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SPHAERA FORMA IMMAGINE E METAFORA TRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA
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Chiaradonna, l'Immagine Della Sfera in Plotino

Oct 25, 2015

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Page 1: Chiaradonna, l'Immagine Della Sfera in Plotino

SPHAERA

FORMA IMMAGINE E METAFORATRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA

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LESSICO INTELLETTUALE EUROPEOCXVII

Comitato scientifico della collana

Jean-RobeRt aRmogathe, massimo L. bianchi, eugenio canone, tuLLio De mauRo, maRta FattoRi, PaoLo gaLLuzzi, DanieL gaRbeR, tuLLio gRegoRy,

JacqueLine hamesse, noRbeRt hinske, RiccaRDo Pozzo (Direttore)

Segreteria di redazione

maRia cRistina DaLFino

Secondo le norme della collana, ogni volume viene sottoposto all’approvazione dei membri del Comitato scientifico e di altri studiosi di volta in volta indicati

ISTITUTO DEL CNR

LESSICO INTELLETTUALE EUROPEO E STORIA DELLE IDEE

Page 3: Chiaradonna, l'Immagine Della Sfera in Plotino

LEO S. OLSCHKI EDITORE

Lessico inteLLettuaLe euRoPeo

S P H A E R AFORMA IMMAGINE E METAFORA

TRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA

a cura di

Pina totaRo e Luisa VaLente

2012

Page 4: Chiaradonna, l'Immagine Della Sfera in Plotino

ISBN 978 88 222 6153 3

2012 © Copyright Leo S. Olschki Editore, Firenze e edizioni

Volume pubblicato da Leo S. Olschki Editore e edizioni

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IndIce

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. ix

Paolo lucentini, La sfera infinita e la fortuna della secondaproposizione del Libro dei XXIV filosofi nel medioevo . . » 1

RiccaRdo chiaRadonna, L’analogia del cerchio e della sfera in Plotino . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 13

Paola caRusi, Rotondità e circolarità operativa. Il caso della ‘pie-tra rotonda’ nell’alchimia arabo-islamica . . . . . . . » 37

MaRgheRita Belli, Il centro e la circonferenza. Proclo, Boezio eTommaso d’Aquino . . . . . . . . . . . . . . » 51

cecilia Panti, Meccanica, acustica e armonia delle sfere celestinel Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . » 81

luisa Valente, Sfera infinita e sfera intellegibile: immaginazio-ne e conoscenza di Dio nel Libro dei XXIV filosofi e inAlano di Lilla . . . . . . . . . . . . . . . » 117

cesaRe a. Musatti, Alcune considerazioni sulla paternità del com-mento alla Sphaera di Giovanni Sacrobosco attribuito a Mi-chele Scoto . . . . . . . . . . . . . . . . » 145

alessandRa BeccaRisi, «Deus est sphaera intellectualis infinita»:Eckhart interprete del Liber XXIV philosophorum . . . » 167

Paolo Falzone, La ruota del disio e del velle: moto circolare e perfezione dell’anima nell’ultima terzina del Paradiso di Dante . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 193

MauRo zonta, Interpretazioni del concetto di sfera in Maimoni-de, in alcuni dei suoi commentatori e nei dizionari filosofici ebraici medievali (secoli XII-XV) . . . . . . . . . » 229

PietRo secchi, Declinazioni della sfera in Niccolò Cusano . . » 245

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IndiceVIII

steFania BonFiglioli, La sfera di Egnazio Danti: il neoplatoni-smo e il nuovo mondo del Cinquecento . . . . . . . Pag. 261

MassiMo luigi Bianchi, Osservazioni sulla sfera tra Paracelsus eBöhme . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 293

Pina totaRo, Idea circuli o globi. La sfera in Spinoza . . . » 307

Vincenzo de Risi, Arte e scienza della sfera. La nascita del con-cetto moderno di spazio fra la teoria rinascimentale della pro-spettiva e la geometria di Leibniz . . . . . . . . . » 321

MiRella caPozzi, La sfera infinita dell’universo nella natur-geschichte di Kant . . . . . . . . . . . . . . » 363

hansMichael hoheneggeR, Kant geografo della ragione . . . » 411

gioRgio staBile, Intorno alla sfera prima e dopo Copernico. Una veduta conclusiva . . . . . . . . . . . . . . » 429

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . » 441

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L’ANALOGIA DEL CERCHIO E DELLA SFERA IN PLOTINO

RiccaRdo chiaRadonna

1. Il problema delle fonti

In un passo ben noto del trattato Sull’immortalità dell’anima (Enn., IV 7 [2], 6),1 Plotino contesta l’ipotesi che l’anima sia un corpo (qui, come al-trove in IV 7 [2],2 lo stoicismo è il suo principale bersaglio polemico). Tra le varie conseguenze paradossali della tesi della corporeità dell’anima vi è quella di rendere incomprensibile il processo della sensazione. Se, infatti, qualcosa ha sensazione di qualcos’altro, esso deve essere uno e capace di ap-prendere, con una sola e medesima capacità, oggetti molteplici (sia che di-verse impressioni sensoriali penetrino attraverso diversi organi, sia che ven-gano percepite insieme le molte qualità di un medesimo oggetto). La stessa capacità di giudicare che delle sensazioni sono distinte (ad esempio quella che ha luogo attraverso gli occhi e quella che ha luogo attraverso l’udito) presuppone che vi sia qualcosa di unico a cui esse pervengono e dal qua-le dipende il giudizio sulla loro differenza reciproca (IV 7 [2], 6.8-11). Vi deve dunque essere un centro unificatore delle percezioni sensibili che giun-gono attraverso gli organi, ed esso coincide con l’anima senziente. Secondo Plotino, ammettere l’esistenza di un’anima corporea renderebbe impossibi-le spiegare questa funzione:

Occorre pertanto che questo punto sia come un centro e che in esso, come i raggi che convergono dalla circonferenza di un cerchio, terminino le sensazioni prove-nienti da ogni parte; tale deve essere ciò che apprende, essenzialmente uno. Se in-vece fosse esteso, e le sensazioni si dirigessero come a entrambi gli estremi di una

1 I trattati enneadici sono citati secondo l’editio minor di P. Henry e H.-R. Schwyzer: cfr. Plotini Opera, ed. P. HenRy et H.-R. SchwyzeR, 3 voll., Oxonii, E Typographeo Clarendoniano, 1964-1982. Per le traduzioni mi sono basato, con varie modifiche, su Enneadi di Plotino, a cura di M. casaglia, C. guidelli, A. linguiti, F. MoRiani, 2 voll., Torino, UTET, 1997.

2 Cfr. A. linguiti, Plotino contro la corporeità delle virtù. Enn. IV 7 [2], 8.24-45, in Studi sull’anima in Plotino, a cura di R. chiaRadonna, Napoli, Bibliopolis, 2005, pp. 113-126; R. chia-Radonna, L’anima e la mistione stoica. Enn. IV 7 [2], 82, ivi, pp. 127-147.

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linea, o si incontreranno ancora in un unico e medesimo punto, per esempio nel mezzo, oppure ogni estremo avrà una sensazione diversa dall’altro: come se io aves-si la sensazione di una cosa, e tu di un’altra (IV 7 [2], 6.11-19).

La connessione tra corporeità ed estensione è una tesi convenzionale. La sua origine può essere già rintracciata in Platone (Theaet., 155 e; Leg. X 896 d); Aristotele la richiama nella Fisica (Phys., III 5, 204 b 20) e gli stessi Stoici la fecero propria: Diogene Laerzio (VII 135) attesta che Apollodoro di Seleucia identificava il corpo con ciò che è esteso in tre dimensioni.3 In Plotino l’assimilazione tra corporeità ed estensione acquista un valore par-ticolarmente importante ed è usata spesso come elemento discriminante per cogliere la differenza tra sensibili e intelligibili. Le sostanze intelligibili, tra le quali è l’anima, sono sottratte a ogni estensione quantitativa, tanto che l’as-senza di quantità ed estensione appare (molto più di quanto non lo sia in Platone, che nel Timeo conferisce all’anima una complessa struttura mate-matica) come uno dei loro principali aspetti distintivi.4 Il senso dell’analogia presentata in IV 7 [2], 6 è chiaro: l’anima senziente è, rispetto ai moteplici sensi che convergono in essa, come l’unico centro verso il quale convergo-no i raggi provenienti dalla circonferenza. In quanto tale, l’anima è una e inestesa, ed è il centro unificatore della molteplicità che fa capo a essa. Se l’anima fosse corporea, e quindi estesa, non soddisferebbe questo requisi-to: i sensi non convergerebbero in un solo punto, tanto che sarebbe come se appartenessero a soggetti differenti.

L’origine ultima dell’argomentazione citata sopra si trova nel Teeteto di Platone: qui è formulata l’idea dell’anima come centro unificatore della per-cezione (Theaet., 184 d); inoltre, ancora al Teeteto va riportata la tesi secondo cui il giudizio sulla differenza tra due percezioni rinvia a una nozione (quel-la di ‘diverso’) che non può essere desunta dalla percezione, ma presuppo-

3 Cfr. A. A. long-D. N. sedley, The Hellenistic Philosophers, vol. 1, Cambridge, Universi-ty Press, 1987, pp. 272-274 (= L.S. 45).

4 Sull’estraneità della grandezza quantitativa ai generi del mondo intelligibile, cfr. VI 2 [43], 13.11-16. Neanche l’anima ha estensione e grandezza quantitativa, neppure per accidente: cfr. VI 2 [43], 4.22; VI 4 [22], 1.14-15; 31. Altri paralleli in Ch. toRnau, Plotin. Enneaden VI 4-5 [22-23]. Ein Kommentar, Stuttgart-Leipzig, Teubner, 1998, p. 24. Su Platone, cfr. M. BuRnyeat, Pla-to on Why Mathematics is Good for the Soul, in Mathematics and Necessity. Essays in the History of Philosophy, ed. by T. sMiley, Oxford, University Press, 2000, pp. 1-81, spec. p. 58 che, rispet-to a Tim., 36 d-e, nota: «The spatial language is unmistakable. Soul, both human and divine, has extension in three dimensions». Come osserva Burnyeat, nel Timeo Platone considera visibilità e tangibilità (ossia, in termini moderni, le qualità secondarie) come caratteri distintivi della corpo-reità (cfr. Tim., 31 b); l’anima, pur essendo invisibile e intangibile (e, dunque, non corporea), è però estesa in tre dimensioni e ha qualità primarie come dimensioni e forma. Mi pare del massi-mo interesse sottolineare che la tesi plotiniana sul carattere inesteso e non quantitativo dell’anima diverge nettamente da questa impostazione.

