UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’INSUBRIA D IPARTIMENTO DI D IRITTO , E CONOMIA E C ULTURE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA MEDIAZIONE INTERLINGUISTICA E INTERCULTURALE «L A SELVAGGIA NATURA DELLA SAGGEZZA . D A T HOREAU A M C C ANDLESS » Tesi di Laurea di Chiara Civilla Matricola 716807 Relatore: Prof. Paolo Luca Bernardini Anno accademico 2013/2014
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CHIARA CIVILLA (MARCH2015), LA SELVAGGIA NATURA DELLA SAGGEZZA. DA THOREAU A MCCANDLESS
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
DELL’INSUBRIA
D IPARTIMENTO DI D IRITTO , ECONOMIA E
CULTURE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA
MEDIAZIONE INTERLINGUISTICA E
INTERCULTURALE
«LA SELVAGGIA NATURA DELLA
SAGGEZZA .
DA THOREAU A MCCANDLESS»
Tesi di Laurea di Chiara Civilla
Matricola 716807
Relatore : Prof. Paolo Luca Bernardini
Anno accademico 2013/2014
Vorrei spendere una parola in favore della natura,
dell’assoluta libertà e dello stato selvaggio, contrapposti a
una libertà e una cultura puramente civili, vorrei considerare
l’uomo come abitatore della natura, come sua parte
integrante, e non come membro della società.
(Henry David Thoreau, Camminare, p. 17.)
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INDICE
SUMMARY 3
INTRODUZIONE 4
1. LE ORIGINI DEL TRASCENDENTALISMO 6
1.1. LA SOCIETÀ AMERICANA ALL’EPOCA DI THOREAU 6
1.1.1. LA GUERRA USA - MESSICO: 1846 – 1848 8
1.1.2. GUERRA CIVILE E RICOSTRUZIONE 9
1.1.3. LA GIUSTA DISOBBEDIENZA DI THOREAU 11
2. HENRY DAVID THOREAU: L’ UOMO DELLA NATURA 15
2.1. WALDEN, IL RIFIUTO DELLE CONSUETUDINI E LA VITA VERA 16
2.2. L’ESPERIMENTO DI THOREAU 18
2.3. SOLITUDINE O COMPAGNIA 22
2.4. RITORNO ALLA CIVILTÀ 23
3. JON KRAKAUER 25
3.1. NELLE TERRE ESTREME 26
3.2. I MAESTRI DI VITA 27
3.3. L’ABBANDONO UFFICIALE DALLA CIVILTÀ 28
3.4. LA STRADA PER LA SAGGEZZA: GLI INCONTRI DI CHRIS 31
3.5. IL DIARIO 34
3.6. IL PUNTO DI NON RITORNO 36
4. LA SEDUZIONE DELLA WILDERNESS 38
4.1. ARMONIA CON LA NATURA: THOREAU 38
4.2. L’AVVENTURA DI MCCANDLESS: IL FUTURO NELLA SAGGEZZA 42
5. CONFLITTO DI OPINIONI: MCCANDLESS EROE O FOLLE? 48
CONCLUSIONI 61
RINGRAZIAMENTI 63
BIBLIOGRAFIA 64
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SUMMARY
My work analyzed the historical circumstances in which the young boy Christopher
McCandless and the famous transcendentalist philosopher and his mentor Henry David
Thoreau lived their life in the American wilderness.
I present a wide and clear discussion about the way these two incredible men have
followed their believes, examining not only the different aspects of society, but
especially comparing the transformation of their lives through their experiences in the
nature until the end.
Based on extensive research, this work tries to deeper understand the reasons and the
difficulties handled by these two men, focusing not only on the books but especially
through the writer Jon Krakauer’ s eyes.
The main question I tried to address is how and why this young man abandoned his life
full of privileges in order to follow an uncertain future, composed by risks and danger,
compared to the experience Thoreau did in the previous century.
The most interesting part of my thesis is that he surely believed that what he was doing
was right and necessary to make his dreams come true and live finally in freedom and
peace with his soul, far from the duties imposed by his family and his position in the
society. And in order to do that he started looking for himself especially by living in the
nature.
After having cut all ties with his family, Chris gave his trust fund to charity and started
travelling. A two years odyssey brought him to Alaska, one of most wilderness
territories on Earth, a blank spot on the map where he could test the limits of his wits
and endurance.
His death has caused controversy over a decade. With the head full of Jack London,
Tolstoy, Davies and Thoreau, with the nickname "Alexander Supertramp" which he
took from “The Autobiography of a Super-Tramp” by William H. Davies from 1908, he
has become an icon for the young generation.
My work reveals a lot of unknown aspects about the circumstances of this journey until
his death in the bus where he spent the last few days of his simple, full of adventures
and excitement, life.
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INTRODUZIONE
In molti sognano una vita diversa, una vita d’ avventure, lontano dalla routine di tutti i
giorni, dagli uffici, dalla frenesia cittadina; ma in pochi hanno davvero il coraggio di
abbandonare tutto ciò che hanno per realizzare questo sogno. E', in effetti, una scelta
difficile lasciare amici, famiglia, stabilità per andare incontro a un futuro incerto e per la
maggior parte delle persone rimane un pensiero su cui costruire, con la propria fantasia,
una realtà diversa, solo immaginata, ma comunque utile a sfuggire da una vita che del
tutto non li ha soddisfatti. Ci sono invece persone che non ci stanno a vivere
nell’infelicità, stanchi di conformismo e tradizionalismo, si lasciano trasportare dal loro
spirito avventuriero:
“The joy of life comes from our encounters with new experiences, and hence there is no
greater joy than to have an endlessly changing horizon, for each day to have a new and
different sun".
Quest’ultima frase è tratta da una lettera indirizzata ad un amico dal protagonista di
“Nelle terre estreme”, di Jon Krakauer: Christopher McCandless.
Chris è stato uno di quei “pochi” che, infelice della sua vita, ha trovato in un sogno la
forza di cambiare radicalmente esistenza, abbandonando tutto ciò che aveva per andare
incontro ad un futuro ignoto. Laddove lo sconforto della propria esistenza ha il
sopravvento, per Chris come per molti altri esploratori, l'unica soluzione per scoprire se
stessi e lenire quel senso di delusione e insoddisfazione sia attraverso la natura. Lì, nei
luoghi più vasti e sconfinati della terra, l'uomo può ricevere le risposte alle domande che
lo tormentano e trovare così il sollievo tanto ricercato.
Negli ultimi anni moltissimi studiosi, artisti, scrittori hanno preso coscienza del
complesso rapporto esistente fra uomo e natura, soprattutto nella letteratura americana.
Jon Krakauer è uno degli studiosi che meglio hanno interpretato tale relazione,
soprattutto grazie alle sue esperienze personali di alpinista, narrate in Into thin Air e in
Eiger Dreams e alla storia di Christopher McCandless, diventata in seguito un bestseller
mondiale dal titolo Into the Wild.
Sono venuta a conoscenza dell' avventurosa nonché tragica vicenda di questo giovane
uomo tramite la versione cinematografica del libro "Nelle terre estreme" intitolato "Into
the wild" del regista e attore Sean Penn e anche io come molti altri, Krakauer in
particolare, sono rimasta affascinata dalla storia di questo ragazzo così incosciente, ma a
mio parere, geniale allo stesso tempo.
L'obiettivo principale di questa tesi è stato analizzare le modalità in cui Chris ha
percorso le proprie scelte di vita, andando incontro al pericolo, la gioia e l'adrenalina
che un futuro nuovo comporta, comparandole con quelle che il filosofo, suo mentore,
Henry David Thoreau, seppur in maniera distinta, ha eseguito prima di lui.
Il primo capitolo si focalizza principalmente sulla storia americana del 1800 e 1900.
Grazie all’utilizzo di diversi materiali è stato possibile contestualizzare da un punto di
vista storico questi due grandi personaggi che, in modi completamente diversi, hanno
saputo perseguire i propri ideali e modificare il parere di moltissime persone.
Il secondo capitolo si concentra prevalentemente su Thoreau e sulla sua esperienza
presso il lago di Walden, nome da cui prende vita anche la sua opera più famosa.
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Documentandomi sul modo di vita e dalle scelte che ha affrontato nei boschi, ho voluto
spiegare come e in che modo sia sopravvissuto all'interno della natura selvaggia per ben
due anni di seguito senza cacciare e senza oggetti materiali, sapendo condizionare così
fortemente Chris.
Il terzo capitolo, invece, si sofferma sulla vita di Jon Krakauer, studioso appassionato
di alpinismo, e di McCandless, ragazzo molto giovane che dopo la laurea decise di
donare tutti i suoi risparmi e di vivere la vita in solitario viaggiando fino a raggiungere
la meta tanto ambita: l'Alaska.
Il quarto capitolo si concentra sul rapporto che entrambi i personaggi hanno avuto nei
confronti della natura e dalle similitudini e differenze che ebbero nel corso dei loro
rispettivi percorsi.
Infine il quinto capitolo delinea come la popolazione, in seguito alla tragica dipartita del
giovane McCandless, si sia divisa in due fazioni opposte: alcuni che lo hanno
appoggiato e che lo definivano un eroe da imitare ed altri che invece lo ritengono un
folle ed un incosciente.
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1. LE ORIGINI DEL TRASCENDENTALISMO
Il Trascendentalismo è un movimento filosofico e letterario che si diffuse negli Stati
Uniti fra il 1830 e il 1850. L’origine del pensiero trascendentalista viene fatta
comunemente risalire ad alcune correnti di pensiero romantiche sviluppatesi in Europa a
partire dalla fine del XVIII secolo. Il principale leader di tale movimento fu Ralph
Waldo Emerson, filosofo, oratore, poeta e saggista che, attraverso i suoi numerosi saggi
e conferenze, esercitò larga influenza sui contemporanei quali H.D. Thoreau, S.M.
Fuller, John Muir e A.B. Alcott.
Il movimento trascendentalista era caratterizzato da una sorta di ottimismo metafisico
che portava a cogliere nella natura solo gli aspetti positivi. In particolar modo si
configurò come una reazione di critica ed opposizione ad una serie di elementi che
dominarono l’America nella prima metà dell’Ottocento, ovvero: la società, la
dipendenza del governo e tutte le istituzioni politiche e religiose avevano come fine
ultimo quello di corrompere la purezza dell’ individuo.
1.1. LA SOCIETA' AMERICANA ALL’EPOCA DI THOREAU
Tra la fine del Settecento e gli anni Sessanta dell'Ottocento gli Stati Uniti andarono
incontro a fondamentali trasformazioni. Le relazioni tra Nord e Sud, in particolare,
erano fortemente influenzate dai rapporti tra Washington e le potenze europee.
In seguito alla Guerra di Indipendenza, l’America si trovava in un momento di estrema
vulnerabilità, per questo motivo il presidente Washington desiderava tutelare la giovane
Repubblica da eventuali attacchi evitando contrasti con le principali nazioni europee e
proclamare così lo stato di neutralità. Il presidente, infatti, consapevole della debolezza
dello Stato, dichiarò prima nella dichiarazione di neutralità del 1793 e poi nel discorso
di commiato con cui lasciò la carica nel 1796, la necessità che vent’anni di pace,
insieme alla forte distanza che li separava dalle altre potenze europee, erano
fondamentali per consentire all’America di essere nella giusta posizione per sfidare
nuovamente tutti gli altri poteri sulla terra. I buoni propositi di Washington ebbero piena
realizzazione in seguito alla diffusione della dottrina Monroe da parte dell’omonimo
presidente. Stimolo di tale dichiarazione fu la rivolta delle colonie spagnole
sudamericane contro la madrepatria e alla reazione delle potenze europee riunite nella
Santa Alleanza (frutto del Congresso di Vienna del 1815) intenzionate a intervenire
militarmente nel nuovo mondo per riportare lo status quo precedente.
Temendo quindi per la sicurezza del proprio emisfero e con l’intento di sostenere lo
sforzo anticoloniale degli Stati meridionali, il presidente Monroe, spalleggiato dal suo
segretario John Quincy Adams, decise di opporsi all’iniziativa europea. In occasione del
discorso annuale al Congresso, il 2 dicembre 1823, Monroe enunciò i principali punti
della sua dottrina. Essa consisteva nel riconoscere le esistenti colonie europee nelle
Americhe, ma di non considerarne di nuove, nel dichiarare l'intenzione degli Stati Uniti
di rimanere neutrali e di considerare qualsiasi nuova colonia o interferenza con nazioni
indipendenti nelle Americhe come un atto ostile nei confronti degli USA.
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Attraverso questa dottrina gli Stati Uniti riuscirono ad assicurarsi l’espansione nel
proprio emisfero; inoltre, grazie al rapidissimo sviluppo industriale nelle città del nord,
gli Stati Uniti iniziarono a inserirsi con successo nel mercato europeo, insidiando la
supremazia economica inglese trasformandosi così in una grande potenza.
Di fatto aumentarono di netto gli esporti e i ricavi economici, che resero possibile il
progresso interno in campo industriale, siderurgico, scientifico, di trasporti e vie di
comunicazione. Furono proprio queste innovazioni ad avviare quella che in seguito
venne definita la “seconda rivoluzione industriale”. Questo progresso, tuttavia, rese
ancora più netto il divario economico tra nord e sud degli Stati Uniti: gli Stati del Sud a
favore di una politica abolizionista della schiavitù entrarono in conflitto con gli Stati del
Nord, intenzionati invece a preservare l'Unione piuttosto che abolirla.
È nella guerra del 1812, dichiarata da Thomas Jefferson contro l’Inghilterra per
l’annessione della Florida orientale, che è possibile trovare la scintilla che scatenò il
rifiorire dello schiavismo negli Stati Uniti. L'embargo indetto dagli inglesi incentivò lo
sviluppo della manifattura tessile americana e ne sancì il passaggio ad una economia
protoindustriale, concentrata prevalentemente nei territori del New England.
Contemporaneamente a ciò, la forte espansione territoriale determinò un’ingente
aumento della domanda di cotone, cui seppero far fronte gli Stati del Sud. In un
territorio fondamentalmente arretrato, in cui non era necessaria un’attenzione
specialistica per i prodotti agricoli, la manodopera degli schiavi si prestava ottimamente
al sistema delle piantagioni in quanto risorsa a bassissimo costo, presente in grande
numero nonostante la tratta atlantica fosse legalmente cessata nel 1808. Fu quindi lo
sviluppo del cotone, insieme alla coltivazione intensiva di tabacco, zucchero, riso e
mais, a sancire la rinascita dello schiavismo negli Stati del Sud.
Nella prima metà del XIX secolo, quindi, il Sud aveva un'influenza senz'altro
sproporzionata nelle istituzioni federali e si preoccupava di veder garantito nel Senato
l'equilibrio tra i diversi membri dell'Unione.
Questo equilibrio si conservò fino al 1819, quando venne ammesso il Missouri, uno
stato schiavista. Da un lato, l'introduzione della schiavitù in questo stato contraddiceva
la politica del Nord, che tollerava tacitamente la schiavitù là dove era legata alla
coltivazione del cotone. Infatti, per ragioni climatiche, quest'ultima non era possibile.
Dall'altro lato, a ovest del Mississippi non c'era un chiaro confine geografico tra Nord e
Sud, né una linea fino ad allora politicamente accettata. Il risultato delle discussioni fu il
compromesso del Missouri del 1820: esso accoglieva quest’ultimo come stato
schiavista, ma stabiliva anche che all'interno dei territori a Ovest del Mississippi, da
poco acquisiti dagli Stati Uniti, il 36°30' parallelo avrebbe costituito il confine tra stati
schiavisti e stati liberi. Inoltre a compenso del Missouri, il Maine venne separato dal
Massachussets e ammesso nell'Unione come Stato non schiavista. Sulla base di questo
compromesso l'equilibrio così creato non poteva durare a lungo, infatti il conflitto
culturale venne soltanto rimandato. Il Nord, con la sua popolazione in rapida crescita
grazie a nuovi immigrati dell’Europa occidentale, penetrava sempre più profondamente
nel West, le cui fertili pianure sembravano predestinate a una popolazione agricola
orientata verso l'economia di mercato. Tuttavia, a causa della mancanza di braccianti,
per potersi affermare sul mercato si poteva far fronte alla necessità di accrescere la
produzione solo con la razionalizzazione, l'intensificazione e la meccanizzazione. Nello
stesso tempo però, era necessario rendere il più rapida possibile la coltivazione della
maggior parte dei prodotti agricoli, per abbattere i costi di trasporto. Con questi due
fattori erano poste le basi non soltanto del moderno capitalismo agrario degli Stati Uniti,
ma anche del proliferare di città provinciali come centri dell'industria di lavorazione e di
fornitura dei prodotti agricoli.
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Il Sud invece con il suo sempre vasto impero del cotone, era del tutto indipendente dalle
imprese industriali e dalle città, poiché il cotone grezzo poteva essere compresso in
balle e stivato sulle navi senza problemi, proprio come il prodotto lavorato. Dal
momento che le città e il lavoro nelle fabbriche erano senz' altro incompatibili con la
natura della schiavitù, non furono nemmeno compiuti tentativi di organizzare il
trasporto e la lavorazione sul posto. Il conflitto tra il capitalismo agrario del Nord, che
cresceva impetuosamente ed inarrestabilmente con la sua industrializzazione e la sua
costante ricerca di terra e forza-lavoro a buon mercato, e l' ordine sociale conservatore e
precapitalistico del Sud, basato sulla schiavitù, ricco sì, ma condannato per molti aspetti
alla dipendenza economica, sembrava inevitabile. Il 4 dicembre 1833, durante il periodo
della cosiddetta “rivoluzione del mercato” quando il capitalismo agrario americano
cominciava a dispiegare tutta la sua dinamica, venne fondata a Filadelfia la American
Antislavery Society, come unione di associazioni regionali, e il cosiddetto “movimento
abolizionista” si sviluppò nel Nord fino a diventare una forza politico-morale. Il Sud
continuò senza incertezze sulla sua strada e la Federazione non intervenne, nell'interesse
dell' unità. Solo così si spiega perché, malgrado la spinta costante verso l'Ovest, il
Congresso americano respingesse la richiesta del Texas, che l' anno prima si era
separato dal Messico e aveva conquistato l' indipendenza con l' aiuto non ufficiale degli
Stati Uniti, di essere ammesso all' Unione. Il Nord, però, si oppose duramente a questo
allargamento dei confini federali, che sarebbe tornato a vantaggio soltanto dagli
schiavisti del Sud. La questione del Texas venne risolta solo il 1 marzo 1845 grazie all'
intervento del presidente Tyler che, con l'aiuto del Congresso in una seduta
straordinaria, stabilì l'annessione del Texas. Questa iniziativa venne legittimata non solo
dal pericolo di un eventuale intromissione britannica nel Texas, ma anche dall' elezione
di un nuovo presidente dell' espansionistica: James K. Polk.
1.1.1. LA GUERRA USA- MESSICO: 1846-1848
Nel corso del 1845 gli Stati Uniti, sotto il comando del neo eletto presidente James
Polk, seguirono un corso esplicitamente espansionistico, giustificato ideologicamente
dalla parola d'ordine del Manifest destiny (destino manifesto) e cioè della propensione,
manifestata dagli americani in quel periodo di essere destinatari del controllo egemone
di tutto il continente. Il programma da lui perseguito prevedeva l’espansione sia a Sud
con l’annessione del Texas, sia ad Ovest attraverso la rivendicazione dell’intero
territorio dell’Oregon.
Sulla prima questione lo precedette Tyler, il presidente uscente, che un giorno prima
della scadenza del suo mandato, inviò al Texas un'offerta di annessione. Il Texas accettò
e divenne seduta stante il 28º stato degli Stati Uniti. Tuttavia il governo messicano, che
ancora nutriva un sentimento di forte contrasto con la Repubblica texana, aveva da
tempo avvisato che l'annessione avrebbe significato la guerra con gli Stati Uniti.
Quando il Texas divenne uno Stato degli USA, il governo messicano ruppe le relazioni
diplomatiche con questi, affermando che gli Stati Uniti, annettendosi la provincia
ribelle, erano intervenuti negli affari interni del Messico ledendone la sovranità.
Il conflitto con il Messico fu deliberatamente forzato, poiché Polk, spostando in avanti
le truppe americane fino al Rio Grande, cioè fino alla regione rivendicata dal Messico,
ebbe il pretesto per dichiarare guerra a quest'ultimo su mandato unanime del congresso,
il 13 maggio 1846.
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Quando fu chiaro che la Gran Bretagna non era disposta a sostenere il Messico, ma anzi
intendeva comporre la controversia sull'Oregon con un compromesso che fissava la
linea di confine tra il Canada e gli Stati Uniti, dalle Montagne Rocciose al Pacifico, non
solo il territorio federale americano ottenne una prima concreta estensione fino al
Pacifico, ma si profilò decisamente anche l'esito della guerra con il Messico. In effetti il
paese latino-americano non era in grado di resistere alla potenza statunitense su terra e
mare; fu perciò costretto ad accettare sia la conquista della California che l'occupazione
della propria capitale da parte delle truppe degli USA.
Con trattato di pace sottoscritto il 2 febbraio 1848, il Messico accettò la rettifica del
confine nei termini voluti da Polk riconoscendo il Rio Grande come confine
meridionale del Texas e vendette agli Stati Uniti per 15 milioni di dollari un terzo del
proprio territorio, corrispondente agli odierni California, Nevada e Utah, nonché a parte
di Colorado, Wyoming, Arizona e New Mexico.
In questo modo gli Stati Uniti avevano conseguito la loro estensione territoriale
sull'intero continente fino al Pacifico.
1.1.2. GUERRA CIVILE E RICOSTRUZIONE
Nella prima metà del XIX secolo, gli stati del Nord e quelli del Sud erano portatori di
tradizioni e interessi economici, sociali e politici profondamente diversi. La principale
causa di contrasto tra le regioni agricole meridionali e quelle industriali del Nord era
l'istituto della schiavitù. Mentre il sistema socioeconomico sudista annoverava al suo
interno oltre quattro milioni di schiavi neri impiegati nelle piantagioni di cotone,
tabacco e canna da zucchero, nelle regioni settentrionali invece la schiavitù non
rispondeva alle esigenze produttive, interessate piuttosto alla meccanizzazione del
lavoro, era dunque lì avversata per ragioni tanto ideali quanto di interesse economico.
