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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’INSUBRIA D IPARTIMENTO DI D IRITTO , E CONOMIA E C ULTURE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA MEDIAZIONE INTERLINGUISTICA E INTERCULTURALE «L A SELVAGGIA NATURA DELLA SAGGEZZA . D A T HOREAU A M C C ANDLESS » Tesi di Laurea di Chiara Civilla Matricola 716807 Relatore: Prof. Paolo Luca Bernardini Anno accademico 2013/2014
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CHIARA CIVILLA (MARCH2015), LA SELVAGGIA NATURA DELLA SAGGEZZA. DA THOREAU A MCCANDLESS

Mar 23, 2023

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Page 1: CHIARA CIVILLA (MARCH2015), LA SELVAGGIA NATURA DELLA SAGGEZZA. DA THOREAU A MCCANDLESS

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI

DELL’INSUBRIA

D IPARTIMENTO DI D IRITTO , ECONOMIA E

CULTURE

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA

MEDIAZIONE INTERLINGUISTICA E

INTERCULTURALE

«LA SELVAGGIA NATURA DELLA

SAGGEZZA .

DA THOREAU A MCCANDLESS»

Tesi di Laurea di Chiara Civilla

Matricola 716807

Relatore : Prof. Paolo Luca Bernardini

Anno accademico 2013/2014

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Vorrei spendere una parola in favore della natura,

dell’assoluta libertà e dello stato selvaggio, contrapposti a

una libertà e una cultura puramente civili, vorrei considerare

l’uomo come abitatore della natura, come sua parte

integrante, e non come membro della società.

(Henry David Thoreau, Camminare, p. 17.)

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INDICE

SUMMARY 3

INTRODUZIONE 4

1. LE ORIGINI DEL TRASCENDENTALISMO 6

1.1. LA SOCIETÀ AMERICANA ALL’EPOCA DI THOREAU 6

1.1.1. LA GUERRA USA - MESSICO: 1846 – 1848 8

1.1.2. GUERRA CIVILE E RICOSTRUZIONE 9

1.1.3. LA GIUSTA DISOBBEDIENZA DI THOREAU 11

2. HENRY DAVID THOREAU: L’ UOMO DELLA NATURA 15

2.1. WALDEN, IL RIFIUTO DELLE CONSUETUDINI E LA VITA VERA 16

2.2. L’ESPERIMENTO DI THOREAU 18

2.3. SOLITUDINE O COMPAGNIA 22

2.4. RITORNO ALLA CIVILTÀ 23

3. JON KRAKAUER 25

3.1. NELLE TERRE ESTREME 26

3.2. I MAESTRI DI VITA 27

3.3. L’ABBANDONO UFFICIALE DALLA CIVILTÀ 28

3.4. LA STRADA PER LA SAGGEZZA: GLI INCONTRI DI CHRIS 31

3.5. IL DIARIO 34

3.6. IL PUNTO DI NON RITORNO 36

4. LA SEDUZIONE DELLA WILDERNESS 38

4.1. ARMONIA CON LA NATURA: THOREAU 38

4.2. L’AVVENTURA DI MCCANDLESS: IL FUTURO NELLA SAGGEZZA 42

5. CONFLITTO DI OPINIONI: MCCANDLESS EROE O FOLLE? 48

CONCLUSIONI 61

RINGRAZIAMENTI 63

BIBLIOGRAFIA 64

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SUMMARY

My work analyzed the historical circumstances in which the young boy Christopher

McCandless and the famous transcendentalist philosopher and his mentor Henry David

Thoreau lived their life in the American wilderness.

I present a wide and clear discussion about the way these two incredible men have

followed their believes, examining not only the different aspects of society, but

especially comparing the transformation of their lives through their experiences in the

nature until the end.

Based on extensive research, this work tries to deeper understand the reasons and the

difficulties handled by these two men, focusing not only on the books but especially

through the writer Jon Krakauer’ s eyes.

The main question I tried to address is how and why this young man abandoned his life

full of privileges in order to follow an uncertain future, composed by risks and danger,

compared to the experience Thoreau did in the previous century.

The most interesting part of my thesis is that he surely believed that what he was doing

was right and necessary to make his dreams come true and live finally in freedom and

peace with his soul, far from the duties imposed by his family and his position in the

society. And in order to do that he started looking for himself especially by living in the

nature.

After having cut all ties with his family, Chris gave his trust fund to charity and started

travelling. A two years odyssey brought him to Alaska, one of most wilderness

territories on Earth, a blank spot on the map where he could test the limits of his wits

and endurance.

His death has caused controversy over a decade. With the head full of Jack London,

Tolstoy, Davies and Thoreau, with the nickname "Alexander Supertramp" which he

took from “The Autobiography of a Super-Tramp” by William H. Davies from 1908, he

has become an icon for the young generation.

My work reveals a lot of unknown aspects about the circumstances of this journey until

his death in the bus where he spent the last few days of his simple, full of adventures

and excitement, life.

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INTRODUZIONE

In molti sognano una vita diversa, una vita d’ avventure, lontano dalla routine di tutti i

giorni, dagli uffici, dalla frenesia cittadina; ma in pochi hanno davvero il coraggio di

abbandonare tutto ciò che hanno per realizzare questo sogno. E', in effetti, una scelta

difficile lasciare amici, famiglia, stabilità per andare incontro a un futuro incerto e per la

maggior parte delle persone rimane un pensiero su cui costruire, con la propria fantasia,

una realtà diversa, solo immaginata, ma comunque utile a sfuggire da una vita che del

tutto non li ha soddisfatti. Ci sono invece persone che non ci stanno a vivere

nell’infelicità, stanchi di conformismo e tradizionalismo, si lasciano trasportare dal loro

spirito avventuriero:

“The joy of life comes from our encounters with new experiences, and hence there is no

greater joy than to have an endlessly changing horizon, for each day to have a new and

different sun".

Quest’ultima frase è tratta da una lettera indirizzata ad un amico dal protagonista di

“Nelle terre estreme”, di Jon Krakauer: Christopher McCandless.

Chris è stato uno di quei “pochi” che, infelice della sua vita, ha trovato in un sogno la

forza di cambiare radicalmente esistenza, abbandonando tutto ciò che aveva per andare

incontro ad un futuro ignoto. Laddove lo sconforto della propria esistenza ha il

sopravvento, per Chris come per molti altri esploratori, l'unica soluzione per scoprire se

stessi e lenire quel senso di delusione e insoddisfazione sia attraverso la natura. Lì, nei

luoghi più vasti e sconfinati della terra, l'uomo può ricevere le risposte alle domande che

lo tormentano e trovare così il sollievo tanto ricercato.

Negli ultimi anni moltissimi studiosi, artisti, scrittori hanno preso coscienza del

complesso rapporto esistente fra uomo e natura, soprattutto nella letteratura americana.

Jon Krakauer è uno degli studiosi che meglio hanno interpretato tale relazione,

soprattutto grazie alle sue esperienze personali di alpinista, narrate in Into thin Air e in

Eiger Dreams e alla storia di Christopher McCandless, diventata in seguito un bestseller

mondiale dal titolo Into the Wild.

Sono venuta a conoscenza dell' avventurosa nonché tragica vicenda di questo giovane

uomo tramite la versione cinematografica del libro "Nelle terre estreme" intitolato "Into

the wild" del regista e attore Sean Penn e anche io come molti altri, Krakauer in

particolare, sono rimasta affascinata dalla storia di questo ragazzo così incosciente, ma a

mio parere, geniale allo stesso tempo.

L'obiettivo principale di questa tesi è stato analizzare le modalità in cui Chris ha

percorso le proprie scelte di vita, andando incontro al pericolo, la gioia e l'adrenalina

che un futuro nuovo comporta, comparandole con quelle che il filosofo, suo mentore,

Henry David Thoreau, seppur in maniera distinta, ha eseguito prima di lui.

Il primo capitolo si focalizza principalmente sulla storia americana del 1800 e 1900.

Grazie all’utilizzo di diversi materiali è stato possibile contestualizzare da un punto di

vista storico questi due grandi personaggi che, in modi completamente diversi, hanno

saputo perseguire i propri ideali e modificare il parere di moltissime persone.

Il secondo capitolo si concentra prevalentemente su Thoreau e sulla sua esperienza

presso il lago di Walden, nome da cui prende vita anche la sua opera più famosa.

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Documentandomi sul modo di vita e dalle scelte che ha affrontato nei boschi, ho voluto

spiegare come e in che modo sia sopravvissuto all'interno della natura selvaggia per ben

due anni di seguito senza cacciare e senza oggetti materiali, sapendo condizionare così

fortemente Chris.

Il terzo capitolo, invece, si sofferma sulla vita di Jon Krakauer, studioso appassionato

di alpinismo, e di McCandless, ragazzo molto giovane che dopo la laurea decise di

donare tutti i suoi risparmi e di vivere la vita in solitario viaggiando fino a raggiungere

la meta tanto ambita: l'Alaska.

Il quarto capitolo si concentra sul rapporto che entrambi i personaggi hanno avuto nei

confronti della natura e dalle similitudini e differenze che ebbero nel corso dei loro

rispettivi percorsi.

Infine il quinto capitolo delinea come la popolazione, in seguito alla tragica dipartita del

giovane McCandless, si sia divisa in due fazioni opposte: alcuni che lo hanno

appoggiato e che lo definivano un eroe da imitare ed altri che invece lo ritengono un

folle ed un incosciente.

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1. LE ORIGINI DEL TRASCENDENTALISMO

Il Trascendentalismo è un movimento filosofico e letterario che si diffuse negli Stati

Uniti fra il 1830 e il 1850. L’origine del pensiero trascendentalista viene fatta

comunemente risalire ad alcune correnti di pensiero romantiche sviluppatesi in Europa a

partire dalla fine del XVIII secolo. Il principale leader di tale movimento fu Ralph

Waldo Emerson, filosofo, oratore, poeta e saggista che, attraverso i suoi numerosi saggi

e conferenze, esercitò larga influenza sui contemporanei quali H.D. Thoreau, S.M.

Fuller, John Muir e A.B. Alcott.

Il movimento trascendentalista era caratterizzato da una sorta di ottimismo metafisico

che portava a cogliere nella natura solo gli aspetti positivi. In particolar modo si

configurò come una reazione di critica ed opposizione ad una serie di elementi che

dominarono l’America nella prima metà dell’Ottocento, ovvero: la società, la

dipendenza del governo e tutte le istituzioni politiche e religiose avevano come fine

ultimo quello di corrompere la purezza dell’ individuo.

1.1. LA SOCIETA' AMERICANA ALL’EPOCA DI THOREAU

Tra la fine del Settecento e gli anni Sessanta dell'Ottocento gli Stati Uniti andarono

incontro a fondamentali trasformazioni. Le relazioni tra Nord e Sud, in particolare,

erano fortemente influenzate dai rapporti tra Washington e le potenze europee.

In seguito alla Guerra di Indipendenza, l’America si trovava in un momento di estrema

vulnerabilità, per questo motivo il presidente Washington desiderava tutelare la giovane

Repubblica da eventuali attacchi evitando contrasti con le principali nazioni europee e

proclamare così lo stato di neutralità. Il presidente, infatti, consapevole della debolezza

dello Stato, dichiarò prima nella dichiarazione di neutralità del 1793 e poi nel discorso

di commiato con cui lasciò la carica nel 1796, la necessità che vent’anni di pace,

insieme alla forte distanza che li separava dalle altre potenze europee, erano

fondamentali per consentire all’America di essere nella giusta posizione per sfidare

nuovamente tutti gli altri poteri sulla terra. I buoni propositi di Washington ebbero piena

realizzazione in seguito alla diffusione della dottrina Monroe da parte dell’omonimo

presidente. Stimolo di tale dichiarazione fu la rivolta delle colonie spagnole

sudamericane contro la madrepatria e alla reazione delle potenze europee riunite nella

Santa Alleanza (frutto del Congresso di Vienna del 1815) intenzionate a intervenire

militarmente nel nuovo mondo per riportare lo status quo precedente.

Temendo quindi per la sicurezza del proprio emisfero e con l’intento di sostenere lo

sforzo anticoloniale degli Stati meridionali, il presidente Monroe, spalleggiato dal suo

segretario John Quincy Adams, decise di opporsi all’iniziativa europea. In occasione del

discorso annuale al Congresso, il 2 dicembre 1823, Monroe enunciò i principali punti

della sua dottrina. Essa consisteva nel riconoscere le esistenti colonie europee nelle

Americhe, ma di non considerarne di nuove, nel dichiarare l'intenzione degli Stati Uniti

di rimanere neutrali e di considerare qualsiasi nuova colonia o interferenza con nazioni

indipendenti nelle Americhe come un atto ostile nei confronti degli USA.

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Attraverso questa dottrina gli Stati Uniti riuscirono ad assicurarsi l’espansione nel

proprio emisfero; inoltre, grazie al rapidissimo sviluppo industriale nelle città del nord,

gli Stati Uniti iniziarono a inserirsi con successo nel mercato europeo, insidiando la

supremazia economica inglese trasformandosi così in una grande potenza.

Di fatto aumentarono di netto gli esporti e i ricavi economici, che resero possibile il

progresso interno in campo industriale, siderurgico, scientifico, di trasporti e vie di

comunicazione. Furono proprio queste innovazioni ad avviare quella che in seguito

venne definita la “seconda rivoluzione industriale”. Questo progresso, tuttavia, rese

ancora più netto il divario economico tra nord e sud degli Stati Uniti: gli Stati del Sud a

favore di una politica abolizionista della schiavitù entrarono in conflitto con gli Stati del

Nord, intenzionati invece a preservare l'Unione piuttosto che abolirla.

È nella guerra del 1812, dichiarata da Thomas Jefferson contro l’Inghilterra per

l’annessione della Florida orientale, che è possibile trovare la scintilla che scatenò il

rifiorire dello schiavismo negli Stati Uniti. L'embargo indetto dagli inglesi incentivò lo

sviluppo della manifattura tessile americana e ne sancì il passaggio ad una economia

protoindustriale, concentrata prevalentemente nei territori del New England.

Contemporaneamente a ciò, la forte espansione territoriale determinò un’ingente

aumento della domanda di cotone, cui seppero far fronte gli Stati del Sud. In un

territorio fondamentalmente arretrato, in cui non era necessaria un’attenzione

specialistica per i prodotti agricoli, la manodopera degli schiavi si prestava ottimamente

al sistema delle piantagioni in quanto risorsa a bassissimo costo, presente in grande

numero nonostante la tratta atlantica fosse legalmente cessata nel 1808. Fu quindi lo

sviluppo del cotone, insieme alla coltivazione intensiva di tabacco, zucchero, riso e

mais, a sancire la rinascita dello schiavismo negli Stati del Sud.

Nella prima metà del XIX secolo, quindi, il Sud aveva un'influenza senz'altro

sproporzionata nelle istituzioni federali e si preoccupava di veder garantito nel Senato

l'equilibrio tra i diversi membri dell'Unione.

Questo equilibrio si conservò fino al 1819, quando venne ammesso il Missouri, uno

stato schiavista. Da un lato, l'introduzione della schiavitù in questo stato contraddiceva

la politica del Nord, che tollerava tacitamente la schiavitù là dove era legata alla

coltivazione del cotone. Infatti, per ragioni climatiche, quest'ultima non era possibile.

Dall'altro lato, a ovest del Mississippi non c'era un chiaro confine geografico tra Nord e

Sud, né una linea fino ad allora politicamente accettata. Il risultato delle discussioni fu il

compromesso del Missouri del 1820: esso accoglieva quest’ultimo come stato

schiavista, ma stabiliva anche che all'interno dei territori a Ovest del Mississippi, da

poco acquisiti dagli Stati Uniti, il 36°30' parallelo avrebbe costituito il confine tra stati

schiavisti e stati liberi. Inoltre a compenso del Missouri, il Maine venne separato dal

Massachussets e ammesso nell'Unione come Stato non schiavista. Sulla base di questo

compromesso l'equilibrio così creato non poteva durare a lungo, infatti il conflitto

culturale venne soltanto rimandato. Il Nord, con la sua popolazione in rapida crescita

grazie a nuovi immigrati dell’Europa occidentale, penetrava sempre più profondamente

nel West, le cui fertili pianure sembravano predestinate a una popolazione agricola

orientata verso l'economia di mercato. Tuttavia, a causa della mancanza di braccianti,

per potersi affermare sul mercato si poteva far fronte alla necessità di accrescere la

produzione solo con la razionalizzazione, l'intensificazione e la meccanizzazione. Nello

stesso tempo però, era necessario rendere il più rapida possibile la coltivazione della

maggior parte dei prodotti agricoli, per abbattere i costi di trasporto. Con questi due

fattori erano poste le basi non soltanto del moderno capitalismo agrario degli Stati Uniti,

ma anche del proliferare di città provinciali come centri dell'industria di lavorazione e di

fornitura dei prodotti agricoli.

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Il Sud invece con il suo sempre vasto impero del cotone, era del tutto indipendente dalle

imprese industriali e dalle città, poiché il cotone grezzo poteva essere compresso in

balle e stivato sulle navi senza problemi, proprio come il prodotto lavorato. Dal

momento che le città e il lavoro nelle fabbriche erano senz' altro incompatibili con la

natura della schiavitù, non furono nemmeno compiuti tentativi di organizzare il

trasporto e la lavorazione sul posto. Il conflitto tra il capitalismo agrario del Nord, che

cresceva impetuosamente ed inarrestabilmente con la sua industrializzazione e la sua

costante ricerca di terra e forza-lavoro a buon mercato, e l' ordine sociale conservatore e

precapitalistico del Sud, basato sulla schiavitù, ricco sì, ma condannato per molti aspetti

alla dipendenza economica, sembrava inevitabile. Il 4 dicembre 1833, durante il periodo

della cosiddetta “rivoluzione del mercato” quando il capitalismo agrario americano

cominciava a dispiegare tutta la sua dinamica, venne fondata a Filadelfia la American

Antislavery Society, come unione di associazioni regionali, e il cosiddetto “movimento

abolizionista” si sviluppò nel Nord fino a diventare una forza politico-morale. Il Sud

continuò senza incertezze sulla sua strada e la Federazione non intervenne, nell'interesse

dell' unità. Solo così si spiega perché, malgrado la spinta costante verso l'Ovest, il

Congresso americano respingesse la richiesta del Texas, che l' anno prima si era

separato dal Messico e aveva conquistato l' indipendenza con l' aiuto non ufficiale degli

Stati Uniti, di essere ammesso all' Unione. Il Nord, però, si oppose duramente a questo

allargamento dei confini federali, che sarebbe tornato a vantaggio soltanto dagli

schiavisti del Sud. La questione del Texas venne risolta solo il 1 marzo 1845 grazie all'

intervento del presidente Tyler che, con l'aiuto del Congresso in una seduta

straordinaria, stabilì l'annessione del Texas. Questa iniziativa venne legittimata non solo

dal pericolo di un eventuale intromissione britannica nel Texas, ma anche dall' elezione

di un nuovo presidente dell' espansionistica: James K. Polk.

1.1.1. LA GUERRA USA- MESSICO: 1846-1848

Nel corso del 1845 gli Stati Uniti, sotto il comando del neo eletto presidente James

Polk, seguirono un corso esplicitamente espansionistico, giustificato ideologicamente

dalla parola d'ordine del Manifest destiny (destino manifesto) e cioè della propensione,

manifestata dagli americani in quel periodo di essere destinatari del controllo egemone

di tutto il continente. Il programma da lui perseguito prevedeva l’espansione sia a Sud

con l’annessione del Texas, sia ad Ovest attraverso la rivendicazione dell’intero

territorio dell’Oregon.

Sulla prima questione lo precedette Tyler, il presidente uscente, che un giorno prima

della scadenza del suo mandato, inviò al Texas un'offerta di annessione. Il Texas accettò

e divenne seduta stante il 28º stato degli Stati Uniti. Tuttavia il governo messicano, che

ancora nutriva un sentimento di forte contrasto con la Repubblica texana, aveva da

tempo avvisato che l'annessione avrebbe significato la guerra con gli Stati Uniti.

Quando il Texas divenne uno Stato degli USA, il governo messicano ruppe le relazioni

diplomatiche con questi, affermando che gli Stati Uniti, annettendosi la provincia

ribelle, erano intervenuti negli affari interni del Messico ledendone la sovranità.

Il conflitto con il Messico fu deliberatamente forzato, poiché Polk, spostando in avanti

le truppe americane fino al Rio Grande, cioè fino alla regione rivendicata dal Messico,

ebbe il pretesto per dichiarare guerra a quest'ultimo su mandato unanime del congresso,

il 13 maggio 1846.

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Quando fu chiaro che la Gran Bretagna non era disposta a sostenere il Messico, ma anzi

intendeva comporre la controversia sull'Oregon con un compromesso che fissava la

linea di confine tra il Canada e gli Stati Uniti, dalle Montagne Rocciose al Pacifico, non

solo il territorio federale americano ottenne una prima concreta estensione fino al

Pacifico, ma si profilò decisamente anche l'esito della guerra con il Messico. In effetti il

paese latino-americano non era in grado di resistere alla potenza statunitense su terra e

mare; fu perciò costretto ad accettare sia la conquista della California che l'occupazione

della propria capitale da parte delle truppe degli USA.

Con trattato di pace sottoscritto il 2 febbraio 1848, il Messico accettò la rettifica del

confine nei termini voluti da Polk riconoscendo il Rio Grande come confine

meridionale del Texas e vendette agli Stati Uniti per 15 milioni di dollari un terzo del

proprio territorio, corrispondente agli odierni California, Nevada e Utah, nonché a parte

di Colorado, Wyoming, Arizona e New Mexico.

In questo modo gli Stati Uniti avevano conseguito la loro estensione territoriale

sull'intero continente fino al Pacifico.

1.1.2. GUERRA CIVILE E RICOSTRUZIONE

Nella prima metà del XIX secolo, gli stati del Nord e quelli del Sud erano portatori di

tradizioni e interessi economici, sociali e politici profondamente diversi. La principale

causa di contrasto tra le regioni agricole meridionali e quelle industriali del Nord era

l'istituto della schiavitù. Mentre il sistema socioeconomico sudista annoverava al suo

interno oltre quattro milioni di schiavi neri impiegati nelle piantagioni di cotone,

tabacco e canna da zucchero, nelle regioni settentrionali invece la schiavitù non

rispondeva alle esigenze produttive, interessate piuttosto alla meccanizzazione del

lavoro, era dunque lì avversata per ragioni tanto ideali quanto di interesse economico.

