (petrolio, prodotti alimentari peranimali, cargo, crociere) e Rouh (sabbia e ghiaia). Oltre ad essere il primo porto commerciale dellaBretagna (13° in Francia), è il primo porto bretone per i prodotti alimentari sfusi (44% del traffico)e petroliferi (51% del traffico). Ha rapporti permanenti con molto paesi, tra cui: Regno Unito,Norvegia, Marocco, Belgio, Islanda, Pakistan, Spagna, Stati Baltici, India, Germania, Russia,Thailandia, Svezia, Turchia, Brasile, Finlandia, Egitto, Argentina (http://www.lorient.port.fr)26. Il turi-smo svolge un ruolo importante nella economia della città, non solo dal punto di vista crocieri-stico, ma anche per lo sviluppo di porti turistici nella baia

La città è suddivisa in tre cantoni Lorient Centre, Nord e Sud, per una superficie di 17,5 kmq.La moderna Lorient è caratterizzata dal centro della città che risulta separato dal mare da un’am-pia porzione di territorio più propriamente portuale/cantieristica, con la presenza anche dellaantica base sommergibili Keroman. A cavallo di queste due aree, dietro il waterfront e, contempo-raneamente ai margini della città, sono presenti anche interventi di edilizia residenziale pubblica;si tratta di aree meno attraenti, una sorta di “fronte debole”, che non avevano un rapporto privile-giato né con il mare né con il centro della città (Figura 2).

Il progetto di sviluppo di Lorient, dagli anni Settanta, si è basato proprio sul suo passatoche è diventato motore del processo di riqualificazione economica, architettonica e sociale,aprendo la città al mare, valorizzando l’identità della città e la sua tradizione marittima, compresala storia delle persone e dei luoghi, permettendo a coloro che attualmente vivono Lorient, i suoiporti e i suoi fiumi, per lavoro o per piacere, di riconoscerne il valore e il suo patrimonio. Si pos-sono definire tre ambiti di intervento: lo sviluppo delle strutture legate alla sua tradizione marit-tima (realizzazione dei nuovi porti turistici, il nuovo terminal traghetti, la Cité de la Voile, la ricon-versione dell’ex base sommergibili Keroman, ecc.), la riqualificazione del centro città (con gli in-

26 Lorient, in continuità con la sua tradizione di città di mare, è gemellata con altre città portuali come Galway(Irlanda), Vigo (Spagna), Wirral (Regno Unito), Ludwigshafen (Germania), Ventspils (Lettonia).

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terventi di Roland Castro sull’edilizia residenziale pubblica) e lo sviluppo degli spazi pubblici,realizzando interventi capaci di ricreare un legame con il mare e la tradizione marittima della città(la messa a dimora di alberi esotici come ricordo dalla Compagnia delle Indie, la realizzazione dibanchine pedonali come passeggiate lungo le quali si possono trovare bar, ristoranti, ecc.)

Descrizione del caso studio

Lorient, città dell’Oceano, città commerciale e base della Compagnia delle Indie, punto dipartenza per le rotte transatlantiche, tradizione cantieristica, porto militare e di pesca, porto turi-stico. Dalla cultura marina sono arrivati i benefici e gli stimoli che hanno permesso alla società dievolversi economicamente e tecnologicamente, ma contemporaneamente anche i motivi dellasua distruzione (in quanto porto militare). Tutto questo ha influenzato il suo sviluppo urbanisticoe architettonico, portando alla attuale conformazione del waterfront e della città. La città con-temporanea, in continuità con la sua tradizione marittima, oggi si reinventa e si trasforma tramitenuove funzioni, legate allo sport e al tempo libero, con cui si ridisegna il waterfront e si realizza unnuovo rapporto tra il mare e il resto della città, anche tramite un processo di riqualificazione del“fronte debole”, ovvero delle aree periferiche subito prossime.

È questo il processo di trasformazione intrapreso da Lorient, del suo waterfront, con ladismissione e riconversione dell’ex base sommergibili Keroman, dello sviluppo della portualitàturistica e della gestione del rapporto, a volte conflittuale, con il territorio retrostante. Infatti,proprio a ridosso dei fronti a mare, sono presenti importanti episodi di edilizia residenzialepubblica, i complessi HLM “Quai de Rohan” e “République”, che, inizialmente non considerati nelprocesso di sviluppo economico e turistico, hanno rischiato di inficiarlo. Queste aree, invece,hanno reclamato sia un nuovo ruolo nel tessuto urbano, sia la salvaguardia dell’identità e dellamixité sociale e culturale.

A Lorient, nel corso degli ultimi anni, è iniziato un importante processo di trasformazione dialcune ampie aree di costa, dove le attività legate alla nautica da diporto e alla vela si sono svi-luppate con la realizzazione di spazi e strutture a loro dedicate, con centri nautici e porti turistici.La città, come in passato, mantiene il profondo legame con l’Oceano, continuando quel processodi trasformazione, espressione dei valori e delle esigenze della cultura marina che ne modella il

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Fig. 2 - Vista satellitare di Lorient. Fonte Google Maps.

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suolo e il waterfront, tra recupero della memoria (il recupero della base sommergibili) e nuove co-struzioni (la città della vela).

La base sottomarina Keroman è al centro di un processo di conversione27 (per cui è statobandito un concorso internazionale di architettura), che prevede la realizzazione di un parco tec-nologico dedicato alla nautica. Il fine è di realizzare un vero centro di riferimento a livello europeo,che riunisce in un ambiente privilegiato attività innovative connesse con il mare e la nautica, im-prese di costruzione navale, artigianato e servizi nautici, negozi, ristoranti. La riconversione dellabase (Figure 3-4), con la significativa presenza dei bunker, vuole realizzare un luogo interamentededicato allo sviluppo economico e turistico della città, con il Pole Course au Large, che, riunisce ipiù grandi nomi dello sport della vela, e la Cité de la Voile Eric Tabarly (Figura 5), inaugurata nel2008, che con la sua architettura vuole ricordare proprio il profondo legame della città con ilmare. Progettato da Jacques Ferrier28, l’edificio, caratterizzato dalla elevata qualità ed ecologiadella sua architettura29, è un centro polifunzionale avveniristico dedicato alla nautica e all’avven-tura del mare, destinato ad ospitare un sito espositivo permanente, un centro risorse, luoghi di in-trattenimento e iniziazione alla vela. All’interno è presente una mostra permanente in cui ven-gono approfonditi alcuni grandi temi come l’uomo e l’Oceano (dall’immaginario alle conoscenzescientifiche ed ambientali), le barche a vela (in particolare le “Pen Duick”30) e la navigazione a vela(con i principi fondamentali, le regate d’altura e le imprese degli skipper leggendari). Nodo cen-trale è la figura di Eric Tabarly31, la sua esperienza e le sue Pen Duick, che ogni anno vengono ospi-tate nei pontili della Citè insieme ad altre importanti imbarcazioni.

La costruzione, realizzata a ridosso di uno dei bunker e prospiciente lo specchio d’acquadel Ter, si presenta con un corpo lucente ondulato in alluminio e vetro che si leva su di un basa-mento in vetro, a cui si affianca, collegata da una passerella, la “torre dei venti”. Questa, collocatanell’acqua con la sua struttura metallica a rete, diventa una sorta di faro, un collegamento tra terrae mare. Nella facciata sud-ovest sono integrati dei pannelli fotovoltaici che a loro volta defini-scono lo spazio di un loggiato, caratterizzandone la massa complessiva. All’interno dell’edificio ècollocato un modello di “Pen Duick”, in una sala a doppia altezza. La rimessa delle barche, tramiteun parete di calcestruzzo forata, è visibile dall’interno del museo diventandone, in un richiamocontinuo, parte integrante.

A ridosso della Cité de la Voile, affacciata sulla baia di Lorient, è stata realizzata una piazza di20.000 mq, destinata ad ospitare grandi eventi.

L’area è fortemente caratterizzata dalla presenza dei bunker. Oggi si può effettuare la visitaguidata del Kéroman III e, all’esterno, quella del sottomarino “Flore”, in servizio dal 1964 fino al suodisarmo nel 1989. Il Musée Sous-marin, dedicato al patrimonio culturale subacqueo di Lorient, è unluogo in cui si vogliono promuovere i relitti contemporanei sommersi (dal XIX sec.), oggi non op-

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27 Gli investimenti tra il 2001 e il 2007 sono stati di 37.000.000 € (http://www.caplorient.com/ La-reconversion-de-la.7185.0.html).

28 La filosofia alla base del’opera di Jacques Ferrier (Ferrier, 2004) è quella della realizzazione di un’architetturaper una società sostenibile caratterizzata, quindi, da una forte componente ecologica. Tra le sue realizzazioni il Centro diRicerca sui materiali dell’École des mines a Parigi, il progetto per il grattacielo Hypergreen a Lafarge, ed il recente padi-glione Francese per l’Expo di Shanghai 2010.

29 L’edificio, conforme allo standard HQE (Haute Qualité Environnemental), presenta un “sistema di regolazionetermica molto sofisticato (circolazione calibrata dell’aria e raffrescamento grazie ad un sistema di circolazione a terradell’acqua marina convogliata dalla torre dei venti, grazie ad una pompa di calore sommersa)”. I 150 mq di pannellifotovoltaici permettono di recuperare fino al 20% dell’energia necessaria, mentre le due pale eoliche poste nella torredei venti, permettono di produrre l’energia necessaria per la proiezione notturna di un fascio di raggi luminosi cheilluminano la rada e quella dei teloni posti sulla torre stessa (Ardenne, 2008, p. 47).

30 La Pen Duick, costruita alla fine dell’800 dall’architetto scozzese William Fife III, con il nome di Yum, è la primagrande imbarcazione a vela francese per la regata d’altura. Il Pen Duick VI (ultima in ordine di tempo), fu progettata nel1973 da André Mauric, secondo le indicazioni di Eric Tabarly, questa barca, innovativa e rivoluzionaria si impone in brevetempo come una delle migliori barche ed è, tutt’oggi, utilizzata sia per le regate che per la scuola velica (Tabarly, 1998).

31 Nato il 1931 a Nantes è il primo velista oceanico professionista. Leggenda della vela mondiale e vincitore delPremio “Una vita per la vela” nel 1990. La sua storia si identifica con quella delle sue famosissime e veloci barche, le PenDuick, a bordo di una delle quali morì in mare nel 1998.

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portunamente considerati come oggetto di studi archeologici e abbandonati nei fondali, anche ascapito dell’interesse storico che spesso hanno. Nel Museo è possibile sperimentare uno dei piùantichi simulatori, il “Tauchtopf”, progettato per la preparazione dei sommergibilisti alle proceduredi evacuazione.

Nell’area della base si sono installate una ventina di aziende, che hanno permesso la realiz-zazione di circa 250 posti di lavoro e contribuito allo sviluppo delle attività legate alla nautica. NelKéroman I è ospitato Plastimo, leader europeo nel settore hardware, mentre il Kéroman II accoglieCatlantech (catamarani), Lorimer (alberi in carbonio) e Marsaudon (fabbricazione di stampi). Alcentro della proposta di conversione della base sottomarina, la realizzazione di uno spazio, leNautique de Keroman, dedicato agli imprenditori della nautica (imprese di costruzione navale, ar-tigianato e servizi nautici, negozi, ristoranti) di 72.000 mq, di cui 43.000 mq edificabili, con cui sivuole consentire alle aziende innovative di trasferirsi nel sito.

Nell’area della base è, inoltre, stato realizzato un nuovo porto, il Pole Course au Large con880 metri di banchine, per barche di grandi dimensioni, da regata, ecc., con 6.000 metri quadratidi edifici, capannoni, uffici, ecc. Il sito ha nel suo interno tutte le competenze per permettere allesquadre che partecipano alle regate la preparazione delle loro barche; di fatto oggi si registracome nel raggio di 50 km si ritrovino circa il 70% delle imprese che operano nel settore della velain Bretagna.

Con queste implementazioni la città di Lorient ha, quindi, voluto rafforzarsi come polo diriferimento per le regate. In particolare, oltre alla realizzazione del nuovo Pole Course au Large,è prevista la realizzazione, entro il 2011, di 2.500 posti barca in porti turistici a Larmor-Plage,Port Louis, Gâvres Guidel, che andranno ad ampliare ulteriormente l’offerta della città, ridi-segnando la costa.

Una trasformazione del waterfront che diventa, quindi, racconto del luogo e del suo geniusloci, agendo su un paesaggio ormai trasformato, ma storicamente e ambientalmente con unaforte identità e cultura marittima, accostandovi nuovi significati e nuove funzioni, in una ritrovatasintesi tra natura, storia, cultura e architettura.

Fig. 3 - Gli interventi previsti per la riconversione dell’ex base sommergibili Keroman. Fonte http://cap.caplorient.fr.

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Fig. 4 - Gli interventi previsti per la riconversione dell’ex base sommergibili Keroman. Fonte http://cap.caplorient.fr.

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La complessità del tema del rapporto delle città con l’acqua, e, quindi, di ridefinizione delwaterfront, ha offerto a Lorient anche l’occasione per numerosi dibattiti sulla promozione di in-terventi in alcuni contesti particolarmente sensibili non solo dal punto di vista paesaggistico, maanche sociale ed economico.

Il Port de Plaisance di Lorient (Figura 6), uno dei primi interventi di sviluppo delle attività di-portistiche, è un porto canale, che conta 345 posti barca, collocato in un’area votata all’ormeggiodi yacht e alla partenza delle regate, al margine del centro, caratterizzato da negozi e ristoranti.Sull’area si affacciavano incombendo i complessi residenziali HLM Quai de Rohan e République,realizzati con la tecnologia della prefabbricazione pesante, che con la loro presenza degradata edegradante, avevano inizialmente compromesso il progetto di ampliamento del porto (Figura 7).

Fig. 6 - Port de Plaisance di Lorient. Fonte Google Maps.

Fig. 7 - Il complesso residenziale Quai de Rohan prospicienti il Port de Plaisance di Lorient, prima degli interventi di ri-qualificazione. Fonte Atelier Castro-Denisoff.

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Questo contrasto è diventato l’occasione per iniziare una riflessione sulla riqualificazione diquesto “fronte debole”, a cavallo con il resto della città, e del suo necessario coinvolgimento peruna concreta realizzazione del processo di sviluppo economico e turistico, costruendogli unnuovo ruolo nel tessuto urbano e salvaguardando l’identità e la mixité sociale e culturale.

Gli interventi attuati hanno rimodellato la maglia urbana e gli edifici, costruendo da un latouna nuova connessione tra il centro di Lorient e l’Oceano, e un nuovo rapporto tra questo e ilquartiere, dall’altro, la riqualificazione dei quartieri di edilizia residenziale, ha permesso di com-pletare il ridisegno del waterfront, iniziato con la realizzazione del nuovo porto, migliorando alcontempo le condizioni di vita degli abitanti del quartiere.

Il quartiere a Quai de Rohan, realizzato nei primi anni Sessanta, comprendeva 500 alloggidistribuiti in tre stecche di 11 piani, lunghe dagli 80 ai 160 metri. Al disagio economico e sociale siè aggiunto, con il passare degli anni, il disagio causato dalle pessime condizioni del complesso ar-chitettonico. Nel 1987, con l’inaugurazione nel porto della Maison de la Mer, vengono proposti dif-ferenti scenari di intervento per la riqualificazione dell’area e del waterfront, basati principal-mente sugli interessi dell’economia turistica, tra cui la possibile demolizione degli edifici, opzioneche viene fortemente contestata dagli abitanti. In realtà l’amministrazione, non sa né come poterriabilitare il complesso, né come gestire il trauma di una possibile demolizione. Per questo motivoviene bandito un concorso, vinto dall’Atelier Castro e Denissof, che propone l’ipotesi della “riqua-lificazione pesante” al posto dell’abbattimento.

Per il quartiere viene proposto, quindi, un DSQ (Développement Social des Quartiers), ovveroun programma di tipo complesso teso a stimolare la cooperazione tra enti pubblici locali, orga-nizzazioni della società civile e singoli cittadini, con l’obiettivo di agire non solo sulle condizionifisiche degli edifici, ma anche sulle cause del degrado sociale associando, agli interventi sugliedifici, politiche di sviluppo economico e sociale per gli abitanti32.

La riqualificazione, proposta nel 1989, dall’Atelier Castro e Denissof, è stata concepita comeun compromesso tra la valorizzazione turistica del luogo e la salvaguardia della sua vocazionesociale. Gli interventi di radicale rimodellazione degli edifici, che hanno ridisegnato il waterfrontridando nuova identità e qualità all’ambiente circostante, rappresentano una alternativa allademolizione integrale e ai classici interventi di riqualificazione, permettendo di conservare, altempo stesso, la realtà sociale del luogo (Castro e Denisoff, 2001).

L’intervento (Figura 8) è stato effettuato tramite la rimodellazione, per aggiunta e sottra-zione di volumi, degli enormi parallelepipedi originari, eliminando circa 100 appartamenti, e rico-struendoli in tre nuovi corpi posti trasversalmente ai volumi esistenti, formando una serie di corti,con l’intento di dare nuova identità agli spazi esterni prima indifferenziati e monotoni. L’aggiuntadei nuovi edifici alti tre piani, trasversali alle stecche, crea una continuità urbana lungo la RuePerrault fino al bacino verso il mare, mentre la Maison de la Mer si interpone come filtro tra i treedifici e il porto (Figura 9). L’altezza degli edifici è stata ridotta, realizzando un profilo scalettato.L’edificio lungo 160 m è stato diviso in due corpi, eliminando interamente la porzione centrale;grazie a questa “rottura” viene prolungata la strada esistente e si realizza un’apertura diretta sullarada di Lorient, recuperando la vista e il rapporto con il mare.

Con questo tipo di processo di rimodellazione si sono ottenuti due risultati: da un lato, sisono realizzati alloggi con tagli dimensionali diversificati e si sono ampliati gli alloggi con super-ficie minima, rispondendo, così, alle attuali esigenze degli utenti, dall’altro si è introdotto unnuovo ritmo compositivo, con «pieghe, drappeggi e modulazioni (estensione in bow-windows ebalconi, addizione di nuovi elementi per ampliare gli appartamenti e rimodellazione degli angolidegli edifici)» (Castro e Denisoff, 2001, p. 57), che ispessiscono la facciata, valorizzando l’effetto ur-bano e di ridefinizione del waterfront dell’intervento.

L’azione coraggiosa di “rottura” della stecca principale ha permesso di rompere l’isola-mento del quartiere, aprire nuove visuali verso l’Oceano, ridare umanità al luogo, non facendogli

32 Il programma prevede un insieme di opere volte a trasformare luoghi desolati in spazi a carattere urbano,sistemando le parti condominiali, realizzando parcheggi e ai piani terra degli immobili attività commerciali, centri socialie servizi, creando in questo modo occasione sia di rivitalizzazione che di inserimento professionale.

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perdere, però, la sua storia di alloggio sociale, ma, anzi, sublimandola con una azione di riproget-tazione. Questo approccio alla riqualificazione ha permesso agli abitanti, oggi, di essere orgogliosidei propri alloggi e del luogo dove abitano; contemporaneamente il porto stesso ha avuto bene-fici dalla trasformazione (se prima nelle immagini pubblicitarie si nascondeva il quartiere, adessoquesto ne è parte integrante).

Nelle immediate vicinanze, con lo stesso approccio e nell’ambito del perimetro del DSQ,è stato rimodellato, sempre dall’Atelier Castro e Denissof, il complesso “République” (Figura 10),

Fig. 8 - Il complesso residenziale Quai de Rohan a Lorient dopo gli interventi di riqualificazione. Fonte Atelier Castro-Denisoff.

Fig. 9 - Vista degli edifici dalla rada di Lorient dopo gli interventi di rimodellazione. Fonte Atelier Castro-Denisoff.

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che anche se non immediatamente prospiciente il porto, con la sua mole era ben visibileda questo.

L’edificio, una stecca prefabbricata di 11 piani, è stato rimodellato ancora tramite un dira-damento verticale e la realizzazione di una “prua” che si estende verso il mare come un faro, rea-

Fig. 10 - Il complesso residenziale République a Lorient prima degli interventi di riqualificazione. Fonte Atelier Castro-Denisoff.

Fig. 11 - Vista del complesso residenziale République dalla rada di Lorient dopo gli interventi di riqualificazione. FonteAtelier Castro-Denisoff.

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lizzando una nuova prospettiva urbana e ricordando l’identità marittima della città. Lo spessoredato alle facciate ha permesso un ampliamento degli appartamenti e la realizzazione di ampie fi-nestre, logge e bowindows. Il progetto ha previsto la ridefinizione anche delle aree intorno all’edi-ficio, originariamente inutilizzate, con la realizzazione di nuovi edifici, una piscina, una ampia areapedonale, e di una nuova strada che attraversa il complesso legandola alla città (Figura 11) (Castroe Denisoff, 2001).

L’intervento sul waterfront è diventato, quindi, l’occasione per ricadute più ampie anchesugli svantaggiati territori circostanti, ridando loro struttura e funzionalità, mettendoli “a sistema”con il nuovo processo/progetto di riqualificazione. I quartieri degradati partecipano sia allo svi-luppo turistico della città, sia si inseriscono pienamente nella politica di recupero dell’edilizia pub-blica iniziata negli anni Novanta, integrandosi nei nuovi percorsi economici. Una trasformazionearchitettonico-urbanistica di ri-configurazione della trama spaziale che, nel disegnare nuovi as-setti e nuove forme fisiche degli spazi, tende ad imprimere un ordine culturale alle trasformazioni(Clementi, 2004), confrontandosi con la “memoria”, la specificità dei luoghi e la società, ricercandose stessa. Si può definire questa, una riabilitazione non solo fisica ma identitaria, che tenta di re-stituire agli abitanti del quartiere la stima e la considerazione degli altri, acquisendo il diritto di ri-vendicare il proprio quartiere, accostando, in questo modo, il recupero sociale a quello turistico-economico-culturale.

RIFERIMENTI

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Capitolo 7

Città oltreoceano: New York, Québec, Montréal

Il terzo gruppo di casi studio è costituito da tre città dell’America Settentrionale caratterizzate da una lo-calizzazione geografica che le ha rese nodi strategici di collegamento tra l’oceano Atlantico e le acqueinterne. Nell’arco di tre secoli le flotte europee, lasciando le coste del vecchio continente, hanno coloniz-zato e conquistato nuove terre oltreoceano.Massimo Clemente e Gabriella Esposito De Vita affrontano il caso di New York City il cui waterfront, nell’am-bito di un processo di costante recupero del rapporto mare-terra, rappresenta il filo rosso in grado di con-nettere antico e nuovo e di legare tutti gli interventi, attuati o previsti. Consapevole della propria identitàdi città d’acqua, New York affida al waterfront l’ennesimo slancio rinnovatore, attraverso il recupero delleattività produttive dismesse del fronte portuale e la riconnessione delle diverse parti della città. SerenaViola approfondisce le eperienze condotte in due città canadesi, Québec City e Montréal. A Québec City ilrecupero della fascia urbana lungo il fiume San Lorenzo è stato incentrato sulla valorizzazione delle areedel primo approdo dei coloni francesi. Il progetto ha restituito identità all’interfaccia tra quartiere sto-rico e fiume ed attivato una serie di iniziative di riqualificazione nelle aree costiere in prossimità dellacittà. Infine, anche il progetto di riqualificazione del vecchio porto di Montréal ha posto particolare atten-zione ai siti della prima fondazione, puntando sulla valorizzazione di spazi e percorsi lungo il fiume comeluoghi di incontro e aggregazione. L’area portuale è stata trasformata in un laboratorio per la sperimen-tazione di una nuova concezione di fruizione collettiva.

7.1 NEW YORK CITY: DA TERMINAL TRANSOCEANICO A CITTÀ METROPOLITANA D’ACQUA

AutoriMassimo Clemente e Gabriella Esposito De Vita

Parole chiavebaia - città metropolitana - collegamenti marittimi - canali navigabili - oceano

Focus del caso studio

Le città d’acqua, pur nei diversi contesti geopolitici, si connotano fortemente per il propriowaterfront aperto o negato. L’esperienza newyorkese costituisce un’importante occasione di ri-flessione perché illumina alcuni dei punti chiave della rilettura del rapporto tra città e mare inun’ottica né trasportistica né estetizzante ma di carattere identitario.

New York City può essere vista come un’area metropolitana acquatica il cui baricentro èl’Upper Bay a Sud di Manhattan. La caratterizzazione di città d’acqua metropolitana nasce dalruolo storico del porto di New York come crocevia tra l’oceano e le vie d’acqua interne, si sviluppasulla linea di costa quale perimetro di una baia intensamente vissuta interconnessa dalle rotte, sirafforza nella recente riqualificazione delle aree portuali per una nuova qualità della vita urbana.

La baia, in particolare l’Upper New York Bay, che ha rivestito a lungo il ruolo di nodo discambio dei flussi tra l’oceano e le vie d’acqua interne, è il baricentro di un sistema insediativo dilivello metropolitano che si è sviluppato da Long Island al New Jersey avvalendosi dell’acquaquale fattore di coesione. A cavallo tra la storia ed il futuro si delineano i fattori del successo diquesto modello: una capillare struttura portuale storica proiettata nell’acqua con suggestivi piers– a testimonianza di un cosmopolitismo che “giunge dalle acque” – e la dialettica tra il verticali-smo architettonico di Manhattan e gli specchi d’acqua nei quali si riflette. A questa dimensionesimbolica corrisponde una lucida e continua azione di riqualificazione del waterfront e delle areeportuali storiche dismesse e di potenziamento del trasporto collettivo su acqua integrato dalle al-tre modalità di spostamento.

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Fig. 1 - La upper New York bay e l’Hudson da Manhattan.

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Inquadramento storico, urbanistico e marittimo

New York è la città simbolo della civiltà occidentale che dall’Europa si è diffusa via mare nelmondo. New York City fa parte dello Stato di New York – la cui la capitale è Albany – e si articolain cinque grandi aree (definite amministrativamente boroughs) collegate dall’acqua e centrate sudi essa: the Bronx, Brooklyn, Manhattan, Queens e Staten Island. Le statistiche ufficiali contano ol-tre 19 milioni di abitanti1 e, nella sola area urbana oltre 8 milioni di abitanti distribuiti su 790 kmq(U.S. Census Bureau, 2008) facendone la più popolosa area metropolitana degli USA.

Come sempre in questi casi l’eccezionalità di un territorio complesso è determinata da unaconcomitanza di fattori che si combinano diacronicamente e sincronicamente: le caratteristichedell’area, le vicende geo-politiche, l’intreccio della decisionalità pubblica e dell’iniziativa privata.

Le peculiari caratteristiche dell’area quali l’amenità dei luoghi, la difendibilità unita all’acces-sibilità che la posizione geografica consentiva e la capillarità delle via d’acqua marine e fluvialihanno condizionato originariamente le scelte localizzative dei nativi americani e, poi, dei francesidal 1514 (guidati da Giovanni da Verrazzano) e degli olandesi della Compagnia delle IndieOccidentali (Geoctoyeerde Westindische Compagnie)2 capitanati da Henry Hudson (giunti nel

1 Secondo le stime dell’U.S. Census Bureau, Population Division, relative alle aree metropolitane, l’area di NewYork-Northern New Jersey-Long Island, NY-NJ-PA conta al 1 luglio 2008 19.006.798 abitanti; dati 2008 consultati nell’ot-tobre 2009 su http://www.census.gov/popest/metro/tables/2008/CBSA-EST2008-01.xls.

2 Smith E. (2011),“The Impact of Mercantile Competition in Asia on Anglo-Dutch relations, 1600-1674”. Ex Historia,consultato su http://www. humanities.exeter.ac.uk.

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Fig. 2 - Upper New York Bay. FonteImage Science and Analysis Labo-ratory, NASA-Johnson Space Center.“The Gateway to Astronaut Pho-tography of Earth”.

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1609). (Smith, 2011) Non è casuale che New Amsterdam nasca quale cittadina portuale, estesaquanto l’attuale Financial District di Manhattan e perimetrata da Wall Street, collegata dall’acquaai territori coltivati del New Jersey e di Long Island. (Shorto, 2005) L’attività portuale predomineràcon la nascita dell’Unione, esaltando il ruolo di crocevia di flussi di merci e di persone, fino all’e-splosione demografica ottocentesca. New Amsterdam divenne la colonia inglese di New York in-torno al 1670 e, nel 1789, la nascita della nuova repubblica fu salutata da una New York che era giàun animatissimo porto con 33.000 abitanti, ma restava tuttavia meno importante di Philadelphia,capitale culturale del paese. (Panetta, 2009)

Le vicende geo-politiche porteranno la città statunitense a costituire il porto d’accesso e losnodo dell’immigrazione e degli scambi con l’Europa che ne determineranno l’attuale ruolo dimetropoli cosmopolita. (Burrows, Wallace, 2000) New York esplose a livello demografico nei primidecenni dell’Ottocento quando la sua popolazione giunse in pochi anni alle 250.000 unità (1820)ma è nella seconda metà dell’Ottocento che si avvierà una massiccia immigrazione, testimoniatadai siti di Castle Clinton ed Ellis Island (oggi museo), per decenni portali e filtro d’accesso al paese,e si verificheranno i primi conflitti e disordini tra le compagini di immigrati3.

La pressione demografica4 e lo sviluppo di una spregiudicata attività imprenditoriale e fi-nanziaria il cui potere decisionale si concentrò in poche strade a ridosso dell’insediamento ur-bano originario determineranno il verticalismo di Manhattan (a partire dai primi grattaceli) e lasaldatura con gli altri boroughs consentita dai collegamenti via acqua, prima ancora del diffon-dersi delle altre modalità. La gentrification ha assunto, qui, connotazioni peculiari: da un lato lapresenza multiculturale e multietnica spingeva verso i sobborghi residenziali monoclasse e mo-noetnici la popolazione WASP, dall’altro il valore fondiario nel cuore di Manhattan portava i menoabbienti verso altri quartieri ben collegati.

3 Emblematica è la storia dei “Five Points”, tra Broadway e la Bowery, dove il cosmopolitismo newyorkese assumela connotazione sanguinaria efficacemente raccontata da Martin Scorsese nel film “Gangs of New York”.

4 La seconda enorme ondata di immigrati europei che sbarcarono a Ellis Island nei primi del ’900 determinò unanuova esplosione demografica che portò la popolazione a 7 milioni di abitanti nel 1930.

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Fig. 3 - Vista dall’Empire State Building di Midtown Manhattan, East River e Queens.

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La portualità deve il suo sviluppo alla concomitanza di massicci investimenti privati e dilungimiranti strategie di alcuni amministratori, per esempio la realizzazione dei canali storici acompletamento dei collegamenti naturali, il sostegno alla competitività dei servizi portuali e ilsovvenzionamento dei collegamenti marittimi e la vivacità degli investimenti privati sia nella fasedi maggiore attività del porto sia, dopo la crisi degli anni ’60 e la dismissione di molte tradizionalifunzioni, nella fase di rifunzionalizzazione e sviluppo. Già all’epoca di Stuyvesant la Baia era uno

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ÉALFig. 4 - Acqua e ambiente edificato si integrano.

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specchio d’acqua estremamente trafficato da mezzi a lunga percorrenza, provenienti dall’Europa,da mezzi di trasporto per i residenti e da cargo dedicati ai collegamenti costieri. All’iniziodell’Ottocento, con il completamento del primo drydock americano sull’East River (1824) e con l’a-pertura del canale Erie (1825) ed il conseguente “matrimonio delle acque” interne ed esterne, vo-luto con lungimiranza dal senatore e governatore DeWitt Clinton5, New York divenne il più im-portante porto di transhipping nordamericano e, quindi, nodo d’interscambio per le merci trans-oceaniche. A fine Ottocento si sentì la necessità di disciplinare lo sviluppo del waterfront portualecon la formazione di un organo apposito: il Department of Docks (1870), mentre lo sviluppo deltrasporto ferroviario via mare con mezzi dedicati concorreva a battere la concorrenza degli altriporti della costa orientale.

Ciò ha contribuito a rendere il NY Harbour già nell’Ottocento un nodo complesso: portad’accesso dall’Europa, punto di partenza dei collegamenti con la East Coast e per il transhippinginterno e, oggi, waterfront riqualificato e rifunzionalizzato, meta di turisti e fattore qualificantedella vita urbana.