Lo scontento sudista crebbe dall'introduzione in molti stati settentrionali di leggi a tutela
della libertà personale, che minavano l'efficacia delle norme varate per arginare il
fenomeno della fuga degli schiavi (Fugitive Slave Laws). Non meno apprensione
generavano i crescenti successi elettorali del Free-Soil Party, partito che si opponeva
all'estensione della schiavitù nei territori acquisiti dopo la guerra con il Messico e
contrastava l'ammissione nell'Unione di stati schiavisti di nuova Costituzione.
Tuttavia, nel 1857 la Corte Suprema decretò l'incostituzionalità di qualsiasi pretesa
federale di proibire la schiavitù. Il 16 ottobre 1859 John Brown, un ardente
abolizionista, attaccò l'arsenale federale di Harpers Ferry, in Virginia, con l'intento di
provocare una sollevazione degli schiavi. Questa azione fu il pretesto per i sudisti di
rivedere la propria posizione all'interno dell'Unione.
Nel 1860, in occasione delle elezioni presidenziali, fu eletto il candidato repubblicano
Abraham Lincoln. Nonostante fosse un avversario della schiavitù, egli non era un
abolizionista radicale, come non lo erano la maggior parte dei leader del suo partito.
Nella sua campagna elettorale aveva anzi negato qualsiasi intenzione di abolire la
schiavitù dove già esisteva. Ciononostante, la vittoria repubblicana nelle elezioni del
1860 fu sentita da una parte dell’opinione pubblica del Sud come l’inizio di un processo
irreversibile che avrebbe portato alla vittoria degli interessi industriali, al rafforzamento
del potere centrale, alla progressiva emarginazione degli Stati schiavisti. Per questo
motivo nel marzo del 1861 undici Stati del Sud decisero di staccarsi dall’Unione e di
costituirsi in una Confederazione indipendente che ebbe come capitale Richmond in
Virginia.
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La questione della schiavitù non fu l’unico fattore a determinare l’inizio del conflitto. Si
trattò, infatti, di uno scontro d’interessi di natura prettamente economica. Gli uomini
politici del Nord desideravano liberare gli schiavi perché rappresentavano una
concorrenza e un freno alla liberazione del commercio e all’industrializzazione. Negli
Stati del Nord industrializzati, infatti, la schiavitù era già stata abolita ed è grazie a ciò
che si è creata una manodopera a basso costo. Nel Sud invece lo schiavismo si dimostrò
indispensabile per le piantagioni di cotone, tabacco e canna da zucchero poiché
condizionava questo sistema economico al punto dal renderne impossibile la cessazione
senza distruggere il sistema stesso.
Con la guerra di secessione, inoltre, la posta in gioco era la democrazia nello stato
americano: si era chiamati a decidere di un futuro senza più discriminazioni razziali, in
cui gli uomini di colore avrebbero potuto godere degli stessi diritti dei bianchi.
La guerra iniziò nell’aprile del 1861 quando l’artiglieria sudista aprì il fuoco per
impedire il rifornimento ai nordisti in una base militare nella Carolina del Sud (Fort
Sumter). Scegliendo la strada dello scontro, i confederati facevano affidamento sulla
migliore qualità delle loro forze armate. Ma speravano anche in un intervento a loro
favore della Gran Bretagna, che era la principale acquirente del cotone del Sud e non
vedeva di buon occhio i programmi protezionisti dei repubblicani. Gli Stati del Nord,
invece, confidavano nella schiacciante superiorità numerica della loro popolazione e sul
loro maggiore potenziale economico.
Nelle fasi iniziali della guerra, il miglior addestramento delle forze sudiste e le notevoli
capacità del loro comandante, il generale Robert Lee, diedero ai confederati una netta
prevalenza. Ma, quando fu chiaro che gli Stati del Sud avrebbero dovuto contare solo
sulle loro forze, poiché la Gran Bretagna e le altre potenze europee si astennero, infatti,
da ogni intervento, e che la guerra sarebbe stata lunga e logorante, il fattore numerico e
quello economico si rivelarono decisivi.
I primi successi nordisti si ebbero solo nel 1863, quando le forze dell’Unione,
comandate dal generale Ulysses Grant, cominciarono una lenta avanzata lungo il corso
del Mississippi e quando, in luglio, un tentativo dei confederati di penetrare in
Pennsylvania fu bloccato nella battaglia di Gettysburg. Nell’estate dell’anno seguente,
un’armata nordista, muovendo dal Mississippi verso l’Atlantico, riuscì a penetrare in
profondità nel territorio dei nemici e a spezzarne in due lo schieramento dopo una lunga
marcia devastatrice verso il Tennessee e la Georgia, conclusasi nel dicembre del 1864.
Il 9 aprile 1865, quando ormai l’esercito unionista occupava buona parte del Sud, i
confederati si arresero.
La guerra era durata ben quattro anni, aveva visto impegnati nelle operazioni belliche
circa tre milioni di uomini ed era costata oltre 600mila morti. Nel 1862 fu approvata una
legge che assegnava gratuitamente ai cittadini che ne facessero richiesta quote di terre
del demanio statale. L’anno dopo fu decretata la liberazione degli schiavi in tutti gli
Stati del Sud, anche per favorirne l’arruolamento nell’esercito unionista. In realtà, la
rivoluzione democratica implicita nell’esito della guerra di secessione fu ben lontana dal
compiersi interamente.
La legge del 1862 sulla distribuzione delle terre libere fu revocata pochi anni dopo la
fine della guerra. Gli schiavi acquistarono la libertà, ma le loro condizioni economiche,
ora di uomini e donne liberi, non migliorarono.
Infatti, nonostante l'abolizione della schiavitù, a meno di dieci anni dalla resa
confederata, gli ex-schiavisti continuarono ad essere trattati ingiustamente e i loro diritti
cominciarono a subire restrizioni di ogni tipo.
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L’odio razziale nei loro confronti non si era, infatti, assopito con la deposizione delle
armi, trovò invece espressione in nuove forme che facevano ricorso tanto a metodi
legali, come le varie leggi sulla segregazione, quanto illegali. Tra i metodi legali ma
soprattutto illegali messi in atto, il più tristemente noto fu il Ku Klux Klan,
l'associazione segreta sorta nel 1866 in Tennessee, che si proponeva di controllare le
comunità di colore e i loro sostentatori senza disdegnare l'uso della violenza.
Privati del diritto di voto, senza tutela legale, rigidamente segregati, costantemente sotto
la minaccia della violenza individuale o collettiva dei bianchi, considerati come bestie
secondo un’opinione diffusasi in tutto il Sud con la discriminazione razziale, i negri
furono dunque una minoranza pesantemente oppressa.
L’America stava insomma cambiando e i nuovi intellettuali del New England non
seppero restare del tutto al passo con questi mutamenti. Era un paese nuovo quello che
si stava delineando negli anni settanta del XIX secolo: il Sud, dilaniato dal redivivo
problema razziale, cercava faticosamente di emanciparsi dal sistema delle piantagioni
creando un nuovo ordine economico.
1.1.3. LA GIUSTA DISOBBEDIENZA DI THOREAU
Nel corso del 1800, all’interno del club dei trascendentalisti, si crearono due fazioni
contrapposte: alcuni erano favorevoli alla causa abolizionista e di conseguenza alle
disposizioni del Compromesso di Clay del 1850, che riconosceva autonomia ai singoli
Stati in materia di legge sulla schiavitù, legalizzava l’arresto e il rimpatrio per gli
schiavi fuggiti dagli Stati del Sud e sanzionava tutti coloro che sarebbero stati colti in
flagrante nel fornire aiuto.
Thoreau al contrario, insieme a molti altri, non solo condanna la pratica dello
schiavismo, ma soprattutto pone una dura critica nei confronti delle istituzioni poiché
qualsiasi società in grado di accettare che uomini possano vivere in condizioni di
ignobile sottomissione non può essere definita in altro modo se non “inferno in terra”.
Diversi furono gli abitanti del Massachussets che appoggiarono la sua causa tanto che
contravvennero a questa legge per dare riparo ai fuggitivi in cerca di libertà nel Nord.
Thoreau stesso espresse le sue opinioni nel “discorso Slavery” in Massachussets, le
quali traevano spunto dall’episodio di Antony Burns, lo schiavo fuggito dalla Virginia e
poi riconsegnato al suo “padrone” dalle autorità di Boston. Thoreau aveva chiaro che il
vigore con cui il Massachussets, così come gli altri Stati del Nord dichiaratamente
abolizionisti, faceva rispettare le Fugitive Slave Law non era dovuto soltanto al rispetto
della costituzione, ma mirava a mantenere immutato uno stato di cose che favoriva l’
economia di tutto il New England, il cui settore tessile dipendeva dalle piantagioni del
Sud.
La critica al governo era stata preceduta anni prima da quella di “Resistance to Civil
Government”, saggio ricavato dal discorso tenuto il 16 gennaio 1848 al Lyceum di
Concord. Ciò che spinse Thoreau a dissertare la necessità di opporre resistenza al
proprio governo fu l’arresto e la notte passata nelle carceri di Concord, conseguenze del
suo rifiuto di pagare la poll tax, la tassa destinata a finanziare la guerra contro il
Messico. Il governo degli Stati Uniti, nella figura del presidente James K. Polk, nutriva
mire espansionistiche nei confronti della California e del New Messico, territori sotto la
giurisdizione messicana ma abitati in gran parte da coloni americani.
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L’annessione di quei territori avrebbe comportato il completamento dei confini
continentali americani ed un grande beneficio economico, derivato dalle ricchezze
minerarie della California e dal porto di San Francisco, centro di un fiorente mercato
con l’Oriente.
Lo strenuo tentativo del Messico di difendere l’indipendenza dei propri territori
ricordava la lotta combattuta dagli americani per liberarsi dal dominio inglese. Ciò che
appariva intollerabile era l’idea che gli USA, il primo Stato ad aver riconosciuto il
diritto alla rivoluzione del popolo verso un governo che non riconosceva come proprio,
interpretasse ora la parte del tiranno conquistatore per perseguire interessi economici.
Thoreau, rivendicando quel diritto che fu per primo degli americani, esortò quindi i suoi
concittadini a rifiutare obbedienza ad uno Stato le cui scelte immorali non potevano
rappresentare le coscienze dei suoi abitanti:
[…] quando un sesto della popolazione di questa nazione, che si è impegnata a essere il
rifugio della libertà, è formato da schiavi, e un intero paese viene ingiustamente invaso,
conquistato e sottomesso alla legge marziale da un esercito straniero, allora credo che
non sia affatto troppo presto perché gli uomini onesti inizino a ribellarsi.1
Thoreau credeva fermamente nei diritti dell’individuo, di conseguenza pur di seguire ciò
che la propria coscienza individuale riteneva giusto, ammetteva anche la disobbedienza
alle leggi. Secondo la sua opinione era più importante il rispetto del diritto piuttosto che
il rispetto delle leggi, perciò egli si sentiva pienamente giustificato nel violarle visto che
il governo statunitense ammetteva la schiavitù. È chiaro che una simile concezione
deriva da una fiducia quasi illimitata nelle capacità del singolo individuo di saper
scegliere tra giusto e sbagliato e può anche apparire pericolosa per la convivenza
democratica, visto che non riconosce nessun valore alle idee della maggioranza, ma solo
alle idee “giuste”, rispettose dei valori morali dell’individuo. L’idea che il governo
avesse smarrito la sua capacità di rappresentare democraticamente le ambizioni
popolari, in favore di quelle di una ristretta minoranza interessata a perseguire vantaggi
economici, era ampiamente condivisa da molti intellettuali americani. Come ebbe modo
di scrivere Emerson, nel saggio Politics:
Ogni stato, oggi, è corrotto […], i nostri partiti sono partiti d’occasione, non di
principio, come l’interesse dei piantatori contro quello dei commercianti, il partito dei
capitalisti e quello degli operai: partiti che sono identici nella loro caratteristica
morale che facilmente potrebbero scambiarsi le basi nel far da sostegno a molti loro
provvedimenti.2
1 Henry David Thoreau, Resistance to Civil Government, Aesthetic Papers, 1849; trad. it. di A. Tozzi
Disobbedienza civile in Uomini non sudditi. Disobbedienza civile e altri saggi, Piano B edizioni, Prato,
2010, p. 47. 2 Ralph Waldo Emerson, Politics, Monroe & Sons, Boston, 1844; trad. it. a cura di Vito Amoruso,
Politica in Antologia degli scritti politici di Ralph Waldo Emerson, Bologna, Il mulino, 1962, p. 180.
13
“La guerra di Mister Polk”3, come venne definito il conflitto contro il Messico,
manifestò l'interferenza delle élites economiche sui processi decisionali dello Stato
anche quando queste venivano avversate dalla maggior parte della popolazione, come
dimostrò l’esiguo numero di volontari 4 che parteciparono alla guerra. Thoreau, come
Emerson, riconobbe che non solo la Repubblica era incapace di dar conto alle istanze
degli elettori, ma che tale non era nemmeno il suo obiettivo.
Il governo si rivelava allora come un istituto falsamente democratico, in cui il suffragio
legittimava la maggioranza ben oltre il consenso arrogatosi con il voto.
Dopo tutto, la ragione concreta per cui […] si permette a una maggioranza di
governare per un lungo periodo di tempo, non sta nella considerazione che essa sia nel
giusto, né che ciò sembri giusto alla minoranza. Il fatto è che la maggioranza è
fisicamente più forte. Ma un governo nel quale in ogni caso comanda la maggioranza
non può essere basato sulla giustizia, neppure entro i limiti in cui la intendono gli
uomini. 5
Thoreau aveva ben chiaro che il semplice dissenso non era sufficiente per garantire una
svolta nella politica dello Stato, ne erano prova la guerra con il Messico e la difesa della
schiavitù, contro cui buona parte dell’opinione pubblica e dei politici si erano schierati.
Cosa restava da fare allora al cittadino americano per non concorrere alle colpe del
governo? La soluzione proposta da Thoreau è quella di opporsi ribellandosi attivamente:
Se l’ingiustizia fa parte del necessario attrito della macchina del governo, allora non
fateci caso e lasciate correre, forse l’attrito cesserà […]. Ma se la sua natura è tale da
imporvi di essere agente di ingiustizia nei confronti di un altro, allora io dico: «Infrangi
la legge». Che la nostra vita sia il contro-attrito capace di fermare la macchina.
Si delinea in queste parole il nucleo essenziale di Resistance to Civil Government,
l’idea che la fedeltà alla propria coscienza debba prevalere all’obbedienza ad un
governo ingiusto che delega ai cittadini le proprie colpe. Infrangere la legge diventa
allora un imperativo morale che, all’atto pratico, consiste per il cittadino nel rifiutarsi di
pagare la poll tax6 con cui viene finanziata la guerra contro il Messico mentre per il
pubblico ufficiale nel disertare il proprio dovere.
La detenzione che seguì al suo rifiuto di pagare la suddetta tassa durò solo una notte, ma
fu sufficiente per far maturare in Thoreau la convinzione che “Sotto un governo che
imprigiona un uomo – non importa chi – ingiustamente, il solo posto per un uomo
libero è la prigione.”7
3 Maldwyn A. Jones, The Limits of Liberty American History 1607-1992 cit., trad. it., p. 167.
4 Gli Stati Uniti, a differenza degli Stati europei, avevano scelto di non dotarsi di un esercito permanente.
In caso di guerra, a formare le milizie erano i volontari provenienti dai vari Stati americani, oltre che gli
ufficiali di carriera. La contrarietà popolare alla guerra contro il Messico può essere pienamente compresa
considerando che dai territori del Nordest, all’epoca la zona più popolata degli Stati Uniti, arrivarono
solamente 8.000 volontari. 5 Henry David Thoreau, Resistance to Civil Government cit., trad. it., p. 44.
6 Imposta diretta che non dipendenva dai beni di proprietà del cittadino.
7 Henry David Thoreau, Resistance to Civil Government cit., trad. it., p. 58.
14
Per questo motivo Egli riprese nel suo discorso l’idea proposta antecedentemente da
Jefferson, per cui il governo migliore fosse quello che meno esercitasse ingerenza sui
propri cittadini:
È con sincero entusiasmo che accetto il motto: «Il governo migliore è quello che
governa meno», e mi piacerebbe vederlo messo in pratica il più rapidamente possibile.
Una volta attuato questo conduce a un’altra affermazione, di cui sono altrettanto
convinto: «Il miglior governo è quello che non governa affatto» e non appena gli
uomini saranno pronti, sarà questo il tipo di governo che avremo. Svuotare il governo di
ogni autorità significa affermare l’inutilità del potere stesso, quale espediente con cui gli
uomini hanno deciso di sovrintendere la propria vita civile.
Se tale affermazione può apparire come una professione di fede anarchica è lo stesso
Thoreau a smentire tale ipotesi affermando:
“[…] io, a differenza di coloro che si dichiarano anarchici, non chiedo un’immediata
abolizione del governo, ma chiedo immediatamente un governo migliore”8 .
Vagliando le varie forme di governo Thoreau riconobbe che il passaggio da una
monarchia assoluta ad una costituzionale, e da questa ad una repubblica, consistesse in
un progresso per la condizione degli uomini, ma non accettò l’idea che in quest’ultima,
in particolare nella democrazia americana, si potesse riconoscere la forma di Stato
illuminato:
“Non può esistere un governo dove non sia la maggioranza a stabilire, virtualmente, il
giusto e lo sbagliato, ma la coscienza? […] O il cittadino deve sempre […] rimettere la
propria coscienza a quella del legislatore? A quale scopo, allora, ogni uomo ha una
coscienza? Io penso che dovremmo essere prima uomini, e poi sudditi. Non c’è da
augurarsi che l’uomo nutra rispetto per la legge, ma che sia devoto a ciò che è giusto.
Il solo obbligo che ho il diritto di arrogarmi è quello di fare sempre e comunque ciò che
ritengo giusto”.9
L’individualismo da cui era animato Thoreau lo spinse ad identificare la forma
definitiva di Stato in quella del governo pienamente riconosciuto e approvato dai
cittadini, in cui la coscienza di ogni sin-golo individuo deve agire come forza
legittimante dell’autorità statale e non, invece, come semplice maggioranza ubbidente e
silenziosa.
8 Henry David Thoreau, Resistance to Civil Government cit., trad. it., p. 43
9 Henry David Thoreau, Resistance to Civil Government cit., trad. it., p. 44
15
2. HENRY DAVID THOREAU: L'UOMO DELLA NATURA
Henry David Thoreau è stato un filosofo, scrittore e
poeta statunitense. Nato a Concord il 12 luglio 1817 da
una famiglia modesta riuscì, malgrado le ristrettezze
economiche, a frequentare la Harvard University.
Proprio qui cominciò a manifestarsi quell'atteggiamento
di insofferenza, nei confronti di ogni disciplina e di ogni
vincolo sociale che avrebbe caratterizzato tutta la sua
vita. In quegli anni, i lunghi vagabondaggi nei boschi e
le assidue letture dei grandi romantici europei e dei
poeti metafisici inglesi del Seicento formarono il suo
carattere e la sua cultura. Dopo la laurea si dedicò per un
breve periodo all'insegnamento. Nel 1837 prende
contatto con il circolo trascendentalista fondato dal
filosofo R.W. Emerson. Egli, discendente da una famiglia di ministri di culto e di
predicatori, divenne per Thoreau più di un maestro, un modello di vita, che si apprestò
sotto la sua guida per diventare uno scrittore. Pubblica i primi articoli sulla rivista The
Dial, l’organo del gruppo trascendentalista che ha sede a Concord.
Nel 1841 si trasferisce in casa Emerson e vi rimane per due anni. Tra i due nacque,
infatti, una profonda intesa, sia a livello umano sia letterario. Ciò che accomunava
questi due intellettuali era l'atteggiamento di ostilità e insofferenza nei confronti di tutte
quelle istituzioni autoritarie che soffocavano la libertà dell'individuo, negando
l'uguaglianza come condizione naturale degli uomini. Malgrado ciò, per via delle
sostanziali differenze caratteriali e di pensiero, Thoreau si distacca dal suo mentore
perché, diversamente dal suo metodo prettamente teorico, egli sosteneva un approccio
più pratico. Per questo motivo rinuncia alla riflessione puramente teorica e astratta dei
colleghi trascendentalisti a favore di un discorso fondato sulla prassi, legato agli
impegni e ai problemi della realtà contemporanea. Thoreau, infatti, condanna non solo
la personale veemenza con cui Emerson appoggiava le cause civili ma anche la lotta alla
schiavitù e la politica aggressiva e belligerante del governo americano. Se non altro egli,
che mal sopportava la politica sociale conciliatrice del club dei trascendentalisti, cercava
di porre rimedio al contrasto tra la piena realizzazione di ogni individuo e la nuova
ideologia del progresso economico di una società tecnologicamente organizzata.
La particolarità del suo pensiero la troviamo sicuramente dai suoi diari, che
rappresentano non solo una valida biografia del filosofo, ma sono stati un valido
contributo formativo attraverso il quale è riuscito a far maturare il suo essere scrittore,
storico-naturalista e critico sociale. All'interno di essi, Thoreau, rivolse molte critiche
sulle difficoltà di intrecciare rapporti sinceri con gli uomini, ma soprattutto alla società
dell'epoca. Circondato, infatti, da una comunità che non sembrava rappresentare ai suoi
occhi i veri valori da seguire, ma solo l'utile mercantile si distinse dalla società per
ricercare quei valori persi di onestà e libertà di cui oramai nessuno sembrava dare più
alcuna importanza. La sua visione non mirava alla negazione della civilizzazione in
quanto tale, ma all’uso eccessivo e distorto che gli uomini spesso compiono più per
bisogno di lusso che per mancanza del necessario. Giorno dopo giorno percorrendo le
strade di Concord, rimaneva disgustato dalla vita che i suoi concittadini avevano deciso
di condurre. Quotidianamente osservava donne e bambini sottoporsi duramente a
pesanti condizioni di lavoro per salari bassissimi.
16
Gli americani, di fatto, si facevano vanto di un sistema economico che pagava la
ricchezza di pochi con la schiavitù di molti e ciò gli pareva intollerabile. Questi sistemi
di guadagnarsi da vivere non potevano essere ammessi per Thoreau poiché non
soddisfacevano il suo requisito di onestà. Sfruttare il prossimo costituiva un crimine
verso quanto c’è di più nobile nell’individuo.
Nei suoi anni a Concord aveva maturato la convinzione che il guadagnarsi da vivere su
questa terra non dovesse esser una fatica, quanto un passatempo. Si convinse che cibo,
un riparo sotto cui vivere, un fuoco per riscaldarsi e un vestito con cui proteggersi,
erano le uniche cose veramente necessarie alla vita di un uomo. Più che persuadere i
suoi concittadini di ciò che riteneva giusto, era soprattutto da se stesso che esigeva le
prove che una vita alternativa al mercantilismo americano fosse non solo immaginabile
ma anche fattibile. La risposta di Thoreau come uomo libero alla tirannide di una
società che aveva sacrificato la propria missione spirituale per quella economica si
manifestò sotto forma della sua più grande opera: Walden, la vita nei boschi.
