Introduzione L’allenamento di forza nelle discipline di endurance sta assumendo, negli ultimi anni, un interesse sempre più crescente da parte del mondo scientifico, ed è diventato perciò oggetto di numerosi studi. Tutto ciò grazie alle intuizioni di molti tra gli allenatori e i ricercatori che hanno ipotizzato come lo sviluppo di programmi di training misto (endurance e forza) potesse essere una delle strade utili per contribuire al miglioramento delle prestazioni. In particolare, vengono studiati i fattori neuromuscolari legati all’insorgere della fatica durante le prove di endurance; questo perché, durante esercizi prolungati e a intensità elevata, l'attività muscolare va necessariamente incontro ad un affaticamento, con una conseguente diminuzione della capacità del sistema muscolare di produrre forza. Per cercare di ritardare e contrastare l’insorgenza della fatica si sta tentando di introdurre, nelle discipline di endurance, programmi di allenamento volti a migliorare la capacità di forza. Attualmente, numerosi studi hanno dimostrato come l’utilizzo di allenamenti di forza abbia un effetto positivo su molti parametri legati alla prestazione stessa, come ad esempio alcune espressioni di forza e di economia di corsa ed altri indici legati alla performance aerobica. I vantaggi derivanti da questo tipo di lavoro dipendono strettamente dal volume della esercitazione svolto ad una determinata intensità; tuttavia con il progredire dell’allenamento, questi parametri abbisognano di continui e costanti incrementi per permettere dei benefici reiterati nel tempo (Kramer et al. 2004; Alcaraz et al. 2008). Origini e principi del circuit training
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Introduzione
L’allenamento di forza nelle discipline di endurance sta assumendo, negli ultimi anni, un
interesse sempre più crescente da parte del mondo scientifico, ed è diventato perciò
oggetto di numerosi studi. Tutto ciò grazie alle intuizioni di molti tra gli allenatori e i
ricercatori che hanno ipotizzato come lo sviluppo di programmi di training misto
(endurance e forza) potesse essere una delle strade utili per contribuire al miglioramento
delle prestazioni. In particolare, vengono studiati i fattori neuromuscolari legati
all’insorgere della fatica durante le prove di endurance; questo perché, durante esercizi
prolungati e a intensità elevata, l'attività muscolare va necessariamente incontro ad un
affaticamento, con una conseguente diminuzione della capacità del sistema muscolare di
produrre forza. Per cercare di ritardare e contrastare l’insorgenza della fatica si sta
tentando di introdurre, nelle discipline di endurance, programmi di allenamento volti a
migliorare la capacità di forza. Attualmente, numerosi studi hanno dimostrato come
l’utilizzo di allenamenti di forza abbia un effetto positivo su molti parametri legati alla
prestazione stessa, come ad esempio alcune espressioni di forza e di economia di corsa ed
altri indici legati alla performance aerobica.
I vantaggi derivanti da questo tipo di lavoro dipendono strettamente dal volume della
esercitazione svolto ad una determinata intensità; tuttavia con il progredire
dell’allenamento, questi parametri abbisognano di continui e costanti incrementi per
permettere dei benefici reiterati nel tempo (Kramer et al. 2004; Alcaraz et al. 2008).
Origini e principi del circuit training
Il concetto circuit training fu introdotto per cercare di contenere il tempo da dedicare
all’allenamento della forza, e allo stesso tempo sviluppare comunque un volume di lavoro
sufficiente. Ideato nel 1956 da due professori del dipartimento di educazione fisica
dell’Università di Leeds in Inghilterra, Morgan ed Adamson il circuit training fa
riferimento ad una serie di esercizi accuratamente selezionati e disposti consecutivamente,
in modo tale da coinvolgere molti distretti muscolari. Formato da 9-12 stazioni veniva
eseguito da ogni soggetto passando da una stazione all’altra in meno di 15-30 secondi, con
un tempo di esecuzione dell’esercizio di 15-45 secondi, pari a un numero che poteva
oscillare da 8-20 ripetizioni. Il carico variava dal 40% al 60% di 1RM. ( N.B. per
Ripetizione Massima si intende il peso massimo che si è in grado di sollevare una sola
volta per quel determinato movimento) Le ricerche dei due ideatori dimostrarono che il
circuit training permetteva di utilizzare un valore di consumo di ossigeno (dal 39% al 51%
del
V.
O2max) che risultava in sintonia con le linee guida della American College of Sports
Medicine (ACSM) per cui l’intensità dal 40% al 85% del
V.
O2max permetteva lo sviluppo ed
il mantenimento della fitness cardio-respiratoria (Pollock et al. 1998). Negli anni ‘60,
quando Morgan e Adamson con il loro libro Circuit training, introdussero i circuiti come
nuova metodologia dell’allenamento della forza, questa forma di lavoro ebbe
immediatamente grande successo. Essa si basava essenzialmente sulla possibilità di
eseguire il lavoro in spazi ristretti e con un numero elevato di atleti (pari almeno al
numero di stazioni utilizzate). Erano anni nei quali non era ancora avvenuto il boom delle
palestre private, si era ancora lontani dall’attuale livello di sviluppo tecnologico di
macchine di potenziamento che hanno consentito e consentono un lavoro sempre più
specifico e mirato a particolari gruppi muscolari.