L’insieme di questi fattori ha determinato una particolare attenzione al waterfront nonquale confine tra due mondi ma quale affaccio sulla parte “fluida” della città, elemento di raccordotra le emergenze urbane, di socialità, di recupero della memoria storica e di cintura ecologica checonduce nel cuore dell’edificato il “respiro del mare”. Come si vedrà, gli interventi attuati o in iti-nere sono stati orientati alla valorizzazione dell’esistente integrati a nuove realizzazioni che, purtrasformando spazi e luoghi, non stravolgono le tradizioni. La “fluidità” sociale stigmatizzata daZigmut Bauman trove qui una accezione vitale che si fonde con il fluire delle acque e, pur nell’ir-ripetibilità delle condizioni e dei fenomeni, offre spunti di grande interesse in termini di approc-cio, di metodo e di processo.

Descrizione del caso studio

La città simbolo degli USA e sede del Quartier Generale delle Nazioni Unite presenta unaeccezionale combinazione di parametri che legano, dalle origini, lo sviluppo urbano allo sviluppodelle vie d’acqua ed è stata caratterizzata in epoca recente da un insieme di interventi di riquali-ficazione e valorizzazione che hanno ulteriormente esaltato il ruolo baricentrico dell’acqua, inci-dendo sulla qualità della vita urbana e sull’economia locale.

A seguito delle dismissioni degli anni Settanta è partita una azione di recupero e riqualifi-cazione del waterfront che, con lo sviluppo di collegamenti marittimi di differente natura e raggiod’azione, costituisce il perimetro di una baia baricentro e generatore di “effetto città”. Il borough diManhattan costituisce la principale emergenza di un sistema metropolitano che si alimenta attra-verso collegamenti via acqua.

La lungimiranza di decision makers e stakeholders ha condotto la città a superare crisi qualila Grande Depressione del ’29, la crisi delle attività portuali ed, in generale, economiche degli anniSettanta e, evento stressore senza eguali, l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 che haspazzato via migliaia di vite e parte del Financial District.

Saskia Sassen nel suo più noto lavoro (1991) definisce New York, con Londra e Tokio, una“Global city”. (Sassen, 1991) Questa espressione, ormai scientificamente consolidata, evoca con im-mediatezza la complessità delle relazioni funzionali, la interconnessione delle dinamiche econo-mico-finanziarie, la stratificazione fisica e percettiva di una multiculturalità coltivata dalle origini, ilruolo di catalizzatore di risorse umane e materiali, unito ad uno skyline globalmente riconosciutoche identifica la più popolosa metropoli statunitense.

The “Big Apple” condivide con Londra (e con Toronto) un’altra corona: quella di capitale delcosmopolitismo. (Binnie, Holloway, Millington, Young, 2006; pp. 2 e ss.) La combinazione di questedue definizioni ci conduce ad identificare una città la cui capacità di integrare o interconnettere

5 Clinton sarà, infatti, quale membro e animatore della Erie Canal Commission, l’artefice del successo del-l’intervento.

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ÉALFig. 5 e 6 - Antiche e nuove imbarcazioni ormeggiate davanti ai grattacieli di New York (Foto di Gaia Daldanise).

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le differenze, di contaminare antico e nuovo, di mutare radicalmente conservando una identitàforte e riconoscibile, ne determinano la sopravvivenza nei momenti difficili e il successo nei mo-menti espansivi6.

La durata nelle varie ondate, la varietà di nazionalità rappresentate (si parlano 170 lingue eil 36% della popolazione è nata altrove), l’alternanza tra conflitti, criminalità e movimenti culturalirendono il fenomeno dell’immigrazione una delle caratteristiche fondanti della metropoli nord-americana. La città che simbolicamente accoglie e, nel contempo, non dimentica e nel propriowaterfront annovera i luoghi per eccellenza della speranza e della sofferenza, del sogno e del tra-dimento: la Statua delle Libertà ed Ellis Island, trasformate insieme in un museo di livello federale,patrimonio culturale dell’intero paese. Ed è proprio dal waterfront che è partito l’ennesimoslancio rinnovatore della “città che non dorme mai”, mediante il recupero delle attività produttivedismesse del fronte del porto e la riconnessione delle diverse parti della città attraverso l’acqua edella linea di costa con l’interno.

In una città compatta e densa, la cui downtown si sviluppa in altezza (con oltre 50 gratta-cieli più alti di 200 metri è la seconda al mondo dopo Hong Kong) la mobilità è affidata in largaparte al trasporto collettivo, nelle diverse modalità. Acqua, ferro e gomma sono le parole chiave diuna interazione che consente la coesistenza senza congestione di spostamenti per turismo, lavoroed attività della vita quotidiana. Il verticalismo della Lower Manhattan, dovuto al valore dei suoli,si associa ad una generale densità degli altri quartieri cittadini, circondati dal limite naturale delleacque, mentre anche i sobborghi residenziali tipici della cultura urbana nordamericana assumono

6 Sulla stessa lunghezza d’onda, i tre indicatori chiave identificati da Richard Florida per determinare i fattori disuccesso delle città americane creative sono basati su innovazione (scientifico-tecnologica) e diversità (culturale e ses-suale): numero di brevetti pro-capite, numero di residenti non appartenenti alla categoria dei “White British”, i servizi ur-bani offerti alla comunità omosessuale residente.

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Fig. 7 - Lo skyline di Manhattan come appare arrivando dal mare.

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ÉALFig. 8 - La Statua della Libertà accoglieva gli emigranti che nel secolo scorso arrivavano a New York via mare.

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connotazioni peculiari dovute alla pratica dei fast commuters che sin dalle origini accelerano i col-legamenti dedicati via acqua. Il trasporto elitario o di massa su acqua, una eccezione nelle cittàstatunitensi, nasce e si sviluppa per incontrare una domanda generata dalle caratteristiche fisiche(arcipelago esteso), sociali (carico insediativo elevato e concentrazione delle attività produttive),economiche (costo dei suoli nell’area centrale e conseguente distribuzione residenziale).

Robert Moses, durante il suo lungo periodo da plenipotenziario delle strategie urbanistichenewyorkesi, (Burrows, Wallace, 2000) intervenne sul paesaggio urbano sviluppando opere quali ilTriborough Bridge, il Lincoln Center, autostrade, il quartier generale delle Nazioni Unite e impo-nenti quartieri residenziali, nonché realizzazioni per manifestazioni quali gli Expo Internazionalidel 1939 e 1964, ma distrusse l’assetto precedente di interi quartieri, cagionando gli strali di JaneJacobs. (Jacobs, 1961)

Diversa storia per gli spazi resisi disponibili a partire dagli anni Settanta che dipendonodalle caratteristiche di una città storicamente qualificatasi quale porto di smistamento tra le ac-que interne degli Stati Uniti e le rotte intercontinentali sull’Oceano Atlantico e che, contempora-neamente, viveva una fase di suburbanizzazione favorita dal degrado di alcuni quartieri multiet-nici e dalla facilità di spostamento garantita dalle vie d’acqua e dalle infrastrutture per la mobilità.

La crisi economico-finanziaria di quegli anni costituisce il punto di partenza per l’azione direcupero che vedrà i suoi frutti nei decenni successivi; sinergie pianificate e spontanee aggrega-zioni d’interessi condurranno ad una trasformazione significativa anche se fisicamente meno rile-vante di quanto accadde tra la Grande Depressione e la fine degli anni Sessanta. Si agisce, infatti,sul tessuto esistente, sulle aree dismesse e sugli spazi pubblici. Times Square, per esempio, vienetrasformata da quartiere del malaffare, quale era stato negli anni Sessanta e Settanta, in un’attra-zione turistica con cambi di destinazione d’uso e interventi non invasivi sull’arredo urbano, glispazi pubblici per il tempo libero e i percorsi ciclopedonali nell’area dei teatri.

Nella città contemporanea, le aree e le infrastrutture dismesse in ambiti di pregio quali illungofiume consentono interventi radicali ma che esaltano i caratteri della città esistente inter-connettendo preesistenze e proiettandole verso il mare. La riqualificazione del waterfront iniziatanegli anni Settanta si sta completando con la progressiva conquista della dimensione marittimada parte dei cittadini, dei visitatori e in generale di tutti i city users.

L’area di New York dispone di una linea di costa estremamente articolata e lunga: il water-front misura oltre 1000 km costituendo un sistema che si articola in oltre 11 porti: Manhattan,Brooklyn, Queens, the Bronx, Staten Island, Perth Amboy, Elizabeth, Bayonne, Newark, Jersey City,Hoboken, Weehawken, Edgewater. Il primo wharf sulla banchina di Manhattan risale al 1648 ed èopera di Stuyvesant nel lower east river (Schreyers Hook Dock).

A ciò si aggiunge che, confermando una gloriosa tradizione, sono a disposizione di tutti gliutenti della città mezzi di trasporto di diversa natura che solcano le acque; infatti, i primi vascelli(ferry) per il trasporto collettivo che solcarono le acque della baia di New York risalgono alSettecento. Su quella scia l’espansione urbana è stata favorita dalle diverse modalità (dalla piùelitaria e costosa ai mezzi di massa) che oggi trovano un nuovo impulso grazie agli interventi sulwaterfront: cruise lines, commuter ferries, tourists excursion boats, private ferry services e loStaten Island ferry.

Considerando che il paesaggio fluviale consente la percezione di skyline da differenti an-golazioni e le vie d’acqua offrono una accessibilità sempre più capillare e qualificata, il nodo stra-tegico per lo sviluppo della qualità urbana è proprio la valorizzazione della linea di costa qualeperimetro di una baia intensamente vissuta.

Il waterfront rappresenta il filo rosso che lega tutti gli interventi previsti o attuati; in modoesplicito o implicito si sta cercando una unitarietà d’intervento rappresentata da alcuni noditematici: il recupero del rapporto mare-terra, la valorizzazione delle aree portuali dismesse, unapproccio eco-compatibile e ampie quote di inclusionary housing.

Punto di partenza spazio-temporale di un itinerario attraverso la riqualificazione del water-front è sicuramente il South Street Seaport che, dopo essere stato un porto trafficato di velierinell’800, si è progressivamente degradato per essere restaurato e rivitalizzato nel 1983 con un

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Fig. 9 - Times Square e i percorsi ciclopedonalidella Midtown.

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museo nell’antico Fulton Fish Market, un mercato tradizionale, ristoranti, una passeggiata panora-mica ed un centro commerciale realizzato sul Pier 177. La scelta localizzativa del museo della na-vigazione ed il nome della strada principale dell’area (Fulton Street) assumono un valore simbo-lico se si ricorda che Robert Fulton è stato il progettista della prima nave a vapore e, nel 1814,

7 The South Street Seaport, http://www.southstreetseaport.com/.

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Fig. 10 - Hudson River da Battery Park e sullo sfondo Jersey City.

Fig. 11 - Il Financial District e il Brooklyn Bridge visti dalla Baia.

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inaugurò un servizio di traghetti da questo punto di Manhattan a Brooklyn (Dickinson, 1913;capp. 9 e 10)8.

L’importanza e la strategicità degli interventi sul waterfront sono evidenti per il riequilibrioambientale, per favorire la socialità in ambienti salubri e consentire una percorribilità ed una per-meabilità totale di una delle aree urbane più densamente popolate degli USA e che ospita quoti-dianamente presenze temporanee per lavoro e tempo libero. Un importante elemento di inter-connessione, per la messa a sistema di tutti gli interventi realizzati e previsti, è la ManhattanWaterfront Greenway (MWG)9 che rappresenta la filosofia che anima le trasformazioni urbane che,senza tralasciare la dimensione economica quale garanzia di fattibilità, hanno saputo preservarela dimensione ecologica dell’organizzazione degli spazi urbani, come già avvenne in occasionedella realizzazione del Central Park e dei playground realizzati nei diversi boroughs. La MWG è unpercorso di 32 miglia che circumnaviga l’isola di Manhattan la cui filosofia si integra con l’impe-gno di trasformare un waterfront da lungo ignorato e derelitto in una attrazione verde per uso ri-creativo e commuting. Dove possibile essa corre lungo lo shoreline consentendo il godimento ci-clopedonale e si apre in vari punti offrendo un accesso alternativo alle aree più congestionatedella città, includendo interventi sui tratti di strada esistenti attraverso la Battery, la riconversionedell’area industriale portuale del West Village e Chelsea nell’Hudson River Park e la trasformazionedell’inaccessibile Harlem River Speedway in una promenade. In tal modo si raccordano i nuovi

8 Fulton, americano di origine irlandese, visse ed operò a lungo in Inghilterra e Francia, progettando imbarca-zioni, strumenti al servizio delle navi e innovative modalità per la navigazione nei canali; fu protagonista nella naviga-zione a vapore. Nel 1803 vara sulla Senna una imbarcazione a vapore che subito affonda. Dopo numerosi tentativi l’11agosto 1807 lo steamboat Clermont effettua per la prima volta il viaggio da Hudson ad Albany.

9 Nel master plan si legge “Improving access to the waterfront and developing greenways is a cornerstone of theCity’s goal to improve the quality of life in New York City. In 2002 the City made a commitment to provide by 2003 a con-tinuous shared-use pedestrian and bicycle path around Manhattan to enhance recreational opportunities for all NewYorkers and provide a green attraction for those outside of the City”.

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Fig. 12 - Il Brooklyn Bridge che collega Manhattan al quartiere di Brooklyn (Foto di Gaia Daldanise).

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interventi nel Lower West Side – dal Meatpacking District, attraverso TriBeCa, Chinatown eGreenwich fino all’estremo del Battery City Park – con le azioni di recupero e ricostruzione dedi-cate all’area travolta dagli eventi del 2001 del Financial District.

La Chinatown newyorkese costituisce un neighborhood in espansione ed estremamenteanimato che ospita la più grande comunità cinese degli States e costituisce una attrazione turi-stica oltre che un luogo dedicato al tempo libero. Con la limitrofa TriBeCa (Triangle Below CanalStreet) deve il suo rilancio al Washington Market Urban Renewal Project degli anni Sessanta, checambiò la destinazione d’uso da industriale e commerciale in residenziale e terziaria. Oggi TriBeCavanta una vivace vita culturale, è sede dell’omonimo Film Festival e ospita gallerie d’arte e risto-ranti di grido e si integra con la valorizzazione del Meatpacking District, dove si distingue il notointervento della High Line da poco inaugurato, emblema di un approccio che coniuga il recuperodi infrastrutture dismesse con la dimensione ecologica e lo sviluppo di spazi per la socialità10. Lasopraelevata simbolo di un opulento passato industriale legato alla vitalità di un’area portuale de-dicata ai traffici transoceanici diventa oggi una promenade verde che costituisce un tassello im-portante della rivitalizzazione del quartiere ottocentesco strettamente legato allo sviluppo por-tuale. L’area portuale già inserita nel Commissioner’s Plan del 1811, con la realizzazione deiGansevoort Piers (1894-1902) e Chelsea Piers (1902-1910), si svilupperà sempre di più fino allacrisi degli anni ’60 dovuta alla containerizzazione ed alla sostituzione dei mezzi di trasporto.(Kellerman, 1989)

La sequenza degli interventi lungo l’Hudson River mette a sistema l’area e la apre verso ilmare così come, sull’altro fronte, accade per l’East River Waterfront, dove si confrontano progettisu entrambi i fronti d’acqua che coinvolgono i boroughs di Manhattan, Brooklyn e Queens. AManhattan, in particolare, si distingue il progetto del South Street Seaport che costituisce, nellaprospettiva nordamericana, l’incontro della storia con l’innovazione della contemporaneità. Laproposta di rivitalizzazione11 si sviluppa in continuità con gli interventi di recupero che hanno giàinteressato l’area museale del Seaport e del Pier 17, riconnetendoli fisicamente ed esteticamentealla Lower Manhattan. L’intero progetto che supera con una struttura ricettiva a ponte le barriereche separano l’area dal mare si connota per l’offerta di community spaces, di promenade lungofiume e di servizi per il commercio ed il tempo libero che possono ulteriormente sviluppare lafruibilità dell’area.

10 La High Line, della quale sono state inaugurate le prime due trance del “restauro”, ad opera dello studio DillerScofidio + Renfro, attraversa tre dei più dinamici neighborhoods di Manhattan: il Meatpacking District, West Chelsea,ed Hell’s Kitchen/Clinton.

11 Sviluppata dal General Growth Properties, Inc. (GGP), in partnership con the City of New York e dopo compa-gne d’ascolto con la popolazione residente nell’area. Il progetto promette “open sightlines of the harbor from Fulton andBeekman Streets; provide a new meeting space for live performances, lectures, and children’s programs; and offer venuesthat celebrate both the area’s rich history and its vibrant present”.

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Fig. 13 - Progetti per il Waterfront. Fonte http://www.nyc.gov/html/dcp/html/mwg/mwghome.shtm.

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Dall’altro lato del ponte di Brooklyn troviamo il rezoning plan per l’area Greenpoint-Williamsburg con la creazione di un parco di oltre 50 acri che si integra con quanto previsto dal-l’esistente Waterfront Access Plan. Il piano si configura quale un community asset che si sviluppain cooperazione con la comunità locale, gli investitori ed altri stakeholders. Esso si integra conl’East River Park e gli altri ambiti di recupero del lungofiume che lambiscono tutta la città pergiungere fino all’Erie Canal. Tale sistema integrato, in stato avanzato di realizzazione a cura delDepartment of City Planning, ha ottenuto nel 2009 il premio internazionale “Excellence on theWaterfront” da parte del “Waterfront Center”.

La “grande mela” appartiene alla memoria collettiva di tutti noi occidentali e ci restituisce lastoria marittima delle navi che partivano dai porti della vecchia Europa per alimentare il sognoamericano. Per questo, nonostante l’eccezionalità, New York City si propone come esempio di svi-luppo urbano e comunitario consapevole del rapporto con il mare e con l’acqua, offrendosi qualebest practices da seguire e replicare in diversi contesti.

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Fig. 14 - Gli interventi del Department of City Planning sul waterfront.Fonte http://www.nyc.gov/html/dcp/html/mwg/mwghome.shtml.

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7.2 QUÉBEC: VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO CULTURALE DEL FIUME SAN LORENZO

AutoreSerena Viola

Parole chiaveriqualificazione - pedonalizzazione - fruizione - riequilibrio - ecosistema

Focus del caso studio

Primo insediamento dei coloni europei in Canada, la città di Québec sorge nell’area setten-trionale della omonima regione, nel luogo in cui il fiume San Lorenzo, in prossimità dell’estuario,incontra l’affluente San Carlo. La scelta del sito di fondazione, nel 1608 ad opera di Samuel deChamplain, può essere ascritta alle peculiarità geografiche ed idrografiche del luogo, in cui a se-guito del restringersi del fiume, in vicinanza del promontorio di Cap Diamant e Lévis, si determinauna facilità di approdo per le imbarcazioni provenienti dall’oceano. La tumultuosità delle acquedel San Lorenzo, la presenza di ghiacci, le nebbie, hanno contribuito a fare, per molti secoli, di que-sto luogo, un punto cerniera dei flussi di penetrazione all’interno del Québec, sosta obbligata dipersone e beni diretti verso la regione dei grandi laghi, in attesa di maree favorevoli, di imbarca-zioni adeguate, di comandanti esperti. L’insediamento urbano si articola intorno a due nuclei: unaparte alta, circondata dalle antiche mura difensive, sul Cap Diamant con la cittadella fortificata, ela città bassa con il porto. Mentre il primo nucleo rinchiuso nella cinta muraria seicentesca subiscepoche trasformazioni nel corso dei secoli (tanto da essere dichiarato nel 1985 dall’Unesco patri-monio dell’umanità, testimonianza della sopravvivenza del Canada francese nel nord America bri-tannico12), la città bassa è interessata da continui processi di modificazione insediativa, diretta-mente influenzati dal ruolo che il fiume assume nella vita e nell’economia locale. Sul finire deglianni ’90, la Municipalità ha preso coscienza della necessità di valorizzare le aree del primo ap-prodo dei coloni francesi, riqualificando il fragile ecosistema costiero lungo le coste del SanLorenzo, con la creazione di un grande parco urbano.

Inquadramento storico, urbanistico e fluviale

Profondamente segnata, sul piano morfologico e distributivo, dalla presenza del fiume,Québec lega la crescita urbana e l’evoluzione del tessuto costruito alla funzione privilegiata diporto commerciale, approdo e cerniera tra vecchio e nuovo mondo. La presenza del fiume SanLorenzo segna fortemente l’evoluzione della cultura insediativa nelle aree urbanizzate dai fran-cesi, prima, e dagli inglesi poi.

La crescita fisica, sociale ed economica della città è caratterizzata da uno sforzo di domi-nare le acque per farne un corridoio di circolazione, cammino di scoperta, via di popolamento,asse di commercio e sviluppo. Presso le tribù native, il fiume è il luogo di incontro tra bene e male,via di accesso dei cugini d’oltremare, spettro dei conquistatori.

Per i colonizzatori, il fiume è il luogo vulnerabile, in grado di limitare l’accesso alle ricchezzedel paese e indurre l’asfissia della regione, limitazione della percorribilità e navigabilità. Il fiume silascia addomesticare difficilmente: le condizioni di navigazione sono particolarmente difficili acausa della profondità, della presenza di scogliere nell’estuario, delle correnti diagonali, della neb-bia, del ghiaccio.

Durante la colonizzazione francese, dal 1534 con Jacques Cartier, Québec è il porto di par-tenza di numerose spedizioni finalizzate alla scoperta geografica e idrografica del fiume, per l’in-dividuazione di ancoraggi naturali, grotte e secche, al fine di tracciare le rotte navigabili. Nella se-

12 Il sito costituisce un luogo di memoria fondamentale per l’identità nazionale della regione, teatro di eventisignificativi a partire dalla sconfitta della guarnigione francese ad opera degli inglesi nel 1759, nella battaglia della Pianadi Abramo, che segna la fine della colonia francese in Nord America e l’unificazione del Canada sotto il dominiobritannico.

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conda metà del ’600, il San Lorenzo è il tramite principale per il commercio delle pellicce, attivitàche rappresenta circa il 60 per cento delle esportazioni dal porto commerciale di Québec verso laFrancia. Sul finire del secolo, il fiume accoglie in prossimità della città, i primi cantieri per la co-struzione di imbarcazioni. A seguito dell’intensificarsi della colonizzazione, si assiste alla fonda-zione di numerosi villaggi lungo le rive dell’estuario tra Québec e Tadoussac. Nonostante la pre-senza di numerose costruzioni isolate lungo il corso del fiume, che fungono da riferimento e da ri-paro nella navigazione, la colonizzazione francese è segnata da numerosi naufragi e da continuirichiami alla prudenza. I coloni francesi oppongono all’impervia dei luoghi, l’esplorazione geogra-fica e il controllo delle acque, grazie alla maestria come navigatori: molte imbarcazioni ancoranoalla foce del Saguenay per cambiare comandante, per viaggiare solo di giorno, per navigare damaggio a novembre. Le armate inglesi alla conquista del Québec, nel ’700, manifestano il timoreper la tumultuosità del San Lorenzo. La sconfitta della guarnigione francese ad opera degli inglesi(1759, battaglia della Piana di Abramo), segna una rottura profonda nel processo di acquisizionedi informazioni sul fiume: i francesi del Canada abbandonano Québec, portando via il bagaglio disaperi e lasciando agli inglesi il compito di rifare il lavoro di esplorazione. In assenza di strumentidi supporto alla navigazione, guidati da James Cook (dal 1760 al 1763), gli inglesi si precipitano aridisegnare una mappa attendibile delle vie navigabili.

La città di Québec si connota, dalla seconda metà del ’700, come crocevia di accessi alpaese: è rocca protetta e porto di scambi, in cui due modalità di navigazione differenti si incon-trano, la traversata oceanica e la navigazione fluviale a vista lungo la costa. In prossimità del porto,viene avviata la prima organizzazione di aree destinate al commercio del legname a seguito delladiffusione di tecnologie in grado di supportare le attività di raccolta, stoccaggio e spedizione deitronchi13.

Fino al 1799, ormeggiano nel porto fluviale annualmente circa 90 imbarcazioni; nel 1820raggiungono il numero di 370, per superare le 1400 nel 1860. La crescita esponenziale del porto edelle aree limitrofe con funzione produttiva, sia in termini di traffico che di attività, si contrapponeallo sviluppo bloccato della parte alta della città, chiusa all’interno della cinta muraria.

Il governo centrale, sotto la pressione commerciale, inizia a studiare la possibilità di miglio-rare le condizioni di navigazione sul fiume, attraverso interventi di dragaggio del San Lorenzo amonte di Québec14. Il percorso fluviale viene attrezzato con boe e segnali luminosi per renderepiù sicura la navigazione15. Lo sviluppo della propulsione a vapore16 apporta una soluzione alledifficoltà nella navigazione Laurenziana in risposta alle crescenti esigenze per il trasporto di mercilungo il fiume San Lorenzo, e assurge, al pari dello scavo di canali e della costruzione di ferrovie, afattore chiave nella trasformazione del porto di Québec e nella crescita della città bassa17.

Il fiume è via di accesso degli immigrati, che appena sbarcati, vengono alloggiati nelle areea ridosso dei moli18. Costretti a soggiornare a Québec durante la stagione invernale, i nuovi immi-

13 Con lo sviluppo del potenziale forestale e minerario della regione, un considerevole numero di imprese di ca-botaggio insediate a Québec, si dedica al trasporto di materie prime verso i centri di lavorazione. Al fine di alimentare lefabbriche dei centri urbani industrializzati, le navi destinate al trasporto del carbone, lasciano la Nuova Scozia e risalgonofino a Montreal. Le chiatte dei Grandi Laghi affrontano le acque del fiume per il trasporto di legno, grano e minerali. Lepetroliere e le navi da carico completano il sistema, fornendo materie prime per il riscaldamento e garantendo regolariscambi con l’Europa.

14 Per quanto alcuni insediamenti si dotino di moli, molti di essi risentono del fenomeno della bassa marea:l’architettura delle navi è condizionata dalle condizioni naturali del fiume, che portano alla progettazione di golette afondo piatto.

15 Più tardi, questo sistema è sostituito dalla telegrafia senza fili e a partire dalla seconda guerra mondiale, attra-verso la radio. Con tutte queste stazioni si possono trasmettere relazioni sulla navigazione marittima e informazioni sullecondizioni atmosferiche.

16 Le navi a vapore introducono il concetto di cabotaggio nel traffico commerciale sul San Lorenzo.17 Il trasporto di passeggeri prende gradatamente i connotati delle crociere fluviali. Le prime crociere sono pel-

legrinaggi tra Montreal e la capitale dei miracoli, St. Anne de Beaupré. Con l’apertura del Saguenay, molte società di na-vigazione offrono crociere ai turisti, ciò favorirà lo sviluppo di resort e villeggiature nel fiume più basso. Le crociere sulSan Lorenzo nascono con l’arrivo delle “navi bianche” delle Linee Steamship Canada da Montreal. Questi vapori inaugu-rano l’era della luna di miele e di viaggi di svago sul San Lorenzo. Le “navi bianche” hanno attraversato il fiume fino al1966 quando il servizio non è stato più ritenuto sufficientemente redditizio.

18 Tra il 1800 e il 1850, circa 30.000 immigranti, di cui la maggior parte irlandesi, approdano a Québec.

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grati costituiscono la forza lavoro per le opere di continuo accrescimento e trasformazione delleinfrastrutture: emblematico è il coinvolgimento di questa forza lavoro multietnica, per la riconfi-gurazione della linea di costa nell’area portuale di Québec nel 1850.

Durante la seconda metà del 19° secolo, prende piede il trasporto di passeggeri e viaggia-tori con un servizio inizialmente garantito, ad intermittenza, da imprese private. La comparsa dibattelli a vapore ha l’effetto di incrementare, accanto alle transazioni commerciali e agli scambieconomici, anche il numero di turisti e viaggiatori sul fiume, imponendo di conseguenza, una mo-difica nei servizi portuali e nell’organizzazione degli spazi della città bassa19. A seguito della aper-tura di un accesso navigabile lungo il San Lorenzo e della realizzazione del collegamento ferro-viario tra Lévis il 1880 segna la fine del ruolo del porto di Québec come cerniera. Le due spondedel fiume San Lorenzo sono collegate nel 1917 con il ponte di Québec.

A seguito della grande depressione degli anni ’30, l’area immediatamente a ridosso dellacittà bassa, subisce un radicale cambiamento20; le autorità locali si vedono infatti costrette, al finedi porre rimedio all’emergenza disoccupazione, a consentire la creazione di impianti petroliferilungo il fiume. La località denominata Sillery, diventa la sede di depositi di idrocarburi che percirca mezzo secolo punteggeranno il fiume con enormi cilindri, dall’ansa di Foulon fino al pontedi Québec. Nonostante le cisterne e i depositi, nella stagione estiva, molti utenti affollano lespiagge di San Michele e Foulon.

L’aumento del traffico automobilstico, tra le due sponde del fiume San Lorenzo nel dopo-guerra, induce le autorità ad avviare la costruzione di un’arteria carrabile che costeggia il fiume e

19 Alcune compagnie cominciano ad offrire ai viaggiatori un servizio di battelli a vapore tra Montreal e Québeccon fermate a Sorel e Trois-Rivières.

20 Nel 1930, il governo canadese affronta la questione della riorganizzazione amministrativa dei porti, indi-viduando nella centralizzazione, una strategia gestionale.

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Fig. 1 - Boulevard de Champlain: il Pont de Québec e il Pont Pierre Laporte.

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che prende il nome di boulevard de Champlain, i cui lavori durano dal 1960 al 1970. Fatta ecce-zione per lo Yacht Club di Québec, la creazione del percorso stradale, rende inospitale l’accesso alfiume e induce la fine di ogni attività di svago. Negli stessi anni, il porto di Québec, viene ampliatocon la realizzazione del settore di Beauport, di circa 90 ettari.

Descrizione del caso studio

Nel corso di circa quattro secoli, la morfologia della linea di costa che delimita la città ri-spetto al fiume, per quanto soggetta a continui accrescimenti delle banchine e dei moli, è tutta-via rimasta pressoché invariata, accogliendo molteplici attività fluviali, marittime portuali, bal-neari. In controtendenza rispetto al passato, a partire dagli anni Sessanta, l’affaccio sul fiume,viene radicalmente trasformato, seguendo modelli desunti da contesti culturali lontani, comequelli delle città statunitensi (di Boston o Baltimora), privatizzando le aree e realizzando un per-corso autostradale che costeggia il fiume. A partire da questo momento, le politiche di gestionedell’ambiente costruito in prossimità della rocca seicentesca, perseguono le logiche dell’accresci-mento del tessuto urbano, dello stravolgimento del rapporto terra-acqua, della riduzione di bio-diversità, della modificazione del micro-clima. Gli interventi nell’area a ridosso del porto induconola cancellazione di quattro secoli di storia, di tradizioni marittime, di usi consolidati. L’operazionedetermina, conseguentemente, la perdita di ogni funzionalità per il sito, il congelamento del pas-sato, la negazione di un accesso diretto al fiume per i cittadini e la promozione esclusiva di con-dizioni per la contemplazione a distanza del paesaggio fluviale.

Restituire identità all’interfaccia tra quartiere storico e fiume è la nuova esigenza proget-tuale maturata sul finire degli anni ’90 a Québec e condivisa dai residenti, nel corso di pubblicheconcertazioni. Nel 2000, in concomitanza con l’organizzazione delle celebrazioni per i 400 annidella fondazione della città, il Consiglio dei Ministri del Governo Regionale del Québec decide dibloccare la speculazione edilizia sui terreni costieri del fiume, per avviarne l’esproprio. Nel 2002 laCommissione della Capitale Nazionale del Québec annuncia il lancio dell’iniziativa “Promenade deChamplain” – da boulevard ovvero viale carrabile a promenade, percorso pedonale – che interessaun’area inizialmente di 12 Km parallela al San Lorenzo, ubicata a sud-ovest della città antica. Lascelta del sito è dettata dalla posizione baricentrica tra città antica, nuove espansioni, porto.