Morì stroncato dalla tisi a quarantacinque anni nel 1862.
2.1. WALDEN, IL RIFIUTO DELLE CONSUETUDINI E LA VITA
VERA
Pubblicato per la prima volta nel 1854, Walden, or Life in the Woods fu il resoconto dei
due anni passati da Thoreau nella capanna costruitosi sulle rive dell’omonimo lago, dal
4 luglio 1845 al 6 settembre 1847, a pochi chilometri da Concord sul terreno del
filosofo ed amico Ralph Waldo Emerson. La sua decisione di allontanarsi dalla civiltà
era dovuta in particolar modo dai numerosi cambiamenti economici che, di fatto,
stavano modificando radicalmente il suo modo di vita e quello dei suoi concittadini
all’interno di quello che lui definiva essere il suo “villaggio”. Per tutto il diciottesimo
secolo, i contadini di Concord avevano amministrato i propri terreni a gestione
familiare, limitando i pochi scambi commerciali alle sole famiglie vicine e ai negozi
cittadini. Tuttavia, intorno al 1801 si iniziò il passaggio da un’agricoltura estensiva ad
una intensiva, quando la prosperità americana, resa possibile dalle guerre napoleoniche,
favorì l’apertura dei mercati. Quest’ultima, inoltre, fu ulteriormente incentivata
dall’ultimazione del nodo ferroviario che mise in collegamento il villaggio di Concord
con la città di Boston. Fieno, patate, formaggi divennero i principali prodotti esportati, a
cui si aggiungeva il legname da costruzione ricavato dai boschi, ridotti di un decimo nel
1850, per far fronte all’altissima richiesta di mercato. Pur non potendo parlare di “svolta
industriale”, che avverrà solamente a conclusione della Guerra di Secessione, il New
England visse in quel periodo una sostanziale variazione del suo assetto economico,
verso cui Thoreau non lesinò critiche. Decise quindi di prendere le distanze dalla
società nella ricerca di una dimensione più autentica.
Prendendo spunto dal classico di Emerson “Nature” nella frase “Costruisciti un mondo
tutto tuo” Thoreau prova a farlo. E il 4 luglio 1845, il giorno della festa
dell’Indipendenza, celebrò la propria libertà dagli ingranaggi della macchina economica
trasferendosi sulle rive del lago Walden ad iniziare il proprio esperimento.
17
Conosceva bene lo spirito pratico degli americani, essi avevano bisogno di fatti più che
di parole per comprendere che una alternativa alla loro condizione esisteva:
“If you would convince a man that he does wrong, do right. But do not care to
convince him. Men will believe what they see. Let them see.”.10
Nel primo capitolo intitolato “Economia” Thoreau esplicita che il pubblico a cui si
vuole rivolgere sono i suoi concittadini. Egli ne conosce la grama condizione, sa che
taluni sono poveri, faticano a sopravvivere e che, talvolta, a qualcuno “manca perfino il
fiato necessario da vivere”11
, per questa ragione cerca di soggiogare quello che era il
loro modus vivendi basato solo ed esclusivamente sul lavoro e profitto. Secondo il suo
pensiero la maggioranza degli uomini vive in uno stato di quieta disperazione, ovvero in
uno stato di rassegnazione silenziosa di quella che tutti i suoi concittadini credevano
essere l‘ unica scelta possibile. È in tale stato di sopportazione che, giunti sfiniti alla
sera, affidano se stessi all’incerto con preghiere supplichevoli. Ma gli uomini, dice
Thoreau, “scelsero di proposito la maniera di vita comune perché la preferivano a ogni
altra”12
, cioè decisero volontariamente una vita in perenne bilico, divisa tra il tentativo
di entrare in un affare e quello di sfuggire ai debiti con disperate menzogne. Ma
Thoreau sapeva bene che bisognava superare certi pregiudizi.
Il suo scopo era quello di cercare di convincere gli abitanti che una vita semplice senza
il lusso ma solo con lo stretto necessario era possibile ed anche più gratificante.
Secondo Thoreau il bisogno di possedere sempre nuovi oggetti avrebbe portato i suoi
concittadini a dedicarsi sempre di più al proprio lavoro, perdendo così la propria libertà
interiore. Proprio per questo paragona i contadini ai prigionieri poiché sono incatenati
alle proprie tenute allo stesso modo in cui i carcerati lo sono all‘interno delle prigioni.
Le condizioni per ottenere libertà e indipendenza materiali (il denaro), sono le stesse che
non rendono liberi. Specialmente nel primo capitolo, Thoreau ci invita a riflettere sulle
reali necessità fisiche della vita, ovvero tutto ciò che l' uomo riesce ad ottenere con i
propri sforzi senza mai rinunciarvi. Egli, infatti, evidenzia soltanto quattro elementi
necessari e fondamentali all'individuo nel corso della sua esistenza: cibo, tetto, vestiario
e calore e che solo grazie ad essi l’ uomo potrà iniziare a sperimentare la vita. Di fatto,
finché quest’ultimo non potrà procurarsi queste cose, non sarà mai pronto a considerare
i veri problemi della vita con libertà e con una prospettiva di successo. Inoltre condanna
gran parte dei beni di lusso e molte altre comodità della vita non solo come inutili, ma
soprattutto come ostacoli all‘elevazione morale dell‘uomo. Per questo motivo Thoreau
stima e considera i più saggi coloro che seppur hanno vissuto una vita più semplice e
grama di quella dei poveri, erano sicuramente più ricchi di qualità morali e dotati di una
maggior saggezza di qualsiasi altro intellettuale dell'epoca. La scelta infatti di vivere
volontariamente in un clima di povertà e miseria conduce l‘ uomo alla saggezza poiché
lo porta a condurre una vita semplice, indipendente, magnanima e fiduciosa risolvendo
così i problemi della vita non solo teoricamente ma praticamente. Coloro che vivono nel
lusso sono i veri poveri, secondo Thoreau, poiché si sono costruiti catene d‘ oro
rimanendo imprigionati nella loro stessa infelicità e miseria.
10
Se volete convincere qualcuno del fatto che sta agendo male, agite bene voi. Ma non curatevi di
convincerlo. Gli uomini credono a ciò che vedono. Che vedano”.HENRY DAVID THOREAU, Se tremi
sull’orlo. Lettere a un cercatore di sé, a cura di Stefano Paolucci, Donzelli Editore, Roma, 2010, pag 9. 11
Henry David Thoreau, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 63. 12
Henry David Thoreau, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 65.
18
“I went to the woods
because I wished to live
deliberately, to front
only the essential facts
of life, and see if I could
not learn what it had to
teach, and not, when I
came to die, discover
that I had not lived. I
did not wish to live
what was not life, living
is so dear; nor did I
wish to practice
resignation, unless it
was quite necessary. I
wanted to live deep and
suck out all the marrow
of life, to live so sturdily
and Spartan-like as to
put to rout all that was
not life, to cut a broad
swath and shave close,
to drive life into a
corner, and reduce it to
its lowest terms.”13
2.2. L’ESPERIMENTO DI THOREAU
La seconda tappa, che copre tutta la parte centrale di Walden, conduce Thoreau alla
scoperta di una cura per la “quieta disperazione” di cui gli americani erano affetti.
All’interno del pensiero thouroviano si può facilmente dedurre la distinzione che l
autore crea tra l’ uomo e il filosofo. Per quanto riguarda il primo, Thoreau considera
tutti i suoi concittadini come creature deboli, vittime e succubi del “mostro” sociale che
rappresentava l’economia poiché avevano perso la capacità di vivere la loro vita
indipendentemente da essa e di procacciarsi il cibo al di fuori della catena industriale.
Al contrario il filosofo, sebbene non ce ne fossero più molti in circolazione, era in grado
di vivere con semplicità, indipendenza e fiducia. Difatti, smentisce l’autore, essi non
erano solo in grado di pensare in maniera acuta o di fondare scuole, ma più di tutti
potevano risolvere i problema della vita non solo teoricamente, ma praticamente.
A differenza dello Stato, il cui scopo era progredire nell’economia distruggendo ciò che
la Natura offriva, il filosofo sostiene che il “vivere civile”, nascondesse la vera realtà
che andava invece ricercata dentro le cose”.
Il pensiero di Thoreau, infatti, volgeva su un'unica teoria: semplicità, semplicità,
semplicità.14
Per tutta la durata del libro, Thoreau spiega come ha vissuto i suoi due anni
nella Natura seguendo i suoi stessi principi e di come ha risolto le varie questioni che gli
si presentavano davanti al fine di una permanenza duratura e piacevole.
13
Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo I fatti essenziali della vita,
e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto
di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse
assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da
gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere
poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici; 14
Henry David Thoreau, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 113
19
Prima di tutto, per
risolvere il problema del
riparo, si costruì con meno
di 30 dollari una capanna
sul lago Walden a circa
mezzo miglio a sud di
Concord. Nonostante il
forte vento, riuscì a
terminarla prima
dell’inverno e iniziò ad
abitarla il 4 luglio, non
appena furono ultimati il
pavimento e il tetto. La sua
dimora era piccola larga
dieci piedi e lunga
quindici, costituita
perlopiù da un’ unica stanza che fingeva da cucina, camera da letto, ingresso e salotto.
Al suo interno creò in seguito un camino, una soffitta, un ripostiglio, una finestra grande
su ogni lato, due botole e una porta sul fondo. Per quanto riguarda i mobili, riuscì a
fabbricarsi il necessario da solo e senza alcun aiuto. In pratica si costruì un letto, un
tavolo, tre sedie, uno specchio, un pentolino, una padella, un catino, diverse posate, una
brocca per l‘olio e una lampada seccata. Nonostante fosse piccola, semplice e agli occhi
di molti poteva apparire rozza, Thoreau era più che soddisfatto del riparo che aveva
costruito poiché, come i veri selvaggi, poteva mangiare, bere, dormire in assoluta libertà
a differenza invece dell’uomo civile sempre indaffarato a pagarne l’affitto o dipendere
costantemente da un affittuario senza mai ottenere la propria dimora definitivamente.
Quindi agli occhi di Thoreau, colui che gode di molte cose come il civile era in realtà
povero mentre il selvaggio che non le aveva era invece il più ricco. Il secondo problema
da risolvere per vivere all’interno dei boschi era il vestiario. Anche in questo campo
Thoreau non risparmia critiche, infatti, sottolineò come i cittadini di Concord
ricorressero a rinnovare il proprio guardaroba non spinti dalla necessità di procurarsi
calore o di coprire la nudità, bensì persuasi dall’opinione altrui o per l’amore verso la
novità. Era inammissibile per Thoreau l’eccessiva importanza che i cittadini davano al
proprio vestiario invece di preoccuparsi di non possedere neanche un barlume di
coscienza. Era, infatti, evidente come all’interno della società, il rispetto e la notorietà
ad una persona si donavano non per le opinioni sagge e giuste che professava, ma per la
giacca o i pantaloni eleganti che indossava. Interessante è il passaggio in cui Thoreau
sostiene che se uno spaventapasseri e un cittadino si cambiassero vestiti, sicuramente il
primo otterrebbe più saluti. Sicuramente se rimanessero spogli, privi di qualsiasi
accessorio, non screditerebbero le altre persone dall’alto in basso con il loro rango. Agli
uomini non serve qualcosa con cui fare il proprio lavoro, ma farlo e soprattutto essere
qualcosa. Secondo l’autore non si dovrebbe comprare un vestito nuovo finché al suo
interno non si abbia davvero vissuto indipendentemente da quanto esso risulti logoro,
sporco e stracciato. Per questo motivo Thoreau si cucì il proprio e proseguì con quello il
suo esperimento. Con il finire dell’autunno, non solo il vestiario era necessario per
combattere il freddo e gelido inverno. Indispensabile, infatti, fu la costruzione di
qualcosa in grado di scaldare tanto l’esterno quanto l’interno della propria anima: il suo
camino. Composto prevalentemente di mattoni, rappresentava per Thoreau la parte più
vitale della casa. Anche dopo averla intonacata, si rese conto che iniziò ad abitarla
davvero quando poté usufruire non solo del riparo ma soprattutto del calore.
20
Durante le sue lunghe
passeggiate nei boschi,
lasciava sempre il fuoco
bello accesso e scoppiettante
ad attenderlo al suo ritorno.
“La mia casa non era vuota,
anche se me ne ero andato
via. Eravamo io e il Fuoco a
viverci; e solitamente la
governante si dimostrava
degna di fiducia.”
L’inverno successivo
tuttavia, poiché non
possedeva l’intero bosco,
decise di economizzare e di
utilizzare una piccola stufa.
Quest’ultima però non solo
occupava più spazio ma non riusciva a mantenere bene la fiamma come il caminetto
tanto che rese l’arte del cucinare non più come un procedimento poetico bensì
meramente chimico. In più riempiendo la stanza di odori, la stufa nascondeva il fuoco
tanto da far sentire Thoreau più solo di prima, come se avesse perso un compagno in
quanto in esso aveva sempre la possibilità di rivedere un viso.
Dal punto di vista del suo sostentamento, Thoreau seppe ben nutrirsi poiché non solo
era circondato da una vasta gamma di possibilità ma soprattutto era guidato dal suo
ingegno e dalla sua intuizione. Quest’ultima in particolare era necessaria all’uomo in
quanto rappresentasse l’unica facoltà per osservare direttamente lo spirito della natura.
Prima di terminare la casa, infatti, piantò circa due acri e mezzo di patate, granoturco,
piselli, rape ma soprattutto fagioli. L’intero lotto era di undici acri che gli furono
venduti da un contadino per soli otto dollari e otto centesimi. Con il sudore della fronte
e il lavoro delle mani riuscì a mantenersi per tutta la durata della sua esperienza nei
boschi. Si rese conto che lavorando per circa sei settimane l‘anno poteva soddisfare poi
tutte le spese per guadagnarsi da vivere. Di fatto confermò che “un sistema economico
atto a fornire una vita soddisfacente” non era solo auspicabile ma anche possibile. In
particolare il campo di fagioli non rappresenta soltanto la ragione essenziale del suo
nutrimento ma è il tramite con cui si riconcilia con i cicli della natura, la quale segue
senza alcuna impazienza il proprio corso. Il lavoro nei campi, infatti, secondo Thoreau,
fa maturare l'uomo, perchè permette di abbandonare l'aggressività tipica della
giovinezza e di conquistare con maggiore serenità la capacità di attesa dell'età adulta:
come la natura, infatti, l'uomo saggio è capace di attendere lo svolgersi degli eventi
senza intervenire per piegare e forzare le cose al suo volere. La coltivazione dei fagioli
educa alla fatica, alla costanza e alla semplicità; ma ancor più di questo modifica
positivamente l'opinione che l'uomo possiede e lo conduce all' umiltà portandolo ad un
miglioramento del proprio io, al contrario della società moderna finalizzata a trarre
sempre e solo profitti.
21
Di fronte alla scelta di sfruttare il prossimo, come era di consueto nella società
americana con la pratica dello schiavismo o essere sfruttati dal proprio datore di lavoro,
Thoreau decise di rifiutarle entrambe:
“As I preferred some things to others, and especially valued my freedom, as I could fare
hard and yet succeed well, I did not wish to spend my time in earning rich carpets or
other fine furniture, or delicate cookery, or a house in the Grecian or the Gothic style
just yet. “15
Dalla sua esperienza biennale apprese che non costava alcuna fatica ottenere il cibo
necessario, anzi si poteva sopravvivere seguendo una dieta semplice come quella degni
animali e mantenere comunque forza e salute. Con enorme stupore, riuscì a prepararsi
pranzi soddisfacenti non solo senza lievito, indispensabile nel pane secondo le
casalinghe dell’epoca, ma anche senza sale. In questo modo, riuscì a evitare ogni
commercio o baratto riguardo al cibo. E' evidente, inoltre, il profondo rispetto che nutre
nei confronti della natura attraverso la scelta di astenersi dal cibo animale. Sebbene non
riuscì a staccarsi completamente dal consumo di animali in quanto il clima invernale
rendeva impossibile la crescita di qualsiasi tipo di vegetazione, Thoreau cercò il più
possibile di non tradire quelli che erano i suoi principi. Innanzitutto prima di iniziare il
suo esperimento vendette il fucile. Solo in seguito si dedicò principalmente alla pesca,
sebbene di volta in volta quell’attività gli faceva perdere un po‘ di rispetto per se stesso.
Nonostante, infatti, possedesse l‘abilità nel farlo, ogni volta che ritornava a casa con
l‘ingente bottino si pentiva sempre di quanto aveva catturato.
L‘obiezione che più di tutte lo convinse dell‘astenersi dal cibo animale non era dovuta
solo alla sua sporcizia, ma soprattutto per il fatto che dopo averli presi, puliti, cotti e
mangiati non si sentiva mai pienamente sazio. Si rese conto che non solo era una pratica
crudele ed inutile, ma gli costava più del ricavato. Per questo motivo non valeva la pena
vivere con una cucina ricca. Thoreau, infatti, come è noto, propugnava il
vegetarianesimo in modo esplicito. Infatti egli scriveva:
“Is it not a reproach that man is a carnivorous animal? True, he can and does live, in a
great measure, by preying on other animals; but this is a miserable way - as anyone
who will go to snaring rabbits, or slaughtering lambs, may learn - and he will be
regarded as a benefactor of his race who shall teach man to confine himself to a more
innocent and wholesome diet. Whatever my own practice may be, I have no doubt that it
is a part of the destiny of the human race, in its gradual improvement, to leave off
eating animals…” 16
15
Preferendo certe cose ad altre, e dando speciale valore alla mia libertà, in quanto potevo avere una vita
dura e avere successo allo stesso tempo, non desideravo ancora passare il mio tempo guadagnando ricchi
tappeti o altri mobili eleganti, o una cucina delicata, o una casa in stile greco o gotico. HENRY DAVID
THOREAU, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 94 16
“Non è un rimprovero il fatto che l’uomo sia un animale carnivoro? E’ vero, egli può vivere, e in effetti
vive, per lo più depredando gli altri animali; ma questo è un miserabile modo di vita – come può ben
convincersi chi vada a mettere trappole ai conigli o a sgozzare gli agnelli – e sarà considerato benefattore
della sua razza colui che insegnerà all’uomo di limitarsi a un cibo più innocente e più sacro. Qualunque
possa essere la mia consuetudine, non ho dubbio che appartenga al destino della razza umana, nel suo
graduale miglioramento, smettere di mangiare animali…”
22
In altre parole Thoreau considerava “miserabile” la violenza umana contro gli altri
animali ed il mangiar carne, non offriva alcun appiglio ed alcuna giustificazione alla
caccia. Secondo il suo pensiero non erano importanti la quantità o la qualità del cibo,
piuttosto l’appetito e la devozione con la quale si assaporano i diversi sapori.
Questo fu il modo in cui Thoreau si procurò ciò che per lui era fondamentale per il
proprio sostentamento. L’autore però specifica però che, per quanto il suo modo di vita
fosse per lui giusto e appagante, non avrebbe voluto che fosse copiato da nessuno
poiché ognuno doveva essere in grado di trovare il proprio metodo per vivere con
serenità.
Il suo obiettivo era quello di voler riconquistare un rapporto nuovo, autentico e
rispettoso nel mondo naturale grazie all'ottimismo del vedere l'uomo come artefice del
proprio destino e come essere dipendente da sensazioni ed emozioni. La condizione in
cui visse non fu quella della solitudine di chi abbandona i propri simili, ma quella di chi
ritrova se stesso nella Natura, e che dalla essa può far ritorno per lenire la società dalla
sua malattia.
2.3. SOLITUDINE O COMPAGNIA?
Nel corso dei vari capitoli Thoreau acquisì una maggiore consapevolezza di sé,
mettendo in pratica ciò che, fino a quel momento, aveva soltanto teorizzato come
possibile. Attraverso alcune metafore mostra la rilevanza che la natura possiede
dell'educazione dell’uomo che si immerge in essa. Grazie ai suoi continui smarrimenti
nel bosco durante le sue passeggiate notturne, perdendosi e non riconoscendo più i
sentieri in cui si è addentrato, riesce ad apprezzare appieno la vastità e la singolarità
della natura, e quindi ritrovare con maggiore consapevolezza se stesso.
In seguito alla sua permanenza nei boschi Thoreau afferma che vivendo a stretto
contatto con la Natura non ha mai sentito alcun senso di malinconia o rimpianto nel
vivere all’interno di essa. Tuttavia in seguito alle prime settimane del suo
allontanamento dalla civiltà, confessa che solo una volta la sua mente fu pervasa dai
dubbi che fosse necessario una presenza umana per vivere la sua vita in maniera più
salutare e serena. Sebbene all’inizio la solitudine gli parve spiacevole e dura da
sconfiggere, questo sentimento durò per poco, in quanto capisce che non è la presenza
di altre persone a farci sentire meno soli, poiché anche in qualunque oggetto naturale si
può trovare la compagnia più dolce, tenera ed incoraggiante compagnia. Anzi, sosteneva
che spesso anche in presenza dei migliori, i sentimenti che prevalgono sono di noia e
dispersione. Godendo invece dell’amicizia delle stagioni, l’autore riesce nella natura, a
riscoprire tutta una serie di lati positivi di cui prima non dava alcun peso. Primo fra tutti
furono i lunghi temporali primaverili e autunnali; Difatti, anche se la pioggia gli
impediva di zappare il suo campo di fagioli, sarebbe comunque stata utile altrove.
Inoltre il picchiare delle gocce attorno alla sua casa e quindi il soave rumore della
Natura, lo facevano sentire più in compagnia di qualsiasi altra vicinanza umana. Ciò
non significa che rinnegava la presenza ed il piacere della compagnia. Thoreau, infatti,
non era un eremita per vocazione: lui stesso ha scritto «I love society as much as
most”17
e di sentirsene davvero legato ed unito. Semplicemente ritiene salutare il restare
da soli per la maggior parte del tempo, specialmente se non si è trovato nessuno degno
di battere la solitudine. Nonostante ciò, egli ricevette molte visite e con ognuno di loro
ebbe modo di condividere la propria vita, come del resto aveva modo di farlo con gli
animali e gli alberi, che di certo non per lui avevano meno importanza.