Lo scontento sudista crebbe dall'introduzione in molti stati settentrionali di leggi a tutela

della libertà personale, che minavano l'efficacia delle norme varate per arginare il

fenomeno della fuga degli schiavi (Fugitive Slave Laws). Non meno apprensione

generavano i crescenti successi elettorali del Free-Soil Party, partito che si opponeva

all'estensione della schiavitù nei territori acquisiti dopo la guerra con il Messico e

contrastava l'ammissione nell'Unione di stati schiavisti di nuova Costituzione.

Tuttavia, nel 1857 la Corte Suprema decretò l'incostituzionalità di qualsiasi pretesa

federale di proibire la schiavitù. Il 16 ottobre 1859 John Brown, un ardente

abolizionista, attaccò l'arsenale federale di Harpers Ferry, in Virginia, con l'intento di

provocare una sollevazione degli schiavi. Questa azione fu il pretesto per i sudisti di

rivedere la propria posizione all'interno dell'Unione.

Nel 1860, in occasione delle elezioni presidenziali, fu eletto il candidato repubblicano

Abraham Lincoln. Nonostante fosse un avversario della schiavitù, egli non era un

abolizionista radicale, come non lo erano la maggior parte dei leader del suo partito.

Nella sua campagna elettorale aveva anzi negato qualsiasi intenzione di abolire la

schiavitù dove già esisteva. Ciononostante, la vittoria repubblicana nelle elezioni del

1860 fu sentita da una parte dell’opinione pubblica del Sud come l’inizio di un processo

irreversibile che avrebbe portato alla vittoria degli interessi industriali, al rafforzamento

del potere centrale, alla progressiva emarginazione degli Stati schiavisti. Per questo

motivo nel marzo del 1861 undici Stati del Sud decisero di staccarsi dall’Unione e di

costituirsi in una Confederazione indipendente che ebbe come capitale Richmond in

Virginia.

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La questione della schiavitù non fu l’unico fattore a determinare l’inizio del conflitto. Si

trattò, infatti, di uno scontro d’interessi di natura prettamente economica. Gli uomini

politici del Nord desideravano liberare gli schiavi perché rappresentavano una

concorrenza e un freno alla liberazione del commercio e all’industrializzazione. Negli

Stati del Nord industrializzati, infatti, la schiavitù era già stata abolita ed è grazie a ciò

che si è creata una manodopera a basso costo. Nel Sud invece lo schiavismo si dimostrò

indispensabile per le piantagioni di cotone, tabacco e canna da zucchero poiché

condizionava questo sistema economico al punto dal renderne impossibile la cessazione

senza distruggere il sistema stesso.

Con la guerra di secessione, inoltre, la posta in gioco era la democrazia nello stato

americano: si era chiamati a decidere di un futuro senza più discriminazioni razziali, in

cui gli uomini di colore avrebbero potuto godere degli stessi diritti dei bianchi.

La guerra iniziò nell’aprile del 1861 quando l’artiglieria sudista aprì il fuoco per

impedire il rifornimento ai nordisti in una base militare nella Carolina del Sud (Fort

Sumter). Scegliendo la strada dello scontro, i confederati facevano affidamento sulla

migliore qualità delle loro forze armate. Ma speravano anche in un intervento a loro

favore della Gran Bretagna, che era la principale acquirente del cotone del Sud e non

vedeva di buon occhio i programmi protezionisti dei repubblicani. Gli Stati del Nord,

invece, confidavano nella schiacciante superiorità numerica della loro popolazione e sul

loro maggiore potenziale economico.

Nelle fasi iniziali della guerra, il miglior addestramento delle forze sudiste e le notevoli

capacità del loro comandante, il generale Robert Lee, diedero ai confederati una netta

prevalenza. Ma, quando fu chiaro che gli Stati del Sud avrebbero dovuto contare solo

sulle loro forze, poiché la Gran Bretagna e le altre potenze europee si astennero, infatti,

da ogni intervento, e che la guerra sarebbe stata lunga e logorante, il fattore numerico e

quello economico si rivelarono decisivi.

I primi successi nordisti si ebbero solo nel 1863, quando le forze dell’Unione,

comandate dal generale Ulysses Grant, cominciarono una lenta avanzata lungo il corso

del Mississippi e quando, in luglio, un tentativo dei confederati di penetrare in

Pennsylvania fu bloccato nella battaglia di Gettysburg. Nell’estate dell’anno seguente,

un’armata nordista, muovendo dal Mississippi verso l’Atlantico, riuscì a penetrare in

profondità nel territorio dei nemici e a spezzarne in due lo schieramento dopo una lunga

marcia devastatrice verso il Tennessee e la Georgia, conclusasi nel dicembre del 1864.

Il 9 aprile 1865, quando ormai l’esercito unionista occupava buona parte del Sud, i

confederati si arresero.

La guerra era durata ben quattro anni, aveva visto impegnati nelle operazioni belliche

circa tre milioni di uomini ed era costata oltre 600mila morti. Nel 1862 fu approvata una

legge che assegnava gratuitamente ai cittadini che ne facessero richiesta quote di terre

del demanio statale. L’anno dopo fu decretata la liberazione degli schiavi in tutti gli

Stati del Sud, anche per favorirne l’arruolamento nell’esercito unionista. In realtà, la

rivoluzione democratica implicita nell’esito della guerra di secessione fu ben lontana dal

compiersi interamente.

La legge del 1862 sulla distribuzione delle terre libere fu revocata pochi anni dopo la

fine della guerra. Gli schiavi acquistarono la libertà, ma le loro condizioni economiche,

ora di uomini e donne liberi, non migliorarono.

Infatti, nonostante l'abolizione della schiavitù, a meno di dieci anni dalla resa

confederata, gli ex-schiavisti continuarono ad essere trattati ingiustamente e i loro diritti

cominciarono a subire restrizioni di ogni tipo.

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L’odio razziale nei loro confronti non si era, infatti, assopito con la deposizione delle

armi, trovò invece espressione in nuove forme che facevano ricorso tanto a metodi

legali, come le varie leggi sulla segregazione, quanto illegali. Tra i metodi legali ma

soprattutto illegali messi in atto, il più tristemente noto fu il Ku Klux Klan,

l'associazione segreta sorta nel 1866 in Tennessee, che si proponeva di controllare le

comunità di colore e i loro sostentatori senza disdegnare l'uso della violenza.

Privati del diritto di voto, senza tutela legale, rigidamente segregati, costantemente sotto

la minaccia della violenza individuale o collettiva dei bianchi, considerati come bestie

secondo un’opinione diffusasi in tutto il Sud con la discriminazione razziale, i negri

furono dunque una minoranza pesantemente oppressa.

L’America stava insomma cambiando e i nuovi intellettuali del New England non

seppero restare del tutto al passo con questi mutamenti. Era un paese nuovo quello che

si stava delineando negli anni settanta del XIX secolo: il Sud, dilaniato dal redivivo

problema razziale, cercava faticosamente di emanciparsi dal sistema delle piantagioni

creando un nuovo ordine economico.

1.1.3. LA GIUSTA DISOBBEDIENZA DI THOREAU

Nel corso del 1800, all’interno del club dei trascendentalisti, si crearono due fazioni

contrapposte: alcuni erano favorevoli alla causa abolizionista e di conseguenza alle

disposizioni del Compromesso di Clay del 1850, che riconosceva autonomia ai singoli

Stati in materia di legge sulla schiavitù, legalizzava l’arresto e il rimpatrio per gli

schiavi fuggiti dagli Stati del Sud e sanzionava tutti coloro che sarebbero stati colti in

flagrante nel fornire aiuto.

Thoreau al contrario, insieme a molti altri, non solo condanna la pratica dello

schiavismo, ma soprattutto pone una dura critica nei confronti delle istituzioni poiché

qualsiasi società in grado di accettare che uomini possano vivere in condizioni di

ignobile sottomissione non può essere definita in altro modo se non “inferno in terra”.

Diversi furono gli abitanti del Massachussets che appoggiarono la sua causa tanto che

contravvennero a questa legge per dare riparo ai fuggitivi in cerca di libertà nel Nord.

Thoreau stesso espresse le sue opinioni nel “discorso Slavery” in Massachussets, le

quali traevano spunto dall’episodio di Antony Burns, lo schiavo fuggito dalla Virginia e

poi riconsegnato al suo “padrone” dalle autorità di Boston. Thoreau aveva chiaro che il

vigore con cui il Massachussets, così come gli altri Stati del Nord dichiaratamente

abolizionisti, faceva rispettare le Fugitive Slave Law non era dovuto soltanto al rispetto

della costituzione, ma mirava a mantenere immutato uno stato di cose che favoriva l’

economia di tutto il New England, il cui settore tessile dipendeva dalle piantagioni del

Sud.

La critica al governo era stata preceduta anni prima da quella di “Resistance to Civil

Government”, saggio ricavato dal discorso tenuto il 16 gennaio 1848 al Lyceum di

Concord. Ciò che spinse Thoreau a dissertare la necessità di opporre resistenza al

proprio governo fu l’arresto e la notte passata nelle carceri di Concord, conseguenze del

suo rifiuto di pagare la poll tax, la tassa destinata a finanziare la guerra contro il

Messico. Il governo degli Stati Uniti, nella figura del presidente James K. Polk, nutriva

mire espansionistiche nei confronti della California e del New Messico, territori sotto la

giurisdizione messicana ma abitati in gran parte da coloni americani.

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L’annessione di quei territori avrebbe comportato il completamento dei confini

continentali americani ed un grande beneficio economico, derivato dalle ricchezze

minerarie della California e dal porto di San Francisco, centro di un fiorente mercato

con l’Oriente.

Lo strenuo tentativo del Messico di difendere l’indipendenza dei propri territori

ricordava la lotta combattuta dagli americani per liberarsi dal dominio inglese. Ciò che

appariva intollerabile era l’idea che gli USA, il primo Stato ad aver riconosciuto il

diritto alla rivoluzione del popolo verso un governo che non riconosceva come proprio,

interpretasse ora la parte del tiranno conquistatore per perseguire interessi economici.

Thoreau, rivendicando quel diritto che fu per primo degli americani, esortò quindi i suoi

concittadini a rifiutare obbedienza ad uno Stato le cui scelte immorali non potevano

rappresentare le coscienze dei suoi abitanti:

[…] quando un sesto della popolazione di questa nazione, che si è impegnata a essere il

rifugio della libertà, è formato da schiavi, e un intero paese viene ingiustamente invaso,

conquistato e sottomesso alla legge marziale da un esercito straniero, allora credo che

non sia affatto troppo presto perché gli uomini onesti inizino a ribellarsi.1

Thoreau credeva fermamente nei diritti dell’individuo, di conseguenza pur di seguire ciò

che la propria coscienza individuale riteneva giusto, ammetteva anche la disobbedienza

alle leggi. Secondo la sua opinione era più importante il rispetto del diritto piuttosto che

il rispetto delle leggi, perciò egli si sentiva pienamente giustificato nel violarle visto che

il governo statunitense ammetteva la schiavitù. È chiaro che una simile concezione

deriva da una fiducia quasi illimitata nelle capacità del singolo individuo di saper

scegliere tra giusto e sbagliato e può anche apparire pericolosa per la convivenza

democratica, visto che non riconosce nessun valore alle idee della maggioranza, ma solo

alle idee “giuste”, rispettose dei valori morali dell’individuo. L’idea che il governo

avesse smarrito la sua capacità di rappresentare democraticamente le ambizioni

popolari, in favore di quelle di una ristretta minoranza interessata a perseguire vantaggi

economici, era ampiamente condivisa da molti intellettuali americani. Come ebbe modo

di scrivere Emerson, nel saggio Politics:

Ogni stato, oggi, è corrotto […], i nostri partiti sono partiti d’occasione, non di

principio, come l’interesse dei piantatori contro quello dei commercianti, il partito dei

capitalisti e quello degli operai: partiti che sono identici nella loro caratteristica

morale che facilmente potrebbero scambiarsi le basi nel far da sostegno a molti loro

provvedimenti.2

1 Henry David Thoreau, Resistance to Civil Government, Aesthetic Papers, 1849; trad. it. di A. Tozzi

Disobbedienza civile in Uomini non sudditi. Disobbedienza civile e altri saggi, Piano B edizioni, Prato,

2010, p. 47. 2 Ralph Waldo Emerson, Politics, Monroe & Sons, Boston, 1844; trad. it. a cura di Vito Amoruso,

Politica in Antologia degli scritti politici di Ralph Waldo Emerson, Bologna, Il mulino, 1962, p. 180.

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“La guerra di Mister Polk”3, come venne definito il conflitto contro il Messico,

manifestò l'interferenza delle élites economiche sui processi decisionali dello Stato

anche quando queste venivano avversate dalla maggior parte della popolazione, come

dimostrò l’esiguo numero di volontari 4 che parteciparono alla guerra. Thoreau, come

Emerson, riconobbe che non solo la Repubblica era incapace di dar conto alle istanze

degli elettori, ma che tale non era nemmeno il suo obiettivo.

Il governo si rivelava allora come un istituto falsamente democratico, in cui il suffragio

legittimava la maggioranza ben oltre il consenso arrogatosi con il voto.

Dopo tutto, la ragione concreta per cui […] si permette a una maggioranza di

governare per un lungo periodo di tempo, non sta nella considerazione che essa sia nel

giusto, né che ciò sembri giusto alla minoranza. Il fatto è che la maggioranza è

fisicamente più forte. Ma un governo nel quale in ogni caso comanda la maggioranza

non può essere basato sulla giustizia, neppure entro i limiti in cui la intendono gli

uomini. 5

Thoreau aveva ben chiaro che il semplice dissenso non era sufficiente per garantire una

svolta nella politica dello Stato, ne erano prova la guerra con il Messico e la difesa della

schiavitù, contro cui buona parte dell’opinione pubblica e dei politici si erano schierati.

Cosa restava da fare allora al cittadino americano per non concorrere alle colpe del

governo? La soluzione proposta da Thoreau è quella di opporsi ribellandosi attivamente:

Se l’ingiustizia fa parte del necessario attrito della macchina del governo, allora non

fateci caso e lasciate correre, forse l’attrito cesserà […]. Ma se la sua natura è tale da

imporvi di essere agente di ingiustizia nei confronti di un altro, allora io dico: «Infrangi

la legge». Che la nostra vita sia il contro-attrito capace di fermare la macchina.

Si delinea in queste parole il nucleo essenziale di Resistance to Civil Government,

l’idea che la fedeltà alla propria coscienza debba prevalere all’obbedienza ad un

governo ingiusto che delega ai cittadini le proprie colpe. Infrangere la legge diventa

allora un imperativo morale che, all’atto pratico, consiste per il cittadino nel rifiutarsi di

pagare la poll tax6 con cui viene finanziata la guerra contro il Messico mentre per il

pubblico ufficiale nel disertare il proprio dovere.

La detenzione che seguì al suo rifiuto di pagare la suddetta tassa durò solo una notte, ma

fu sufficiente per far maturare in Thoreau la convinzione che “Sotto un governo che

imprigiona un uomo – non importa chi – ingiustamente, il solo posto per un uomo

libero è la prigione.”7

3 Maldwyn A. Jones, The Limits of Liberty American History 1607-1992 cit., trad. it., p. 167.

4 Gli Stati Uniti, a differenza degli Stati europei, avevano scelto di non dotarsi di un esercito permanente.

In caso di guerra, a formare le milizie erano i volontari provenienti dai vari Stati americani, oltre che gli

ufficiali di carriera. La contrarietà popolare alla guerra contro il Messico può essere pienamente compresa

considerando che dai territori del Nordest, all’epoca la zona più popolata degli Stati Uniti, arrivarono

solamente 8.000 volontari. 5 Henry David Thoreau, Resistance to Civil Government cit., trad. it., p. 44.

6 Imposta diretta che non dipendenva dai beni di proprietà del cittadino.

7 Henry David Thoreau, Resistance to Civil Government cit., trad. it., p. 58.

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Per questo motivo Egli riprese nel suo discorso l’idea proposta antecedentemente da

Jefferson, per cui il governo migliore fosse quello che meno esercitasse ingerenza sui

propri cittadini:

È con sincero entusiasmo che accetto il motto: «Il governo migliore è quello che

governa meno», e mi piacerebbe vederlo messo in pratica il più rapidamente possibile.

Una volta attuato questo conduce a un’altra affermazione, di cui sono altrettanto

convinto: «Il miglior governo è quello che non governa affatto» e non appena gli

uomini saranno pronti, sarà questo il tipo di governo che avremo. Svuotare il governo di

ogni autorità significa affermare l’inutilità del potere stesso, quale espediente con cui gli

uomini hanno deciso di sovrintendere la propria vita civile.

Se tale affermazione può apparire come una professione di fede anarchica è lo stesso

Thoreau a smentire tale ipotesi affermando:

“[…] io, a differenza di coloro che si dichiarano anarchici, non chiedo un’immediata

abolizione del governo, ma chiedo immediatamente un governo migliore”8 .

Vagliando le varie forme di governo Thoreau riconobbe che il passaggio da una

monarchia assoluta ad una costituzionale, e da questa ad una repubblica, consistesse in

un progresso per la condizione degli uomini, ma non accettò l’idea che in quest’ultima,

in particolare nella democrazia americana, si potesse riconoscere la forma di Stato

illuminato:

“Non può esistere un governo dove non sia la maggioranza a stabilire, virtualmente, il

giusto e lo sbagliato, ma la coscienza? […] O il cittadino deve sempre […] rimettere la

propria coscienza a quella del legislatore? A quale scopo, allora, ogni uomo ha una

coscienza? Io penso che dovremmo essere prima uomini, e poi sudditi. Non c’è da

augurarsi che l’uomo nutra rispetto per la legge, ma che sia devoto a ciò che è giusto.

Il solo obbligo che ho il diritto di arrogarmi è quello di fare sempre e comunque ciò che

ritengo giusto”.9

L’individualismo da cui era animato Thoreau lo spinse ad identificare la forma

definitiva di Stato in quella del governo pienamente riconosciuto e approvato dai

cittadini, in cui la coscienza di ogni sin-golo individuo deve agire come forza

legittimante dell’autorità statale e non, invece, come semplice maggioranza ubbidente e

silenziosa.

8 Henry David Thoreau, Resistance to Civil Government cit., trad. it., p. 43

9 Henry David Thoreau, Resistance to Civil Government cit., trad. it., p. 44

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2. HENRY DAVID THOREAU: L'UOMO DELLA NATURA

Henry David Thoreau è stato un filosofo, scrittore e

poeta statunitense. Nato a Concord il 12 luglio 1817 da

una famiglia modesta riuscì, malgrado le ristrettezze

economiche, a frequentare la Harvard University.

Proprio qui cominciò a manifestarsi quell'atteggiamento

di insofferenza, nei confronti di ogni disciplina e di ogni

vincolo sociale che avrebbe caratterizzato tutta la sua

vita. In quegli anni, i lunghi vagabondaggi nei boschi e

le assidue letture dei grandi romantici europei e dei

poeti metafisici inglesi del Seicento formarono il suo

carattere e la sua cultura. Dopo la laurea si dedicò per un

breve periodo all'insegnamento. Nel 1837 prende

contatto con il circolo trascendentalista fondato dal

filosofo R.W. Emerson. Egli, discendente da una famiglia di ministri di culto e di

predicatori, divenne per Thoreau più di un maestro, un modello di vita, che si apprestò

sotto la sua guida per diventare uno scrittore. Pubblica i primi articoli sulla rivista The

Dial, l’organo del gruppo trascendentalista che ha sede a Concord.

Nel 1841 si trasferisce in casa Emerson e vi rimane per due anni. Tra i due nacque,

infatti, una profonda intesa, sia a livello umano sia letterario. Ciò che accomunava

questi due intellettuali era l'atteggiamento di ostilità e insofferenza nei confronti di tutte

quelle istituzioni autoritarie che soffocavano la libertà dell'individuo, negando

l'uguaglianza come condizione naturale degli uomini. Malgrado ciò, per via delle

sostanziali differenze caratteriali e di pensiero, Thoreau si distacca dal suo mentore

perché, diversamente dal suo metodo prettamente teorico, egli sosteneva un approccio

più pratico. Per questo motivo rinuncia alla riflessione puramente teorica e astratta dei

colleghi trascendentalisti a favore di un discorso fondato sulla prassi, legato agli

impegni e ai problemi della realtà contemporanea. Thoreau, infatti, condanna non solo

la personale veemenza con cui Emerson appoggiava le cause civili ma anche la lotta alla

schiavitù e la politica aggressiva e belligerante del governo americano. Se non altro egli,

che mal sopportava la politica sociale conciliatrice del club dei trascendentalisti, cercava

di porre rimedio al contrasto tra la piena realizzazione di ogni individuo e la nuova

ideologia del progresso economico di una società tecnologicamente organizzata.

La particolarità del suo pensiero la troviamo sicuramente dai suoi diari, che

rappresentano non solo una valida biografia del filosofo, ma sono stati un valido

contributo formativo attraverso il quale è riuscito a far maturare il suo essere scrittore,

storico-naturalista e critico sociale. All'interno di essi, Thoreau, rivolse molte critiche

sulle difficoltà di intrecciare rapporti sinceri con gli uomini, ma soprattutto alla società

dell'epoca. Circondato, infatti, da una comunità che non sembrava rappresentare ai suoi

occhi i veri valori da seguire, ma solo l'utile mercantile si distinse dalla società per

ricercare quei valori persi di onestà e libertà di cui oramai nessuno sembrava dare più

alcuna importanza. La sua visione non mirava alla negazione della civilizzazione in

quanto tale, ma all’uso eccessivo e distorto che gli uomini spesso compiono più per

bisogno di lusso che per mancanza del necessario. Giorno dopo giorno percorrendo le

strade di Concord, rimaneva disgustato dalla vita che i suoi concittadini avevano deciso

di condurre. Quotidianamente osservava donne e bambini sottoporsi duramente a

pesanti condizioni di lavoro per salari bassissimi.

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Gli americani, di fatto, si facevano vanto di un sistema economico che pagava la

ricchezza di pochi con la schiavitù di molti e ciò gli pareva intollerabile. Questi sistemi

di guadagnarsi da vivere non potevano essere ammessi per Thoreau poiché non

soddisfacevano il suo requisito di onestà. Sfruttare il prossimo costituiva un crimine

verso quanto c’è di più nobile nell’individuo.

Nei suoi anni a Concord aveva maturato la convinzione che il guadagnarsi da vivere su

questa terra non dovesse esser una fatica, quanto un passatempo. Si convinse che cibo,

un riparo sotto cui vivere, un fuoco per riscaldarsi e un vestito con cui proteggersi,

erano le uniche cose veramente necessarie alla vita di un uomo. Più che persuadere i

suoi concittadini di ciò che riteneva giusto, era soprattutto da se stesso che esigeva le

prove che una vita alternativa al mercantilismo americano fosse non solo immaginabile

ma anche fattibile. La risposta di Thoreau come uomo libero alla tirannide di una

società che aveva sacrificato la propria missione spirituale per quella economica si

manifestò sotto forma della sua più grande opera: Walden, la vita nei boschi.