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ne l’attività dell’anima «mediante sé stessa» (Theaet., 185 e).5 Come accade spesso, però, Plotino difende una dottrina di ispirazione platonica ricorren-do a strumenti concettuali desunti da altri autori, in particolare da Aristo-tele.6 Nel 1960 Paul Henry dedicò un articolo alle ‘fonti’ di IV 7 [2], 6, le cui conclusioni appaiono ancora oggi condivisibili e possono essere sinte-tizzate come segue: 7 Plotino trae dal De anima di Aristotele le due idee ca-ratteristiche formulate in IV 7 [2] 6, ossia il paragone di due facoltà distin-te con due soggetti distinti chiamati «me» e «te» (cfr. De An., III 2, 426 b 19; Enn., IV 2 [7], 6.19) e la tesi dell’unità della facoltà che discerne e giu-dica (cfr. De An., III 2, 426 b 21-22). Inoltre, è ancora Aristotele (cfr. De An., III 2, 427 a 10-14) a formulare il paragone del punto e della linea per dar conto dell’unità della facoltà giudicante. D’altra parte, l’analogia aristo-telica non è identica a quella impiegata da Plotino: mentre Aristotele espri-me l’unità del senso comune paragonandolo a un punto che, dividendo una retta in due segmenti, è insieme «uno e due», poiché principio dell’uno e termine dell’altro, Plotino paragona l’unità dell’anima al centro di una cir-conferenza verso il quale convergono molteplici raggi. Henry ha notato che l’analogia usata da Plotino trova un parallelo preciso non in Aristotele, ma in Alessandro di Afrodisia, il quale, nella sua esposizione della psicologia di Aristotele, formula le tesi espresse in De An., III 2 facendo uso dell’ana-logia del centro e della circonferenza:

Come infatti in un circolo le rette condotte dalla sua circonferenza a congiunger-si al centro, pur essendo molte, sono tutte nel loro termine la stessa, perché i loro termini coincidono con il centro del cerchio e questo termine è insieme uno e molti […] così bisogna credere che il senso comune possegga l’unità e la pluralità.8

In effetti, non è sicuro che Plotino si basasse proprio sul De anima di Alessandro: è possibile pensare che egli tenesse presente il commento al

5 Si veda E. K. eMilsson, Plotinus on Sense-Perception, Cambridge, University Press, 1988, pp. 94-95; P. ReMes, Plotinus on Self. The Philosophy of the ‘We’, Cambridge, University Press, 2007, pp. 93-95.

6 Un interessante esempio di questo modo di argomentare è dato dalla trattazione del mo-vimento fisico in VI 1 [42] e VI 3 [44]. Qui è sviluppata una concezione di ispirazione platonica mediante la discussione critica della dottrina aristotelica del movimento come ‘atto incompleto’, senza che sia fatto esplicito riferimento a Platone; cfr. R. chiaRadonna, Energeia et Kinêsis chez Plotin et Aristote (Enn., VI 1, [42], 16. 4-19), in Dunamis: Autour de la puissance chez Aristote, éd. par D. lefeBvRe, P.-M. MoRel, A. Jaulin, Leuven, Peeters, 2008, pp. 471-492.

7 Cfr. P. henRy, Une comparaison chez Aristote, Alexandre et Plotin, in Les Sources de Plo-tin, Vandœuvres-Genève, Fondation Hardt, 1960, pp. 429-449, spec. pp. 432-436. Si veda, inol-tre, eMilsson, Plotinus on Sense-Perception cit., pp. 99-102.

8 alex. aPhR., De An., p. 63, 8-13 Bruns. Cito la traduzione di P. accattino, P. donini, Alessandro di Afrodisia. L’anima, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 61.

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De anima di Aristotele, andato perduto, dell’esegeta; la medesima intepre-tazione, d’altronde, ricorre in altri luoghi del corpus alessandrista.9 In ogni caso, il parallelo è innegabile e caratterizzante; anche gli studiosi più pru-denti riconoscono che la soluzione di Alessandro di Afrodisia è stata tenu-ta presente da Plotino.

Stabilito tutto questo, vanno tuttavia fornite alcune ulteriori precisa-zioni. Ritenere che Plotino tragga semplicemente da Alessandro di Afrodi-sia l’analogia del centro e della circonferenza sarebbe affrettato e fuorvian-te. Alcune considerazioni generali militano contro una simile conclusione. Come si è già detto, l’analogia del cerchio e della sfera è spessissimo usata nelle Enneadi. Un repertorio completo delle sue occorrenze è complicato dal fatto che Plotino vi fa più volte allusione in modo sommario e parziale; in ogni caso, anche limitando l’elenco ai casi nei quali l’analogia è richiamata in modo esplicito, emerge una notevole varietà di contesti.10 Se in IV 7 [2], 6 l’analogia del centro e del cerchio designa (come in Alessandro di Afro-disia) l’unità dell’anima rispetto alle molteplici sensazioni, nel trattato IV 2 [4], cronologicamente vicinissimo a IV 7 [2] e a quest’ultimo molto stret-tamente collegato, essa è usata in un contesto differente, in relazione all’In-telletto – la prima sostanza priva di divisione – che è paragonato al centro di un cerchio da cui dipendono i raggi diretti verso la circonferenza (IV 2 [4], 1.24-29). Altrove l’analogia ricorre invece per esperimere la relazione tra l’Uno, assimilato al centro, e le realtà posteriori che da esso si origina-no e verso di esso si dirigono: in VI 9 [9], 8.10 l’Uno è caratterizzato come «centro dell’anima»; in IV 3 [27], 17.12-16 Intelletto e anima sono descrit-ti come cerchi di luce concentrici intorno a un centro; in VI 8 [39], 18.1-22 l’Intelletto è paragonato a un cerchio che ottiene la sua «potenza» (du-namis) dal centro, l’Uno; in V 1 [10], 7.6-9, un passo corrotto e di diffile interpretazione, l’analogia è usata per spiegare la derivazione dell’Intellet-to dall’Uno.11 Uno, Intelletto e anima, ciascuno dei tre principi metafisici, sono dunque di volta in volta caratterizzati da Plotino come i “centri” dai quali procedono, e verso i quali convergono, i molteplici raggi di cerchi o sfere. In V 8 [31], 9.1-14 Plotino sviluppa un celebre paragone tra l’Intel-letto e una sfera trasparente e priva di massa; il mondo noetico è designato

9 Quaest., III 9, p. 96, 14-18 Bruns; In De sensu, p. 165, 17-20 Wendland. Maggiori detta-gli in P. accattino, P. donini, Alessandro di Afrodisia. L’anima cit., p. 230.

10 In questa sede mi limiterò a selezionare alcuni esempi; per una lista completa, con detta-gliati riferimenti bibliografici, cfr. toRnau, Plotin. Enneaden VI 4-5 [22-23] cit., pp. 370-376.

11 Cfr. C. d’ancona, Re-reading Ennead V 1[10], 7. What is the Scope of Plotinus’ Geome-trical Analogy in this Passage?, in Traditions of Platonism, Essays in Honour of John Dillon, ed. by J. J. cleaRy, Aldershot, Ashgate, 1999, pp. 237-261.

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come una «sfera intelligibile» (sphaira noêtê) in VI 5 [23], 10.43. L’analo-gia del cerchio e della sfera è inoltre impiegata per esprimere la coesisten-za dei principi razionali (logoi) nel seme «come in un unico centro» (V 9 [5], 6.10-13), ma anche la relazione tra l’identità propria dell’eternità e la dispersione propria del tempo (VI 5 [23], 11.18-21). A questi passi si ag-giungono quelli, di carattere cosmologico, nei quali Plotino riporta il moto circolare degli astri alla causalità delle sostanze intelligibili. Il moto circola-re degli astri è, tra i moti corporei, quello che più si approssima alla natu-ra degli intelligibili (II 2 [14], 1.1; 3.20-22); per questa ragione, esso è con-trapposto al moto rettilineo proprio del mondo sublunare.12

Questa rassegna, per quanto parziale e sommaria, basta a mostrare come cerchio e sfera siano costantemente richiamati da Plotino, in modo diver-so da caso a caso, al fine di chiarire la natura dei principi sovrasensibili, la loro causalità, la particolare relazione tra uno e molti che li caratterizza. La comparazione tra il senso comune e il centro al quale pervengono le molte-plici sensazioni è solo uno tra i molti usi di questa analogia nei trattati en-neadici; il parallelo tra IV 7 [2], 6 e Alessandro di Afrodisia non basta cer-tamente a spiegare la pervasività e l’importanza di essa.

A questo tipo di considerazioni se ne aggiunge un secondo. Sebbene Alessandro di Afrodisia fornisca il termine di paragone più vicino per un aspetto distintivo dell’analogia plotiniana (la coesistenza di uno e molti nel centro della circonferenza), l’importanza e la diffusione del tema della per-fezione del cerchio e della sfera, e della simbologia a essi collegata, sono così grandi nella tradizione filosofica greca da rendere del tutto implausibile che Alessandro sia l’unica ‘fonte’ di Plotino. Un elenco dei luoghi principali sarebbe molto lungo; sicuramente, una posizione eminente ha il fr. 8 D.-K. di Parmenide (richiamato in V 1 [10], 8.20), nel quale ‘ciò che è’ notoria-mente è paragonato a uno sfero ben rotondo. Inoltre, vanno ricordati alcu-ni celebri luoghi platonici, che certamente erano ben presenti a Plotino.13 Nel mito del Fedro, gli dei e le anime si muovono seguendo la rivoluzione circolare del cielo e arrivando a contemplare, stabiliti sopra il «dorso» di esso, il «luogo iperuranio» (Phaedr., 246 e-247 d). Nella cosmologia del Ti-meo, sono attribuiti all’anima forma e moto circolari, così come sferico è il corpo del cosmo il quale si muove circolarmente; i fenomeni dei cieli sono

12 Su questo aspetto del pensiero plotiniano vi è un’abbondante bibliografia recente; mi limi-to a rinviare a A. falcon, Corpi e movimenti. Il De caelo di Aristotele e la sua fortuna nel mon-do antico, Napoli, Bibliopolis, 2001; A. linguiti, Il cielo di Plotino, in Platone e la tradizione pla-tonica. Studi di filosofia antica, a cura di M. Bonazzi, f. tRaBattoni, Milano, Cisalpino, 2003, pp. 251-264; J. wilBeRding, Plotinus’ Cosmology. A Study of Ennead II.1 (40), Oxford, Clarendon Press, 2006, pp. 62-68.