17
«amo la società come gran parte della gente» HENRY DAVID THOREAU, Walden; or, Life in the
Woods cit., trad. it., p. 157
23
Più significative furono le visite di tre personaggi che con la loro unicità e saggezza
stupirono positivamente la mente dell’autore: primo fra tutti un anziano signore, un
proprietario originario, che si diceva avesse scavato il lago Walden, costruendone gli
argini in pietra e circondandolo di legno di pino. Specialmente nelle lunghe sere
d’inverno lo intratteneva con storie del tempo passato e riflessioni sulle cose o oggetti
che lo circondavano. In secondo luogo apprezzava molto la vicinanza di un’anziana
signora che lo ammaliava con la sua infinita sapienza per qualsiasi tipo di erbe, da
quelle aromatiche a quelle medicinali, e capace di donare una tale energia e forza da
convincere Thoreau a vivere ancor più dei suoi figli. Infine rimase particolarmente
colpito da un giovane ragazzo canadese di nome Alex Therien che aveva lasciato il suo
paese natio per guadagnarsi i soldi con il fine di comprarsi una fattoria. Ciò che era
sorprendente per Thoreau, era il costante ottimismo con cui viveva la sua vita e la
strabiliante vivacità che lo accompagnava in ogni attività che faceva. He interested me
because he was so quiet and solitary and so happy withal;18
Sebbene non avesse avuto un’istruzione efficace, talvolta i suoi pensieri erano più saggi
ed interessanti di quanto si potesse aspettare da un uomo, agli occhi di tutti, ignorante.
Thoreau, infatti, non sapeva riconoscere se si trattava di coscienza ciò che trapelava
dalle sue labbra o piuttosto di stupidità. Ciononostante apprezzava in lui il coraggio e la
determinazione con la quale esprimeva sempre la sua opinione, più che altro sul
riordinamento di molte delle istituzione presenti nella società. Credeva nell’onestà e
sebbene la maggior parte delle volte non si esprimeva al meglio dietro alle sue parole
non c‘ era mai un pensiero banale. Si può dire infine che Thoreau era di sua indole
un’anima solitaria, ma che gradiva molto la compagnia di coloro che insieme a lui
condividevano pensieri ed opinioni concordanti con la sua.
2.4. RITORNO ALLA CIVILTA’
Dopo aver trascorso due anni secondo i suoi principi, lontano da quel mondo corrotto e
distaccato dai veri valori da seguire, Thoreau decise di tornare alla civiltà non tanto
perché ne sentiva la mancanza quanto perché gli sembrava di aver concluso il suo
esperimento e voleva vivere in altro modo.
“I left the woods for as good a reason as I went there. Perhaps it seemed to me that I
had several more lives to live, and could not spare any more time for that one.”19
Nonostante siano passati cinque o sei anni, Thoreau consiglia ai propri concittadini
come ai lettori, di esplorare oltre ciò che vediamo poiché l’universo è vasto e merita più
considerazione e di non fermarci alla soglia del vicino. Per “viaggiare” l’autore non solo
consiglia di dirigersi verso territori inesplorati, ma ancor più di questo consiglia di
espandere la mente, di aprire nuovi canali di pensiero. Sebbene sia consapevole che non
è cosa facile, è altrettanto sicuro che se l’uomo vuole accostarsi al clima, alla cultura e
alla lingua di altre nazioni ha un'unica cosa da fare: esplorare se stesso.
18
Mi interessava perchè era tranquillo e solitario, e con tutto ciò tanto felice. HENRY DAVID
THOREAU, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 162 19
«Lasciai i boschi per una ragione altrettanto valida di quella per cui vi ero andato. Forse mi sembrava di
avere parecchie altre vite da vivere e non potevo riservare altro tempo per quella.
24
“I learned this, at least, by my experiment: that if one advances confidently in the
direction of his dreams, and endeavors to live the life which he has imagined, he will
meet with a success unexpected in common hours. He will put some things behind, will
pass an invisible boundary; new, universal, and more liberal laws will begin to
establish themselves around and within him; or the old laws be expanded, and
interpreted in his favor in a more liberal sense, and he will live with the license of a
higher order of beings.”20
Thoreau consiglia, infatti, di vivere la propria vita, per quanto meschina e povera possa
essere, o meglio ancora di coltivare la povertà, non preoccupandoci di ottenere sempre
nuove cose, ma di ritornare da quelle vecchie, sia se si tratta di vestiti che di amici. Non
è importante se le cose non cambiano o non riusciamo a cambiarle, ciò che davvero
conta è che cambiamo noi, ma soprattutto il consiglio che ci offre è di conservare i
nostri pensieri, poiché anche solo con essi, Dio ci garantisce compagnia. La ricchezza è
superflua di conseguenza con essa si possono comprare solo cose superflue, ma per
Thoreau attraverso l’umiltà si può arrivare a conoscere ciò che comunemente viene
definito paradiso.
“Rather than love, than money, than fame, give me truth”.
20
"Imparai questo, almeno, dal mio esperimento: che se uno avanza fiducioso nella direzione dei suoi
sogni, e cerca di vivere la vita che s’è immaginato, incontrerà un inatteso successo nelle ore comuni. Si
lascerà qualcosa alle spalle, passerà un confine invisibile; leggi nuove, universali e più libere
cominceranno a stabilirsi dentro e intorno a lui; oppure le leggi vecchie saranno estese e interpretate in
suo favore in senso più ampio. Così egli vivrà con la licenza di un più alto ordine di esseri.
25
3. JON KRAKAUER
Jon Krakauer è un saggista e alpinista statunitense nato
nel 1954 in Cornvallis, Oregon.
Dopo aver conseguito il diploma nel 1972 alla Corvallis
High School, proseguì i suoi studi presso l'Hampshire
College nel Massachussets, dove nel 1976 riceve la
laurea in Scienze ambientali.
Sin dall'infanzia sviluppò una grande passione per l'
alpinismo, attività che lo ha portato a diventare un
professionista di alto livello. E’ proprio grazie a questa
disciplina sportiva che l’ autore individua il suo punto di
saldo nel passaggio della post-adolescenza poiché è
attraverso il pericolo estremo che è possibile acquisire
una più pronta consapevolezza delle cose, tali da rendere
la vita più vera e il mondo più reale. La sua prima
esperienza significativa risale in fase adolescenziale nel lontano 1977 quando decise di
scalare un nuovo percorso sul Devils Thumb, una montagna nella regione dello Stikine
Icecup, al confine con l' Alaska. La difficoltà dell'impresa non era dovuta soltanto dal
nome del picco (in italiano “pollice del diavolo”), ma soprattutto dal fatto che non era
mai stato scalato prima d' allora. Dopo una serie di difficoltà incontrate fin dai primi
giorni, Krakauer si accorse che più scalava più acquisiva fiducia in se stesso, imparando
a resistere al richiamo dell'abisso alle sue spalle:
“But as the climb goes on, you grow accustomed to the exposure, you get used to
rubbing shoulders with doom, you come to believe in the reliability of your hands and
feet and head. You learn to trust your self-control”.21
In altre parole in assenza di tutto il resto, non si può che fare totale affidamento sul poco
che rimane di certo, ovvero la propria esistenza in un preciso istante e luogo. Sebbene
Krakauer sottolinei che in un giovane l' idea della morte sia astratta, come se
riguardasse sempre qualcun altro, è proprio il fascino per il mistero della mortalità a
condurlo sulle vette. Per l’autore, come per McCandless, l' attrazione per il mistero della
mortalità non aveva nulla a che vedere con il desiderio di morte, ma piuttosto con l'
innocente esaltazione di chi vuole conoscere il segreto della propria esistenza anche a
costo di perderla.22
Queste sue idee si avvicinano profondamente al pensiero di Heider
essere-per-la-morte e quindi alla conquista dell'autenticità. Per il filosofo, infatti, il
terrore per la morte conduce l'uomo a fuggirla, mentre la sua accettazione come
minaccia sospesa è condizione imprescindibile per l'esistenza autentica.
21
“Durante la scalata, progressivamente ci si abitua alla "esposizione, a stare fianco a fianco con il
disastro, arrivi a confidare nell' efficienza delle tue mani, dei tuoi piedi e della tua testa. Impari ad aver
fiducia nel tuo autocontrollo". JON KRAKAUER, Into the wild,1996, p. 142. 22
“At that stage of my youth, death remained as abstract a concept as non-Euclidean geometry or
marriage. I didn't yet appreciate its terrible finality or the havoc it could wreak on those who'd entrusted
the deceased with their hearts. I was stirred by the dark mystery of mortality. I couldn't resist stealing up
to the edge of doom and peering over the brink. The hint of what was concealed in those shadows
terrified me, but I caught sight of something in the glimpse, some forbidden and elemental riddle that was
no less compelling than the sweet, hidden petals of a woman's sex. In my case - and, I believe, in the case
of Chris McCandless - that was a very different thing from wanting to die.” JON KRAKAUER, Into the
Wild, p. 156
26
La mancanza del terrore per la morte e quindi la spavalderia inconsapevole e innocente
con cui si accosta ad essa, sono un' occasione unica per toccare con piena coscienza il
mistero della propria esistenza. Questa esperienza è stata fondamentale per l' autore non
solo per le forti emozioni che ha comportato, ma soprattutto per il fatto che possiede
una maggiore consapevolezza e maturità di se stesso e delle proprie capacità.
Nel novembre 1983, abbandona il lavoro part time di pescatore e carpentiere per
diventare uno scrittore a tempo pieno. Gran parte della popolarità come scrittore è
dovuta all'attività di giornalista che svolse presso l'"Outside magazine".
I suoi articoli apparvero anche nei giornali Smithsonian, National Geographic
Magazine, Rolling Stone, e Architectural Digest. Il 10 maggio 1996 l’autore, assegnato
dall' Outside, prese parte alla spedizione sull' Everest che sfortunatamente si rivelò una
delle più tragiche mai verificatesi poiché provocò la morte di otto alpinisti durante una
disastrosa ascesa. Egli fu uno dei pochi superstiti e la vicenda lo portò ad interrogarsi
sulle motivazioni del disastro. Creò un resoconto sconvolgente a metà tra diario,
romanzo e indagine giornalistica dal titolo "Into Thin Air" nel quale spiegò come,
secondo il suo giudizio, la tempesta, le scelte irresponsabili delle guide, ma soprattutto
il mancato contatto intimo fra l' uomo e la montagna e la mancata consapevolezza delle
proprie azioni furono le cause principali di tale disgrazia. Il suo articolo scatenò non
poche polemiche da parte degli altri alpinisti poiché alcuni di loro non videro la sciagura
nella stessa maniera presentata da Krakauer nel suo articolo. Al tempo stesso ottenne
ampi consensi di vendite e critiche tanto da venire oggi considerato la sua opera più
nota. Ottenne il primo posto nella lista dei bestseller di saggistica del New York Times
e fu tra i tre libri finalisti in lizza per la sezione saggistica del Premio Pulitzer nel 1998.
Per il risultato delle sue opere concernenti il richiamo all'aria aperta, Krakauer ricevette
un Academy Award in letteratura dall'American Academy of Arts and Letters nel 1999.
3.1. NELLE TERRE ESTREME
Nel 1996 venne pubblicato negli Stati Uniti il bestseller "Into the Wild" (in italiano
"Nelle terre estreme", 1997) che assicurò a Krakauer una reputazione come notevole
scrittore di avventure.
L'autore decise di scrivere questo libro dopo essersi imbattuto per caso nella vicenda di
McCandless rimanendone quasi ossessionato.
Christopher McCandless era un ragazzo di ventiquattro anni, nato nel 1968 nel Sud
della California. Figlio di una famiglia benestante del distretto di Washington, non
appena conseguita la laurea con lode in Scienze Sociali all'Università Emory nel 1990,
decise di donare in beneficenza tutti i suoi risparmi e di abbandonare amici e genitori
per iniziare una nuova vita ai margini della società con il “nome d’arte” di Alexander
Supertramp. Animato da un insopprimibile desiderio di libertà e da un’insanabile
avversione per il consumismo americano, McCandless vagabondò per anni negli Stati
Uniti Orientali fino a raggiungere le isolate foreste dell’Alaska, dove però incontrò una
prematura morte per denutrizione il 18 agosto 1992.
Il cadavere venne ritrovato da alcuni uomini circa tre settimane dopo all’interno di un
autobus abbandonato durante una battuta di caccia nel Denali National Park, in Alaska.
Seppur privo di un qualsiasi documento, la richiesta di aiuto rinvenuta accanto al corpo
consentì di identificare il ragazzo come Christopher McCandless, scomparso da casa da
più di due anni.
27
I giornali locali pubblicarono subito la vicenda e con il diffondersi della notizia la
Outside Magazine, rivista interessata a sport estremi e vita all’aria aperta, commissionò
al giornalista Jon Krakauer un articolo con cui indagare le misteriose circostanze che
avevano portato il giovane alla morte. La storia suscitò un forte interesse, tanto da
spingere il giornalista ad approfondire le ricerche. Grazie all'aiuto della famiglia di
Chris e alle persone che lo avevano conosciuto e frequentato nei due anni del suo
avventuroso viaggio, Krakauer ha avuto modo di ricostruire in modo dettagliato l'intero
percorso del ragazzo. Inoltre dal diario rinvenuto accanto al corpo, l'autore è riuscito a
ricostruire le ultime settimane di vita del giovane, così facendo è riuscito a colmare i
"vuoti" del periodo precedente.
Il libro è suddiviso in due diverse narrazioni: quella dell'autore e quella di McCandless,
entrambe le quali hanno come modalità preferenziale la citazione; infatti attraverso gli
scritti dei classici americani e russi, ma anche di pensatori, scrittori e artisti, i due
narratori forniscono il loro punto di vista per avvicinarsi maggiormente ad un equilibro
con la natura.
Sebbene Krakauer e McCandless non si conoscessero, l'autore, all' inizio del libro,
afferma di aver colto delle incredibili somiglianze tra alcuni eventi della vita di
McCandless e la propria, fino ad identificarsi con lui, ciò induce spesso il lettore a
domandarsi dove finisca la biografia di McCandless e inizi la riflessione dell' autore,
poiché nel testo non è presente una netta separazione delle due interpretazioni.
Accanto all'aspetto biografico, l' autore da grande risonanza ai temi della Wilderness
nell' immaginario americano, dell'attrattiva che il rischio possiede nei confronti di molti
giovani, del legame spesso complicato e problematico che intercorre tra padri e figli.
Questo libro, in cui Krakauer cerca di capire cosa può aver spinto Chris a ricercare uno
stato di purezza assoluta a contatto con una natura incontaminata, è il risultato di tre
anni di ricerche. Sulla base di questo romanzo è stato tratto nel 2007 il film "Into the
wild"(titolo originale del libro), scritto e diretto da Sean Penn.
3.2. I MAESTRI DI VITA
Nel corso della sua vita, McCandless è stato fortemente influenzato dagli insegnamenti
di grandi scrittori e pensatori che prima di lui ebbero modo di realizzare le loro
aspettative e realizzarsi.
Dei grandi classici russi come Boris Pasternal e Lev Tolstoij assorbe in particolar modo
le riflessioni sulla necessità di trovare uno scopo al proprio quieto vivere23
, l’importanza
23
“Everything had changed suddenly--the tone, the moral climate; you didn't know what to think, whom
to listen to. As if all your life you had been led by the hand like a small child and suddenly you were on
your own, you had to learn to walk by yourself. There was no one around, neither family nor people
whose judgment you respected. At such a time you felt the need of committing yourself to something
absolute--life or truth or beauty--of being ruled by it in place of the man-made rules that had been
discarded. You needed to surrender to some such ultimate purpose more fully, more unreservedly than
you had ever done in the old familiar, peaceful days, in the old life that was now abolished and gone for
good.” Brano tratto da Doctor Zhivago di Pasternak evidenziato da McCandless, JON KRAKAUER, into
the wild, p. 103.
28
dell' amore per il prossimo, della libertà personale, della vita come sacrificio24
, la
rinnovata consapevolezza che la felicità si trova nella semplicità e nella possibilità di
fare del bene al prossimo.25
Per quanto riguarda la natura, le due guide spirituali a cui si
ispira di più sono Jack London e Henry David Thoreau.
Le pagine di Walden or Life in the Woods, nelle quali il filosofo insisteva sulla
necessità di un ritorno dell’uomo alla Natura selvaggia, erano state ripetutamente
sottolineate e commentate da McCandless. Diverse citazioni di The Call of the Wild,
forse il libro più famoso del romanziere californiano, erano state invece incise sulla
lamiera arrugginita del vecchio autobus, fra cui: “Jack London è Re” e “Salve, belva
primitiva!”.
E’ facile rendersi conto di quanto McCandless fosse stato influenzato da questi due
scrittori: Henry David Thoreau, il mistico, l’asceta, il filosofo trascendentalista che si
era ribellato allo Stato americano e ai suoi valori incoraggiando i suoi simili alla
Disobbedienza civile. E Jack London, il marinaio, il cercatore d’oro, il socialista,
passato alla storia come l’autore di romanzi d’avventura più pagato nella storia di inizio
Novecento.
La determinazione di McCandless nel raggiungere l'Alaska fu maggiormente
influenzata dagli scritti di London ambientati nel Grande Nord, luogo in cui le
durissime condizioni di vita forgiano il carattere e di fondamentale importanza sono la
lotta per la sopravvivenza, la legge dura e inflessibile della natura che accomuna esseri
umani e animali, la solidarietà e il coraggio. Ancor più di questo, ciò che affascina
davvero McCandless è la condanna che questo autore pone nei confronti della società
capitalistica. All'interno delle sue opere, infatti, London incitava spesso alla rivolta
contro le convenzioni e le ingiustizie, alla ricerca di un’autenticità perduta e di un ideale
sociale intuito attraverso l’esperienza della propria e altrui ribellione.
Parafrasando invece Walden, McCandless pone l'accento sulla frugalità, che è uno degli
elementi basilari per riscoprire principi superiori dell'animo umano e quegli aspetti della
vita e della natura che difficilmente possono essere apprezzati da una mente offuscata
dall'abbondanza. Due figure decisive nella storia della cultura americana, due esistenze
distanti che si sono trovate vicine quando, molti anni dopo, un giovane ne annodò i fili
insieme a quello della propria sorte decidendo che il Wilderness non rappresentava
soltanto una ingenua via di fuga, bensì una alternativa possibile allo stile di vita imposto
dalla società.
24
You can't make such discoveries without spiritual equipment. And the basic elements of this equipment
are in the Gospels. What are they? To begin with, love of one's neighbor, which is the supreme form of
vital energy. Once it fills the heart of man it has to overflow and spend itself. And then the two basic
ideals of modern man—without them he is unthinkable—the idea of free personality and the idea of life
as sacrifice.” Brano tratto da Doctor Zhivago di Pasternak evidenziato da McCandless, JON
KRAKAUER, into the wild, p. 186. 25
“He was right in saying that the only certain happiness in life is to live for others… I have lived through
much, and now I think I have found what is needed for happiness. A quiet secluded life in the country,
with the possibility of being useful to people to whom it is easy to do good, and who are not accustomed
to have it done to them; then work which one hopes may be of some use; then rest, nature, books , music,
love for one's neighbor - such is my idea of happiness. And then, on top of all that, you for a mate, and
children, perhaps - what more can the heart of a man desire?" ...” brano tratto da Felicità familiare di
Tolstoy, evidenziato da McCandless, p. 169.
29
3.3. L’ABBANDONO UFFICIALE DALLA CIVILTA’
All'interno di "Into the Wild", ci si sofferma più volte sulle ragioni che hanno
condizionato il giovane McCandless ad abbandonare la sua vita. Questa decisione non è
stata dettata soltanto da motivazioni idealistiche appena illustrate, ma anche dalla loro
sovrapposizione con il rapporto burrascoso che aveva con i genitori e, in particolare con
il padre. Walt McCandless, era stato sposato in precedenza con un’altra donna, Marscia,
e da questa, anche dopo la nascita di Chris, aveva avuto un figlio con cui era ancora
legalmente sposato. Sua madre, succube delle decisioni del marito nonché capofamiglia,
incapace di reagire a questa situazione sconveniente e con la vergogna e l' imbarazzo di
una giovane amante, divenne così complice dell'inganno. Inoltre Chris, dopo aver
scoperto tutta la verità ed essere quindi al corrente di essere figlio illegittimo, meno che
mai era intenzionato a percorrere le orme del genitore. Christopher vedeva nel padre e
nelle sue scelte l'incarnazione di quegli stessi elementi che criticava nella società ovvero
l’idea di finzione, falsità ed ipocrisia in cui era costretto a vivere. Nonostante in più
occasioni dimostrò di avere un profondo rispetto del padre, non poteva tollerare gli
errori da lui commessi in gioventù. L'unico sostegno in quella realtà per lui priva di
significato e al limite dell' umana sopportazione era sua sorella minore Carine.
Dopo aver conseguito la laurea decise di devolvere i suoi 24.000 dollari di risparmi in
beneficenza e partì con la sua vecchia auto, una Datsun gialla B210 del 1982, un
acquisto dell'ultimo anno di liceo con cui Chris amava viaggiare durante le vacanze
scolastiche con un unica destinazione: Ovest.
“It should not be denied that being footloose has always exhilarated us. It is associated
in our minds with escape from history and oppression and law and irksome obligations.
Absolute freedom. And the road has always led west.26
La Datsun gialla era un’auto di seconda mano sicuramente non era una macchina degna
della sua posizione sociale. I suoi genitori, infatti, disapprovavano completamente quel
mezzo e cercarono di persuadere più e più volte il figlio a comprare una macchina
nuova, ma Chris non voleva sentire ragioni, anzi al minimo accenno di preoccupazione
da parte loro andava su tutte le furie. Era chiaro che avevano due modi opposti di
ragionare e questo spingeva Chris a non condividere mai i propri progetti con loro.
Egli era dell'idea che non si dovesse possedere più di quanto non si riesca a caricare in
spalla correndo a massima velocità. Infatti, a differenza loro, non era interessato al
valore dei beni materiai, piuttosto all' utilità e ai ricordi che possono darti. Già nel
1986, dopo aver conseguito il diploma, decise di partire per tutta l'estate ed attraversare
le pianure del Texas, la calura del Nuovo Messico e dell'Arizona per toccare infine la
costa pacifica. Durante la sua assenza non mantenne molti contatti con la famiglia.
Questo già faceva capire che non ne sentiva la mancanza ma che soprattutto era già
assolutamente indipendente. Questo viaggio fu decisivo per la sua vita poiché ebbe
modo di confrontarsi per la prima volta con se stesso.