Morì stroncato dalla tisi a quarantacinque anni nel 1862.

2.1. WALDEN, IL RIFIUTO DELLE CONSUETUDINI E LA VITA

VERA

Pubblicato per la prima volta nel 1854, Walden, or Life in the Woods fu il resoconto dei

due anni passati da Thoreau nella capanna costruitosi sulle rive dell’omonimo lago, dal

4 luglio 1845 al 6 settembre 1847, a pochi chilometri da Concord sul terreno del

filosofo ed amico Ralph Waldo Emerson. La sua decisione di allontanarsi dalla civiltà

era dovuta in particolar modo dai numerosi cambiamenti economici che, di fatto,

stavano modificando radicalmente il suo modo di vita e quello dei suoi concittadini

all’interno di quello che lui definiva essere il suo “villaggio”. Per tutto il diciottesimo

secolo, i contadini di Concord avevano amministrato i propri terreni a gestione

familiare, limitando i pochi scambi commerciali alle sole famiglie vicine e ai negozi

cittadini. Tuttavia, intorno al 1801 si iniziò il passaggio da un’agricoltura estensiva ad

una intensiva, quando la prosperità americana, resa possibile dalle guerre napoleoniche,

favorì l’apertura dei mercati. Quest’ultima, inoltre, fu ulteriormente incentivata

dall’ultimazione del nodo ferroviario che mise in collegamento il villaggio di Concord

con la città di Boston. Fieno, patate, formaggi divennero i principali prodotti esportati, a

cui si aggiungeva il legname da costruzione ricavato dai boschi, ridotti di un decimo nel

1850, per far fronte all’altissima richiesta di mercato. Pur non potendo parlare di “svolta

industriale”, che avverrà solamente a conclusione della Guerra di Secessione, il New

England visse in quel periodo una sostanziale variazione del suo assetto economico,

verso cui Thoreau non lesinò critiche. Decise quindi di prendere le distanze dalla

società nella ricerca di una dimensione più autentica.

Prendendo spunto dal classico di Emerson “Nature” nella frase “Costruisciti un mondo

tutto tuo” Thoreau prova a farlo. E il 4 luglio 1845, il giorno della festa

dell’Indipendenza, celebrò la propria libertà dagli ingranaggi della macchina economica

trasferendosi sulle rive del lago Walden ad iniziare il proprio esperimento.

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Conosceva bene lo spirito pratico degli americani, essi avevano bisogno di fatti più che

di parole per comprendere che una alternativa alla loro condizione esisteva:

“If you would convince a man that he does wrong, do right. But do not care to

convince him. Men will believe what they see. Let them see.”.10

Nel primo capitolo intitolato “Economia” Thoreau esplicita che il pubblico a cui si

vuole rivolgere sono i suoi concittadini. Egli ne conosce la grama condizione, sa che

taluni sono poveri, faticano a sopravvivere e che, talvolta, a qualcuno “manca perfino il

fiato necessario da vivere”11

, per questa ragione cerca di soggiogare quello che era il

loro modus vivendi basato solo ed esclusivamente sul lavoro e profitto. Secondo il suo

pensiero la maggioranza degli uomini vive in uno stato di quieta disperazione, ovvero in

uno stato di rassegnazione silenziosa di quella che tutti i suoi concittadini credevano

essere l‘ unica scelta possibile. È in tale stato di sopportazione che, giunti sfiniti alla

sera, affidano se stessi all’incerto con preghiere supplichevoli. Ma gli uomini, dice

Thoreau, “scelsero di proposito la maniera di vita comune perché la preferivano a ogni

altra”12

, cioè decisero volontariamente una vita in perenne bilico, divisa tra il tentativo

di entrare in un affare e quello di sfuggire ai debiti con disperate menzogne. Ma

Thoreau sapeva bene che bisognava superare certi pregiudizi.

Il suo scopo era quello di cercare di convincere gli abitanti che una vita semplice senza

il lusso ma solo con lo stretto necessario era possibile ed anche più gratificante.

Secondo Thoreau il bisogno di possedere sempre nuovi oggetti avrebbe portato i suoi

concittadini a dedicarsi sempre di più al proprio lavoro, perdendo così la propria libertà

interiore. Proprio per questo paragona i contadini ai prigionieri poiché sono incatenati

alle proprie tenute allo stesso modo in cui i carcerati lo sono all‘interno delle prigioni.

Le condizioni per ottenere libertà e indipendenza materiali (il denaro), sono le stesse che

non rendono liberi. Specialmente nel primo capitolo, Thoreau ci invita a riflettere sulle

reali necessità fisiche della vita, ovvero tutto ciò che l' uomo riesce ad ottenere con i

propri sforzi senza mai rinunciarvi. Egli, infatti, evidenzia soltanto quattro elementi

necessari e fondamentali all'individuo nel corso della sua esistenza: cibo, tetto, vestiario

e calore e che solo grazie ad essi l’ uomo potrà iniziare a sperimentare la vita. Di fatto,

finché quest’ultimo non potrà procurarsi queste cose, non sarà mai pronto a considerare

i veri problemi della vita con libertà e con una prospettiva di successo. Inoltre condanna

gran parte dei beni di lusso e molte altre comodità della vita non solo come inutili, ma

soprattutto come ostacoli all‘elevazione morale dell‘uomo. Per questo motivo Thoreau

stima e considera i più saggi coloro che seppur hanno vissuto una vita più semplice e

grama di quella dei poveri, erano sicuramente più ricchi di qualità morali e dotati di una

maggior saggezza di qualsiasi altro intellettuale dell'epoca. La scelta infatti di vivere

volontariamente in un clima di povertà e miseria conduce l‘ uomo alla saggezza poiché

lo porta a condurre una vita semplice, indipendente, magnanima e fiduciosa risolvendo

così i problemi della vita non solo teoricamente ma praticamente. Coloro che vivono nel

lusso sono i veri poveri, secondo Thoreau, poiché si sono costruiti catene d‘ oro

rimanendo imprigionati nella loro stessa infelicità e miseria.

10

Se volete convincere qualcuno del fatto che sta agendo male, agite bene voi. Ma non curatevi di

convincerlo. Gli uomini credono a ciò che vedono. Che vedano”.HENRY DAVID THOREAU, Se tremi

sull’orlo. Lettere a un cercatore di sé, a cura di Stefano Paolucci, Donzelli Editore, Roma, 2010, pag 9. 11

Henry David Thoreau, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 63. 12

Henry David Thoreau, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 65.

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18

“I went to the woods

because I wished to live

deliberately, to front

only the essential facts

of life, and see if I could

not learn what it had to

teach, and not, when I

came to die, discover

that I had not lived. I

did not wish to live

what was not life, living

is so dear; nor did I

wish to practice

resignation, unless it

was quite necessary. I

wanted to live deep and

suck out all the marrow

of life, to live so sturdily

and Spartan-like as to

put to rout all that was

not life, to cut a broad

swath and shave close,

to drive life into a

corner, and reduce it to

its lowest terms.”13

2.2. L’ESPERIMENTO DI THOREAU

La seconda tappa, che copre tutta la parte centrale di Walden, conduce Thoreau alla

scoperta di una cura per la “quieta disperazione” di cui gli americani erano affetti.

All’interno del pensiero thouroviano si può facilmente dedurre la distinzione che l

autore crea tra l’ uomo e il filosofo. Per quanto riguarda il primo, Thoreau considera

tutti i suoi concittadini come creature deboli, vittime e succubi del “mostro” sociale che

rappresentava l’economia poiché avevano perso la capacità di vivere la loro vita

indipendentemente da essa e di procacciarsi il cibo al di fuori della catena industriale.

Al contrario il filosofo, sebbene non ce ne fossero più molti in circolazione, era in grado

di vivere con semplicità, indipendenza e fiducia. Difatti, smentisce l’autore, essi non

erano solo in grado di pensare in maniera acuta o di fondare scuole, ma più di tutti

potevano risolvere i problema della vita non solo teoricamente, ma praticamente.

A differenza dello Stato, il cui scopo era progredire nell’economia distruggendo ciò che

la Natura offriva, il filosofo sostiene che il “vivere civile”, nascondesse la vera realtà

che andava invece ricercata dentro le cose”.

Il pensiero di Thoreau, infatti, volgeva su un'unica teoria: semplicità, semplicità,

semplicità.14

Per tutta la durata del libro, Thoreau spiega come ha vissuto i suoi due anni

nella Natura seguendo i suoi stessi principi e di come ha risolto le varie questioni che gli

si presentavano davanti al fine di una permanenza duratura e piacevole.

13

Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo I fatti essenziali della vita,

e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto

di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse

assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da

gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere

poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici; 14

Henry David Thoreau, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 113

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19

Prima di tutto, per

risolvere il problema del

riparo, si costruì con meno

di 30 dollari una capanna

sul lago Walden a circa

mezzo miglio a sud di

Concord. Nonostante il

forte vento, riuscì a

terminarla prima

dell’inverno e iniziò ad

abitarla il 4 luglio, non

appena furono ultimati il

pavimento e il tetto. La sua

dimora era piccola larga

dieci piedi e lunga

quindici, costituita

perlopiù da un’ unica stanza che fingeva da cucina, camera da letto, ingresso e salotto.

Al suo interno creò in seguito un camino, una soffitta, un ripostiglio, una finestra grande

su ogni lato, due botole e una porta sul fondo. Per quanto riguarda i mobili, riuscì a

fabbricarsi il necessario da solo e senza alcun aiuto. In pratica si costruì un letto, un

tavolo, tre sedie, uno specchio, un pentolino, una padella, un catino, diverse posate, una

brocca per l‘olio e una lampada seccata. Nonostante fosse piccola, semplice e agli occhi

di molti poteva apparire rozza, Thoreau era più che soddisfatto del riparo che aveva

costruito poiché, come i veri selvaggi, poteva mangiare, bere, dormire in assoluta libertà

a differenza invece dell’uomo civile sempre indaffarato a pagarne l’affitto o dipendere

costantemente da un affittuario senza mai ottenere la propria dimora definitivamente.

Quindi agli occhi di Thoreau, colui che gode di molte cose come il civile era in realtà

povero mentre il selvaggio che non le aveva era invece il più ricco. Il secondo problema

da risolvere per vivere all’interno dei boschi era il vestiario. Anche in questo campo

Thoreau non risparmia critiche, infatti, sottolineò come i cittadini di Concord

ricorressero a rinnovare il proprio guardaroba non spinti dalla necessità di procurarsi

calore o di coprire la nudità, bensì persuasi dall’opinione altrui o per l’amore verso la

novità. Era inammissibile per Thoreau l’eccessiva importanza che i cittadini davano al

proprio vestiario invece di preoccuparsi di non possedere neanche un barlume di

coscienza. Era, infatti, evidente come all’interno della società, il rispetto e la notorietà

ad una persona si donavano non per le opinioni sagge e giuste che professava, ma per la

giacca o i pantaloni eleganti che indossava. Interessante è il passaggio in cui Thoreau

sostiene che se uno spaventapasseri e un cittadino si cambiassero vestiti, sicuramente il

primo otterrebbe più saluti. Sicuramente se rimanessero spogli, privi di qualsiasi

accessorio, non screditerebbero le altre persone dall’alto in basso con il loro rango. Agli

uomini non serve qualcosa con cui fare il proprio lavoro, ma farlo e soprattutto essere

qualcosa. Secondo l’autore non si dovrebbe comprare un vestito nuovo finché al suo

interno non si abbia davvero vissuto indipendentemente da quanto esso risulti logoro,

sporco e stracciato. Per questo motivo Thoreau si cucì il proprio e proseguì con quello il

suo esperimento. Con il finire dell’autunno, non solo il vestiario era necessario per

combattere il freddo e gelido inverno. Indispensabile, infatti, fu la costruzione di

qualcosa in grado di scaldare tanto l’esterno quanto l’interno della propria anima: il suo

camino. Composto prevalentemente di mattoni, rappresentava per Thoreau la parte più

vitale della casa. Anche dopo averla intonacata, si rese conto che iniziò ad abitarla

davvero quando poté usufruire non solo del riparo ma soprattutto del calore.

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20

Durante le sue lunghe

passeggiate nei boschi,

lasciava sempre il fuoco

bello accesso e scoppiettante

ad attenderlo al suo ritorno.

“La mia casa non era vuota,

anche se me ne ero andato

via. Eravamo io e il Fuoco a

viverci; e solitamente la

governante si dimostrava

degna di fiducia.”

L’inverno successivo

tuttavia, poiché non

possedeva l’intero bosco,

decise di economizzare e di

utilizzare una piccola stufa.

Quest’ultima però non solo

occupava più spazio ma non riusciva a mantenere bene la fiamma come il caminetto

tanto che rese l’arte del cucinare non più come un procedimento poetico bensì

meramente chimico. In più riempiendo la stanza di odori, la stufa nascondeva il fuoco

tanto da far sentire Thoreau più solo di prima, come se avesse perso un compagno in

quanto in esso aveva sempre la possibilità di rivedere un viso.

Dal punto di vista del suo sostentamento, Thoreau seppe ben nutrirsi poiché non solo

era circondato da una vasta gamma di possibilità ma soprattutto era guidato dal suo

ingegno e dalla sua intuizione. Quest’ultima in particolare era necessaria all’uomo in

quanto rappresentasse l’unica facoltà per osservare direttamente lo spirito della natura.

Prima di terminare la casa, infatti, piantò circa due acri e mezzo di patate, granoturco,

piselli, rape ma soprattutto fagioli. L’intero lotto era di undici acri che gli furono

venduti da un contadino per soli otto dollari e otto centesimi. Con il sudore della fronte

e il lavoro delle mani riuscì a mantenersi per tutta la durata della sua esperienza nei

boschi. Si rese conto che lavorando per circa sei settimane l‘anno poteva soddisfare poi

tutte le spese per guadagnarsi da vivere. Di fatto confermò che “un sistema economico

atto a fornire una vita soddisfacente” non era solo auspicabile ma anche possibile. In

particolare il campo di fagioli non rappresenta soltanto la ragione essenziale del suo

nutrimento ma è il tramite con cui si riconcilia con i cicli della natura, la quale segue

senza alcuna impazienza il proprio corso. Il lavoro nei campi, infatti, secondo Thoreau,

fa maturare l'uomo, perchè permette di abbandonare l'aggressività tipica della

giovinezza e di conquistare con maggiore serenità la capacità di attesa dell'età adulta:

come la natura, infatti, l'uomo saggio è capace di attendere lo svolgersi degli eventi

senza intervenire per piegare e forzare le cose al suo volere. La coltivazione dei fagioli

educa alla fatica, alla costanza e alla semplicità; ma ancor più di questo modifica

positivamente l'opinione che l'uomo possiede e lo conduce all' umiltà portandolo ad un

miglioramento del proprio io, al contrario della società moderna finalizzata a trarre

sempre e solo profitti.

Page 22: CHIARA CIVILLA (MARCH2015), LA SELVAGGIA NATURA DELLA SAGGEZZA. DA THOREAU A MCCANDLESS

21

Di fronte alla scelta di sfruttare il prossimo, come era di consueto nella società

americana con la pratica dello schiavismo o essere sfruttati dal proprio datore di lavoro,

Thoreau decise di rifiutarle entrambe:

“As I preferred some things to others, and especially valued my freedom, as I could fare

hard and yet succeed well, I did not wish to spend my time in earning rich carpets or

other fine furniture, or delicate cookery, or a house in the Grecian or the Gothic style

just yet. “15

Dalla sua esperienza biennale apprese che non costava alcuna fatica ottenere il cibo

necessario, anzi si poteva sopravvivere seguendo una dieta semplice come quella degni

animali e mantenere comunque forza e salute. Con enorme stupore, riuscì a prepararsi

pranzi soddisfacenti non solo senza lievito, indispensabile nel pane secondo le

casalinghe dell’epoca, ma anche senza sale. In questo modo, riuscì a evitare ogni

commercio o baratto riguardo al cibo. E' evidente, inoltre, il profondo rispetto che nutre

nei confronti della natura attraverso la scelta di astenersi dal cibo animale. Sebbene non

riuscì a staccarsi completamente dal consumo di animali in quanto il clima invernale

rendeva impossibile la crescita di qualsiasi tipo di vegetazione, Thoreau cercò il più

possibile di non tradire quelli che erano i suoi principi. Innanzitutto prima di iniziare il

suo esperimento vendette il fucile. Solo in seguito si dedicò principalmente alla pesca,

sebbene di volta in volta quell’attività gli faceva perdere un po‘ di rispetto per se stesso.

Nonostante, infatti, possedesse l‘abilità nel farlo, ogni volta che ritornava a casa con

l‘ingente bottino si pentiva sempre di quanto aveva catturato.

L‘obiezione che più di tutte lo convinse dell‘astenersi dal cibo animale non era dovuta

solo alla sua sporcizia, ma soprattutto per il fatto che dopo averli presi, puliti, cotti e

mangiati non si sentiva mai pienamente sazio. Si rese conto che non solo era una pratica

crudele ed inutile, ma gli costava più del ricavato. Per questo motivo non valeva la pena

vivere con una cucina ricca. Thoreau, infatti, come è noto, propugnava il

vegetarianesimo in modo esplicito. Infatti egli scriveva:

“Is it not a reproach that man is a carnivorous animal? True, he can and does live, in a

great measure, by preying on other animals; but this is a miserable way - as anyone

who will go to snaring rabbits, or slaughtering lambs, may learn - and he will be

regarded as a benefactor of his race who shall teach man to confine himself to a more

innocent and wholesome diet. Whatever my own practice may be, I have no doubt that it

is a part of the destiny of the human race, in its gradual improvement, to leave off

eating animals…” 16

15

Preferendo certe cose ad altre, e dando speciale valore alla mia libertà, in quanto potevo avere una vita

dura e avere successo allo stesso tempo, non desideravo ancora passare il mio tempo guadagnando ricchi

tappeti o altri mobili eleganti, o una cucina delicata, o una casa in stile greco o gotico. HENRY DAVID

THOREAU, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 94 16

“Non è un rimprovero il fatto che l’uomo sia un animale carnivoro? E’ vero, egli può vivere, e in effetti

vive, per lo più depredando gli altri animali; ma questo è un miserabile modo di vita – come può ben

convincersi chi vada a mettere trappole ai conigli o a sgozzare gli agnelli – e sarà considerato benefattore

della sua razza colui che insegnerà all’uomo di limitarsi a un cibo più innocente e più sacro. Qualunque

possa essere la mia consuetudine, non ho dubbio che appartenga al destino della razza umana, nel suo

graduale miglioramento, smettere di mangiare animali…”

Page 23: CHIARA CIVILLA (MARCH2015), LA SELVAGGIA NATURA DELLA SAGGEZZA. DA THOREAU A MCCANDLESS

22

In altre parole Thoreau considerava “miserabile” la violenza umana contro gli altri

animali ed il mangiar carne, non offriva alcun appiglio ed alcuna giustificazione alla

caccia. Secondo il suo pensiero non erano importanti la quantità o la qualità del cibo,

piuttosto l’appetito e la devozione con la quale si assaporano i diversi sapori.

Questo fu il modo in cui Thoreau si procurò ciò che per lui era fondamentale per il

proprio sostentamento. L’autore però specifica però che, per quanto il suo modo di vita

fosse per lui giusto e appagante, non avrebbe voluto che fosse copiato da nessuno

poiché ognuno doveva essere in grado di trovare il proprio metodo per vivere con

serenità.

Il suo obiettivo era quello di voler riconquistare un rapporto nuovo, autentico e

rispettoso nel mondo naturale grazie all'ottimismo del vedere l'uomo come artefice del

proprio destino e come essere dipendente da sensazioni ed emozioni. La condizione in

cui visse non fu quella della solitudine di chi abbandona i propri simili, ma quella di chi

ritrova se stesso nella Natura, e che dalla essa può far ritorno per lenire la società dalla

sua malattia.

2.3. SOLITUDINE O COMPAGNIA?

Nel corso dei vari capitoli Thoreau acquisì una maggiore consapevolezza di sé,

mettendo in pratica ciò che, fino a quel momento, aveva soltanto teorizzato come

possibile. Attraverso alcune metafore mostra la rilevanza che la natura possiede

dell'educazione dell’uomo che si immerge in essa. Grazie ai suoi continui smarrimenti

nel bosco durante le sue passeggiate notturne, perdendosi e non riconoscendo più i

sentieri in cui si è addentrato, riesce ad apprezzare appieno la vastità e la singolarità

della natura, e quindi ritrovare con maggiore consapevolezza se stesso.

In seguito alla sua permanenza nei boschi Thoreau afferma che vivendo a stretto

contatto con la Natura non ha mai sentito alcun senso di malinconia o rimpianto nel

vivere all’interno di essa. Tuttavia in seguito alle prime settimane del suo

allontanamento dalla civiltà, confessa che solo una volta la sua mente fu pervasa dai

dubbi che fosse necessario una presenza umana per vivere la sua vita in maniera più

salutare e serena. Sebbene all’inizio la solitudine gli parve spiacevole e dura da

sconfiggere, questo sentimento durò per poco, in quanto capisce che non è la presenza

di altre persone a farci sentire meno soli, poiché anche in qualunque oggetto naturale si

può trovare la compagnia più dolce, tenera ed incoraggiante compagnia. Anzi, sosteneva

che spesso anche in presenza dei migliori, i sentimenti che prevalgono sono di noia e

dispersione. Godendo invece dell’amicizia delle stagioni, l’autore riesce nella natura, a

riscoprire tutta una serie di lati positivi di cui prima non dava alcun peso. Primo fra tutti

furono i lunghi temporali primaverili e autunnali; Difatti, anche se la pioggia gli

impediva di zappare il suo campo di fagioli, sarebbe comunque stata utile altrove.

Inoltre il picchiare delle gocce attorno alla sua casa e quindi il soave rumore della

Natura, lo facevano sentire più in compagnia di qualsiasi altra vicinanza umana. Ciò

non significa che rinnegava la presenza ed il piacere della compagnia. Thoreau, infatti,

non era un eremita per vocazione: lui stesso ha scritto «I love society as much as

most”17

e di sentirsene davvero legato ed unito. Semplicemente ritiene salutare il restare

da soli per la maggior parte del tempo, specialmente se non si è trovato nessuno degno

di battere la solitudine. Nonostante ciò, egli ricevette molte visite e con ognuno di loro

ebbe modo di condividere la propria vita, come del resto aveva modo di farlo con gli

animali e gli alberi, che di certo non per lui avevano meno importanza.