Nel 2005 si dà avvio ufficiale alle attività di valorizzazione del sito che ospitava le carreg-giate dell’autostrada, con la riduzione dell’area di intervento, portata a 2.5 km di lunghezza, e lafocalizzazione della progettazione sui guasti ambientali indotti dagli anni ’60 lungo il fiume.Proponendo l’arretramento del percorso carrabile e ricreando condizioni dirette di accesso all’ac-qua per i pedoni, l’amministrazione intende promuovere la ricomposizione di una memoria criticacondivisa, attraverso la riacquisizione delle componenti localizzative ed ambientali, costruttive,distributive e funzionali. Rimanendo rispettosamente entro le orme dello spirito originario del li-torale, la Municipalità chiede che il progetto richiami alla genesi insediativa di Québec, rianno-dando la continuità interrotta tra le sponde del fiume, trovando nuova sinergia tra i valori deiprimi coloni e la concezione di paesaggio culturale del XXI secolo.

I progettisti Réal Lestage e Renée Daust definiscono l’assetto insediativo del nuovo nastropedonale che costeggia il San Lorenzo, a partire dalla consapevolezza del ruolo che il fiumeassume rispetto alla fruizione della città, all’attrattività del sito, alle esigenze di benesseredegli utenti.

Il San Lorenzo è il più grande fiume del Québec e uno dei maggiori al mondo, oltre ad es-sere al centro di numerose attività economiche, rappresenta un importante habitat per moltespecie vegetali e animali, ha un grande potenziale turistico ed è la fonte di acqua potabile perquasi la metà delle genti della regione. Il tema della sostenibilità e delle relazioni tra condizioni dipercorribilità, inclusività e accessibilità, viene declinato con nuove connotazioni, nel progetto.L’habitat autoctono del fiume assurge al ruolo di nuovo motore di sviluppo per l’area urbanaesterna alla rocca21: l’intervento è concepito come riproposizione critica delle evoluzioni tempo-

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Fig. 2 - La Promenade de Champlain: integrazione tra percorsi pedonali e aree a verde.

Fig. 3 - La sequenza dei paesaggi.

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rali e spaziali del sito, come narrazione delle dinamiche che hanno interessato gli elementi natu-rali, seminaturali, artificiali.

Il progetto introduce l’idea di paesaggio culturale come racconto della mediazione tra icaratteri geomorfologici e idrologici originari e l’insieme degli impatti indotti. I progettisti ripro-pongono una sequenza di ambientazioni, differenziando le atmosfere, lavorando sulle percezionisensoriali degli utenti, attraverso il richiamo alle connotazioni storiche e geografiche, puntandoalla scomposizione dell’area. Concepita come nastro verde, la passegiata è demarcata da nuovipercorsi che ridefiniscono il concetto di mobilità – una pista ciclabile, un viale pedonale sinuoso –e crea nuove relazioni tra i poli di attrazione – un “polo culturale” ad una estremità, un “polo spor-tivo” al centro e un “polo d’interpretazione” all’altra estremità. Il paesaggio è costellato da sculturecontemporanee che sono preposte ad interagire con gli elementi naturali.

Quattro giardini si susseguono lungo il fiume: il “porto delle nebbie”, il “porto delle onde”,il “porto degli uomini”, il “porto dei venti”. Disposti perpendicolarmente al fiume, i giardini richia-mano la presenza dei moli nell’epoca di sfruttamento del legname e della costruzione navale. Lasuperficie ondulata del suolo è un implicito riferimento alla cresta delle onde; il piano di calpestiosi inclina leggermente verso il fiume ed invita ad apprezzare la sua presenza.

Nella fascia più vicina alla strada, i giardini presentano materiali e scelte costruttive che ri-chiamano le imprese dell’uomo sulla riva, per lasciare lentamente posto, andando verso il fiume,ad elementi più naturali come sassi e sabbia.

21 L’urbanizzazione, l’industrializzazione e l’intensificazione delle attività agricole legate a un cambiamento neimetodi di produzione hanno contribuito, tuttavia, nel corso del XX secolo, al deterioramento della qualità delle sue ac-que. Negli ultimi 20 anni, pertanto, notevoli sforzi tecnici e finanziari sono stati dedicati alla riqualificazione degli habitatnaturali ed artificiali con l’intento di proteggere e ripristinare le coste.

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Fig. 4 - Il viale pedonale.

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Il “porto delle nebbie” evoca l’atmosfera intima del fiume. Il terreno è ricoperto di ciottoliemergenti in un mare di massi, a richiamo dell’era glaciale. Il “porto delle onde” incarna la vitalitàdel fiume in tutte le stagioni: cinque muri d’acqua nascono successivamente dal suolo; il movi-mento alternato rievoca il surf sulla riva del fiume; ricordando la rottura del ghiaccio alla deriva sulfiume, lo spazio è organizzato intorno ad una grande piastra in cemento interrotta che divide ilgiardino in due livelli, a richiamare le zattere di legno galleggianti sul granito. Il “porto degli uo-mini”, ricordo tangibile dell’epoca dei cantieri marittimi, si sviluppa lungo un corridoio.

L’ultima sezione del progetto, verso il ponte di Québec, è articolata intorno a un vecchiomolo industriale recuperato per accogliere attività di servizio. Composto da una torre di osserva-zione, una piattaforma collegata al fiume e un padiglione multifunzionale, questo polo costituisceil punto di ingresso privilegiato alla passeggiata, richiamando all’immaginario degli utenti, unmolo del fiume con le sue dotazioni e trasformando il sito in un luogo di approdo, faro luminoso.

Perseguendo gli obiettivi di valorizzazione dell’autenticità e dell’integrità del paesaggioculturale, il progetto della Promenade propone nuove declinazioni per il sistema intrinseco delleregole di futuro accrescimento del lungofiume. L’uso controllato di beni e dotazioni, il riuso di ri-sorse materiali e culturali, il riciclo di energie disponibili, diventano la chiave privilegiata per l’atti-vazione di condizioni di equilibrio dinamico tra costa, fiume, clima, costruito, nella prospettiva diintegrità delle relazioni e di compatibilità tra insediamento, utenti, economie.

Le scelte costruttive sono dettate dall’esigenza di prefigurare strategie integrate di ge-stione delle modificazioni a venire, con un’attenzione predittiva tesa ad anticipare e contrastare leminacce materiali ed immateriali: le distruzioni, lo snaturamento dei luoghi, l’abbandono all’usuradel tempo, il vandalismo, le inondazioni, l’uniformazione dei tessuti apportata dalla globalizza-zione. Le qualità delle componenti fisiche e ambientali di progetto, vengono definite a partiredalla prefigurazione di modalità per l’armonizzazione delle trasformazioni, attraverso l’integra-

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Fig. 5 - La torre di osservazione, particolare delle scelte materico-costruttive.

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zione tra percorsi e aree a verde, l’eliminazione delle barriere architettoniche, l’attenzione all’im-patto degli agenti atmosferici, in particolare sole e vento, rispetto all’assetto morfologico e distri-butivo di spazi di sosta e spazi di percorrenza, l’attenzione all’impatto acustico ed all’inquina-mento. Incrementare la complessità del sistema ecologico è la strada perseguita per la gestionesostenibile e il superamento delle negatività indotte dalle azioni trasformative.

L’effetto conseguito attraverso l’azione progettuale può essere ricondotto non solo allariattivazione di un accesso alla città dal fiume San Lorenzo o alla trasformazione di questa partedel litorale in un nuovo invitante ambiente aperto alla natura, al tempo libero e all’arte; in modoattento, l’intero progetto risolve le incompatibilità tra paesaggio naturale e paesaggio antro-pizzato, puntando alla valorizzazione complessiva delle stratificazioni culturali che hanno inte-ressato il sito.

Città antica e nuova, mobilità veicolare e pedonalizzazione, autostrada e sentieri, trovanouna nuova configurazione informata all’esigenza di ricomporre un fragile ecosistema costiero,salvaguardando flora e fauna autoctone. Per la complessità delle soluzioni, il progetto dellaPromenade diventa a sua volta motore di attivazione di una serie di iniziative di valorizzazionecoinvolgenti altre aree costiere in prossimità della città.

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Fig. 6 - La torre di osserva-zione.

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RIFERIMENTI

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7.3 MONTRÉAL: RIQUALIFICAZIONE DEL VECCHIO PORTO PER LA PROMOZIONE DEL CENTRO STORICO

AutoreSerena Viola

Parole chiavesalvaguardia - abitare - concertazione - innovazione - interculturalismo

Focus del caso studio

L’accessibilità e l’ospitalità della costa lungo il fiume San Lorenzo, la ricchezza delle risorsenaturali e la possibilità di disporre di punti di avvistamento naturali per il controllo dei passaggidelle imbarcazioni lungo il fiume, costituiscono alcune delle motivazioni per la fondazione, nel1642, di un avamposto francese, nel luogo di confluenza del fiume con la Petite Rivière22. Il tessutourbano e il patrimonio edificato di Montréal crescono fortemente condizionati dall’esigenza dicontestualizzare la cultura costruttiva ed insediativa dei coloni francesi, con le specificità del climarigido e l’abbondante presenza di vie d’acqua, attraverso la ricerca di tecnologie costruttive ingrado di mitigare e controllare l’impatto delle basse temperature, dei venti, del gelo e di suppor-tare lo sviluppo di condizioni di vita e di commercio23.

Fondata all’incrocio di vie navigabili, Montréal cresce intorno all’area portuale, connotan-dosi, nel corso dei secoli, come ingresso privilegiato per merci e persone dirette in America set-tentrionale. In conseguenza delle innovazioni che interessano le banchine, i moli, gli ancoraggi,Montréal si è più volte impegnata nella riconfigurazione delle aree del porto, al fine di massimiz-

22 Località oggi baricentrica rispetto allo sviluppo della città, che prende il nome di Pointe-à-Calliére.23 La fondazione di Montréal in posizione strategica, all’incrocio di vie navigabili dove convergono i convogli di

pellicce prima di scendere il fiume fino a Tadoussac si inquadra all’interno della politica commerciale francese del XVIIsec. Nel 1642, un piccolo gruppo di coloni francesi guidati da Paul de Chomedey de Maisonneuve militare di 29 anni eJeanne Mance, infermiera di 34 anni, si stabilisce alla foce della petite Rivére. È la posizione dell’insediamento che attiral’attenzione dei coloni reduci da un inverno trascorso a Québec. Il gruppo è tenuto insieme dall’intento di evangelizzaregli Amerindi e creare una società mista franco-amerindia, per civilizzare le popolazioni locali.

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Fig. 1 - Veduta di insieme dell’area oggetto del progetto di riqualificazione.

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zare il traffico con il consumo minimo degli spazi. Ad ogni innovazione tecnologica24, è seguitauna ricostruzione con l’intensificazione dei flussi di circolazione di merci e persone, all’interno deibacini, lungo i moli, nelle aree urbane prossime. Prendendo atto del valore patrimoniale del si-stema insediativo, l’amministrazione cittadina, nel corso degli ultimi decenni, è andata puntandosulla riproposizione di una cultura degli spazi di fruizione collettiva esterni, con particolare atten-zione ai siti della prima fondazione, lungo il fiume. I percorsi, le piazze, gli spazi verdi che delimi-tano la città verso il fiume sono stati assunti come occasione progettuale per disvelare aspettispecifici di una cultura locale dell’abitare, in contrapposizione alle tendenze della globalizzazione.

Inquadramento storico, urbanistico e fluviale

Nel corso dei primi decenni dalla fondazione – fino al 1672 – Montréal si limita ad essereuna città stagionale, destinata a popolarsi nel periodo estivo, per l’arrivo lungo il fiume, degliAmerindi e dagli autoctoni che vivono nelle missioni nel circondario. È sul finire del ’600 che ilporto fluviale inizia ad assumere specifici connotati, quando grazie alla pace stipulata tra i gruppidelle cinque nazioni, la città diventa testa di ponte militare tra il fiume San Lorenzo e l’interno delcontinente e si consolida come polo economico strategico per il commercio delle pellicce.

Seconda città per importanza dopo Québec, Montréal è sede di funzioni amministrative egiudiziarie, centro religioso, mercato. Alla fine del XVII sec., la città conta una popolazione di circa1600 abitanti, di cui circa 200 sono militari; la provvisorietà dell’insediamento è testimoniata finoalla prima metà del ’700 dal fatto che la maggior parte delle abitazioni sono in legno, così come ipontili del porto, disposti perpendicolarmente alla linea di costa a chiudere idealmente l’insedia-mento verso l’acqua. Nel 1713 viene predisposta la realizzazione di mura difensive in pietra cheproteggono la città anche dal fiume e che vengono a marcare, come elemento di cesura, il rap-porto tra acqua e insediamento25.

Nel 1760, gli inglesi entrano in possesso di una città che presenta caratteri costruttivi pro-pri della Nouvelle France: gli edifici, dell’altezza massima di due livelli, sono, per la maggior parte,in pietra, dotati di tetti mansardati e scale esterne. Nel corso dei quaranta anni successivi, all’in-terno del perimetro delimitato dalle fortificazioni, la città viene ricostruita più volte, sia per ri-spondere ai nuovi requisiti della popolazione, sia per porre rimedio ai danni provocati dai nume-rosi incendi. La tessitura viaria, resta essenzialmente invariata, profondamente segnata da una se-parazione netta dal fiume.

Nonostante l’esclusione delle aree portuali rispetto allo sviluppo urbano, il porto agisce, apartire dalla seconda metà del ’700, come motore dell’economia, porta d’accesso, luogo delle fun-zioni urbane e dei servizi a sostegno del commercio marittimo e dell’immigrazione. La transizioneverso l’era industriale, comporta profonde trasformazioni nei confini tra il fiume e il centro abitato,a seguito delle nuove dinamiche produttive che interessano il porto, con l’introduzione di nu-merose innovazioni tecnologiche nei sistemi di trasporto, nei servizi e i modi dell’abitare.

Nel corso della prima metà dell’800, si registra una improvvisa crescita della “città bassa”,lungo la riva del San Lorenzo, legata all’esigenza di garantire lo stoccaggio temporaneo dellemerci di importazione. Numerosi depositi, con abitazioni annesse, vengono costruiti in pietra dataglio, in aree prossime al fiume; al contempo, una intensa attività edilizia contraddistingue le areeportuali, con la realizzazione di banchine in legno, contrafforti murari in pietra a formare una lineadi difesa contro gli spettacolari distacchi di blocchi di ghiaccio spinti dal fiume contro la riva.

24 “Europeans generally see the original rationale that underpins waterfront redevelopment as somethingessentially maritime in character … NorthAmericans, by contrast, are inclined to see the redevelopment of a waterfrontas part of the process of urban renewal”. Cfr. Hoyle B (2000),“Global and local change on the port city waterfront”, in TheGeographical Review, July, p. 396.

25 Due ordinanze (del 1721 e 1727) impongono che gli edifici siano privi di rivestimenti lignei in facciata e nonsuperino i due livelli. Scale esterne devono essere disposte sulle facciate per facilitare la pulitura dei comignoli deicamini.

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La necessità di garantire la circolazione dei capitali diventa, a partire dai primi dell’800, laforza che anima la trasformazione dell’area portuale di Montréal. Le continue innovazioni delletecnologie per il trasporto, il carico e lo scarico delle merci, lo stoccaggio, condizionano il ridi-mensionamento della linea di costa nell’era industriale, in risposta alle continue domande degliinvestitori locali di ridurre il tempo di spostamento delle merci.

La linea di costa diventa, a partire dalla seconda metà dell’ottocento, interfaccia e impedi-mento, in grado di contribuire all’efficienza del porto e barriera spazio-temporale. Condizione per-ché la città possa essere competitiva rispetto ad altri porti nordamericani è che sia in grado di ac-celerare la circolazione di beni e persone, adottando tecnologie in grado di rimediare all’imprati-cabilità del sito imposta dalla scarsezza della luce naturale durante i cinque mesi più freddidell’inverno. L’area portuale viene, più volte, riconfigurata per accogliere navi sempre più grandi,treni sempre più veloci, per muovere beni e persone in sicurezza. Il paesaggio del porto e quellocircostante vengono ridisegnati all’apparire di nuove tecnologie: tra i primati tecnologici delporto di Montréal bisogna annoverare l’installazione nel 1882 di un impianto di illuminazioneelettrica – primo al mondo – che permette di prolungare per tutta la notte le operazioni di caricoe scarico delle imbarcazioni. Nel 1825, viene ultimato il Canale Lachine, di 13,4 km di lunghezza,che permette alle navi lunghe 15 metri evitare le Rapide del fiume San Lorenzo, collegandoMontréal ai Grandi Laghi, aprendo così ulteriori canali di commercio con il nord nel Canada.

Tra il 1839 e il 1846 il vieux – Montréal è il centro delle attività economiche della capitaledel Nord-America Britannico: molte imprese commerciali si installano (in prossimità della rueMcGill), in una posizione di equidistanza dal porto, dalle installazioni ferroviarie e industriali disud-ovest. Vengono avviati i lavori di ampliamento e ripavimentazione della strada che costeggiail porto e la costruzione di quattro nuovi pontili che si allungano perpendicolarmente al fiume,come dita della mano – Nelson (1839-1840), Wellington (1939-1840), Russel (1845-1846), Victoria(1845-1846). I nuovi moli presentano un’innovazione tecnologica che avrà un grande impattosulla morfologia della città portuale: aggiungendo superficie fruibile il molo accoglie, in un’areacentrale per il porto, nuove attività, alterando le relazioni urbane, portando i fruitori del portolontano dal fiume. I primi due moli – Nelson e Wellington – misurano approssimativamente 65 e80 metri realizzati con pilotis in rovere che sostengono piattaforme di pino pavimentate26.

Negli stessi anni, una serie di vicende politiche e amministrative condizionano l’assetto ur-bano delle aree in prossimità del porto: l’incendio della sede del parlamento, ubicato in prossimitàdella Pointe-à-Calliére nel 1849, è all’origine della rinuncia imposta a Montréal, di essere capitalepolitica. Alla fine del decennio 1870, la crescita esponenziale della città e l’aumento dei bisognilegati all’urbanizzazione rapida e all’industrializzazione massiccia sono all’origine di una moltipli-cazione dei servizi municipali: all’interno del sito della prima urbanizzazione, grazie anche allacostruzione del nuovo Hotel de Ville nel 1878, si insediano le funzioni amministrativa e civica.

Tra la fine dell’Ottocento e il 1930, l’area del porto subisce una significativa trasformazione:si avviano le opere di sostituzione dei moli obsoleti27 a causa di nuove limitazioni imposte dallemodalità di attracco delle navi e di sbarco delle merci; in quest’occasione viene realizzato il moloVictoria concepito con la forma di un dito adunco che si protende parallelamente al fiume. Nellostesso periodo, tre nuovi moli sono costruiti più in basso del fiume (lato nord-est), al confine traMontréal e la città di Maisonneuve. Così come la popolazione di Montréal raddoppia dopo ogniperiodo di crescita economica, anche la lunghezza dei moli della città tende ad aumentare28. I datiper il periodo tra il 1832 e il 1909 indicano che ad un aumento del 10% dello spazio di banchina,corrisponde un aumento del 18 % nel tonnellaggio delle navi in transito. Nel 1903 vengono stan-

26 I moli Russel e Vittoria erano più lunghi dei precedenti e più solidi. Nonostante i numerosi progetti di amplia-mento elaborati tra il 1877 e il 1893, solo nel 1896 viene avviata la realizzazione dei moli Mackay di protezione dai ghiacciprimaverili e Bickerdike per favorire l’ingresso del Canale di Lachine.

27 Jacques Cartier 1898-1899, Alexandra 1899-1901, King Eduard 1901-1902, e l’espansione del molo Victoria1910, che si allunga per circa cinquecento metri verso il fiume.

28 Cfr. Gilliland J (2004), “Muddy shore to modern port: redemensioning the Montréal waterfront time-space”, inThe Canadian Geographer/Le Geographe canadien 48, n. 4, p. 450.

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dardizzate le dimensioni dei canali del San Lorenzo per eliminare le operazioni di trasbordo dimerci e persone a Kingston29.

Nel corso degli anni ’20, Montréal diventa il più grande porto per il commercio dei cerealidel Nord-America: le strutture portuali costituiscono una barriera tra la città e il fiume, congegnodella città industrializzata, molto diversa dalla città vecchia di fronte a cui si ergono. Negli annisuccessivi alla seconda guerra mondiale, le attività industriali e commerciali del porto registranouna progressiva diminuzione.

Queste dinamiche sono all’origine del lento declino delle aree portuali, che raggiunge unacme nel corso degli anni ’70, con lo spostamento delle attività portuali verso est ed il conse-guente abbandono di aree, strutture ed edifici.

Descrizione del caso studio

Negli ultimi decenni la città di Montréal ha vissuto un intenso processo di ripensamentocritico degli spazi esterni, in termini di fruibilità, benessere, sicurezza, confluito in significative ope-razioni di riqualificazione dei vuoti urbani. Gli interventi di miglioramento della vivibilità che inte-ressano i percorsi, le piazze, le strade, trovano comune fondamento nella volontà di potenziare lacittà esterna rispetto alla indoor city degli anni ’60, rendendola attrattiva e inclusiva nonostante ledisagevoli condizioni climatiche.

Attraverso pubblici dibattiti, pubblicazioni, documenti, la Municipalità ha fatto dell’acco-glienza e della libera circolazione di idee, il motore di un processo di sviluppo economico, sociale,con ricadute sul sistema urbano. Montréal si propone nel panorama internazionale come cittàproiettata in una dimensione di mediazione tra presenze multiculturali, i cui obiettivi sono il dia-

29 Fino alla prima metà del XIX sec. le grandi navi che salpavano l’oceano avevano dovuto scaricare le merci aQuébec oppure essere trainate fino a Montréal per evitare che si arenassero. Tra il 1850 e la prima guerra mondiale, pertenere il passo con i massicci aumenti delle dimensioni delle navi in Atlantico, il Porto di Montréal aveva ripetutamentefatto dragare il fiume, raggiungendo così una profondità di quest’ultimo paria circa 10 m nel 1912.

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Fig. 2 - Percorsi pedonali lungo il fiume San Lorenzo.

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logo tra le culture, il rispetto delle identità, la creazione di riferimenti comuni per una convivenzapacifica ed equilibrata.

La capacità di condivisione e l’apertura all’altro, sono aspetti che accomunano la società esegnano oggi, in modo molto evidente, le dinamiche di gestione condivisa e di concertazione peril tessuto antropizzato. Nel perseguire questa nuova vocazione, le aree portuali assurgono a luogocatalizzatore principale degli incontri e scambi, sito in cui la terra e il trasporto sull’acqua conver-gono, dove le merci e i passeggeri si scambiano.

Il porto assurge a laboratorio di sperimentazione di una nuova concezione di spazio di frui-zione collettiva; le scelte politiche e istituzionali sono informate allo sforzo di creare un modello diconvivenza sociale tra comunità di differente provenienza, arrivate in città in tempi sfalsati e conesigenze diverse, attribuendo alla preesistenza, il ruolo di strumento di orientamento delle scelte,in grado di svolgere un’azione catalizzatrice per la costruzione di nuove radici comuni.

La Municipalità ha fatto ricorso all’organizzazione dello spazio urbano pubblico come oc-casione per promuovere la codifica di una cultura locale dell’abitare. Attraverso pubblici dibattiti,documenti, la Municipalità è stata chiamata ad affrontare i temi relativi alle relazioni tra perma-nenza e innovazione30.

Il degrado e l’abbandono delle aree del vecchio porto commerciale offrono, a partire daglianni ’70, la prima occasione per riflettere sulle potenzialità della restaurazione di condizioni diequilibrio tra natura e artificio, riproponendo nuovi significati per l’antica metafora dell’architet-tura come imitazio naturae. In linea con i principi dello sviluppo sostenibile, i percorsi pedonali, iluoghi di sosta, il verde del porto, vengono concepiti superando la visione ottocentesca di “decorourbano” o il concetto di “standard” proprio dell’urbanistica moderna. La funzione degli spaziesterni di fruizione collettiva diventa la rigenerazione e il riequilibrio ecologico, la compensazioneambientale, occasione di incremento delle potenzialità dell’ecosistema urbano. Sulla scorta di unatendenza che interessa il complesso delle città del Québec, nel corso degli ultimi trenta anni, laMunicipalità di Montréal è andata riconoscendo al paesaggio il ruolo di testimone di memoria eidentità, strumento in grado di incidere significativamente sulla qualità della vita. Gli spazi apertidi fruizione collettiva, con la loro qualità naturale e artificiale, sono oggetto di una progettazionetesa ad incentivare nuovi comportamenti negli utenti ed a contribuire alla costituzione di archividi significati culturali e di valori condivisi. Così, le aree urbane degradate e dismesse a Montréalvengono ad assurgere al ruolo non solo di risorse economiche, ma di possibile strumento per lacoesione tra individui, gruppi e comunità31. La riqualificazione del sito ha come primo obiettivo lariconnessione dello spazio industriale-portuale al centro storico (chiamato a partire dagli anni ’60vieux - Montréal) superando la condizione di frattura indotta dalla presenza di imponenti strut-ture di deposito di cereali. La progettazione dell’intervento di riqualificazione si sviluppa in un in-tervallo temporaneo di circa venti anni. Nel 1975 viene lanciato il primo studio per la riconver-sione dell’area con il rapporto Lincourt che prevedeva la realizzazione di un insediamento abita-tivo con circa 2000 unità residenziali: la municipalità critica le soluzioni prospettate e nel 1978apre alle prime consultazioni pubbliche (1978-1979). Attraverso dibattiti ed esposizioni, i cittadinisono introdotti alla conoscenza del sito con l’illustrazione delle diverse soluzioni progettualimesse a punto per aree simili in altri posti del mondo; i cittadini sono invitati ad esprimere un pa-rere, sulle quattro soluzioni progettuali elaborate dagli urbanisti Safdie e Desnoyers.

A seguito di pubbliche consultazioni, nel dicembre 1979, vengono pubblicate le dieci lineeguida che prevedono di privilegiare l’uso a fini pubblici del sito, l’accesso libero al fiume, il man-tenimento della vocazione portuale. A valle di questa consultazione viene prefigurata una primasoluzione progettuale che prevede vasti spazi liberi e attrezzature pubbliche. Essa, tuttavia, non ri-

30 Ville de Montréal, Politique du patrimoine, Énoncé d’orientation pour la politique du patrimoine de la Ville deMontréal, 2005.

31 Suddette tematiche sono oggetto di riflessione nei documenti prodotti dal Sommet de Montréal, del 2002:Montréal, métropole de création et d’innovation, ouverte sur le monde; Montréal, métropole de développement durable;Montréal, métropole agréable à vivre, solidaire et inclusive; Montréal, métropole démocratique, équitable et transpa-rente; Montréal, une administration performante au service du citoyen.

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scuote un grande successo, per la convinzione di molti (anche della Société du Vieux Port) cheuno spazio pubblico non è in grado da solo di svolgere un’azione di volano economico per il ri-lancio di una parte del centro storico.

Un nuovo studio, per la sistemazione dell’area nel settore in corrispondenza di PlaceJacques-Cartier, viene avviato nel 1982-83 da Schoenauer e Devencore: propone uno sviluppo mi-sto del sito, con funzioni ricreative, residenziali e commerciali, uffici, un albergo e una stazione delmétro sul Quai de l’Horologe. Il modello culturale cui si riferisce questa proposta progettuale èquello proprio delle città nord americane, calato alla scala Montréalaise. Il vecchio porto è consi-derato come uno spazio centrale da sviluppare attraverso la ricerca di un motore economico chepossa attirare gli investitori.

A seguito delle profonde divergenze tra i difensori di una vocazione plurifunzionale dell’a-rea e i difensori di un’idea di parco pubblico, alla metà degli anni ’80, il futuro dell’ex area portualeè molto incerto. Nel dicembre 1984, viene predisposta una nuova consultazione pubblica: costi-tuirà l’occasione per far emergere il desiderio dei cittadini per una soluzione progettuale semplicee priva di ogni artificialità. Il comitato consultativo propone otto principi guida e 35 raccomanda-zioni per la gestione del sito. Il primo principio enuncia che la questione del porto deve essere in-scritta nell’ambito delle problematiche poste dal centro storico allargato. Il progetto per l’areanon deve, pertanto, entrare in concorrenza con i settori circostanti ma deve essere concepitocome occasione di sviluppo di attività a servizio, di sostegno degli sforzi progettuali compiuti peril recupero del vieux Montréal. Vengono, pertanto, escluse le funzioni di uffici, abitazioni, luoghi dicommercio. Il secondo principio, enunciato dal comitato consultivo, concerne l’accessibilità pub-blica al sito e al fiume. Il terzo principio afferma la vocazione turistica e storica dell’area. Il quartoè relativo all’esigenza di condurre lo sviluppo per tappe, nell’ambito di un disegno generale.

Sulla scorta dei risultati prodotti dai delegati coinvolti nel processo decisionale, sarà svilup-pato il piano del 1990, che mette insieme la funzione portuale con le istanze di natura storica efruitiva. Il progetto persegue la conservazione delle tracce del passato industriale dell’area, comeil silos n. 5 e il sistema dei binari che collegano il porto ai depositi. Si prevede di restituire alla cit-

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Fig. 3 - La Pointe-à-Calliére, estremità dell’area interessata dalla riqualificazione.

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tadinanza una grande finestra sul fiume, attraverso la realizzazione di un parco urbano che co-steggi il primo insediamento e che mantenga alcune attività portuali. Il primo lotto di lavori, èavviato nel 1992, in occasione dei 350 anni di fondazione della città ed affidato ai progettistiCardinal Hardy, Peter Rose, Jodoin Lamarre Pratte et ass. Questa fase comprende lo scavo e il re-cupero del bacino Bonsecours e del settore ad ovest dell’imbocco del canale Lachine e i lavorilungo rue de la Comune. In seguito si interviene sul quai King-Edward dove viene realizzato ilnuovo Centre des sciences.

Concepito come passaggio obbligato per i turisti che visitano il vieux- Montréal, il porto di-venta parco lineare da percorrere a piedi o in bicicletta. L’organizzazione delle aree con vaschefontane e giochi d’acqua, è improntata a mantenere inalterato l’assetto viario originale del per-corso lungo il fiume, che diventa tramite per l’accesso alle nuove funzioni pubbliche ubicate incorrispondenza dei moli. Conservando la vecchia linea ferroviaria che segnava il margine tra ilvecchio porto e la città, il nuovo percorso parallelo a rue de la Commune salvaguarda le caratteri-stiche dell’ambiente costruito in cui è inserito e si integra. Grazie alla creazione di un corridoioverde, si viene a creare una linea di mobilità complementare rispetto a quella veicolare (che a suavolta diventerà a traffico limitato), continuazione naturale della realtà extraurbana; la riqualifica-zione è occasione per creare un cuneo di penetrazione del sistema naturale all’interno della strut-tura urbana.

Il progetto restituisce al luogo il carattere di porto moderno, attraverso grandi opere discavo in ognuno dei settori Bonsecours e Écluses. Due obiettivi informano le scelte: raccontare lastoria recente del luogo, riproponendo il profilo originario del canale, riusando gli elementi co-struiti esistenti e conferire a ciascuna delle parti che compongono il territorio, l’identità che la ri-conduce meglio a suo ambiente, attraverso il ricorso ad elementi di arredo desunti dal passato. Siprevede, pertanto, la conservazione dei moli, dei magazzini, delle torri di manutenzione e delle al-tre strutture industriali per restituire, sottolineare, commemorare, l’insieme essenziale di un pae-saggio industriale e portuario. Pur riprendendo tutti i principi enunciati dalla consulta pubblica, ilprogetto realizzato privilegia la dimensione di spazio pubblico polivalente: il porto diventa luogodi incontro e aggregazione, destinato all’accoglienza.

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Fig. 4 - Il centro storico, affaccio sull’area del porto riqualificata.