Nonostante verso la fine del viaggio Chris si perse nel deserto del Mojave e rischiò di
morire disidratato questo non lo spaventò affatto, anzi paradossalmente gli diede l'
adrenalina e il coraggio necessario per raggiungere il suo vero obiettivo: l’Alaska.
26
Non dovremmo negare che l'essere nomadi ci ha sempre riempiti di gioia. Nella nostra mente viene
associato alla fuga da storia, oppressione, legge e noiose coercizioni, alla liberà assoluta, e la strada porta
sempre a Ovest." Wallace Stegner.
30
La Datsun venne ritrovata in seguito da un gruppo di ranger guidato da Bud Walsh,
impegnati in una ricerca botanica all'interno del National Recreation Area del lago
Mead. Chris infatti, incurante dei cartelli di pericolo, a causa di un'inondazione
proveniente dal fiume accanto al quale si era accampato, fu costretto ad abbandonare la
propria auto. Avrebbe potuto rivolgersi ai ranger, ma poiché la macchina non era
assicurata e non aveva rinnovato targa e libretto di circolazione, se l avesse fatto sarebbe
andato sicuramente incontro ad una serie di fastidiose domande al quale non aveva ne
tempo ne voglia di rispondere.
Soprattutto non riteneva necessario spiegare quanto per lui, citando il suo maestro di
vita Thoreau, fosse fondamentale beffarsi delle leggi dello Stato.
L'unica soluzione per non andare incontro alla burocrazia di certe pratiche era
abbandonare la macchina e proseguire a piedi. Tuttavia prima di lasciarla
definitivamente bruciò i pochi risparmi rimasti in suo possesso e si liberò di ogni prova
della sua identità, gettando via anche la targa dell'auto. Dopo aver trascorso 4 anni ad
adempiere all' assurdo obbligo di conseguire la laurea per soddisfare le aspettative del
mondo soffocante dei genitori e simili, finalmente si sentiva libero di vivere il suo
sogno, di iniziare una nuova vita senza il continuo e spropositato uso dei beni materiali,
capaci solo di rendere l' uomo superficiale. Per finire e rompere definitivamente col
passato decise che avrebbe vissuto ai margini della società e che non si sarebbe più
chiamato Chris McCandless ma Alexander Supertramp, il vagabondo padrone del suo
destino. L'obiettivo del ragazzo era allontanarsi da una visione del mondo che non
condivideva, troppo incentrata sul successo personale come valore assoluto ed
intraprendere una vita da nomade alla ricerca di sé stesso e della libertà assoluta.
“I want movement, not a calm course of existence. I want excitement and danger and
the chance to sacrifice myself for my love. I feel in myself a superabundance of energy
which finds no outlet in our quiet life.” 27
Da qui ha inizio la sua Odissea come “vagabondo zaino in spalla”, spostandosi
principalmente a piedi e soprannominandosi Alexander Supertramp.
27
“Volevo l’emozione, il pericolo, la possibilità di sacrificare qualcosa al mio amore. Avvertivo dentro di
me una sovrabbondanza di energia che non trovava sfogo in una vita tranquilla". Brano tratto da “La
felicità familiare” di Lev Tolstoj.
31
3.4. LA STRADA PER LA SAGGEZZA: GLI INCONTRI DI CHRIS
Nel corso del suo lungo viaggio McCandless lasciò un segno indelebile in varie
persone, anche se con la maggior parte di esse trascorse solamente una settimana o due
al massimo.
Primi fra tutti furono una coppia di hippie, Jan Burres e Bob Rainey, che Chris incontrò
durante il suo cammino e che gentilmente gli diedero un passaggio sul loro camper
mentre faceva autostop sulla Highway 101 fuori da Orick sulla costa settentrionale della
California. Rimase con loro per due settimane. Durante questo periodo si presero cura di
lui e andarono molto d’accordo dato che condividevano lo stesso spirito avventuristico.
Tuttavia, Jan in particolare, cercò di avvertire Chris sul pericolo delle sue azioni e di
convincerlo a tornare a casa poiché lei stessa poteva comprendere il dolore che i suoi
genitori stessero provando poiché da due anni non aveva più notizie di suo figlio.
Nonostante instaurò un bellissimo rapporto con loro, Alex decise di ripartire poiché
intenzionato a non compiere i percorsi convenzionali, ma a seguire una strada propria
volta alla realizzazione dei propri sogni per poter dare inizio finalmente alla sua “grande
Odissea in Alaska.”28
Figura 1. Jan e Bob all’area di sosta laterale, vicino alla spiaggia di Orick, California, 24 agosto 1990
28
“I thought Alex had lost his mind when he told us about his” great Alaskan odyssey, as he called it. But
he was very excited about it. Couldn’t stop talking about the trip.” Così Jan Burres ricorda la passione con
cui McCandless raccontava dei suoi progetti, JON KRAKAUER, into the wild, p. 45.
32
Il 9 settembre 1990
Chris incontrò nel
Montana Wayne
Westerberg,
proprietario di un'
azienda agricola.
Egli, avendo bisogno
di aiuto per il resto
della stagione, gli
offrì un lavoro nella
sua fattoria e nel silo
per cereali nella
cittadina di Carthage,
nel Sud Dakota. Dopo
un rifiuto iniziale,
Chris decise di
accettare perché,
realizzò che erano Figura 2. A sinistra Wayne Westerberg, a destra Alex con in braccio Bud.
indispensabili per acquistare alcune delle attrezzature fondamentali per la sua
sopravvivenza.
Durante la sua permanenza lì si instaurò fra i due, più che un rapporto lavorativo, una
vera e propria amicizia. In sole due settimane Chris riuscì a dimostrare il suo valore,
lavorando e impegnandosi come nessun altro fra i suoi dipendenti, svolgendo anche le
mansioni più pesanti e noiose che tutti cercavano di evitare. Agli occhi di Wayne era
molto responsabile e altrettanto severo con se stesso. Non lasciava mai un lavoro a metà
ed era molto testardo. Tuttavia, a giudicare dal suo modo di parlare, era molto
intelligente. Non parlava mai dei suoi genitori e anche dopo aver scoperto grazie ad un
modulo delle tasse il suo vero nome, non si immischiò mai nei problemi familiari del
ragazzo.
Nel corso della sua permanenza a Carthage, fece amicizia con la fidanzata di Wayne,
Gail Borah, donna trentacinquenne divorziata, madre di due ragazzini. I due andarono
subito d'accordo ed in particolare Chris riusciva a confidarsi con lei più che con
chiunque altro. Anche alla donna parve subito che non andasse d'accordo con la
famiglia, ad eccezione della sorellina Carine, con la quale era molto legato. Qualsiasi
fosse il motivo di tale contrasto di una cosa Wayne era certo: il gelo che avvertiva tra
Alex e la famiglia era in netto contrasto con il calore che il ragazzo provava a Carthage.
Mccandless, infatti, si innamorò molto presto di quel posto. Era una cittadina tranquilla
e con tutti, in particolare con Wayne, instaurò un ottimo rapporto. Per quanto riguarda il
sesso opposto, per quel poco che si era confidato, era emerso che più avanti avrebbe
voluto sposarsi e mettere su famiglia. Ma per il momento, nonostante fosse comunque
attratto dalle donne, cercava di non pensarci o di evitarle quasi come se fosse un
monaco.
L'obiettivo di Chris era quello di seguire le orme dei suoi maestri di vita quali Thoreau
(che mai perse la verginità), e il naturalista John Muir che guidati dalla seduzione che
offriva loro la natura, erano circondati da una vasta gamma di piaceri così forte da
sovrastare il desiderio sessuale. La brama di conoscenza e di desiderio di scoprire il
mondo era troppo forte per accontentarsi del contatto femminile.
33
Con l’arrivo dell’inverno e la conclusione dei lavori, dopo ben 4 settimane di
permanenza, Chris decise di ripartire.
Infine secondo le testimonianze, l’ultima persona che Chris incontrò prima di andare in
Alaska è il signor Russel Fritz. Uomo anziano di 80 anni, s’ imbatté in Chris il 15
gennaio del 1992 e gli offrì un passaggio nel campeggio dove alloggiava. All’epoca l’
uomo gestiva un motel malmesso vicino a Salton City, ma l’ incontro con Alex cambiò
notevolmente il suo modo di vita sedentario. Si incontrarono sulla statale 922, dove
Alex ricevette da lui un passaggio. L’anziano, preoccupato, cercò subito di convincerlo
a fare qualcosa di meglio della sua vita, ma Alex rispose che era diplomato al college e
che la sua era una scelta consapevole. In seguito alle presentazioni, si rividero la
domenica seguente dove Russel gli regalò una giornata a Palm Springs, prendendo la
funivia fino alla cima del monte San Jacinto e cenarono insieme in città.29
Diventarono
subito buoni amici. Russel inoltre, molto abile nel lavorare la pelle, gli insegnò
quest’arte. Infatti, sotto la sua guida, Alex disegnò e incise un’intricata cintura
biografica che racconta le sue avventure sotto forma di illustrazioni. Tuttavia, sebbene
la compagnia dell’anziano gli fu di grande aiuto e conforto, Salton City non offriva
molte occasioni di lavoro così il 15 febbraio 1992 Russel lo accompagnò a San Diego.
Prima di andare Alex gli lasciò la sua cintura incisa a mano e diversi oggetti,
promettendogli che sarebbe tornato a prenderli prima di ripartire per l’ Alaska.
Mantenne di fatto la promessa e si rincontrarono vicino a Coachella, in California.
L’anziano cercò nuovamente di far cambiare l’ idea al ragazzo, ma la sua decisione di
partire per l’ Alaska rimase immutata. Dopo aver cercato invano un lavoro a San Diego,
chiese un passaggio per il South Dakota e il 15 marzo 1992 ritornò dal suo vecchio
amico Wayne per guadagnare altri soldi per acquistare l’equipaggiamento necessario
alla sua avventura. Per due mesi circa lavorò per lui come imbianchino tinteggiando la
sua casa a Madison, ma anche al silo per cereali a Carthage.
A metà Aprile salutò tutti e ripartì.
Jan Burres, Bob Rainey, Wayne Westberger e Russel Fritz aiutano il protagonista a
realizzare il sogno di raggiungere l’Alaska e lo inducono a modificare la propria visione
del mondo, restando a loro volta influenzati dall’incontro con lui. Qualche settimana
prima della sua partenza in Alaska Chris scrisse una lettera al suo amico Ron. Questa
lettera è stata consegnata a Walt McCandless dallo stesso Russel quando si sono
incontrati per la prima volta a Salton City nel 1993. Al suo interno, Alex parla del suo
forte desiderio di trovare il significato della vita viaggiando e spinge Russel, anche se in
età così avanzata, a fare lo stesso.
“Do it economy style, no motels, do your own, cooking, as a general rule, spend as little
as possible and you will enjoy it much more immensely”.
La vera gioia, dice Alex, può essere trovata solo seguendo il proprio cuore, senza
preoccuparsi delle comodità e del bisogno di sicurezza che la vita moderna ci spinge ad
avere.
29
Testimonianze ricavate dal libro “Back to the wild” by Christopher McCandless, 2011, p. 147.
34
Il suo scopo di era conoscere nel selvaggio e gelido Grande Nord la saggezza eterna
nella natura e comprendere la futilità di ogni sforzo umano al suo interno. La sua
convinzione era che l'uomo debba riscoprire e nutrire continuamente la propria
autenticità.
Figura 3. Russell Fritz, gennaio 1992, Monte san Jacinto, vicino Palm Springs, California.
3.5. IL DIARIO Dopo aver lasciato Carthage, Alex proseguì il suo viaggio clandestinamente su un treno
merci diretto a ovest. All’uscita dell’ area di smistamento treni di Whitefish in Montana
si diresse a nord attraversando il confine con il Canada lo stesso giorno. Da lì inizia a
farsi strada in autostop verso Fairbanks, in Alaska. Alex ha molta fortuna nell’incontrare camionisti che gli offrono un passaggio. Trascorse due giorni a
Fairbanks per gli ultimi preparativi e trovò il suo ultimo passaggio da James Gallien che
lo lascia all’inizio del sentiero. La mattina del 28 aprile 1992 il giovane Chris
McCandless, proseguendo lungo lo Stampede Trail, si addentrò ufficialmente nella
foresta.
35
“Two years he walks the Earth. No phone, no pool, no pets, no cigarettes. Ultimate
freedom. An extremist. An aesthetic voyager whose home is the road. Escaped from
Atlanta. Thou shalt not return, 'cause "the West is the best." And now after two
rambling years comes the final and greatest adventure. The climactic battle to kill the
false being within and victoriously conclude the spiritual revolution. Ten days and
nights of freight trains and hitchhiking bring him to the great white north. No longer to
be poisoned by civilization he flees, and walks alone upon the land to become lost in the
wild.”30
Il suo zaino conteneva tutto ciò che per lui era necessario per sopravvivere nella natura
selvaggia: 4,5 kg di riso, un sacco a pelo, un fucile calibro 22 comprato a Fairbanks, una
tenda, una bussola e scarponi economici.31
Più di tutti questi oggetti però ciò che
rendeva davvero il suo zaino ricco era la sua piccola biblioteca personale composta da
circa nove/dieci tascabili. Fra i volumi spiccavano i titoli di Thoreau, Tolstoj e Gogol.
Avendo scordato di portare carta per scrivere, cominciò un diario su alcune pagine
vuote alla fine della guida botanica. Poco prima di partire, McCandless aveva trascorso
qualche giorno all'università di Fairbanks riuscendo a scovare una guida erudita e
minuziosa delle piante commestibili della regione. Il suo diario era particolarmente
prolisso, con note brevi e concise. Il primo maggio, dopo aver attraversato il fiume
Teklanika e aver proseguito per una trentina di chilometri, Alex trova quello che
sarebbe divenuto per quegli ultimi mesi della sua vita, il suo rifugio: il Fairbanks City
Transit Bus 142.
Questo autobus era
situato a 32 chilometri
dalla George Parks
Highway in un punto
molto favorevole poiché
l' ambiente era
piacevole, aperto e pieno
di luce. Sebbene
all'interno era privo della
maggior parte dei
finestrini e la vernice era
ormai pallida e
incrostata a Chris non
importava poiché, con
piacevole sorpresa, quel
rifugio era fornito di cuccetta, una stufa a legna ed una scorta di fiammiferi, insetticidi e
altri generi essenziali lasciati da cacciatori ed escursionisti precedenti. Cosa più
importante: ha un tetto sopra la testa.
30
“Da due anni cammina per il mondo. Niente Telefono, niente piscina, niente animali, niente sigarette.
Libertà definitiva. Un estremista. Un viaggiatore esteta la cui dimora è la strada. Fuggito da Atlanta. Mai
dovrai fare ritorno perché “L’ ovest è il meglio". E ora, dopo due anni di vagabondaggio, arriva la più
grande avventura finale. Il culmine della Battaglia per uccidere la parte meno autentica di sé e concludere
vittoriosamente la rivoluzione spirituale. Dieci giorni e dieci notti di treni merci e autostop lo hanno
portato fino al grande e bianco Nord. Per non essere più avvelenato dalla civiltà egli fugge, e solo
cammina per smarrirsi nelle terre selvagge”. JON KRAKAUER, into the wild, p.220. 31
Testimonianze ricavate dal libro “Back to the wild” by Christopher McCandless, 2011, p. 203.
36
Ben presto, tuttavia, Christopher dovette fare i conti con la dura realtà: nonostante era
riuscito a realizzare i suoi sogni, le difficoltà erano appena cominciate. Secondo le
testimonianze del suo diario, dopo appena una settimana Chris si rese conto che
procurarsi il cibo non era un'impresa facile. Per circa 2 mesi riuscì a nutrirsi grazie al
riso che aveva portato con se e che razionava meticolosamente, alla selvaggina che
cacciava quotidianamente e alle piante di cui usufruiva per integrare la sua dieta. Oche,
scoiattoli, uccelli, anatre ma soprattutto porcospini diventano il suo sostentamento
primario.
Il 9 giugno 1992, dopo essersi
mantenuto in vita con misere quantità
di cibo, Alex spara ad un alce e la
uccide. Finalmente, dopo essersi nutrito
con misere quantità di cibo, poteva
rifornirsi di proteine necessarie per
recuperare le forze e ottenere così il
nutrimento necessario a sostenersi.
Nonostante le ottime istruzioni che gli
amici del Sud Dakota gli avevano
fornito, la macellazione si risultò essere
più difficile del previsto e conservare la
carne prima che si decomponesse si
rivelò una vera e propria impresa. Dopo
aver costruito una camera di
affumicatura necessaria per essiccare la
carne, il 14 giugno, appena cinque
giorni dopo, i vermi si disposero su gran parte della carne dell’ alce rendendola così
inutilizzabile e gettarono Alex nello sconforto. La costruzione della camera di
affumicatura si era rivelata un lavoro del tutto inutile e non potendo giovare del
godimento che ne avrebbe scaturito se l’ avesse mangiata, si pentì subito di averla
uccisa. Il diario del quattordici giugno recita:
"Ora vorrei non aver mai ammazzato l'alce. Una delle più grandi tragedie della mia
vita".
3.6. IL PUNTO DI NON RITORNO
Nelle settimane che seguirono, la felicità di Alex viene guastata dalla frustrazione
causata dalla mancanza di selvaggina e, di conseguenza, di cibo. Sentendo che oramai il
suo viaggio nelle terre estreme era giunto al termine e che il suo sogno di vivere
nutrendosi solo dei frutti della terra è compiuto, all’inizio di luglio Alex si preparò al
suo ritorno alla civiltà.
"No man ever followed his genius till it misled him. Though the result were bodily
weakness, yet perhaps no one can say that the consequences were to be regretted, for
these were a life in conformity to higher principles. If the day and the night are such
that you greet them with joy, and life emits a fragrance like flowers and sweet-scented
herbs, is more elastic, more starry, more immortal,-that is your success. All nature is
your congratulation, and you have cause momentarily to bless yourself. The greatest
37
gains and values are farthest from being appreciated. We easily come to doubt if they
exist. We soon forget them. They are highest reality.... The true harvest of my daily life
is somewhat as intangible and indescribable as the tints of morning or evening. It is a
little star-dust caught, a segment if the rainbow which i have clutched."32
Tuttavia nonostante i suoi buoni propositi Alex si trovò ad affrontare qualcosa che senza
ombra di dubbio non aveva previsto. Quando arrivò al fiume Teklanika, che aveva
attraversato facilmente in primavera, scopre che il clima dell’Alaska gli ha tirato un
brutto scherzo: con le piogge estive e il disgelo dei ghiacciai quello che prima era un
piccolo torrentello, si è trasformato in un impetuoso fiume in piena: era pertanto
impossibile passare dall’altra parte. Così non gli restò altro da fare che ritornare
all’autobus in attesa che la portata dell’acqua diminuisse. Costretto a restare all’interno
della natura, Chris continuò a leggere, prendere appunti e scattare fotografie finché non
diventò troppo debole per cacciare. La fame e la mancanza di selvaggina lo spinsero a
cercare altre fonti di nutrimento. Avendo ormai perso venti kg, allo stremo delle forze,
finì per commettere un secondo errore stavolta fatale: affamato, mangia le radici di un
tubero commestibile, ingerendo anche i semi che sono altamente tossici e nei giorni
successivi il suo corpo, debilitato per la scarsità di cibo, non è in grado di eliminare le
tossine. L’1 agosto, dopo ben 100 giorni, Chris è felice di avercela fatta ma la sua
condizione di salute è molto precaria. Straziato da dolori, crampi, allucinazioni, riesce a
malapena a tenersi in piedi. Aggrappandosi ancora alla speranza di sopravvivere scrisse
un messaggio di SOS e lo appese all’esterno del bus, firmandosi per la prima volta con
la sua vera identità.
Attenzione possibili visitatori
S.O.S
Ho bisogno del vostro aiuto. Sono ferito,
prossimo alla morte e troppo debole per
andarmene da qui a piedi. Sono solo, questo non
è uno scherzo. In nome di Dio, vi prego, restate
per salvarmi. Sono nei dintorni a raccogliere
bacche e tornerò stasera. Grazie, Chris
McCandless
Agosto?
32
Nessun uomo seguì mai il suo genio tanto da esserne sviato. Sebbene il risultato fosse debolezza fisica,
tuttavia nessuno può dire che le conseguenze fossero da rimpiangersi, poiché queste erano una vita
condotta secondo principi più alti. Se il giorno e la notte sono tali che voi li salutiate con gioia, e la vita
umana emana una fragranza come fiori ed erbe molto profumate, il vostro successo sarà più agile, colmo
di stelle e immortale. Tutta la natura si congratula con voi e, momentaneamente, voi avete occasione di
benedirvi. I guadagni e i valori più grandi sono ben lungi dall'essere apprezzati. Facilmente giungiamo a
dubitare che essi esistano. Presto li dimentichiamo. Essi sono la realtà più alta. [...] Il vero raccolto della
mia vita quotidiana è qualcosa di altrettanto intangibile ed indescrivibile dei colori del mattino e della
sera. È un po' di polvere di stelle afferrata - un segmento di arcobaleno che abbiamo preso con una
mano.” Passaggio evidenziato in uno dei libri rinvenuti con la salma di Chris McCandless, Henry David
Thoreau, Walden ovvero vita nei boschi.
38
Poiché la strada più vicina si trovava a decine di chilometri di distanza, dopo due
settimane e mezzo di agonia, scrisse su un foglio, strappato al suo diario un ultimo
messaggio:
“I Have Had a Happy Life and Thank the Lord. Goodbye and may God Bless All” 33
4. LA SEDUZIONE DELLA WILDERNESS
Il rapporto con la Natura è sempre stato uno dei capisaldi della cultura angloamericana,
caratterizzandosi per il sentimento polivalente di attrazione, terrore, nostalgia e sfida per
quel mondo oscuro e selvaggio, attualmente noto con il termine Wilderness. Fin da John
Smith, primo colonizzatore che ne alimenta il mito, l'America si presenta agli occhi di
chi la guarda come una terra vergine, carica di promesse e di possibilità. Una terra
amata ma anche temuta. Ben presto, in contrapposizione all'insediamento umano, le
terre selvagge diventano l'emblema del pericoloso, del violento e del misterioso, ma
anche della libertà dagli obblighi sociali e dalle costrizioni. Il termine “Wilderness”
viene così utilizzato per identificare un ambiente naturale in cui non è possibile
rinvenire alcuna traccia di attività umana. Un paesaggio ritenuto quindi rischioso, tanto
per la sua lontananza dalla civiltà quanto per le condizioni ambientali ostili alla vita e la
presenza di animali selvatici. La sua definizione non si esaurisce però con la sua pura
descrizione fisica, ma riflette soprattutto una condizione interiore dell’individuo che può
essere sia di smarrimento e insicurezza, se palesa all’uomo la sua incapacità a
controllare e spiegare i fenomeni naturali, sia di entusiasmo se gli si associano capacità
rigeneratrici. La Wilderness rappresenta quindi la coscienza primordiale dell’uomo, la
parte istintiva del cervello. Nel momento in cui l’uomo moderno cessa di vivere
secondo la ragione, la Wilderness fa il suo ingresso. Le diverse, singole sfaccettature di
questo rapporto complesso possono sicuramente essere ritrovate nell'atteggiamento di
due grandi uomini che, a distanza di un secolo l'uno dall'altro, hanno saputo trasportare
a livello letterario, la loro personale esperienza in questo territorio così selvaggio,
inospitale e sconosciuto all' uomo: Thoreau e Christopher McCandless.