13 Cfr. toRnau, Plotin. Enneaden VI 4-5 [22-23] cit., p. 375.

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dovuti al movimenti di pensiero perfettamente circolari e regolari nell’in-telligenza dell’Anima del mondo che guida il cosmo (cfr. Tim., 33 b-34 a; 36 d-e).14 La perfezione della forma circolare rimane una tesi fondamentale della cosmologia di Aristotele, il quale la attribuisce al cielo e al suo moto proprio in virtù del carattere primario di essa (cfr. De cael., II 4, 286 b 10-13; 287 a 2-5). Significativamente, Jules Vuillemin ha designato quello del-la semplicità e della perfezione del cerchio, in opposizione all’infinitezza e all’imperfezione della retta, come un «pregiudizio» nell’astronomia greca, destinato a essere pienamente superato soltanto con la riflessione moderna: la scoperta di un’accelerazione centripeta costante nel moto circolare uni-forme resta del tutto estranea alla dinamica e alla cinematica degli antichi.15 Valutata secondo questa prospettiva, l’idea, ricorrente nelle Enneadi, di asso-ciare al cerchio e alla sfera il carattere di priorità, semplicità e compiutezza ontologica proprio delle realtà intelligibili non è altro che una tra le molte versioni antiche del motivo della perfezione della forma circolare.

2. Il significato metafisico dell’analogia

La discussione delle ‘fonti’ dell’analogia plotiniana del cerchio e della sfera ha dunque portato a risultati, in ultima analisi, poco soddisfacenti. In-dubbiamente, Alessandro di Afrodisia fornisce un importante parallelo per l’uso dell’analogia del centro e del cerchio in IV 7 [2], 6 e per la sua appli-cazione al rapporto tra l’unità dell’anima percipiente e le molte sensazioni che convergono in essa; tuttavia, la pervasività di questa analogia nelle En-neadi e la varietà dei contesti in cui ricorre rendono del tutto improbabi-le che Plotino si basasse solo sul commentatore aristotelico. Se si amplia la ricognizione di luoghi paralleli, si ottiene d’altronde un risultato altrettan-to deludente: dai Presocratici, a Platone, ad Aristotele, fino al Corpus Her-meticum e oltre, il tema della perfezione del cerchio e della sfera ricorre in autori innumerevoli e in contesti eterogenei; una simile abbondanza di pa-ralleli li rende di fatto inservibili per far luce sull’uso plotiniano di questa analogia, se non ci si vuole limitare alla constatazione, piuttosto scontata e scarsamente utile, che Plotino – in modo analogo a moltissimi autori prima

14 Cfr. BuRnyeat, Plato on Why Mathematics is Good for the Soul cit., pp. 56-63.15 Cfr. J. vuilleMin, Aristote, débiteur de Zénon, in Phenomenology on Kant, German Ideal-

ism, Hermeneutics and Logic, Philosophical Essays in Honor of Thomas M. Seebohm, ed. by O. K. wiegand et al. Dordrecht, Boston and London, Kluwer, 2000, pp. 209-222, spec. p. 222; con le precisazioni di M. Rashed, Contre le mouvement rectiligne naturel. Trois adversaires (Xénarque, Ptolémée, Plotin) pour une thèse, in Physics and Philosophy of Nature in Greek Neoplatonism, ed. by R. chiaRadonna, F. tRaBattoni, Leiden, Brill, 2009, pp. 17-42.

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L’analogia del cerchio e della sfera in Plotino 19

e dopo di lui – considera (a torto) il cerchio e la sfera come forme somma-mente semplici e perfette, in qualche modo collegate alla semplicità e alla perfezione dei primi principi.

Mi sembra, pertanto, che un’indagine più fruttuosa debba muovere in una diversa direzione, cercando di individuare le ragioni interne alla filo-sofia di Plotino che spiegano un uso così pervasivo dell’analogia della sfera e del cerchio. È opportuno considerare uno dei passi più famosi, e meglio studiati, nei quali l’analogia è sviluppata con ampiezza:

Spesso il ragionamento (logos) per chiarezza, generando per così dire, molte linee da un unico centro, intende condurci alla nozione della molteplicità che è stata gene-rata. Bisogna però dire questo, facendo attenzione a che le cose, di cui si dice che sono divenute molte, siano ‘tutte insieme’, come anche qui, nel caso del circolo, non è possibile cogliere le linee come se fossero staccate; si tratta infatti di una super-ficie una. Dove, invece, non c’è neppure un intervallo che corrisponde a un’unica superficie, ma potenze e sostanze senza soluzione di continuità, si potrebbe descri-vere tutto verosimilmente in termini di centri unificati insieme in un unico centro, come se i limiti dei raggi, che si trovano nel centro, avessero lasciato cadere i rag-gi; nel momento, dunque, in cui tutti sono uno (VI 5 [23], 5.1-10).

Queste linee sono state fatte oggetto di un approfondito commento da parte di Christian Tornau, al quale rinvio per una puntuale analisi filologica e dottrinale.16 L’analogia del cerchio e del centro è usata per chiarire (saphê-neias heneka, VI 5 [23], 5.1) quale sia la struttura delle realtà intelligibili le quali, pur essendo molte, sono allo stesso tempo un’unità. Già poche linee prima di quelle appena citate (VI 5 [23], 4.20-24), Plotino aveva introdotto a questo fine l’analogia della sfera, dei suoi raggi e del suo unico centro nel quale tutti sono connessi.17 Il tema è sviluppato nel passo citato sopra, dove emergono alcuni interessanti elementi. Plotino prende come punto di par-tenza alcune proprietà della forma geometrica del cerchio. In primo luogo, nel cerchio da un unico centro procedono molte linee le quali sono unifi-cate in esso. Questo aspetto, richiamato in VI 5 [23], 4.22 e 5.1-2, è altro-ve sviluppato con maggiori dettagli. Particolarmente notevole è VI 8 [39], 18, dove l’analogia del cerchio e dei raggi che procedono dal centro è usa-

16 Cfr. toRnau, Plotin. Enneaden VI 4-5 [22-23] cit., p. 370-378; si veda anche, id., recensio-ne di R. dufouR et al., Plotin: Traités 22-26, Paris, Flammarion, 2004, «Exemplaria», XI (2007), pp. 439-462, spec. p. 446, dove sono discussi alcuni problemi di traduzione.

17 Condivido l’interpretazione di toRnau, Plotin. Enneaden VI 4-5 [22-23] cit., p. 365, se-condo il quale l’argomentazione di VI 5 [23], 4.17 ss. si riferisce all’unità dell’intelligibile, non al primo principio, l’Uno superiore all’essere e al pensiero. Per una diversa interpretazione, cfr. A. longo, L’assimilation originale d’Aristote dans le traité VI.5 [23] de Plotin, «Études Platonicien-nes», III (2006), pp. 155-194, in particolare p. 171.

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ta per chiarire il rapporto di dipendenza dell’Intelletto dall’Uno. In questo luogo Plotino non si limita ad affermare che i raggi convergono nel centro; il centro acquista un ruolo causale ed è considerato come principio che ge-nera i raggi, tanto che esso viene definito come «il padre del cerchio e dei raggi» (VI 8 [39], 18.23). Il cerchio è di conseguenza caratterizzato come «della forma del centro» (kentroeidês, 18.10), esattamente come, secondo Plotino, l’Intelletto, che procede dall’Uno/Bene, è «della forma del Bene» (agathoeidês: VI 7 [38], 15.23-24, V 3 [49], 16.18-19, etc.; cfr. Plato, Resp., VI 509 a). Un’altra proprietà del cerchio è esposta in VI 5 [23], 5.5-6: ol-tre a essere unificati nel centro in cui convergono, i raggi sono inseparabi-li l’uno rispetto all’altro. Poiché, infatti, ogni singola linea è una lunghezza priva di larghezza (cfr. Eucl., El., I Def. 2), anche se è possibile considera-re nel pensiero un singolo raggio, non si potrà comunque separarlo dagli al-tri. I raggi costituiscono, nel loro insieme, una superficie continua. Per que-ste ragioni, anche nel caso del cerchio si deve affermare che «tutte le cose sono insieme» (panta homou, VI 5 [23], 5.3-4), una proprietà conforme al modo d’essere delle realtà intelligibili, nelle quale la molteplicità è perfet-tamente unificata.18

Le proprietà del cerchio costituiscono dunque la migliore approssima-zione possibile per cogliere il rapporto tra uno e molti che vale per principi sovrasensibili, non soggetti ai condizionamenti dei corpi. Da questo punto di vista, l’analogia del cerchio e della sfera ha una stretta connessione con quella della scienza e dei suoi teoremi, anch’essa usata più volte da Plotino per esprimere (tanto a proposito dell’anima quanto a proposito dell’Intel-letto) il rapporto di totale interpenetrazione tra tutto e parti nelle sostan-ze intelligibili (cfr. IV 3 [27], 2.50-59; IV 9 [8], 5.7-9; VI 2 [43], 20.15-16; etc.19 Plotino ritiene che vi sia un’uguale proporzione tra il modo in cui la scienza è in relazione ai suoi molteplici teoremi e il modo in cui l’anima o l’Intelletto, nella loro unità, sono in relazione alle loro divisioni interne, le molteplici anime o le molteplici Forme intelligibili. Ogni singolo teorema si dice infatti ‘parte’ dell’intera scienza, ma contiene in potenza l’intero di essa, mentre la scienza contiene in sé la molteplicità dei teoremi pur rima-nendo intera, integra e non frazionata in parti. In modo analogo, nelle so-stanze intelligibili l’intero e le parti sono contenuti l’uno nelle altre e per-fettamente compenetrati:

18 Plotino usa molto spesso la formula homou panta, di origine anassagorea (cfr. anax., fr. 1 D.-K.), per caratterizzare la molteplicità perfettamente unificata del mondo intelligibile: cfr. iii 6 [26], 6.23, v 3 [49], 15.21, vi 7 [38], 33.8, etc.