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Rileggendo in chiave critica, gli interventi realizzati a Montréal nelle aree del vecchio portocommerciale, emerge come il modello culturale che orienta la riqualificazione delle linee di con-fine tra acqua e terra sia teso ad affermare la supremazia della natura sulla civiltà, promuovendonei fruitori dello spazio pubblico il senso di appartenenza ad un ecosistema in equilibrio dina-mico. In contrasto con il modello consumistico e globalizzante nord americano, a Montréal, la ri-qualificazione dello spazio di fruizione collettiva è affidata alla enormità dello spazio, alla ricchezzadelle specie, all’integrità degli ambienti naturali, con tutte le diverse eredità genetiche da traman-dare intatte alle future generazioni. La natura o, piuttosto, la potenza della natura, e la possibilitàprogettuale di lasciare che questa penetri all’interno dei sistemi insediativi, costituisce il motore diuna nuova logica di sviluppo sostenibile, promossa con la riqualificazione. Mediando gli impera-tivi di richiamo delle radici e apertura verso la nuova immigrazione, la Municipalità sembra averallargato la concezione di identità insediativa, come richiamo alle qualità ambientali dello spazioche assurgono a catalizzatori di un ethos da condividere.

Come per le prime nazioni che vivono i territori e successivamente per i coloni francesi, an-che oggi l’intensità della natura, costituisce l’elemento in grado di promuovere il senso di appar-tenenza degli utenti, cittadini e visitatori, alla realtà locale. La vegetazione, l’acqua, il suolo, defini-scono la trama condivisa degli spazi collettivi, il denominatore comune dei gruppi sociali, con ca-pacità di connettere e creare relazioni. La potenza di una natura dominata, si rivela agli utentidello spazio pubblico attraverso i percorsi, gli alberi, le fontane, contribuendo a ricreare il sensodel luogo. La loro ubicazione e distribuzione ha un profondo effetto sui fruitori, orientando gli at-teggiamenti e i comportamenti delle comunità. La riqualificazione di spazi collettivi diventa occa-sione preziosa per supportare le comunità insediate a costruire reti sociali all’interno della culturadominante, pur permettendo la salvaguardia dell’individualità culturale di ciascuna. Le scelte pro-gettuali per lo spazio di fruizione collettiva, nel caso del vieux-port, si inseriscono all’interno dellestrategie di una politica interculturale fondata sulla promozione di legami in grado di unire le in-dividualità, piuttosto che sulle differenze che separano. Riqualificare le aree pubbliche degradateè una strategia per accrescere il senso di appartenenza, di aggregazione.

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Fig. 5 - Vocazione navale del sito confermata nella riqualificazione.

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RIFERIMENTI

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Capitolo 8

Città fluviali: Anversa, Amburgo, Bilbao

Il quarto gruppo di casi studio è costituito da tre città fluviali caratterizzate da una storica vocazione por-tuale. I mari perigliosi del Nord Europa hanno favorito, nei secoli, le città-porto fluviali che oggi si ripro-pongono con interessanti evoluzioni, partendo da quell’acqua che conduce le navi al mare aperto.Gabriella Esposito De Vita affronta l’esperienza di Anversa che ha inteso valorizzare la propria identità dicittà-porto di rilevanza mondiale attraverso un sistema integrato di azioni di recupero, riqualificazione erifunzionalizzazione di parti urbane. Il Piano Strategico varato nel 2006 attribuisce al fiume Schelda il ruolodi asse portante ed elemento di raccordo degli interventi a nord e a sud del nucleo urbano storico.Marichela Sepe approfondisce il caso di HafenCity ad Amburgo, progetto di rigenerazione urbana che miraa restituire alla città la sua vocazione marittima. Identità storica, uso misto, accesso pubblico sono tra iprincipi fondativi degli interventi, finalizzati a coniugare il tessuto e la scala dimensionale della città sto-rica con funzioni e complessità di relazioni della città contemporanea. Alona Martinez-Perez e AriadnaPerich Capdeferro affrontano uno degli esempi più noti di rigenerazione urbana, il caso di Bilbao, ponendoin risalto il ruolo di catalizzatore assunto dal tracciato fluviale nel processo di rivitalizzazione del water-front. Architetture e spazi urbani interagiscono con l’acqua conferendo un nuovo volto ed una forteidentità all’area portuale e alla città industriale.

8.1 ANVERSA: CITTÀ MEDIA EUROPEA CON UN PORTO MONDIALE

AutoreGabriella Esposito De Vita

Parole chiavecittà porto - waterfront - piano strategico - recupero - attività mercantili

Focus del caso studio

Il rapporto con l’acqua di Anversa è emblematico ancorché peculiare e costituisce una si-gnificativa occasione per riflettere sulle trasformazioni dell’ambiente costruito in funzione dellefiorenti attività portuali. La specificità di Anversa – forse la chiave del suo successo – risiede inquella che potremmo definire con un ossimoro una “staticità dinamica”, una capacità dei suoi abi-tanti di restare profondamente radicati nel proprio contesto territoriale dal quale, terricoli, gesti-scono le dinamiche dei traffici via mare.

Sovente, le città d’acqua affidano al waterfront funzioni simboliche: celebrazioni delle tra-dizioni e culture locali, manifesti dei poteri forti, luoghi d’accoglienza o di difesa. Nel caso della ca-pitale delle Fiandre la dimensione funzionale prevale, oggi come ieri: il lungofiume tagliato dallebarriere antiesondazione è uno spazio subordinato alle esigenze della vita quotidiana, mentre ilporto si estende e muta velocemente al mutare della domanda di portualità.

Gli itinerari ciclabili all’interno dell’area portuale pongono in evidenza una realtà che nonpone limiti all’organizzazione logistica del porto, mitigandone gli effetti con la valorizzazione am-bientale di aree di particolare pregio. Un compromesso condiviso da istituzioni e cittadini checonduce la città costruita ad inchinarsi alle esigenze del nodo marittimo. Nel contempo, lo svi-luppo urbano e la qualità della vita nella città consolidata sono affidate proprio al recupero diaree lungo il fiume dismesse a causa dell’evoluzione tecnologica delle attività portuali: vestigiasimboliche di un passato marittimo glorioso e di un futuro marittimo sul quale si scommette.

Inquadramento storico, urbanistico e marittimo

Situata sulla riva destra dello Schelda, a circa 90 km dal mare del Nord, Anversa ha godutodi una notevole importanza commerciale e strategica dovuta ad una vantaggiosa posizione geo-

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grafica, già all’epoca dell’Impero Romano. L’origine stessa della città, e del suo nome, è legatastrettamente alla configurazione orografica: “porto sulla riva di un fiume” cioè sulla roccaforte inun’ansa del fiume Schelda dove sorse il nucleo originario del centro abitato. (Suykens, Asaert,De Vos, Thijis e Veraghtert, 1996; p. 17).

Le prime notizie del suo insediamento risalgono al 640 e fino al IX secolo si articolava in vil-laggi di pescatori; a seguito di opere di bonifica l’area cominciò ad assumere l’aspetto di una città,sviluppandosi per cerchi concentrici con mura successive, ancora oggi visibili nello schema dellestrade. Nel XIII secolo le venne riconosciuto il ruolo di città, insieme ad una certa rinomanza qualecentro mercantile. Al principio del XIV secolo era già divenuta un importante centro di transito deltraffico commerciale tra la Germania e il mare del Nord, annichilendo la concorrenza di Bruges. Lacittà divenne punto di riferimento commerciale della corona inglese e numerose compagnie, e traqueste la Lega Anseatica, scelsero Anversa come loro sede. La città iniziò così a popolarsi di mer-canti forestieri, anche italiani, che trattavano prodotti d’ogni genere. Una tale ricchezza non sa-rebbe stata senz’altro possibile senza capitali finanziari, istituzioni e abilità nel manipolarli. La cittàfiamminga svolse, infatti, un ruolo cruciale nello sviluppo di tecniche essenziali per complessetransazioni finanziarie; l’utilizzo di banconote, le operazioni di girata, le moderne procedure disconto si svilupparono proprio ad Anversa. Grazie ai collegamenti fluviali ed alle sinergie messe incampo, nel sedicesimo secolo la città divenne un porto commerciale senza rivali e la sua opulenzacominciò a manifestarsi anche nelle arti. Ludovico Guicciardini (Firenze 1521-Anversa 1589) – pro-tagonista e prezioso estensore della “Descrittione di tutti i Paesi Bassi” – testimonia la straordinariaimportanza a livello europeo assunta da Anversa, quando vi approdarono le più importanti casatedi banchieri “tutte famiglie di gran seguito e di grandissimo traffico” e sulle banchine del suo portoiniziarono ad approdare in gran numero navi cariche di mercanzie provenienti da ogni angolo delmondo conosciuto.

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Fig. 1 - Lungofiume di Anversa.

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OFig. 2 - Foto satellitare dell’estuario dello Schelda e rappresentazione cartografica del centro città tra le anse del fiume.Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/File:Schelde_4.25121E_51.26519N.jpg; http://www.antwerpen.be.

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Nel 1542, anno della costruzione delle nuove mura della città, si registra un nuovo slancioattraverso l’indizione di importanti fiere e traffici commerciali; lo sviluppo di Anversa fu rapido, frail 1505 e il 1545 i proventi della sua dogana raddoppiarono, anche grazie ai metalli preziosi pro-venienti dal nuovo mondo. Nel 1566, poco prima dell’inesorabile declino, la popolazione toccò unapice di circa 200.000 abitanti, un numero decisamente enorme per quei tempi, in gran parte do-vuto non al saldo naturale ma alla consistente presenza di immigrati; un’immigrazione qualificatadi uomini che arricchirono con le proprie competenze la città, ne fecero un centro finanziarioavanzato e ne innovarono le capacità tecniche ed artistiche.

Molto più tardi Anversa diverrà una delle porte di accesso al nuovo mondo e simbolo delledinamiche migratorie; tra il 1873 ed il 1935 la Red Star Line shipping company ha trasportato circatre milioni di persone in America e Canada.

Allo stato attuale Anversa rappresenta una città di medie dimensioni – che fa parte del co-stituendo sistema metropolitano NWMA (nord-ovest) internazionale che va da Bruxelles a L’Aja –con un porto di livello mondiale. Gli antichi fasti portuali sono stati, infatti, rinverditi grazie alla ca-pacità delle istituzioni locali di assecondare l’evoluzione delle tecnologie marittime ed anticiparela domanda di mobilità via mare, subordinando le trasformazioni urbane alle trasformazioni del

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Fig. 3 - Il vascello d’oro che sormonta la corporazione degli armatori in Grote Markt, il castello duecentesco Het Steen ele strade del centro storico.

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porto, anche a danno delle vestigia del passato. Nel paesaggio portuale gli impianti sono punteg-giati dai campanili di chiese che testimoniano, uniche vestigia del passato, la quantità di piccolivillaggi fagocitati dal polo petrolchimico. Le condizioni logistiche privilegiate dell’area suppor-tano anche la concentrazione industriale, in particolare nel settore chimico, ed altre attività colle-gate al nodo portuale in modo indiretto. Nell’immaginario collettivo, infine, Anversa è la città sim-bolo del commercio e della lavorazione dei diamanti. Ancora una volta merci preziose giungonoda lontani luoghi esotici – dove spesso costano vite umane – ed assurgono qui a nuova vita.

Come si è evidenziato in queste pur brevi note, in Anversa si riscontra una singolare unitàtra dimensione marittima, evoluzione storica e sviluppo urbanistico. A partire dall’originaria sceltalocalizzativa è apparsa immediatamente evidente la vocazione mercantile in chiave marittima e lavolontà di conquistare e mantenere la posizione dominante, ponendo in campo le sinergie op-portune. Altre città posseggono gli stessi vantaggi di posizione, massa critica e tempismo, manella capitale fiamminga tutte le strategie, le politiche, le azioni, gli obiettivi pubblici e privati, con-vergono a sostenere lo sviluppo senza ostacoli del porto e di tutte le attività ad esso connesse.Alla base della scelta del caso studio è, da un lato, questa capacità locale di creare sinergie tratutte le componenti del territorio per perseguire il proprio ruolo “marittimo”, dall’altro, la necessitàdi una “renovatio urbis” che rilanci uno spazio urbano in declino e che riconnetta una frammen-tazione fisica e sociale di una “world city” dal carattere multiculturale (Secchi, 2007).

Descrizione del caso studio

L’esperienza della capitale delle Fiandre si presta ad un approfondimento del tema dellecittà d’acqua per la propria eccezionalità sotto diversi profili.

Si tratta di un porto di rilevanza mondiale che ha saputo svolgere il ruolo di crocevia tra ilBaltico ed il Mediterraneo attraverso i secoli ed ha rappresentato un ponte con il “nuovo mondo”.

La diversità culturale e la dinamicità relazionale hanno caratterizzato l’attività portuale, chesi è reinventata dopo ogni crisi, avvolgendo con le sue forme mutevoli la città di pietra.

Quest’ultima, la cui solidità ed identità semantica apparentemente immutabili testimo-niano la vocazione di un popolo profondamente radicato nel proprio territorio ma avvezzo agliscambi ed ai traffici con il mondo, muta e fluisce come le acque che la innervano.

Si è dotata di un Piano Strutturale (2006) e di un Masterplan (2008) che scommettonosul waterfront e sul sedime portuale dismesso per adeguare la città ai mutamenti socio-eco-nomici indotti dalla globalizzazione rispondendo, così ad una domanda complessa e multicul-turale di città.

L’accessibilità e la molteplicità dei supporti logistici offerti sono le parole chiave di politichee strategie che hanno consentito di perpetuare ed incrementare il successo quale città portuale.Studi di settore evidenziano come il porto di Anversa non rappresenti solo un luogo di raccolta esmistamento (sfruttando i collegamenti esistenti tra il trasporto marittimo e la rete di trasportomultimodale europea), di stoccaggio e vendita (viene definito il “supermarket d’Europa” in posi-zione privilegiata rispetto alla concentrazione del potere d’acquisto europeo) e di nodo intermo-dale. Nonostante risenta della crisi globale in atto, la solida catena di servizi offerta e le sinergieistituzionali messe in campo, unitamente a 5,3 milioni di mq di capannoni variamente attrezzati ealla flessibilità delle strutture, consentono al sistema di tenere.

Per valorizzare il rapporto tra la città ed il porto che la inviluppa e, soprattutto con un pas-sato portuale che ne ha determinato l’identità – in Grote Markt l’edificio simbolo è quello dellacorporazione degli armatori, sormontato da un vascello a vele spiegate – la città si è affidata adun sistema integrato di azioni di recupero, riqualificazione, rifunzionalizzazione di parti di città chein passato erano destinate ad attività connesse al porto ed alla mobilità. Anversa si è, quindi, do-tata di un Piano Strategico, varato nel 2006, che prende atto della presenza preponderante delporto nella vita cittadina e attribuisce al fiume il ruolo di asse portante del progetto e di raccordodegli interventi a nord e a sud del nucleo urbano storico. Come si vedrà, il piano di Secchi eViganò individua nel lungo fiume l’asse “duro” delle trasformazioni di una città che si connota

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quale città d’acqua, con il proprio paesaggio fluviale, e città porosa, per i vuoti della dismissioneindustriale. (Secchi, Viganò, 2009)

Le città portuali, forse in virtù della fluida dinamicità dell’elemento acquatico, sono acco-munate da una singolare capacità di reinventarsi, riadattare i propri spazi e adeguarsi allo scorreredel tempo. Da questo punto di vista Anversa costituisce un esempio emblematico della capacitàdi perpetuare i successi del proprio porto. I grandi porti internazionali altamente ingegnerizzati siusa considerarli come città nelle città, avulse dal contesto, nel caso di Anversa, invece, si può direche la città è avviluppata dal proprio porto-megalopoli, innervato da venti chilometri di strade episte ciclabili (sono previste visite guidate tra moli e raffinerie e distribuite mappe dettagliate).

Per completare questa immagine di città-mondo, nella zona dei docks le strade hanno inomi dei luoghi con i quali la città ha intessuto traffici nella sua storia, da Montevideo a Londra,da Napoli a Calcutta, dal Pireo a New York.

Questo crocevia di nazionalità, culture, idee, ricchezze è la naturale cerniera tra il Baltico edil Mediterraneo ed è quindi naturale che dal fiume e dalle attività portuali provenga la sua linfavitale: da un lato, si persegue l’espansione e l’adeguamento dell’area portuale e, dall’altro, ilrecupero di aree precedentemente occupate da attività correlate al porto.

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Fig. 4 - Il porto di Anversa (Foto di Marcella De Martino).

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La ricchezza culturale e materiale che il porto ha donato alla città di Rubens riappare qualemanifesto programmatico delle trasformazioni realizzate ed in atto: a partire dal ’t Zuid a sud,quartiere un tempo di depositi mercantili, che è stato riconvertito attraverso microinterventi egrandi opere di archistars, tra le quali emerge il Palazzo di Giustizia di Richard Rogers ed è diven-tato teatro di attività connesse al fashion system ed al turismo. (http://www.tzuid.eu/) Attività ri-cettive, commerciali e per il tempo libero costituiscono il tessuto connettivo sul quale si incardi-nano itinerari museali, come il MuHKA, il museo di arte contemporanea, il FotoMuseum, dedicatoalla fotografia, e poi il MoMu, il museo della moda. Ancora più a sud sono in atto progetti di recu-pero delle zone industriali sulle rive dello Schelda a Hoboken, avviati nel settembre 2004. La cittàdi Anversa, di concerto con i diversi attori interessati alle trasformazioni, sta investendo nella rivi-talizzazione delle zone industriali esistenti per rispondere ad una domanda crescente di spazi permolteplici attività.

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Fig. 5 - Porto e città si integrano e dialogano.

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L’attuale scenario di progetti ed interventi in corso affonda le radici in un processo avviatoagli inizi degli anni novanta con l’idea progettuale Stad aan de Stroom che investigava le possibi-lità di integrare il fiume ed il tessuto urbano ai due lati del corso d’acqua, mediante una serie diinterventi di recupero di aree portuali dismesse a sud, lungo le banchine dello Schelda e inEinlandje. (van de Put, 2007)

Abbandonato il tema generale, nel 1994 si sono sviluppati progetti piccoli e grandi chehanno trasformato “spontaneamente” parti di città; il processo di rinnovo ha coinvolto edifici d’e-poca cui viene attribuito un nuovo uso, affiancandovi nuove realizzazioni: un silos per granagliediventa un museo di arte contemporanea, una stazione cargo è trasformata in una banca, un ga-rage in biblioteca (Permeke Library), una fabbrica in un nuovo centro amministrativo municipale(Den Bell), i magazzini (Ruys-Natie, Godefridus, the Kempeneers, Sint Felix) sono trasformati inlofts, grandi magazzini, uffici o archivi municipali. Ma non di solo recupero si tratta; anche l’archi-tettura contemporanea ha trovato spazio con nuovi edifici quali l’ostello della gioventù, il DesignCentre De Meerminne nel campus cittadino dell’Università di Antwerp.

La realizzazione del nuovo MAS Museum on the River – un museo sul rapporto tra Anversae il proprio porto – segna un’area caratterizzata da torri, quali le controverse torri residenzialilungo Kattendijkdok. Progetti di ampio respiro, quali il già citato Palazzo di Giustizia dalle gugliein alluminio di Richard Rogers, si sono affiancati ad importanti opere in itinere di rinnovo deglispazi pubblici urbani: strade, piazze, parchi.

Quando la città si è dotata di un piano strategico (s-RSA) nel 2006 e il piano di protezionedel sistema fluviale denominato Sigma Plan (http://www.sigmaplan.be/) è stato tradotto in con-corso d’idee per la redazione di un masterplan, si è avviato organicamente il processo definito daSecchi e Viganò di renovatio urbis. Si è colta l’occasione del ridisegno di sei chilometri di banchinefluviali nel cuore della città previsto dal Sigma plan per andare oltre l’aspetto infrastrutturale otecnico e proporre il waterfront quale spazio strategico di sviluppo. La sfida del waterfront, che ha

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Fig. 6 - Lo scenario del lungofiume dove convivono attività urbane e portuali.

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un ruolo preminente nella mappa mentale di ogni cittadino di Anversa che è riconosciuto ed ac-centuato dal piano strategico, è stata affrontata dai cinque gruppi di progettazione invitati adesprimersi secondo due approcci opposti. (van de Put, 2007) All’orientamento che privilegiava l’i-dea di ricongiungere lungofiume e città densificandolo fisicamente e funzionalmente è stato pre-ferito quello orientato a mantenere uno spazio di decompressione, declinando il tema della bar-riera come un vuoto intermedio tra fiume e città con un flessibilità elevata. Il gruppo PROAP vin-citore del concorso sviluppa un abaco di possibili soluzioni strategiche coerenti tra loro che, piùche una soluzione vincolante, rappresentano una metodologia d’intervento. (Servillo, 2009)

Si riconnettono, attraverso il waterfront, le aree a nord ed a sud della città storica, gli inter-venti di natura pubblica con interventi di iniziativa privata, i progetti simbolici con quelli a carat-tere sociale.

Il piano per il rinnovo delle banchine lungo lo Schelda è stato presentato al pubblico nel2009. Il miglioramento delle relazioni tra lo Schelda e la inner city è uno dei principali obiettividell’ambizioso Masterplan Scheldekaaien (Piano delle banchine dello Schelda). L’area quindi di-verrà la connessione, con implicazioni culturali, tra la città ed il porto e tra le parti della città: ilBoeienweide nell’area di Linkeroever (riva sinistra) che costituisce dal 1961 un museo marittimoall’aperto dovrà essere rinnovato e valorizzato in modo da evidenziare maggiormente le relazionicon la riva destra (Rechteroever) ed, in particolare, con il ‘maritime thread’ costituito dal MAS e dalRed Star Line museum di prossima apertura.

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Fig. 7 - Il Masterplan vincitore. Fonte http://www.d-recta.it/masterplan-del-waterfront-di-anversa-it.htm.

Fig. 8 - L’area nord con la sistemazione di Het Eilandje.

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A nord l’ambito dell’antico porto (Het Eilandje) è teatro di una serie di ambiziosi progetti direcupero e valorizzazione che, nelle intenzioni dell’amministrazione locale, ne faranno il fulcrodella vita cittadina nei prossimi anni. La Promenade nell’Eilandje district corre lungo le banchinedei vecchi docks offrendo un accesso idoneo alla nuova marina. L’area pubblica degli antichidocks sta assumendo un nuovo aspetto a partire dalla realizzazione, nel 2008, degli archivi citta-dini nel rinnovato deposito Felix (Felixpakhuis), il Willemdok è stato rinnovato come una marina,il Bonapartedok ospita il bacino-museo delle navi storiche a vela, lungo Kattendijkdok sono in co-struzione sei torri residenziali. Per giungere alla realizzazione di un nuovo faro con il MAS, recen-temente inaugurato e, nello stesso ambito, al sito rinnovato della Red Star Line che costituirà l’at-trattore del distretto Montevideo; insieme al restaurato deposito Shop and Montevideo (datati1895) ed al ridisegnato Limaplein (Chris Poulissen & Partners), mercato multiculturale coperto diduemila metri quadrati.

Una particolare attenzione deve essere tributata al recupero dei capannoni della Red StarLine. Al volgere del secolo la compagnia di navigazione costruì tre capannoni portuali per le ispe-zioni mediche ed amministrative obbligatorie per gli emigranti che provenivano da tutta Europa,diretti in USA e Canada. Il primo realizzato fu lo RSL1 – capannone in mattoni rossi di circa quat-trocento metriquadrati costruito nel 1894 per svolgervi i servizi ai migranti che prima si svolge-vano sulle banchine all’aperto – che presto si rivelò insufficiente e portò alla realizzazionedell’RSL2 (Montevideostraat) poco prima della Prima Guerra Mondiale. Il terzo edificio fu costruitointorno al 1922, a seguito delle restrizioni negli ingressi in USA ed all’incremento dei controlli me-dici ed amministrativi necessari. Dalla seconda metà del XX secolo il complesso fu usato per variefunzioni e si deteriorò fino al riconoscimento, all’inizio del XXI secolo del suo valore storico e dellanecessità di tutelarlo.

Non è casuale che lo studio di progettazione statunitense che ha realizzato il museo inAnversa è lo stesso che ha provveduto al rinnovo di Ellis Island ed alla sua trasformazione in mu-seo dell’immigrazione; le due opere insieme rappresentano la storia della migrazione di massaverso l’America al volgere del secolo scorso. Ma non si tratta solo di una celebrazione del passatoma di un modo per interpretare la via contemporanea alle migrazioni; il valore simbolico dei ca-pannoni sulla Rijnkaai, ultima tappa europea di un imponente esodo di milioni di persone, ri-manda infatti allo scenario attuale dei flussi dei “third-class passengers”. Nel museo sarà possibileimmedesimarsi nello spirito dei migranti ripercorrendo la stessa trafila cui erano sottoposti i viag-giatori a basso reddito in quelli che oggi vengono chiamati viaggi della disperazione. Accanto aquesto spaccato di vita vissuta si potranno visitare esposizioni dinamiche della collezione dellaRed Star Line e di installazioni e video realizzate ad hoc, mentre una struttura a torre con una piat-taforma panoramica consentirà la vista sullo Schelda.

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Fig. 9 - Il nuovo aspetto dell’area dell’Isola con il MAS.

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Accanto ai progetti “manifesto” che la città di Anversa sta portando avanti e che contribui-scono ad accrescerne la competitività in ambito europeo ed a supportare lo sviluppo delle attivitàportuali, si registrano attività orientate al miglioramento della qualità della vita urbana ed all’in-clusione sociale, con particolare attenzione all’alloggio ed ai servizi urbani. In questa logica rien-trano l’Housing Contract – che attraverso la cooperazione pubblico-privato mira ad incrementaresignificativamente l’accesso all’alloggio da parte delle categorie sociali deboli in ambiti strategicie non ai margini del tessuto urbano (http://www.politiquedesgrandesvilles.be/cities/antwerp/housing-contract) – ma anche interventi per la realizzazione di parchi urbani e servizi per il tempolibero in aree dimesse degradate – si pensi al Park Spoor Noord, spazio verde per cultura, sport etempo libero inaugurato nel 2009 e realizzato su 24 ettari di demanio ferroviario.

I progetti a sfondo sociale culturale ed ecologico, anche quando sono lontani dall’elementoacquatico, costituiscono le componenti di un sistema il cui baricentro è il fiume e le attività che visi svolgono.

RIFERIMENTI

Bibliografia

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(ed. orig. Oxford University Press, 1996).Guicciardini L. (1581), Descrittione Di Tutti I Paesi Bassi, Altrimenti Detti Germania Inferiore Di M. Lodovico

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8.2 AMBURGO: PROGETTO URBANO E RIGENERAZIONE CREATIVA AD HAFENCITY

AutoreMarichela Sepe

Parole chiavecittà marittima - uso misto - integrazione - identità dei luoghi - rigenerazione creativa

Focus del caso studio

Il progetto urbano per Hafencity si basa su una forte interazione tra terra e acqua alloscopo di riportare l’identità di Amburgo a quella di città marittima e conferirle allo stesso tempoun’immagine di innovazione. Uso misto del suolo, attenzione agli spazi pubblici del waterfront,qualità architettonica e urbana, integrazione con la città consolidata e sostenibilità degli inter-venti sono tra i principali fattori che caratterizzano il progetto (Fig. 1).

Nei 100 ettari di terreno un tempo occupati da vecchi depositi e magazzini sono in corso direalizzazione un mix di attività commerciali e per il tempo libero, parchi, piazze, passeggiate, un’ef-ficiente rete infrastrutturale e un insieme di attività diurne e notturne che si mescoleranno comenelle città ottocentesche. L’idea è quella di dare vita ad un’area circondata dall’acqua in grado diconiugare il tessuto e la scala dimensionale della città storica con la varietà di funzioni e la com-plessità di relazioni proprie della città contemporanea.

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Fig. 1 - Planimetria di Hafencity (Illustrazione lab3 mediendesign; Fonte HafenCity Hamburg Gmb).

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Inquadramento storico, urbanistico e marittimo

La storia ha assunto per Hafencity un ruolo fondamentale per la pianificazione dell’inter-vento e per molte scelte di natura architettonica ed urbana (Fig. 2).

Amburgo è il principale porto tedesco e uno dei maggiori scali marittimi europei collegato,tramite vie fluviali, canali navigabili e una fitta rete stradale e ferroviaria, con gran partedell’Europa centrale e settentrionale. Capitale dello stato confederato omonimo, è la seconda cittàdella Germania dopo Berlino e costituisce centro commerciale, industriale e culturale di notevolerilevanza. Attraverso l’imponente complesso portuale transitano le merci importate e i prodottimanifatturieri destinati all’esportazione.

La città nasce nel luogo dove il fiume Alster confluisce con l’Elba. Prima di confluirenell’Elba, l’Alster crea un grosso bacino detto Aussenalster, separato da un secondo più piccolo, ilBinnenalster, attraverso una stretta striscia di terra attraversata da arterie stradali. Da qui le acquedel fiume sono convogliate in vari canali, che con i loro caratteristici ponti contraddistinguono lacittà vecchia, circondata dagli antichi bastioni, oggi trasformati in passeggiate e giardini pubblici.

Le origini di Amburgo risalgono all’800, ma è dal 1189 che diventa nota grazie alla Cartadell’imperatore Federico I detto il Barbarossa che la rese Libera Città Imperiale garantendole di-versi privilegi tra cui quello che stabiliva che sul fiume Elba le navi di Amburgo fossero esenti dalpagamento delle tasse doganali. Da allora Amburgo ebbe libero accesso al mare e il porto, in virtùanche della vicinanza con le rotte commerciali del Mare del Nord e del Baltico, divenne il mag-giore dell’Europa settentrionale.

Nella prima metà del 1200 entra a far parte della Lega Anseatica, associazione di città mer-cantili del Nord Europa la cui capitale è stata per lungo tempo Lubecca. Amburgo giocò a ri-guardo un ruolo chiave e, anche quando la Lega Anseatica iniziò ad affievolirsi, essa continuò aprosperare grazie ai mercanti provenienti dai Paesi Bassi e dalla Francia che lì si rifugiarono dopoessere sfuggiti alle persecuzioni religiose.

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Fig. 2 - Hafencity, vista aerea del progetto (Foto di ELBE&FLUT; Fonte HafenCity Hamburg GmbH).

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Amburgo ebbe il periodo di maggiore sviluppo nel 1800 quando diventò il terzo portod’Europa favorita dai commerci sull’Atlantico. Dalla prima metà del IXX secolo, gli Stati del SudAmerica diventarono importanti partner commerciali degli armatori e dei mercanti di Amburgo. Ilvolume di carico cominciò in questo modo ad aumentare notevolmente, tanto da richiedere lacreazione del primo bacino portuale moderno, il Sandtorhafen, costruito tra il 1863 e il 1866. Nelcorso del secolo, la struttura portuale evolse fino ad avere la forma di HafenCity. Sulla scia delSandtorhafen si costruirono altri bacini portuali: Grasbrookhafen (1872-81), Magdeburger Hafen(1872), Brooktorhafen (1880) e Baakenhafen (1887). Per proteggere gli impianti portuali dalleinondazioni, le paludi basse furono sollevate progressivamente a quattro-cinque metri sul livellodel mare.

Nel 1842, il Grande Incendio distrusse circa un terzo della città vecchia portando ingentidanni agli edifici. Il lavoro di ricostruzione durò oltre 40 anni. Alla fine del 1800, il porto di imbarcodiventò sempre più importante per il crescente numero di emigranti europei per il Nord e il SudAmerica. Per loro, Amburgo fu la porta d’ingresso al mondo. Uno dei primi terminali per l’emigra-zione fu costruito a Strandkai e fu fino al 1900 che la cosiddetta Città degli Emigranti fu stabilitain Veddel, isola dell’Elba. Per diversi decenni il sito di HafenCity è stato quindi uno scenario di cre-scita senza precedenti, un punto focale per gli eventi di significato storico.

Con la prima guerra mondiale, Amburgo perse molte delle sue navi commerciali e con laseconda guerra, rappresentando allo stesso tempo importante snodo del trasporto pubblico e lo-calizzazione industriale, divenne obiettivo per i bombardamenti degli Alleati che distrussero granparte del porto.

Dopo il 1945, ricominciò la ricostruzione e insieme ad essa si ebbe anche una crescita con-sistente nella movimentazione delle merci. Nel tempo l’importanza del territorio come sede indu-

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Fig. 3 - Am Sandtorkai, velieri tradizionali.

