Uno scontro di civiltà è pensabile solo sullo sfondo di una definitiva dipendenza dall’abitudine e dalla necessità di muoversi in spazi conosciuti, dipendenza che genera la paura del diverso. Il massimo rispetto è dovuto alla cultura Cinese, come a tutte le altre. 1
La paura del diverso genera veri e propri mostri. Ma fino a che punto le fobie possono trasformare la realtà quotidiana?
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Uno scontro di civiltà è pensabile solo sullo sfondo di una definitiva dipendenza dall’abitudine
e dalla necessità di muoversi in spazi conosciuti, dipendenza che genera la paura del diverso.
Il massimo rispetto è dovuto alla cultura Cinese, come a tutte le altre.
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Come ogni mattina negli ultimi sei anni e mezzo Bruno è in piedi puntuale alle sette e trenta ed il
tintinnio del suo collare va a tempo con il battito delle sue unghie sul pavimento mentre si avvicina
alla camera in fondo al piccolo corridoio.
Suona la sveglia.
Bruno è un maschio dal pelo lucido ed ordinato, dallo sguardo vivace ma pacifico, di taglia medio-
grande. Arrivato alla porta vi si accuccia davanti emettendo qualche impercettibile lamento.
-“Adesso arriva Bruno!”.
La coda inizia a muoversi ed un orecchio rimane alzato per concentrare l’attenzione.
La porta si apre e come ogni mattina negli ultimi sei anni e mezzo Domenico si alza un’ora prima
per uscire a fare una passeggiata. Tutto sommato lo fa volentieri per Bruno, tra loro c’è ormai
un’amicizia molto forte e profonda.
-“Ciao vecchio mio, dormito bene? Andiamo che mi faccio un caffè e poi sono praticamente
pronto”.
Bruno è già eccitatissimo ed attende impaziente davanti alla giacca con il guinzaglio in bocca.
-“Forza Bruno! Ogni mattina la stessa storia! Lo sai che mi devi dare almeno dieci minuti.
Ecco! Guarda! Faccio più in fretta possibile.
E’ inutile che mi guardi così, lo so che capisci benissimo quello che ti dico, non fare il cane!”.
La giornata non inizia senza il buongiorno di una sigaretta.
L’odore si spande velocemente in tutta la cucina mescolandosi a quello del caffè, un mix che
Domenico adora, gli fa capire che anche per quel giorno si è svegliato vivo.
Una mano regge la tazza colma e l’altra cerca il telecomando nel cassetto mentre il fumo della
sigaretta che si consuma tra le labbra lo acceca e gli fa lacrimare gli occhi. Una volta trovato ed
accesa la tv sul telegiornale del mattino il rito è quasi concluso, basta solo girarsi e guardare fuori
dalla finestra la vita che si sveglia.
Gli alberi del parco di via XXII Marzo sono gli indicatori delle stagioni, un ciclo abitudinario
imperturbabile che gli dà sicurezza. Ormai è Settembre inoltrato.
- “Incredibile l’autunno vecchio mio, so che piace anche a te correre tra le foglie con l’aria fresca e
poi tuffarti nella intima e calda accoglienza della nostra casa.
Ho finito! Metto i vestiti in un attimo ed andiamo.
Cazzo Bruno! Fammi passare almeno!”.
Da Corso Matteotti al civico 34 si percorre il medesimo in direzione centro passando davanti
all’edicola, al bar di un certo Franco, ad un fast-food e ad una serie di negozi tra cui il supermercato
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dove Domenico solitamente fa la spesa. All’incrocio si gira a sinistra appunto per via XXII Marzo
dove c’è il parco.
E’ piccolo e pochi ci passano perché si dice sia mal frequentato: al massimo una quindicina di
ragazzini nemmeno maggiorenni che si vendono a vicenda qualche canna di erba di bassa qualità.
E’ comunque ottimo per non incappare in quelli che abitualmente quando portano a spasso il cane
ed incontrano qualcuno che fa altrettanto gli riempiono le palle per ore con tutti quei discorsi
vomitevoli su quanto siano buoni, belli e simpatici i loro animali.
Bruno ha superato da tempo per Domenico lo stadio di cane, è ormai lo specchio della sua
quotidianità. Ora è libero e corre da un albero all’altro annusando chi sia passato di li prima di lui.
Ormai conosce benissimo la strada, deve solo seguire il vialetto che gira tutto intorno, il più esterno,
il più lungo ovviamente. Comunque ogni tanto sente che è il caso di fermarsi e voltarsi, giusto per
far notare che non decide da solo.
Domenico passeggia qualche metro più indietro superando a fatica la nuvola biancastra che gli
aleggia davanti ogni volta che fuma una sigaretta all’aria aperta.
Raramente a questo punto della mattinata ne ha fumate più di due. Molto spesso non ne ha
veramente poi così voglia ma la accende ugualmente pensando che quella situazione, quella pace
prima del lavoro, quell’aria fresca e quella solitudine potrà riaverle solo dopo che saranno passate
ben 24 ore.
Non si parlano mai durante il tragitto, ognuno intento a sbrigare le proprie faccende nel tempo a
disposizione: uno a caccia di odori e l’altro della speranza che non ce ne siano poi così tanti di
diversi dal solito.
La temperatura è davvero gradevole questa mattina e l’aria è asciutta, proprio come piace a
Domenico che invece detesta il caldo, il freddo, la pioggia e l’umido.
Il clima non è rilevante di fronte alla stupefacente ciclicità delle stagioni. Non potrebbe pensare di
vivere senza.
Fa un tiro dalla sigaretta buttando fuori il fumo dal naso e dalla bocca contemporaneamente per
gustarlo meglio. Oggi gli piace particolarmente.
Bruno scompare lentamente dietro il gruppo di cespugli che costeggiano la dolce ma costante curva
della stradina, con la testa bassa segue esattamente la traccia e fiuta il suo mondo, si sposta da destra
a sinistra apparentemente senza nessuna regola precisa. L’imprevisto è la sua regola, solo il
passaggio dei suoi simili modifica quello che lo circonda e lo fa agire di conseguenza.
Attraversando completamente il parco ha un’uscita anche in via Martiri della Libertà, praticamente
un isolato più avanti rispetto a casa, un quartiere simile, ma forse un po’ più bello, più nuovo e con
dei marciapiedi che permettono di camminare tranquilli. Bruno è già arrivato e sta aspettando
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seduto di fianco all’enorme cancello verde che viene chiuso alle ventuno per evitare che di notte il
boschetto diventi l’accampamento di qualche tribù di sbandati.