17

«amo la società come gran parte della gente» HENRY DAVID THOREAU, Walden; or, Life in the

Woods cit., trad. it., p. 157

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23

Più significative furono le visite di tre personaggi che con la loro unicità e saggezza

stupirono positivamente la mente dell’autore: primo fra tutti un anziano signore, un

proprietario originario, che si diceva avesse scavato il lago Walden, costruendone gli

argini in pietra e circondandolo di legno di pino. Specialmente nelle lunghe sere

d’inverno lo intratteneva con storie del tempo passato e riflessioni sulle cose o oggetti

che lo circondavano. In secondo luogo apprezzava molto la vicinanza di un’anziana

signora che lo ammaliava con la sua infinita sapienza per qualsiasi tipo di erbe, da

quelle aromatiche a quelle medicinali, e capace di donare una tale energia e forza da

convincere Thoreau a vivere ancor più dei suoi figli. Infine rimase particolarmente

colpito da un giovane ragazzo canadese di nome Alex Therien che aveva lasciato il suo

paese natio per guadagnarsi i soldi con il fine di comprarsi una fattoria. Ciò che era

sorprendente per Thoreau, era il costante ottimismo con cui viveva la sua vita e la

strabiliante vivacità che lo accompagnava in ogni attività che faceva. He interested me

because he was so quiet and solitary and so happy withal;18

Sebbene non avesse avuto un’istruzione efficace, talvolta i suoi pensieri erano più saggi

ed interessanti di quanto si potesse aspettare da un uomo, agli occhi di tutti, ignorante.

Thoreau, infatti, non sapeva riconoscere se si trattava di coscienza ciò che trapelava

dalle sue labbra o piuttosto di stupidità. Ciononostante apprezzava in lui il coraggio e la

determinazione con la quale esprimeva sempre la sua opinione, più che altro sul

riordinamento di molte delle istituzione presenti nella società. Credeva nell’onestà e

sebbene la maggior parte delle volte non si esprimeva al meglio dietro alle sue parole

non c‘ era mai un pensiero banale. Si può dire infine che Thoreau era di sua indole

un’anima solitaria, ma che gradiva molto la compagnia di coloro che insieme a lui

condividevano pensieri ed opinioni concordanti con la sua.

2.4. RITORNO ALLA CIVILTA’

Dopo aver trascorso due anni secondo i suoi principi, lontano da quel mondo corrotto e

distaccato dai veri valori da seguire, Thoreau decise di tornare alla civiltà non tanto

perché ne sentiva la mancanza quanto perché gli sembrava di aver concluso il suo

esperimento e voleva vivere in altro modo.

“I left the woods for as good a reason as I went there. Perhaps it seemed to me that I

had several more lives to live, and could not spare any more time for that one.”19

Nonostante siano passati cinque o sei anni, Thoreau consiglia ai propri concittadini

come ai lettori, di esplorare oltre ciò che vediamo poiché l’universo è vasto e merita più

considerazione e di non fermarci alla soglia del vicino. Per “viaggiare” l’autore non solo

consiglia di dirigersi verso territori inesplorati, ma ancor più di questo consiglia di

espandere la mente, di aprire nuovi canali di pensiero. Sebbene sia consapevole che non

è cosa facile, è altrettanto sicuro che se l’uomo vuole accostarsi al clima, alla cultura e

alla lingua di altre nazioni ha un'unica cosa da fare: esplorare se stesso.

18

Mi interessava perchè era tranquillo e solitario, e con tutto ciò tanto felice. HENRY DAVID

THOREAU, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 162 19

«Lasciai i boschi per una ragione altrettanto valida di quella per cui vi ero andato. Forse mi sembrava di

avere parecchie altre vite da vivere e non potevo riservare altro tempo per quella.

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“I learned this, at least, by my experiment: that if one advances confidently in the

direction of his dreams, and endeavors to live the life which he has imagined, he will

meet with a success unexpected in common hours. He will put some things behind, will

pass an invisible boundary; new, universal, and more liberal laws will begin to

establish themselves around and within him; or the old laws be expanded, and

interpreted in his favor in a more liberal sense, and he will live with the license of a

higher order of beings.”20

Thoreau consiglia, infatti, di vivere la propria vita, per quanto meschina e povera possa

essere, o meglio ancora di coltivare la povertà, non preoccupandoci di ottenere sempre

nuove cose, ma di ritornare da quelle vecchie, sia se si tratta di vestiti che di amici. Non

è importante se le cose non cambiano o non riusciamo a cambiarle, ciò che davvero

conta è che cambiamo noi, ma soprattutto il consiglio che ci offre è di conservare i

nostri pensieri, poiché anche solo con essi, Dio ci garantisce compagnia. La ricchezza è

superflua di conseguenza con essa si possono comprare solo cose superflue, ma per

Thoreau attraverso l’umiltà si può arrivare a conoscere ciò che comunemente viene

definito paradiso.

“Rather than love, than money, than fame, give me truth”.

20

"Imparai questo, almeno, dal mio esperimento: che se uno avanza fiducioso nella direzione dei suoi

sogni, e cerca di vivere la vita che s’è immaginato, incontrerà un inatteso successo nelle ore comuni. Si

lascerà qualcosa alle spalle, passerà un confine invisibile; leggi nuove, universali e più libere

cominceranno a stabilirsi dentro e intorno a lui; oppure le leggi vecchie saranno estese e interpretate in

suo favore in senso più ampio. Così egli vivrà con la licenza di un più alto ordine di esseri.

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3. JON KRAKAUER

Jon Krakauer è un saggista e alpinista statunitense nato

nel 1954 in Cornvallis, Oregon.

Dopo aver conseguito il diploma nel 1972 alla Corvallis

High School, proseguì i suoi studi presso l'Hampshire

College nel Massachussets, dove nel 1976 riceve la

laurea in Scienze ambientali.

Sin dall'infanzia sviluppò una grande passione per l'

alpinismo, attività che lo ha portato a diventare un

professionista di alto livello. E’ proprio grazie a questa

disciplina sportiva che l’ autore individua il suo punto di

saldo nel passaggio della post-adolescenza poiché è

attraverso il pericolo estremo che è possibile acquisire

una più pronta consapevolezza delle cose, tali da rendere

la vita più vera e il mondo più reale. La sua prima

esperienza significativa risale in fase adolescenziale nel lontano 1977 quando decise di

scalare un nuovo percorso sul Devils Thumb, una montagna nella regione dello Stikine

Icecup, al confine con l' Alaska. La difficoltà dell'impresa non era dovuta soltanto dal

nome del picco (in italiano “pollice del diavolo”), ma soprattutto dal fatto che non era

mai stato scalato prima d' allora. Dopo una serie di difficoltà incontrate fin dai primi

giorni, Krakauer si accorse che più scalava più acquisiva fiducia in se stesso, imparando

a resistere al richiamo dell'abisso alle sue spalle:

“But as the climb goes on, you grow accustomed to the exposure, you get used to

rubbing shoulders with doom, you come to believe in the reliability of your hands and

feet and head. You learn to trust your self-control”.21

In altre parole in assenza di tutto il resto, non si può che fare totale affidamento sul poco

che rimane di certo, ovvero la propria esistenza in un preciso istante e luogo. Sebbene

Krakauer sottolinei che in un giovane l' idea della morte sia astratta, come se

riguardasse sempre qualcun altro, è proprio il fascino per il mistero della mortalità a

condurlo sulle vette. Per l’autore, come per McCandless, l' attrazione per il mistero della

mortalità non aveva nulla a che vedere con il desiderio di morte, ma piuttosto con l'

innocente esaltazione di chi vuole conoscere il segreto della propria esistenza anche a

costo di perderla.22

Queste sue idee si avvicinano profondamente al pensiero di Heider

essere-per-la-morte e quindi alla conquista dell'autenticità. Per il filosofo, infatti, il

terrore per la morte conduce l'uomo a fuggirla, mentre la sua accettazione come

minaccia sospesa è condizione imprescindibile per l'esistenza autentica.

21

“Durante la scalata, progressivamente ci si abitua alla "esposizione, a stare fianco a fianco con il

disastro, arrivi a confidare nell' efficienza delle tue mani, dei tuoi piedi e della tua testa. Impari ad aver

fiducia nel tuo autocontrollo". JON KRAKAUER, Into the wild,1996, p. 142. 22

“At that stage of my youth, death remained as abstract a concept as non-Euclidean geometry or

marriage. I didn't yet appreciate its terrible finality or the havoc it could wreak on those who'd entrusted

the deceased with their hearts. I was stirred by the dark mystery of mortality. I couldn't resist stealing up

to the edge of doom and peering over the brink. The hint of what was concealed in those shadows

terrified me, but I caught sight of something in the glimpse, some forbidden and elemental riddle that was

no less compelling than the sweet, hidden petals of a woman's sex. In my case - and, I believe, in the case

of Chris McCandless - that was a very different thing from wanting to die.” JON KRAKAUER, Into the

Wild, p. 156

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26

La mancanza del terrore per la morte e quindi la spavalderia inconsapevole e innocente

con cui si accosta ad essa, sono un' occasione unica per toccare con piena coscienza il

mistero della propria esistenza. Questa esperienza è stata fondamentale per l' autore non

solo per le forti emozioni che ha comportato, ma soprattutto per il fatto che possiede

una maggiore consapevolezza e maturità di se stesso e delle proprie capacità.

Nel novembre 1983, abbandona il lavoro part time di pescatore e carpentiere per

diventare uno scrittore a tempo pieno. Gran parte della popolarità come scrittore è

dovuta all'attività di giornalista che svolse presso l'"Outside magazine".

I suoi articoli apparvero anche nei giornali Smithsonian, National Geographic

Magazine, Rolling Stone, e Architectural Digest. Il 10 maggio 1996 l’autore, assegnato

dall' Outside, prese parte alla spedizione sull' Everest che sfortunatamente si rivelò una

delle più tragiche mai verificatesi poiché provocò la morte di otto alpinisti durante una

disastrosa ascesa. Egli fu uno dei pochi superstiti e la vicenda lo portò ad interrogarsi

sulle motivazioni del disastro. Creò un resoconto sconvolgente a metà tra diario,

romanzo e indagine giornalistica dal titolo "Into Thin Air" nel quale spiegò come,

secondo il suo giudizio, la tempesta, le scelte irresponsabili delle guide, ma soprattutto

il mancato contatto intimo fra l' uomo e la montagna e la mancata consapevolezza delle

proprie azioni furono le cause principali di tale disgrazia. Il suo articolo scatenò non

poche polemiche da parte degli altri alpinisti poiché alcuni di loro non videro la sciagura

nella stessa maniera presentata da Krakauer nel suo articolo. Al tempo stesso ottenne

ampi consensi di vendite e critiche tanto da venire oggi considerato la sua opera più

nota. Ottenne il primo posto nella lista dei bestseller di saggistica del New York Times

e fu tra i tre libri finalisti in lizza per la sezione saggistica del Premio Pulitzer nel 1998.

Per il risultato delle sue opere concernenti il richiamo all'aria aperta, Krakauer ricevette

un Academy Award in letteratura dall'American Academy of Arts and Letters nel 1999.

3.1. NELLE TERRE ESTREME

Nel 1996 venne pubblicato negli Stati Uniti il bestseller "Into the Wild" (in italiano

"Nelle terre estreme", 1997) che assicurò a Krakauer una reputazione come notevole

scrittore di avventure.

L'autore decise di scrivere questo libro dopo essersi imbattuto per caso nella vicenda di

McCandless rimanendone quasi ossessionato.

Christopher McCandless era un ragazzo di ventiquattro anni, nato nel 1968 nel Sud

della California. Figlio di una famiglia benestante del distretto di Washington, non

appena conseguita la laurea con lode in Scienze Sociali all'Università Emory nel 1990,

decise di donare in beneficenza tutti i suoi risparmi e di abbandonare amici e genitori

per iniziare una nuova vita ai margini della società con il “nome d’arte” di Alexander

Supertramp. Animato da un insopprimibile desiderio di libertà e da un’insanabile

avversione per il consumismo americano, McCandless vagabondò per anni negli Stati

Uniti Orientali fino a raggiungere le isolate foreste dell’Alaska, dove però incontrò una

prematura morte per denutrizione il 18 agosto 1992.

Il cadavere venne ritrovato da alcuni uomini circa tre settimane dopo all’interno di un

autobus abbandonato durante una battuta di caccia nel Denali National Park, in Alaska.

Seppur privo di un qualsiasi documento, la richiesta di aiuto rinvenuta accanto al corpo

consentì di identificare il ragazzo come Christopher McCandless, scomparso da casa da

più di due anni.

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27

I giornali locali pubblicarono subito la vicenda e con il diffondersi della notizia la

Outside Magazine, rivista interessata a sport estremi e vita all’aria aperta, commissionò

al giornalista Jon Krakauer un articolo con cui indagare le misteriose circostanze che

avevano portato il giovane alla morte. La storia suscitò un forte interesse, tanto da

spingere il giornalista ad approfondire le ricerche. Grazie all'aiuto della famiglia di

Chris e alle persone che lo avevano conosciuto e frequentato nei due anni del suo

avventuroso viaggio, Krakauer ha avuto modo di ricostruire in modo dettagliato l'intero

percorso del ragazzo. Inoltre dal diario rinvenuto accanto al corpo, l'autore è riuscito a

ricostruire le ultime settimane di vita del giovane, così facendo è riuscito a colmare i

"vuoti" del periodo precedente.

Il libro è suddiviso in due diverse narrazioni: quella dell'autore e quella di McCandless,

entrambe le quali hanno come modalità preferenziale la citazione; infatti attraverso gli

scritti dei classici americani e russi, ma anche di pensatori, scrittori e artisti, i due

narratori forniscono il loro punto di vista per avvicinarsi maggiormente ad un equilibro

con la natura.

Sebbene Krakauer e McCandless non si conoscessero, l'autore, all' inizio del libro,

afferma di aver colto delle incredibili somiglianze tra alcuni eventi della vita di

McCandless e la propria, fino ad identificarsi con lui, ciò induce spesso il lettore a

domandarsi dove finisca la biografia di McCandless e inizi la riflessione dell' autore,

poiché nel testo non è presente una netta separazione delle due interpretazioni.

Accanto all'aspetto biografico, l' autore da grande risonanza ai temi della Wilderness

nell' immaginario americano, dell'attrattiva che il rischio possiede nei confronti di molti

giovani, del legame spesso complicato e problematico che intercorre tra padri e figli.

Questo libro, in cui Krakauer cerca di capire cosa può aver spinto Chris a ricercare uno

stato di purezza assoluta a contatto con una natura incontaminata, è il risultato di tre

anni di ricerche. Sulla base di questo romanzo è stato tratto nel 2007 il film "Into the

wild"(titolo originale del libro), scritto e diretto da Sean Penn.

3.2. I MAESTRI DI VITA

Nel corso della sua vita, McCandless è stato fortemente influenzato dagli insegnamenti

di grandi scrittori e pensatori che prima di lui ebbero modo di realizzare le loro

aspettative e realizzarsi.

Dei grandi classici russi come Boris Pasternal e Lev Tolstoij assorbe in particolar modo

le riflessioni sulla necessità di trovare uno scopo al proprio quieto vivere23

, l’importanza

23

“Everything had changed suddenly--the tone, the moral climate; you didn't know what to think, whom

to listen to. As if all your life you had been led by the hand like a small child and suddenly you were on

your own, you had to learn to walk by yourself. There was no one around, neither family nor people

whose judgment you respected. At such a time you felt the need of committing yourself to something

absolute--life or truth or beauty--of being ruled by it in place of the man-made rules that had been

discarded. You needed to surrender to some such ultimate purpose more fully, more unreservedly than

you had ever done in the old familiar, peaceful days, in the old life that was now abolished and gone for

good.” Brano tratto da Doctor Zhivago di Pasternak evidenziato da McCandless, JON KRAKAUER, into

the wild, p. 103.

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28

dell' amore per il prossimo, della libertà personale, della vita come sacrificio24

, la

rinnovata consapevolezza che la felicità si trova nella semplicità e nella possibilità di

fare del bene al prossimo.25

Per quanto riguarda la natura, le due guide spirituali a cui si

ispira di più sono Jack London e Henry David Thoreau.

Le pagine di Walden or Life in the Woods, nelle quali il filosofo insisteva sulla

necessità di un ritorno dell’uomo alla Natura selvaggia, erano state ripetutamente

sottolineate e commentate da McCandless. Diverse citazioni di The Call of the Wild,

forse il libro più famoso del romanziere californiano, erano state invece incise sulla

lamiera arrugginita del vecchio autobus, fra cui: “Jack London è Re” e “Salve, belva

primitiva!”.

E’ facile rendersi conto di quanto McCandless fosse stato influenzato da questi due

scrittori: Henry David Thoreau, il mistico, l’asceta, il filosofo trascendentalista che si

era ribellato allo Stato americano e ai suoi valori incoraggiando i suoi simili alla

Disobbedienza civile. E Jack London, il marinaio, il cercatore d’oro, il socialista,

passato alla storia come l’autore di romanzi d’avventura più pagato nella storia di inizio

Novecento.

La determinazione di McCandless nel raggiungere l'Alaska fu maggiormente

influenzata dagli scritti di London ambientati nel Grande Nord, luogo in cui le

durissime condizioni di vita forgiano il carattere e di fondamentale importanza sono la

lotta per la sopravvivenza, la legge dura e inflessibile della natura che accomuna esseri

umani e animali, la solidarietà e il coraggio. Ancor più di questo, ciò che affascina

davvero McCandless è la condanna che questo autore pone nei confronti della società

capitalistica. All'interno delle sue opere, infatti, London incitava spesso alla rivolta

contro le convenzioni e le ingiustizie, alla ricerca di un’autenticità perduta e di un ideale

sociale intuito attraverso l’esperienza della propria e altrui ribellione.

Parafrasando invece Walden, McCandless pone l'accento sulla frugalità, che è uno degli

elementi basilari per riscoprire principi superiori dell'animo umano e quegli aspetti della

vita e della natura che difficilmente possono essere apprezzati da una mente offuscata

dall'abbondanza. Due figure decisive nella storia della cultura americana, due esistenze

distanti che si sono trovate vicine quando, molti anni dopo, un giovane ne annodò i fili

insieme a quello della propria sorte decidendo che il Wilderness non rappresentava

soltanto una ingenua via di fuga, bensì una alternativa possibile allo stile di vita imposto

dalla società.

24

You can't make such discoveries without spiritual equipment. And the basic elements of this equipment

are in the Gospels. What are they? To begin with, love of one's neighbor, which is the supreme form of

vital energy. Once it fills the heart of man it has to overflow and spend itself. And then the two basic

ideals of modern man—without them he is unthinkable—the idea of free personality and the idea of life

as sacrifice.” Brano tratto da Doctor Zhivago di Pasternak evidenziato da McCandless, JON

KRAKAUER, into the wild, p. 186. 25

“He was right in saying that the only certain happiness in life is to live for others… I have lived through

much, and now I think I have found what is needed for happiness. A quiet secluded life in the country,

with the possibility of being useful to people to whom it is easy to do good, and who are not accustomed

to have it done to them; then work which one hopes may be of some use; then rest, nature, books , music,

love for one's neighbor - such is my idea of happiness. And then, on top of all that, you for a mate, and

children, perhaps - what more can the heart of a man desire?" ...” brano tratto da Felicità familiare di

Tolstoy, evidenziato da McCandless, p. 169.

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29

3.3. L’ABBANDONO UFFICIALE DALLA CIVILTA’

All'interno di "Into the Wild", ci si sofferma più volte sulle ragioni che hanno

condizionato il giovane McCandless ad abbandonare la sua vita. Questa decisione non è

stata dettata soltanto da motivazioni idealistiche appena illustrate, ma anche dalla loro

sovrapposizione con il rapporto burrascoso che aveva con i genitori e, in particolare con

il padre. Walt McCandless, era stato sposato in precedenza con un’altra donna, Marscia,

e da questa, anche dopo la nascita di Chris, aveva avuto un figlio con cui era ancora

legalmente sposato. Sua madre, succube delle decisioni del marito nonché capofamiglia,

incapace di reagire a questa situazione sconveniente e con la vergogna e l' imbarazzo di

una giovane amante, divenne così complice dell'inganno. Inoltre Chris, dopo aver

scoperto tutta la verità ed essere quindi al corrente di essere figlio illegittimo, meno che

mai era intenzionato a percorrere le orme del genitore. Christopher vedeva nel padre e

nelle sue scelte l'incarnazione di quegli stessi elementi che criticava nella società ovvero

l’idea di finzione, falsità ed ipocrisia in cui era costretto a vivere. Nonostante in più

occasioni dimostrò di avere un profondo rispetto del padre, non poteva tollerare gli

errori da lui commessi in gioventù. L'unico sostegno in quella realtà per lui priva di

significato e al limite dell' umana sopportazione era sua sorella minore Carine.

Dopo aver conseguito la laurea decise di devolvere i suoi 24.000 dollari di risparmi in

beneficenza e partì con la sua vecchia auto, una Datsun gialla B210 del 1982, un

acquisto dell'ultimo anno di liceo con cui Chris amava viaggiare durante le vacanze

scolastiche con un unica destinazione: Ovest.

“It should not be denied that being footloose has always exhilarated us. It is associated

in our minds with escape from history and oppression and law and irksome obligations.

Absolute freedom. And the road has always led west.26

La Datsun gialla era un’auto di seconda mano sicuramente non era una macchina degna

della sua posizione sociale. I suoi genitori, infatti, disapprovavano completamente quel

mezzo e cercarono di persuadere più e più volte il figlio a comprare una macchina

nuova, ma Chris non voleva sentire ragioni, anzi al minimo accenno di preoccupazione

da parte loro andava su tutte le furie. Era chiaro che avevano due modi opposti di

ragionare e questo spingeva Chris a non condividere mai i propri progetti con loro.

Egli era dell'idea che non si dovesse possedere più di quanto non si riesca a caricare in

spalla correndo a massima velocità. Infatti, a differenza loro, non era interessato al

valore dei beni materiai, piuttosto all' utilità e ai ricordi che possono darti. Già nel

1986, dopo aver conseguito il diploma, decise di partire per tutta l'estate ed attraversare

le pianure del Texas, la calura del Nuovo Messico e dell'Arizona per toccare infine la

costa pacifica. Durante la sua assenza non mantenne molti contatti con la famiglia.

Questo già faceva capire che non ne sentiva la mancanza ma che soprattutto era già

assolutamente indipendente. Questo viaggio fu decisivo per la sua vita poiché ebbe

modo di confrontarsi per la prima volta con se stesso.