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striale iniziò a diminuire, finché nel 1997, il Senato prese la decisione di creare una nuova città,HafenCity, e di finanziare l’ampliamento del porto di Altenwerder.

Oggi il quartiere dei magazzini in mattoni Speicherstadt funge da elemento connettivo eportale d’ingresso. Riconosciuto come monumento storico, visivamente è rimasto in gran parteinvariato. Dietro la cortina continua di mattoni si sono trasferiti, oltre ai musei e al tradizionalestoccaggio delle merci, le agenzie multimediali e le imprese creative e di eventi culturali.

Per HafenCity i bacini del vecchio porto sono diventati una caratteristica importante. I moli,ancora in fase di restauro, già contribuiscono all’attrattività di HafenCity. All’identità tangibile,si unisce il patrimonio immateriale di tradizioni che viene valorizzato e reinterpretato oggi indiversi modi, come nel caso del bacino Sandtorhafen dove è stata ricostruita una nave tradizio-nale con i piroscafi storici, i velieri e le gru (Fig. 3), contribuendo a ricreare l’atmosfera storica(http://www.hafencity.com).

Descrizione del caso studio

HafenCity

Il caso studio di Amburgo riguarda la rigenerazione dell’area di HafenCity che coniugamolti aspetti insieme: la realizzazione di edifici per la cultura, il recupero di edifici per la ricostru-zione del profilo sul mare, la costruzione di due piazze con forte riferimento al rapporto terra edacqua e l’utilizzo delle maree quale elemento di design, la costruzione di un museo marittimo e diun nuovo terminale per le navi. Il sistema di progetti che è in corso di realizzazione mira a coniu-gare trasformazione edilizia e qualità architettonica, sostenibilità e marketing urbano, comunica-zione e consenso.

Il progetto urbano di Hafencity è riconosciuto come uno dei più grandi e ambiziosi a livelloeuropeo. Pur prevedendo solo una parziale riconversione dei magazzini portuali il progetto in-tende restituire alla città storica la sua vocazione di città marittima.

HafenCity si trova in una parte della città ottimale, a meno di un chilometro di distanza dalMunicipio di Amburgo e dal centro città, i musei, la stazione ferroviaria e gli altri servizi. È inoltrefacilmente raggiungibile anche a piedi. Questa prossimità al centro cittadino garantisce la frui-zione dei servizi di HafenCity anche da parte dei cittadini del resto di Amburgo. I nuovi 10 km diwaterfront sull’Elba assumono in questo modo il valore di un concreto ricongiungimento dellacittà al fiume.

HafenCity Hamburg è stato approvato nel 1998 a seguito di un concorso di architetturache, su un totale di 175 partecipanti, ha visto vincitori 8 studi, corrispondenti agli interventi previ-sti nelle 8 macroaree individuate. Il progetto consente al centro cittadino di ampliarsi e, contem-poraneamente, di incontrarsi con il mondo portuale al di là del fiume Elba, da decenni sempre piùrelegato nella parte meridionale.

L’area costituirà un nuovo centro della città caratterizzato da alti standard di qualità riflessinegli usi misti, nell’alta qualità della sua architettura e degli spazi aperti e nei diversi riferimentiall’acqua (Falk, 2008). Sarà inoltre realizzata una nuova rete infrastrutturale (taxi fluviali, linea dellametropolitana) per collegare velocemente gli spazi di nuova progettazione con l’attuale centrodi Amburgo.

La realizzazione di HafenCity incrementerà la superficie della vecchia città medievale del40% in 20 anni. I 155 ettari complessivi, distribuiti in 12 quartieri distinti, sono per un terzo fattid’acqua e per due terzi di terra.

Entro il 2020 ad Hafencity è previsto che andranno a vivere 12000 abitanti, vi sarà un af-flusso alle nuove super-strutture culturali di circa 3 milioni di visitatori l’anno e saranno creati po-sti per circa 20000 lavoratori nel settore dei servizi. La posizione del sito ha già contributo a ri-chiamare investitori portando un notevole incremento degli scambi del porto. (http://www.ha-fencity.com).

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Rigenerazione urbana e creatività

I progetti di rigenerazione dei waterfront urbani stanno diventando oggi i nuovi elementidi attrazione delle città. Si tratta di progetti complessi che riguardano aree portuali, sponde deifiumi o gli argini, prima utilizzate per attività produttive poi in seguito abbandonate per differentimotivi (Fig. 4). Partendo dal recupero delle aree industriali dismesse, le città intendono vincere lesfide della competitività, da una parte promuovendo nuovi attrattori culturali, dall’altra recupe-rando intere parti ad uso residenziale e terziario (Guala, 2002).

La creazione di un ambiente urbano favorevole all’insediamento di attività innovativerichiede la costruzione a livello locale di un sistema produttivo specializzato e la predisposizionedi un ambiente urbano in grado di appoggiare la sperimentazione di pratiche consensuali digoverno del territorio. Le tradizionali politiche di recupero urbano fondate principalmente sulcombattere l’esclusione sociale e costruite soprattutto su interventi fisici si stanno oggi modifi-cando in politiche che tengono in considerazione che le città non sono solo edifici e strutture ma-teriali, ma anche persone, reti ed elementi intangibili, quali la memoria, la storia, le relazioni sociali,le esperienze emozionali, le identità culturali (Carta, 2004; Landry, 2000; Scott, 2006; Sepe, 2007;Sepe, 2009).

Le rigenerazioni dei waterfront urbani fanno parte delle complesse operazioni creative chestanno interessando molte città europee. La città creativa è una città in grado di generare econo-mie dell’innovazione, della cultura, della ricerca, della produzione artistica e rafforzare il propriocapitale identitario. L’obiettivo non è solo di far crescere le economie della cultura, ma di produrrenuove economie avendo come punto di partenza il capitale culturale, inteso quale elemento dimassima sintesi dell’identità tangibile e intangibile dei luoghi, e di metterlo a sistema insieme congli altri capitali urbani (Florida, 2005).

Nell’ambito delle città creative più evolute possiamo riconoscere due tipi di cluster creativi:quello culturale e quello di eventi (Caroli, 2004; Carta, 2007). Riguardo a quello culturale, a cui è

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Fig. 4 - Masterplan al Marzo 2010 (Foto di Michael Korol; Fonte: HafenCity Hamburg GmbH).

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possibile riferire il caso di Hafencity (Sepe, 2010) l’azione di supporto pubblico nella fase di avviodel cluster serve per dare credibilità al progetto e consente una visibilità a livello internazionale.Le politiche territoriali sono in questo caso tese a creare le condizioni socio-economiche per svi-luppare un ambiente urbano che attragga gli attori interessati al dominio culturale. Allo stessotempo sono rivolte a promuovere le attività già presenti organizzando eventi e manifestazioni ocostruendo eventuali infrastrutture di collegamento. Altri esempi emblematici di recupero deiwaterfront possiamo ritrovarli nella Ciudad di Valencia, nel Baltic di New Castle, negli Albert Dockse nella Tate di Liverpool. L’altro tipo è il cluster creativo di eventi, il cui sviluppo ha la sua originedall’organizzazione di grandi eventi e manifestazioni ricreativo-culturali di tipo diverso, da quellefieristiche a quelle artistiche, da quelle sportive a quelle religiose. I cluster di eventi riguardano leEsposizioni Universali (Sepe, 2009), le Olimpiadi, l’America’s cup, le Capitali Europee della Cultura.Questo tipo di manifestazioni si basano su attività legate al tempo libero e sono connesse dallaconsiderazione che la città assume in relazione a questi eventi, per la cui organizzazione e rea-lizzazione addensa imprese, sponsor, fruitori e turisti che a loro volta influenzano il gradimentodella città.

Le operazioni di rigenerazione dei waterfront di maggiore successo hanno ispirato laredazione dei 10 principi per lo sviluppo sostenibile dei Waterfront urbani fissati durante la con-ferenza mondiale delle Nazioni Unite Urban 21 svoltasi a Berlino nel 2000 ed elaborati nei se-minari promossi in collaborazione con il Centro Internazionale Città sulle acque di Venezia(www.waterfront-net.org).

Tali principi - 1) Fissare la qualità delle acque e dell’ambiente, 2) I Waterfronts sono partedel tessuto urbano esistente, 3) L’identità storica dà carattere al luogo, 4) L’uso misto è una prio-rità, 5) L’accesso pubblico è una condizione necessaria, 6) La pianificazione in partnerariati pub-blico-privati velocizza il processo, 7) La partecipazione del pubblico è un elemento di sostenibilità,8) I waterfronts sono progetti a lungo termine, 9) La Rivitalizzazione è un processo in corso, 10) Ilprofitto dei waterfronts trae beneficio dalle reti internazionali (Giovinazzi, Moretti, 2009) – pos-sono essere riconosciuti anche nel progetto per Hafencity così come è possibile dedurre dalladescrizione che segue. Il masterplan sarà illustrato ponendo attenzione alle fasi di sviluppo dellariqualificazione dell’intero progetto e scenderà nel dettaglio nelle parti più emblematiche del-l’intervento.

Il masterplan

L’attuazione del masterplan per l’area di Hafencity è stata preceduta da una fase politicache ha portato alla dichiarazione di interesse strategico del waterfront per lo sviluppo della co-munità di Amburgo, sul quale sono stati concentrati la maggior parte degli interessi e degli inter-venti. L’idea guida viene declinata attraverso numerosi concorsi di pianificazione e progettazioneurbana ed un forum internazionale di pianificazione (Carta, 2007).

L’attuazione del masterplan per l’area di Hafencity è stata preceduta da una dichiarazionedi interesse strategico del waterfront per lo sviluppo della comunità di Amburgo. Ad integrazionedel masterplan sono stati redatti diversi piani particolareggiati, tra cui il piano dei collegamenti, ilpiano delle destinazioni d’uso, il piano delle aree verdi e il piano di evacuazione in caso di allu-vione.

La riqualificazione del waterfront si è articolata in diverse fasi. Durante la prima fase è stataposta l’attenzione al tema dell’acqua intesa come elemento intorno al quale si sviluppa l’econo-mia della città. Ha seguito la fase caratterizzata, da una parte, dal declino dei cantieri navali con lacittà che si è rivolta verso il lato opposto al porto, al waterfront e al fiume e, dall’altra, dall’amplia-mento verso nuovi settori. Nella fase successiva il fattore crescita del turismo ha avuto un ruolofondamentale per far partire le strategie legate alla ridefinizione del sistema portuale. Quindi l’av-vio della fase di comunicazione con l’inizio di un dibattito pubblico sul tema del porto e del suoridisegno, che ha visto la partecipazione della comunità attraverso mostre, conferenze, concorsi epubblicazioni (Carta, 2007).

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Il progetto è suddiviso in otto ambiti principali con un articolato sistema di spazi privati epubblici interconnessi. L’uso misto è realizzato con il 3% dell’area dedicato al settore pubblicita-rio, l’8% alla cultura, alla scienza e alla educazione, il 33% alle residenze (circa 5.500 abitazioni per12.000 persone) e il 56% ai servizi, al terziario e al turismo. Inoltre il 35% della superficie sarà oc-cupata da edifici, il 25% da strade e attrezzature per il trasporto, il 36% da spazi pubblici e spaziprivati con accesso al pubblico. Solo il 4% di spazi privati non sarà accessibile al pubblico(Cavallari, 2009; Hafencity Hamburg, 2004-2006-2009-2010; Hamburg Port Authority, 2006; Falk,2008; Tzortzis, A. 2006; www.waterfrontcommunitiesproject.org). La fruibilità degli spazi privati, inparticolare nelle vicinanze delle funzioni dove può verificarsi un maggiore attrito tra visitatoriesterni, abitanti e lavoratori dell’area, è stato definito da un accordo che ne garantisce e regolal’uso al pubblico. Tranne le passeggiate, l’area totale, le strade e i parchi sono tra i 7,50 e gli 8,00metri sopra il livello dell’acqua creando una nuova topografia ed enfatizzando l’”atmosferaportuale”. Per la presenza dell’alta marea, è inoltre previsto un percorso di sicurezza per i pedoni ei ciclisti (Breckner, 2009). L’intera operazione è coordinata da una società privata a responsabilitàlimitata, la HafenCity Hamburg GmbH, posseduta dalla Libera Città Anseatica di Amburgo, chegestisce i rapporti pubblico-privato. Le funzioni principali riguardano il mettere a disposizione,sviluppare, commercializzare e vendere i suoli. La società è anche responsabile per la co-municazione, le relazioni con il pubblico, la gestione di eventi, la pubblicità e la promozione dellearti in loco.

Il punto iniziale per la costruzione di HafenCity è stato il quartiere Am Sandtorkai e i suoiedifici residenziali e per uffici. La nascita di questo quartiere è dovuta alla sua posizione tra il di-stretto dei magazzini di Speicherstadt e Sandtorhafen, il bacino portuale costruito nel XIX secolo.La tipologia costruttiva adottata per questo luogo garantisce agli edifici isolati una vista esclusivaverso il centro città ed il bacino. Ogni edificio, con un fluido disegno sul bordo della darsena, è a

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Fig. 5 - Il quartiere dei magazzini Speicherstadt.

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sbalzo sull’acqua e attrae la vista con il suo specifico carattere. Le chiatte in questo quartiere sonole uniche strutture a sporgere al di là del waterfront e della passeggiata parzialmente coperta. Iprogetti di architettura contemporanea, realizzati a pochi isolati di distanza dai magazzini in mat-toni, ancora occupati dai mercanti di tappeti orientali del XIX e inizio del XX secolo, dimostrano lastretta relazione che il moderno mantiene con gli edifici storici di Speicherstadt.

Dall’altro lato di Sandtorhafen si trova il quartiere Dalmannkai in fase di ultimazione, situatosu una lunga lingua di terra, dove circa 1300 persone si sono già trasferite, mentre stanno com-pletando i lavori per l’Elbphilarmonie Concert Hall, il progetto di riconversione industriale realiz-zato da Herzog & de Meuron (Fig. 5-6).

Questo auditorium della Filarmonica d’Elba, per il quale si prevede l’inaugurazione nel2010, si ergerà per 37 metri sopra un tradizionale magazzino in mattoni di cacao e caffè degli anni’60 che verrà trasformato in un enorme parcheggio e sul quale sarà costruita una struttura so-spesa e luminosa. Questa struttura, che ricorda la vela di una barca, dovrà accogliere una sala con-certi, un albergo, un centro conferenze, una gastronomia e diverse abitazioni.

Altri edifici portuali storici del quartiere diventeranno musei e centri d’interesse turistico.Un esempio di questo tipo di riconversione è il Viewpoint, una torre panoramica da poco inaugu-rata, che consente di guardare i lavori in corso sul porto. Il nuovo quartiere di Dalmannkai è lazona più varia, eterogenea e versatile di tutta HafenCity, e i suoi chioschi, bistrot, ristoranti e barsono diventati il punto d’incontro di residenti, lavoratori e visitatori (Fig. 7). Sono state realizzatecase di differenti dimensioni, design, posizione ed architettura, in grado di soddisfare un ampiospettro di esigenze. Le case hanno tutte un affaccio sull’acqua nonostante la densità degli edifici.Questo mix non è casuale, ma il risultato di un processo d’offerta attuato attraverso il principio deipiccoli concorsi per mantenere alta la qualità dei progetti. Accanto ad appartamenti di lusso, di-segnati ad esempio da Philippe Stark, si trovano abitazioni a prezzi medi, appartamenti privati dai3000 ai 3800 € al m2, e appartamenti in affitto a prezzi ragionevoli.

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Fig. 6 - Dalmannkai, Filarmonica d’Elba. Fonte: https://presse.hafencity.com, Fonte: Herzog & de Meuron.

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Le prescrizioni urbanistiche del comune hanno reso possibile conferire una tipologia uni-taria agli edifici abitativi presso le banchine non solo di Dalmannkai ma anche di Sandtorkai eKaiserkai; il tutto, senza generare un effetto complessivo monotono, poiché i progetti sono statirealizzati da diversi professionisti vincitori dei specifici concorsi, a cui hanno partecipato princi-palmente giovani architetti.

Sandtopark, situata tra Sandttorhafen e Überseequartier, è parte integrante del progettoper gli spazi aperti dell’ovest di HafenCity realizzato dallo studio EMBT di Barcellona i cui materialie caratteristiche sono stati ripresi dagli spazi attorno all’area e dagli edifici circostanti, contri-buendo alla sostenibilità del progetto.

Le due piazze (Fig. 8-9), le Terrazze Magellano all’estremità di Sandtorhafen e le TerrazzeMarco Polo all’estremità di Grasbrookhafen, anch’esse progettate dallo studio EMBT di Barcellona,sono costituite da passeggiate e percorsi pedonali articolati con giochi di altezze, spazi verdi espazi aperti con accesso attraverso i pontili al sistema delle superfici d’acqua (Breckner, 2009).

Alcune delle più importanti sedi aziendali di trovano al Brooktorkai, un quartiere con unaparticolare atmosfera marinara, circondata dagli edifici storici in mattoni di Speicherstadt, dalBrooktorhafen e dal corridoio d’acqua che collega il canale Hollandischbrookfleet (Fig. 10).

Ancora a Brooktorkai sono in costruzione la sede del Germanischer Loyd, per 2000 impie-gati, e quella del gruppo editoriale Spiegel (Fig. 11). A partire dal 2010 i suoi uffici di Amburgo sitrasferiranno su una superficie di circa 30.000 m2. Sul lato sud, a Elbtorquartier, si trova il famosoedificio Kaispeicher B, il più antico magazzino di HafenCity trasformato in museo della navi-gazione (Fig. 12).

Sulle sponde del fiume Elbe che percorrono questo quartiere, è in corso di progettazione laHafenCity Universität für Baukunst und Metropolenentwicklung, un’università dedicata all’archi-tettura e allo sviluppo delle metropoli.

Lo skyline dell’area di Strandkai è visibile da molto lontano grazie alle sette torri alte 55 me-tri: il disegno dei suoi edifici a blocco di 6-7 piani in media sarà interrotto da torri alte 15 piani.L’estremo est del quartiere è destinato principalmente a spazi per uffici e servizi, mentre, a causa

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Fig. 7 - Passeggiata sul Dalmannkai (Foto di Daniel Barthmann; Fonte: HafenCity Hamburg GmbH).

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Fig. 8 - Terrazze Magellano.

Fig. 9 - Terrazze Marco Polo (Foto di ELBE&FLUT; Fonte: HafenCity Hamburg GmbH).

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della vicinanza del terminal crocieristico, non sono previsti edifici residenziali, specialmente inprossimità del waterfront. Una parte della banchina ovest è invece destinata ad abitazioni, eccettoai piani terra riservati ad attrezzature di interesse pubblico quali negozi, bar e ristoranti (Fig. 13).

Il vero cuore di HafenCity è costituito da Überseequartier, un quartiere a funzioni miste chericopre una superficie di 7.9 ettari, dove ogni giorno si prevede arriveranno 40.000 visitatori, at-traverso il nuovo terminal croceristico situato proprio sul waterfront di questo quartiere (Fig. 14).Überseequartier, che andrà a costituire secondo le intenzioni del progetto il centro nevralgico di

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Fig. 11 - Brooktorkai, sede del gruppo editoriale Spiegel (Foto di ELBE&FLUT; Fonte: HafenCity Hamburg GmbH).

Fig. 10 - Vista del quartiere Brooktorkai (Foto di ELBE&FLUT; Fonte: HafenCity Hamburg GmbH).

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Fig. 12 - Elbtorquartier, museo della navigazione (Foto di ELBE&FLUT; Fonte: HafenCity Hamburg GmbH).

Fig. 13 - Strandkai, gradinate (Foto di ELBE&FLUT; Fonte: HafenCity Hamburg GmbH).

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HafenCity, si trova sull’intersezione degli assi di collegamento est-ovest e nord-sud. La sua strut-tura urbana sarà orientata parallelamente al Magdeburger Hafen, e le sue linee di sviluppo si pro-tenderanno in direzione dell’Elba, andando a creare un collegamento molto stretto con lo svi-luppo sulla riva del fiume.

Questa parte di città è stata pensata a misura d’uomo, connessa alla città storica dove vi-vere, lavorare, fare acquisti, usufruire di opportunità ricreative e culturali. Per ottenere questiobiettivi, sono state definite delle linee guida ben precise per quanto riguarda l’edificato, le desti-nazioni d’uso, la distribuzione degli spazi. La parola chiave dello sviluppo del quartiere è diversità.Gran parte degli edifici progettati avrà 6-7 piani, in analogia con le altezze presenti nella città an-tica; anche la struttura a blocchi compatti con corti interne richiama la densità edilizia della vicinaAmburgo storica. Solo alcuni edifici, posti in posizioni significative e panoramiche, raggiunge-ranno altezze maggiori, avranno funzioni di belvedere ed andranno a costituire dei nuovi land-mark all’interno del profilo urbano. Il piano urbanistico si è focalizzato in particolare sul Übersee-boulevard, che si snoda attraverso tutto il distretto come un fiume, curvando strade, inclinandofacciate e creando differenti spazi urbani. La sua larghezza non resta uniforme, ma si allarga in cor-rispondenza delle piazze che incontra sul suo percorso.

L’offerta di Überseequarter sarà arricchita dalla presenza dell’Hamburg Maritime Center,progettato da OMA, e dell’Hamburg Cruise Center di Massimiliano e Doriana Fuksas, un com-plesso che comprende un albergo di lusso, il terminal per le navi da crociera e quello per i bus.

Un altro landmark è infine lo Science Center di Rem Koolhaas, un edificio a forma di anellogigantesco verticale, che rappresenterà una sorta di grande porta simbolica visibile da lontano(Fig. 15).

Conclusioni

Il recupero di un waterfront urbano richiede che le attività che si localizzano in queste areesiano differenziate e che si inseriscano nei cicli di vita urbani così come vi sia la presenza di edificipubblici quali università, musei etc. Ciò consente un utilizzo continuo di questi luoghi e una pienaintegrazione di queste aree nella città con un conseguente aumento del gradimento per resi-denti, visitatori, turisti.

Il processo di rigenerazione che sta interessando l’area di Hafencity ad Amburgo è unadelle operazioni di riqualificazione urbana dalle dimensioni più estese in Europa. Con i suoi 155ettari di superficie, il progetto prevede nell’arco di vent’anni di realizzare una nuova parte di cittàcircondata dall’acqua, in cui vivere, lavorare, divertirsi.

Nel progetto sono stati presi in considerazione diversi fattori, tra cui l’identità storica, l’usomisto, l’accesso pubblico, riconducibili ai 10 principi per lo sviluppo sostenibile dei waterfront

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Fig. 14 - Überseequartier, Terminal crocieristico (Foto di Chr. Gebler; Fonte: HafenCity Hamburg GmbH).

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urbani che sembrano allo stato aver sortito effetti positivi. L’intera operazione è coordinata da unasocietà privata a responsabilità limitata, la HafenCity Hamburg GmbH, che gestisce i rapporti pub-blico-privato. La cittadinanza è stata inoltre resa partecipe del progetto fin dalle prime fasi, perrealizzare il nuovo pezzo di città in armonia con i desideri della collettività. Molti spettacoli sonoorganizzati in quest’area durante l’anno in modo da creare il legante del quartiere oltre che at-trarre visitatori.

Il progetto sarà completato tra il 2020 e il 2025, allo stato è possibile vedere completatesolo alcune parti, come il Sandtorkai, il Dalmannkai, parte del Uberseequartier, oltre che diversispazi pubblici. Hafencity catalizza l’interesse di molti locali che già sono andati a viverci e di turi-sti incuriositi dalla nuova area in progettazione, ma è ancora presto per fare un bilancio definitivo

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Fig. 15 - Science Center. Fonte: Illustrazione di Gärtner & Christ; Fonte: HafenCity Hamburg GmbH.

Fig. 16 - Docklands, Office building.

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del successo dell’operazione e comprendere se gli interessi economici, il benessere sociale e il ri-spetto per l’identità dei luoghi troveranno un giusto incontro. Per ora è possibile affermare chel’area è sicuramente attrattiva e sta ricreando un forte rapporto con l’acqua e il porto, grazie an-che alle architetture che evocano le forme delle navi (Fig. 16), alle navi per il trasporto pubblicoche attraversano Hafencity facendo vedere il nuovo skyline, le passeggiate sui pontili diSandtorhafen con i velieri storici, le abitazioni e i luoghi per lo svago rivolti sul porto.

Per ottenere un successo di rigenerazione urbana e culturale di lungo termine rivolto atutti gli utenti sarà importante far sì che durante tutto il processo di completamento del progettoci sia il costante coinvolgimento della popolazione a tutti i livelli e sia consolidata l’identità deiluoghi. In accordo con i più recenti studi sull’argomento, gli interventi costruiti su uno sviluppourbano che si basa soprattutto su aspetti fisici e materiali, trascurando la sostenibilità sociale e gliaspetti legati alla cultura intangibile rischiano di determinare luoghi ripetibili e preda della glo-balizzazione. Per supportare le identità locali e costruire elementi di distintività nel luogo sarànecessario porre l’accento sugli interventi di arte e cultura, anche rivolti al tema dell’acqua e delporto, intesi quali fondamentali fattori identitari di questo luogo.

RIFERIMENTI

Bibliografia

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8.3 BILBAO: IL FIUME COME CATALIZZATORE PER LA RIVITALIZZAZIONE DEL WATERFRONT

AutoriAlona Martinez-Perez e Ariadna Perich Capdeferro

Traduzione di Stefania Oppido

Parole chiavefiume - area metropolitana - rivitalizzazione del waterfront - città portuale - area post indu-striale

Focus del caso studio

Bilbao può essere considerata uno degli esempi più riusciti di recupero e riqualificazione diwaterfront negli ultimi anni. Il lungo processo di trasformazione delle “opportunity areas” (aree in-dustriali dismesse) in prossimità del fiume, insieme al miglioramento dei trasporti e ad una nuovaattenzione per la città come meta culturale, sono la chiave di questo successo che sta riportandola città e la gente al waterfront. Il vecchio porto e la città industriale sono, improvvisamente, di-ventati uno dei soggetti urbani più fotografati della storia recente. Il fiume un tempo fungeva daasse anche in termini di divisione sociale ed è stato simbolo del declino industriale. Oggi ha ritro-vato una forte identità grazie agli interventi recenti ed è diventato un elemento di integrazioneche ha attirato l’attenzione mondiale.

Inquadramento storico, urbanistico e marittimo

Bilbao si trova a 15 km nell’entroterra della costa atlantica settentrionale della Spagna, inBiscaglia, parte dell’antica Regione Basca. Quest’ultima comprende tre province dell’area metro-politana di Bilbao, può essere definita come un territorio urbano che si estende su una superficie

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Fig. 1 - La città di Bilbao situata in una valle del fiume Nervion.

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complessiva di 500 chilometri quadrati e si sviluppa su una trentina di comuni, alquanto diversitra loro.

L’area metropolitana di Bilbao (Bilbao Metropolitana) è costituita dalla città di Bilbao e dadiversi comuni circostanti. Nel 2005, il Comune di Bilbao aveva 350.000 abitanti e l’area metropo-litana 900.000. Su una popolazione provinciale di 1,15 milioni di abitanti, l’80% vive nell’areametropolitana e un terzo in città. Bilbao non è solo la più importante città basca, ma è anche il piùgrande agglomerato sulla costa atlantica della Spagna e la sesta area metropolitana per esten-sione in Spagna (Ploger, 2007, p. 4).

Città portuale di tradizione industriale, è stata ed è ancora un primario centro industriale,specializzato nella produzione di acciaio, prodotti chimici e costruzioni navali, oltre ad ospitareimportanti attività finanziarie (banche, Camera di Commercio) a servizio della base industriale.Tradizionalmente il porto era utilizzato per scopi commerciali ed i mercantili sostenevano trafficicon tutto il mondo. Il progressivo sviluppo dell’industria navale favorì la crescita del porto che as-sunse un ruolo importante nella crescita della regione.

“The river is the past and the future of Bilbao” Miguel de Unamuno

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Fig. 2 - Il fiume Nervion.

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L’affermazione del filosofo e scrittore basco Miguel de Unamuno sottolinea l’importanzadel fiume Nervion nello sviluppo della città. “La Ria”, come gli abitanti chiamano il fiume, è unapresenza costante nella vita di Bilbao. I primi insediamenti umani sorsero sulle sue rive. Durantel’occupazione romana della Spagna nel I secolo, i Romani istituirono strutture portuali nella zonaper stabilire collegamenti tra Spagna e Francia. Poiché lo sbocco del fiume nel mare dista soloquindici chilometri dalla città, il porto è sempre stato un punto importante, non solo per l’econo-mia della zona, ma anche come collegamento esterno con il resto d’Europa.

Nel 1300 il nobile castigliano Don Diego Lopez de Haro V, signore di Vizcaya, conferì lo sta-tus di città all’insediamento di Bilbao, nella vallata di montagna in prossimità delle sponde delfiume Nervión.

Il fiume forniva cibo (pesce) per l’insediamento, ma era importante anche per ragioni eco-nomiche (commerciali e industriali) di sviluppo. Le istituzioni finanziarie e le attività economichesono sempre state la principale caratteristica della società basca. Le attività portuali determina-rono la creazione della Camera di Commercio (XVII secolo) e della Borsa. La tenacia dei suoi abi-tanti e di una prospera società borghese agevolò lo sviluppo del settore industriale lungo il fiume,in primo luogo, sfruttando le risorse naturali (ferro, acciaio) e poi con la creazione di industriechimiche e della cantieristica, che incrementarono l’attività portuale.

Il fiume non era solo un elemento dello sviluppo socio-economico, ma anche un asse pri-mario che ha influenzato la struttura urbanistica della città. Alla fine del XIX secolo la medievale“Casco Viejo” della città si era estesa lungo il fiume nell’ambito dello sviluppo programmatodell’Ensanche secondo un modello di griglia regolare, progettato nel 1876 dagli architetti Alzola,Achucarro e Hoffmeyer. L’industria si era estesa per quindici chilometri lungo il fiume, dal centrodella città al porto, il centro storico si era conservato intatto ed erano stati costruiti nuovi ponti. Lepiccole città della costa erano state incluse nell’area metropolitana creando non solo un sistemadi accesso strutturato in città, ma anche un punto focale per l’economia del Paese Basco.

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Fig. 3 - Il centro storico.

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Il fiume Nervion era attraversato da dodici ponti, uno alla fine di ogni strada che si dira-mava dal centro, in seguito alla creazione della griglia del XIX secolo. In un certo senso, il fiume di-videva la città in due parti distinte ed i ponti rappresentavano il tentativo di collegare non solo idue insediamenti urbani, ma anche le due classi sociali che li caratterizzava. La sponda sinistra eratradizionalmente della classe operaia e politicamente di sinistra, mentre la borghesia occupava lasponda destra.

Nel corso dei successivi quaranta anni Bilbao si è estesa quasi sino ai suoi confini.L’urbanizzazione della città è stata quasi improvvisata; essa si è estesa al di là dell’Ensanche, perospitare gli operai che emigravano dalle zone rurali verso le città in cerca di una vita migliore.Durante questo periodo non furono progettati piani strategici per lo sviluppo della città né ef-fettuati controlli sugli edifici. Intanto furono realizzati sei nuovi distretti per ospitare la nuova cittàindustriale. Un’altra città lineare si stava estendendo lungo il fiume Nervion (La Ria). Sulla spondasinistra del fiume si svilupparono il settore siderurgico e dei cantieri navali, creando nuove cittàall’interno dell’area metropolitana, ma con Consigli comunali diversi e indipendenti dalla cittàdi Bilbao.

La classe operaia si alloggiò lungo la sponda sinistra del fiume, mentre le classi superiori,che abitavano nell’Ensanche (espansione della città del XIX secolo), si trasferirono dalle piccolecittadine costiere sul lato destro del fiume, a causa dell’inquinamento e del sovraffollamento delcentro della città. Il fiume, quindi, invece di integrare le diverse parti della città, le ha segregate de-terminando una divisione sociale e politica.