- “Pazienza vecchio mio, dà fastidio anche a me dovermi portare dietro questo
maledetto guinzaglio, ma sai com’è la gente…!”
Bruno appoggia la zampa sull’avambraccio di Domenico.
- “Forza, andiamo!”
Attraversando la strada si entra nel lungo Corso Garibaldi dove abbondano le banche, i negozi di
profumi e le macellerie. C’è anche la stazione della Polizia, giusto di fianco al botteghino che vende
i biglietti per i concerti. Ogni tanto c’è la coda e Domenico alcune volte ha pensato che molte di
quelle persone avrebbero fatto meglio a comprare un biglietto nella porta precedente e passare la
serata a provare l’ebbrezza della galera, che di sicuro è meglio che pagare per venire schiacciati e
non vedere assolutamente niente.
Bruno gli cammina di fianco per non far tendere il guinzaglio e sentirsi soffocare.
Per tornare a casa si potrebbe girare a sinistra al primo incrocio del Corso, ma Domenico preferisce
allungare il giro e passare poi davanti a un panificio dove hanno delle ottime brioches senza nessuna
schifezza dolciastra ed appiccicosa dentro. Poche decine di metri ancora, già si sente il profumo
nell’aria.
Bruno aspetta fuori con forzata pazienza e le orecchie perfettamente tese.
- “Buongiorno Domenico!”
- “Buongiorno.”
La signorina allunga la mano fuori del bancone sporgendosi un po’ per passargli il sacchettino
bianco che, come al solito, era già pronto e l’occhio di Domenico cade sulla generosa scollatura
bordata di un intreccio di bianco e verde tenero molto candido ed invitante. Anche il grembiule per
intero non le sta per niente male.
- “Ecco a lei, grazie e arrivederci.”
- “Grazie a lei, salve.”
Appena la porta si apre Bruno scatta in piedi.
- “Bella signorina sai, ma…ti ricordi qualche anno fa, quando abbiamo fatto venire a vivere
con noi Rossella? So che non era il tuo tipo, neanche il mio a dire la verità!”
Una mano entra veloce nel sacchetto e strappa un pezzetto di brioche. A Bruno piacciono al punto
che nemmeno le mastica.
- “….lasciava che i piatti si asciugassero da soli…tutte quelle odiose goccioline mummificate
sulle stoviglie…incredibile!…Voleva sempre uscire…cosa poteva capire dell’imbarazzo
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della nostra intimità di fronte ad una situazione del genere?…E il dentifricio sempre aperto?
Ti ricordi quante volte gliel’ ho ripetuto?
No, no! Non era proprio il caso di continuare a logorarsi il sistema nervoso a quel modo!
Domenico morde con gusto, forte della certezza di non trovare la marmellata in agguato, pronta a
rovinargli quell’opulento boccone.
Il guinzaglio attorno al polso permette alle mani libere di distribuire equamente quelle prelibatezze.
- “Eccezionali, non trovi vecchio mio? È un bel vizio!”
al primo cestino Domenico si ferma, si pulisce le mani con il sacchetto e poi lo getta mentre Bruno
non manca di marcare il paletto di sostegno. Entrambi ne avrebbero mangiate almeno una mezza
dozzina.
- “Mi dispiace veramente che tu non possa capire quanto è piacevole fumare in certi momenti.
Questa, ad esempio, è la sigaretta più buona di tutta la mattina, non credo riuscirò mai a
rinunciarci. Mi piace sentire il filtro asciutto sulle labbra asciutte che si inumidisce piano
piano…”
Gli occhi si chiudono dopo aver visto che l’accendino ha fatto il suo dovere, lentamente lascia
entrare dell’aria nella bocca per far scendere il fumo nei polmoni. Cerca di analizzare la sfuggente
consistenza del sapore del tabacco bruciato per ritrovato quel gusto-odore che gli piace moltissimo
quando alcune persone fumano le sue stesse sigarette, ma ogni volta conclude che funzione
esattamente come per i profumi che cambiano sfumature della fragranza quando sono portati da
persone diverse, fino a non sembrare più gli stessi.
Bruno cammina più rilassato ora che anche questa per oggi è fatta, e poi lo aspettano la sua bella
cesta con il suo bel cuscino e la tranquillità di almeno nove ore di solitudine. Non lo scuote
nemmeno il passaggio di alcuni altri cani, né di quelli che tentano un approccio pacifico, né di
quelli che si mostrano aggressivi, semplicemente coinvolto nei fatti suoi.
La madre di Domenico era stata una donna che per molti aspetti del suo modo di essere
rassomigliava a Bruno. Non aveva mai fatto uno sgarbo o mancato di rispetto a nessuno, era ben
vista per questo, non sarebbe mai stata in grado di nuocere a chicchessia e tutto ciò le aveva sempre
permesso di preoccuparsi solo di quanto le fosse in qualche modo proprio.
Domenico la ricorda con una luce particolare attorno.
Anche suo padre era stato un buon padre, un buon uomo ed un buon marito. Aveva lavorato tuta
una vita senza mai lamentarsi una sola volta di quello che aveva avuto in cambio e poi è morto
pochi anni dopo essere andato in pensione. Di lui non ricorda la stessa luce.
Fondamentalmente un innocuo. È un attributo che si addice a descrivere perfettamente la
caratteristica più evidente della sua famiglia. Poi innocuo è una di quelle parole neutre, dove non
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trovi qualità o difetti, bene o male, giusto o sbagliato. Il suono corrisponde esattamente al concetto
che identifica.
Anche Bruno è totalmente innocuo.
Consueta tappa dal tabaccaio, a parte rare eccezioni, quotidiana.
Domenico non comprerebbe mai una stecca. Avere tutte quelle sigarette lo farebbe sentire sicuro di
non restare senza per un bel pezzo e così perderebbe il senso di quante gliene mancano prima che
siano completamente finite. Compra solo quelle che prevede di consumare in quella giornata. La
stessa cosa vale per la benzina. È solo una forma mentale.
Alla fine della via si inizia ad intravedere la facciata della palazzina con quell’inconfondibile colore
azzurrino pastello molto chiaro ed il cancello bianco panna. È odioso, ma gli altri condomini non
hanno mai voluto spendere soldi per farla ridipingere. Anche quest’anno la proposta è stata bocciata
in assemblea, ormai se ne riparlerà tra sei mesi. Pazienza.
In ogni caso si trova bene nel suo appartamento, gli piace e per loro due è grande a sufficienza,
queste sono le cose che contano veramente. Se gli altri non hanno senso estetico è semplice: visto
che lui da solo non può permettersi quella spesa, che si fottano!