Nonostante verso la fine del viaggio Chris si perse nel deserto del Mojave e rischiò di

morire disidratato questo non lo spaventò affatto, anzi paradossalmente gli diede l'

adrenalina e il coraggio necessario per raggiungere il suo vero obiettivo: l’Alaska.

26

Non dovremmo negare che l'essere nomadi ci ha sempre riempiti di gioia. Nella nostra mente viene

associato alla fuga da storia, oppressione, legge e noiose coercizioni, alla liberà assoluta, e la strada porta

sempre a Ovest." Wallace Stegner.

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30

La Datsun venne ritrovata in seguito da un gruppo di ranger guidato da Bud Walsh,

impegnati in una ricerca botanica all'interno del National Recreation Area del lago

Mead. Chris infatti, incurante dei cartelli di pericolo, a causa di un'inondazione

proveniente dal fiume accanto al quale si era accampato, fu costretto ad abbandonare la

propria auto. Avrebbe potuto rivolgersi ai ranger, ma poiché la macchina non era

assicurata e non aveva rinnovato targa e libretto di circolazione, se l avesse fatto sarebbe

andato sicuramente incontro ad una serie di fastidiose domande al quale non aveva ne

tempo ne voglia di rispondere.

Soprattutto non riteneva necessario spiegare quanto per lui, citando il suo maestro di

vita Thoreau, fosse fondamentale beffarsi delle leggi dello Stato.

L'unica soluzione per non andare incontro alla burocrazia di certe pratiche era

abbandonare la macchina e proseguire a piedi. Tuttavia prima di lasciarla

definitivamente bruciò i pochi risparmi rimasti in suo possesso e si liberò di ogni prova

della sua identità, gettando via anche la targa dell'auto. Dopo aver trascorso 4 anni ad

adempiere all' assurdo obbligo di conseguire la laurea per soddisfare le aspettative del

mondo soffocante dei genitori e simili, finalmente si sentiva libero di vivere il suo

sogno, di iniziare una nuova vita senza il continuo e spropositato uso dei beni materiali,

capaci solo di rendere l' uomo superficiale. Per finire e rompere definitivamente col

passato decise che avrebbe vissuto ai margini della società e che non si sarebbe più

chiamato Chris McCandless ma Alexander Supertramp, il vagabondo padrone del suo

destino. L'obiettivo del ragazzo era allontanarsi da una visione del mondo che non

condivideva, troppo incentrata sul successo personale come valore assoluto ed

intraprendere una vita da nomade alla ricerca di sé stesso e della libertà assoluta.

“I want movement, not a calm course of existence. I want excitement and danger and

the chance to sacrifice myself for my love. I feel in myself a superabundance of energy

which finds no outlet in our quiet life.” 27

Da qui ha inizio la sua Odissea come “vagabondo zaino in spalla”, spostandosi

principalmente a piedi e soprannominandosi Alexander Supertramp.

27

“Volevo l’emozione, il pericolo, la possibilità di sacrificare qualcosa al mio amore. Avvertivo dentro di

me una sovrabbondanza di energia che non trovava sfogo in una vita tranquilla". Brano tratto da “La

felicità familiare” di Lev Tolstoj.

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31

3.4. LA STRADA PER LA SAGGEZZA: GLI INCONTRI DI CHRIS

Nel corso del suo lungo viaggio McCandless lasciò un segno indelebile in varie

persone, anche se con la maggior parte di esse trascorse solamente una settimana o due

al massimo.

Primi fra tutti furono una coppia di hippie, Jan Burres e Bob Rainey, che Chris incontrò

durante il suo cammino e che gentilmente gli diedero un passaggio sul loro camper

mentre faceva autostop sulla Highway 101 fuori da Orick sulla costa settentrionale della

California. Rimase con loro per due settimane. Durante questo periodo si presero cura di

lui e andarono molto d’accordo dato che condividevano lo stesso spirito avventuristico.

Tuttavia, Jan in particolare, cercò di avvertire Chris sul pericolo delle sue azioni e di

convincerlo a tornare a casa poiché lei stessa poteva comprendere il dolore che i suoi

genitori stessero provando poiché da due anni non aveva più notizie di suo figlio.

Nonostante instaurò un bellissimo rapporto con loro, Alex decise di ripartire poiché

intenzionato a non compiere i percorsi convenzionali, ma a seguire una strada propria

volta alla realizzazione dei propri sogni per poter dare inizio finalmente alla sua “grande

Odissea in Alaska.”28

Figura 1. Jan e Bob all’area di sosta laterale, vicino alla spiaggia di Orick, California, 24 agosto 1990

28

“I thought Alex had lost his mind when he told us about his” great Alaskan odyssey, as he called it. But

he was very excited about it. Couldn’t stop talking about the trip.” Così Jan Burres ricorda la passione con

cui McCandless raccontava dei suoi progetti, JON KRAKAUER, into the wild, p. 45.

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32

Il 9 settembre 1990

Chris incontrò nel

Montana Wayne

Westerberg,

proprietario di un'

azienda agricola.

Egli, avendo bisogno

di aiuto per il resto

della stagione, gli

offrì un lavoro nella

sua fattoria e nel silo

per cereali nella

cittadina di Carthage,

nel Sud Dakota. Dopo

un rifiuto iniziale,

Chris decise di

accettare perché,

realizzò che erano Figura 2. A sinistra Wayne Westerberg, a destra Alex con in braccio Bud.

indispensabili per acquistare alcune delle attrezzature fondamentali per la sua

sopravvivenza.

Durante la sua permanenza lì si instaurò fra i due, più che un rapporto lavorativo, una

vera e propria amicizia. In sole due settimane Chris riuscì a dimostrare il suo valore,

lavorando e impegnandosi come nessun altro fra i suoi dipendenti, svolgendo anche le

mansioni più pesanti e noiose che tutti cercavano di evitare. Agli occhi di Wayne era

molto responsabile e altrettanto severo con se stesso. Non lasciava mai un lavoro a metà

ed era molto testardo. Tuttavia, a giudicare dal suo modo di parlare, era molto

intelligente. Non parlava mai dei suoi genitori e anche dopo aver scoperto grazie ad un

modulo delle tasse il suo vero nome, non si immischiò mai nei problemi familiari del

ragazzo.

Nel corso della sua permanenza a Carthage, fece amicizia con la fidanzata di Wayne,

Gail Borah, donna trentacinquenne divorziata, madre di due ragazzini. I due andarono

subito d'accordo ed in particolare Chris riusciva a confidarsi con lei più che con

chiunque altro. Anche alla donna parve subito che non andasse d'accordo con la

famiglia, ad eccezione della sorellina Carine, con la quale era molto legato. Qualsiasi

fosse il motivo di tale contrasto di una cosa Wayne era certo: il gelo che avvertiva tra

Alex e la famiglia era in netto contrasto con il calore che il ragazzo provava a Carthage.

Mccandless, infatti, si innamorò molto presto di quel posto. Era una cittadina tranquilla

e con tutti, in particolare con Wayne, instaurò un ottimo rapporto. Per quanto riguarda il

sesso opposto, per quel poco che si era confidato, era emerso che più avanti avrebbe

voluto sposarsi e mettere su famiglia. Ma per il momento, nonostante fosse comunque

attratto dalle donne, cercava di non pensarci o di evitarle quasi come se fosse un

monaco.

L'obiettivo di Chris era quello di seguire le orme dei suoi maestri di vita quali Thoreau

(che mai perse la verginità), e il naturalista John Muir che guidati dalla seduzione che

offriva loro la natura, erano circondati da una vasta gamma di piaceri così forte da

sovrastare il desiderio sessuale. La brama di conoscenza e di desiderio di scoprire il

mondo era troppo forte per accontentarsi del contatto femminile.

Page 34: CHIARA CIVILLA (MARCH2015), LA SELVAGGIA NATURA DELLA SAGGEZZA. DA THOREAU A MCCANDLESS

33

Con l’arrivo dell’inverno e la conclusione dei lavori, dopo ben 4 settimane di

permanenza, Chris decise di ripartire.

Infine secondo le testimonianze, l’ultima persona che Chris incontrò prima di andare in

Alaska è il signor Russel Fritz. Uomo anziano di 80 anni, s’ imbatté in Chris il 15

gennaio del 1992 e gli offrì un passaggio nel campeggio dove alloggiava. All’epoca l’

uomo gestiva un motel malmesso vicino a Salton City, ma l’ incontro con Alex cambiò

notevolmente il suo modo di vita sedentario. Si incontrarono sulla statale 922, dove

Alex ricevette da lui un passaggio. L’anziano, preoccupato, cercò subito di convincerlo

a fare qualcosa di meglio della sua vita, ma Alex rispose che era diplomato al college e

che la sua era una scelta consapevole. In seguito alle presentazioni, si rividero la

domenica seguente dove Russel gli regalò una giornata a Palm Springs, prendendo la

funivia fino alla cima del monte San Jacinto e cenarono insieme in città.29

Diventarono

subito buoni amici. Russel inoltre, molto abile nel lavorare la pelle, gli insegnò

quest’arte. Infatti, sotto la sua guida, Alex disegnò e incise un’intricata cintura

biografica che racconta le sue avventure sotto forma di illustrazioni. Tuttavia, sebbene

la compagnia dell’anziano gli fu di grande aiuto e conforto, Salton City non offriva

molte occasioni di lavoro così il 15 febbraio 1992 Russel lo accompagnò a San Diego.

Prima di andare Alex gli lasciò la sua cintura incisa a mano e diversi oggetti,

promettendogli che sarebbe tornato a prenderli prima di ripartire per l’ Alaska.

Mantenne di fatto la promessa e si rincontrarono vicino a Coachella, in California.

L’anziano cercò nuovamente di far cambiare l’ idea al ragazzo, ma la sua decisione di

partire per l’ Alaska rimase immutata. Dopo aver cercato invano un lavoro a San Diego,

chiese un passaggio per il South Dakota e il 15 marzo 1992 ritornò dal suo vecchio

amico Wayne per guadagnare altri soldi per acquistare l’equipaggiamento necessario

alla sua avventura. Per due mesi circa lavorò per lui come imbianchino tinteggiando la

sua casa a Madison, ma anche al silo per cereali a Carthage.

A metà Aprile salutò tutti e ripartì.

Jan Burres, Bob Rainey, Wayne Westberger e Russel Fritz aiutano il protagonista a

realizzare il sogno di raggiungere l’Alaska e lo inducono a modificare la propria visione

del mondo, restando a loro volta influenzati dall’incontro con lui. Qualche settimana

prima della sua partenza in Alaska Chris scrisse una lettera al suo amico Ron. Questa

lettera è stata consegnata a Walt McCandless dallo stesso Russel quando si sono

incontrati per la prima volta a Salton City nel 1993. Al suo interno, Alex parla del suo

forte desiderio di trovare il significato della vita viaggiando e spinge Russel, anche se in

età così avanzata, a fare lo stesso.

“Do it economy style, no motels, do your own, cooking, as a general rule, spend as little

as possible and you will enjoy it much more immensely”.

La vera gioia, dice Alex, può essere trovata solo seguendo il proprio cuore, senza

preoccuparsi delle comodità e del bisogno di sicurezza che la vita moderna ci spinge ad

avere.

29

Testimonianze ricavate dal libro “Back to the wild” by Christopher McCandless, 2011, p. 147.

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34

Il suo scopo di era conoscere nel selvaggio e gelido Grande Nord la saggezza eterna

nella natura e comprendere la futilità di ogni sforzo umano al suo interno. La sua

convinzione era che l'uomo debba riscoprire e nutrire continuamente la propria

autenticità.

Figura 3. Russell Fritz, gennaio 1992, Monte san Jacinto, vicino Palm Springs, California.

3.5. IL DIARIO Dopo aver lasciato Carthage, Alex proseguì il suo viaggio clandestinamente su un treno

merci diretto a ovest. All’uscita dell’ area di smistamento treni di Whitefish in Montana

si diresse a nord attraversando il confine con il Canada lo stesso giorno. Da lì inizia a

farsi strada in autostop verso Fairbanks, in Alaska. Alex ha molta fortuna nell’incontrare camionisti che gli offrono un passaggio. Trascorse due giorni a

Fairbanks per gli ultimi preparativi e trovò il suo ultimo passaggio da James Gallien che

lo lascia all’inizio del sentiero. La mattina del 28 aprile 1992 il giovane Chris

McCandless, proseguendo lungo lo Stampede Trail, si addentrò ufficialmente nella

foresta.

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35

“Two years he walks the Earth. No phone, no pool, no pets, no cigarettes. Ultimate

freedom. An extremist. An aesthetic voyager whose home is the road. Escaped from

Atlanta. Thou shalt not return, 'cause "the West is the best." And now after two

rambling years comes the final and greatest adventure. The climactic battle to kill the

false being within and victoriously conclude the spiritual revolution. Ten days and

nights of freight trains and hitchhiking bring him to the great white north. No longer to

be poisoned by civilization he flees, and walks alone upon the land to become lost in the

wild.”30

Il suo zaino conteneva tutto ciò che per lui era necessario per sopravvivere nella natura

selvaggia: 4,5 kg di riso, un sacco a pelo, un fucile calibro 22 comprato a Fairbanks, una

tenda, una bussola e scarponi economici.31

Più di tutti questi oggetti però ciò che

rendeva davvero il suo zaino ricco era la sua piccola biblioteca personale composta da

circa nove/dieci tascabili. Fra i volumi spiccavano i titoli di Thoreau, Tolstoj e Gogol.

Avendo scordato di portare carta per scrivere, cominciò un diario su alcune pagine

vuote alla fine della guida botanica. Poco prima di partire, McCandless aveva trascorso

qualche giorno all'università di Fairbanks riuscendo a scovare una guida erudita e

minuziosa delle piante commestibili della regione. Il suo diario era particolarmente

prolisso, con note brevi e concise. Il primo maggio, dopo aver attraversato il fiume

Teklanika e aver proseguito per una trentina di chilometri, Alex trova quello che

sarebbe divenuto per quegli ultimi mesi della sua vita, il suo rifugio: il Fairbanks City

Transit Bus 142.

Questo autobus era

situato a 32 chilometri

dalla George Parks

Highway in un punto

molto favorevole poiché

l' ambiente era

piacevole, aperto e pieno

di luce. Sebbene

all'interno era privo della

maggior parte dei

finestrini e la vernice era

ormai pallida e

incrostata a Chris non

importava poiché, con

piacevole sorpresa, quel

rifugio era fornito di cuccetta, una stufa a legna ed una scorta di fiammiferi, insetticidi e

altri generi essenziali lasciati da cacciatori ed escursionisti precedenti. Cosa più

importante: ha un tetto sopra la testa.

30

“Da due anni cammina per il mondo. Niente Telefono, niente piscina, niente animali, niente sigarette.

Libertà definitiva. Un estremista. Un viaggiatore esteta la cui dimora è la strada. Fuggito da Atlanta. Mai

dovrai fare ritorno perché “L’ ovest è il meglio". E ora, dopo due anni di vagabondaggio, arriva la più

grande avventura finale. Il culmine della Battaglia per uccidere la parte meno autentica di sé e concludere

vittoriosamente la rivoluzione spirituale. Dieci giorni e dieci notti di treni merci e autostop lo hanno

portato fino al grande e bianco Nord. Per non essere più avvelenato dalla civiltà egli fugge, e solo

cammina per smarrirsi nelle terre selvagge”. JON KRAKAUER, into the wild, p.220. 31

Testimonianze ricavate dal libro “Back to the wild” by Christopher McCandless, 2011, p. 203.

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36

Ben presto, tuttavia, Christopher dovette fare i conti con la dura realtà: nonostante era

riuscito a realizzare i suoi sogni, le difficoltà erano appena cominciate. Secondo le

testimonianze del suo diario, dopo appena una settimana Chris si rese conto che

procurarsi il cibo non era un'impresa facile. Per circa 2 mesi riuscì a nutrirsi grazie al

riso che aveva portato con se e che razionava meticolosamente, alla selvaggina che

cacciava quotidianamente e alle piante di cui usufruiva per integrare la sua dieta. Oche,

scoiattoli, uccelli, anatre ma soprattutto porcospini diventano il suo sostentamento

primario.

Il 9 giugno 1992, dopo essersi

mantenuto in vita con misere quantità

di cibo, Alex spara ad un alce e la

uccide. Finalmente, dopo essersi nutrito

con misere quantità di cibo, poteva

rifornirsi di proteine necessarie per

recuperare le forze e ottenere così il

nutrimento necessario a sostenersi.

Nonostante le ottime istruzioni che gli

amici del Sud Dakota gli avevano

fornito, la macellazione si risultò essere

più difficile del previsto e conservare la

carne prima che si decomponesse si

rivelò una vera e propria impresa. Dopo

aver costruito una camera di

affumicatura necessaria per essiccare la

carne, il 14 giugno, appena cinque

giorni dopo, i vermi si disposero su gran parte della carne dell’ alce rendendola così

inutilizzabile e gettarono Alex nello sconforto. La costruzione della camera di

affumicatura si era rivelata un lavoro del tutto inutile e non potendo giovare del

godimento che ne avrebbe scaturito se l’ avesse mangiata, si pentì subito di averla

uccisa. Il diario del quattordici giugno recita:

"Ora vorrei non aver mai ammazzato l'alce. Una delle più grandi tragedie della mia

vita".

3.6. IL PUNTO DI NON RITORNO

Nelle settimane che seguirono, la felicità di Alex viene guastata dalla frustrazione

causata dalla mancanza di selvaggina e, di conseguenza, di cibo. Sentendo che oramai il

suo viaggio nelle terre estreme era giunto al termine e che il suo sogno di vivere

nutrendosi solo dei frutti della terra è compiuto, all’inizio di luglio Alex si preparò al

suo ritorno alla civiltà.

"No man ever followed his genius till it misled him. Though the result were bodily

weakness, yet perhaps no one can say that the consequences were to be regretted, for

these were a life in conformity to higher principles. If the day and the night are such

that you greet them with joy, and life emits a fragrance like flowers and sweet-scented

herbs, is more elastic, more starry, more immortal,-that is your success. All nature is

your congratulation, and you have cause momentarily to bless yourself. The greatest

Page 38: CHIARA CIVILLA (MARCH2015), LA SELVAGGIA NATURA DELLA SAGGEZZA. DA THOREAU A MCCANDLESS

37

gains and values are farthest from being appreciated. We easily come to doubt if they

exist. We soon forget them. They are highest reality.... The true harvest of my daily life

is somewhat as intangible and indescribable as the tints of morning or evening. It is a

little star-dust caught, a segment if the rainbow which i have clutched."32

Tuttavia nonostante i suoi buoni propositi Alex si trovò ad affrontare qualcosa che senza

ombra di dubbio non aveva previsto. Quando arrivò al fiume Teklanika, che aveva

attraversato facilmente in primavera, scopre che il clima dell’Alaska gli ha tirato un

brutto scherzo: con le piogge estive e il disgelo dei ghiacciai quello che prima era un

piccolo torrentello, si è trasformato in un impetuoso fiume in piena: era pertanto

impossibile passare dall’altra parte. Così non gli restò altro da fare che ritornare

all’autobus in attesa che la portata dell’acqua diminuisse. Costretto a restare all’interno

della natura, Chris continuò a leggere, prendere appunti e scattare fotografie finché non

diventò troppo debole per cacciare. La fame e la mancanza di selvaggina lo spinsero a

cercare altre fonti di nutrimento. Avendo ormai perso venti kg, allo stremo delle forze,

finì per commettere un secondo errore stavolta fatale: affamato, mangia le radici di un

tubero commestibile, ingerendo anche i semi che sono altamente tossici e nei giorni

successivi il suo corpo, debilitato per la scarsità di cibo, non è in grado di eliminare le

tossine. L’1 agosto, dopo ben 100 giorni, Chris è felice di avercela fatta ma la sua

condizione di salute è molto precaria. Straziato da dolori, crampi, allucinazioni, riesce a

malapena a tenersi in piedi. Aggrappandosi ancora alla speranza di sopravvivere scrisse

un messaggio di SOS e lo appese all’esterno del bus, firmandosi per la prima volta con

la sua vera identità.

Attenzione possibili visitatori

S.O.S

Ho bisogno del vostro aiuto. Sono ferito,

prossimo alla morte e troppo debole per

andarmene da qui a piedi. Sono solo, questo non

è uno scherzo. In nome di Dio, vi prego, restate

per salvarmi. Sono nei dintorni a raccogliere

bacche e tornerò stasera. Grazie, Chris

McCandless

Agosto?

32

Nessun uomo seguì mai il suo genio tanto da esserne sviato. Sebbene il risultato fosse debolezza fisica,

tuttavia nessuno può dire che le conseguenze fossero da rimpiangersi, poiché queste erano una vita

condotta secondo principi più alti. Se il giorno e la notte sono tali che voi li salutiate con gioia, e la vita

umana emana una fragranza come fiori ed erbe molto profumate, il vostro successo sarà più agile, colmo

di stelle e immortale. Tutta la natura si congratula con voi e, momentaneamente, voi avete occasione di

benedirvi. I guadagni e i valori più grandi sono ben lungi dall'essere apprezzati. Facilmente giungiamo a

dubitare che essi esistano. Presto li dimentichiamo. Essi sono la realtà più alta. [...] Il vero raccolto della

mia vita quotidiana è qualcosa di altrettanto intangibile ed indescrivibile dei colori del mattino e della

sera. È un po' di polvere di stelle afferrata - un segmento di arcobaleno che abbiamo preso con una

mano.” Passaggio evidenziato in uno dei libri rinvenuti con la salma di Chris McCandless, Henry David

Thoreau, Walden ovvero vita nei boschi.