Durante la dittatura di Franco (1939-1975) la Spagna era politicamente ed economica-mente isolata a seguito di una guerra civile e, come conseguenza, anche le industrie siderurgichee delle costruzioni navali crebbero internamente. Queste industrie resero Bilbao una delle città in-dustriali più importanti del paese e uno dei più grandi centri della migrazione interna. Le persone

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Fig. 4 - Aree industriali intorno al fiume.

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emigrarono dal paese verso la città non più solo per il lavoro, ma anche per una nuova vita. Il pro-cesso che si è verificato a Bilbao, a partire dal 1960, è simile a quello delle altre città industriali allafine del XIX secolo in Europa. “The fundamental economics of the city were the exploitation of re-sources such as coal mining, the production of steel, and the use of mechanical energy (railway)”(Mumford, 1979, p. 599). Bilbao era anche la capitale della Regione Basca ed un centro di attivitàeconomica, ma durante la transizione democratica della Spagna si ebbero i primi segnali di de-clino. Nel 1980 le industrie iniziarono a chiudere e la difficile situazione politica della RegioneBasca sfociò nella violenza. L’elevata disoccupazione ed il decremento demografico furono la con-seguenza diretta di questa crisi.

Con il declino industriale, ciò che era stato un elemento strutturato di integrazione diventòun asse destrutturato e di segregazione. In seguito, l’inquinamento e il degrado dei siti dismessida una parte all’altra del fiume confermarono la crisi sociale ed economica della città.

Negli anni Ottanta, la situazione di abbandono degli impianti industriali lungo il fiume e ilforte inquinamento delle acque furono i principali vincoli allo sviluppo del waterfront. Un altrofattore negativo era rappresentato dall’inadeguato sistema di trasporto, di collegamento tra i duevillaggi sulla riva destra, e dalle condizioni delle aree industriali e residenziali sparse lungo la rivasinistra. (Leira, 1994, p. 69)

Il Nervion, quindi, era morto dal punto di vista ecologico. La deindustrializzazione avevaanche lasciato un totale di 340 ettari di aree industriali dismesse obsolete nel territorio metro-politano di Bilbao. Molti dei siti erano occupati da edifici industriali abbandonati e il terreno eracontaminato in profondità, a causa delle precedenti attività industriali. (Ploger, 2007, p. 14)

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Fig. 5 e 6 - Vestigia industriali di Altos Hornos (Industria siderurgica).

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La provincia basca di Biscaglia, un tempo uno dei centri più prosperi in Spagna, improvvi-samente scese sotto la media nazionale. Alcune penisole artificiali (come Zorroza e Zorrozaurre) oimpianti industriali erano situate molto vicino al centro della città. Era in corso un nuovo pianoper ripulire la foce del fiume e migliorare le condizioni delle acque. Ed era, inoltre, necessario mi-gliorare le infrastrutture dell’area metropolitana, per supportare una nuova economia della cittàfondata sui servizi.

La rigenerazione del fiume era vista come un’opportunità per contrastare il declino dell’a-rea. Nella maggior parte di queste zone si sono resi necessari interventi di demolizione per con-sentire che emergesse una nuova economia. Si è trattato di un approccio radicale in termini di(ri)progettazione urbana e una “drastic position even iconoclastic with respect to the conservative at-titude to keep any vestiges of the industrial past” (Leira, 1994, p. 69). In altre parole, era necessarioscegliere tra l’opportunità di realizzare un museo a cielo aperto sul passato industriale oppure de-finire un nuovo approccio per la riorganizzazione di tutta la zona. I progetti sono stati realizzati se-condo questo approccio radicale che aspirava a trasformare l’intera nuova economia della città.

Per concludere, il fiume doveva diventare un elemento strutturante per Bilbao, soprattuttodal momento che tutte le aree di intervento erano localizzate sull’estuario. La riqualificazione delwaterfront e il miglioramento delle infrastrutture ha ridato vita ad una città che stava inevitabil-mente morendo. La Ria non è solo un elemento di sviluppo socio-economico, ma è anche il cuoredel nucleo urbano, è l’elemento unificante e integrante della città destrutturata. Il fiume Nervion,che una volta fu l’origine della città e divenne il cuore non solo dell’insediamento urbano ma an-che del porto marittimo e dell’industria, oggi ha tracciato il futuro di Bilbao.

Descrizione del caso studio

La città di Bilbao è un esempio importante e di successo di riqualificazione del waterfront,capace di determinare un processo di rivitalizzazione urbana. Meno di quindici anni fa la città

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Fig. 7 - La rigenerazione del waterfront a Bilbao. Il Museo Guggenheim è il simbolo di questo processo. L’edificio in tita-nio si riflette nel fiume collegando l’architettura con il contesto esistente: come una barca, l’edificio corre sotto il ponte.

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aveva voltato le spalle al mare e tutti i siti industriali erano diventati simbolo non solo di crisi, maanche di disoccupazione e declino, sia sociale che politico. L’esperienza di Bilbao costituisce un si-gnificativo esempio di come una città di medie dimensioni possa aprirsi al territorio, estendersi esviluppare le proprie strategie di rigenerazione attraverso il rapporto con l’acqua, utilizzandol’architettura e gli spazi urbani come elementi di interazione con il fiume e reinterpretando la cul-tura e la tradizione delle vecchie industrie in una nuova dimensione culturale. Questa nuova vita-lità ha conferito nuova identità al waterfront (con la realizzazione di arte pubblica, spazi pubblici,nuovi impianti iconico culturali, piste ciclabili e linee tramviarie, progetti di uso misto). Importantiprogetti internazionali di architettura hanno recuperato il rapporto tra la città ed il fiume edattratto l’interesse internazionale per una città di media dimensione in declino, nella Spagna set-tentrionale.

Il fiume Nervion ed in particolare le aree dismesse (340 ettari), in seguito alla chiusura delleindustrie siderurgiche ed estrattive, erano l’eredità di una città che aveva voltato le spalle all’ac-qua e rappresentavano il simbolo della decadenza. Nella rivitalizzazione del waterfront urbanosono collegate e interconnesse una serie di tematiche:– i programmi per il risanamento integrale del fiume sono molto importanti in questo contesto,così come le iniziative di “sutura” fisica e funzionale con entrambe le sponde del Nervion, ancoraoggi il fiume costituisce elemento di ostacolo e di segregazione fisica e sociale tra la riva sinistrae la riva destra; peraltro il fiume è il luogo dove la nuova metropoli industriale sta nascendo nuo-vamente (Gobierno Vasco, 2002, p. 103);– architettura iconica, spazi urbani ed arte pubblica di alta qualità urbana aprono la città verso ilwaterfront ed il nuovo ponte pedonale collega entrambe le sponde del fiume;– le costose strategie per ripulire la foce del fiume e rimuovere la linea ferroviaria esistente sul latosinistro del fiume e i macchinari industriali presenti hanno permesso alla città di restituire il wa-terfront ai suoi cittadini;– le nuove strategie per i trasporti, il nuovo tram che collega il fiume al resto della città, le nuovepiste ciclabili ed i viali favoriscono l’interazione con l’acqua e l’uso del fiume come luogo per iltempo libero (barche a remi, imbarcazioni turistiche, ciclismo); il nuovo sistema della metropoli-tana migliora anche la connettività lineare su entrambe le sponde del fiume, non solo dal puntodi vista fisico ma anche sociale;– la creazione di strategie e di agenzie di rigenerazione (Bilbao Ria 2000 e Bilbao Metropoli 30) di-mostrano che la riqualificazione del waterfront rappresenta una delle principali priorità nella rivi-talizzazione della città;– il waterfront è l’emblema della nuova Bilbao ed ha inserito la città nella “mappa globale”,creando il cosiddetto “effetto Bilbao”, cioè quel processo di sviluppo innescato dal MuseoGuggenheim di Frank Ghery;– la nuova architettura e gli spazi urbani sono messi in luce ed integrati attraverso l’acqua;– le aree di espansione post-industriale sono state riclassificate come nuove aree per lo sviluppo,aprendo la città verso l’acqua attraverso l’uso misto e rendendo Bilbao un nuovo centro culturale.

La riqualificazione del fiume e del waterfront ha coinvolto numerose organizzazioni che,negli anni Ottanta e Novanta, hanno contribuito a migliorare l’immagine della città e a realizzareuna metropoli internazionale.

Nel 1991, in relazione allo “Strategic Plan for the Revitalisation of metropolitan Bilbao”, fufondata un’apposita agenzia,“Bilbao Metropoli 30”, come facilitatore per la rigenerazione urbana eper promuovere gli obiettivi stabiliti dal piano.

Il documento individuava quattro settori di azione:1. formazione di conoscenza del settore high-tech;2. recupero dell’area urbana interna (in particolare del centro storico);3. intervento ambientale attraverso la riqualificazione del fiume e l’incremento del riciclo;4. rafforzamento dell’identità culturale attraverso la cultura della rigenerazione.

Nel 1989 fu elaborato un piano territoriale per Bilbao, che nel 1994 fu esteso all’areametropolitana. Il punto principale era quello di trasformare Bilbao in un nodo chiave sull’asse

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atlantico europeo, il che implicava un approccio più ambizioso. Il piano ha individuato quattrocosiddette aree di rigenerazione e, inoltre, ha progettato la nuova immagine della futura città,attraverso:– grandi progetti infrastrutturali: il New Airport Terminal (Calatrava), la nuova linea metropolitana(Foster), il nuovo tram su lungomare della città ed il terminal degli autobus (Grimshaw) e nuoveinfrastrutture portuali; tutti i nuovi servizi di trasporto sono stati interconnessi;– risanamento ambientale dell’area fiume/mare e riqualificazione per consentire la rigenerazionedelle “opportunity areas”; quattro nuovi ponti pedonali;– creazione di un’agenzia ”Bilbao River 2000” per la rigenerazione delle “opportunity areas” diBilbao e le aree metropolitane che attraversano il fiume ed i terreni abbandonati;– la “vision”, migliorare l’immagine della città, anche attraverso il contributo di architetti famosi suigrandi progetti e la realizzazione di edifici iconici (Guggenheim Museum) per definire una iden-tità culturale urbana;– impiego, nelle interventi su aree svantaggiate, del profitto derivante dalla riqualificazione delcentro urbano;– place-making (luoghi in costruzione) nel cuore della rivitalizzazione del waterfront ed in tutte learee industriali;– realizzazione di nuove stazioni ferroviarie in ogni nuova area. Deviazione della linea ferroviariaesistente per aprire il waterfront del fiume e copertura della linea ferroviaria metropolitana percreare nuove aree pubbliche e migliorare i collegamenti tra i distretti. (Holm and Martinez-Perez,2009, pp. 20-22)

Nel dicembre del 1992 il governo basco e l’amministrazione centrale hanno raggiunto unaccordo per creare una società di sviluppo per la rigenerazione dell’area metropolitana di Bilbao.

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Fig. 8 - Il nuovo ponte pedonale di Santiago Calatrava.

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La maggior parte dei terreni per lo sviluppo era situata sulla riva sinistra del fiume. La proprietàapparteneva ad aziende pubbliche come Renfe (Ferrovie nazionali), INI (l’Istituto Nazionale perl’Industria), l’Autorità Portuale e il Ministero dei trasporti lavori pubblici e ambiente (MOPTMA),tutta le aree di proprietà di queste aziende rappresentavano i potenziali siti di riqualificazione.

L’agenzia per la rigenerazione Bilbao Ria 2000 ha, quale obiettivo principale, la gestionedella rivitalizzazione, su larga scala, dei terreni abbandonati, in precedenza occupati dal porto edalle imprese o da obsolete infrastrutture di trasporto. Il suo scopo è quello di produrre nuove op-portunità da vecchi problemi: recuperare, comunicare, trasformare, facilitare e migliorare.L’agenzia è una società per azioni in cui le istituzioni locali e regionali, da un lato, e il governo cen-trale, dall’altro, hanno ciascuno una quota del 50%. Il sindaco di Bilbao presiede la società ed il suovice presidente è il Segretario di Stato per le infrastrutture e la pianificazione del Ministero delloSviluppo. I partners consegnano i terreni alla società affinché siano riqualificati. L’azienda è unaONLUS (Organizzazione Non Profit) e le plusvalenze finanziarie sono reinvestite nelle aree stesseo in altre attività di pianificazione urbana. (Holm and Martinez-Perez, 2009, pp. 20-22)

Al fine di portare avanti gli interventi sulle aree selezionate, l’agenzia segue i processi di:1. risanamento del terreno;2. insediamento di infrastrutture di base;3. marketing e vendita di appezzamenti ad imprenditori.

Dalla sua fondazione, la città di Bilbao è stata inseparabilmente unita alla sua zona por-tuale. Il porto, attualmente il più importante della costa cantabrica, ha svolto importanti funzioninel passato e continuerà a svolgere funzioni economiche essenziali per il futuro. Si tratta di unodei chiari elementi di eccellenza dell’area metropolitana di Bilbao. Inoltre, le opzioni più impor-tanti per l’ammodernamento dell’area metropolitana sono imperniate su strategie di trasforma-zione della infrastruttura portuale come parte di un dialogo necessario e intelligente tra la città eil suo porto. (Gobierno Vasco 2002, p. 103)

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Fig. 9 - Il nuovo sistema del tram sul waterfront.

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È essenziale capire il rapporto tra la città e l’acqua per ristabilire nuovamente l’originariocollegamento marittimo con il porto. Questo è il luogo in cui il settore commerciale si è svilup-pato prima di fare della Grande Bilbao la più importante città industriale nel nord della Spagna.Come spiegato da Aingeru Zabala Uriarte (responsabile del Patrimonio Storico, della Provincia diBiscaglia) “This is how Bilbao began and it grew. As a port from the very beginning, it has enjoyedalmost unlimited possibilities. From its origins, the citizens of Bilbao have conceived of an extensiveworld with distant horizons: the streets in the Villa stretched into the waters of the river, and ended upin ports located at all latitudes of the globe” (Gobierno Vasco 2002, p. 128).

Alla fine degli anni Ottanta, la città era in una condizione disperata, di frammentazione so-ciale e di conflitto politico. Il fiume, che un tempo era il motore dell’attività economica, non solonella città-regione ma anche oltre, fu improvvisamente abbandonato “in fin di vita” e inquinato.L’eredità di questo periodo non era costituita solo dalle condizioni delle sponde del fiume, maanche da tutti i siti industriali dismessi e abbandonati. Molto è stato scritto sull’”effetto Bilbao”, sulfatto che dopo l’apertura del Guggenheim Museum la città sia stata inserita sullo scenario in-ternazionale come nuova meta turistica.

Tutti i ponti della città, che erano in grado di aprirsi per consentire alle barche di entrare nelcuore della città vecchia, furono lasciati come testimonianza di un passato industriale. I vecchi siti,ribattezzati come zone di espansione, furono lasciati vuoti ed abbandonati. La città voltò le spalleall’acqua, le differenze tra la riva sinistra e destra non erano solo visive ma anche sociali, i colle-gamenti con i mezzi di trasporto erano più scarsi sulla riva sinistra e il divario tra poveri e ricchiaumentava. Tra il 1980 e il 1995 la città perse più di 70.000 persone, il 16% dei suoi abitanti.(Ploger 2007, p. 12)

Il progetto singolo più importante, in termini di risanamento ambientale, fu la messa inopera del nuovo sistema di reti idriche e fognarie. Questo progetto su larga scala, effettuato dalConsorcio de Aguas, fornitore d’acqua della provincia, ha avuto un impatto significativo sul mi-glioramento dell’ambiente nell’area metropolitana. La costruzione del nuovo sistema fu avviatanel 1984 e completata nel 2006. Con un investimento complessivo di 1 miliardo di euro, questoprogetto ha ricevuto un finanziamento molto più rilevante di qualsiasi altro. (Ploger 2007, p. 22) Èpiù di dieci volte il costo del Guggenheim Museum e dimostra chiaramente che la rivitalizzazionedel waterfront era al centro del progetto di riqualificazione urbana. Come spiegato dal sindacodella città Iñaki Azkuna,“the transformation of Bilbao goes way beyond the mere construction of anemblematic building: it is, rather, the result of a wide range of interwoven measures aligned to anintelligent vision”. (Bilbao Motion City)

È importante sottolineare l’importanza di collegare di nuovo il fiume con la città, e questonon è solo il risultato di un intervento ma di una serie di misure e di una visione d’insieme.L’esempio di Bilbao è rilevante anche per altre città del mondo:“Bilbao has become a focal point formany large cities, especially those with their sights set on developing a project for a city, those lookingfor new ways to integrate their river into city life, for greater social cohesion in urban spaces, thoselooking to change from an industrial economy to an economy based on creativity and those lookingto adopt a model of sustainability”. (Bilbao Motion City)

I ponti hanno collegato il tessuto discontinuo del fiume e hanno un ruolo significativo nelprocesso di integrazione fisica e sociale di entrambe le sponde del fiume. Essi rafforzano l’imma-gine della città, guardando avanti, ma consentendo anche importanti connessioni tra l’Ensanche(Ampliamento) e i nuovi quartieri sulla riva sinistra del fiume. Tra 1995 e il 2003 sono stati apertiquattro nuovi ponti: il Ponte Euskalduna, la passerella Pedro Arrupe, il ponte pedonale Zubi-Zuri(progettato da Santiago Calatrava) e il Ponte di Miraflores.

È stato fondamentale riportare la città verso l’acqua migliorando l’accessibilità del water-front, non si trattava solo di collegare le due sponde del fiume, ma anche di portare il restodella città verso il waterfront e sviluppare le opportunità che il nuovo fronte del fiume riquali-ficato offriva.

Alcuni siti chiave lungo le rive del fiume sono stati individuati come aree di espansione. Lariqualificazione è stata effettuata da Bilbao Ría 2000 che, tra il 1997 e il 2006, ha investito un totale

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OFig. 10 e 11 - Vecchio “ponte passeggeri” ElPuente Colgante.

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di 560 milioni di euro. Inizialmente, il piano territoriale individuava quattro “opportunity areas”,Abandoibarra, Zorrozaurre, Ametzola e Miribilla (Ploger 2007, p. 22).

Due di queste aree, Abandoibarra e Zorrozaure, erano situate in prossimità delle sponde delfiume. Il sito di Abandoibarra era in origine un terreno abbandonato che comprendeva la vecchiaferrovia e le infrastrutture portuali. La sua vicinanza al centro urbano lo rendeva ancora più im-portante, in considerazione della volontà di restituire la città all’acqua. Tuttavia, il sito non avevasolo problemi di inquinamento e assenza di accessibilità (è 10-15 metri al di sotto della cittànuova o Ensanche), ma anche la presenza delle infrastrutture ferroviarie, eredità del suo passatoindustriale, che impedivano la connessione con il waterfront.

Nel 1992 si è tenuto un concorso internazionale di idee, organizzata dal Consiglio comu-nale di Bilbao e da Bilbao Metropoli 30.

La competizione ha previsto due fasi di cui la prima aperta ad architetti locali che registrò48 adesioni. I vincitori di questa prima fase furono chiamati a gareggiare con tre team stranieri,invitati dal Consiglio comunale. I parametri per la competizione erano i seguenti:– progettare un’area ad uso misto, seguendo l’esempio di altre città europee;– il mix funzionale doveva includere spazi per uffici (pubblici e privati), infrastrutture turistiche (al-berghi), aree commerciali, aree di svago e residenziali;– il carattere dell’area doveva essere enfatizzato da due edifici emblematici, il GuggenheimMuseum e l’Euskalduna Palace;– l’area veniva definita come un centro direzionale, oltre la dimensione metropolitana, di livelloterritoriale e internazionale;– il sito doveva essere collegato con i quartieri limitrofi attraverso una serie di operazioni di ri-qualificazione.

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Fig. 12 - Il sito di Abandoibarra con ilGuggenheim Museum ad una estremitàed l’Euskalduna Palace all’altra estre-mità.

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I parametri della competizione hanno inteso l’area come un nuovo centro direzionale ur-bano, ed è chiaro che il collegamento di questo sito al waterfront è di primaria importanza pertutta la città. In questa trasformazione sono stati essenziali due progetti architettonici chiave: ilMuseo Guggenheim (di Frank Ghery) e il Palazzo Euskalduna (di Federico Soriano e DoloresPalacios). Il masterplan per l’area è stato vinto dall’architetto argentino Cesar Pelli, ha sviluppatoprogetti dello star system architettonico (con progetti da Rafael Moneo, Alvaro Siza, Robert Stern,Legorreta) e ha esteso il parco secolare nella nuova città, fino al waterfront.

Per realizzare questa rivitalizzazione, connettendo il waterfront alla città, sono state deter-minanti anche le strategie urbane e, in particolare le nuove attività. È fondamentale sottolinearel’estensione al waterfront di spazi pubblici esistenti, il collegamento di tutte le parti della città conun buon servizio di trasporto pubblico (linea nuova tramviaria, pista ciclabile) ed anche i ponti pe-donali per collegare sia le due sponde del fiume sia la nuova città al waterfront. Evidenziandol’importanza di inserire la riqualificazione del waterfront in un piano strategico per lo sviluppo ur-bano, i progetti del fronte a mare – in Abandoibarra, i nuovi spazi pubblici e arte pubblica, di tra-sporto nuovi, nuovi ponti, connessione permeabilità e nuovi edifici culturali del luogo – diventanoun esempio di rivitalizzazione di successo del waterfront.

Il rapporto tra l’architettura e l’acqua è chiaro nel Museo Guggenheim. L’apprezzato inter-vento non si limita a fungere da punto di riferimento, ma come afferma Charles Jencks “FrankGhery’s New Guggenheim, cost $100 million and in two years brought $400.This the “Bilbao effect’, wasnot the first use of enigmatic signifiers as a landmark, but it was the most effective. Note the way thebuilding engages with the total landscape-the industrial elementsand bridge, the Nervion river, andthe hills on both sides of the river” (Jencks, 2006, p. 5).

La riflessione dell’edificio nell’acqua ed i materiali sono intrinsecamente legati al water-front, con il titanio che si riflette nell’acqua, ma anche connessi agli elementi industriali rimasti sulsito ed al paesaggio. Per la prima volta spostiamo il nostro punto di vista dalla terra al mare,

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Fig. 13 - L’integrazione tra il museo sotto il ponte e il nuovo lungomare.

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partendo dalla cultura marittima del sito (vecchio cantiere navale) al fine di approfondire leculture urbane che sono rappresentate nelle città d’acqua.

L’edificio stesso passa sotto il ponte, quasi come le vecchie barche utilizzate per entrare incittà, e l’architettura qui può essere considerata come una barca e un elemento di mediazione trala terra e il mare.

“When Krens (director of the Guggenheim Foundation) informed him of the city’s desire for aGuggenheim branch and asked him to come visit Bilbao in order to consider the project, Gehry wasreminded of Serra’s enthusiasm and his invitation to visit to Bilbao ten years earlier. Bilbao, the toughcity! When he accompanied Krens a month later to Bilbao he saw with his own eyes, Gehry sums upBilbao in his oft-repeated phrase ‘incredible toughness’“. Bilbao’s beauty resides in its toughness (…) Iam attracted to industrial hardness in the midst of a greenvalley”. Bilbao, una città senza concessionialla decorazione fasulle o pretese di falsa bellezza. Una città difficile e brutta sino al sublime.(Zulaika, 2001)

Ma la sorte della città è stata cambiata rendendola non solo un centro culturale di impor-tanza internazionale, in termini di attività culturali localizzate sul waterfront, ma anche di successoeconomico.

“Each year, the economic activity that has resulted from the Museum’s presence is quantified byusing an economic model, which estimates that it has generated over 650 million euros in GDP, over117 million Euros of additional tax revenue for the Basque Government, and maintains and average of4,100 annual jobs” (Gobierno Vasco 2002, p. 144).

Come spiegato da Anna Klingman riferendosi all’architettura dell’edificio ed al suo rap-porto con il mare, ma anche alla sua connessione con le parti centrali della città, il museo “not onlyevoke Bilbao’s proximity to the sea but also evoke’s the city’s mountain range. The subterraneanentrance to which should be viewed as far as well as near, is in direct alignment with a major artery,that bisects the city, ending at the Bilbaos’ main plaza. From the atrium, another flight of stairs guides

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Fig. 14 - Il ritorno della gente lungo ilwaterfont integrato con l’arte pubblica(Spider Sculpture di Louise Bourgeoisie).

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visitors to the sculptural tower, which integrates the Puente de la Salve (bridge) and provides a publicpath into the center of the city” (Klingman, 2007, p. 242). È importante sottolineare che questoprogetto internazionale non ha solo collocato Bilbao sullo scenario internazionale, ma ha ancheincoraggiato nuove attività culturali lungo il waterfront, collegando la città all’acqua e attirandol’attenzione mondiale come progetto emblematico e caso di studio.

Nell’Euskalduna Palace, che prende il nome dai vecchi cantieri navali, l’impiego dell’acciaiocorten è un riferimento al vecchio patrimonio industriale del sito. Inoltre, hanno contribuito ad au-mentare la vitalità al waterfront la realizzazione di un nuovo Museo Marittimo, una passeggiatasul lungomare che collega sia gli edifici sia il lato sinistro del fiume, installazioni artistiche e spazipubblici.

La rivitalizzazione del waterfront non riguarda solo edifici iconici, essa dipende anche daun chiaro pensiero strategico da parte dei governi locali e regionali e dagli strumenti utilizzati perl’attuazione di questi piani (le agenzie di rigenerazione). Il ruolo dell’agenzia di Bilbao Ria 2000 èstata la chiave per il successo della riqualificazione del fronte sul fiume. La creazione di un nuovolungofiume e di una passeggiata pedonale sono stati elementi strategici per riportare le personeal waterfront. Come spiegato nel loro giornale, al momento dell’apertura della nuova arteria qual-che anno fa “800 metres of carefully designed surroundings, joining the Guggenheim Museum to theEuskalduna Conference Centre and Concert Hall through a route in which both the ría and art accom-pany the visitor. The Paseo has two levels, an upper level, beside the river bank park and the sculptures,and a lower level, which also displays eleven works by Ulrich Rückriem, overlooking the Nervión. ThePaseo de Abandoibarra (Abandoibarra Avenue) was opened to the public at the same time as thePasarela Pedro Arrupe (Pedro Arrupe walkway) and the renewed Avenida de las Universidades (Avenueof the Universities)”. (The city on the Nervión)

Questa nuova arteria non sarebbe stata possibile senza i miglioramenti realizzati per au-mentare la profondità di passeggiata sulla sponda destra del fiume e la creazione di nuove piat-

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Fig. 15 - Arte pubblica davanti all’Euskalduna Palace: le luci stradali simulano una foresta di alberi.

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taforme sospese pedonali nel centro storico. Il lungomare non è solo un’area di attività, ma anchedi svago per i cittadini. Il nuovo sistema tranviario collega il waterfront ad altre parti della città(stazione degli autobus, sistema di tubi, città vecchia, città nuova, mercato ecc.) e, inoltre, ha at-tratto nuovi usi sul lungofiume, quali attività sportive e di arte pubblica, con una serie di scultureall’aperto di artisti famosi che riportano sul waterfront l’idea di un museo esterno, accanto a caffè,arredo urbano e giochi per i bambini.

In questo spazio urbano c’è anche una forte connessione con il mare “The Paseo de Riberade Abandoibarra is 800 metres long, characterised by its glass and steel lamps. It varies from 40 to 120metres wide and occupies 48,000 m2. There is a bar-kiosk on the promenade, resembling thecontainers that occupied this area for so many years.The pier is one of the most interesting areas in thepromenade, occupying 1,700 m2, and it has a jetty to access the ships. The marine aspect given by thebolondo wood he avenue is a new balcony over the ría makes it face the ría like a real dock”. (The cityon the Nervión)

L’architetto Javier López Chollet include nel progetto il nuovo parco e la passeggiata sulwaterfront (Paseo de Ribera de Abandoibarra) e spiega, in un’intervista al Bilbao Ria 2000 Journal,la connessione tra il concept design del parco e l’acqua.

“Abandoibarra, the image of industrial and seaport Bilbao, is today a cultural centre for the city.The Guggenheim Museum and the Palacio de Congresos y de la Música (Palace of Congresses andMusic), define a space destined to be the city’s new centre of gravity, the emblematic image of a newBilbao. The Master Plan for Abandoibarra, designed by César Pelli, transforms these 35 hectares into anextension of the Ensanche (Enlargement), a new balcony overlooking the ría (Nervión river), givingnew uses to a large collection of public spaces and green areas that connect the city with the Nerviónriver and improve the environmental quality of Bilbao. The Park has been designed to face the ría

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Fig. 16 - Euskalduna Palace con il ponte pedonale in acciaio rispecchiano il patrimonio industriale dell’antico cantierenavale.

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Fig. 17 - Abandoibarra Avenue, 800 metri di nuova passeggiata lungo il fiume.

Fig. 18 - Nuovi spazi pubblici, aree gioco per bambini a arte pubblica sul waterfront.

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offering a singular façade. It is organised in three terraces: the Paseo del Muelle (Dock Avenue), thePaseo Superior (Upper Avenue) and the Parque Lineal (Linear Park), the levels being defined by greenslopes and connected by ramps and flights of steps. The Paseo del Muelle is the space related to thewater and establishes continuity with the rest of the pedestrian walkways along the Nervión. ThePaseo Superior is parallel to the former, and characterised by the succession of a series of large lamps,whose bases advance in the shape of a ship’s prow, identifying it and providing a strong personality tothe design. Finally, Parque Lineal is the area for staying and relaxing. The creation of a route ofsculptures called Paseo de la Memoria (Avenue of Remembrance) is one of the main attractions of thisarea, extending the cultural character of the whole area between the Guggenheim and the PalacioEuskalduna”. (The city on the Nervión)

Lo sviluppo del fiume, tuttavia, non si realizza semplicemente attraverso i progetti citati,esso può avvenire solo con l’approccio innovativo adottato dalle amministrazioni locali e regio-nali basche, dagli organismi interessati e, naturalmente, dagli interventi strategici di pianificazioneurbana. Tali processi richiedono la fiducia in un ruolo non solo a livello locale, ma a livello interna-zionale, con la creazione di spazi urbani e architetture di qualità. Non è solo una metodologia, maanche l’attuazione e la rimozione delle infrastrutture vecchie ed il riuso di aree dismesse lungo ilfiume, migliorando l’accesso pedonale a queste aree, ma anche al resto della città ed alle maggiorizone metropolitane, aumentando la permeabilità ed anche il trasporto pubblico. Solo con questavisione d’insieme, iniziata nella metà degli anni Ottanta ed è ancora in corso, si è ottenuto il suc-cesso del waterfront e il successo globale del fenomeno noto come “effetto Bilbao”.

Come spiega Angel Maria Nieva, direttore generale di Bilbao Ria 2000, riflettendo sui pochianni trascorsi “It was therefore decided to implement a radical plan of action for the strategic areanext to the river. The first action would be the systematic demolition of the old industrial, railway andport installations that had become obsolete, and from that point onwards, the complete re-urbanisa-tion of the river zone between Bilbao and the river’s mouth to the seain Abra bay. Together they occupya total of almost 600 hectares of strategic land that is ideal for conversion into the highest quality

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Fig. 19 - L’Illuminazione stradale si ispira alla struttura delle vecchie gru che vengono recuperate per ricordare il pa-trimonio marittimo, l’arte pubblica si riferisce anche alle attività portuali.

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areas of the metropolis, with the possibility of gaining almost twenty kilometres of waterfront (ten onboth sides of the river)” (Gobierno Vasco, 2002, p. 160).

Questo processo ha ricevuto riconoscimenti internazionali in tutto il mondo. Tra gli altripremi, nel 2004 ha ottenuto la Città d’Acqua - City by the water alla Biennale di Venezia, nel 2005Award for Management Culture (Associazione Italiana del Consiglio del Comuni e delle Regionid’Europa) e nel 2006 l’European Urban and Regional Planning Awards (European Council of TownPlanners). E più di recente il World Expo 2010 a Shanghai. Il vecchio porto e la città industriale diBilbao, che è stato il più importante porto nel mare Cantabrico e un asse per l’Atlantico, colle-gando la vecchia Europa con il Nord Europa e il nuovo mondo d’America, propone un esempio diriqualificazione urbana e sociale del waterfront, ricollegando il mare e il fiume alla città, e rappre-senta anche un esempio chiave di best practice da seguire e replicare in città di medie dimensioniin tutto il mondo.