4.1. THOREAU: ARMONIA CON LA NATURA
Come già discusso nei capitoli precedenti, Thoreau fu uno dei principali rappresentati
della corrente del trascendentalismo. Seguendo la tradizione degli idealisti, i
trascendentalisti Americani postulavano l'esistenza di una realtà più alta di quella fisica.
Al cuore del trascendentalismo, infatti, stava la convinzione che esistesse una
corrispondenza o un parallelismo tra la superiore dimensione della verità spirituale e
quella inferiore degli oggetti materiali. Essi credevano fermamente che il posto giusto
dell’uomo fosse all’ interno di un universo diviso tra l'oggetto e l'essenza. Infatti, se
l'esistenza fisica teneva l’ individuo ancorato alla parte materiale, come tutto ciò che
faceva parte della natura, l' anima poteva dargli la possibilità di trascendere quella
condizione. Inoltre usando l'intuizione e l'immaginazione, l'uomo poteva giungere alle
verità spirituali. Questo atteggiamento mentale ebbe importanti effetti sul significato
della Wilderness americana.
33
Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore addio e che Dio vi benedica”.
39
In particolare, la concezione trascendentalista dell'uomo aumentava il fascino di essa
poiché mentre i Puritani temevano che l'innata peccaminosità della natura umana,
lasciata libera in un ambiente disordinato, avrebbe raggiunto il suo culmine, i
trascendentalisti consideravano l'uomo buono per natura e dunque non vedevano alcun
pericolo nel territorio selvaggio. Contrariamente alle idee puritane, essi affermavano che
la possibilità di ciascuno di ottenere la perfezione morale e di conoscere Dio
raggiungeva il massimo grado proprio entrando in contatto con la natura incontaminata.
L’atteggiamento di Thoreau nei confronti dell’ambiente naturale selvaggio venne non
solo influenzato dalle teorie di tale movimento, ma anche da ciò che egli pensava della
civiltà. A metà del XIX secolo, infatti, la vita americana era diventata frenetica e
materialistica, cosa che creava in lui e in gran parte dei suoi contemporanei, un senso di
vaga agitazione e insicurezza.
Benché il cammino verso il progresso fosse inarrestabile, la civiltà tecnologica
cominciava a compromettere la dimensione innocente e semplice della vita. Fu in tale
contesto che irruppe la filosofia di Thoreau, proponendo un nuovo paradigma di
rapporto uomo-Natura.
Anziché essere una forza ostile, da sottomettere ad ogni costo, il Wilderness diventò il
depositario di una saggezza da cui l’uomo avrebbe dovuto trarre insegnamento:
“Cresci selvaggio, secondo la tua natura, come queste carici e questi felceti, che non
diventeranno mai fieno inglese. Lascia che il tuono rombi; che importa se minaccia di
rovina il raccolto del contadino? Non è quello il messaggio che egli ti porta. Rifugiati
sotto la nube, mentre i contadini fuggono a ripararsi sotto carri e baracche. Fa’ si che
il guadagnarsi da vivere non sia un mestiere ma un divertimento. Godi della terra,
senza possederla. Gli uomini sono quello che sono, per mancanza d’iniziativa e di fede,
perché comprano e vendono e consumano la loro vita come servi della gleba.”34
Per quanto egli vedesse ormai prossima «l’invasione dei barbari», esisteva ancora una
speranza di rinvigorire il mito del Nuovo Mondo, rigenerando lo spirito dei suoi
abitanti. Negli anni in cui visse, l’America non aveva ancora terminato la sua
espansione verso il pacifico e i vasti territori, oltre la linea della frontiera, si
presentavano a Thoreau come gli ultimi avamposti di Natura incontaminata. Era in
quelle terre che scorgeva la speranza americana:
“L’Ovest di cui sto parlando non è che un sinonimo della vita selvaggia; e ciò che ho
cercato di dire è che la conservazione del mondo è attraverso la natura selvaggia”.35
Lo stato selvaggio, infatti, era fonte di forza e di ispirazione e il territorio incontaminato
dalla civiltà e dal progresso simbolizzava le qualità inesplorate e non utilizzate di
ciascun individuo. Anche la frontiera, per Thoreau, ovvero il confine tra la civiltà e lo
stato selvaggio, non solo non aveva una collocazione geografica definita ed era quindi
positiva, ma si trovava “ovunque un uomo debba affrontare una qualche situazione”36
.
Emerson, amico e mentore dell’autore, cita come tipica di quest’ ultimo la sua
“avversione” per le città troppo raffinate e piene d’artifici, ma soprattutto egli ricorda il
disgusto dell’ autore per l’ascia che continuava a distruggere la “sua foresta”.
34
Henry David Thoreau, Walden; or, Life in the Woods cit., trad. it., p. 278. 35
Henry David Thoreau, Walking cit., trad. it., p. 61. 36
R.F. Nash, op. cit., p.88.
40
Questo atteggiamento nei confronti della natura dimostrava una grande sensibilità, quasi
“indiana” ed egli stesso si identificava con gli animali da preda o con gli stessi
cacciatori indigeni. Thoreau, infatti, teorizza due forme di percezione: quella del
cacciatore e quella dell’agricoltore, in contrasto però l’una con l’altra.
Mentre quest’ultimo, ovvero il contadino, è un materialista, definitivamente immerso in
una routine fatta di lavoro e profitto, con il fine ultimo di guadagnare e spendere, il
cacciatore, invece, è un’anima libera il cui scopo nella vita non è quello di seminare o di
vedere maturare i frutti, ma di percepire tutte le forme di vita e di instaurare un rapporto
con esse. Sul lago Walden, Thoreau ricrea quella che fu l’esperienza dei Puritani e dei
pionieri dell’Ovest che vivevano sulla frontiera in uno stato intermedio tra civiltà e
territorio incontaminato. Lo stato selvaggio e la Wilderness, scriveva in “Walking”37
,
sono l’essenza dell’Ovest e l’Ovest è il simbolo di ciò che è essenzialmente americano.
“È in tale direzione che risiede per me il futuro e la terra là sembra meno sfruttata e
più ricca. […] Mi dirigo verso est solo se costretto, mentre mi oriento verso ovest in
totale libertà. Nessun impegno mi chiama. Mi è difficile credere di poter trovare una
natura libera e selvaggia, per quanto possibile, oltre l’orizzonte a est. Non mi eccita la
prospettiva di una passeggiata in quella direzione; ma sono convinto che la foresta che
vedo nell’orizzonte a ovest si stenda all’infinito verso il tramonto e che non vi sia
alcuna cittadina né città d’importanza tale da infastidirmi. Lasciatemi vivere dove
voglio, da questa parte si erge la città, da quella la selvatichezza e mi allontano sempre
più dalla città per ritirarmi nella natura. […] Devo camminare verso l’Oregon, non
verso l’Europa. […] Ci incamminiamo verso est per capire la storia e per studiare le
opere d’arte e di letteratura, risalendo così alle origini della stirpe umana; ci
incamminiamo invece verso ovest per tuffarci nel futuro, con uno spirito di
intraprendenza e di avventura.”38
I vecchi abitanti della frontiera hanno scalfito con l’aratro la superficie del Nuovo
Mondo da Est a Ovest, lasciandosi alle spalle una società segnata dalla schiavitù delle
regole sociali e dell’ambizione finanziaria. Le nuove frontiere non sono solo all’interno
degli attuali confini geografici della società americana, ma dentro la mente dell’uomo e
devono essere affrontate come il cacciatore della frontiera affrontava la Wilderness. Il
modo di scoprire la Verità tra le ambiguità del mondo reale è quella del cacciatore
indiano che insegue la preda, considerata come sacra. Egli, infatti, si sottomette
completamente alla necessità imposte dal suo ambiente, rischiando la vita davanti alla
forza della natura selvaggia. Inoltre l’indiano, il cacciatore per eccellenza, non lega il
proprio genio al suolo da dissodare e perciò, di tanto in tanto, riesce ad avere con la
Natura un legame particolare e raro. Tale legame, secondo Thoreau, è “casto”, mentre
quello dell’agricoltore con la terra è così intimo da diventare osceno ed è proprio
l’agricoltura a condurre alla degenerazione dell’uomo:
“Se [l’Indiano] è in qualche modo un estraneo in mezzo alla Natura, il giardiniere vi
sta troppo come un familiare. In quest’ultimo rapporto c’è qualcosa di volgare e di
corrotto, mentre nel primo c’è qualcosa di nobile e di pulito. L’uomo, immerso nella
civiltà, alla lunga si degenera...”39
.
37
Saggio di Henry David Thoreau, in italiano “Camminare”. 38
Henry David Thoreau, Walking cit., trad. it., p. 43. 39
H.D. Thoreau, A Week on the Concord and Merrimack Rivers, a cura di Denham Sutcliffe, New York
1961, p.57.
41
Il ritiro a Walden fu un tentativo sistematico di vivere alla maniera del cacciatore, di
abitare sulla frontiera dividendosi tra la comunione con altri esseri umani e la solitudine,
tra il civile e il primitivo, e di sottomettersi completamente alle necessità imposte
all’uomo da una dimensione naturale non mediata.
Il libro che descrive tale esperienza è strutturato come un racconto di conversione
personale attraverso cui l’autore sperimenta il “risveglio”. In esso si coglie il conflitto
tematico tra due diverse visioni esistenziali, quella dell’agricoltore e quella del
cacciatore, dell’uomo che vive in comunità e di quello che vive in solitudine, del
cristiano civilizzato e dell’indiano idolatra. Nel corso di quell’esperienza, Thoreau si
identificò sempre di più con l’Indiano.
Nonostante però la positività della Wilderness e dei suoi abitanti, il senso di agitazione e
di timore che essi avevano suscitato nei suoi connazionali non scompare del tutto in
Thoreau. Dopo aver visitato la cima rocciosa e impervia del monte Ktaadn in Maine, nel
1846, egli rimase scioccato dal paesaggio “selvaggio e spaventoso” dove si era sentito
“più solo di quanto si possa immaginare”.
L’ascesa al monte costituì un’esperienza particolarmente significativa poiché per la
prima volta egli, abbandonando il paesaggio addomesticato e rassicurante di Walden,
incontra la Wilderness, carica di primordiali, misteriose e indecifrabili forze.
Considerando la situazione dell’uomo sperduto “in un paesaggio “oscuro e intricato”,
osserva;
“Quella Natura vasta, titanica, inumana mi ha colto solo e mi sottrae qualcosa delle
mie facoltà più sublimi. Non mi sorride come nelle pianure [americane]”.40
Perduto sulla cima solitaria e inospitale, conclude che la Wilderness appare come “un
luogo adatto all’idolatria e alla superstizione, fatta per uomini che più di noi hanno una
parentela con le rocce e con gli animali selvaggi”. 41
Ripensando alla sua convinzione
giovanile secondo cui l’Indiano era il vero figlio della Natura, da cui traeva
quell’influenza morale che lo rendeva superiore all’uomo civilizzato, egli sostiene
invece, dopo il viaggio in Maine, che gli abitanti di quei luoghi erano gente sinistra e
trasandata... che faceva un uso grezzo ed imperfetto delle risorse naturali”. Ne trasse la
conclusione che l’unico a poter trarre un reale beneficio dalla Wilderness era il poeta,
perché come gli uomini comuni del mondo civilizzato ne ignoravano i valori e gli
aspetti positivi, anche i selvaggi possedevano pregi e valori esattamente come le nazioni
civili. Secondo Thoreau era necessario riuscire a combinare nello stesso uomo il buono
della Wilderness e i vantaggi della cultura, evitando gli eccessi di entrambe. La vitalità,
l’eroismo e la capacità di sopportare condizioni disagiate derivano dalla vita a contatto
con la natura selvaggia, ma devono essere bilanciate dalla sensibilità, dalla delicatezza e
dalla crescita morale e intellettuale caratteristiche della civiltà. L’uomo ideale occupa
questa posizione intermedia e Thoreau stesso, grazie all’esperienza vissuta a Walden,
diventa una sorta di incrocio delle foreste e della città, che desidera un equilibrio tra la
vita sociale e la solitudine, tra il selvaggio e il civilizzato. Senza il tonico della
Wilderness, le città diventano stagnanti. Solo sottomettendosi alla conoscenza della
natura selvaggia, al mistero e all’animalità del nostro mondo e della nostra persona, si
può agire in base a una serie di leggi superiori.
40
“Vast, titanic, inhuman Nature has got him at disadvantage, caught him alone, and pilfers him of some
of his divine faculty. She does not smile on him as in the plains.” Henry David Thoreau, The Maine
Woods, trad. It., p. 64. 41
R.F. Nash, op. cit., p. 91.
42
Il “vero americano”, dunque, deve riuscire a vivere in questa posizione intermedia, deve
riuscire a mediare tra l’istinto che lo porta verso la civiltà e la vita spirituale, e quello
che lo conduce verso una vita primitiva e selvaggia su un territorio incontaminato. Solo
in questo caso potrà raggiungere la completezza.
“Siamo incapaci di
apprendere tutto ci che è
sublime e nobile solamente
dalla realtà perpetua e
penetrante che ci circonda.
Non potremo mai avere
abbastanza della natura”
Henry David Thoreau
4.2. L’AVVENTURA DI MCCANDLESS: IL FUTURO NELLA
SAGGEZZA
Come già accennato nei capitoli precedenti, l’esperienza di Christopher McCandless è e
rimane tutt’ ora una sorta di mistero, che ha portato a lunghi dibattiti e diversi contrasti
fra i vari scrittori e membri delle società multimediali. Uno degli unici fattori certi è che
per tutta la durata del suo viaggio, Chris si è ciecamente e totalmente fidato di ciò che
Thoreau prima di lui aveva scritto e vissuto nei suoi diari. Determinato a scoprire la
verità, era disposto ad affrontare scoperte impreviste, combattere le proprie paure e ad
accettare il parziale o persino totale ribaltamento della propria prospettiva. Poiché la
verità che tanto cercava appariva come un luogo vago e inesplorato, McCandless decise
di collocarla geograficamente e di chiamarla Alaska. Aveva creduto così intensamente
alle parole di Thoreau da essere finalmente pronto a viverle. Nonostante percorsero le
proprie vite in secoli completamente diversi e lontani fra loro, Christopher e Thoreau si
distinsero rispetto a molti altri per le similitudini e le differenze che ebbero nel corso dei
loro rispettivi percorsi. Innanzitutto da un punto di vista prettamente economico
Christopher era certamente d’accordo con i principi thouroviani che si basavano in una
cospicua lotta contro il materialismo, il lusso e le comodità della vita. Entrambi
condannavo ciò che la società era e voleva far credere ai cittadini, distogliendo loro da
ciò che era davvero importante. In particolare Chris era contrario all’idea che le persone
avessero sul denaro, in grado solo, secondo il suo parere, di cambiare negativamente le
persone. Tuttavia fra i due era presente una notevole differenza: mentre Thoreau,
all’inizio del suo viaggio, possedeva appena un misero capitale per provvedere i mezzi
necessari al suo sostentamento in modo onesto e mirato ad una piena realizzazione di se
stesso, Christopher, al contrario, proveniva da una famiglia molto ricca, e proprio per
questo, avrebbe potuto procurarsi in qualunque momento ogni genere di arnese utile alla
sua impresa.
43
Ispirato tuttavia all’autore ottocentesco, McCandless decise di crearsi la propria povertà
attraverso mezzi artificiali, per evidenziare quanto la sua dedizione e il rispetto verso
quegli ideali fossero assolutamente importanti per lui.
“I sat at a table where rich food and wine in abundance, an obsequious attendance, but
sincerity and truth were not; and I went away hungry from the inhospitable board. The
hospitality was as cold as the ices” 42
Chris, infatti, nel momento in cui bruciò i suoi ultimi risparmi, voleva dimostrare a se
stesso di poter vivere evitando tutto il superfluo, capace solo di impedire e di garantirgli
la gioia di vivere, cercando invece di procurarsi il minimo indispensabile da solo. Egli
inoltre, soffocato dalla propria famiglia e dagli obblighi a cui era costretto a seguire per
via della sua posizione sociale, a maggior ragione voleva allontanarsi per vivere senza
dover obbedire o essere comandato da nessuno. Infatti, ciò che egli cerca e riesce a
raggiungere è la totale assenza dalle leggi umane, di ordine razionale. Al contempo,
insieme a Thoreau, ha il desiderio e la passione per la natura e non vede l’ora di
immergersi in essa. Entrambi sembrano avere le stesse ragioni di partire, ma in realtà il
loro approccio e la loro preparazione furono molto diversi. Nonostante Thoreau fosse
molto più povero e la società dell’epoca sicuramente non poteva garantire le comodità e
agiatezze di quella di McCandless, egli organizzò il suo viaggio molto più attentamente
di quanto fece quest’ultimo. Non solo entrò nella natura selvaggia con provviste di cibo
adeguate, ma costruì un riparo sicuro non molto lontano dalla città di Concord,
dimostrando così di favorire la solitudine ma entro certi limiti. Al contrario Chris, per la
parte finale e più importante del suo viaggio, decise di distaccarsi completamente dalla
civiltà poiché ricercava nella solitudine all’interno della natura selvaggia la libertà
assoluta che fino ad allora non aveva mai potuto provare. Tuttavia entrambi si accorsero
che il vivere nella natura comportava un notevole sforzo nel mantenimento dell’etica, di
fatto sconvolgeva quelli che erano i confini morali di una mente educata e rendeva
incerta la distinzione tra giusto e ingiusto, efferato e necessario. Infatti,
paradossalmente, uno dei fattori che li rese più simili furono i mezzi per cui provvidero
al proprio sostentamento. Nel pensiero di Thoreau non c’era spazio per l’utilizzo banale
dell’elemento naturale, nessuna giustificazione per il sacrificio inutile, sia esso di un
animale, di una pianta o di un uomo. Nemmeno in nome della scienza si era giustificati
a sopprimere la vita animale, la drammaticità di tale gesto graverebbe sull’animo
dell’uomo sensibile come una sentenza di condanna della Natura, e quindi di Dio. Fu
noto l’interesse di Thoreau per le scienze naturali anche se mancò sempre di un metodo
scientifico rigoroso. Del resto, egli stesso, dichiarò più volte nei suoi diari, di cercare un
punto di vista che tenesse conto tanto dell’aspetto scientifico quanto di quello poetico.
42
Sedetti ad una tavola imbandita di cibo ricco, vino abbondante e servi ossequiosi, ma alla quale
mancavano la sincerità e la verità; partii affamato da quel desco inospitale, L’ ospitalità era fredda come i
gelati. HENRY DAVID THOREAU, Walden, life on the woods.
44
E a causa di questa unione di intenti, dall’esperimento del 18 agosto 1854 scaturì un
forte senso di colpa:
“Ho appena eseguito l’uccisione di una cistudo (tartaruga scatola) nel nome della
scienza; ma non riesco a scusarmi per questo assassinio, e vedo che azioni simili non
sono coerenti con la percezione poetica, sebbene possano servire la scienza, e
influenzeranno la qualità delle mie osservazioni. Prego di riuscire a camminare nella
natura con più innocenza e serenità. Nessun ragionamento mi riconcilia con questo
atto. Mi influenza con ingiuria. Ho perso un certo rispetto per me stesso. In una certa
misura, ho l’esperienza di un assassino.”43
Per Thoreau la difesa della Natura non si limitava alla sola cura del paesaggio rurale,
alla preservazione delle foreste dallo sfruttamento del territorio agricolo. Essa si
tradusse anche in un rapporto diverso con gli animali, in cui intravedeva una simmetria
con l’uomo: “Per proteggere gli animali selvatici dobbiamo garantire loro una foresta
dove possano abitare o recarsi. Lo stesso vale per gli uomini”.44
Lo stato d’animo che ebbe dopo l’uccisione della tartaruga di terra fu il medesimo che
lo aveva attanagliato l’anno precedente, nel corso della sua seconda escursione nelle
foreste del Maine. Infatti, egli, in compagnia di George Thatcher, assistette alla triste
uccisione di un alce:
“Non era quello il mio scopo venendo nei boschi; non l’avevo neanche previsto,
sebbene fossi disposto a imparare come si destreggiava l’Indiano; ma a mio avviso, un
alce ucciso andava bene, o meglio male, come una dozzina. La tragedia del pomeriggio
e il mio ruolo in essa, distrusse il piacere della mia avventura poiché macchiò la sua
innocenza. […] Per contro, questo cacciare alci meramente per la soddisfazione di
ucciderli – neanche per avere la loro pelle – senza nessuno sforzo straordinario e senza
correre nessun rischio per quanto ti riguarda, è troppo simile all’uscire di notte in
qualche pascolo e sparare ai cavalli dei vicini.”45
Più interessato ad esaminare la flora del luogo, Thoreau si ritrovò ad assistere alla
caccia. Anche se il suo ruolo si limitò a quello di semplice spettatore, l’uccisione
dell’animale ruppe inesorabilmente l’incanto degli avventurosi boschi del Maine. La
Natura, nella sua espressione più intima e selvaggia, incarnata dalla nobiltà
dell’animale, era stata violata nel profondo facendo sfuggire la saggezza offerta agli
uomini. Interiorizzando tale esperienza come una “tragedia” Thoreau prese le difese
della Natura, schierandosi tanto contro al cacciatore quanto al taglialegna, uomini che
anteponevano il profitto economico al valore della vita. Ma il rispetto verso gli animali
si concretizzò in Thoreau anche nel rifiuto di cibarsi di essi. Egli fu risoluto nel
sostenere che l’uccisione degli animali, sia per cibarsene che per prenderne
semplicemente le pelli (come per l’alce di Chesuncook), facesse precipitare l’uomo nel
baratro perché violava quanto c’è di più sacro: l’innocenza della Natura. Se l’uomo
desidera vivere con saggezza, elevare la propria condizione per ritrovare l’unione con
Dio nella Natura, avrebbe dovuto quindi abbandonare questa barbarie.