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38

Poiché la strada più vicina si trovava a decine di chilometri di distanza, dopo due

settimane e mezzo di agonia, scrisse su un foglio, strappato al suo diario un ultimo

messaggio:

“I Have Had a Happy Life and Thank the Lord. Goodbye and may God Bless All” 33

4. LA SEDUZIONE DELLA WILDERNESS

Il rapporto con la Natura è sempre stato uno dei capisaldi della cultura angloamericana,

caratterizzandosi per il sentimento polivalente di attrazione, terrore, nostalgia e sfida per

quel mondo oscuro e selvaggio, attualmente noto con il termine Wilderness. Fin da John

Smith, primo colonizzatore che ne alimenta il mito, l'America si presenta agli occhi di

chi la guarda come una terra vergine, carica di promesse e di possibilità. Una terra

amata ma anche temuta. Ben presto, in contrapposizione all'insediamento umano, le

terre selvagge diventano l'emblema del pericoloso, del violento e del misterioso, ma

anche della libertà dagli obblighi sociali e dalle costrizioni. Il termine “Wilderness”

viene così utilizzato per identificare un ambiente naturale in cui non è possibile

rinvenire alcuna traccia di attività umana. Un paesaggio ritenuto quindi rischioso, tanto

per la sua lontananza dalla civiltà quanto per le condizioni ambientali ostili alla vita e la

presenza di animali selvatici. La sua definizione non si esaurisce però con la sua pura

descrizione fisica, ma riflette soprattutto una condizione interiore dell’individuo che può

essere sia di smarrimento e insicurezza, se palesa all’uomo la sua incapacità a

controllare e spiegare i fenomeni naturali, sia di entusiasmo se gli si associano capacità

rigeneratrici. La Wilderness rappresenta quindi la coscienza primordiale dell’uomo, la

parte istintiva del cervello. Nel momento in cui l’uomo moderno cessa di vivere

secondo la ragione, la Wilderness fa il suo ingresso. Le diverse, singole sfaccettature di

questo rapporto complesso possono sicuramente essere ritrovate nell'atteggiamento di

due grandi uomini che, a distanza di un secolo l'uno dall'altro, hanno saputo trasportare

a livello letterario, la loro personale esperienza in questo territorio così selvaggio,

inospitale e sconosciuto all' uomo: Thoreau e Christopher McCandless.

4.1. THOREAU: ARMONIA CON LA NATURA

Come già discusso nei capitoli precedenti, Thoreau fu uno dei principali rappresentati

della corrente del trascendentalismo. Seguendo la tradizione degli idealisti, i

trascendentalisti Americani postulavano l'esistenza di una realtà più alta di quella fisica.

Al cuore del trascendentalismo, infatti, stava la convinzione che esistesse una

corrispondenza o un parallelismo tra la superiore dimensione della verità spirituale e

quella inferiore degli oggetti materiali. Essi credevano fermamente che il posto giusto

dell’uomo fosse all’ interno di un universo diviso tra l'oggetto e l'essenza. Infatti, se

l'esistenza fisica teneva l’ individuo ancorato alla parte materiale, come tutto ciò che

faceva parte della natura, l' anima poteva dargli la possibilità di trascendere quella

condizione. Inoltre usando l'intuizione e l'immaginazione, l'uomo poteva giungere alle

verità spirituali. Questo atteggiamento mentale ebbe importanti effetti sul significato

della Wilderness americana.

33

Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore addio e che Dio vi benedica”.

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39

In particolare, la concezione trascendentalista dell'uomo aumentava il fascino di essa

poiché mentre i Puritani temevano che l'innata peccaminosità della natura umana,

lasciata libera in un ambiente disordinato, avrebbe raggiunto il suo culmine, i

trascendentalisti consideravano l'uomo buono per natura e dunque non vedevano alcun

pericolo nel territorio selvaggio. Contrariamente alle idee puritane, essi affermavano che

la possibilità di ciascuno di ottenere la perfezione morale e di conoscere Dio

raggiungeva il massimo grado proprio entrando in contatto con la natura incontaminata.

L’atteggiamento di Thoreau nei confronti dell’ambiente naturale selvaggio venne non

solo influenzato dalle teorie di tale movimento, ma anche da ciò che egli pensava della

civiltà. A metà del XIX secolo, infatti, la vita americana era diventata frenetica e

materialistica, cosa che creava in lui e in gran parte dei suoi contemporanei, un senso di

vaga agitazione e insicurezza.

Benché il cammino verso il progresso fosse inarrestabile, la civiltà tecnologica

cominciava a compromettere la dimensione innocente e semplice della vita. Fu in tale

contesto che irruppe la filosofia di Thoreau, proponendo un nuovo paradigma di

rapporto uomo-Natura.

Anziché essere una forza ostile, da sottomettere ad ogni costo, il Wilderness diventò il

depositario di una saggezza da cui l’uomo avrebbe dovuto trarre insegnamento:

“Cresci selvaggio, secondo la tua natura, come queste carici e questi felceti, che non

diventeranno mai fieno inglese. Lascia che il tuono rombi; che importa se minaccia di

rovina il raccolto del contadino? Non è quello il messaggio che egli ti porta. Rifugiati

sotto la nube, mentre i contadini fuggono a ripararsi sotto carri e baracche. Fa’ si che

il guadagnarsi da vivere non sia un mestiere ma un divertimento. Godi della terra,

senza possederla. Gli uomini sono quello che sono, per mancanza d’iniziativa e di fede,

perché comprano e vendono e consumano la loro vita come servi della gleba.”34

Per quanto egli vedesse ormai prossima «l’invasione dei barbari», esisteva ancora una

speranza di rinvigorire il mito del Nuovo Mondo, rigenerando lo spirito dei suoi

abitanti. Negli anni in cui visse, l’America non aveva ancora terminato la sua

espansione verso il pacifico e i vasti territori, oltre la linea della frontiera, si

presentavano a Thoreau come gli ultimi avamposti di Natura incontaminata. Era in

quelle terre che scorgeva la speranza americana:

“L’Ovest di cui sto parlando non è che un sinonimo della vita selvaggia; e ciò che ho

cercato di dire è che la conservazione del mondo è attraverso la natura selvaggia”.35

Lo stato selvaggio, infatti, era fonte di forza e di ispirazione e il territorio incontaminato

dalla civiltà e dal progresso simbolizzava le qualità inesplorate e non utilizzate di

ciascun individuo. Anche la frontiera, per Thoreau, ovvero il confine tra la civiltà e lo

stato selvaggio, non solo non aveva una collocazione geografica definita ed era quindi

positiva, ma si trovava “ovunque un uomo debba affrontare una qualche situazione”36

.

Emerson, amico e mentore dell’autore, cita come tipica di quest’ ultimo la sua

“avversione” per le città troppo raffinate e piene d’artifici, ma soprattutto egli ricorda il

disgusto dell’ autore per l’ascia che continuava a distruggere la “sua foresta”.

34

Henry David Thoreau, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 278. 35

Henry David Thoreau, Walking cit., trad. it., p. 61. 36

R.F. Nash, op. cit., p.88.

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40

Questo atteggiamento nei confronti della natura dimostrava una grande sensibilità, quasi

“indiana” ed egli stesso si identificava con gli animali da preda o con gli stessi

cacciatori indigeni. Thoreau, infatti, teorizza due forme di percezione: quella del

cacciatore e quella dell’agricoltore, in contrasto però l’una con l’altra.

Mentre quest’ultimo, ovvero il contadino, è un materialista, definitivamente immerso in

una routine fatta di lavoro e profitto, con il fine ultimo di guadagnare e spendere, il

cacciatore, invece, è un’anima libera il cui scopo nella vita non è quello di seminare o di

vedere maturare i frutti, ma di percepire tutte le forme di vita e di instaurare un rapporto

con esse. Sul lago Walden, Thoreau ricrea quella che fu l’esperienza dei Puritani e dei

pionieri dell’Ovest che vivevano sulla frontiera in uno stato intermedio tra civiltà e

territorio incontaminato. Lo stato selvaggio e la Wilderness, scriveva in “Walking”37

,

sono l’essenza dell’Ovest e l’Ovest è il simbolo di ciò che è essenzialmente americano.

“È in tale direzione che risiede per me il futuro e la terra là sembra meno sfruttata e

più ricca. […] Mi dirigo verso est solo se costretto, mentre mi oriento verso ovest in

totale libertà. Nessun impegno mi chiama. Mi è difficile credere di poter trovare una

natura libera e selvaggia, per quanto possibile, oltre l’orizzonte a est. Non mi eccita la

prospettiva di una passeggiata in quella direzione; ma sono convinto che la foresta che

vedo nell’orizzonte a ovest si stenda all’infinito verso il tramonto e che non vi sia

alcuna cittadina né città d’importanza tale da infastidirmi. Lasciatemi vivere dove

voglio, da questa parte si erge la città, da quella la selvatichezza e mi allontano sempre

più dalla città per ritirarmi nella natura. […] Devo camminare verso l’Oregon, non

verso l’Europa. […] Ci incamminiamo verso est per capire la storia e per studiare le

opere d’arte e di letteratura, risalendo così alle origini della stirpe umana; ci

incamminiamo invece verso ovest per tuffarci nel futuro, con uno spirito di

intraprendenza e di avventura.”38

I vecchi abitanti della frontiera hanno scalfito con l’aratro la superficie del Nuovo

Mondo da Est a Ovest, lasciandosi alle spalle una società segnata dalla schiavitù delle

regole sociali e dell’ambizione finanziaria. Le nuove frontiere non sono solo all’interno

degli attuali confini geografici della società americana, ma dentro la mente dell’uomo e

devono essere affrontate come il cacciatore della frontiera affrontava la Wilderness. Il

modo di scoprire la Verità tra le ambiguità del mondo reale è quella del cacciatore

indiano che insegue la preda, considerata come sacra. Egli, infatti, si sottomette

completamente alla necessità imposte dal suo ambiente, rischiando la vita davanti alla

forza della natura selvaggia. Inoltre l’indiano, il cacciatore per eccellenza, non lega il

proprio genio al suolo da dissodare e perciò, di tanto in tanto, riesce ad avere con la

Natura un legame particolare e raro. Tale legame, secondo Thoreau, è “casto”, mentre

quello dell’agricoltore con la terra è così intimo da diventare osceno ed è proprio

l’agricoltura a condurre alla degenerazione dell’uomo:

“Se [l’Indiano] è in qualche modo un estraneo in mezzo alla Natura, il giardiniere vi

sta troppo come un familiare. In quest’ultimo rapporto c’è qualcosa di volgare e di

corrotto, mentre nel primo c’è qualcosa di nobile e di pulito. L’uomo, immerso nella

civiltà, alla lunga si degenera...”39

.

37

Saggio di Henry David Thoreau, in italiano “Camminare”. 38

Henry David Thoreau, Walking cit., trad. it., p. 43. 39

H.D. Thoreau, A Week on the Concord and Merrimack Rivers, a cura di Denham Sutcliffe, New York

1961, p.57.

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41

Il ritiro a Walden fu un tentativo sistematico di vivere alla maniera del cacciatore, di

abitare sulla frontiera dividendosi tra la comunione con altri esseri umani e la solitudine,

tra il civile e il primitivo, e di sottomettersi completamente alle necessità imposte

all’uomo da una dimensione naturale non mediata.

Il libro che descrive tale esperienza è strutturato come un racconto di conversione

personale attraverso cui l’autore sperimenta il “risveglio”. In esso si coglie il conflitto

tematico tra due diverse visioni esistenziali, quella dell’agricoltore e quella del

cacciatore, dell’uomo che vive in comunità e di quello che vive in solitudine, del

cristiano civilizzato e dell’indiano idolatra. Nel corso di quell’esperienza, Thoreau si

identificò sempre di più con l’Indiano.

Nonostante però la positività della Wilderness e dei suoi abitanti, il senso di agitazione e

di timore che essi avevano suscitato nei suoi connazionali non scompare del tutto in

Thoreau. Dopo aver visitato la cima rocciosa e impervia del monte Ktaadn in Maine, nel

1846, egli rimase scioccato dal paesaggio “selvaggio e spaventoso” dove si era sentito

“più solo di quanto si possa immaginare”.

L’ascesa al monte costituì un’esperienza particolarmente significativa poiché per la

prima volta egli, abbandonando il paesaggio addomesticato e rassicurante di Walden,

incontra la Wilderness, carica di primordiali, misteriose e indecifrabili forze.

Considerando la situazione dell’uomo sperduto “in un paesaggio “oscuro e intricato”,

osserva;

“Quella Natura vasta, titanica, inumana mi ha colto solo e mi sottrae qualcosa delle

mie facoltà più sublimi. Non mi sorride come nelle pianure [americane]”.40

Perduto sulla cima solitaria e inospitale, conclude che la Wilderness appare come “un

luogo adatto all’idolatria e alla superstizione, fatta per uomini che più di noi hanno una

parentela con le rocce e con gli animali selvaggi”. 41

Ripensando alla sua convinzione

giovanile secondo cui l’Indiano era il vero figlio della Natura, da cui traeva

quell’influenza morale che lo rendeva superiore all’uomo civilizzato, egli sostiene

invece, dopo il viaggio in Maine, che gli abitanti di quei luoghi erano gente sinistra e

trasandata... che faceva un uso grezzo ed imperfetto delle risorse naturali”. Ne trasse la

conclusione che l’unico a poter trarre un reale beneficio dalla Wilderness era il poeta,

perché come gli uomini comuni del mondo civilizzato ne ignoravano i valori e gli

aspetti positivi, anche i selvaggi possedevano pregi e valori esattamente come le nazioni

civili. Secondo Thoreau era necessario riuscire a combinare nello stesso uomo il buono

della Wilderness e i vantaggi della cultura, evitando gli eccessi di entrambe. La vitalità,

l’eroismo e la capacità di sopportare condizioni disagiate derivano dalla vita a contatto

con la natura selvaggia, ma devono essere bilanciate dalla sensibilità, dalla delicatezza e

dalla crescita morale e intellettuale caratteristiche della civiltà. L’uomo ideale occupa

questa posizione intermedia e Thoreau stesso, grazie all’esperienza vissuta a Walden,

diventa una sorta di incrocio delle foreste e della città, che desidera un equilibrio tra la

vita sociale e la solitudine, tra il selvaggio e il civilizzato. Senza il tonico della

Wilderness, le città diventano stagnanti. Solo sottomettendosi alla conoscenza della

natura selvaggia, al mistero e all’animalità del nostro mondo e della nostra persona, si

può agire in base a una serie di leggi superiori.

40

“Vast, titanic, inhuman Nature has got him at disadvantage, caught him alone, and pilfers him of some

of his divine faculty. She does not smile on him as in the plains.” Henry David Thoreau, The Maine

Woods, trad. It., p. 64. 41

R.F. Nash, op. cit., p. 91.

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42

Il “vero americano”, dunque, deve riuscire a vivere in questa posizione intermedia, deve

riuscire a mediare tra l’istinto che lo porta verso la civiltà e la vita spirituale, e quello

che lo conduce verso una vita primitiva e selvaggia su un territorio incontaminato. Solo

in questo caso potrà raggiungere la completezza.

“Siamo incapaci di

apprendere tutto ci che è

sublime e nobile solamente

dalla realtà perpetua e

penetrante che ci circonda.

Non potremo mai avere

abbastanza della natura”

Henry David Thoreau

4.2. L’AVVENTURA DI MCCANDLESS: IL FUTURO NELLA

SAGGEZZA

Come già accennato nei capitoli precedenti, l’esperienza di Christopher McCandless è e

rimane tutt’ ora una sorta di mistero, che ha portato a lunghi dibattiti e diversi contrasti

fra i vari scrittori e membri delle società multimediali. Uno degli unici fattori certi è che

per tutta la durata del suo viaggio, Chris si è ciecamente e totalmente fidato di ciò che

Thoreau prima di lui aveva scritto e vissuto nei suoi diari. Determinato a scoprire la

verità, era disposto ad affrontare scoperte impreviste, combattere le proprie paure e ad

accettare il parziale o persino totale ribaltamento della propria prospettiva. Poiché la

verità che tanto cercava appariva come un luogo vago e inesplorato, McCandless decise

di collocarla geograficamente e di chiamarla Alaska. Aveva creduto così intensamente

alle parole di Thoreau da essere finalmente pronto a viverle. Nonostante percorsero le

proprie vite in secoli completamente diversi e lontani fra loro, Christopher e Thoreau si

distinsero rispetto a molti altri per le similitudini e le differenze che ebbero nel corso dei

loro rispettivi percorsi. Innanzitutto da un punto di vista prettamente economico

Christopher era certamente d’accordo con i principi thouroviani che si basavano in una

cospicua lotta contro il materialismo, il lusso e le comodità della vita. Entrambi

condannavo ciò che la società era e voleva far credere ai cittadini, distogliendo loro da

ciò che era davvero importante. In particolare Chris era contrario all’idea che le persone

avessero sul denaro, in grado solo, secondo il suo parere, di cambiare negativamente le

persone. Tuttavia fra i due era presente una notevole differenza: mentre Thoreau,

all’inizio del suo viaggio, possedeva appena un misero capitale per provvedere i mezzi

necessari al suo sostentamento in modo onesto e mirato ad una piena realizzazione di se

stesso, Christopher, al contrario, proveniva da una famiglia molto ricca, e proprio per

questo, avrebbe potuto procurarsi in qualunque momento ogni genere di arnese utile alla

sua impresa.

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43

Ispirato tuttavia all’autore ottocentesco, McCandless decise di crearsi la propria povertà

attraverso mezzi artificiali, per evidenziare quanto la sua dedizione e il rispetto verso

quegli ideali fossero assolutamente importanti per lui.

“I sat at a table where rich food and wine in abundance, an obsequious attendance, but

sincerity and truth were not; and I went away hungry from the inhospitable board. The

hospitality was as cold as the ices” 42

Chris, infatti, nel momento in cui bruciò i suoi ultimi risparmi, voleva dimostrare a se

stesso di poter vivere evitando tutto il superfluo, capace solo di impedire e di garantirgli

la gioia di vivere, cercando invece di procurarsi il minimo indispensabile da solo. Egli

inoltre, soffocato dalla propria famiglia e dagli obblighi a cui era costretto a seguire per

via della sua posizione sociale, a maggior ragione voleva allontanarsi per vivere senza

dover obbedire o essere comandato da nessuno. Infatti, ciò che egli cerca e riesce a

raggiungere è la totale assenza dalle leggi umane, di ordine razionale. Al contempo,

insieme a Thoreau, ha il desiderio e la passione per la natura e non vede l’ora di

immergersi in essa. Entrambi sembrano avere le stesse ragioni di partire, ma in realtà il

loro approccio e la loro preparazione furono molto diversi. Nonostante Thoreau fosse

molto più povero e la società dell’epoca sicuramente non poteva garantire le comodità e

agiatezze di quella di McCandless, egli organizzò il suo viaggio molto più attentamente

di quanto fece quest’ultimo. Non solo entrò nella natura selvaggia con provviste di cibo

adeguate, ma costruì un riparo sicuro non molto lontano dalla città di Concord,

dimostrando così di favorire la solitudine ma entro certi limiti. Al contrario Chris, per la

parte finale e più importante del suo viaggio, decise di distaccarsi completamente dalla

civiltà poiché ricercava nella solitudine all’interno della natura selvaggia la libertà

assoluta che fino ad allora non aveva mai potuto provare. Tuttavia entrambi si accorsero

che il vivere nella natura comportava un notevole sforzo nel mantenimento dell’etica, di

fatto sconvolgeva quelli che erano i confini morali di una mente educata e rendeva

incerta la distinzione tra giusto e ingiusto, efferato e necessario. Infatti,

paradossalmente, uno dei fattori che li rese più simili furono i mezzi per cui provvidero

al proprio sostentamento. Nel pensiero di Thoreau non c’era spazio per l’utilizzo banale

dell’elemento naturale, nessuna giustificazione per il sacrificio inutile, sia esso di un

animale, di una pianta o di un uomo. Nemmeno in nome della scienza si era giustificati

a sopprimere la vita animale, la drammaticità di tale gesto graverebbe sull’animo

dell’uomo sensibile come una sentenza di condanna della Natura, e quindi di Dio. Fu

noto l’interesse di Thoreau per le scienze naturali anche se mancò sempre di un metodo

scientifico rigoroso. Del resto, egli stesso, dichiarò più volte nei suoi diari, di cercare un

punto di vista che tenesse conto tanto dell’aspetto scientifico quanto di quello poetico.

42

Sedetti ad una tavola imbandita di cibo ricco, vino abbondante e servi ossequiosi, ma alla quale

mancavano la sincerità e la verità; partii affamato da quel desco inospitale, L’ ospitalità era fredda come i

gelati. HENRY DAVID THOREAU, Walden, life on the woods.

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44

E a causa di questa unione di intenti, dall’esperimento del 18 agosto 1854 scaturì un

forte senso di colpa:

“Ho appena eseguito l’uccisione di una cistudo (tartaruga scatola) nel nome della

scienza; ma non riesco a scusarmi per questo assassinio, e vedo che azioni simili non

sono coerenti con la percezione poetica, sebbene possano servire la scienza, e

influenzeranno la qualità delle mie osservazioni. Prego di riuscire a camminare nella

natura con più innocenza e serenità. Nessun ragionamento mi riconcilia con questo

atto. Mi influenza con ingiuria. Ho perso un certo rispetto per me stesso. In una certa

misura, ho l’esperienza di un assassino.”43

Per Thoreau la difesa della Natura non si limitava alla sola cura del paesaggio rurale,

alla preservazione delle foreste dallo sfruttamento del territorio agricolo. Essa si

tradusse anche in un rapporto diverso con gli animali, in cui intravedeva una simmetria

con l’uomo: “Per proteggere gli animali selvatici dobbiamo garantire loro una foresta

dove possano abitare o recarsi. Lo stesso vale per gli uomini”.44

Lo stato d’animo che ebbe dopo l’uccisione della tartaruga di terra fu il medesimo che

lo aveva attanagliato l’anno precedente, nel corso della sua seconda escursione nelle

foreste del Maine. Infatti, egli, in compagnia di George Thatcher, assistette alla triste

uccisione di un alce:

“Non era quello il mio scopo venendo nei boschi; non l’avevo neanche previsto,

sebbene fossi disposto a imparare come si destreggiava l’Indiano; ma a mio avviso, un

alce ucciso andava bene, o meglio male, come una dozzina. La tragedia del pomeriggio

e il mio ruolo in essa, distrusse il piacere della mia avventura poiché macchiò la sua

innocenza. […] Per contro, questo cacciare alci meramente per la soddisfazione di

ucciderli – neanche per avere la loro pelle – senza nessuno sforzo straordinario e senza

correre nessun rischio per quanto ti riguarda, è troppo simile all’uscire di notte in

qualche pascolo e sparare ai cavalli dei vicini.”45

Più interessato ad esaminare la flora del luogo, Thoreau si ritrovò ad assistere alla

caccia. Anche se il suo ruolo si limitò a quello di semplice spettatore, l’uccisione

dell’animale ruppe inesorabilmente l’incanto degli avventurosi boschi del Maine. La

Natura, nella sua espressione più intima e selvaggia, incarnata dalla nobiltà

dell’animale, era stata violata nel profondo facendo sfuggire la saggezza offerta agli

uomini. Interiorizzando tale esperienza come una “tragedia” Thoreau prese le difese

della Natura, schierandosi tanto contro al cacciatore quanto al taglialegna, uomini che

anteponevano il profitto economico al valore della vita. Ma il rispetto verso gli animali

si concretizzò in Thoreau anche nel rifiuto di cibarsi di essi. Egli fu risoluto nel

sostenere che l’uccisione degli animali, sia per cibarsene che per prenderne

semplicemente le pelli (come per l’alce di Chesuncook), facesse precipitare l’uomo nel

baratro perché violava quanto c’è di più sacro: l’innocenza della Natura. Se l’uomo

desidera vivere con saggezza, elevare la propria condizione per ritrovare l’unione con

Dio nella Natura, avrebbe dovuto quindi abbandonare questa barbarie.