Le chiavi sono sistemate nello stesso ordine in cui si presentano le varie cose da aprire: il cancello
esterno, il portone condominiale, la cassetta delle lettere e la blindata dell’appartamento. La
semplicità prima di tutto. Quando esce non deve far altro che iniziare la sequenza dall’estremo
opposto.
Bruno libero dal guinzaglio inizia a fare le scale di corsa ed è già arrivato al primo pianerottolo.
L’orologio di Domenico inizia a suonare, è un Casio al quarzo, uno dei primi modelli, quelli con la
cinghietta di ferro, quattro pulsanti e la calcolatrice.
Sono esattamente le otto e trenta. Perfettamente in orario.
- “Ciao Bruno, io vado. Ci vediamo questa sera.” Una mano leggera passa alcune volte sul
pelo liscio della testa.
La porta si chiude.
Domenico sale in macchina dopo essersi tolto l’impermeabile e l’accende. Aspettando che il motore
si scaldi si accende anche una sigaretta. Arriverà con cinque minuti di anticipo, come al solito.
Da otto anni lavora in una compagnia di spedizioni, una di quelle che trasportano ogni cosa in ogni
parte del dannato mondo in massimo trentasei ore. È addetto alle relazioni con il pubblico via
telefono, nel senso che si occupa di rispondere a chiunque chiami per esporre un problema o abbia
bisogno di informazioni. Il suo lavoro gli piace, non è mai uguale e quindi è poco noioso, e spesso
capita che telefoni qualcuno che ha solo voglia di chiacchierare o sfogarsi, a volte ha ricevuto
minacce. Ma sono i rischi che si corrono normalmente avendo una linea gratuita. Gli piace anche
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perché ha un ufficio tutto suo, ed essendo quasi di continuo al telefono è raro che qualcuno entri per
parlargli e, cosa molto importante, può fumare liberamente senza subire le prediche dei colleghi
salutisti.
Non ha molte responsabilità e lo stipendi si adegua chiaramente a questa situazione, ma non gli
importa poi molto dal momento che gli basta per andare avanti in relativa tranquillità.
Salendo le scale immancabilmente una sensazione di astio vola alla maledetta sedia che per otto ore
al giorno gli tortura la schiena, ma la certezza di dover rimanere nei limiti del proprio posto gli ha
sempre impedito di chiedere che venisse sostituita.
Aprendo la porta lo sguardo gli cade sulla targhetta della scrivania che riporta il suo nome, bianco
su nero. L’appendiabiti sta tra l’armadietto e il cestino, l’ ha portato lui da casa. Una delle pareti,
quella di fronte alla scrivania, è occupata da un’enorme carta geografica planetaria politica dove
sono segnate le varie sedi dell’azienda e le zone coperte dal servizio di consegna. Gliel’ hanno
portata da appena sei mesi dicendo che gli sarebbe stata utile per dare informazioni precise senza
sforzare la memoria.
L’impermeabile è appeso, il pacchetto di sigarette con l’accendino sopra è già appoggiato vicino al
posacenere perfettamente pulito. Domenico lo svuota e lo lava ogni sera prima di andare a casa,
mentre apre un po’ la finestra per arieggiare la stanza.
Ogni nazione ha un colore diverso e questo fa risaltare le proporzioni tra i territori: l’Italia è un
campiello coltivato a frumento a confronto della Russia!
Il telefono squilla.
- “Cristo! Di già? Società Internazionale Trasporti, buongiorno…!?”
- “Vaffanculo!!” La comunicazione si interrompe.
- “Iniziamo bene oggi. Vaffanculo anche a te e…richiama quando hai bisogno di altre
informazioni!”
Domenico si dispiace quando capitano cose di questo genere, questo tipo di gente non serve certo a
far progredire la specie.
Ci sono almeno quattro minuti buoni prima dell’orario in cui inderogabilmente dovrà iniziare a
tenere l’orecchio incollato alla cornetta e forse sarebbe meglio prendere una dose di piacere puro,
ora che lo può considerare tale e non un’alternativa rapida alla coercizione produttiva: caffè e
sigaretta!
Naturalmente una piccola pausa anche durante il lavoro ormai se la può concedere ma la profonda
inclinazione alla professionalità gli impone di lasciare la cornetta alzata quando si allontana: è per
l’immagine dell’azienda. Cosa potrebbe pensare un potenziale cliente della serietà delle persone a
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cui dovrà affidare le cose che deve spedire se quando telefona la linea è libera ma nessuno è a sua
disposizione per aiutarlo e rispondere alle sue domande?
Questo sistema ha però su Domenico un effetto collaterale molto sgradevole: il pulsare ritmico del
segnale della linea occupata lo perseguita continuamente e ovunque, al bagno, davanti alla
macchinetta del caffè, in portineria, nell’atrio.
È una corsa nel fango. Lui gareggia per tornare in ufficio prima che quel suono diventi ossessivo.
Tre o quattro monete da cinquanta centesimi sono sempre a disposizione per la giornata, non di più,
la caffeina lo rende nervoso. È sempre stato così.
Nella pausa un pensiero di sincero affetto raggiunge Bruno.
La sigaretta è a metà.
- “Sarà meglio che mi avvii, ormai è tempo!”
il tempo è importante per Domenico, essenziale. Fin da quando era giovane aveva sempre cercato di
impiegarlo al meglio sia lavorando, che del resto nobilita, sia facendo progredire la sua
informazione culturale.
Libri, musei e mostre d’arte sono ancora alcune delle sue passioni.
Ovviamente anche sport, politica e cinema sono pezzi importanti per mantenere una buona socialità
e non sentirsi mai a corto di argomenti. E l’interesse per le cose pubbliche in una conversazione,
taglia fuori quello per le cose private. È una normale difesa della privacy.
Appena aperta la porta dell’ufficio il telefono inizia a squillare senza pietà. Domenico è ormai
molto competente nel suo lavoro e molto efficace nelle risposte che deve dare.
Con la cornetta appoggiata alla spalla lascia che lo sguardo scorra lentamente lungo tutto il
perimetro della stanza. Il riverbero della luce sulla superficie lucida gli cattura l’attenzione e gliela
appiccica alla carta geografica.
- “incredibile coincidenza! La Cina è colorata di giallo! Forse il satellite che ha fatto il
rilevamento ha mandato sulla Terra immagini completamente gialle! Cazzo! Sono talmente
tanti che se si fossero messi tutti a guardare il cielo nello stesso momento potrebbe anche
essere una teoria credibile.”
Il sorriso gli si accende appena.