RIFERIMENTI

Bibliografia

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Fig. 20 - Il waterfront ha attratto nuove attività sportive ed avvicinato i cittadini all’arte pubblica.

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PARTE TERZA

CONCLUSIONI

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Capitolo 9

Nuove rotte per le città di mare

Il percorso di ricerca sulle città “dal mare” si conclude delineando scenari futuri per approcci progettualiinnovativi.In relazione all’ambito urbano, Gabriella Esposito De Vita individua il filo conduttore dei casi affrontati evi-denziando la ricchezza culturale che le città di mare interpretano in un’accezione plurale, il ruolo socialedel waterfront e la dimensione ambientale di un ecosistema complesso, vulnerabile e intensamenteantropizzato. Gli esempi di riqualificazione urbana in chiave marittima, fondati su piani strategici diintervento, si mostrano capaci di innescare processi virtuosi di rigenerazione e valorizzazione.Stefania Oppido affronta il ruolo delle azioni di recupero edilizio negli interventi di riqualificazione deglispazi urbani sul mare, sottolineandone l’importanza non solo dal punto di vista materico ma soprattuttosemantico, per tutelare valori di riconoscibilità e di identità. Mediando tra preesistenza e advenienza, iprogettisti devono confrontarsi con la vulnerabilità del patrimonio costruito e perseguire scelte fondatesulla compatibilità e sull’adeguatezza tecnologica.Il “navigatore” Massimo Clemente traccia possibili “nuove rotte” per la tutela e la valorizzazione dell’iden-tità storica e culturale di luoghi e architetture sul mare, delineando una metodologia metaprogettualeper gli interventi nelle città di mare, aprendo prospettive di studio e sperimentazione sul campo.L’obiettivo è perseguire l’osmosi tra cultura marittima e cultura urbana, individuando nella fascia costieraun elemento primario da collocare nel più ampio quadro di una ri-pianificazione costiera di area vasta. Lascelta e l’approfondimento di parole chiave – percezione, marineria, navigazione, approdo, interpreta-zione, rappresentazione, funzione, articolazione, proiezione, ricezione, sintesi – consentono di met-tere a fuoco linee guida generali per i progetti di valorizzazione delle città di mare e, in particolare, dellearee urbane che dialogano con l’acqua.

9.1 BUONE PRATICHE E STRATEGIE INNOVATIVE PER LE CITTÀ DI MARE (G. Esposito De Vita)

Il tema delle città di mare conduce a misurarsi con il concetto della frontiera, il tema del li-mite che da sempre ha rappresentato una sfida per chi si apprestava a indirizzare e disegnare letrasformazioni urbane. In base all’approccio scelto, infatti, le frontiere possono essere interpretatecome separazione e negazione ma anche come transizione e incontro. La frontiera tra due mondivive delle tensioni verso l’esplorazione e delle paure per l’ignoto e deve la sua forma al modo nelquale le civiltà che vi si affacciano vivono tali tensioni1.

Le paure e tensioni tra terra e mare hanno dato vita, in pagine meravigliose, alle esplora-zioni celate dalle acque del Nautilus, alle epiche battaglie tra il vecchio ed il mare o alla cacciasenza tregua alla balena bianca. Rappresentazioni poetiche, letterarie, cinematografiche che testi-moniano l’intensità del rapporto dell’uomo con la frontiera acquatica; un rapporto che si rafforzanell’ispirazione che in tutte le correnti artistiche è stata tratta dal fluire delle acque all’interno odai margini della città2.

In architettura, queste stesse tensioni hanno portato alla realizzazione di città protese nelleacque o sulla difensiva dietro trincee dalle quali le navi partivano come molecole che, staccandosidal nucleo originario, generavano un altro organismo.

L’evoluzione dell’organizzazione spazio-funzionale delle città costiere è stata sempre con-dizionata dall’elemento acquatico per inclusione o per negazione: è l’elemento che connette, fa-cilita gli scambi e produce ricchezza ma è anche il nemico da cui difendersi3. L’acqua è un vincoloda superare, dando vita ad incredibili virtuosismi architettonici, o da annullare, con colmate che

1 Cfr. Breen A. and Rigby D. (1994), Waterfronts, Cities Reclaim Their Edge, McGraw-Hill, New York (USA).2 Cfr. Hauser A. (1964), Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino (I).3 Cfr. Davies J. (2008), Cities on the edge: Istanbul, Marseilles, Gdansk, Bremen, Naples, Liverpool, Liverpool University

Press, Liverpool (UK).

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creano uno spazio urbano interconnesso ma privo della bellezza che poteva essere prodotta nelprogettare il rapporto tra architettura e specchio d’acqua.

Andando oltre l’afflato poetico ispirato dal tema e cercando di vincere la seduzione eserci-tata dalle città che si specchiano nelle acque, si ripercorre l’itinerario virtuale creato dai casi stu-dio affrontati nelle pagine che precedono, per identificare alcuni elementi progettuali da trasfe-rire in altri contesti.

Il filo conduttore che accomuna tutti gli esempi qui raccolti è il valore aggiunto ed il con-dizionamento che le vie d’acqua offrono alle città che vi si sono insediate ai margini. Le città me-diterranee devono al Mare Nostrum posizione, varietà culturale, sviluppo economico e impareg-giabili soluzioni architettoniche difensive, portuali e di culto. Le città oceaniche raccontano unastoria di grandi distanze e avventure verso l’ignoto. Le città d’oltreoceano appaiono dapprimavassalle e poi portatrici di nuove identità e, infine, le città fluviali, rappresentano poli mercantiliadagiati tra le anse del loro nume tutelare. In ciascuno di tali contesti è possibile estrapolare ele-menti progettuali forti che, stratificatisi nel tempo, hanno contribuito a definire i caratteri urbaniidentitari nel rapporto diretto o indiretto con le acque.

L’excursus effettuato consente di identificare alcune parole chiave che, accomunandodiversi casi studio (in chiave sia positiva che negativa), possono essere la guida per la costruzionedi una lista di controllo di piano generalizzabile alle diverse tipologie di città d’acqua. Ciascunodei casi studio presenta una compartecipazione delle tematiche esemplificate dai concetti chiaveindividuati, ma alcuni di essi appaiono quali esempi paradigmatici di una specifica tematica-parola chiave.

I concetti chiave evidenziano la dimensione culturale, che le città di mare interpretano inuna accezione plurale, la dimensione sociale, laddove favorisce le ricomposizioni di conflitti so-ciali, e la dimensione ambientale, espressa da un ecosistema complesso, vulnerabile e intensa-mente antropizzato. A queste tre si aggiungono i profili di riqualificazione in chiave marittima cheaprono a specifici approcci operativi.

Il primo concetto chiave è la ricchezza culturale delle città-porto, che sono ad un tempo cro-cevia, ponti e portali. In alcune realtà indagate il multiculturalismo è diventato il vessillo delle po-litiche e delle strategie progettuali. Marsiglia è l’emblema di tale approccio, sia per il ruolo stori-camente rivestito che per l’orientamento dei recenti progetti di riqualificazione e sviluppo urbanoorientati a farne la principale città euro-mediterranea e ponte tra i due continenti. Il caso studio diMarsiglia appare emblematico perché la tradizione marittima, il multiculturalismo e l’innovazionearchitettonica hanno permeato un massiccio intervento di riqualificazione orientato a farne lacittà ponte verso le culture mediterranee.

Anche Liverpool è un eccezionale esempio di città d’acqua che trae ricchezza culturale dalfiume Mersey che la attraversa e lungo il quale si è sviluppata una pietra miliare della cultura ma-rittima mercantile e coloniale dell’Impero Britannico.

Oltreoceano, New York, la città simbolo del crogiuolo culturale nordamericano, può esserevista come un’area metropolitana acquatica il cui baricentro è una baia intensamente vissuta in-terconnessa dalle rotte. I fattori del successo di questo modello possono essere riassunti in: unacapillare struttura portuale storica proiettata nell’acqua con suggestivi piers – a testimonianza diun cosmopolitismo che “giunge dalle acque” – e la dialettica tra il verticalismo architettonico diManhattan e gli specchi d’acqua nei quali si riflette. La continua azione di riqualificazione delwaterfront e delle aree portuali storiche dismesse e di potenziamento del trasporto collettivo suacqua integrato dalle altre modalità di spostamento garantiscono la valorizzazione della caricamulticulturale della città.

Il ruolo sociale del waterfront viene sviluppato in realtà estremamente differenti qualiBelfast, nella quale una società conflittuale può trovare uno spazio di incontro ed interazione nelwaterfront fluviale, Bilbao, caso di riqualificazione urbana di grande successo, e Lorient dove si èavviato il recupero fisico e sociale delle aree marine, offrendo l’opportunità per un miglioramentodella qualità della vita per le comunità deboli.

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La realtà di Belfast è estremamente complessa ed atipica nel panorama europeo. A dispettodella tradizione delle città-porto aperte ed inclusive, la città nordirlandese è stata teatro di unsanguinoso conflitto politico-religioso che la ha isolata rispetto all’esterno e la ha divisa al suointerno. Il fiume che la attraversa si qualifica quale elemento di riconnessione fisica e sociale di untessuto urbano frammentario e diviso. In questo scenario, il tracciato fluviale genera un waterfrontpunteggiato di elementi emergenti da riconnettere in una logica sistemica. Tali elementi sonocostituiti da importanti interventi di rigenerazione urbana che sono stati avviati per supportareil processo di pace mediante lo sviluppo di attività produttive ed il recupero di aree dismessein abbandono.

La scelta di intervenire sulla riqualificazione del waterfront per mitigare le tensioni sociali epolitiche è alla base della nota esperienza di Bilbao, uno degli esempi più riusciti di recupero eriqualificazione di waterfront degli ultimi anni. Intervenendo proprio nell’area simbolo deldegrado, delle tensioni sociali e della dismissione industriale si è sortito il duplice effetto di mi-gliorare la qualità della vita urbana delle diverse compagini sociali e di attrarre flussi turisticiche hanno innescato un processo di sviluppo più generalizzato. Gli elementi determinanti per ilsuccesso di Bilbao sono rappresentati dalla trasformazione delle “opportunity areas” (aree indu-striali dismesse) in prossimità del tracciato fluviale, dal miglioramento del sistema dei trasporti edalle operazioni di valorizzazione culturale del waterfront che lo hanno reso un luogo moltofrequentato.

Clima diverso si respira a Lorient, anche se la trasformazione del waterfront e delle areeperiferiche prossime, rappresenta anche qui l’occasione per il ripristino di una forte relazione tracittà e mare, con un recupero fisico e sociale delle aree del “fronte debole”.

La dimensione ambientale non è negletta in nessuna delle città d’acqua, nelle quali la fron-tiera tra il sistema marino e quello terrestre rappresenta un diaframma naturale di grande sugge-stione ma il cui equilibrio è estremamente fragile. Questa delicata combinazione di elementi na-turali appare emblematica nella città di Québec. Per molti secoli luogo di cerniera per i flussi dipersone e beni, il primo approdo dei coloni francesi è stato oggetto, sul finire degli anni ’90, di unprocesso di valorizzazione condotto dalla Municipalità che ha riqualificato l’ecosistema lungo ilfiume San Lorenzo e realizzato un grande parco urbano.

Le peculiarità delle condizioni ambientali accomunano le città che si affacciano sul fiumeSan Lorenzo, condizionando anche il tessuto urbano e il patrimonio edificato di Montréal. Nellasplendida città-porto canadese si leggono le tensioni tra l’esigenza di contestualizzare la culturacostruttiva ed insediativa dei coloni francesi con le specificità del clima rigido e dell’articolazionedelle vie d’acqua. Gli spazi pubblici e le aree naturali che delimitano la città verso il fiume sonooggetto di molteplici interventi progettuali rivolti a valorizzare la cultura locale dell’abitare e laspecificità dello scenario ambientale.

Alcune città di mare rappresentano l’esemplificazione dell’idea di città-porto e offrono unasignificativa occasione per riflettere sulle trasformazioni dell’ambiente naturale e costruito in fun-zione delle fiorenti attività portuali e dello sviluppo mercantile. In tal senso è emblematico l’e-sempio di Anversa, dove il rispetto dell’ecosistema acquatico costituisce la chiave del suo suc-cesso: la dimensione funzionale prevale, oggi come ieri, con un lungofiume subordinato alle esi-genze della vita quotidiana, mentre il porto si estende e muta velocemente al mutare delladomanda di portualità. Il recupero delle aree dismesse lungo il fiume, testimonianza del gloriosopassato marittimo e dell’adeguamento tecnologico seguito al progresso tecnologico che ha inve-stito il settore portuale, è assunto come elemento strategico su cui fondare il processo di rigene-razione urbana della città consolidata.

La riqualificazione in chiave marittima è il concetto chiave che accomuna Valencia eBarcellona: entrambe le città spagnole hanno saputo cogliere l’occasione di eventi culturali osportivi internazionali per riscoprire il rapporto con il waterfront e creare nuovi spazi urbani digrande qualità architettonica. Ne è scaturita una importante occasione di miglioramento dellaqualità della vita urbana e di valorizzazione turistica. La nuova identità così costruita trova moltidetrattori, soprattutto nel caso della città catalana, che rimpiangono la perdita di diversità cultu-rale e delle suggestioni della diversità sociale nelle aree riqualificate.

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Barcellona, infatti, è stata descritta come una città vibrante, con la tradizione di reinventarsicontinuamente. Questo rapporto conflittuale nei confronti della propria identità si manifesta nellarelazione tra la terra e l’acqua, che consente di percepire e misurare la tensione dinamicadella città.

Valencia è diventata un caso emblematico di rigenerazione urbana fondata sul recupero esulla valorizzazione del patrimonio storico, marittimo e culturale, il cui esito positivo è stato testi-moniato dalla conferma della città come sede della America’s Cup anche per l’edizione del 2010.

Per ricostruire in chiave marittima l’identità di Amburgo e conferirle un’immagine di inno-vazione, sviluppando il progetto urbano per Hafencity, si è cercata una forte interazione tra terrae acqua. In questa area circondata dall’acqua è stato previsto un sistema integrato di interventimiranti a creare, nel contempo, effetto città e dialogo con la città storica.

Il criterio di scelta e le modalità di sviluppo dei casi studio evidenziano alcuni elementi cen-trali in un processo di formazione delle scelte progettuali. In una era nella quale la globalizzazionedei fenomeni economici, la fluidità delle trasformazioni sociali e la dinamicità del concetto diidentità culturale rendono difficile la riconoscibilità di luoghi e architetture, gli esempi su descrittievidenziano una realtà in controtendenza.

Le riflessioni metodologiche sul rapporto tra città, architettura e mare chiariscono un con-cetto fondamentale: la città d’acqua nasce quale crocevia, crogiuolo, ponte. Le idee di dinamicità,globalizzazione e multiculturalismo sono insite nella sua stessa natura, ed essa ha saputo svilup-pare gli anticorpi alle declinazioni negative di tali fenomeni. Comprendere la natura di tali anti-corpi, svilupparli e inocularli in altri contesti urbani consentirebbe di combattere alcune delle pia-ghe che affliggono la città contemporanea.

La presenza dell’acqua non è di per se fattore identitario ma contribuisce allo sviluppo disoluzioni urbane ed architettoniche: ponti per unire parti di città, roccaforti per proteggersi dalpericolo antropico e naturale, waterfront attrezzati per aumentare le superfici degli spazi pubblicie per ripristinare gli equilibri ambientali, piattaforme logistiche per adeguarsi dinamicamente alladomanda di servizi e simboli che uniscono le diverse culture. L’ingegno umano nel domare la na-tura rispettandone gli equilibri è alla base della longevità di tali sistemi urbani-portuali. Laddovenon si sono integrati tali aspetti la città è stata spazzata via dalla ribellione della natura o dal mu-tare delle traiettorie umane.

Si aprono, così, interessanti prospettive di ulteriori ricerche interdisciplinari che contribui-scono a definire le azioni prioritarie da porre in campo per intervenire sulla città contemporaneain una chiave di interazione culturale, di equità sociale, di sviluppo economico e di valorizzazioneambientale.

9.2 IL RECUPERO DEL COSTRUITO E DEI LUOGHI URBANI SUL MARE (S. Oppido)

L’approfondimento delle esperienze realizzate in aree urbane costiere ha evidenziato ilruolo assunto dalle relazioni che, nel tempo, si sono istaurate tra le componenti naturali e antro-piche lungo la costa, mostrando come tali relazioni abbiano determinato, in molti casi, caratteri diunicità e autenticità. In passato, l’architettura ha espresso in modo forte il legame tra una comu-nità e il mare, testimonianza della volontà dell’uomo, forse inconsapevole ed istintiva, di dialogarecon questa presenza traendone ispirazione nella costruzione del proprio habitat.

Suggestioni, caratteristiche orografiche, fattori climatici, culturali, reperibilità dei materiali sisono tradotti in forme architettoniche, a volte sintesi quasi simbiotica tra elementi naturali e co-struito. Cultura architettonica e identità marittima hanno trovato espressione in edifici fortementecaratterizzati dalla presenza del mare ed, al contempo, essi stessi in grado di caratterizzare il con-testo urbano.

Gli obiettivi di salvaguardia e valorizzazione delle aree urbane costiere possono, quindi, es-sere perseguiti attraverso il recupero di questo forte, spesso atavico, legame che l’uomo ha istau-rato nei territori di confine tra habitat terrestre e habitat marino, un confine sul quale la vita dellacittà e la vita dei naviganti si sono incrociate e spesso sovrapposte. Mediando tra antiche e nuove

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architetture, la tutela dell’identità delle città di mare deve fondarsi su un processo complessivo direcupero e valorizzazione del costruito e di progettazione di nuovi edifici, capace di interpretarela storia e la cultura locale, la memoria collettiva, il desiderio ancestrale dell’uomo e di una comu-nità di continuare a vivere e plasmare i luoghi urbani proiettandosi verso il mare.

La prima riflessione che si sollecita riguarda la necessità di un recupero edilizio non solomaterico ma semantico, capace di confrontarsi con la tutela di quei valori di riconoscibilità e diidentità che caratterizzano i luoghi sul mare, considerando l’aspetto materico solo una delle va-riabili in gioco per il governo degli interventi di recupero e di nuova realizzazione. Nello scenarioattuale, infatti, le trasformazioni, a volte incontrollate, che investono città e territorio, possono tra-dursi in scelte progettuali che, incapaci di interpretare valori, caratteristiche, potenzialità, operanoin maniera omologata e avulsa dal contesto culturale, storico, geografico.

La complessità del lavoro del progettista risiede proprio nella capacità di confrontarsi conla memoria collettiva, con il genuis loci, con l’identità del luogo, a volte ancora chiaramente perce-pibile, a volte “oscurata” dal corso degli eventi, dall’incuria e dall’abbandono. Al tempo stesso, ilprogetto architettonico, sia nel caso di nuova realizzazione sia nel caso di recupero dell’esistente,deve essere capace di interpretare il senso di appartenenza ad una comunità di mare e, quindi, aduna cultura marittima, attraverso interventi in grado di “ritessere” questo antico legame e valoriz-zare risorse e qualità del territorio.

Da ciò la seconda riflessione: in questa dimensione tra preesistenza e advenienza, tra conser-vazione e trasformazione, il recupero si configura come un’assunzione di responsabilità verso il fu-turo, fondata sulla conoscenza e sul senso critico. La posta in gioco, infatti, è spesso la riconoscibi-lità di un luogo, la sua identità e le prospettive future di sviluppo e valorizzazione, la possibilità diarrestare processi di degrado ed obsolescenza e prefigurare per l’area urbana un nuovo destino. Ilrecupero, quindi, assume la valenza strategica di governo delle trasformazioni che investono tuttol’ambiente antropizzato, con l’obiettivo di restituire qualità e valorizzare i sistemi insediativi.

Numerosi esempi in aree costiere e fluviali mostrano come adeguati interventi di recuperodell’esistente possano contribuire ad una crescita sostenibile delle città fondata sulla valorizza-zione del rapporto tra terra ed acqua, considerando il costruito un patrimonio materiale e culturale,come tale meritevole di cura. In particolare, la scelta di nuove destinazioni d’uso, da un lato, contri-buisce a mettere in atto una salvaguardia attiva del costruito ereditato dal passato, incrementan-done il valore e prolungandone il ciclo di vita, dall’altro lato, può innescare processi di rivitalizza-zione urbana, fungendo da motore di sviluppo, culturale, economico e sociale4. È emblematico ilcaso dell’Arsenale di Venezia, luogo di antichissima tradizione navale, la cui fervida attività fu de-scritta da Dante nella “Divina Commedia”: il recupero ed il riuso degli antichi edifici dismessi deicantieri navali hanno consentito di tutelare la memoria storica del sito, testimonianza di pietra dellapotenza marittima e della cultura marinaresca di Venezia, e, al tempo stesso, di conferire all’areaurbana un nuovo ruolo culturale. L’inserimento di funzioni espositive e culturali nell’area del-l’Arsenale, spesso sede dei dibattiti organizzati dal Centro Internazionale Città d’Acqua5, ed in par-ticolare la scelta di ospitare importanti eventi come la Biennale dell’Architettura, dimostrano comeil patrimonio ereditato dal passato possa rappresentare una risorsa per il futuro della città.

In un contesto storicamente e geograficamente molto diverso da quello veneziano, nellametropoli di New York, gli interventi di rifunzionalizzazione delle strutture dello South StreetSeaport, come il Fulton Fish Market ed il Pier 17, celebrano ed enfatizzano il legame tra cultura ur-bana e cultura marittima che si rinnova attraverso nuove attività e nuove dinamiche di sviluppo.

A Valencia, il recupero degli edifici preesistenti nell’area portuale, come los tinglados, la vec-chia stazione marittima e l’edificio dell’orologio, ha rappresentato un indicatore della volontà di va-lorizzare, attraverso il recupero del patrimonio architettonico, una vocazione storica della città, po-nendo le basi per un processo di rigenerazione urbana che ha ri-condotto la città verso la costa.

In altri casi, come per il Gasworks di Belfast, l’attenzione è rivolta al recupero di un patri-monio di archeologia industriale i cui edifici rappresentano dei landmarks nel tessuto urbano e

4 Cfr. Latham D. (2000), Creative re-use of buildings, Donhead, Shaftesbury (UK).5 Cfr. cap. 4, par. 4.3 “Mare, città e architetture nella contemporaneità”.

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che, attraverso nuove attività, possono assumere un nuovo ruolo nel contesto. Questo destino èauspicabile anche per altri territori, come l’area di Bagnoli a Napoli, un’area urbana costiera che inpassato ha visto sacrificate vocazioni e potenzialità a favore di una destinazione prettamente in-dustriale. Oggi il riconoscimento e la valorizzazione di questo patrimonio rappresentano anche lapossibilità per una comunità di riappropriarsi di una parte di città in grado di esercitare una fortecapacità attrattiva, come dimostrano i numerosi utenti che frequentano l’ex molo dell’Italsider,trasformato in una vera e propria passeggiata sull’acqua.

L’osservazione degli esiti derivanti da interventi di recupero e riuso sollecita una riflessionesul concetto di vulnerabilità del patrimonio costruito, in particolare quando non ci si riferisce ademergenze architettoniche ma, ad esempio, ad edifici industriali dismessi o edifici di architetturadiffusa. A tale patrimonio, infatti, spesso non sono riconosciuti valori storico-culturali, consideran-dolo come un insieme di contenitori da “riempire” di nuove funzioni attraverso interventi che nondi rado cancellano – non avendoli riconosciuti – i caratteri identitari degli edifici.

Il riconoscimento del valore appare, quindi, un presupposto indispensabile per la salva-guardia dell’esistente e per la costruzione di nuove opportunità di sviluppo urbano: senza rico-noscimento di valore dell’oggetto in quanto “bene” risulta improbabile pensare ad un impegnoculturale, tecnico ed economico per il recupero e la gestione. Infatti “Possiamo ragionevolmente af-fermare che il patrimonio, inteso come categoria culturale ed economica, non esiste di per sé, ma sol-tanto nella interpretazione che ne viene data da chi lo riusa (….) Il concetto di patrimonio implica in-fatti un giudizio di valore”6.

In assenza di un adeguato progetto di conoscenza dell’edificio sui cui fondare il riconosci-mento di valori, risorse e vincoli posti dall’esistente, le trasformazioni messe in atto da interventidi recupero e riuso possono determinare l’alterazione o la perdita di caratteristiche di identità edunicità. In tal senso, la valutazione preventiva del grado di compatibilità della nuova destinazioned’uso rappresenta un’importante variabile dalla quale dipendono gli esiti dell’intervento, in ter-mini di conservazione dell’edificio e di funzionamento delle nuove attività insediate; attraverso ilprogetto di riuso i livelli qualitativi offerti dall’edificio vanno, di volta in volta, preservati, migliorati,integrati, garantendo la riconoscibilità dell’organismo edilizio7.

La valutazione di nuove attività da insediare, inoltre, deve confrontarsi con le dinamiche delterritorio e con il fabbisogno insediativo. In alcuni casi, al contrario, le scelte appaiono dettate dastrategie di marketing piuttosto che da obiettivi di tutela e valorizzazione, come la recente ten-denza a riutilizzare fari ormai dismessi destinandoli a lussuosi resorts.

Tra i fattori fondamentali per garantire l’esito del progetto, un ruolo rilevante è assuntodalle tecnologie di intervento, in relazione agli impatti che esse producono sulla preesistenza. Siritiene necessaria, a tale proposito, una riflessione sulla qualità dell’intervento in termini di com-patibilità delle soluzioni tecnologiche adottate, in relazione alle caratteristiche materiche, costrut-tive, morfologiche e culturali dell’edificio esistente e al contesto. Nelle aree costiere, in particolare,la preventiva valutazione dei processi di degrado che le condizioni ambientali possono innescare– come l’azione erosiva esercitata dal vento, amplificata dalla presenza dei sali presenti nell’atmo-sfera in aree costiere – deve orientare il progetto sia in termini di adeguatezza delle scelte tecno-logiche sia in relazione alla programmazione delle attività manutentive. Tali considerazioni sonoaltrettanto pertinenti e rilevanti nel caso di progettazione di nuove architetture in aree urbane co-stiere che, insieme al recupero delle preesistenze, contribuiscono alla configurazione di antichi enuovi luoghi sul mare.

Come dimostrano interventi di architettura contemporanea in molte città europee8, infatti,il progetto è chiamato a far dialogare la terra e l’acqua, la cultura architettonica e la storia mari-naresca, rievocando forme della tradizione navale o velica, trovando ispirazione nella relazione tral’edificio e l’acqua, scegliendo materiali e tecnologie appropriati. L’architetto deve essere in gradodi tradurre la conoscenza del territorio in segni, forme, materiali capaci di enfatizzare il rapporto

6 Magnaghi A. (2000), Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino (I), p. 84.7 Cfr. Pinto M.R. (2004), Il riuso edilizio. Procedure, metodi ed esperienze, Utet Libreria, Torino (I).8 Cfr. cap. 4, par. 4.3 “Mare, città e architetture nella contemporaneità”.

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tra cultura urbana e storia marittima, di rafforzare l’identità locale e il senso di appartenenza ad unluogo di mare.

Memoria storica e linguaggi contemporanei trovano espressione in nuovi edifici sull’acqua,la cui qualità non risiede unicamente nella capacità evocativa della forma ma nell’efficacia e nel-l’adeguatezza delle soluzioni tecnologiche, come nel caso del Mayo Institute a Galway in Irlanda:le tre vele trapezoidali definiscono il profilo dell’edificio, rievocando il passato marittimo dellacittà, e contribuiscono, al tempo stesso, a fornite adeguate prestazioni di comfort agli ambientidella biblioteca.

L’adeguatezza della scelte tecnologiche consente di controllare l’esito dell’intervento sia intermini di prestazioni sia in relazione alla volontà del progettista di tradurre in forme archi-tettoniche una suggestione, un’ispirazione “arrivata” dal mare. Nel Nemo di Renzo Piano, la cuiforma è ispirata allo scafo di una nave ormeggiata nel porto di Amsterdam, la parte anteriore del-l’edificio è realizzata con una struttura in acciaio che ha consentito ampie aperture nella parteinferiore della “prua”, dando la sensazione di trovarsi nella cabina di comando di una nave: inquesto come in tanti altri esempi, la scelta formale ed evocativa è perseguita e supportata dallascelta tecnologica.

Oggi come nel passato, numerose sono le architetture che cercano nel mare suggestione edispirazione, configurando luoghi urbani che trovano, o ritrovano, nel rapporto tra terra e acqua, va-lenze semantiche e forza espressiva. Si tratta di nuovi edifici concepiti per creare nuovi luoghi ur-bani ed incentivare nuove dinamiche di sviluppo per le città costiere. Ad Oslo, l’Opera House, pro-getto vincitore del World Architecture Festival Cultural Award nel 2008 e del Mies van der RoheAward nel 2009, è una nuova struttura culturale, realizzata sull’ex area portuale della penisola diBjøzvika, che ha contribuito in maniera rilevante al nuovo sviluppo della zona. L’edificio è a direttocontatto con l’acqua e assume le sembianze di un iceberg, attraverso un profilo essenziale, realiz-zato con superfici di vetro e marmo bianco di Carrara. Il contatto con l’acqua è enfatizzato propriodal piano bianco in marmo che avvolge l’edificio e scende nelle acque del fiordo, diventandoarchitettura, piazza, banchisa; all’interno, le ampie superfici trasparenti consentono al paesaggiodel fiordo norvegese di “entrare” a far parte dell’edificio e di suggestionare il visitatore.

Altro esempio interessante è il caso dell’area portuale dei Manchester Docks, diventata og-getto di un’attenta riflessione pubblica che ha condotto ad un piano di bonifica delle acque e divalorizzazione del contesto, realizzando sull’area del canale luoghi urbani dalla forte capacità at-trattiva come il Lowry Center di Michael Wilford. L’involucro lucente, in acciaio inossidabile e ve-tro, oltre a conferire all’edificio un’unità estetica, crea una superficie sulla quale si specchiano cieloe l’acqua, con un effetto quasi “camaleontico”.

La scelta di materiali e tecnologie, quindi, ha un ruolo determinante per l’esito del progettoe per la qualità di architetture e luoghi urbani sul mare – supportando e sostanziando forme, va-lori e significati – e contribuisce a conferire valenza semantica e capacità espressiva all’interventodell’uomo nelle aree costiere. La suggestione, l’ispirazione, la forza evocativa che l’umanità dasempre trova nel mare, attraverso gli strumenti del recupero edilizio e la progettazione di nuoviedifici, possono tradursi in luoghi urbani in grado di valorizzare la storica – e quasi genetica –forte capacità attrattiva e di aggregazione, luoghi di accoglienza e di incontro in cui la città rap-presenta ed esprime la propria identità culturale e marittima nella costruzione del futuro.

9.3 BORDEGGIANDO SUL MARE VERSO NUOVE CITTÀ (M. Clemente)

Il percorso conoscitivo sull’interazione tra la cultura marittima e le culture urbane ci ha con-dotto verso interpretazioni originali delle città e delle architetture che affacciano sul mare, esal-tando la peculiarità della linea di costa nelle città di mare.

La fascia costiera, in ambito urbano, assume valenze funzionali e simboliche che vanno benoltre la poetica del waterfront, pur declinata con diversi approcci negli ultimi cinquant’anni, pre-valentemente come recupero delle aree portuali dismesse.

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La riflessione teorica, la costruzione metodologica e l’approfondimento dei casi studiohanno consentito di mettere a fuoco le città di mare da una prospettiva peculiare che può aprirepercorsi progettuali innovativi. Guardare le città dal mare, interpretare le culture urbane partendodalla cultura marittima, elevare la marineria a valore fondativo delle comunità urbane costiere,sono queste le innovazioni su cui costruire il nuovo approccio progettuale.

Mare, barche e marineria costituiscono la memoria collettiva che accomuna tutte le città dimare, trovando espressione nelle forme urbane e architettoniche che dialogano con l’acqua. Ilprogetto architettonico e urbano deve interpretare e rappresentare questa cultura marittima cheunisce le comunità e le città di mare.