19 Si veda in proposito C. toRnau, Wissenschaft, Seele, Geist. Zur Bedeutung einer Analogie bei Plotin (Enn. IV 9, 5 und VI 2, 20), «Göttinger Forum für Altertumswissenschaft», I (1998), pp. 87-111.

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E l’Intelletto è, come intero, tutte le Forme, mentre ogni singola Forma è un singo-lo Intelletto, come la scienza intera è tutti i teoremi, mentre ciascuno è parte della scienza intera, non come se fosse spazialmente distinto, ma perché ciascuno pos-siede una potenza nell’intero (V 9 [5], 8.3-7).

Il cerchio e la scienza costituiscono la migliore approssimazione possi-bile per cogliere, facendo uso di un modo di ragionare a noi ordinariamen-te accessibile, alcuni caratteri propri dei principi metafisici, la comprensio-ne della cui natura oltrepassa il nostro modo usuale di pensare e non è di norma accessibile a esso. Detto questo, vanno fornite alcune ulteriori preci-sazioni per comprendere il significato e i limiti delle analogie usate da Plo-tino. In effetti, nelle linee di VI 5 [23], 5 citate sopra, Plotino non si limi-ta a illustrare le proprietà del circolo in analogia con quelle delle sostanze noe tiche, ma enuncia anche gli elementi che rendono l’analogia difettosa, in-capace cioè di restituire pienamente il tipo di relazione tra uno e molti che vale per le realtà intelligibili, ma non per le loro approssimazioni quantitati-ve, come le figure geometriche. Il cerchio costituisce pur sempre una super-ficie estesa nello spazio: un punto situato sulla circonferenza è spazialmente distinto dal centro in cui sono unificati i raggi. Questo non accade per le sostanze intelligibili, in rapporto alle quali occorre togliere ogni distinzione spaziale e tale da implicare estensione quantitativa: esse sono «potenze e so-stanze senza soluzione di continuità (adiastatoi dunameis kai ousiai)».20 Per questa ragione, osserva Plotino, si deve immaginare una situazione in cui i limiti dei raggi, che si trovano nel centro, lascino cadere i raggi stessi a cui appartengono, cosicché i raggi diventino essi stessi punti privi di estensione: solo così tutte le cose sono veramente una sola. Per ottenere un’immagine adeguata, si dovrebbe dunque considerare un cerchio con diametro nullo, inesteso (cfr. IV 4 [28], 16.22: diastêma adiastaton): in tal modo, si avreb-bero non molti raggi, ma molti centri unificati insieme in un unico centro. Il contrasto che Plotino enuncia divide una superficie estesa rispetto a po-tenze e sostanze prive di estensione e di separazione reciproca, come sono appunto le nature intelligibili.

Una situazione in qualche modo simile si presenta con l’analogia delle scienze. A ben guardare, infatti, l’uso che ne fa Plotino non è privo di qua-

20 Un’argomentazione del tutto parallela si trova in V 8 [31], 9.7-14 dove Plotino, per co-gliere la natura dell’universo intelligibile, invita a formare la rappresentazione di una sfera lumino-sa che contiene tutto in sé stessa, spogliandola però di ogni massa. Su queste linee cfr. S. RaPPe, Reading Neoplatonism: Non-Discursive Thinking in the Texts of Plotinus, Proclus and Damascius, Cambridge, University Press, 2000, pp. 103-106, le cui analisi non sono però sempre convincenti: cfr. le recensioni di P. ReMes, «Bryn Mawr Classical Review», VII (2002), p. 33 e c. steel, Neue Forschungen zum Neoplatonismus (1995-2003). Teil 2, «Allgemeine Zeitschrift für Philosophie», xxix (2004), pp. 225-247, spec. pp. 241-246.

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lificazioni. Indubbiamente, la struttura interconnessa di una scienza forni-sce un’approssimazione rispetto alla struttura propria delle molteplicità in-telligibili. D’altra parte, alcune distinzioni emergono anche in questo caso. Può essere utile richiamare VI 1 [43], 20, dove Plotino si serve dell’analo-gia della scienza per illustrare come nel Nous gli intelletti particolari sono contenuti in quello universale e, vice versa, l’intero è contenuto nei parti-colari (VI 2 [43], 20.1-16).21 A questo scopo, egli riprende la distinzione tra genere e specie, usando terminologia e nozioni di origine aristotelica e peripatetica, ma modificandone il senso sulla base delle propria dottrina. Nel Nous il genere universale è contenuto in potenza da ciascuna specie nella misura in cui ciascuna specie è in atto essa stessa, e di essa si predi-ca il genere a cui appartiene (VI 2 [43], 20.8-9); d’altra parte, esso insie-me è anche in atto come intero ed universale (20.22; 27). In questo modo, l’Intelletto universale è anche potenza rispetto alle specie, poiché le contie-ne tutte in sé stesso: anche se non è nessuna delle specie in atto, nondi-mento tutte le specie «riposano» (sono cioè pre-contenute) in esso (20.25-27). Dal momento che contiene in potenza il genere, la specie viene così a comprendere in sé anche tutte le altre specie contenute in esso: nell’intel-ligibile ciascuna parte, in qualche modo, contiene in sé tutte le altre (III 8 [30], 8.43-44; V 8 [31], 4.7-9). Ogni Forma intelligibile è una prospettiva sulla totalità perfettamente coesa a cui appartiene; sebbene ciascuno degli intelligibili sia distinto dagli altri, nondimento «ognuno è tutti» (V 8 [31], 9.16). Ora, sebbene i molti teoremi di una scienza formino una totalità or-ganizzata, e sebbene ciascuno tragga la propria capacità di dimostrare dal fatto che è inserito in una siffatta totalità, molto difficilmente si potrebbe dire che ciascun teorema è tutti gli altri, oppure che conoscendo un teore-ma si conosce, implicata in esso, la totalità della scienza. Un simile ideale di scienza perfettamente interconnessa, nella quale i teoremi sono compe-netrati l’uno nell’altro e costituiscono una struttura presente insieme nella sua totalità e completamente presente in ciascuno, sembra eccedere le no-stre capacità di ragionamento, nelle quali la considerazione di un contenu-to implica necessariamente il suo almeno parziale isolamento rispetto agli altri, sebbene più contenuti possano rinviarsi reciprocamente in quanto ap-partengono alla medesima totalità organizzata. Ma questo significa che, per quanto utile e illuminante, neanche l’analogia della scienza riesce a espri-

21 Questo passo è stato fatto oggetto di esame approfondito da toRnau, Wissenschaft, See-le, Geist cit., pp. 106-109, al quale rinvio per un dettagliato confronto tra la terminologia usata da Plotino e il suo retroterra aristotelico. Rispetto a Tornau, tenderei a sottolineare maggiormen-te la distanza di queste linee rispetto alla concezione aristotelica del rapporto genere/specie: cfr. R. chiaRadonna, Plotino, Roma, Carocci, 2009, pp. 66.

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mere compiutamente il rapporto di interpenetrazione tra unità e moltepli-cità, tutto e parti, proprio delle realtà intelligibili.

Possono ora essere enunciate alcune prime conclusioni. Qualunque sia l’ambito a cui essa viene applicata (il rapporto Uno-Intelletto, la moltepli-cità noetica, il rapporto tra anima e percezioni, etc.) l’analogia del cerchio e della sfera designa sempre una particolare e completa connessione di uni-tà e molteplicità, che si manifesta eminentemente nella funzione del centro. In realtà, non è sorprendente che la medesima analogia sia usata in conte-sti diversi; Christian Tornau ha molto ben chiarito questo punto ed è op-portuno riportare le sue osservazioni:

Poiché in Plotino ogni realtà più elevata sta, rispetto a quella successiva, in un rap-porto di unità rispetto a molteplicità, e ogni realtà più bassa, nella sua molteplicità specifica, è capace di esistere solo in quanto è riferita all’uno che si trova al di so-pra di essa, tutti i piani hanno, l’uno rispetto all’altro, un rapporto di centro-circo-lo; quando si amplia lo sguardo verso il basso a ulteriori molteplicità, ciò che pri-ma era un cerchio può esso stesso diventare un centro (IV 4 [28], 16.21-25). In Plotino i caratteri ‘cerchio’ e ‘centro’, ‘uno’ e ‘molti’, spesso dipendono dalla pro-spettiva.22

Qualsiasi ‘fonte’ abbia tenuto presente Plotino, l’uso dell’analogia del cerchio e della sfera conduce ai temi centrali della sua riflessioni metafisica e non a una semplice considerazione del carattere semplice e perfetto del cerchio. Per questa ragione, più che il parallelo con i vari usi in altri auto-ri dell’analogia e della simbologia del cerchio, appare chiarificatore il pa-rallelo con altre analogie usate da Plotino in contesti simili, in particolare, come si è visto, quella della scienza e dei suoi teoremi.

3. Funzione e limiti dell’analogia

Si è già osservato che Plotino non usa l’analogia del cerchio senza qua-lificazioni: oltre alle proprietà geometriche che corrispondono a caratteri propri dell’intelligibile, egli enuncia anche gli elementi (in particolare l’as-senza di estensione) che distinguono i principi metafisici da ogni approssi-mazione geometrica. Questo aspetto merita di essere approfondito. In VI 5 [23], 5.1, l’analogia del cerchio è introdotta come uno strumento del ‘ra-gionamento’ (logos), volto al fine di ottenere chiarezza (saphêneias heneka) circa la struttura della molteplicità intelligibile. Se qualcosa è richiamato in quanto maggiormente chiaro ed esplicito rispetto a qualcos’altro, esso do-

22 toRnau, Plotin. Enneaden VI 4-5 [22-23] cit., p. 374.