- “…come diceva, scusi? Mi sono distratto un attimo, potrebbe cortesemente ripetere?”
Una vampata di calore lo aggredisce facendolo arrossire, lo sente perfettamente fino al momento in
cui non riattacca. È la prima volta che gli succede. Accende immediatamente una sigaretta. Il primo
tiro lo calma, il secondo lo rassicura.
Può capitare a tutti…
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Quasi quasi alla fine quella situazione lo fa sorridere a sé stesso con velata complicità, un calo
d’attenzione è trascurabile dopo tanti anni di lavoro perfetto…
Il suo vero soggetto però è rimasto leso nell’orgoglio, e Domenico sa che potrà nasconderlo a tutti
meno che a sé. Anche quando è da solo si comporta come se ci fosse sempre qualcuno che lo
osserva molto attentamente, se ne rende perfettamente conto, e difatti a volte riesce ancora ad
abbandonarsi all’istinto. È orrendo vivere con una telecamera puntata alla testa. Tutto era
cominciato il giorno in cui era entrato nel bagno di una banca per compiere un’azione
normalissima: urinare. Mentre era chiuso nello stanzino ci fu un tentativo di rapina e giorni dopo
venne a sapere leggendo il giornale che i rapinatori erano stati identificati grazie ai filmati delle
telecamere a circuito chiuso installate in tutto l’edificio. Da quando aveva circa dodici anni aveva
iniziato ad usare il lavandino al posto del water, e quella abitudine lo aveva silenziosamente
accompagnato come la più normale che esistesse. Non aveva mai provato a liberarsene, non gli
interessava, e la familiarità con quella azione lo legittimava a compierla anche in bagni che non
fossero il suo con estrema indifferenza. Ma dopo aver letto quell’articolo le cose cambiarono
radicalmente e il pensiero che un consistente numero di persone avesse esaminato accuratamente
ogni istante di quella sua profonda intimità lo aveva angosciato per un bel periodo di tempo e
ancora oggi, a distanza di anni, continuava saltuariamente a farlo. Forse lo faceva costantemente e
lui si era semplicemente abituato anche a questo…rimane il fatto che ora il suo atteggiamento
esterno è proprio quello di un sorvegliato a vista. Ogni mossa viene puntualmente valutata come se
esistesse la possibilità, magari molto remota, che qualcuno lo stesse spiando in qualche modo, a
volte gli capita anche a casa.
Per liberarsi di questo spettro pensa che probabilmente è solo un rigurgito di quella ingenuità che
quando sei adolescente ti fa credere fermamente di avere dei problemi a livello sessuale visto
l’accanimento con cui ti masturbi ogni giorno…poi cresci, capisci molte altre cose e scopri che
nove persone su dieci sono state toccate da questo dubbio. Scopri anche che è una cosa normale,
che ci sono passati tutti e che quindi tutti sanno perfettamente che anche tu lo hai fatto, ma
fortunatamente un diffuso senso del pudore evita che ci si metta in imbarazzo vicendevolmente e
così il tutto viene bollato col marchio della normalità e passato nel dimenticatoio.
Fortunatamente.
La mattina trascorre intensa ma tranquilla, addirittura a tratti il telefono non squilla e per Domenico
è sempre il momento giusto per una saporitissima sigaretta.
Gli alberi del cortile iniziano a perdere le foglie e si sta formando quel tappeto soffice e multicolore
che i scricchiola sotto i piedi lungo tutto il vialetto fino al parcheggio. È fantastico quando si alza
quella brezzolina frizzante che le fa muovere scatenando a volte turbinose danze circolari vicino
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agli angoli dei muri o sui bordi dei marciapiedi…c’è quel gusto di malinconico che ti fa riflettere su
miliardi di cose nello spazio di un attimo.
- “Il giovedì è sempre un giorno abbastanza leggero, ma il lunedì lo odio davvero! Ci sono
tutti quegli stronzi che si sono scordati di fare le spedizioni entro sabato mattina che
chiamano di continuo per vedere se in qualche modo è possibile accelerare le pratiche…
hanno urgenza, loro! Quello che è ridicolo è che tutti hanno un buon motivo per avere più
urgenza degli altri e ti chiedono cose impossibili, e passi mezze ore a spiegare i motivi
tecnici per cui qualcosa non si può fare.
Se solo certa gente pensasse un po’ di più a quello che questo schifo di mondo non andrebbe
così male! Quanto male vada non è dato sapere, ma che vada male è fuori da ogni dubbio.
Non ci si può più neanche permettere di viaggiare, non è più sicuro, a meno che non si vada
in qualche lussuoso villaggio turistico dove il personale parla italiano.
India? Se ti ammali sei sfottuto!
Sud America e Medio Oriente? Ci sono ovunque guerre civili e rivoluzioni!
Africa? Idem come sopra.
Cuba e i Paesi dell’Est? Ti ammazzano per dieci dollari!
La scelta è molto limitata ormai.
E se poi uno dovesse decidere di trasferirsi in un altro paese per vivere? Tra quelli che
restano la metà inizia a malapena oggi ad azzardarsi a dire che le guerre etniche che li hanno
devastati sono forse concluse, dell’altra metà l’ottanta per cento è così povero che tentare di
viverci normalmente è un’utopia.
Restano i paesi formati della Comunità…l’Occidente, in poche parole.
Forse non proprio tutto funziona alla perfezione ma almeno siamo civili, evoluti, puliti,
comunque gli unici ad avere un modello sociale che sarà anche zoppo, ma almeno si regge
in piedi con le sue forze.
A molti il nostro benessere scatena una cieca bramosia di raggiungerlo, una cattiveria
propria di gente rozza, noi invece siamo riusciti a dominarlo in qualche modo e queste
cellule impazzite vengono qui ad infettare i nostri equilibri dicendo che cercano solo un
lavoro e che è colpa del nostro sistema se non riescono ad inserirsi e se sono costretti a
rubare e a far prostituire le loro donne.
Non è così facile come credono!”
Si gira ed alza la cornetta per sentire se c’è ancora la linea: un silenzio così prolungato non capita di
frequente. Ma è anche una questione di coincidenze, il calcolatore del centralino che smista le
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telefonate le invia al primo apparecchio libero che trova e se c’è poco traffico può capitare che le
telefonate vengano passate tutte ai telefoni degli altri colleghi.
Tutto il corridoio ha la parte destra occupata dai micro uffici degli addetti alle relazioni telefoniche.
Sono complessivamente quattordici.