La metafora che abbiamo scelto per raccontare la nostra proposta metodologica è il bor-deggio di bolina e cioè la navigazione a zig-zag per risalire controvento che esalta le capacità deinaviganti: la rotta non è lineare ma cambia per assecondare il vento e il mare, ottimizzando losfruttamento delle risorse naturali e rinnovabili.

Le immagini fotografiche hanno offerto le suggestioni che, collocate nella struttura logicadella ricerca, hanno consentito di far emergere i temi del rapporto tra acqua e terra, uomo e barca,navigazione e approdo, architetture e luoghi urbani sul mare.

Nelle barche abbiamo cercato l’arte di costruire per navigare ed unire coste altrimenti di-vise dal mare, per collegare i porti attraverso le rotte marittime. Abbiamo colto, nella marineria, ilfattore unificante di tutte le genti di mare e delle loro città.

Le architetture e le città di mare, infine, ci hanno regalato casi emblematici e paradigmatici,a cui fare riferimento per delineare metodologie innovative di ridisegno delle linee di costa ur-bane. L’approfondimento ragionato dei casi studio scelti non su criteri geografici ma di identitàmarittima ci ha proiettato verso nuovi approcci progettuali fondati sulla cultura del mare. Il per-corso conoscitivo è stato consapevolmente eurocentrico ed è partito dalla cultura marinarescamediterranea per poi spostarsi, nei mari del nord e oltreoceano.

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Fig. 1 - Nel Charles River le imbarcazioni attendono i fuochi d’artificio per l’Indipendence Day, Boston, 4 luglio 2011(Foto di Guido Clemente).

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La naturale conclusione di questa ricerca è la definizione di un approccio e di una filosofiaprogettuale che consentano di interpretare e rappresentare la specificità della città di mare. Senzaavere la pretesa di fissare “regole compositive” si possono elaborare delle indicazioni metodologi-che, linee guide metaprogettuali che perseguano l’osmosi tra cultura marittima e cultura urbana.

Questa metodologia metaprogettuale può essere delineata attraverso una serie di parolechiave: percezione, marineria, navigazione, approdo, interpretazione, rappresentazione, funzione,articolazione, proiezione, ricezione, sintesi. L’approfondimento di queste parole chiave consentiràdi mettere a fuoco le linee guida generali per i progetti di valorizzazione delle città di mare e, inparticolare, delle parti urbane che affacciano sull’acqua marina.

La prima parola chiave è la “percezione” e fissa l’aspetto sensoriale alla base della specificitàdelle città di mare: i cinque sensi che rivelano il mare e la città, l’ambiente naturale e l’ambientecostruito, le donne e gli uomini nel loro interagire con il mare.

Il gruppo delle tre parole chiave “marineria, navigazione, approdo” è relativo alla presenzadell’uomo sul mare: arte e tecnica per staccarsi dalla terraferma, navigare e raggiungere altreterre, altre città e culture.

Il gruppo delle tre parole chiave “interpretazione, rappresentazione, funzione” è relativo allaconoscenza consapevole e profonda dell’identità della città di mare, finalizzata alla rappresenta-zione nelle forme architettoniche che consentano lo svolgimento delle funzioni urbane sul maree per il mare.

Il gruppo di parole chiave “articolazione, proiezione, ricezione” è relativo alla trasformazionedella linea e della fascia di costa, attraverso gli strumenti di cui il progettista dispone per ridefinirequell’area singolare dove terra ed acqua s’incontrano.

L’ultima parola chiave è la “sintesi” intesa come capacità dell’architetto progettista di met-tere a sistema tutti gli elementi che concorrono alla specificità della città di mare per rielaborarlie trasfonderli nel linguaggio architettonico, nella costruzione degli spazi e delle funzioni.

La percezione del mare distingue la città di mare da tutte le altre tipologie di città: il maresi vede e se non si vede si sente, si odora, si tocca, se ne avverte la presenza costante e forte.Il clima è molto influenzato dal mare che crea un habitat assai particolare dove il vento e il soleesaltano l’odore salmastro percepito da chi passeggia sul lungomare. La morfologia urbanasuggerisce la posizione del mare e ci aiuta ad orientarci anche se non lo vediamo perché,appunto, lo percepiamo.

L’architetto, urbanista, paesaggista, deve assecondare queste percezioni facilitando il con-tatto con l’ambiente marino dai diversi luoghi della città siano essi più o meno lontani dall’acqua.Il progetto deve ricercare la visibilità del paesaggio marino dagli spazi pubblici e da quelli privati.Laddove il contatto visivo non è possibile le architetture e i luoghi devono raccontare che il marec’è anche se non si vede, suggerirne la presenza.

La marineria – in particolare, la marineria di matrice europea a cui si è fatto riferimento inquesto studio – ha un’identità forte unitaria anche se nei secoli e nelle diverse aree geograficheha assunto caratteri peculiari. L’intervento sulle aree costiere urbane deve partire da questa iden-tità marinara unitaria per poi declinarsi nelle specifiche identità locali delle comunità di mare.

Nella pratica progettuale, questo approccio può essere sviluppato sia nella fase analiticaconoscitiva sia nella fase più direttamente propositiva. Nel primo caso, significa approfondire letradizioni culturali delle comunità locali e il loro rapporto con il mare. Nel secondo caso, si trattadi rispondere attraverso i progetti alla domanda, decisamente caratterizzata, posta da uomini edonne fortemente legati alla vita di mare.

L’arte della navigazione è la terza musa ispiratrice del progettista della città sul mare perchéproprio navigando gli uomini incontrano altri uomini, le culture si mescolano, le città dialogano.Virtualmente, ogni volta che lo sguardo si proietta sull’acqua, il paesaggio urbano prosegue sulmare. Quando ci affacciamo sul mare e guardiamo l’orizzonte è come se partissimo per una na-vigazione, breve o lunga, verso terre conosciute o ignote. Il paesaggio della città di mare haquest’implicazione che deve essere interpretata progettualmente in ogni luogo, pubblico o pri-vato, che guardi il mare.

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Il navigare implica la partenza e l’arrivo oltremare: l’approdo è la quarta parola chiave dellanostra riflessione metodologica. Le navi approdano nelle città portuali e, sulle banchine, trasferi-scono storie di uomini e donne, ricchezza culturale, memorie collettive da condividere. La passeg-giata sul mare, la rotonda, i luoghi in prossimità dell’acqua, sono tutti potenziali approdi, punto diarrivo di rotte, attracco di ipotetiche navi.

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Fig. 2 e 3 - Passeggiando lungo il Pontile di Tonfano a Marina di Pietrasanta, Versilia.

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Nel progetto questo significa trattare il margine, l’affaccio sul mare, il bordo, interpretandol’attesa della nave che arriva. I luoghi sul mare devono favorire la contemplazione e, allo stessotempo, devono essere accoglienti e includenti, favorire le relazioni sociali e lo scambio tra culturediverse.

L’interpretazione e la rappresentazione sono la quinta e sesta parole chiave nella nostra ipo-tesi metodologica e sono interrelate alla funzione. L’interpretazione è la capacità di comprendere,

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Fig. 4 e 5 - Proposte progettuali presentate da M. Clemente (capogruppo), A. Landolfi, M. Liparulo e A. Pelella al concorso“One Prize 2011: Water as the Sixth Borough” per la città di New York.

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caso per caso, quell’identità marcata che ogni città di mare ha e che la comunità urbana trasferi-sce, di generazione in generazione, esprimendola nelle forme architettoniche e urbane. Il proget-tista interpreta la cultura marittima e urbana della comunità e la rappresenta, attraverso il pro-getto, nella città e nelle sue architetture, per soddisfare dei bisogni.

La rappresentazione è la capacità di tradurre l’identità marittima in spazi, segni, simboli, uti-lizzando la matericità dell’architettura. Il linguaggio progettuale interpreta e rappresenta la mari-neria, il rapporto che le donne e gli uomini hanno con il mare, la relazione tra l’acqua e la terra-ferma, per rispondere alla domanda di funzioni.

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Fig. 6 e 7 - Proposte progettuali presentate da M. Clemente (capogruppo), A. Landolfi, M. Liparulo e A. Pelella al concorso“One Prize 2011: Water as the Sixth Borough” per la città di New York.

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Passiamo ora agli strumenti del progetto che sono l’articolazione, la proiezione e la rice-zione, intese come azioni sulla fascia urbana costiera. L’articolazione consiste nello sviluppo dellalinea di costa che passando dall’andamento rettilineo a quello poli-lineare allunga, di fatto, la linead’incontro tra l’acqua e la terra. Il progettista, attraverso la trasformazione della costa da diritta infrastagliata, moltiplica l’area ibrida che lambisce l’acqua del mare.

La proiezione è una specifica forma di articolazione che prolunga la costa verso il mare, rea-lizzando pontili che si allungano dalla terraferma e, su di essi, architetture e luoghi urbani.Attraverso la proiezione, la forma urbana si dilata sull’acqua, verso il mare aperto, generandonuovi brani di città nel racconto delle architetture.

La ricezione è l’altra forma di articolazione e consiste nella penetrazione dell’acqua all’in-terno del tessuto urbano, creando canali, bacini e darsene. Attraverso la ricezione, la forma urbanaaccoglie l’acqua del mare e si sviluppa attorno ad essa, le architetture e i luoghi della città ab-bracciano porzioni di mare.

L’ultima parola chiave che proponiamo, per la costruzione di una metodologia metapro-gettuale delle città di mare, è la sintesi intesa come messa a sistema delle precedenti dieci parolechiave: percezione, marineria, navigazione, approdo, interpretazione, rappresentazione, funzione,articolazione, proiezione, ricezione.

La proposta metodologica, nella sintesi, vede la fascia costiera come un ambito specifico ecaratteristico della città di mare, dove l’equilibrio tra l’acqua e la terra, tra habitat marino e habitatterrestre, è molto delicato. L’intervento progettuale trasforma quest’elemento di separazione trala città interna e il mare in un elemento di collegamento, di ricucitura della parte lontana dal marecon quest’ultimo.

La linea di costa può essere considerata un elemento primario della città di mare e cometale va gestito nel progetto architettonico e urbano, relazionandola opportunamente al contestomarittimo e terreste a cui appartiene. Possiamo dire che il progetto della linea di costa, nell’am-bito urbano, deve essere sempre collocato nel più ampio quadro di una pianificazione costiera diarea vasta, prevedendo una sorta di piano di “costa vasta”.

Ipotizziamo di prendere un pezzo di città, di una città di mare, e di staccarlo dalla terra-ferma, spostarlo sull’acqua, con i suoi spazi, le architetture, le persone che lo rendono vivo. Pensoad un’isola urbana, nel senso letterale del termine, un’isola che si congiunge con un’altra terra-ferma, con un’altra città e altre persone, con un’altra comunità urbana.

Immaginiamo una nave che è un quartiere, con le architetture, gli edifici pubblici e privati,gli spazi e i luoghi, le attività, le relazioni umane: la nave si stacca da un molo per navigare e rag-giungere un altro molo.

L’intervento sulla fascia urbana costiera, su quello che spesso riduttivamente viene chia-mato waterfront, deve essere generato da questa visione: un pezzo di città navigante, una cittàche si stacca e salpa, una città che accoglie e ormeggia.

In realtà, questa parte di città sul mare e per il mare, non si stacca dalla terraferma ma, vir-tualmente, ha in sé la partenza e l’arrivo, il varo e l’attracco. L’attuazione di questa vision si realizzacon i materiali e gli strumenti più tradizionali dell’architettura che concorrono a compiere questoprocesso di navigazione virtuale.

Possiamo anche parlare di una mitosi urbana virtuale che trasmette e concentra nei luoghiurbani sul mare il patrimonio genetico della città di mare, la memoria collettiva e l’identità marit-tima della comunità urbana di mare.

Questa vision si può tradurre e, in alcune buone pratiche più o meno consapevoli, si è giàtradotta in forme urbane e architettoniche. Partendo da questi primi risultati ci proiettiamo versopossibili percorsi di sperimentazione progettuale, lungo nuove rotte che potranno condurci versonuove città di mare.

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Note sugli autori e sui referees

Il coordinatore della ricerca, autore e curatore del volume

Massimo Clemente è architetto, urba-nista e velista, uomo di studio per me-stiere e di mare per passione.Dopo la laurea in Architettura (1987,Premio Fondazione Corsicato), si è for-mato nel gruppo “Innovazione tecno-logica e trasformazioni territoriali”(1989-1999), contribuendo al processodi promulgazione della Carta di Me-garide per la città del XXI secolo.Nel Consiglio Nazionale delle Ricerchedal 1989 come borsista e Ricercatore,dal 2001 è Dirigente di ricerca, primanell’Istituto per la Pianificazione e laGestione del Territorio e dal 2009nell’Istituto di Ricerche sulle AttivitàTerziarie di Napoli. Dal 2010 è respon-sabile della Commessa “Strategie urba-

nistiche per la città contemporanea: multi-culturalismo, identità, recupero e valorizzazione”.Ha insegnato urbanistica e progettazione nella Facoltà di Architettura della Seconda Università diNapoli (1998-2005) e nella Facoltà di Ingegneria dell’Università Tor Vergata di Roma (2005-2009). Per ilCNR, dal 2009 è membro del Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in “Recupero edilizio eambientale” delle Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Genova e Palermo.I suoi oggetti d’interesse sono la città e l’architettura interpretati come strumenti per costruire lo svi-luppo sostenibile ed equilibrato nelle tre dimensioni ambientale, economica e sociale. Su queste te-matiche ha curato oltre cento lavori scientifici, tra contributi a volumi, papers su riviste internazionali,monografie, relazioni a convegni e su invito, rapporti di ricerca.Per le attività svolte, ha ricevuto riconoscimenti scientifici e professionali, tra cui il premio per gli studidi urbanistica della Fondazione Aldo Della Rocca (1997 e 2001) e la recente aggiudicazione, comecapogruppo, nel Concorso per il Master Plan Nichelino 2010 della Regione Piemonte.

Le autrici degli approfondimenti e dei casi studio

Gabriella Esposito De Vita è nata nel 1969 a Napoli, dove vive con il ma-rito Alberto, le loro due figlie Gaia (8) e Diana (5) ed il gatto Oliver.Ha intrapreso attività di ricerca nell’ambito dell’urban planning già nelcorso dell’elaborazione della tesi di laurea presso l’Università di NapoliFederico II ed ha proseguito durante i corsi di specializzazione (Università diRoma La Sapienza) e di dottorato (Università di Napoli “Federico II”).Ha indagato, in un percorso di ricerca lungo e articolato, le relazioni tra letrasformazioni sociali e la forma urbana, trasferendo i risultati conseguitinell’attività didattica e di diffusione mediante pubblicazioni nazionali ed in-ternazionali.Ricercatore presso il CNR dal 2001, ha avuto l’opportunità di coordinaregruppi di lavoro interdisciplinari in progetti di ricerca nazionali (MIUR) edinternazionali (7FP).Dal 2004 è membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Della Rocca per gli studi ur-banistici (Roma).

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Eleonora Giovene di Girasole, architetto e dottore di ricerca, vive e la-vora tra Napoli e la Penisola Sorrentina. Laureata nel 2002 pressol’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, consegue il dottorato di ri-cerca in “Metodi di Valutazione per la Conservazione Integrata delPatrimonio Architettonico, Urbano ed Ambientale” con un tesi sulla ri-qualificazione integrata delle periferie e la riduzione del disagio abita-tivo, per la quale ha ricevuto riconoscimenti scientifici dall’IstitutoNazionale d’Urbanistica (2008) e dall’Associazione Regionale di ScienzeRegionali (2007).Ha partecipato a progetti di ricerca universitari e con altri enti ed è au-tore di diversi saggi sulla riqualificazione sostenibile dei quartieri peri-ferici, la pianificazione della città interetnica, la riqualificazione ambien-

tale, l’integrazione tra le trasformazioni urbane e il governo della mobilità. È coautore di due volumi:Mutamenti del Paesaggio, Idee, proposte e progetti per la Penisola Sorrentina (Edizioni Graffiti) eL’occasione del progetto. Tecnologia, ambiente, paesaggio (Edizioni Graffiti).È docente a contratto presso le Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli “Federico II” e dellaSeconda Università di Napoli.Integra la ricerca universitaria con la pratica e la sperimentazione nel campo della progettazione vin-cendo il “Premio di Architettura Portus” della Biennale di Venezia nel 2006, e nel 2007 il Primo premiodel ”Concorso di idee per la riqualificazione sostenibile di un rione IACP a Castellammare”. Dal 2008 sioccupa di progettazione e procedure di affidamento di opere pubbliche.

Alona Martinez-Perez è un architetto spagnolo di Bilbao. Laureata pressola Sheffield University, ha conseguito Master e diploma post-laurea pressol’Edinburgh College of Art. Sta frequentando il Dottorato di ricerca presso laSheffield University approfondendo il tema architettura e periferia.Collabora alle attività di ricerca in partnership con architetti italiani, tra cuiCNR e LUPT di Napoli. Attualmente è docente presso l’Università di Ulster eguest tutor presso ETSAB di Barcellona, Università di Edimburgo e Dundee. Èstata uno dei curatori e keynote speaker del “Belfast @ Venice”, nell’ambito diUrbanpromo presso la Fondazione Cini; relatore al Padiglione Britannicodella Biennale di Venezia nel 2010, ha partecipato come giurato al concorso“Urban Promo giovani”, vetrina dedicata al lavoro di giovani urban planneritaliani nel 2010. In precedenza ha lavorato come research director presso il Geddes Institute(Università di Dundee) e presso studi professionali privati in Scozia e nel nord dell’Inghilterra. I suoi la-vori sono stati selezionati in concorsi e pubblicati su riviste a livello internazionale. È stata nominataScottish Convener dell’Urban Design Group nel 2007 ed è stata invitata come keynote speaker allaconferenza annuale UDG presso il St. Peter ‘s College di Cambridge nel 2009.

Stefania Oppido è architetto e dottore di ricerca in recupero edilizio e ambientale, con una sincera eforte passione per il mare.Negli anni successivi alla laurea (2002) si è formata partecipando alle attività scientifiche delDipartimento di Configurazione e Attuazione dell’Architettura dell’Università degli Studi di Napoli“Federico II”. Tale collaborazione, che tuttora prosegue, le ha consentito di sviluppare competenze nel-l’ambito della Tecnologia dell’Architettura, con particolare interesse per gli aspetti relativi al governodei processi di recupero e riqualificazione alla scala edilizia, urbana ed ambientale. Ha conseguito il

titolo di “Esperto in recupero e valorizzazione dei centri storici” (2003) edil Premio “Scrivi il futuro” (2008), promosso dall’Assessorato alla Ricercaed all’Innovazione della Regione Campania e da The European House-Ambrosetti.Dal 2010 collabora alle attività del gruppo di ricerca della Commessa“Strategie urbanistiche per la città contemporanea: multiculturalismo,identità, recupero e valorizzazione” (resp. scient. arch. M. Clemente) delCNR-IRAT. Gli attuali interessi di ricerca sono orientati ad indagare le tra-sformazioni che investono i territori e le città contemporanee, approfon-dendo le relazioni tra componente naturale, insediativa, socio-culturale edeconomica, in un’ottica di recupero e valorizzazione delle identità culturali.

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Ariadna Perich Capdeferro ha studiato Architettura e Urba-nistica presso la Facoltà di Architettura di Barcellona (ETSAB-UPC).Vincitrice dell’Honor Prize (ETSAB, 2006) e del 3° Premio nella se-zione architettura del Dragados Prize XXVI (2008) per il FinalProject, ha conseguito un Master in “Teoria i Pràctica del Projected’Arquitectura” (ETSAB, 2007-09) ed un diploma post-laurea inpianificazione urbanistica (COAC, 2009). Durante gli studi hapartecipato a numerosi workshop internazionali tra i qualil’“International Laboratory of Urban Design” (ILAUD, Venezia,2002).Professore associato presso il Dipartimento di Progettazione ar-chitettonica dell’ETSAB dal 2005, membro del gruppo di ricercaFORM dal 2011 e guest tutor presso l’Università di Edimburgo,l’Instituto Europeo di Design (IED Barcellona) e l’UniversitàInternazionale di Catalunya (UIC-ESARQ). Ha diretto e coordinatoworkshop internazionali come “Spaces of transformation at the limits of a city” (BCN-Volterra, 2010) e“Besides Tourism. Revisiting Barcelona’s most touristic places” (ETSAB, 2011).Attualmente lavora come architetto libero professionista con sede a Barcellona, per committenti pub-blici e privati. È membro del gruppo di giovani architetti “On vas Bcn”, costituito nel 2010 dopo la par-tecipazione allo “Strategic Metropolitan Plan of Barcelona” nell’ambito della Prospective Commission“Architecture of confrontation” (PEMB 2020).

Alessandra Ricciardi si è laureata nel 1994 discutendo la tesiin progettazione architettonica “Napoli ed il mare: nuove strut-ture al Molo del Carmine”; il suo interesse per il mare si è con-solidato negli anni successivi alla laurea partecipando a corsidi specializzazione (1998 – Specializzazione in ProgettazioneUrbana) e seminari nazionali ed internazionali di progetta-zione. Quei limiti delicati, i waterfronts, passaggio dalla città co-struita all’elemento naturale, sono stati l’oggetto della tesi diDottorato in Progettazione Architettonica ed Urbana (2000 – Ilprogetto del fronte sull’acqua della città).Ha collaborato con l’ I.Pi.Ge.T. (Istituto di Pianificazione eGestione del Territorio) del CNR di Napoli ed ha svolto attività

didattica e di ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con la cattedra del Prof. F.Bruno e presso l’Università Parthenope con il Prof. G.P. Cesaretti; nel tempo i suoi interessi di ricerca sisono sempre più orientati sul territorio e sulle sue trasformazioni legate alle componenti architettoni-che ed economiche.

Marichela Sepe si laurea in architettura con lode nel 1991 e consegue ilDiploma di specializzazione in Progettazione urbana nel 1996 pressol’Università di Napoli Federico II. Dal 2001 è ricercatore a tempo indeter-minato del C.N.R. e dal 2009 afferisce all’IRAT del C.N.R. di Napoli. Dal 2003è in distacco temporaneo presso il Dipartimento di Progettazione Urbanae di Urbanistica dell’Università di Napoli “Federico II”. È membro delCollegio dei Docenti del Dottorato di ricerca in Progettazione Urbana eUrbanistica e docente a contratto presso l’Università di Napoli “Federico II”.I suoi interessi di ricerca riguardano lo studio della città contemporanea,con particolare attenzione all’analisi e progettazione del paesaggio ur-bano, all’urban design, alla rigenerazione creativa, alla pianificazione delterritorio.È membro del Consiglio Direttivo della sezione Campania dell’INU e socio dell’Urban Design Group,dell’EURA, dello IAPS e della Do.Co.Mo.Mo.

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Claudia Trillo è Dottore di Ricerca in Progettazione Urbana (UniversitàFederico II di Napoli) e si occupa prevalentemente di pianificazione eprogettazione urbanistica e valutazione degli investimenti pubblici perlo sviluppo del territorio, alternando attività di ricerca, di insegnamentouniversitario e di pratica professionale. Attualmente Direttore dellaFondazione Astengo INU e del Centro di Ricerca in Politiche di Sviluppodel LUPT (Università Federico II di Napoli), e Visiting Research Fellowall’Università di Salford, è stata lecturer presso l’Università dell’Ulster eFulbright Senior Researcher presso la San Diego State University (CA). Isuoi interessi di ricerca attuali si concentrano sulla rigenerazioneurbana sostenibile, con il coordinamento dell’unità di ricerca del-l’Università di Salford nell’ambito del progetto CLUD, Commercial LocalUrban Districts, finanziato dal 7° Programma Quadro Europeo.

Serena Viola architetto, ricercatore di tecnologia dell’architettura, dot-tore di ricerca in recupero edilizio e ambientale. Svolge attività di ricercasui temi della tutela attiva del patrimonio costruito, orientando la produ-zione scientifica sulle tecnologie per la riqualificazione sostenibile deisistemi insediativi.Ha soggiornato più volte nelle città di Québec e Montréal avendo vinto ilCanadian Studies Faculty Research Program nel 2004 e nel 2006, e ilFaculty Enrichment Program nel 2009, messi a bando dal Ministero degliAffari Esteri del Canada. Il contributo dell’innovazione tecnologica per lariqualificazione delle aree portuali delle due maggiori città del Québec,è stato al centro di studi sulle esperienze messe in essere in spazi difruizione collettiva, per contrastare l’esponenziale incremento di processidi degrado e obsolescenza e favorire la diffusione capillare di una coscienza dell’identità dell’am-biente costruito.

L’autore delle interpretazioni grafiche

Salvatore Oppido, grafico, incisore e gommonauta incal-lito, ha speso la sua esistenza tra lo studio per la grafica ela passione per il mare.Si è diplomato presso il Magistero d’Arte per le ArtiGrafiche Ist. “Palizzi” di Napoli ed ha completato gli studiall’Accademia di Belle Arti. Nel 1968 inizia la sua attività didocente presso l’Istituto d’Arte “Palazzi” che lo aveva avutocome allievo.Dal 1964 partecipa a mostre e concorsi nazionali legati al-l’incisione grafica, come la “Biennale dell’incisione per igiovani” in Tolentino (MC) ed. 1966, e nel 1967 è premiatoal “Concorso Nazionale per studenti” a Padova. Inizia così

una lunga carriera legata alla creazione e all’esecuzione di moltissime tavole grafiche, anche in tiraturalimitata, con una attenzione particolare all’editoria d’autore, prestando la sua mano a molti famosi ar-tisti contemporanei e alle Stamperie di Nola, come “il Laboratorio” e “L’Arco e L’Arca”. Ha collaboratocon le “Edizioni del Cammello” di Castellamare di Stabia, il “Museo Gracco” di Pompei e le edizioni di“Aquila di Mare”.Per la sua attività artistica legata alle tecniche grafiche ed incisorie nel 1986 è stato invitato ad esporrepresso le Nations Unies à Genere e nel 1989 alla School of Art presso la Northern Illinois Universitydi Chicago.Oggi continua a solcare il mare e a studiare le tecniche di stampa applicate all’arte dell’incisione,ricercando equilibri compositivi e nuove tecniche espressive aderenti alle connotazioni reali deinostri giorni.

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Gli autori delle interpretazioni fotografiche

Le immagini fotografiche sono state realizzate dagli autori dei singoli contributi come specifica formadi conoscenza interpretativa.Si ringraziano per le ulteriori immagini: Dionigia Barbareschi, Fabrizia Clemente, Guido Clemente, GaiaDaldanise, Antonella de Cristofaro, Stefano De Simone, Katia Fabbricatti, Massimo Liparulo, MarteenNeering.

I referees e autori delle note introduttive

Alfonso Morvillo è nato a nel 1957. Nell’AA 1981/82 si è laureato con lode in“Scienze Economico-marittime” presso l’Istituto Universitario Navale di Napoli(ora Università “Parthenope”). Nel 1984 è stato assunto presso l’Istituto diRicerche sulle Attività Terziarie del Consiglio Nazionale delle Ricerche di cui,dal maggio 2003, è Direttore.I suoi interessi scientifici sono riconducibili ai seguenti temi: Intermodalità,Logistica e Supply Chain Management; Imprenditorialità e Innovazione,Turismo e Beni Culturali; Sviluppo Locale. È stato Responsabile Scientifico dinumerosi progetti di ricerca europei, nazionali e regionali, commissionati an-che da imprese private. È membro di molti Comitati scientifici tra cui il Comitato Editoriale del CNR ela Commissione di Studio per la valorizzazione della ricerca e la cooperazione con le PMI. Dal 2000 al2004 è stato componente del Maritime and Freight Transport Programme Committee dell’Associationfor European Transport Conference. È, inoltre, nel C.d.A. della Società TEST Scarl e del ConsorzioPROMOS Ricerche. È autore di numerosi volumi, saggi e articoli su riviste nazionali e internazionali.

Francesco Bruno è architetto.Fino al novembre 2010 ha insegnato progettazione architettonicaalla Facoltà di Architettura dell’Università Federico II di Napoli, dovesi era laureato nel 1967 e dove aveva incontrato colei che sarebbediventata sua moglie e con la quale ancora progetta.Nato a Napoli nel 1940, fino ai vent’anni ha trascorso le vacanze dimare ad Ischia, dove ha imparato ad amare il mare e la vita di mare,a nuotare ed a manovrare a vela con il dinghi. Poi ha trasferito il suotempo libero e la passione per il mare nell’isola di Panarea.Ha partecipato a molti concorsi di architettura vincendone alcuni,altri con buoni piazzamenti e premi. Ha realizzato, in seguito a con-corso, il Dipartimento di Petrolchimica dell’Università di Riyadh. Tra iprogetti realizzati: casa D.S. a S.Anastasia, Case a schiera a Maratea,

Torre piezometrica del Pertusillo, Impianto polisportivo a Napoli Barra, casa C. a Montella. In realizza-zione la Piazza della Socialità a Scampia e la nuova sede dell’Acca software a Bagnoli Irpino.Tra gli scritti più recenti si segnalano “L’architettura possibile per la città multiculturale” in Città inte-retnica, Napoli 2008;“Il centro storico tra conservazione e innovazione” in Conservazione integrata delpatrimonio architettonico urbano e ambientale, Napoli 2009; “Una ricerca per il recupero delle Vele diScampia” in Le vele di Scampia che fare?, Napoli 2011.

Claudio Pensa è nato a Napoli nel 1955.Da che ha memoria di sé, ha osservato il mare le barche e le navifacendo dello studio di queste il suo mestiere.Oggi insegna la dinamica e la progettazione delle navi all’UniversitàFederico II di Napoli.Velista attivo per molti anni, spinto dalle onde, è ora approdato conla sua compagna ad Itaca dove la pesca e gli amici greci contribui-scono a ritrovare gli incanti passati del Golfo di Napoli.

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Roberto Bobbio, architetto e dottore di ricerca in Pianificazione territoriale eambientale, è professore associato di Urbanistica all’Università di Genova,dove insegna nei corsi di Architettura e nella Scuola di Specializzazione inBeni Architettonici e del Paesaggio; fa parte del Collegio dei docenti delDottorato di Ricerca in Recupero edilizio e ambientale, con sede pressol’Università Federico II di Napoli.È socio dell’International Society of City and Regional Planners, della Societàitaliana degli urbanisti e dell’Istituto nazionale di urbanistica.I suoi interessi di ricerca riguardano prevalentemente la morfologia della città

e del territorio, indagata nel rapporto tra progetto e norme e privilegiando le problematiche dellacittà antica, dei paesaggi storici e delle zone costiere. Alla ricerca si affianca l’impegno nel dibattito enella pubblicistica sui processi di trasformazione e gli strumenti di governo del territorio. Ha eseguitolavori e consulenze nel campo della pianificazione comunale, territoriale e ambientale e della gestionedelle aree protette.

Maria Rita Pinto, architetto, genitori cilentani che, seguendo la li-nea di costa, sono approdati a Sorrento, dove è nata. Ama osser-vare da Sant’Agata come lo stesso mare si impadronisce dei duegolfi, di Napoli e di Salerno.Professore straordinario di Tecnologia dell’Architettura (Facoltà diArchitettura, Università di Napoli “Federico II”), è coordinatore del-l’indirizzo di dottorato “Recupero Edilizio ed Ambientale, Ma-nutenzione e Gestione”.Membro esperto del Comitato UNI che ha redatto le Linee-guidaper l’applicazione delle norma UNI- EN - ISO 9001:2000, dal 2004 ècomponente del consiglio scientifico del Centro Qualità di Ateneoper la certificazione delle attività di ricerca.È stato membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Tecnologia dell’Architettura (SITdA) edè Editorial Board Member per la rivista internazionale “The Open Ergonomics Journal”.Ha partecipato a numerose attività di ricerca nell’ambito del recupero e della manutenzione edilizia eurbana, della gestione del patrimonio pubblico e degli interventi dedicati al patrimonio culturale, conl’elaborazione di procedure, metodi e strumenti per il riuso del costruito. È autrice di testi, saggi earticoli, su riviste nazionali ed internazionali, sui temi delle tecnologie del recupero, del riuso edilizio edel controllo di qualità nel processo di manutenzione.

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2011da Cangiano Grafica, Napoli

per conto di Editoriale Scientifica s.r.l.

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