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vrà in qualche modo essere maggiormente familiare a colui al quale ci si rivolge. L’idea di fondo fatta propria da Plotino sembra, in effetti, questa: l’analisi del cerchio e delle sue proprietà corrisponde a un modo di pen-siero più chiaro e accessibile a noi rispetto al modo di pensiero capace di cogliere la struttura delle sostanze noetiche; per questa ragione, considera-re le proprietà del cerchio (le quali corrispondono in parte a quelle delle realtà intelligibili) costituisce una prima approssimazione per pervenire alla conoscenza delle proprietà delle sostanze intelligibili, le quali ci sono mol-to meno familiari.

Anche altrove (III 2 [47], 18.6-7; IV 3 [27], 9.14-15) l’esigenza di chia-rezza è associata a un’argomentazione didattica che fa uso del logos. Simi-li considerazioni conducono a una ben nota tesi della gnoseologia plotinia-na, ossia l’esistenza di due tipi di pensiero e di conoscenza: uno discorsivo, tale da comportare una successione di contenuti estrinseci l’uno all’altro e da svolgersi nel tempo, incapace di trarre da sé il proprio oggetto e colle-gato alla sensazione alla quale è ordinariamente rivolto, l’altro non discor-sivo, capace di cogliere tutta insieme la molteplicità dei suoi contenuti, non inferenziale, veridico e certo non perché sia conforme a un oggetto esterio-re, ma perché possiede in sé il suo oggetto.23 In generale, Plotino associa il modo di pensiero discorsivo all’anima (essa è definita «ciò che pensa di-scorsivamente [to dianooumenon]» in V 1 [10], 7.42), quello non discorsi-vo all’Intelletto, caratterizzato da un’attività perfettamente compiuta e au-to-riflessiva. Un’altra tesi centrale della gnoselogia plotiniana identifica la condizione cognitiva nella quale ordinariamente ‘noi’ 24 ci troviamo con il pensiero discorsivo, ‘medio’ tra la sensazione e l’Intelletto (V 3 [49], 3.38-40). Ciò che di norma ci qualifica nel senso più proprio sono difatti «gli atti della ragione discorsiva (dianoiai), le opinioni, le intellezioni; è soprat-tutto in questo che noi stessi consistiamo» (I 7 [53], 7.16-17).25 Simili atti discorsivi traggono origine dalle Forme intelligibili che costituiscono l’In-telletto auto-riflessivo (cfr. I 7 [53], 7.14-15): in V 3 [49], 3.8-12 Plotino

23 Su questi argomenti rinvio a due importanti studi recenti: cfr. ReMes, Plotinus on Self cit., pp. 125-175; E. K. eMilsson, Plotinus on Intellect, Oxford, Clarendon Press, 2007.

24 ‘Noi’ (hêmeis) ha un uso quasi tecnico in Plotino (per l’origine del quale cfr. Plato, Alc. I, 128 e): il pronome designa la condizione della nostra anima che governa la sua generale atti-vità e con la quale ‘noi’ ci identifichiamo. Questa nozione è stata al centro di vari studi recenti: cfr. G. auBRy, Plotin: Traité 53 (I, 1), Paris, Cerf, 2004; C. MaRzolo, Plotino: Che cos’è l’essere vivente e che cos’è l’uomo? I 1[53], prefazione di C. d’ancona, Pisa, Plus, 2006; ReMes, Plotinus on Self cit. Maggiori dettagli in R. chiaRadonna, Plotino: il «noi» e il Nous (Enn. V 3 [49], 8, 37-57), in Le moi et l’intériorité. Philosophie, Antiquité, Anthropologie, éd. par G. auBRy, F. ilde-fonse, Paris, Vrin, 2008, pp. 277-293.

25 Cito la traduzione di C. MaRzolo, Plotino: Che cos’è l’essere vivente e che cos’è l’uomo? cit.

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sostiene che l’anima accoglie i riflessi dell’Intelletto che la illumina; tali ri-flessi delle forme sono usati come canone del giudizio. D’altra parte, seb-bene l’anima tragga dall’Intelletto la sua capacità di giudicare, essa non ri-volge la propria attività verso le forme intelligibili, ma verso oggetti esteriori (ta exô: V 3 [49], 3.17), ossia verso i corpi.26 Diversamente da quel che ac-cade per l’Intelletto, la conoscenza discorsiva è di altro; essa non è né au-to-riflessiva né auto-validante. Il rapporto tra pensiero discorsivo e intui-zione intellettuale è uno tra i punti più difficili e controversi della filosofia di Plotino. I due tipi di conoscenza sono spesso distinti nelle Enneadi, ma non deve trarsi da questo la conclusione che essi siano senza relazione re-ciproca. Plotino insiste sul fatto che l’attività discorsiva dell’anima deve in qualche modo anch’essa essere riportata all’Intelletto, dal quale dipende: in questo senso, il pensiero discorsivo può essere concepito come l’espressio-ne (ancorché inadeguata) e il dispiegamento dei molteplici contenuti che si trovano ‘tutti insieme’ nell’Intelletto. Il ragionamento dell’anima è una «di-minuzione (elattôsis) dell’Intelletto» (IV 3 [27], 18.4); essa è come un Intel-letto che, però, «vede qualcos’altro» (III 8 [30], 6.25-26). L’Intelletto, d’al-tra parte, non è perfettamente semplice (come l’Uno superiore all’essere e al pensiero), ma comporta inevitabilmente la molteplicità, che è condizione necessaria per ogni tipo di pensiero; 27 la molteplicità del pensiero noetico è però unificata nel modo più completo, mentre la molteplicità del pensie-ro discorsivo implica successione e dispersione.

Il presupposto sul quale si fonda l’uso dell’analogia del cerchio in VI 5 [23], 5 è, dunque, il seguente: la struttura uni-molteplice delle sostan-ze intelligibili è ordinariamente inaccessibile al nostro ragionamento, che non può non implicare una molteplicità di contenuti esteriori l’uno all’al-tro. D’altra parte, anche su questo piano, che comporta una molteplicità non perfettamente unificata, è possibile trovare degli elementi che presen-tano caratteri analoghi a quelli delle sostanze intelligibili e ne costituiscono la massima approssimazione possibile al livello della ragione discorsiva. La strategia argomentativa di Plotino consiste nel richiamare le approssimazio-ni discorsive della struttura uni-molteplice dell’intelligibile, invitando a fis-sare su di esse l’attenzione per esercitare le nostre facoltà cognitive al pen-siero di qualcosa la cui struttura eccede ciò che possiamo ordinariamente conoscere. Inoltre, Plotino enuncia i caratteri che dividono ogni appros-simazione discorsiva rispetto al contenuto noetico che essa è destinata ad esprimere. In effetti, non basta considerare le proprietà del cerchio per co-

26 Sul carattere ‘esterno’ del corpo rispetto all’anima e al vero sé, cfr. ReMes, Plotinus on Self cit., p. 198.

27 Su questo si veda ancora ReMes, Plotinus on Self cit., p. 129-134.

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gliere la struttura delle realtà intelligibili: occorre anche tener presente che nelle sostanze intelligibili è soppressa ogni estensione ed è tolta la quanti-tà; non si avranno dunque molte linee unificate in un solo centro, ma più centri unificati in un solo centro. Quest’ultima considerazione suscita tut-tavia notevoli interrogativi e conduce a due distinte questioni: 1) qual è il valore e quali sono i limiti delle analogie matematiche usate da Plotino? 2) più in generale, qual è il valore che egli assegna all’analogia per cogliere la natura degli intelligibili?

La risposta al primo quesito non è semplice. In effetti, gli esegeti hanno talora collegato Plotino alla tradizione del platonismo matematico e pitago-rizzante che trae origine dalla prima Accademia: l’uso di analogie matema-tiche, come quella del cerchio, e l’allusione a nozioni tipiche delle cosiddet-te ‘dottrine non scritte’ di Platone (in particolare quella di diade indefinita) paiono condurre verso simili conclusioni.28 Rispetto a siffatte interpretazioni, tuttavia, mi pare che sia necessaria la massima prudenza. In realtà, la pre-senza di dottrine matematiche o matematizzanti nella metafisica plotiniana è, a ben guardare, piuttosto marginale e si limita sostanzialmente alla ripre-sa de-contestualizzata di termini e nozioni tratte dalle principali autorità fi-losofiche (in particolare Platone e Aristotele, dai cui resoconti sulle dottri-ne platonico-accademiche Plotino sembra in buone parte dipendere).29 Un esempio efficace dello scarso ruolo della matematica nella filosofia di Plo-tino è dato dalla sua ricezione del Timeo. Esso è senza alcun dubbio uno tra i dialoghi di Platone più importanti per Plotino e la sua presenza nel-le Enneadi è costante. D’altra parte, tutto il retroterra matematico del Ti-meo è pressoché assente: la struttura matematica dell’anima o la dottrina dei poliedri regolari non svolgono un ruolo importante nella ricezione plo-tiniana di questo dialogo. Diversamente da Platone,30 Plotino è molto espli-cito sul fatto che l’anima non è una realtà quantitativa: in essa ‘tutto’ e ‘par-te’ sono connessi secondo un modo che eccede non solo ciò che è proprio delle real tà sensibili, ma anche ciò che è proprio dei numeri e delle gran-dezze geometriche, nei quali «necessariamente l’intero diventa minore se lo si divide in parti, e le parti sono, singolarmente prese, minori dell’intero» (IV 3 [27], 2.25-27). Emerge in simili passi una linea di pensiero piutto-

28 Lo studio di riferimento per questa interpretazione è H.-J. KRäMeR, Der Ursprung der Geist-metaphysik. Untersuchungen zur Geschichte des Platonismus zwischen Platon und Plotin, Amster-dam, Schippers, 1964, pp. 297-311, 342, etc., rispetto al quale vanno viste le precisazioni di T. A. szlezáK, Platon und Aristoteles in der Nuslehre Plotins, Basel-Stuttgart, Schwabe, 1979, pp. 113-119. Per una discussione più recente, cfr. ch. hoRn, Plotin über Sein, Zahl und Einheit: Eine Stu-die zu den systematischen Grundlagen der Enneaden, Stuttgart-Leipzig, Teubner, 1995.