L’uso di questi circuiti divenne presto motivo di diverse interpretazioni ed adattamenti, al
punto tale che ebbe un certo successo la pubblicazione di un libro di un autore russo,
J.A.Gurevic dal titolo “1500 esercizi per la strutturazione dell’allenamento in circuito”
(Gurevic 1985), uno dei primi tentativi di fornire a questo tipo di esercitazioni una certa
sistematicità. La fiducia dell’Autore in tali esercitazioni si spinse a tal punto da
considerare questo tipo di attività una panacea per tutti i mali e, quindi, giunse ad
avanzare una sua originale idea sul fatto che i circuiti potessero essere usati come attività
compensativa ed anti usurante per tutte le attività lavorative; l’Autore pensò perciò di
ideare circuiti ad hoc per gruisti, pompieri, muratori, macellai ecc.
La maggiore novità dell’utilizzo del circuit training risulta quindi essere il fatto che in un
determinato periodo di tempo, vi è la possibilità di sviluppare sia la resistenza muscolare
localizzata, sia la componente aerobica (Gettman et al. 1978; Harber et al. 2004) sia la forza
che la potenza a livello muscolare (Alcaraz et al. 2008). Inoltre, grazie alla duttilità del
circuit training, è possibile eseguire, per esempio, un circuito con tutti gli esercizi effettuati
a carico naturale oppure costruire un circuito solo con macchine isotoniche altrimenti è
anche possibile costruire un circuito combinando esercizi a carico naturale, con macchine
isotoniche o utilizzando piccoli attrezzi .
Ricerche scientifiche e circuit training
In letteratura i parametri studiati dopo un allenamento di forza con circuit training sono
stati:
- le variazioni di forza;
- il massimo consumo di ossigeno (
V.
O2max);
- gli aspetti cardiovascolari;
- la composizione corporea.
Le variazioni di forza
Per quanto riguarda le variazioni di forza, è stato osservato come l’utilizzo del circuit
training, con intensità del 40-50% di 1RM, programmi di allenamento della durata da otto a
venti settimane, determinasse un miglioramento della forza stessa dal 7% al 32% in uomini
e donne (Wilmore et al. 1978; Gettman et al. 1978, 1980, 1982; Haennel et al. 1989; Verrill et
al. 1992); risultato conforme agli studi di Takarada, Ishii (2002) che hanno dimostrato che
esercizi di forza con intensità del 50% di 1RM, se eseguiti con brevi pause di recupero tra
le serie (30s), determinano un incremento di forza e massa muscolare.
Il massimo consumo di ossigeno (
V.
O2max)
Per quanto riguarda l’influenza del circuit training sulla performance aerobica, in
letteratura sono presenti pareri discordi. Ciò è probabilmente dovuto all’utilizzo di
protocolli, intensità di esecuzione e tempi di recupero diversi.
Gli studi che non dimostrano nessun miglioramento nel massimo consumo di ossigeno,
dopo circuit training o dopo allenamento di forza con bassi carichi, sono quelli di:
- Allen. et al. (1976), che prevedeva un protocollo con allenamento al 50% di 1RM e un
numero di ripetizioni inferiore a 15;
- Fahey et al. (1973); Hickson et al. (1980), eseguito su soggetti giovani e di media età con
allenamenti tradizionali di forza (numero elevato di serie e un lungo periodo di pausa (2
min) tra una serie e l’altra).
L’assenza di miglioramenti cardiocircolatori, e quindi un miglioramento della capacità
aerobica, dopo dodici-ventisei settimane di circuit training potrebbe essere spiegata dal
fatto che, durante l’esecuzione degli esercizi si arrivava a un
V.
O2 corrispondente al 36-
45% del
V.
O2max (Wilmore et al. 1978; Hempel et al. 1985). Questi valori, infatti, sono al di
sotto della soglia comunemente raccomandata per migliorare la capacità aerobica (ACSM
1998). Un’altro fattore importantissimo è il tempo di recupero tra un esercizio e l’altro e tra
una serie e l’altra. Infatti, allenamenti di circuit training caratterizzati da alto numero di
ripetizioni e brevi periodi di pausa determinano un moderato miglioramento del
V.
O2peak
(3-11%) (Gettman, Pollock 1981; Frontera et al. 1990; Gettman et al. 1982). Viceversa i
tradizionali programmi che consistono in più serie, intervallate da lunghi periodi di
recupero (2-4 minuti) non determinavano alcun miglioramento, anzi, talvolta un
peggioramento del
V.
O2peak (Hickson et al. 1980; Goldberg et al. 1994; Nakao et al. 1995).
Risulta evidente, dunque, come tutti questi studi abbiano potuto appurare solo un leggero
miglioramento della
V.
O2max. Sarebbe bene tener presente, quindi, che quando si tratta un
atleta di endurance, magari di alto livello, ben altri devono essere i metodi di allenamento
da utilizzare. Anche se, in particolari circostanze come:
- il recupero da infortuni;
- la ripresa dell’attività dopo una lunga interruzione;
- determinate condizioni climatiche proibitive;
- la giovane età;
il circuit training nella sua forma intensivo-resistente (detta altresì Set) può concorrere al