- “Mia madre diceva sempre che non bisogna mai rifiutare un piatto di minestra e un bicchiere
d’acqua a chi ne ha bisogno, ma lei non si era mai trovata nella situazione di essere derubata
o picchiata da uno straniero appena fuori di casa sua, nella sua città, nel suo paese.
È preoccupante!
Noi dobbiamo costruire la vera unità di questa realtà europea e poi avremo più possibilità di
andare veramente ad aiutare chi soffre, possibilità di costruire industrie, scuole e ospedali, di
creare negli altri paesi lo stesso tipo di benessere che c’è qui, avviare la macchina del
progresso.”
La sigaretta è quasi alla fine ma la voglia di fumare non accenna a diminuire, gli diventa
implacabile quando si spinge dentro questi spazi liberi dove può ragionare, è come un incitamento,
un vizioso desiderio di continuare a sentirsi a proprio agio tra le cose che lo circondano.
Uno sguardo al paesaggio completa l’opera. Con il mozzicone di una si accende un’altra sigaretta,
lo sbuffo di fumo è denso e obeso come la sua soddisfazione: gli strappi alle regole sono quelli che
non te le fanno sentire troppo pesanti. Si avvicina la mano agli occhi per poter vedere meglio la
magica regolarità con cui il tabacco brucia in senso circolare ed annusa il rivolo grigiastro che ne
sale, concludendo che quell’odore è più gradevole quando esce dalla bocca dopo che il fumo è
passato nei polmoni.
Gli torna in mente la vecchia casa, in periferia, dove aveva vissuto per così tanti anni e dove aveva
imparato ad amare questa stagione così mestamente vitale che in campagna dipinge paesaggi di una
bellezza folgorante…le solite banalità se si vuole: il sole arancione al tramonto e gli stormi di
uccelli che volano in formazione, leggera foschia che coinvolge tutto e tutti nello stesso gioco di
ombre opache e poco sfumate, le castagne e le patate dolci mangiate davanti al camino acceso, il
giorno dei Morti e il silenzio tipico delle domeniche.
Decide che quella domenica tornerà li a fare una passeggiata con Bruno per ritrovare adesso le
emozioni che una volta non era in grado di cogliere. Passeranno di sicuro una splendida giornata.
Non dovesse lavorare ogni giorno, passerebbe moltissimo tempo in giro per mercati e piazze, per
strade brulicanti di gente e quartieri deserti la notte, per bar e negozi, così, vagando senza una meta
precisa ma lungo un percorso che si snoda interamente nel suo habitat, dove antichissime monarchie
ancora resistono condividendo con le moderne democrazie, il Medioevo ed il Rinascimento, cultura
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e filosofia in ogni epoca, traffici di mercanti e belle-epoque, storia e arte, personaggi illustrissimi…
tutto concentrato nel suo conforto di far parte di una collettività più o meno collaudata.
Il telefono riprende a squillare perentorio e difficilmente succede che una chiamata non venga
seguita da molte altre.
La sigaretta finisce immediatamente fuori dalla finestra che è aperta dato che le ore centrali della
giornata sono ancora più che tiepide. La bella stagione pare abbia intenzione di non spegnersi più
quest’anno e tutto sommato non gli dispiace.
Il dovere cancella ogni tipo di pensiero e lo coinvolge nel concetto della squadra, facendolo come
sempre sentire fiero di quello che riesce a produrre per l’azienda, dell’impegno che ci mette con
quotidiana costanza a discapito della voglia che ogni tanto manca a lui come a tutti gli altri, ma si sa
che viene prima il dovere e poi il piacere.
La professionalità permette di capire tutto questo e di assumere di conseguenza un comportamento
stabile che non sia influenzato dagli umori che immancabilmente cambiano per una serie di fattori
imprevedibili. Così scorrono le ore, i mesi e gli anni, uguali per tutti eppure così diversi tra loro,
minimi particolari che hanno la capacità di farti cambiare direzione in ogni istante, che possono
allontanare come riunire.
Per circa un’ora la sequenza delle chiamate non si interrompe, come volevasi dimostrare il lavoro
procede a ritmo serrato senza più concedere soste e gli occhi di Domenico non si avventurano nel
territorio che ormai appartiene prepotentemente alla carta geografica.
Herrare humanum est, perseverare diabolicum!
Le parti si sono curiosamente invertite e sente che lo sguardo di quel pezzo di plastico gli si è
definitivamente posato addosso e lo pressa, lo insegue chiamandolo a voce bassa per strappargli
l’attenzione.
Riesce a non cedere.
Ogni volta che vuole spostare gli occhi, li dirige verso lo schermo del computer che usa
normalmente per verificare i listini dei prezzi delle consegne in ragione del peso dei colli, del loro
volume e del luogo in cui dovranno essere recapitati. Ricorda anche la simpatia del tecnico che ha
installato il programma e la sua disponibilità ad andare incontro alle esigenze di chi durante il corso
aveva trovato delle difficoltà nel capire le procedure di utilizzo.
Lui non aveva mai fatto domande, di solito preferisce che siano altri a farle, a volte ha dubbi perfino
sui suoi stessi dubbi.
- “Chiedo scusa, permetta che controlli sul terminale…le verrà a costare novantatrè euro e
cinquanta e se vuole assicurare la merce le costerà tre euro per ogni mille e cinquantaquattro
euro di valore dichiarato. Consegna in ventiquattrore al massimo.
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Grazie a lei. Buongiorno.”
Sguardo rapido all’orologio per vedere quanto tempo manca prima dell’ora di pranzo. Ancora due
ore. Di nuovo il trillo insistente gli si infila nelle orecchie come uno spillo. Meccanicamente una
mano alza la cornetta e l’altra incarica il dito indice di premere il tasto lampeggiante che passa la
chiamata, e il gioco ricomincia da capo.
Il conforto sta nel fatto che le regole sono sempre le stesse e che una volta che ci si è adeguati si
viaggia continuamente su un binario sicuro e praticamente privo di imprevisti. Tutta la difficoltà, se
così si può chiamare, è all’inizio, ma basta un briciolo di buona volontà per rimediare alla svelta.
Il posacenere inizia a contare un buon numero di mozziconi consumati fino al filtro e di sigarette
spente a metà, è diventato la quotidiana bilancia degli stati d’animo altalenanti in cui si alternano
caoticamente reali voglie da soddisfare ed esigenze non precisamente determinabili che vanno
addirittura al di là del desiderio in sé. In certi momenti non può fare a meno di accendere una
sigaretta. È una di quelle situazioni in cui non ci si chiede il motivo per cui si sta facendo una cosa:
la si fa e basta.