43
Henry David Thoreau, Material Faith. Thoreau on Science, a cura di Laura Dassow Walls, Mariner
Books / Houghton Mifflin Company, Boston-New York, 1999; trad. it. a cura di Salvatore Proietti,
L’agire del mondo. Ragionando di scienza, natura, esperienza umana, a cura di Laura Dassow Walls,
Donzelli Editore, Roma, 2008, p. 87. 44
Henry David Thoreau, Walking cit., trad. it., p. 73. 45
Henry David Thoreau, Chesuncook cit., trad. it., p. 105.
45
Persuaso da Thoreau che pur non avendo mai rinnegato il diritto a cacciare la preda per
proprio nutrimento personale anche Chris, combattuto all’uccisione degli animali, cercò
in tutti i modi di uccidere il meno possibile. Sebbene si era informato su come cacciare
e conservare la selvaggina, poiché sapeva che senza di essa non sarebbe potuto
sopravvivere, incredibilmente visse quasi la stessa esperienza di Thoreau. Spinto dalla
fame e dalla disperazione riuscì ad uccidere un alce, ma non a preservarne le carni,
(lasciando il cadavere infestato da parassiti ai lupi). In seguito a questo episodio capì lo
stato d’ animo del suo mentore e scrisse nel suo diario che quella perdita costituiva
“One of the greatest tragedies of my life.”46
Non aggiunse spiegazioni. La parola
“tragedia”, la stessa utilizzata da Thoreau, includeva non solo lo spreco di cibo che
incorporava lo spettro corposo della fame, ma rendeva reale una disperazione non più
solo spirituale e mostrava disgraziatamente lo spreco di una bellezza vitale, facendo così
esaltare il rimorso di aver ucciso a vuoto.
Ritengo interessante come Krakauer nel diciassettesimo capitolo del suo libro fa notare
come, in seguito a quell’ esperienza, progressivamente diminuiscano nel diario di
McCandless le annotazioni astratte sulla natura. E’ evidente che col progredire della sua
esperienza in Alaska la sua attenzione fu dedicata maggiormente non più ai valori
estetici della natura, bensì al cibo che riuscito a procurare, alle piante commestibili che
ha saputo individuare e alle prede che è riuscito a catturare. Probabilmente, a quello
stadio della sua avventura, McCandless si era completamente interiorizzato nel mondo
selvaggio da capire che non si trattava più di un apprezzamento estetico del mondo
naturale, bensì diviene una questione di importanza vitale. A differenza di Thoreau,
infatti, le cui motivazioni alla ricerca del selvaggio miravano ad indagare la natura, l’
obiettivo di McCandless era quello di esplorare la sua anima, diventare responsabile di
se stesso ed imparare ad ascoltare a guardarsi intorno come se tutto fosse costantemente
nuovo, anche se il prezzo da pagare era una costante solitudine.
Sebbene fu tragica la conclusione del suo viaggio, ritengo sia proprio negli ultimi giorni
della sua avventura che ebbe piena realizzazione di ciò che andava cercando. Arrivando
al suo centesimo giorno di vita in Alaska era ben consapevole che la morte incombeva
su di lui minacciosa, di fatto, senza selvaggina, le sue condizioni di vita erano assai
precarie. L’ultimo appunto di Chris risale su sul diario in data 13 agosto 1992.
Caro Diario,
“Giorno100! CE L’ HO FATTA!... Ma
nelle più precarie condizioni di vita. La
morte incombe minacciosa. Troppo
debole per mettermi in marcia.
Letteralmente intrappolato nella natura
selvaggia-niente selvaggina. Ho
seriamente bisogno di cure mediche e
subito, le possibilità di uscire da questa
natura selvaggia vivo sono molto scarse.
Rimasto intrappolato nella natura, non
posso fare niente per salvarmi.
Cordialmente
Alexander Supertramp, 1992
46
“Una delle più grandi tragedie della mia vita”.
46
Morì in seguito ad un’intossicazione alimentare: mangiò una pianta velenosa di nome
hedysarum mackenzii scambiandola per una buona, l’headysarum alpinum e pare che
questo errore fu fatale per il suo organismo. Sfortunatamente la natura selvaggia che
tanto aveva bramato, si era rivelata una trappola mortale. L’Alaska di cui parlava agli
altri con tono quasi puerile, lo aveva tradito, si era presa gioco di lui. A differenza di
Thoreau, infatti, che da buon viaggiatore ebbe modo di beneficiare delle meraviglie del
paesaggio naturale ed incontaminato ed immergersi sempre più nella solitudine, fino a
sfidare le stesse possibilità di sopravvivenza, per McCandless la Wilderness rappresentò
non solo libertà e verità, ma anche il rischio e la minaccia ultima.
Nel suo caso l’acquisizione della saggezza non è avvenuta come per Thoreau attraverso
il girovagare nella Natura apprezzandone e rispettando tutti i suoi aspetti, ma si
concretizzò attraverso la spontaneità e la profondità degli incontri fatti.
Di fatto tutte le persone che Chris incontrò lungo il suo peregrinare non solo colmarono
un vuoto familiare, fonte di profonde sofferenze, ma amplificarono l'idea di un percorso
volto a liberarsi da qualsiasi dipendenza da ogni tipo di comfort e privilegio.
Oggi, lo stesso Krakauer crede che, indipendentemente dalla riuscita del suo libro, Chris
McCandless resta certamente un emblema dei grandi quesiti irrisolti della vita moderna.
“Uno dei motivi per cui ho deciso di scrivere il libro è che mi sono identificato con
Chris e mi sono sforzato di capirlo – anche se non pretendo di esserci riuscito fino in
fondo”, spiega Krakauer, “ Chris non era un ragazzo come gli altri. Era molto
egocentrico. Era ostinato, impetuoso. Ma era anche puro di cuore. E la cosa
straordinaria, di lui, è che non accettava compromessi. Aveva grandi ideali, un forte
senso di rettitudine morale. Credeva che la sua missione nella vita fosse quella di
abbandonare la via più facile. Molti lo hanno giudicato semplicemente un pazzo
incompetente e irresponsabile – perché si sono chiesti, non si è portato un’accetta e una
radio, andando in Alaska? Ma a loro Chris avrebbe risposto: “non sarebbe più stata
un’avventura”. In un mondo come quello odierno, dove su una mappa non ci sono più
spazi vuoti, Chris ha lasciato a casa tutte le mappe. Ma ciò che maggiormente va lodato
al giovane McCandless è la semplicità e la riservatezza con cui si è accinto alla
rivoluzione interiore. Non è andato nelle piazze a declamare i suoi risentimenti e a
rimproverare i concittadini, non ha cercato di indottrinare le persone che ha conosciuto,
ma anzi ha lasciato un forte e genuino ricordo nei cuori di queste. Ma forse l’amara
verità risiede nella sua ultima considerazione scritta prima di morire. “Happiness is real
only when shared”, suona come un paradosso: due anni spesi alla ricerca di un
cambiamento radicale per comprendere il senso stesso dell’esistenza, solo poco prima di
abbandonarla.
47
Il seguente passaggio è uno dei più toccanti tra quelli sottolineati da Alex durante il
periodo di vita solitaria nella natura selvaggia. Ora più che mai, il suo significato risulta
chiaro:
“Si accorsero allora che solo la vita simile alla vita di chi ci circonda, la vita che si
immerge nella vita senza lasciar segno è vita vera, che la felicità isolata non è
felicità”.47
Fuori dal Bus 142 sullo Stampede Trail, 13 Agosto 1992
47
“Il dottor Zivago”, Boris Pasternak
48
5. CONFLITTO DI OPINIONI: McCANDLESS EROE O FOLLE?
A cause delle misteriose circostanze che hanno condotto alla morte del giovane
McCandless, si è acceso un lungo dibattito riguardante la preparazione più o meno
appropriata del ragazzo nell' affrontare le asperità dell' Alaska. Molti lettori della rivista
Outside, su cui l' autore pubblicò il suo primo scritto sulla morte del giovane,
interpretarono le sue scelte non solo come prova di evidenza stupidità, ma soprattutto di
arroganza. In seguito al ritrovamento del cadavere, alcuni critici hanno tracciato diversi
parallelismi fra McCandless e la figura di Sir John Franklin, ufficiale britannico dell'
Ottocento che, a causa della propria superbia, condusse alla morte se stesso e i 139
uomini della sua spedizione. Secondi molti, ciò che portò entrambi alla morte fu non
soltanto l' assenza di cibo, ma soprattutto la mancanza di umiltà e di rispetto per la
natura. Tuttavia Krakauer notò una sostanziale differenza fra i due: mentre Franklin
vedeva in essa l' antagonista da piegare alle proprie necessità, McCandless, al contrario,
si affidò totalmente al sostentamento che aveva da offrirgli. Quindi se nel primo caso la
natura è stata sottovalutata, nel secondo vi è addirittura un eccesso di umiltà.
McCandless era senza dubbio immaturo, troppo sicuro di se e sopravvalutò le proprie
capacità, ma allo stesso tempo si dimostrò abbastanza in gamba da resistere quattro
mesi con quel poco che aveva e il suo ingegno. Essendo sopravvissuto l' anno
precedente per oltre un mese con poco più di due chili di riso e con il pesce che
catturava, questa esperienza l' aveva convinto di potersi procurare cibo a sufficienza per
resistere a lungo anche alle asperità dell' Alaska. La realtà è che McCandless non
voleva in alcun modo affidarsi agli strumenti che avrebbe potuto avere poiché non
voleva alcun tipo di vantaggio da parte della civiltà. Al contrario voleva farsi
affidamento solo ed esclusivamente agli elementi della natura per sviluppare un
rapporto più autentico con essi e spogliarsi definitivamente della tecnica moderna e
supposta superiorità dell' essere umano sulla natura. La mancanza di equipaggiamento
ed in particolare di cartine topografiche aggiornate, non è dovuto a incompetenza o a
una previsione erronea, ma alla scelta cosciente e consapevole di rinunciare ad ogni
beneficio del mondo civilizzato. Voleva dimostrare a se stesso che poteva farcela da
solo, senza l' aiuto di nessuno.
Di seguito ho riportato quattro articoli dimostranti il diverso scalpore e le diverse
reazioni tra gli abitanti e i molteplici conoscitori della sua storia.
49
McCandless: Hero or dumb jerk?
Judith Kleinfeld
(Published: July 20, 2001)
Christopher McCandless, the 24-year-old who died of starvation on the Stampede Trail
tucked into the sleeping bag his mother made for him, has become an Alaska icon.
Jon Krakauer's best seller "Into the Wild" immortalizes this young man, who walked
into the wilderness with no map, no ax, no mosquito repellent and no first aid
equipment.
If McCandless had only had a U.S. Geological Survey map, he could have figured out
how to get out when he tried to leave, when the Teklanika River, which he had walked
across in April, turned into a raging torrent in July.
But that was his point, to throw away the maps in order to create a personal frontier.
Many Alaskans react with rage to his stupidity. You'd have to be a complete idiot, they
say, to die of starvation in summer 20 miles off the Parks Highway.
So why does the story of McCandless resonate with so many young people?
A Cincinnati rock band even named itself after the abandoned school bus where he
squatted and died, Fairbanks 142.
Some hikers make pilgrimages to the bus. The 2001 Milepost has an entry for people
who want to make the trek. The bus has a guest book so hikers can write about their
emotions when they get there.
In the spirit of full disclosure, I will come clean about my own emotions. "Into the
Wild" is a book wellnamed. This kid drives me wild. I have three adult children, about
the same age as Chris McCandless. If they ever did to me what McCandless did to his
mother ...
OK, the boy had "issues" with his father, but Chris McCandless had no problems with
his mother, who sewed him the sleeping bag that turned into his shroud, or with his
younger sister, whom he professed to love.
Many young people want to test their mettle right out of college, to go on a great trek of
the body and the soul. That's natural. But he could have sent his family a postcard.
Now that I have done full disclosure, I will recover my composure and tackle the
question of why the bus has become a mecca for McCandless pilgrims who see in this
young man's life such powerful parallels with their own.
Joseph Chambers, a Northern Studies master's student at the University of Alaska
Fairbanks, wrote an illuminating answer to this question.
"Jon Krakauer's article on McCandless broke just as my college friends were preparing
to leave the comfort of the university to seek something different," Chambers writes.
"We talked about McCandless over breakfasts in late-night diners, into the evening
during study breaks, on canoe trips and around winter campfires.
"The story of the idealistic young man kept creeping into our conversations about future
dreams."
They even coined a new phrase, "pulling a McCandless," as in "Did you hear about
Susie? She's heading off to Borneo. She's pulling a McCandless."
So what does "pulling a McCandless" mean? The phrase had a general meaning: a
person embarking on a new and unique adventure. But "pulling a McCandless" had
three other meanings that expressed the questions that accompany the self-designed rite
of passage:
"1. The Hero: A person following their dreams, seeking to test themselves with
adversity and risk in order to live life fully.
2. The Soul Searcher: A person abandoning social conventions in an effort to seek truth
50
and to discover the true self that remains hidden under social constraints. A person
striving to stick to their deepest values and convictions no matter what the cost.
3. The Dumb Jerk: A person who is futilely questing for something meaningless or
worthless. A person who is woefully unprepared for a trip, who clings to misguided,
self-righteous principles, losing friends and hurting themselves and their family in the
process."
Which one of these was Christopher McCandless? And which one is Susie who is
heading to Borneo? And which one are we all? McCandless' family placed a brass
plaque on the school bus, above their son's worn-out hiking boots, patched with duct
tape.
The memorial reads: "Chris, our beloved son and brother died here during his
adventurous travels in search of how he could best realize God's great gift of life. With
his final message,
I have had a happy life and thank the Lord. Goodbye and May God Bless All,' We
commend his soul to the world."
In questo articolo Judith Kleinfeld, professoressa di psicologia dell’università di
Fairbanks, pone la domanda del perché, nonostante Chris sia stato incosciente e stupido
ad intraprendere un viaggio di tale portata senza i mezzi necessari e fondamentali,
rappresenti tutt’oggi un esempio e un icona per la maggior parte dei giovani che,
soprattutto dopo l’ università, sentono il bisogno, come Chris, di riscoprire se stessi. La
risposta a questa domanda è stata data da Joseph Chambers, studente universitario che,
attraverso l’espressione “Pulling a McCandless”, delinea Chris in tre modi differenti:
L’eroe: ovvero la persona che insegue i suoi sogni, incurante dei rischi e dei pericoli in
modo tale da vivere la propria vita pienamente.
Il ricercatore della propria anima: ovvero una persona che abbandona che lotta per i
propri ideali ad ogni costo per scoprire il vero se stesso, rimasto nascosto e sovrastato
dai vari doveri ed obblighi imposti.
Lo stupido incosciente: la persona che si pone quesiti e domande senza senso.
Impreparata ad affrontare un qualsiasi viaggio, che si aggrappa agli errori, a principi
ipocriti, con il risultato di rimanere senza amici e ferire se stesso e la famiglia.
Ritengo che Chris incorpori tutte e tre le classificazioni.
51
Chris McCandless: His Supporters and Critics
by Eve Lee, Fall 2009
Ever since Jon Krakauer, author of Into the Wild, first reported Chris McCandless’s
journey to Alaska in Outside magazine, the young man's death in that wilderness has
been a controversial topic. Many people have differing opinions about Chris
McCandless and his adventure, particularly over whether McCandless had a death wish,
was insane, or was simply incompetent.
While Krakauer, a defender of McCandless, believes that he was just a determined
adventurer, critics such as Terry Tomalin, author of “Mistakes Can Be Deadly in the
Wild,” along with other critics quoted within Krakauer's book, believe that McCandless
was an overeager, and foolish man. Krakauer seems to respect McCandless’s actions,
comparing him to a monk and stating, “one is moved by [his] courage, [his] reckless
innocence, and the urgency of [his] desire” (97). On the other hand, McCandless’s
critics appear to not comprehend those actions, and argue that McCandless is a “kook,”
that “[he] had already gone over the edge and just happened to hit bottom in Alaska”
(Krakauer 71).
Although the young man's many critics disagree on whether to celebrate or disparage
McCandless, most seem to agree that Chris McCandless was intelligent, that he
deliberately under-planned for his solitary journey to Alaska, and that the purpose of his
foray in Alaska was not to commit suicide.
Both accusers and defenders agree McCandless was deliberately journeying with
minimal supplies. This is evident when Krakauer states that “[b]y design McCandless
came into the country with insufficient provisions, and he lacked certain pieces of
equipment deemed essential...” (180). Another critic of McCandless quoted in Into The
Wild agrees with Krakauer and states that McCandless was “purposely ill-prepared”
(Krakauer 71). However, since Krakauer comes from a similar background as
McCandless (Krakauer is a mountaineer and he also had problems with his father), he
seems to be able to relate and understand McCandless’s need to forsake everyone and
everything during his escapade. Krakauer states, “…we had a similar intensity, a similar
heedlessness, a similar agitation of the soul” (155). Krakauer asserts that McCandless
just wanted to accomplish something by his own means, which meant brining only the
minimum, essential supplies needed to survive (159). Krakauer adds that he believes
McCandless was preparing to go back to his family, asserting, “There is no question,
however, that he intended to walk out” (168-169).
However, the majority of McCandless’s critics do not seem to understand McCandless’s
decision to journey without back-up plans, even when they come from similarly active,
outdoorsy backgrounds. Critics deem McCandless’s actions arrogant and believe that he
was “lucky” to have survived for as long as he did (Krakauer 71-72). While critics
believe that McCandless’s lack of planning was careless, Krakauer argues that
McCandless was not careless and that “[he] knew precisely what was at stake.” Indeed,
Krakauer says, “McCandless, in his fashion, merely took risk-taking to its logical
extreme” (181).
Both Krakauer and Tomalin believe that McCandless was not suicidal. This is apparent
when Tomalin imagines McCandless fighting for his life by “forag[ing] for wild plants.”
Krakauer believes that “…McCandless’s death was unplanned, that it was a terrible
accident…” (134). Krakauer believes that McCandless was just fascinated and obsessed
with challenging himself, and he just wanted to see how far he could push himself while
trying his best to come out unscathed (156).
52
Nevertheless, the two men disagree on the cause of McCandless’s death. Tomalin
believes the desperation and “panic” of starving, coupled with eating the “wrong” seeds,
led to McCandless’s death. Tomalin argues, “It is that critical moment that panic rears
its ugly head. Give in to it, you die. Resist, you live.” On the other hand, Krakauer
believes that McCandless did not eat naturally poisonous seeds. Instead Krakauer argues
that McCandless made an error, and put non-toxic, wild potato seeds in a damp plastic
bag, causing them to rot and making them poisonous and fatal (194). Chris
McCandless’s death garnered much attention because of the mysterious circumstance in
which it occurred. As with every mystery, there are many opinions to consider. At first,
critics and supporters of McCandless appear to view his story in very conflicting ways.
However, both proponents and opponents of McCandless agree that he was an
intelligent young man seeking adventure. They also believe that Chris McCandless
made some regrettable decisions that could have saved McCandless’s life. Krakauer
agrees there were “avoidable blunders” (Krakauer 185). Unfortunately, since it is
impossible for McCandless to change his actions, the most people can do is, as Tomalin
puts it, “…learn from his mistakes,” and, as Krakauer puts it, hope that he went
peacefully (199).
In questo articolo è evidente la presa di posizione che diversi personaggi hanno avuto a
riguardo della sua storia. Primo fra tutti è lo scrittore Krakauer che dopo esserne rimasto
affascinato e colpito dalla sua vicenda e aver scritto il noto romanzo “Nelle terre
estreme”, si rivela essere in questo articolo chiaramente dalla sua parte, difendendolo da
ogni accusa e ritenendolo semplicemente un giovane avventuriero determinato. Molti
altri, come lui, sono d’accordo nel definire Chris un ragazzo intelligente, ben
consapevole di essersi addentrato nei territori dell’Alaska inesperto, ma senza alcun
intento di suicidarsi.
Al contrario in molti si sono trovati in totale disaccordo sull’intento di Krakauer ed altri
di difendere il giovane. Terry Tomalin, autore di “Mistakes Can Be Deadly in the
Wild,” lo definisce un ragazzo troppo impaziente e certamente fuori di se. Insieme ad
egli, molti altri critici continuano a non comprendere la sua decisione, ritenendolo
arrogante e soprattutto fortunato ad essere rimasto in vita per così a lungo.
Ciò che accumuna Krakauer e Tomalin è il fatto che nessuno dei due lo considera un
suicida. Di fatto per l’ intera permanenza in Alaska e per di più ancor prima di
addentrarsi, Chris si era informato non solo su come cacciare e conservare la selvaggia,
ma anche sulle varie piante selvatiche di cui potersi nutrire.
Il loro pensiero tuttavia, si differenza ancora una volta, sulla causa della morte di Chris.
Mentre Tomalin sostiene che la ragione principale fosse la disperazione e il panico
generatosi per la mancanza di cibo, dall’ altro lato Krakauer sostiene che Chris abbia
commesso un errore nell’ inserire dei semi di patata selvatica inizialmente innocui nel
suo zaino rendendoli velenosi e fatali.
Nonostante le varie opinioni contrastanti, entrambe le fazioni sostengono che
sicuramente Chris era ed ha dimostrato di essere un ragazzo intelligente, ma allo stesso
tempo ha commesso diversi errori che potevano essere facilmente evitati. Tomalin,
conclude infatti, con la citazione: imparare dai propri errori” anche se purtroppo in
alcuni tragici casi, come il suo, non è più possibile.