29 Cfr., per maggiori dettagli, chiaRadonna, Plotino cit.30 Cfr. supra, n. 4.

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sto diversa rispetto a Platone. Indubbiamente, Platone caratterizza il pen-siero dianoetico delle matematiche come «qualcosa di intermedio (metaxu) tra l’opinione e l’intelletto» (Resp., VI 511 d), in un modo che Plotino sem-bra ben tenere presente quando concepisce il ‘noi’ discorsivo come medio tra la sensazione e il Nous. D’altra parte, è altrettanto vero che Platone av-vicina matematiche e dialettica (le due sezioni dell’intelligibile nell’analogia della linea: cfr. Resp., VI 509 d) in quanto sono entrambe distinte dall’opi-nione che, a vario titolo, verte sui sensibili; da qui l’importanza assoluta-mente eccezionale che le discipline matematiche, nella loro accezione più astratta e non rivolta ai fenomeni, hanno nel curriculum dei filosofi-gover-nanti dello stato ideale (cfr. Resp., VI 525 d-531 e). Plotino tende invece ad avvicinare, in modo assai più pronunciato di quanto non faccia Platone, matematiche e percezione, in quanto implicano tutte una molteplicità non perfettamente unificata e sono entrambe distinte dalla conoscenza adegua-ta non discorsiva delle sostanze intelligibili. Non sembra avere grande eco in Plotino la cruciale tesi platonica, secondo la quale lo studio della mate-matica è un bene per l’anima, perché conduce alla conoscenza astratta dei rapporti secondo i quali è strutturata la realtà (la quale è, per l’appunto, in-trinsecamente buona).31

Tutto questo va tenuto ben presente quando si considera l’uso plotinia-no dell’analogia del cerchio e della sfera. Plotino, infatti, è molto esplicito sulla necessità di usare le analogie con prudenza, senza in alcun modo fon-darsi su di esse per attribuire un carattere esteso o quantitativo agli intelli-gibili (cfr. IV 4 [28], 16.21-22; V 8 [31], 9.10-14; VI 5 [23], 5.6-7). In ef-fetti, simili precisazioni suscitano alcuni interrogativi: che senso parlare di un cerchio senza estensione, oppure sottrarre la quantità a concetti, come numeri e figure geometriche, che sono intrinsecamente quantitativi? Si noti che Plotino non si limita ad affermare che, nel considerare con il pensiero le proprietà definitorie del cerchio, occorre fare astrazione dalle proprietà che caratterizzano e distinguono tra di esse le molteplici esemplificazioni parti-colari di questa figura. Quello che egli afferma è molto diverso: nell’usare il cerchio come un’approssimazione per cogliere la natura degli intelligibi-li, occorre sottrarre da esso delle proprietà che caratterizzano ogni cerchio in quanto tale (il fatto di essere una grandezza determinata secondo rap-porti quantitativi). In breve, una volta sottoposti alle qualificazioni imposte da Plotino, i concetti geometrici che egli impiega risultano semplicemente snaturati, tanto che riesce molto difficile capire dove effettivamente risieda il loro valore per cogliere la natura degli intelligibili.

31 Si veda in proposito BuRnyeat, Plato on Why Mathematics is Good for the Soul cit.

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Queste considerazioni portano al secondo problema messo in luce so-pra, quello di stabilire quale sia il valore che Plotino assegna all’analogia per pervenire alla conoscenza degli intelligibili. Il termine di paragone principale e più immediato per determinare la posizione plotiniana è, evidentemente, l’uso che della analogie viene fatto nei libri centrali della Repubblica al fine di caratterizzare la natura della conoscenza e dei suoi oggetti. Senza poter-si addentrare nella trattazione di temi così complessi e dibattuti, sarà suffi-ciente richiamare alcuni elementi della concezione di Platone. Quando So-crate introduce la prima delle celebri analogie della Repubblica, l’analogia del sole, la situazione del dialogo è ben chiara: né Socrate né i suoi inter-locutori, Glaucone e Adimanto, possiedono una conoscenza adeguata del-la natura dell’oggetto di apprendimento più grande dei filosofi, ossia l’idea del bene; stabilire che cosa sia il Bene in sé è una cosa troppo alta perché si possa pervenire a essa sulla base del «fondamento di cui adesso disponia-mo» (Resp., VI 506 e).32 In questa situazione (l’impossibilità per chi svolge l’indagine di stabilire che cosa sia in sé stessa la natura del Bene), Socra-te opta per una soluzione diversa, che prescinde dalla determinazione della natura del Bene ed è invece adeguata alla situazione cognitiva nella quale si trovano egli e i suoi interlocutori (situazione presumibilmente diversa da quella in cui dovrebbe trovarsi il filosofo della città ideale). È a questo sco-po che Socrate sviluppa nel dettaglio l’analogia tra il Bene e la sua ‘prole’, il sole (Resp., VI 508 b-c), mettendo in parallelo le loro rispettive funzioni causali nell’ambito del visibile e nell’ambito del noetico. Sulle ragioni della professione di ignoranza di Socrate rispetto alla natura del Bene, le opinioni degli studiosi sono notoriamente divise, ed è molto dibattuto se le parole di Socrate riflettano fedelmente il pensiero di Platone su questo tema; la que-stione può essere comunque lasciata da parte in questa sede.33 Quello che interessa notare è, invece, la ragione per cui l’uso dell’analogia è introdotto nella Repubblica: essa è una via d’accesso per approssimazione a qualcosa di cui, almeno nella situazione cognitiva nella quale si trova chi la impiega, non si può avere conoscenza compiuta e diretta secondo la sua essenza.

A prima vista, l’argomentazione di Plotino in VI 5 [23], 5 non è trop-po diversa da quella platonica: noi ci troviamo ordinariamente in uno sta-to cognitivo, caratterizzato dal ragionamento discorsivo, che non è adatto a cogliere la natura dell’intelligibile in sé stessa; per questo motivo, il no-

32 Cito la traduzione di M. Vegetti in Platone. La Repubblica, vol. V: Libro VI-VII, a cura di M. vegetti, Napoli, Bibliopolis, 2003.

33 Una chiara presentazione del problema, con dettagliata rassegna delle principali interpre-tazioni, si trova in M. vegetti, Megiston mathema. L’idea del ‘buono’ e le sue funzioni, in Plato-ne. La Repubblica, vol. V cit., Napoli, Bibliopolis, 2003, pp. 253-286.

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stro ragionamento dovrà applicarsi a considerare le proprietà del cerchio e del suo centro, approssimazioni discorsive degli intelligibili (o, parafrasan-do le Repubblica, ‘prole’ degli intelligibili), al fine di pervenire in qualche modo a cogliere delle proprietà di essi. Tuttavia, un esame più approfondi-to smentisce simili conclusioni. Occorre richiamare molto rapidamente lo sviluppo argomentativo in cui si inquadra l’uso dell’analogia del cerchio. Il trattato VI 5 [23] è la seconda parte di una lunga esposizione (divisa in due da Porfirio nella sua edizione delle Enneadi), che comprende questo tratta-to insieme a quello immediatamente precedente (VI 4 [22]), ed è dedicata alla natura delle sostanze intelligibili e al modo della loro presenza in ciò che partecipa di esse. Il titolo del trattato bipartito nell’edizione di Porfi-rio è Sul fatto che l’essere, uno e identico, sia insieme ovunque come intero; esso richiama immediatamente la tesi fondamentale che vi è difesa da Ploti-no (tesi che deriva dalla sua peculiare interpretazione del Parmenide plato-nico): 34 le sostanze intelligibili sono tali da riunire in sé caratteri apparente-mente incompatibili; esse sono infatti unitarie al massimo grado e, insieme, sono presenti ovunque senza dividersi. In relazione all’essere intelligibile vale dunque il principio per cui esso è uno e identico per numero, pur essendo insieme dappertutto come intero (VI 5 [23], 1.1). Le obiezioni sollevate in rapporto all’esistenza degli intelligibili, e alla possibilità che i sensibili par-tecipino di essi, derivano solo da una comprensione inadeguata della natura delle sostanze più vere e del tipo di causalità da esse esercitato.35 Il trattato VI 5 [23] si apre con una esplicita presa di posizione di Plotino in questo senso: il principio secondo cui ciò che è uno per numero è insieme ovun-que come intero è in qualche modo innato, come una ‘nozione comune’, in ciascuno di noi: lo testimonia il modo in cui noi tutti, per un moto spon-taneo della nostra natura, affermiamo che il dio in ciascuno di noi sia uno e identico (VI 5 [23], 1.3-4).36 D’altra parte, il medesimo principio è smen-tito dal nostro modo ordinario di ragionare (il logos) che considera questi aspetti come incompatibili. Per ben due volte Plotino oppone enfaticamen-te la ricerca che ha luogo mediante la ragione discorsiva (logôi exetazein: VI 5 [23], 1.5; logos […] epicheirêsas exetasin poieisthai: 2.1) al modo di cono-scenza appropriato agli intelligibili, capace di comprendere la completa in-terpenetrazione di unità e molteplicità che ha luogo in essi.

34 Cfr. Plato, Parm., 131 b. Si veda toRnau, Plotin. Enneaden VI 4-5 [22-23] cit., pp. 14-18. 35 Cfr. C. d’ancona, AMORPHON KAI ANEIDEON. Causalité des formes et causalité de

l’Un chez Plotin, «Revue de Philosophie Ancienne», X (1992), pp. 71-113.36 Cfr., su queste linee, R. chiaRadonna, Platonismo e teoria della conoscenza stoica tra II e

III secolo d.C., in Platonic Stoicism-Stoic Platonism, ed. by M. Bonazzi, ch. helMig, Leuven, Uni-versity Press, 2007, pp. 209-241, spec. pp. 234-238.