- “Cazzo! Si direbbe che il Mondo si sia svegliato tardi oggi! Di solito la maggior
concentrazione di telefonate arriva dalle otto e mezza alle undici, oggi invece…magari va a
finire che non riesco nemmeno a bere un caffè. Però posso sempre andare in bagno!”
Dal momento in cui decide di sospendere per riposarsi al momento in cui lo fa, di solito passa
parecchio tempo. Domenico programma le sue pause con largo anticipo e da quell’istante cerca di
resistere il più possibile per poi godersi al massimo relax e coscienza pulita. È solo una questione di
punti di vista, c’è anche chi preferisce non gustarsi la dolce attesa che anticipa gli effetti degli eventi
prolungandoli a ritroso nel tempo fino al momento in cui si ha già la percezione di ciò che sarà.
È lo stesso principio per cui gli era sempre piaciuta di più la sera della Vigilia che il giorno di
Natale, anche se nella sua famiglia i regali si aprivano rigorosamente la mattina del venticinque. Se
si sforza riesce ancora ad identificare quella eccitazione in qualche scorcio del suo presente.
Quando gli succede è come se ringiovanisse.
Le telefonate personali dagli apparecchi dell’ufficio sarebbero giustificate solo da casi di reale
necessità…Bruno è l’unica ragione che gli può far trasgredire quella regola. D’altro canto capisce
benissimo che se tutti telefonassero per motivi propri la bolletta lieviterebbe in maniera spropositata
e sarebbe un’ingiustizia nei confronti dell’azienda.
Fare qualcosa di nascosto lo mette in uno stato d’ansia totale perché si sentirebbe morire per
l’umiliazione se qualcuno un giorno venisse –ad esempio- a chiedergli una spiegazione delle sue
quotidiane infrazioni telefoniche. Ma una minima dose di rischio è inseparabile da qualsiasi azione
umana.
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Appena conclusa l’ultima chiamata riaggancia e frettolosamente rialza la cornetta prima che il
centralino gliene passi un’altra.
Compone il numero di casa e aspetta che dopo tre squilli si metta in funzione la segreteria. Odia la
sua voce registrata, gli pare di sentir parlare un sé stesso deficiente. Il messaggio finisce e parte il
famosissimo segnale acustico. Avvicina il ricevitore alle labbra e fischia al suo solito modo, quello
che da sempre usa per richiamare l’attenzione di Bruno.
- “Ciao vecchio mio! Come va? Io bene.
Cerca di avere pazienza, non manca molto…poi usciamo a fare le spese e ci facciamo un bel
giro, ok?
Fai il bravo, ciao.”
Bruno riconosce la voce e scodinzola stando in piedi ben ritto sulle quattro zampe.
Riattacca e si gira di scatto verso la porta per controllare che qualcuno non lo stia osservando. Con
la testa ancora girata dall’altra parte allunga un braccio e con la mano esplora la superficie della
scrivania per trovare il pacchetto di sigarette e l’accendino.
- “Speriamo non controllino mai le telefonate in uscita: una al giorno, ogni giorno per sei anni
e mezzo…dovrei avere una bella cifra di debito!
Ma si, tanto sono di sicuro il più corretto tra tutti quelli che lavorano qui! E poi figuriamoci
se i dirigenti, le segretarie e tutti quelli del piano di sopra non abusano.
Prima di fare un richiamo a me, dovrebbero farlo a tutti gli altri.”
Ha fatto tre tiri appena e già l’odore del fumo ha riempito mezza stanza, si alza e sposta un angolo
della cornetta in modo che la linea risulti occupata.
È tempo di prendersi un caffè. Lascia che le mani controllino dall’esterno delle tasche se le monete
ci sono e poi si avvia verso la porta con la sua solita andatura da manichino dinoccolato. È anche
colpa della sua statura se non riesce ad avere una camminata fluida, è anche vero però che proprio
grazie alla sua altezza quando era giovane era stato un buon giocatore di pallavolo e aveva militato
per anni nella squadra della città.
Ancora ricorda quanto gli costava partire da casa per andare nella palestra dove si allenava che era
vicina al centro. Doveva addirittura cambiare due autobus, ma lo faceva volentieri perché si
divertiva tantissimo e perché aveva delle soddisfazioni.
Fiaccamente percorre il corridoio che finisce nell’atrio, poi prosegue a destra per qualche metro
prima di arrivare allo stanzino delle macchinette distributrici. Aveva visto gente prendere a calci
quegli aggeggi infernali dopo che si erano trattenuti i cinquanta centesimi senza dare in cambio
l’ambito caffè. La carenza cronica di moneta all’interno dell’edificio aveva lasciato a bocca asciutta
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più di qualche collega, e di certo non si può salire in amministrazione a chiedere di cambiare dei
soldi.
A Domenico non è mai successo…è così semplice procurarsi della moneta durante la giornata che
con un po’ di scrupolo la si può accumulare dentro un vaso qualsiasi e poi metterla in tasca alla
mattina per usarla in ufficio. È solo una questione di prendere l’abitudine. Piuttosto che rimanere
senza caffè…
Il tipico rumore degli ingranaggi che si mettono in moto, il bicchierino di plastica che schizza fuori
e si blocca su quella strozzatura ad imbuto, il cucchiaino sparato con millimetrica precisione,
cascata di zucchero scrosciante, rigagnolo molliccio di acqua rovente di colore scuro che con gli
ultimi spruzzi forma una specie di schiumetta marroncina piena di microbollicine che una volta
scoppiate lasciano intravedere tra i vapori quello che può sembrare tutto meno che un caffè. Il gusto
che resta in bocca dopo averlo bevuto è comunque simile, sufficiente ad accendere lo stimolo di
fumare.
- “Che schifo! Da otto anni lo dico ogni giorno!” -fa il secondo sorso ed il naso gli si riempie
di quel vapore sbiadito che quasi puzza- “Dovrebbero cambiarle con qualche cosa di più
moderno, cazzo, non si può andare avanti così…e poi il caffè è un elemento essenziale per il
buon rendimento del personale, e questo è risaputo…”
Scuotendo il polso in senso circolare fa girare il liquido dentro il bicchiere per raccogliere lo
zucchero che non si è sciolto mescolando, poi fa un unico sorso allungando la lingua per cercare
qualche dolce cristallo superstite.
Pollice ed indice percorrono contemporaneamente un percorso simmetrico dagli angoli delle bocca
verso il centro per togliere quella sensazione di appiccicaticcio.
Mentre il bicchiere vola verso il cestino, Domenico lo guarda con aria un po’ disgustata: ormai è da
troppo tempo che quella bevanda gli fa rimpiangere l’ottimo prodotto della sua moka di casa.