53
Death of an Innocent: In 1990 Chris McCandless left his well-off East
Coast family, gave his college fund to Oxfam, and took to the road -
young, idealistic, invincible. Last year, equipped with little more than
Tolstoy and a rifle, he hitched into Alaska. There, the wilderness
turned against him JON KRAKAUER Sunday 11 April 1993
When news of McCandless's fate came to light, most Alaskans were quick to dismiss
him as a nutcase. According to the conventional wisdom he was simply one more
dreamy greenhorn who went into the bush expecting to find answers to all his problems
and instead found nothing but mosquitoes and a lonely death. Dozens of marginal
characters have gone into the Alaskan backcountry over the years, never to reappear. A
few have lodged firmly in the state's collective memory. There is, for example, the sad
tale of John Mallon Waterman, a visionary climber much celebrated for making one of
the most astonishing first ascents in the history of North American mountaineering - an
extremely dangerous 145-day solo climb of Mount Hunter's South-east spur. Upon
completing this epic deed in 1979, though, he found that instead of putting his demons
to rest, success merely agitated them. In the years that followed, Waterman's mind
unravelled. He took to prancing around Fairbanks in a black cape and announced he was
running for president under the banner of the Feed the Starving Party. To publicise his
campaign he laid plans to make a solo ascent of Denali, in winter, with a minimum of
food. After his first attempt on the mountain was aborted prematurely, Waterman
committed himself to the Anchorage Psychiatric Institute but checked out after two
weeks, convinced that there was a conspiracy afoot to put him away permanently. Then,
in the winter of 1981, he launched another solo attempt on Denali. He was last placed
on the upper Ruth Glacier, heading unroped through the middle of a deadly crevasse
field en route to the mountain's difficult East Buttress, carrying neither sleeping-bag nor
tent. He was never seen after that, but a note was later found atop some of his gear in a
nearby shelter. It read: '3-13-81 My last kiss 1:42 PM.' Perhaps inevitably, parallels
have been drawn between John Waterman and Chris McCandless. Comparisons have
also been made between McCandless and Carl McCunn, a likable Texan who in 1981
paid a bush pilot to drop him at a lake deep in the Brooks Range to photograph wildlife.
He flew in with 500 rolls of film and 1,400lb of provisions but forgot to arrange for the
pilot to pick him up again. Nobody realised he was missing until state troopers came
across his body a year later, lying beside a 100-page diary that documented his demise.
Rather than starve, McCunn had shot himself in the head. There are similarities among
Waterman, McCunn, and McCandless, most notably a certain dreaminess and a paucity
of common sense. But unlike Waterman, McCandless was not mentally unbalanced.
And unlike McCunn, he didn't go into the bush assuming that someone would magically
appear to bring him out again before he came to grief. McCandless doesn't really
conform to the common bush-casualty stereotype: he wasn't a kook, he wasn't an
outcast, and although he was rash and incautious to the point of foolhardiness, he was
hardly incompetent or he would never have lasted 113 days. If one is searching for
predecessors cut from the same cloth, if one hopes to understand the personal tragedy of
Chris McCandless by placing it in some larger context, one would do well to look at
another land, in a different century altogether. Off the south-eastern coast of Iceland sits
a low barrier island called Papos. Treeless and rocky, perpetually knocked by gales
howling off the North Atlantic, the island's first settlers, now long gone, were Irish
monks.
54
They arrived as early as the fifth and sixth centuries AD, having sailed and rowed from
the western coast of Ireland. They crossed one of the most treacherous stretches of
ocean in the world without knowing what they'd find.As the great Arctic explorer
Fridtjof Nansen points out, the monks risked their lives - and lost them in droves -
'chiefly from the wish to find lonely places, where these anchorites might dwell in
peace, undisturbed by the turmoil and temptations of the world'. When the first handful
of Norwegians showed up on the shores of Iceland in the ninth century, the monks
decided the country had become too crowded, even though it was still all but
uninhabited. They climbed back into their curraghs and rowed off towards Greenland.
Reading of these monks, one is struck by their courage, their reckless innocence, and the
intensity of their desire. And one can't help thinking of Chris McCandless.
In questo articolo il giovane Chris è stato paragonato a diversi personaggi. Primo fra
tutti è presente una comparazione tra lui e lo scalatore John Mallon Waterman,
conosciuto per essere stato il primo ad aver percorso l’ascensione del monte Hunter in
145 giorni. Tuttavia per via dei suoi problemi mentali dovuti ad un infanzia difficile e
probabilmente trasmessi da sua madre, la sua persona e le sue esperienze vengono
giudicate negativamente.
Altro paragone viene fatto tra Chris e Carl McCunn, fotografo americano della flora e
fauna selvatica. Quest’ ultimo venne trovato senza vita poiché pagò un pilota per
portarlo nella natura per fotografarla, ma si dimenticò di farsi dare le coordinate per il
ritorno. Venne ritrovatom così, senza vita un anno dopo insieme al suo diario.
Waterman, McCandless e McCunn vengono accomunati per mancanza di buonsenso,
ma ciò che differenzia Chris da loro è che sicuramente non era mentalmente disturbato e
soprattutto non offri denaro alcuno per addentrarsi nella natura. Sebbene fosse
certamente un eccentrico, precipitoso ed incauto dall’altro lato non era un incompetente
altrimenti non sarebbe mai sopravvissuto 113 giorni da solo.
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What Really Drove Christopher McCandless ‘Into the Wild,’
According to Sister Carine’s Memoir
BY ZACH SCHONFELD 11/16/14 AT 2:27 PM
Why did Christopher McCandless die?
The question still puzzles and haunts, even now, nearly two decades after Jon Krakauer
detailed the Alaskan explorer’s doomed journey in Into the Wild. But there’s a slightly
different one at the center of The Wild Truth, the new memoir by the late adventurer’s
younger sister, Carine McCandless. What drove McCandless to up and leave his
comfortable, upper-middle-class existence, abandoning his family for remote
wilderness, in the first place?
The answer, McCandless suggests, has much to do with events that took place years
before her brother’s 1990 severing of ties and 1992 death. The Wild Truth chronicles a
childhood marked by domestic violence at the hands of an abusive father and an
enabling mother, and by doing so, it offers a poignant look at Christopher McCandless’s
life and death from the person who knew and understood him the most. The author kept
these details private for decades—even as Into the Wild was turned into a major 2007
film—but “I found my voice through this process,” McCandless told Newsweek. “I
really want this book to help other people find their voice.”
It’s been more than 20 years since Chris’s death. Why now? Why is now the right
time to make this whole story public?
Throughout those years, I’ve come to understand how important it is that people have
Chris’s entire story. By sharing my story, I’m filling in the blanks of his—things I’ve
learned from Chris and things I’ve applied to my life. But I hear from people all around
the world, and I’ve worked with students all across the country, where Into the Wild is
required reading. And I see the difference that it makes. I’ve been fortunate to witness
such overwhelming reactions from countless people I’ve been able to offer a new
perspective to. Those experiences made me appreciate that I have something important
to share. I realized it was time to share that with as many people as possible.
Another huge reason that now was the right time is I’m a mom. It didn’t change it as far
as what the facts are and the experiences. But it changed my level of acceptance and
forgiveness. Because I can’t imagine not doing everything possible to protect my
children. The media and people will automatically gravitate to the shocking revelations
about domestic violence that was present in our household. I understand that. I can
appreciate why that is important. I understand how people suffer in silence that suffer
from domestic violence. Obviously it took me 20 years to write this book, and I get why
they hold it in. I found my voice through this process. I really want this book to help
other people find their voice.
My mother used to speak to me on a daily basis about how she wanted to help battered
women and she wanted to help children and she wanted to help people that were in the
same situation that we were in. And she wasn’t able, unfortunately, to be strong enough
to find that courage and to be that voice for others and to get herself and her children out
of that situation. In doing so, she went from being my father’s primary target to his
accomplice. Chris’s story is an unbelievably powerful example of the devastating
effects that domestic violence can have on children and on families.
I think it’s a lesson that needs to be out there. It’s a timely issue as well these days.
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Obviously people are giving attention to this as well because of how much the issues of
domestic violence are on social media, from the Ray Rice incident and so many
different things. This book was completed before this ever happened. But the timing of
that just lends itself as evidence [of] how prevalent this is and how much it stays behind
closed doors and how important it is to open those doors. So whereas I’m sure my
mom—I don’t want to speak for her because I don’t think that’s fair. But I’m strong
enough to be that voice for her. She’s an important part of that lesson. And I have no
desire to villainize my parents at all. They are human. They make mistakes. I certainly
have made mistakes. I talk to students all the time about the importance of accepting
your mistakes, accepting responsibility for them, not placing blame for any
consequences from poor choices you make. That was done to us as children. You don’t
know any better. You understand when you grow up that it’s not your fault when you’re
in the situation of a dysfunctional and violent household.
With regards to the timing, I’ve spent 20 years waiting for two particular people to learn
these lessons that I believe come from Chris’s life and death.
You mean your parents?
Yeah. My parents did a lot of things right. We certainly did not have the toughest
childhood out there. I wouldn’t say we had a safe home, but we had a roof over our head
and a nice home to live in. And we absolutely appreciated and understood that. As a
parent, I understand now that that is not always easy to provide. I respect that and
appreciate that about my parents. But it does not negate the truth of the negative things
and the devastating things that happened.
I didn’t write this book in defense of Chris. But I think it’s very important for people to
best learn from him, that they have the facts and they understand just how much Chris
was hurting when he left. And have a better understanding and appreciation of why he
felt like he needed to do it the way he did. Chris was young and male—and I make no
excuses for the risks he took and the mistakes he made that put himself in that position.
But Chris accepted responsibility for his mistakes when he was dying. He loved life
more than anyone I’ve ever known. And Chris did not sit there and lay blame on
[parents] Walt and Billie for his death. I hold them accountable for his disappearance.
But I certainly don’t blame them for his death.
At first I assumed your parents were no longer alive and that was why you felt
comfortable writing the book. But that’s not the case. Have you been in touch with
them during this process?
All I can tell you is that I’ve made sure they received an advance copy of the book
because I wanted them to have the opportunity to respond to it and not be bombarded by
the media. As much as I hope that this book might provoke some healing within them
and some honesty about things, I don’t expect that to happen. I don’t expect a
reconciliation from this.
What I expect is denial.
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So they’re denying your account?
Oh, sure. This in no way surprises me. It doesn’t anger me. They never did understand
their son, nor the damage they were doing to him or to any of us. I believe this book is
going to help a lot of people, and I believe it will be powerful in its message. It could be
100 times more powerful if my parents had written it and written it honestly. If they had
the ability to do this, about what happened and what they learned from that. They
certainly deserve empathy for losing their son. And they certainly deserve the respect of
humans that make mistakes.
I felt like I was doing a disservice not just to Chris and his memory but a disservice to
all of the people who seek inspiration from Chris. And honestly? I was doing a
disservice to my parents. You can’t write a book with the word Truth in the title and not
make sure it’s accurate. I had to do a lot of research and a lot of interviews and a lot of
digging when I was writing about things that happened before I was born or when I was
too young to recall. I had to be very careful about that.
When did you begin work on the book?
Three years ago. It’s something I’d been journaling about for years and years and years.
But I decided that I would try to turn this into a book three years ago.
I think a lot of people will assume [that Walt and Billie are deceased]. It would be a lot
easier then, wouldn’t it? I know that I could have waited a certain number of years. That
just seems so sinister and awful. If the time was right within me and for all the right
reasons that I feel it was right to do this, time should not be a factor with that. It should
be, once you know it’s right and once you know it should be done, you should quite
frankly have the balls to do it and not have any factors come into play. It seems like sort
of a cop-out to me to only come out with this information that’s already so overdue, to
wait until I couldn’t be lashed back at.
Why do you think Chris’s story has resonated so much with people over the years?
I believe people identify with Chris because there’s something within him that he did
that people want to do. It doesn’t have to be going out into the wilderness. It doesn’t
have to be taking great risks. And please, acknowledge: Chris made some mistakes. He
took too great of risks. But people do that all the time, they push themselves to the edge.
And extremists like that seem to feel more alive that way.
I think people identify with [Chris’s] discipline. Maybe it’s not something they identify
with, but something they strive for. Chris made decisions and then he followed through
on them. Didn’t matter how difficult they were, didn’t matter how far out of his comfort
zone they took him. A lot of people tell me they left a job they hated. I’ve heard from so
many people. It has nothing to do with them wanting to go on a wilderness adventure.
It’s, you know what? I watched the movie or read Into the Wild and I decided, I don’t
like what I’m doing every day! And I’m going to change it! And they have! I still get
letters from these people years later.
Sometimes it’s people who had a goal to run a marathon. And they lost 100 pounds and
ran a marathon and send me pictures like, “Look at what I did and your brother did this
for me!” I always say to them, “Take your own credit where it’s due.”
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Chris may have been the spark that ignited that fire in you. But you made that decision
for yourself. Chris cannot do these things for people. Chris can inspire people to do
these things for themselves. And he does it every day.
Do you think Chris would have wanted to be this iconic figure that he has become?
I think Chris would not understand what all the fuss is about. Chris did not see himself
as a remarkable person. He knew he wasn’t invincible, because he knew he was taking
risks. But he was very confident and believed he could get himself out of any situation.
And perhaps overconfident, as many young men are. And young women, too, but
especially young men.
I do believe the attention would make him uncomfortable. But I believe just as much
that he would be proud of the things people are learning from him and the positive
changes they were making in their life because of him. And I’m very proud of the work
I did in this book because if it helps one woman leave an abusive relationship, if it helps
her get her kids out of an abusive relationship, if it helps some young woman recognize
this in someone that she’s dating and not continue that relationship so she doesn’t end
up having children in an abusive household.... If it helps one person, and I know that’s
cliché, but true. And I think Chris would be proud of that.
Are you uncomfortable at all with the way some people glorify Chris’s actions?
It depends on what they’re glorifying. I think it’s important to balance Chris’s mistakes
along with his successes. I think it’s important to have that balance. Because Chris was
also human. Just as I say people cannot learn from my parents if they’re villainized,
which was certainly not my intent as I wrote my book. Just as people can’t learn from
villains, they can’t learn from mythical figures. They can be inspired, but they can’t
necessarily learn from them.
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Questa intervista è della sorella di Chris, Carine McCandless concessa a Zach Schonfeld
il 16 novembre 2014. Dopo 20 anni di silenzio, Carine si è ritrovata a dare la sua
opinione non solo del libro che ha pubblicato su Chris, ma anche sui cambiamenti di
pensiero avvenuti dalla sua morte nel 1992 ad oggi. Innanzitutto nel corso di questo
lungo periodo di tempo la sua vita è molto cambiata. Dallo shock che è potuto emergere
dal libro di Krakauer “Nelle terre estreme” la cui notizia della sua dipartita l’ ha
chiaramente sconvolta e devastata, oggi sostiene di poter accettare maggiormente l’ idea
di perdono e accettazione della tragedia soprattutto per il fatto di essere diventata madre.
Non intende difenderlo in quanto non ci sono scuse per i rischi e gli errori che ha
commesso. Ciononostante è certa che durante gli ultimi attimi di vita Chris era
assolutamente responsabile delle scelte commesse e che mai e poi mai, nonostante le
controversie dei genitori, ha affibbiato a loro le colpe della sua sofferenza.
Tuttavia Carine difende Chris nel constatare che pure lui era umano, di conseguenza
sarebbe ingiusto giudicarlo solo negativamente. Sicuramente ritiene che abbia
commesso qualche sbaglio tra cui, forse il più grave, un’eccessiva sicurezza di se stesso
tendente ad arroganza verso i pericoli, ma se oggi tra i ragazzi viene considerato un
esempio è evidente che ha lasciato un impronta tutt’altro che negativa. Carine conclude
che è senz’altro importante bilanciare gli errori tanto quanto i successi e io sono
assolutamente d’ accordo con lei.
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Death's a fierce meadowlark: but to die having made
Something more equal to centuries
Than muscle and bone, is mostly to shed weakness.
The mountains are dead stone, the people
Admire or hate their stature, their insolent quietness,
The mountains are not softened or troubled
And a few dead men's thoughts have the same temper.
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CONCLUSIONI
Viviamo in una società intrisa di regole, di assiomi dai quali non è permesso prima di
tutto sfuggire ideologicamente e a maggior ragione nei fatti. La vita viene nel maggiore
dei casi interpretata come un concetto dittatoriale in cui non è possibile sfuggire alle
vicissitudine quotidiane e/o risulta particolarmente difficile creare di volta in volta varie
sfumature e mutamenti di un percorso già stabilito e predestinato.
Ma quando una mente partorisce un'idea diversa dalla massa e quando la attua
pragmaticamente, ecco che si alzano così tante voci mirate ad attaccare il singolo, la cui
unica colpa è quella di aver visto una strada alternativa e di averla pertanto percorsa.
Unico scopo di quelle voci è abbattere l'individuo ritenuto al di fuori dagli schemi, per
giustificare se stessi e i propri gesti compiuti, perché chi si differenzia non solo mette in
imbarazzo la massa, ma detiene il potere di porre ogni individuo solo di fronte a sé, a
ciò che ha percorso e portato a termine. Per la prima volta lo mette in una condizione di
solitudine, abituato com'è a valutarsi nella globalità, dimenticando d'essere singolo. Lo
pone soprattutto in una condizione d'imbarazzante intimità, imponendo lo sgradito
compito di valutarsi nelle azioni compiute.
A Christopher McCandless è accaduto tutto ciò.
Obiettivo di questa tesi era dimostrare come un giovane ragazzo, munito solo del
proprio coraggio e
della propria determinazione abbia con le sue scelte, cambiato la visione di migliaia di
persone nel mondo. Nel corso di questo elaborato mi sono letteralmente immedesimata
nei racconti, nelle testimonianze e nei ricordi di questo straordinario ragazzo che fino
alla fine ha dimostrato a me e a moltissime persone di quanto sia importante seguire i
propri ideali per perseguire un sogno. Anche io, come lui, condivido il suo bisogno
impellente di porsi le domande giuste e la necessità di prendere distanza dal mondo per
capirlo meglio.
Nel corso di questa tesi, infatti, ho voluto approfondire le tematiche che hanno portato
Chris a percorrere questa incredibile esperienza lontano da tutto e da tutti alla ricerca
della propria anima.
E’ in particolare nel terzo capitolo che ho ripercorso le tappe più importanti percorse da
Chris durante il suo incredibile viaggio in Alaska. Accompagnato dai suoi mentori
Tolstoj, Jack London e Thoreau ho voluto approfondire quest’ultimo nel mio elaborato
perché ritengo che egli più di tutti abbia condizionato le sue scelte e il suo modus
operandi durante il lungo periodo lontano da casa.
L'aspetto più interessante della mia tesi è il modo in cui questi due incredibili
personaggi abbiano ritrovato se stessi e la felicità all' interno della natura. Il rapporto tra
l’uomo ed essa è di fatto un tipo di relazione veramente complessa, di fatto non che non
ho certo la pretesa di aver completamente chiarito. Da un lato si sente l’esigenza di
seguire l’esempio impartito dalla “natura selvaggia”, l’ancora di salvezza nella quale
Thoreau riponeva ogni speranza. Ascoltare la sua antica saggezza può senz’altro aiutare
a ristabilire l’equilibrio che la nostra specie ha ormai alterato. D’altro canto, l’uomo non
può nemmeno sottrarsi completamente alla responsabilità che il suo status specifico
comporta.
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“Confrontarsi con la natura ostile significa cercare conferma del proprio valore, non
cedere terreno durante l agone, incrementa la propria “ potenza di esistere” e insieme,
accettare il fatto che la natura contiene in sé, necessariamente e saggiamente, la morte
e la rinascita, seppure a spese dei singoli…”
Ritengo che questa frase di Remo Bodei tratta dalla sua opera “Paesaggi sublimi” renda
chiaro il concetto sopra indicato.
Nel quinto capitolo, dalle varie fonti che ho raccolto, sono riuscita a dimostrare che
sebbene siano molte le persone contrarie al suo pensiero e al suo modo singolare di
esplorare, moltissime altre al contrario ritengono come me che non sia morto invano,
anzi ha potuto dare un clamoroso esempio di come non siano importanti l’ età, la razza
o la provenienza. Se ciò che sai davvero, nel profondo, è che se vuoi fare qualcosa di
grandioso in questa vita, devi essere pronto a mettere in gioco tutto quello che hai per
tutto ciò che hai dentro e che desideri diventare realtà.
Egli è stato esempio di tutto questo e io, nonostante gli errori commessi, proverò sempre
stima e ammirazione per questo giovane grande uomo.
Grazie Chris.
63
RINGRAZIAMENTI
Desidero innanzitutto ringraziare il mio relatore, professor Paolo Luca Bernardini, per
aver accettato di collaborare insieme a me in questa mia ultima prova finale, per la
grande disponibilità e appoggio che ha saputo darmi in questi mesi e per tutti i preziosi
consigli che mi ha fornito durante la stesura di questa tesi.
Un ringraziamento speciale va ai miei genitori che mi hanno aiutato e sostenuto in ogni
mia scelta, condividendo con me i momenti di successo e di gioia e spronandomi nei
momenti di difficoltà, momenti in cui senza il loro appoggio forse avrei mollato tutto.
Senza di loro non solo non sarei al mondo, ma non sarei neppure quello che sono. A
loro devo tutto: il bene più importante che è la vita, i principi morali che mi hanno
trasmesso ed i pregi e difetti che contraddistinguono il mio carattere, il mio modo di
essere e di fare. Se sono arrivata a questo grande ed importante traguardo lo devo a loro
che, oltre al sostegno economico, mi hanno dato tutto il supporto morale e materiale di
cui avevo bisogno. Grazie per tutto quello che avete fatto, spero di essere stata
all’altezza delle vostre aspettative e possiate essere fieri di me. Il mio più grande
desidero ora è di potervi rendere anche solo 1/3 di quello che da voi ho ricevuto. Grazie
Mamma e Papà.
Un ringraziamento speciale a mio fratello Davide e ai miei nonnini Clemente,
Giuseppina e Maria che con il loro amore costante e la loro saggezza hanno saputo
sempre incoraggiarmi e spronarmi per dare sempre il massimo in qualunque sfida avessi
davanti.
Un ringraziamento più che doveroso alle mie compagne di università che sin dal primo
anno hanno intrapreso insieme a me questo lungo percorso. E’ stato un onore ed un
privilegio conoscerle e desidero ringraziarle per tutte le risate, il sostegno e l’affetto che
mi hanno dimostrato.
Grazie Ilaria, Anna, Roberta, Claudia, Jessica, Giulia, Alessia e Naomi per aver reso
questi tre anni indimenticabili.
Un ringraziamento che non può mancare va alle mie compagne di avventura e grandi
amiche di sempre con le quali ho condiviso le esperienze più belle della mia vita. Voi
siete il mio punto di riferimento e la nostra amicizia è solida e fondamentale per me.
Grazie Associna, Selene, Biondan, Pucci, Sandra, Grigo, Laicia, Viviana, Sara e
Vandala.
Desidero dedicare questa mia tesi a tutti voi. Ricorderò questi tre anni e questo speciale
giorno per sempre.
Vi voglio bene.
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BIBLIOGRAFIA
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Bompiani, 2008.
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