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Il programma dell’ontologia plotiniana, formulato in VI 5 [23], 2, con-siste nello sviluppare una trattazione degli intelligibili non lasciandosi sviare dal logos, ma muovendo dai principi appropriati alla loro natura.37 I caratteri dell’essere intelligibile, insieme uno e presente in tutto, sono tratteggiati in VI 5 [23], 3: agli occhi di Plotino, una simile descrizione fornisce una trat-tazione dell’intelligibile basata «sulla cosa stessa» (ex autou tou pragmatos, 3.30), senza fare ricorso ai principi tratti da una natura estranea. Nei capi-toli VI 5 [23], 4 e 5 Plotino, dopo aver caratterizzato l’intelligibile in base ai principi adeguati a esso, cerca di mostrare come il nostro pensiero può ac-cedere alla conoscenza di una simile realtà; egli si riallaccia esplicitamente a quanto enunciato in VI 5 [23], 1: in ‘noi’ (ossia nella condizione cogniti-va della nostra anima che ci caratterizza e con la quale ci identifichiamo) è innata una concezione del divino come indiviso e onnipresente, concezio-ne che è conforme alla natura dell’intelligibile (VI 5 [23], 4.1-10). In VI 5 [23], 1 Plotino aveva opposto molto nettamente questa nozione innata (e non discorsiva) alla comprensione che ha luogo mediante il ragionamen-to (logos), nella quale unità e onnipresenza sono indebitamente considerati come caratteri incompatibili. In VI 5 [23], 5 è invece adottata una strategia differente: Plotino intende mostrare come, anche sul piano del logos (il lo-gos che, è opportuno ribadirlo, in VI 5 [23], 1 e 2 viene esplicitamente ca-ratterizzato come incapace di cogliere adeguatamente la natura uni-molte-plice delle realtà autentiche) sia possibile accedere per approssimazione alla natura degli intelligibili: a questo scopo, viene richiamata l’analogia del cer-chio, considerando il quale il nostro ragionamento ci guida alla conoscenza di una molteplicità perfettamente unificata. Plotino non ha però cambiato idea circa i limiti del logos: come si è visto, l’analogia del cerchio va quali-ficata perché non sia usata in modo fuorviante, ossia concependo erronea-mente gli intelligibli come realtà estese e quantitative. A questo scopo, oc-corre che il ragionamento sia regolato da una conoscenza superiore a esso, la quale già coglie la natura degli intelligibili in accordo ai loro principi ed evita che l’uso dell’analogia geometrica porti a conclusioni non corrette.

Da tutto questo emerge una situazione ben diversa da quella presente nella Repubblica. Mentre nel dialogo platonico gli interlocutori non hanno conoscenza compiuta della natura del Bene, e usano l’analogia come un me-todo per approssimarsi a essa, in Plotino l’analogia può essere correttamen-te usata solo se è regolata a partire dalla conoscenza compiuta e appropriata degli intelligibili. Una simile conoscenza è presentata da Plotino come diretta, adeguata alla ‘cosa stessa’ e, dunque, indipendente dall’analogia: quest’ultima

37 chiaRadonna, Plotino cit., pp. 33-48.

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è un semplice strumento usato per ottenere chiarezza sull’essenza dell’intel-ligibile dal punto di vista della ragione discorsiva. Una conclusione siffatta è conforme alla generale cautela plotiniana sull’uso dell’analogia per la co-noscenza degli intelligibili.38 In effetti, la presenza diffusa di analogie nel-le Enneadi (quella della luce, quella del fuoco e del calore, etc.) non deve trarre in inganno. Molto giustamente Arthur H. Armstrong ha affermato, proprio in relazione a VI 5 [23], 5, che «Plotino è generalmente un critico acuto delle proprie metafore».39 In effetti, l’uso di analogie in Plotino non sembra tanto riguardare la conoscenza degli intelligibili (che va conseguita non analogicamente, ma direttamente, «in base ai principi adeguati», VI 5 [23], 2.5-6, e «a partire dalla cosa stessa» 3.30), quanto la semplice espres-sione di questa conoscenza sul piano della ragione discorsiva.

La dottrina della conoscenza di Plotino si fonda sulla tesi in accordo alla quale, sebbene la nostra condizione cognitiva ordinaria sia per l’appun-to quella della ragione discorsiva, vi è comunque, nell’anima di ciascuno, ‘qualcosa’ che non abbandona mai l’Intelletto (IV 8 [6], 8.3: esti ti autês en tôi noêtôi aei), è omogeneo a esso, partecipa del suo tipo auto-riflessivo di conoscenza, non è disceso nel mondo dei corpi e non viene affatto mo-dificato dall’unione dell’anima con il corpo. Questa ‘parte’ (per quanto sia lecito parlare di ‘parte’ nel caso dell’anima) è dunque in perenne contem-plazione delle Forme intelligibili anche se noi non ne siamo per lo più co-scienti, e l’attività conoscitiva di cui noi siamo ordinariamente consapevoli si svolge a un livello inferiore, quello della sensazione e dell’anima discor-siva. Questa dottrina (comunemente detta dagli studiosi ‘dottrina dell’ani-ma non discesa’) 40 è altamente caratterizzante della metafisica e dell’episte-mologia plotiniane e permette di intendere nella sua pienezza il program-ma epistemologico formulato in VI 5 [23], 2, ossia la necessità di conoscere le sostanze intelligibili «in accordo ai principi appropriati a esse (ex archôn tôn oikeiôn)» (VI 5 [23], 2.5-6) e senza trasferirvi in alcun modo le catego-rie appropriate alla conoscenza dei corpi. Le conseguenze di questa teoria

38 Cfr. R. chiaRadonna, Sostanza movimento analogia. Plotino critico di Aristotele, Napoli, Bibliopolis, 2002, pp. 227-305.

39 A. H. aRMstRong, «Emanation» in Plotinus, «Mind», XLVI (1937), pp. 61-66, spec. p. 61.40 Esiste un ampio dibattito tra gli studiosi su questa dottrina, le sue fonti e il suo significa-

to: per maggiori dettagli, cfr. C. d’ancona et alii, Plotino, La discesa dell’anima nei corpi (Enn. IV 8 [6]). Plotiniana Arabica (pseudo-Teologia di Aristotele, capitoli 1 e 7; «Detti del Sapiente Gre-co», Padova, Il Poligrafo, 2003; A. linguiti, La felicità dell’anima non discesa, in Antichi e moder-ni nella filosofia di età imperiale, a cura di a. BRancacci, Napoli, Bibliopolis, 2001, pp. 213-236: entrambi gli studi danno ampie informazioni sul dibattito precedente. Sugli aspetti epistemolo-gici, cfr. R. chiaRadonna, La dottrina dell’anima non discesa in Plotino e la conoscenza degli in-telligibili, in Per una storia del concetto di mente, a cura di e. canone, vol. 1, Firenze, Olschki, 2005, pp. 27-49.

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hanno, in effetti, notevole portata. Il fine della nostra conoscenza consiste nel ricongiungerci, già in questa vita, alla parte superiore della nostra anima che non è mai discesa dall’intelligibile e ne contempla l’autentica essenza. In tal modo Plotino toglie di fatto il diaframma tra la conoscenza che noi possiamo conseguire del mondo intelligibile e la conoscenza che l’intelligi-bile ha di sé stesso.41 La conoscenza più elevata dell’anima, infatti, accoglie i suoi contenuti dall’Intelletto accordandosi alla sua natura e ‘riempiendosi’ di esso, conoscendo sé stessa come Intelletto e divenendo essa stessa Intel-letto (V 3 [49], 4.9-15): «Un uomo è certo divenuto Intelletto, quando ab-bia abbandonato tutto il resto di sé e guardi a lui mediante lui stesso, o a sé mediante sé, vale a dire: come Intelletto vede sé stesso» (4.29-31).

Il fatto che ordinariamente una simile conoscenza sia inaccessibile non deve trarre in inganno: ciò indica soltanto che noi, nella nostra condizione cognitiva ordinaria, non abbiamo ancora compiuto l’itinerario di purifica-zione intellettuale che porta a riappropriarci della nostra parte più auten-tica. Un simile itinerario è però stato compiuto dal filosofo che ha scritto le Enneadi, il quale, in IV 8 [6], 1, fornisce una celebre descrizione del ‘ri-sveglio di sé a sé stesso’ e della visione perfetta del mondo intelligibile che all’anima è dato attingere nei momenti in cui, destandosi alla sua più vera natura, diviene tutt’una col divino.42 Non è possibile soffermarsi qui sulle numerose difficoltà poste da questa dottrina e sulla sua problematica rela-zione con il pensiero di Platone.43 Il suo carattere controverso fu d’altronde rilevato già dai neoplatonici posteriori a Plotino, i quali per lo più o la mi-sero discretamente ai margini, oppure la criticarono apertamente.44 Basterà notare che la dottrina dell’anima non discesa è di cruciale importanza per comprendere il tipo di platonismo sviluppato da Plotino, per il quale (mol-to più di quanto non accada per Platone) vale la possibilità di pervenire già in questa vita a una conoscenza diretta e appropriata degli intelligibili.

È dunque sbagliato ritenere che per Plotino il nostro pensiero sia neces-sariamente condizionato dalla discorsività e dal linguaggio. A essere inevita-bilmente discorsivo è solo il pensiero nel quale ‘noi’ ordinariamente ci tro-viamo, non il pensiero proprio della nostra natura più autentica. Fuorviante è anche l’osservazione per cui Plotino, scrivendo i suoi trattati, necessaria-

41 Cfr. chiaRadonna, Plotino: il «noi» e il Nous cit.42 Cfr. IV 8 [6], 1.1-11. Su queste linee, molto famose e commentate, cfr. il commento ad

loc. in d’ancona et alii, Plotino, La discesa dell’anima nei corpi cit.43 Si vedano gli studi citati supra, n. 40.44 Sul dibattito posteriore a Plotino cfr. C. steel, Il Sé che cambia. L’anima nel tardo Neo-

platonismo: Giamblico, Damascio e Prisciano, ed. it. a cura di L. I. MaRtone, Bari, Edizioni di Pa-gina, 2006.