Prende dell’acqua dal distributore li a fianco.
La sigaretta che aveva acceso poco prima di uscire dall’ufficio è piantata nella sabbia del
portacenere a colonna che c’è in atrio, tutta storta e spenta a meno di metà. Ma è proprio qui che
scatta la furbizia: questo piccolo escamotage psicologico gli permette di comporre la sequenza
sigaretta-caffè-sigaretta che lo appaga pienamente della pausa senza che si debba preoccupare del
fatto che fumarne due intere in cinque minuti potrebbe diventare una cattiva abitudine.
Semplicemente geniale.
Approfitta anche per fare una capatina al bagno, veloce, anche perché non è un posto che dà molta
soddisfazione alla sua privacy…water e lavandini sono alloggiati in stanze diverse, ed i secondi
sono subito a sinistra dopo la porta d’ingresso.
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Tira l’acqua schiacciando il pulsante con il piede perché gli fa schifo pensare a quante mani sporche
d’urina lo hanno già toccato. Esce e si lava le mani guardandosi allo specchio per vedere se i capelli
sono ancora in ordine. Ne nota qualcuno di bianco in più sui lati, vicino alle basette.
Il passo è spedito ora che deve rientrare, anche perché in ufficio lo attende il suo inimitabile amico
tabacco che gli offre la sua compagnia in qualsiasi momento senza mai volere in cambio
chiacchiere o sorrisi.
Spesso si conforta pensando che moltissimi altri condividono la sua stessa passione quasi morbosa
nei confronti di quel lungo cilindro che a volte risolve magicamente gli affanni della vita. Che senso
avrebbe guardare la tv-spazzatura alle quattro della mattina quando non si riesce a dormire se non si
potesse fumare?
Il desiderio lo aspetta nel suo stanzino, compresso dentro un pacchetto bianco e rosso dalla forma
rigidamente sicura.
Appena apre la porta già gli pare di sentire l’odioso suono costantemente petulante della linea
occupata, ma lo sguardo è immediatamente concentrato sopra la scrivania, a caccia della familiare
visione.
Accende e si gode il secondo tiro. Il primo non lo aspira mai per non inalare il gas dell’accendino
che a lungo andare si aggiunge al già buon numero di problemi che il fumo può causare
all’organismo.
Ora che non sta lavorando presta di nuovo attenzione alla carta geografica, tanto non ci si può
distrarre quando non si sta facendo nulla.
- “L’ hanno fatta gialla…veramente assurdo!
Però la Russia è più grande…” –sposta gli occhi all’estremo opposto- “…e anche il
Canada…ma sono di sicuro meno popolosi.
Quanti abitanti avrà la Cina? Un miliardo, uno e mezzo.
Sono così strani i Cinesi, tutti uguali tutti piccoli, nazionalisti e
conservatori con una intricata trama sociale. Mi sembra di aver letto
da qualche parte che da quando anno sei anni fino all’università,
devono andare tutti a scuola obbligatoriamente con lo stesso
grembiule e lo stesso taglio di capelli per imparare l’uguaglianza.
È inconcepibile!
E come considerano le donne? Vorrei vedere se proponessero ad una
europea di vivere secondo le regole cinesi…
E poi hanno un miscuglio di dialetti e di religioni che crea un casino
infernale, Pechino e contadini che forse nemmeno sanno cosa sia il
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telefono, i terribili anni del Socialismo alla sovietica che ha
duramente statalizzato ogni attività produttiva, la chiusura politico-
economica all’interno dei propri confini…improvvisamente il
Capitalismo ha iniziato a diffondersi provocando divari e scompensi
enormi nella popolazione, come sempre accade quando non esistono
strutture in grado di reggerne il peso.
Però…! Pensa se un giorno decidessero di invertire la tendenza ed
invece di inglobare nella loro società i nostri metodi, preferissero
colonizzare il Mondo per farlo diventare cinese! Sono così tanti che
se si organizzassero un po’…!”
Medita qualche istante su questa considerazione prima di accorgersi che più di metà sigaretta è
ridotta ad un curvo scheletro di cenere che sta per cadere sul pavimento. Lentamente si gira e
raggiunge il posacenere appena in tempo.
- “Va bene. È ora di ricominciare…o prima finisco di fumare?”
Muovendosi urta inavvertitamente il tavolo e la cornetta si riposiziona correttamente sulla base
provocando un rumore inconfondibile.
Nemmeno si gira.
- “Allora è proprio destino!”
Passano ancora trenta secondi e poi il primo squillo.
Man mano che si avvicina, l’ora di pranzo appare sempre più lontana ed irraggiungibile, sfocata
dall’incalzare del bisogno e dal lento esaurimento delle energie che devono essere reintegrate.
Purtroppo non c’è modo di riempire il buco allo stomaco di metà mattino con qualcosa di diverso da
quelle millenarie merendine e cioccolatine in distribuzione a cifre folli nella macchinetta accanto a
quella del caffè.
Per un periodo era riuscito ad ovviare portandosi da casa qualche stuzzichino: un frutto, uno yogurt,
un panino col formaggio, poi –non che questi cibi non lo soddisfacessero- ma le operazioni per
ricordarsi di comprare la frutta o per fare il panino erano diventate troppo macchinose ed iniziavano
ad intralciarlo creando una certa confusione. Se prendi lo yogurt devi prendere il cucchiaino, se
prendi il cucchiaino devi portare via una salvietta per avvolgerlo quando è sporco, per non parlare
del sacchettino per contenere tutte queste cose, ricordarsi di prendere il tutto prima di uscire di casa
e prima di uscire dalla macchina per entrare in ufficio. Davvero una cosa stressante.
E’ bastato far passare del tempo ed il corpo si è abituato ai nuovi orari senza troppe difficoltà ed ora
lo stomaco non emette nemmeno più quei cupi brontolii con l’eco.
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Consulta il listino telematico scorre con un dito i giorni sul calendario prende la penna e riempie di
asterischi l’angolo di un foglio sorride istintivamente tamburella sulle dita sulla scrivania riaggancia
passandosi una mano tra i capelli guarda l’orologio alza la cornetta si mette il mignolo nel naso
appallottola la caccola e la lancia nel cestino cambia posizione inarcando la schiena per sganciarla
un po’ prende appunti, stringe la cornetta tra spalla ed orecchio con una mano sfila una sigaretta dal
pacchetto e con l’altra tiene l’accendino si avvicina il posacenere e si appoggia sullo schienale della
sedia facendo alzare le due gambe davanti dispensa informazioni precise e consigli si sente sempre
più stanco risponde parla riattacca si massaggia il collo squilla di nuovo risponde parla riattacca
risponde parla riattacca si alza si siede un violino suona un’incalzantissima carica di gusto
mediorientale sempre più veloce più veloce risponde parla riattacca più veloce più veloce ancora
velocissima su sfondo nero un uomo cromato oscilla sospeso nel vuoto appeso a due sottilissimi fili
in uno spazio che da la sensazione di essere molle come una gelatina.