43

Henry David Thoreau, Material Faith. Thoreau on Science, a cura di Laura Dassow Walls, Mariner

Books / Houghton Mifflin Company, Boston-New York, 1999; trad. it. a cura di Salvatore Proietti,

L’agire del mondo. Ragionando di scienza, natura, esperienza umana, a cura di Laura Dassow Walls,

Donzelli Editore, Roma, 2008, p. 87. 44

Henry David Thoreau, Walking cit., trad. it., p. 73. 45

Henry David Thoreau, Chesuncook cit., trad. it., p. 105.

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45

Persuaso da Thoreau che pur non avendo mai rinnegato il diritto a cacciare la preda per

proprio nutrimento personale anche Chris, combattuto all’uccisione degli animali, cercò

in tutti i modi di uccidere il meno possibile. Sebbene si era informato su come cacciare

e conservare la selvaggina, poiché sapeva che senza di essa non sarebbe potuto

sopravvivere, incredibilmente visse quasi la stessa esperienza di Thoreau. Spinto dalla

fame e dalla disperazione riuscì ad uccidere un alce, ma non a preservarne le carni,

(lasciando il cadavere infestato da parassiti ai lupi). In seguito a questo episodio capì lo

stato d’ animo del suo mentore e scrisse nel suo diario che quella perdita costituiva

“One of the greatest tragedies of my life.”46

Non aggiunse spiegazioni. La parola

“tragedia”, la stessa utilizzata da Thoreau, includeva non solo lo spreco di cibo che

incorporava lo spettro corposo della fame, ma rendeva reale una disperazione non più

solo spirituale e mostrava disgraziatamente lo spreco di una bellezza vitale, facendo così

esaltare il rimorso di aver ucciso a vuoto.

Ritengo interessante come Krakauer nel diciassettesimo capitolo del suo libro fa notare

come, in seguito a quell’ esperienza, progressivamente diminuiscano nel diario di

McCandless le annotazioni astratte sulla natura. E’ evidente che col progredire della sua

esperienza in Alaska la sua attenzione fu dedicata maggiormente non più ai valori

estetici della natura, bensì al cibo che riuscito a procurare, alle piante commestibili che

ha saputo individuare e alle prede che è riuscito a catturare. Probabilmente, a quello

stadio della sua avventura, McCandless si era completamente interiorizzato nel mondo

selvaggio da capire che non si trattava più di un apprezzamento estetico del mondo

naturale, bensì diviene una questione di importanza vitale. A differenza di Thoreau,

infatti, le cui motivazioni alla ricerca del selvaggio miravano ad indagare la natura, l’

obiettivo di McCandless era quello di esplorare la sua anima, diventare responsabile di

se stesso ed imparare ad ascoltare a guardarsi intorno come se tutto fosse costantemente

nuovo, anche se il prezzo da pagare era una costante solitudine.

Sebbene fu tragica la conclusione del suo viaggio, ritengo sia proprio negli ultimi giorni

della sua avventura che ebbe piena realizzazione di ciò che andava cercando. Arrivando

al suo centesimo giorno di vita in Alaska era ben consapevole che la morte incombeva

su di lui minacciosa, di fatto, senza selvaggina, le sue condizioni di vita erano assai

precarie. L’ultimo appunto di Chris risale su sul diario in data 13 agosto 1992.

Caro Diario,

“Giorno100! CE L’ HO FATTA!... Ma

nelle più precarie condizioni di vita. La

morte incombe minacciosa. Troppo

debole per mettermi in marcia.

Letteralmente intrappolato nella natura

selvaggia-niente selvaggina. Ho

seriamente bisogno di cure mediche e

subito, le possibilità di uscire da questa

natura selvaggia vivo sono molto scarse.

Rimasto intrappolato nella natura, non

posso fare niente per salvarmi.

Cordialmente

Alexander Supertramp, 1992

46

“Una delle più grandi tragedie della mia vita”.

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46

Morì in seguito ad un’intossicazione alimentare: mangiò una pianta velenosa di nome

hedysarum mackenzii scambiandola per una buona, l’headysarum alpinum e pare che

questo errore fu fatale per il suo organismo. Sfortunatamente la natura selvaggia che

tanto aveva bramato, si era rivelata una trappola mortale. L’Alaska di cui parlava agli

altri con tono quasi puerile, lo aveva tradito, si era presa gioco di lui. A differenza di

Thoreau, infatti, che da buon viaggiatore ebbe modo di beneficiare delle meraviglie del

paesaggio naturale ed incontaminato ed immergersi sempre più nella solitudine, fino a

sfidare le stesse possibilità di sopravvivenza, per McCandless la Wilderness rappresentò

non solo libertà e verità, ma anche il rischio e la minaccia ultima.

Nel suo caso l’acquisizione della saggezza non è avvenuta come per Thoreau attraverso

il girovagare nella Natura apprezzandone e rispettando tutti i suoi aspetti, ma si

concretizzò attraverso la spontaneità e la profondità degli incontri fatti.

Di fatto tutte le persone che Chris incontrò lungo il suo peregrinare non solo colmarono

un vuoto familiare, fonte di profonde sofferenze, ma amplificarono l'idea di un percorso

volto a liberarsi da qualsiasi dipendenza da ogni tipo di comfort e privilegio.

Oggi, lo stesso Krakauer crede che, indipendentemente dalla riuscita del suo libro, Chris

McCandless resta certamente un emblema dei grandi quesiti irrisolti della vita moderna.

“Uno dei motivi per cui ho deciso di scrivere il libro è che mi sono identificato con

Chris e mi sono sforzato di capirlo – anche se non pretendo di esserci riuscito fino in

fondo”, spiega Krakauer, “ Chris non era un ragazzo come gli altri. Era molto

egocentrico. Era ostinato, impetuoso. Ma era anche puro di cuore. E la cosa

straordinaria, di lui, è che non accettava compromessi. Aveva grandi ideali, un forte

senso di rettitudine morale. Credeva che la sua missione nella vita fosse quella di

abbandonare la via più facile. Molti lo hanno giudicato semplicemente un pazzo

incompetente e irresponsabile – perché si sono chiesti, non si è portato un’accetta e una

radio, andando in Alaska? Ma a loro Chris avrebbe risposto: “non sarebbe più stata

un’avventura”. In un mondo come quello odierno, dove su una mappa non ci sono più

spazi vuoti, Chris ha lasciato a casa tutte le mappe. Ma ciò che maggiormente va lodato

al giovane McCandless è la semplicità e la riservatezza con cui si è accinto alla

rivoluzione interiore. Non è andato nelle piazze a declamare i suoi risentimenti e a

rimproverare i concittadini, non ha cercato di indottrinare le persone che ha conosciuto,

ma anzi ha lasciato un forte e genuino ricordo nei cuori di queste. Ma forse l’amara

verità risiede nella sua ultima considerazione scritta prima di morire. “Happiness is real

only when shared”, suona come un paradosso: due anni spesi alla ricerca di un

cambiamento radicale per comprendere il senso stesso dell’esistenza, solo poco prima di

abbandonarla.

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47

Il seguente passaggio è uno dei più toccanti tra quelli sottolineati da Alex durante il

periodo di vita solitaria nella natura selvaggia. Ora più che mai, il suo significato risulta

chiaro:

“Si accorsero allora che solo la vita simile alla vita di chi ci circonda, la vita che si

immerge nella vita senza lasciar segno è vita vera, che la felicità isolata non è

felicità”.47

Fuori dal Bus 142 sullo Stampede Trail, 13 Agosto 1992

47

“Il dottor Zivago”, Boris Pasternak

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48

5. CONFLITTO DI OPINIONI: McCANDLESS EROE O FOLLE?

A cause delle misteriose circostanze che hanno condotto alla morte del giovane

McCandless, si è acceso un lungo dibattito riguardante la preparazione più o meno

appropriata del ragazzo nell' affrontare le asperità dell' Alaska. Molti lettori della rivista

Outside, su cui l' autore pubblicò il suo primo scritto sulla morte del giovane,

interpretarono le sue scelte non solo come prova di evidenza stupidità, ma soprattutto di

arroganza. In seguito al ritrovamento del cadavere, alcuni critici hanno tracciato diversi

parallelismi fra McCandless e la figura di Sir John Franklin, ufficiale britannico dell'

Ottocento che, a causa della propria superbia, condusse alla morte se stesso e i 139

uomini della sua spedizione. Secondi molti, ciò che portò entrambi alla morte fu non

soltanto l' assenza di cibo, ma soprattutto la mancanza di umiltà e di rispetto per la

natura. Tuttavia Krakauer notò una sostanziale differenza fra i due: mentre Franklin

vedeva in essa l' antagonista da piegare alle proprie necessità, McCandless, al contrario,

si affidò totalmente al sostentamento che aveva da offrirgli. Quindi se nel primo caso la

natura è stata sottovalutata, nel secondo vi è addirittura un eccesso di umiltà.

McCandless era senza dubbio immaturo, troppo sicuro di se e sopravvalutò le proprie

capacità, ma allo stesso tempo si dimostrò abbastanza in gamba da resistere quattro

mesi con quel poco che aveva e il suo ingegno. Essendo sopravvissuto l' anno

precedente per oltre un mese con poco più di due chili di riso e con il pesce che

catturava, questa esperienza l' aveva convinto di potersi procurare cibo a sufficienza per

resistere a lungo anche alle asperità dell' Alaska. La realtà è che McCandless non

voleva in alcun modo affidarsi agli strumenti che avrebbe potuto avere poiché non

voleva alcun tipo di vantaggio da parte della civiltà. Al contrario voleva farsi

affidamento solo ed esclusivamente agli elementi della natura per sviluppare un

rapporto più autentico con essi e spogliarsi definitivamente della tecnica moderna e

supposta superiorità dell' essere umano sulla natura. La mancanza di equipaggiamento

ed in particolare di cartine topografiche aggiornate, non è dovuto a incompetenza o a

una previsione erronea, ma alla scelta cosciente e consapevole di rinunciare ad ogni

beneficio del mondo civilizzato. Voleva dimostrare a se stesso che poteva farcela da

solo, senza l' aiuto di nessuno.

Di seguito ho riportato quattro articoli dimostranti il diverso scalpore e le diverse

reazioni tra gli abitanti e i molteplici conoscitori della sua storia.

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McCandless: Hero or dumb jerk?

Judith Kleinfeld

(Published: July 20, 2001)

Christopher McCandless, the 24-year-old who died of starvation on the Stampede Trail

tucked into the sleeping bag his mother made for him, has become an Alaska icon.

Jon Krakauer's best seller "Into the Wild" immortalizes this young man, who walked

into the wilderness with no map, no ax, no mosquito repellent and no first aid

equipment.

If McCandless had only had a U.S. Geological Survey map, he could have figured out

how to get out when he tried to leave, when the Teklanika River, which he had walked

across in April, turned into a raging torrent in July.

But that was his point, to throw away the maps in order to create a personal frontier.

Many Alaskans react with rage to his stupidity. You'd have to be a complete idiot, they

say, to die of starvation in summer 20 miles off the Parks Highway.

So why does the story of McCandless resonate with so many young people?

A Cincinnati rock band even named itself after the abandoned school bus where he

squatted and died, Fairbanks 142.

Some hikers make pilgrimages to the bus. The 2001 Milepost has an entry for people

who want to make the trek. The bus has a guest book so hikers can write about their

emotions when they get there.

In the spirit of full disclosure, I will come clean about my own emotions. "Into the

Wild" is a book wellnamed. This kid drives me wild. I have three adult children, about

the same age as Chris McCandless. If they ever did to me what McCandless did to his

mother ...

OK, the boy had "issues" with his father, but Chris McCandless had no problems with

his mother, who sewed him the sleeping bag that turned into his shroud, or with his

younger sister, whom he professed to love.

Many young people want to test their mettle right out of college, to go on a great trek of

the body and the soul. That's natural. But he could have sent his family a postcard.

Now that I have done full disclosure, I will recover my composure and tackle the

question of why the bus has become a mecca for McCandless pilgrims who see in this

young man's life such powerful parallels with their own.

Joseph Chambers, a Northern Studies master's student at the University of Alaska

Fairbanks, wrote an illuminating answer to this question.

"Jon Krakauer's article on McCandless broke just as my college friends were preparing

to leave the comfort of the university to seek something different," Chambers writes.

"We talked about McCandless over breakfasts in late-night diners, into the evening

during study breaks, on canoe trips and around winter campfires.

"The story of the idealistic young man kept creeping into our conversations about future

dreams."

They even coined a new phrase, "pulling a McCandless," as in "Did you hear about

Susie? She's heading off to Borneo. She's pulling a McCandless."

So what does "pulling a McCandless" mean? The phrase had a general meaning: a

person embarking on a new and unique adventure. But "pulling a McCandless" had

three other meanings that expressed the questions that accompany the self-designed rite

of passage:

"1. The Hero: A person following their dreams, seeking to test themselves with

adversity and risk in order to live life fully.

2. The Soul Searcher: A person abandoning social conventions in an effort to seek truth

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50

and to discover the true self that remains hidden under social constraints. A person

striving to stick to their deepest values and convictions no matter what the cost.

3. The Dumb Jerk: A person who is futilely questing for something meaningless or

worthless. A person who is woefully unprepared for a trip, who clings to misguided,

self-righteous principles, losing friends and hurting themselves and their family in the

process."

Which one of these was Christopher McCandless? And which one is Susie who is

heading to Borneo? And which one are we all? McCandless' family placed a brass

plaque on the school bus, above their son's worn-out hiking boots, patched with duct

tape.

The memorial reads: "Chris, our beloved son and brother died here during his

adventurous travels in search of how he could best realize God's great gift of life. With

his final message,

I have had a happy life and thank the Lord. Goodbye and May God Bless All,' We

commend his soul to the world."

In questo articolo Judith Kleinfeld, professoressa di psicologia dell’università di

Fairbanks, pone la domanda del perché, nonostante Chris sia stato incosciente e stupido

ad intraprendere un viaggio di tale portata senza i mezzi necessari e fondamentali,

rappresenti tutt’oggi un esempio e un icona per la maggior parte dei giovani che,

soprattutto dopo l’ università, sentono il bisogno, come Chris, di riscoprire se stessi. La

risposta a questa domanda è stata data da Joseph Chambers, studente universitario che,

attraverso l’espressione “Pulling a McCandless”, delinea Chris in tre modi differenti:

L’eroe: ovvero la persona che insegue i suoi sogni, incurante dei rischi e dei pericoli in

modo tale da vivere la propria vita pienamente.

Il ricercatore della propria anima: ovvero una persona che abbandona che lotta per i

propri ideali ad ogni costo per scoprire il vero se stesso, rimasto nascosto e sovrastato

dai vari doveri ed obblighi imposti.

Lo stupido incosciente: la persona che si pone quesiti e domande senza senso.

Impreparata ad affrontare un qualsiasi viaggio, che si aggrappa agli errori, a principi

ipocriti, con il risultato di rimanere senza amici e ferire se stesso e la famiglia.

Ritengo che Chris incorpori tutte e tre le classificazioni.

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Chris McCandless: His Supporters and Critics

by Eve Lee, Fall 2009

Ever since Jon Krakauer, author of Into the Wild, first reported Chris McCandless’s

journey to Alaska in Outside magazine, the young man's death in that wilderness has

been a controversial topic. Many people have differing opinions about Chris

McCandless and his adventure, particularly over whether McCandless had a death wish,

was insane, or was simply incompetent.

While Krakauer, a defender of McCandless, believes that he was just a determined

adventurer, critics such as Terry Tomalin, author of “Mistakes Can Be Deadly in the

Wild,” along with other critics quoted within Krakauer's book, believe that McCandless

was an overeager, and foolish man. Krakauer seems to respect McCandless’s actions,

comparing him to a monk and stating, “one is moved by [his] courage, [his] reckless

innocence, and the urgency of [his] desire” (97). On the other hand, McCandless’s

critics appear to not comprehend those actions, and argue that McCandless is a “kook,”

that “[he] had already gone over the edge and just happened to hit bottom in Alaska”

(Krakauer 71).

Although the young man's many critics disagree on whether to celebrate or disparage

McCandless, most seem to agree that Chris McCandless was intelligent, that he

deliberately under-planned for his solitary journey to Alaska, and that the purpose of his

foray in Alaska was not to commit suicide.

Both accusers and defenders agree McCandless was deliberately journeying with

minimal supplies. This is evident when Krakauer states that “[b]y design McCandless

came into the country with insufficient provisions, and he lacked certain pieces of

equipment deemed essential...” (180). Another critic of McCandless quoted in Into The

Wild agrees with Krakauer and states that McCandless was “purposely ill-prepared”

(Krakauer 71). However, since Krakauer comes from a similar background as

McCandless (Krakauer is a mountaineer and he also had problems with his father), he

seems to be able to relate and understand McCandless’s need to forsake everyone and

everything during his escapade. Krakauer states, “…we had a similar intensity, a similar

heedlessness, a similar agitation of the soul” (155). Krakauer asserts that McCandless

just wanted to accomplish something by his own means, which meant brining only the

minimum, essential supplies needed to survive (159). Krakauer adds that he believes

McCandless was preparing to go back to his family, asserting, “There is no question,

however, that he intended to walk out” (168-169).

However, the majority of McCandless’s critics do not seem to understand McCandless’s

decision to journey without back-up plans, even when they come from similarly active,

outdoorsy backgrounds. Critics deem McCandless’s actions arrogant and believe that he

was “lucky” to have survived for as long as he did (Krakauer 71-72). While critics

believe that McCandless’s lack of planning was careless, Krakauer argues that

McCandless was not careless and that “[he] knew precisely what was at stake.” Indeed,

Krakauer says, “McCandless, in his fashion, merely took risk-taking to its logical

extreme” (181).

Both Krakauer and Tomalin believe that McCandless was not suicidal. This is apparent

when Tomalin imagines McCandless fighting for his life by “forag[ing] for wild plants.”

Krakauer believes that “…McCandless’s death was unplanned, that it was a terrible

accident…” (134). Krakauer believes that McCandless was just fascinated and obsessed

with challenging himself, and he just wanted to see how far he could push himself while

trying his best to come out unscathed (156).

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Nevertheless, the two men disagree on the cause of McCandless’s death. Tomalin

believes the desperation and “panic” of starving, coupled with eating the “wrong” seeds,

led to McCandless’s death. Tomalin argues, “It is that critical moment that panic rears

its ugly head. Give in to it, you die. Resist, you live.” On the other hand, Krakauer

believes that McCandless did not eat naturally poisonous seeds. Instead Krakauer argues

that McCandless made an error, and put non-toxic, wild potato seeds in a damp plastic

bag, causing them to rot and making them poisonous and fatal (194). Chris

McCandless’s death garnered much attention because of the mysterious circumstance in

which it occurred. As with every mystery, there are many opinions to consider. At first,

critics and supporters of McCandless appear to view his story in very conflicting ways.

However, both proponents and opponents of McCandless agree that he was an

intelligent young man seeking adventure. They also believe that Chris McCandless

made some regrettable decisions that could have saved McCandless’s life. Krakauer

agrees there were “avoidable blunders” (Krakauer 185). Unfortunately, since it is

impossible for McCandless to change his actions, the most people can do is, as Tomalin

puts it, “…learn from his mistakes,” and, as Krakauer puts it, hope that he went

peacefully (199).

In questo articolo è evidente la presa di posizione che diversi personaggi hanno avuto a

riguardo della sua storia. Primo fra tutti è lo scrittore Krakauer che dopo esserne rimasto

affascinato e colpito dalla sua vicenda e aver scritto il noto romanzo “Nelle terre

estreme”, si rivela essere in questo articolo chiaramente dalla sua parte, difendendolo da

ogni accusa e ritenendolo semplicemente un giovane avventuriero determinato. Molti

altri, come lui, sono d’accordo nel definire Chris un ragazzo intelligente, ben

consapevole di essersi addentrato nei territori dell’Alaska inesperto, ma senza alcun

intento di suicidarsi.

Al contrario in molti si sono trovati in totale disaccordo sull’intento di Krakauer ed altri

di difendere il giovane. Terry Tomalin, autore di “Mistakes Can Be Deadly in the

Wild,” lo definisce un ragazzo troppo impaziente e certamente fuori di se. Insieme ad

egli, molti altri critici continuano a non comprendere la sua decisione, ritenendolo

arrogante e soprattutto fortunato ad essere rimasto in vita per così a lungo.

Ciò che accumuna Krakauer e Tomalin è il fatto che nessuno dei due lo considera un

suicida. Di fatto per l’ intera permanenza in Alaska e per di più ancor prima di

addentrarsi, Chris si era informato non solo su come cacciare e conservare la selvaggia,

ma anche sulle varie piante selvatiche di cui potersi nutrire.

Il loro pensiero tuttavia, si differenza ancora una volta, sulla causa della morte di Chris.

Mentre Tomalin sostiene che la ragione principale fosse la disperazione e il panico

generatosi per la mancanza di cibo, dall’ altro lato Krakauer sostiene che Chris abbia

commesso un errore nell’ inserire dei semi di patata selvatica inizialmente innocui nel

suo zaino rendendoli velenosi e fatali.

Nonostante le varie opinioni contrastanti, entrambe le fazioni sostengono che

sicuramente Chris era ed ha dimostrato di essere un ragazzo intelligente, ma allo stesso

tempo ha commesso diversi errori che potevano essere facilmente evitati. Tomalin,

conclude infatti, con la citazione: imparare dai propri errori” anche se purtroppo in

alcuni tragici casi, come il suo, non è più possibile.