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mente fa uso del linguaggio, restando pertanto entro i limiti del pensiero discorsivo. Una simile osservazione costituisce senza dubbio una possibile obiezione rispetto al progetto filosofico plotiniano (la cui praticabilità è evi-dentemente controversa), ma non costituisce in alcun modo una caratteriz-zazione corretta di esso. Se, infatti, è giusto notare che, nel momento in cui Plotino descrive l’Intelletto mediante il linguaggio, egli non può non ricor-rere alla ragione discorsiva, è invece del tutto sbagliato concludere da que-sta constatazione che per Plotino il pensiero è necessariamente condizionato dalla discorsività e dal linguaggio. Come si è visto a proposito dell’analo-gia del cerchio, Plotino ragiona in modo esattamente inverso: non è il lin-guaggio a imporre i propri limiti alla comprensione dell’intelligibile, ma è la comprensione dell’intelligibile a regolare il linguaggio rendendo possibi-le a esso di esprimere, per quanto possibile, una conoscenza extra-linguisti-ca ed extra-discorsiva. Plotino mostra, in realtà, una certa insofferenza ri-spetto ai limiti imposti dall’espressione linguistica. In VI 4 [23], 2.6-12, ad esempio, dopo aver osservato che il mondo visibile è ‘nel’ tutto intelligibile, egli richiama l’obiezione secondo cui ‘essere in’ non può essere inteso nel suo senso più naturale, quello di ‘essere in un luogo’, giacché il tutto intel-ligibile non corrisponde a nessuna delle definizioni accettate di ‘luogo’. A questo Plotino ribatte, molto semplicemente, che non bisogna prestare at-tenzione alla formulazione linguistica (la quale può ben essere fuorviante), ma badare al senso di ciò che viene detto: tên tou onomatos apheis katêgo-rian têi dianoiai to legomenon lambanetô (VI 4 [22], 2.11-12).

Non è dunque il linguaggio che detta la norma al pensiero, ma il pen-siero che detta la norma al linguaggio selezionando e correggendo l’uso di esso in accordo alla comprensione intellettuale dell’essere intelligibile. La struttura del Nous è in sé stessa extra-linguistica e una conoscenza adegua-ta di essa dovrebbe fare a meno del linguaggio; ogni sua traduzione in pa-role risulta inevitabilmente non del tutto appropriata.45 Non a caso, quan-do Plotino introduce la trattazione dei cinque generi sommi secondo i quali si articola la molteplicità noetica egli invita insistentemente a “guardare” l’Intelletto per conoscerne la natura propria: «Fissa, dunque, lo sguardo sull’Intelletto, alla sua purezza, e guardalo, tutto a lui intento, guardalo sì,

45 Ciò vale anche per l’Uno, il primo principio superiore all’essere il quale però, diversa-mente dall’Intelletto, è assolutamente semplice e non è tale da poter essere colto mediante il pen-siero, neanche mediante il pensiero non discorsivo ed extra-linguistico del Nous. Lo stesso Uno non è tale da conoscere sé stesso; esso non ha né pensiero né coscienza di sé (cfr. V 6 [24], 5.4-5; V 3 [49], 13.11-12; VI 9 [9], 6.48-50). L’anima si unisce all’Uno svuotandosi di ogni contenu-to e di ogni forma. In tal modo, essa si rivolge all’Uno e si rende ‘posseduta’ da esso (VI 9 [9], 7.16 ss.) (gli interpreti dibattono sulla possibilità che l’anima conservi la propria identità in que-sta esperienza: cfr. ReMes, Plotinus on Self cit., pp. 246-253).

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ma non con gli occhi» (VI 2 [43], 8.5-7). La discussione che segue sembra essere nient’altro se non la traduzione linguistica (e inevitabilmente limita-ta) di una simile ‘visione’, l’acquisizione della quale è presentata come un requisito indispensabile per la comprensione della dottrina esposta nella li-nee successive. In V 8 [31], 6 Plotino esprime efficacemente l’inadeguatezza del linguaggio rispetto alla struttura uni-molteplice dell’Intelletto, elogian-do i sapienti egiziani che, quando intendevano esprimere qualcosa «sapien-temente (dia sophias)» non si servivano di forme di lettere che imitano l’or-dine delle parole e delle proposizioni, ma «disegnavano […] delle figure e incidevano nei templi una figura particolare per ogni cosa, mostrando l’as-senza di uno svolgimento discorsivo» (V 8 [31], 6.5-7).

In conclusione di questo contributo, è opportuno richiamare sintetica-mente un dibattito che, alcuni decenni fa, animò gli studi plotiniani. In un celebre articolo, Werner Beierwaltes sottolineò il valore ‘reale’ e metafisi-co delle analogie in Plotino (in particolare l’analogia della luce), sostenen-do che esse non vanno intese come la mera trasposizione all’intelligibile di caratteri propri dei sensibili.46 Al contrario, è dall’intelligibile che le analo-gie traggono la loro validità: la luce intelligibile è luce vera, autentica ed è fondamento della luce sensibile, che è il suo analogo e della quale essa è principio. A Beierwaltes si oppose Rein Ferwerda, il quale sostenne che in Plotino le analogie e le metafore plotiniane hanno un valore esclusivamente empirico, illustrativo e pedagogico; esse sono un mero procedimento dialet-tico e non la descrizione adeguata di ciò a cui vengono applicate.47 La que-stione è stata sinteticamente ripresa, in tempi recenti, da Christian Tornau, che ha opportunamente caratterizzato la posizione di Plotino come tale da giustificare, a seconda del punto di vista adottato, conclusioni opposte: da un lato un’immagine (eidôlon) è sempre soltanto un’immagine apparente dell’essere vero, dall’altro una comparazione tra immagine e archetipo non è un semplice ausilio retorico, poiché l’immagine, in quanto tale, possiede un legame indissolubile con la realtà.48

Simili considerazioni sono perfettamente corrette, ma sono forse suscet-tibili di alcune integrazioni. In effetti, l’esemplarismo plotiniano ha caratte-ri peculiari, che lo rendono diverso da altre forme di esemplarismo formu-late nella tradizione platonica. In particolare, Plotino, molto più che altri

46 Cfr. W. BeieRwaltes, Plotins Metaphysik des Lichtes, «Zeitschrift für Philosophische For-schung», XV (1961), pp. 334-362, rist. in id., Die Philosophie des Neuplatonismus, hrsg. von C. zintzen, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1977, pp. 75-117.

47 Cfr. R. feRweRda, La signification des images et des métaphores dans la pensée de Plotin, Groningen, J. B. Wolters, 1965, pp. 6-8.

48 Cfr. toRnau, Plotin. Enneaden VI 4-5 [22-23] cit., p. 374.

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autori platonici o platonizzanti, tende a presentare l’immagine e il suo mo-dello intelligibile come realtà di genere diverso. Inoltre, egli sembra soste-nere che i caratteri di cui la Forma è causa nei sensibili non possono esse-re attribuiti alla Forma stessa: di conseguenza, se la forma è la causa che spiega la presenza del carattere F nelle immagini che dipendono da essa, non si deve concludere che F sia proprio della stessa Forma. Vale, per lui, piuttosto la tesi contraria, efficacemente formulata da Giovanni Catapano in uno studio recente:

se in una molteplicità di oggetti è presente la stessa proprietà, per la quale si asso-migliano reciprocamente, ci dev’essere un principio che spiega la presenza del me-desimo in molti come effetto dell’imitazione del principio stesso […]; questo prin-cipio, però, non può a sua volta possedere la stessa proprietà presente nei molti […]; bisogna dunque che la causa che rende comprensibile la presenza di un’iden-tica proprietà in tutti gli oggetti che la possiedono non possieda essa stessa quella data proprietà, e tuttavia sia concepibile come modello al quale tutti gli oggetti si sono assimilati proprio grazie all’acquisizione della proprietà stessa.49

Per Plotino, ad esempio, i modelli ideali delle figure geometriche che si trovano nei corpi non sono essi stesse delle grandezze provviste di esten-sione e figura (VI 6 [34], 17.25-28); 50 in modo analogo, egli ritiene l’uomo divenga simile a Dio mediante la virtù, ma non conclude da questo che la virtù caratterizza lo stesso Dio intelligibile: ciò di cui l’anima partecipa e ciò a causa di cui ne partecipa, e al quale essa si assimila in virtù di questa partecipazione, sono cose diverse (I 2 [19], 1.40-42). Date queste premes-se, non sorprende che Plotino sia molto prudente sulla possibilità di usare la conoscenza dell’immagine come una via d’accesso alla conoscenza dell’ar-chetipo; per lui vale piuttosto il principio opposto: solo una conoscenza preliminare e adeguata della causa permette di conoscere appropriatamen-te ciò che da essa dipende.51 Se tutto ciò è vero, va senz’altro accolta l’os-servazione secondo cui le analogie nelle Enneadi sono molto più che sem-plici espedienti retorici, poiché traggono la loro validità dalla dipendenza delle immagini rispetto ai loro archetipi. D’altra parte, va anche ben tenuto presente che solo una conoscenza diretta degli intelligibili permette di fare un uso appropriato delle analogie, senza fermarsi a esse e correggendo i li-miti che esse inevitabilmente comportano.

49 G. cataPano, Plotino. Sulle virtù. I 2 [19], prefazione di J. M. Rist, Pisa, Plus, 2006, p. 22.50 Cfr. F. Regen, Formlose Formen. Plotins Philosophie als Versuch, die Regreßprobleme des Pla-

tonischen Parmenides zu lösen. Göttingen, Vandenhœk & Ruprecht, 1988. Sulla negazione dell’au-to-replicazione delle idee in Plotino si veda C. d’ancona, AMORPHON KAI ANEIDEON cit.

51 Cfr. R. chiaRadonna, Il tempo misura del movimento? Plotino e Aristotele (Enn. III 7 [45]), in Platone e la tradizione platonica. Studi di filosofia antica cit., pp. 221-250.

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NOVEMBRE 2012