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Death of an Innocent: In 1990 Chris McCandless left his well-off East

Coast family, gave his college fund to Oxfam, and took to the road -

young, idealistic, invincible. Last year, equipped with little more than

Tolstoy and a rifle, he hitched into Alaska. There, the wilderness

turned against him JON KRAKAUER Sunday 11 April 1993

When news of McCandless's fate came to light, most Alaskans were quick to dismiss

him as a nutcase. According to the conventional wisdom he was simply one more

dreamy greenhorn who went into the bush expecting to find answers to all his problems

and instead found nothing but mosquitoes and a lonely death. Dozens of marginal

characters have gone into the Alaskan backcountry over the years, never to reappear. A

few have lodged firmly in the state's collective memory. There is, for example, the sad

tale of John Mallon Waterman, a visionary climber much celebrated for making one of

the most astonishing first ascents in the history of North American mountaineering - an

extremely dangerous 145-day solo climb of Mount Hunter's South-east spur. Upon

completing this epic deed in 1979, though, he found that instead of putting his demons

to rest, success merely agitated them. In the years that followed, Waterman's mind

unravelled. He took to prancing around Fairbanks in a black cape and announced he was

running for president under the banner of the Feed the Starving Party. To publicise his

campaign he laid plans to make a solo ascent of Denali, in winter, with a minimum of

food. After his first attempt on the mountain was aborted prematurely, Waterman

committed himself to the Anchorage Psychiatric Institute but checked out after two

weeks, convinced that there was a conspiracy afoot to put him away permanently. Then,

in the winter of 1981, he launched another solo attempt on Denali. He was last placed

on the upper Ruth Glacier, heading unroped through the middle of a deadly crevasse

field en route to the mountain's difficult East Buttress, carrying neither sleeping-bag nor

tent. He was never seen after that, but a note was later found atop some of his gear in a

nearby shelter. It read: '3-13-81 My last kiss 1:42 PM.' Perhaps inevitably, parallels

have been drawn between John Waterman and Chris McCandless. Comparisons have

also been made between McCandless and Carl McCunn, a likable Texan who in 1981

paid a bush pilot to drop him at a lake deep in the Brooks Range to photograph wildlife.

He flew in with 500 rolls of film and 1,400lb of provisions but forgot to arrange for the

pilot to pick him up again. Nobody realised he was missing until state troopers came

across his body a year later, lying beside a 100-page diary that documented his demise.

Rather than starve, McCunn had shot himself in the head. There are similarities among

Waterman, McCunn, and McCandless, most notably a certain dreaminess and a paucity

of common sense. But unlike Waterman, McCandless was not mentally unbalanced.

And unlike McCunn, he didn't go into the bush assuming that someone would magically

appear to bring him out again before he came to grief. McCandless doesn't really

conform to the common bush-casualty stereotype: he wasn't a kook, he wasn't an

outcast, and although he was rash and incautious to the point of foolhardiness, he was

hardly incompetent or he would never have lasted 113 days. If one is searching for

predecessors cut from the same cloth, if one hopes to understand the personal tragedy of

Chris McCandless by placing it in some larger context, one would do well to look at

another land, in a different century altogether. Off the south-eastern coast of Iceland sits

a low barrier island called Papos. Treeless and rocky, perpetually knocked by gales

howling off the North Atlantic, the island's first settlers, now long gone, were Irish

monks.

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They arrived as early as the fifth and sixth centuries AD, having sailed and rowed from

the western coast of Ireland. They crossed one of the most treacherous stretches of

ocean in the world without knowing what they'd find.As the great Arctic explorer

Fridtjof Nansen points out, the monks risked their lives - and lost them in droves -

'chiefly from the wish to find lonely places, where these anchorites might dwell in

peace, undisturbed by the turmoil and temptations of the world'. When the first handful

of Norwegians showed up on the shores of Iceland in the ninth century, the monks

decided the country had become too crowded, even though it was still all but

uninhabited. They climbed back into their curraghs and rowed off towards Greenland.

Reading of these monks, one is struck by their courage, their reckless innocence, and the

intensity of their desire. And one can't help thinking of Chris McCandless.

In questo articolo il giovane Chris è stato paragonato a diversi personaggi. Primo fra

tutti è presente una comparazione tra lui e lo scalatore John Mallon Waterman,

conosciuto per essere stato il primo ad aver percorso l’ascensione del monte Hunter in

145 giorni. Tuttavia per via dei suoi problemi mentali dovuti ad un infanzia difficile e

probabilmente trasmessi da sua madre, la sua persona e le sue esperienze vengono

giudicate negativamente.

Altro paragone viene fatto tra Chris e Carl McCunn, fotografo americano della flora e

fauna selvatica. Quest’ ultimo venne trovato senza vita poiché pagò un pilota per

portarlo nella natura per fotografarla, ma si dimenticò di farsi dare le coordinate per il

ritorno. Venne ritrovatom così, senza vita un anno dopo insieme al suo diario.

Waterman, McCandless e McCunn vengono accomunati per mancanza di buonsenso,

ma ciò che differenzia Chris da loro è che sicuramente non era mentalmente disturbato e

soprattutto non offri denaro alcuno per addentrarsi nella natura. Sebbene fosse

certamente un eccentrico, precipitoso ed incauto dall’altro lato non era un incompetente

altrimenti non sarebbe mai sopravvissuto 113 giorni da solo.

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What Really Drove Christopher McCandless ‘Into the Wild,’

According to Sister Carine’s Memoir

BY ZACH SCHONFELD 11/16/14 AT 2:27 PM

Why did Christopher McCandless die?

The question still puzzles and haunts, even now, nearly two decades after Jon Krakauer

detailed the Alaskan explorer’s doomed journey in Into the Wild. But there’s a slightly

different one at the center of The Wild Truth, the new memoir by the late adventurer’s

younger sister, Carine McCandless. What drove McCandless to up and leave his

comfortable, upper-middle-class existence, abandoning his family for remote

wilderness, in the first place?

The answer, McCandless suggests, has much to do with events that took place years

before her brother’s 1990 severing of ties and 1992 death. The Wild Truth chronicles a

childhood marked by domestic violence at the hands of an abusive father and an

enabling mother, and by doing so, it offers a poignant look at Christopher McCandless’s

life and death from the person who knew and understood him the most. The author kept

these details private for decades—even as Into the Wild was turned into a major 2007

film—but “I found my voice through this process,” McCandless told Newsweek. “I

really want this book to help other people find their voice.”

It’s been more than 20 years since Chris’s death. Why now? Why is now the right

time to make this whole story public?

Throughout those years, I’ve come to understand how important it is that people have

Chris’s entire story. By sharing my story, I’m filling in the blanks of his—things I’ve

learned from Chris and things I’ve applied to my life. But I hear from people all around

the world, and I’ve worked with students all across the country, where Into the Wild is

required reading. And I see the difference that it makes. I’ve been fortunate to witness

such overwhelming reactions from countless people I’ve been able to offer a new

perspective to. Those experiences made me appreciate that I have something important

to share. I realized it was time to share that with as many people as possible.

Another huge reason that now was the right time is I’m a mom. It didn’t change it as far

as what the facts are and the experiences. But it changed my level of acceptance and

forgiveness. Because I can’t imagine not doing everything possible to protect my

children. The media and people will automatically gravitate to the shocking revelations

about domestic violence that was present in our household. I understand that. I can

appreciate why that is important. I understand how people suffer in silence that suffer

from domestic violence. Obviously it took me 20 years to write this book, and I get why

they hold it in. I found my voice through this process. I really want this book to help

other people find their voice.

My mother used to speak to me on a daily basis about how she wanted to help battered

women and she wanted to help children and she wanted to help people that were in the

same situation that we were in. And she wasn’t able, unfortunately, to be strong enough

to find that courage and to be that voice for others and to get herself and her children out

of that situation. In doing so, she went from being my father’s primary target to his

accomplice. Chris’s story is an unbelievably powerful example of the devastating

effects that domestic violence can have on children and on families.

I think it’s a lesson that needs to be out there. It’s a timely issue as well these days.

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Obviously people are giving attention to this as well because of how much the issues of

domestic violence are on social media, from the Ray Rice incident and so many

different things. This book was completed before this ever happened. But the timing of

that just lends itself as evidence [of] how prevalent this is and how much it stays behind

closed doors and how important it is to open those doors. So whereas I’m sure my

mom—I don’t want to speak for her because I don’t think that’s fair. But I’m strong

enough to be that voice for her. She’s an important part of that lesson. And I have no

desire to villainize my parents at all. They are human. They make mistakes. I certainly

have made mistakes. I talk to students all the time about the importance of accepting

your mistakes, accepting responsibility for them, not placing blame for any

consequences from poor choices you make. That was done to us as children. You don’t

know any better. You understand when you grow up that it’s not your fault when you’re

in the situation of a dysfunctional and violent household.

With regards to the timing, I’ve spent 20 years waiting for two particular people to learn

these lessons that I believe come from Chris’s life and death.

You mean your parents?

Yeah. My parents did a lot of things right. We certainly did not have the toughest

childhood out there. I wouldn’t say we had a safe home, but we had a roof over our head

and a nice home to live in. And we absolutely appreciated and understood that. As a

parent, I understand now that that is not always easy to provide. I respect that and

appreciate that about my parents. But it does not negate the truth of the negative things

and the devastating things that happened.

I didn’t write this book in defense of Chris. But I think it’s very important for people to

best learn from him, that they have the facts and they understand just how much Chris

was hurting when he left. And have a better understanding and appreciation of why he

felt like he needed to do it the way he did. Chris was young and male—and I make no

excuses for the risks he took and the mistakes he made that put himself in that position.

But Chris accepted responsibility for his mistakes when he was dying. He loved life

more than anyone I’ve ever known. And Chris did not sit there and lay blame on

[parents] Walt and Billie for his death. I hold them accountable for his disappearance.

But I certainly don’t blame them for his death.

At first I assumed your parents were no longer alive and that was why you felt

comfortable writing the book. But that’s not the case. Have you been in touch with

them during this process?

All I can tell you is that I’ve made sure they received an advance copy of the book

because I wanted them to have the opportunity to respond to it and not be bombarded by

the media. As much as I hope that this book might provoke some healing within them

and some honesty about things, I don’t expect that to happen. I don’t expect a

reconciliation from this.

What I expect is denial.

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So they’re denying your account?

Oh, sure. This in no way surprises me. It doesn’t anger me. They never did understand

their son, nor the damage they were doing to him or to any of us. I believe this book is

going to help a lot of people, and I believe it will be powerful in its message. It could be

100 times more powerful if my parents had written it and written it honestly. If they had

the ability to do this, about what happened and what they learned from that. They

certainly deserve empathy for losing their son. And they certainly deserve the respect of

humans that make mistakes.

I felt like I was doing a disservice not just to Chris and his memory but a disservice to

all of the people who seek inspiration from Chris. And honestly? I was doing a

disservice to my parents. You can’t write a book with the word Truth in the title and not

make sure it’s accurate. I had to do a lot of research and a lot of interviews and a lot of

digging when I was writing about things that happened before I was born or when I was

too young to recall. I had to be very careful about that.

When did you begin work on the book?

Three years ago. It’s something I’d been journaling about for years and years and years.

But I decided that I would try to turn this into a book three years ago.

I think a lot of people will assume [that Walt and Billie are deceased]. It would be a lot

easier then, wouldn’t it? I know that I could have waited a certain number of years. That

just seems so sinister and awful. If the time was right within me and for all the right

reasons that I feel it was right to do this, time should not be a factor with that. It should

be, once you know it’s right and once you know it should be done, you should quite

frankly have the balls to do it and not have any factors come into play. It seems like sort

of a cop-out to me to only come out with this information that’s already so overdue, to

wait until I couldn’t be lashed back at.

Why do you think Chris’s story has resonated so much with people over the years?

I believe people identify with Chris because there’s something within him that he did

that people want to do. It doesn’t have to be going out into the wilderness. It doesn’t

have to be taking great risks. And please, acknowledge: Chris made some mistakes. He

took too great of risks. But people do that all the time, they push themselves to the edge.

And extremists like that seem to feel more alive that way.

I think people identify with [Chris’s] discipline. Maybe it’s not something they identify

with, but something they strive for. Chris made decisions and then he followed through

on them. Didn’t matter how difficult they were, didn’t matter how far out of his comfort

zone they took him. A lot of people tell me they left a job they hated. I’ve heard from so

many people. It has nothing to do with them wanting to go on a wilderness adventure.

It’s, you know what? I watched the movie or read Into the Wild and I decided, I don’t

like what I’m doing every day! And I’m going to change it! And they have! I still get

letters from these people years later.

Sometimes it’s people who had a goal to run a marathon. And they lost 100 pounds and

ran a marathon and send me pictures like, “Look at what I did and your brother did this

for me!” I always say to them, “Take your own credit where it’s due.”

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Chris may have been the spark that ignited that fire in you. But you made that decision

for yourself. Chris cannot do these things for people. Chris can inspire people to do

these things for themselves. And he does it every day.

Do you think Chris would have wanted to be this iconic figure that he has become?

I think Chris would not understand what all the fuss is about. Chris did not see himself

as a remarkable person. He knew he wasn’t invincible, because he knew he was taking

risks. But he was very confident and believed he could get himself out of any situation.

And perhaps overconfident, as many young men are. And young women, too, but

especially young men.

I do believe the attention would make him uncomfortable. But I believe just as much

that he would be proud of the things people are learning from him and the positive

changes they were making in their life because of him. And I’m very proud of the work

I did in this book because if it helps one woman leave an abusive relationship, if it helps

her get her kids out of an abusive relationship, if it helps some young woman recognize

this in someone that she’s dating and not continue that relationship so she doesn’t end

up having children in an abusive household.... If it helps one person, and I know that’s

cliché, but true. And I think Chris would be proud of that.

Are you uncomfortable at all with the way some people glorify Chris’s actions?

It depends on what they’re glorifying. I think it’s important to balance Chris’s mistakes

along with his successes. I think it’s important to have that balance. Because Chris was

also human. Just as I say people cannot learn from my parents if they’re villainized,

which was certainly not my intent as I wrote my book. Just as people can’t learn from

villains, they can’t learn from mythical figures. They can be inspired, but they can’t

necessarily learn from them.

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Questa intervista è della sorella di Chris, Carine McCandless concessa a Zach Schonfeld

il 16 novembre 2014. Dopo 20 anni di silenzio, Carine si è ritrovata a dare la sua

opinione non solo del libro che ha pubblicato su Chris, ma anche sui cambiamenti di

pensiero avvenuti dalla sua morte nel 1992 ad oggi. Innanzitutto nel corso di questo

lungo periodo di tempo la sua vita è molto cambiata. Dallo shock che è potuto emergere

dal libro di Krakauer “Nelle terre estreme” la cui notizia della sua dipartita l’ ha

chiaramente sconvolta e devastata, oggi sostiene di poter accettare maggiormente l’ idea

di perdono e accettazione della tragedia soprattutto per il fatto di essere diventata madre.

Non intende difenderlo in quanto non ci sono scuse per i rischi e gli errori che ha

commesso. Ciononostante è certa che durante gli ultimi attimi di vita Chris era

assolutamente responsabile delle scelte commesse e che mai e poi mai, nonostante le

controversie dei genitori, ha affibbiato a loro le colpe della sua sofferenza.

Tuttavia Carine difende Chris nel constatare che pure lui era umano, di conseguenza

sarebbe ingiusto giudicarlo solo negativamente. Sicuramente ritiene che abbia

commesso qualche sbaglio tra cui, forse il più grave, un’eccessiva sicurezza di se stesso

tendente ad arroganza verso i pericoli, ma se oggi tra i ragazzi viene considerato un

esempio è evidente che ha lasciato un impronta tutt’altro che negativa. Carine conclude

che è senz’altro importante bilanciare gli errori tanto quanto i successi e io sono

assolutamente d’ accordo con lei.

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Death's a fierce meadowlark: but to die having made

Something more equal to centuries

Than muscle and bone, is mostly to shed weakness.

The mountains are dead stone, the people

Admire or hate their stature, their insolent quietness,

The mountains are not softened or troubled

And a few dead men's thoughts have the same temper.

Page 62: CHIARA CIVILLA (MARCH2015), LA SELVAGGIA NATURA DELLA SAGGEZZA. DA THOREAU A MCCANDLESS

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CONCLUSIONI

Viviamo in una società intrisa di regole, di assiomi dai quali non è permesso prima di

tutto sfuggire ideologicamente e a maggior ragione nei fatti. La vita viene nel maggiore

dei casi interpretata come un concetto dittatoriale in cui non è possibile sfuggire alle

vicissitudine quotidiane e/o risulta particolarmente difficile creare di volta in volta varie

sfumature e mutamenti di un percorso già stabilito e predestinato.

Ma quando una mente partorisce un'idea diversa dalla massa e quando la attua

pragmaticamente, ecco che si alzano così tante voci mirate ad attaccare il singolo, la cui

unica colpa è quella di aver visto una strada alternativa e di averla pertanto percorsa.

Unico scopo di quelle voci è abbattere l'individuo ritenuto al di fuori dagli schemi, per

giustificare se stessi e i propri gesti compiuti, perché chi si differenzia non solo mette in

imbarazzo la massa, ma detiene il potere di porre ogni individuo solo di fronte a sé, a

ciò che ha percorso e portato a termine. Per la prima volta lo mette in una condizione di

solitudine, abituato com'è a valutarsi nella globalità, dimenticando d'essere singolo. Lo

pone soprattutto in una condizione d'imbarazzante intimità, imponendo lo sgradito

compito di valutarsi nelle azioni compiute.

A Christopher McCandless è accaduto tutto ciò.

Obiettivo di questa tesi era dimostrare come un giovane ragazzo, munito solo del

proprio coraggio e

della propria determinazione abbia con le sue scelte, cambiato la visione di migliaia di

persone nel mondo. Nel corso di questo elaborato mi sono letteralmente immedesimata

nei racconti, nelle testimonianze e nei ricordi di questo straordinario ragazzo che fino

alla fine ha dimostrato a me e a moltissime persone di quanto sia importante seguire i

propri ideali per perseguire un sogno. Anche io, come lui, condivido il suo bisogno

impellente di porsi le domande giuste e la necessità di prendere distanza dal mondo per

capirlo meglio.

Nel corso di questa tesi, infatti, ho voluto approfondire le tematiche che hanno portato

Chris a percorrere questa incredibile esperienza lontano da tutto e da tutti alla ricerca

della propria anima.

E’ in particolare nel terzo capitolo che ho ripercorso le tappe più importanti percorse da

Chris durante il suo incredibile viaggio in Alaska. Accompagnato dai suoi mentori

Tolstoj, Jack London e Thoreau ho voluto approfondire quest’ultimo nel mio elaborato

perché ritengo che egli più di tutti abbia condizionato le sue scelte e il suo modus

operandi durante il lungo periodo lontano da casa.

L'aspetto più interessante della mia tesi è il modo in cui questi due incredibili

personaggi abbiano ritrovato se stessi e la felicità all' interno della natura. Il rapporto tra

l’uomo ed essa è di fatto un tipo di relazione veramente complessa, di fatto non che non

ho certo la pretesa di aver completamente chiarito. Da un lato si sente l’esigenza di

seguire l’esempio impartito dalla “natura selvaggia”, l’ancora di salvezza nella quale

Thoreau riponeva ogni speranza. Ascoltare la sua antica saggezza può senz’altro aiutare

a ristabilire l’equilibrio che la nostra specie ha ormai alterato. D’altro canto, l’uomo non

può nemmeno sottrarsi completamente alla responsabilità che il suo status specifico

comporta.

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“Confrontarsi con la natura ostile significa cercare conferma del proprio valore, non

cedere terreno durante l agone, incrementa la propria “ potenza di esistere” e insieme,

accettare il fatto che la natura contiene in sé, necessariamente e saggiamente, la morte

e la rinascita, seppure a spese dei singoli…”

Ritengo che questa frase di Remo Bodei tratta dalla sua opera “Paesaggi sublimi” renda

chiaro il concetto sopra indicato.

Nel quinto capitolo, dalle varie fonti che ho raccolto, sono riuscita a dimostrare che

sebbene siano molte le persone contrarie al suo pensiero e al suo modo singolare di

esplorare, moltissime altre al contrario ritengono come me che non sia morto invano,

anzi ha potuto dare un clamoroso esempio di come non siano importanti l’ età, la razza

o la provenienza. Se ciò che sai davvero, nel profondo, è che se vuoi fare qualcosa di

grandioso in questa vita, devi essere pronto a mettere in gioco tutto quello che hai per

tutto ciò che hai dentro e che desideri diventare realtà.

Egli è stato esempio di tutto questo e io, nonostante gli errori commessi, proverò sempre

stima e ammirazione per questo giovane grande uomo.

Grazie Chris.

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RINGRAZIAMENTI

Desidero innanzitutto ringraziare il mio relatore, professor Paolo Luca Bernardini, per

aver accettato di collaborare insieme a me in questa mia ultima prova finale, per la

grande disponibilità e appoggio che ha saputo darmi in questi mesi e per tutti i preziosi

consigli che mi ha fornito durante la stesura di questa tesi.

Un ringraziamento speciale va ai miei genitori che mi hanno aiutato e sostenuto in ogni

mia scelta, condividendo con me i momenti di successo e di gioia e spronandomi nei

momenti di difficoltà, momenti in cui senza il loro appoggio forse avrei mollato tutto.

Senza di loro non solo non sarei al mondo, ma non sarei neppure quello che sono. A

loro devo tutto: il bene più importante che è la vita, i principi morali che mi hanno

trasmesso ed i pregi e difetti che contraddistinguono il mio carattere, il mio modo di

essere e di fare. Se sono arrivata a questo grande ed importante traguardo lo devo a loro

che, oltre al sostegno economico, mi hanno dato tutto il supporto morale e materiale di

cui avevo bisogno. Grazie per tutto quello che avete fatto, spero di essere stata

all’altezza delle vostre aspettative e possiate essere fieri di me. Il mio più grande

desidero ora è di potervi rendere anche solo 1/3 di quello che da voi ho ricevuto. Grazie

Mamma e Papà.

Un ringraziamento speciale a mio fratello Davide e ai miei nonnini Clemente,

Giuseppina e Maria che con il loro amore costante e la loro saggezza hanno saputo

sempre incoraggiarmi e spronarmi per dare sempre il massimo in qualunque sfida avessi

davanti.

Un ringraziamento più che doveroso alle mie compagne di università che sin dal primo

anno hanno intrapreso insieme a me questo lungo percorso. E’ stato un onore ed un

privilegio conoscerle e desidero ringraziarle per tutte le risate, il sostegno e l’affetto che

mi hanno dimostrato.

Grazie Ilaria, Anna, Roberta, Claudia, Jessica, Giulia, Alessia e Naomi per aver reso

questi tre anni indimenticabili.

Un ringraziamento che non può mancare va alle mie compagne di avventura e grandi

amiche di sempre con le quali ho condiviso le esperienze più belle della mia vita. Voi

siete il mio punto di riferimento e la nostra amicizia è solida e fondamentale per me.

Grazie Associna, Selene, Biondan, Pucci, Sandra, Grigo, Laicia, Viviana, Sara e

Vandala.

Desidero dedicare questa mia tesi a tutti voi. Ricorderò questi tre anni e questo speciale

giorno per sempre.

Vi voglio bene.

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took-to-the-road--young-idealistic-invincible-last-year-equipped-with-little-more-than-

tolstoy-and-a-rifle-he-hitched-into-alaska-there-the-wilderness-turned-against-him-

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