Semplicemente qualche minuto di stacco. Totale.
- “Mi faranno diventare frenetico come un dannato cinese se vanno avanti così! O forse sto
invecchiando e non riesco più a sopportare la solita mole di lavoro?
Su, forza! Alla tua età dovresti essere ancora uno stallone e non un cazzo-moscio come glia altri
colleghi che a trentanove anni vanno solo la domenica a giocare a bocce!”
Un nuovo squillo lo prende per i capelli e lo tira fuori dai suoi pensieri così velocemente che la sua
espressione di disappunto sembra lasciare la scia ricomincia lento il violino deve fumare ancora
adesso sta in piedi ha le gambe indolenzite con l’indice attorciglia il cavo del telefono riesce ancora
a sorridere ed essere gentile parla e ascolta si scorda dei Cinesi non guarda comunque la carta
geografica spegne l’ennesima sigaretta svuota il posacenere nel cestino riattacca parla riattacca di
nuovo il crescendo musicale risponde parla riattacca risponde parla riattacca risponde parla
riattacca, riattacca.
È arrivata l’ora fatidica. Il tempo passa molto più in fretta quando si è impegnati.
- “Non è stata poi così dura!” –solleva un angolo della bocca sbarrando gli occhi e inclinando
la testa- “…ma si dice sempre così quando è finita.”
Preme il pulsante che inserisce l’annuncio automatico che informa i clienti sull’orario di riapertura.
Si rilassa sedendosi scompostamente sulla sedia, con le gambe allungate e le braccia che pendono
dai lati, la testa ribaltata all’indietro e gli occhi chiusi.
Segue attentamente il costante fermento dei passi dei colleghi lungo il corridoio, ma non lo
infastidisce, anzi, si fa trasportare da quel fiume di voci e fruscii, colpi secchi e risate, si allontana
pian piano con loro e vede ogni cosa esattamente come sta accadendo. Paola dell’amministrazione
sarà sicuramente a fianco di Giovanna e con Marcello, il responsabile del magazzino. Tutti hanno
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ormai capito da tempo che i due si frequentano anche per fatti che non c’entrano col lavoro. Eppure
lui è sposato ed ha una bambina nata da poco. Ricorda il giorno che la notizia era circolata assieme
ai bicchieri di spumante offerti dal neo-papà.
Domenico si può permettere di aspettare che tutti siano usciti prima di andarsene a sua volta, come
molti altri si deve fermare a mangiare fuori perché col traffico che c’è a quest’ora ci metterebbe
almeno il doppio del tempo per tornare a casa. Come in quel periodo in cui Bruno aveva
inspiegabilmente preso una specie di tosse che lo torturava giorno e notte ed il veterinario aveva
prescritto tre antibiotici al giorno come cura. Il fatto era che dovevano essere presi ad otto ore di
distanza uno dall’altro. Per quasi un mese aveva dovuto alzarsi alle cinque per fare in modo che il
secondo trattamento coincidesse con la sua pausa per il pranzo. Prendeva un panino al bar
all’angolo e lo mangiava in macchina in mezzo ai gas di scarico, poi arrivava a casa, dava la
pastiglia a Bruno e si rimetteva in corsa per essere in ufficio per le quattordici e trenta. Era stata
un’esperienza infernale, ma per il suo unico vero amico avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Il trambusto scompare lentamente lasciando spazio a qualche motore che si accende, il rumore
viene dal parcheggio, dalle macchine di quelli che non fanno neanche un metro a piedi e di quelli
che possono tornare a casa a mangiare. Questi fortunati hanno un altro vantaggio oltre alla
comodità: poter utilizzare i buoni pasto forniti dall’azienda per andare a mangiare in altri posti per
conto proprio. Ormai un numero sempre crescente di ristoranti si convenziona, è conveniente e
comodo…per i clienti.
La maggior parte di quelli che lavorano con lui ha scelto un self-service poco distante dove si
mangia bene, si spende poco ed i bagni sono puliti e profumati. L’unico neo è che gli pare di
mangiare in ufficio vedendo sempre le stesse facce, e poi ha una sua teoria per cui la pasta cotta in
enormi pentoloni ed in quantità notevoli contemporaneamente, perde un sacco di gusto ed assume
una consistenza che gli risulta sgradevole…gli ricorda l’asilo.
Non che gli sia capitato qualcosa di negativo quando era all’asilo, ma l’unico ricordo che ha è il
cattivo sapore della pastasciutta delle suore.
Con calma si alza pensando, come ogni giorno, se mangiare bene al self-service ma in cattiva
compagnia, o se mangiare ancora la solita schifezza di panini e tramezzini, ma pacificamente solo.
- “Ma si. Mangerò degnamente questa sera, in fin dei conti questo potrebbe essere uno
stuzzichino, e mangiare abbondantemente una sola volta al giorno non è neanche sbagliato.
Vada per il bar da Ciccio.”
Per quanti sforzi faccia non riesce a sfuggire a questo circolo vizioso che gli sta aggrappato addosso
come un dato di fatto ma che giorno dopo giorno si mette in dubbio. Alla fine prevale sempre la
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voglia di soddisfarsi prima, e poi eventualmente soddisfare anche lo stomaco…quindi ingozzata
frugale, caffè e passeggiata con sigaretta.
Prende la giacca dall’attaccapanni e controlla se i preziosi buoni stanno nella tasca interna poi si
punta sui tacchi di entrambe le scarpe e facendo ruotare il busto lascia che le gambe lo seguano,
eseguendo una specie di goffo passo di danza per girarsi con la faccia verso la porta.
Con le mani in tasca e prestando voluta attenzione ad ogni passo, quasi voglia farli ognuno con la
precisa tecnica e la dovuta calma, arriva al portone d’ingresso e girando lentamente la maniglia
prova ad immaginare che effetto gli farebbe entrare in quel bellissimo edificio se fosse tutto suo, se
fosse il proprietario dell’azienda. Di ogni cosa ci sono pro e contro: probabilmente avrebbe molte
più preoccupazioni, sarebbe continuamente assillato dal pensiero che qualcuno a cui paga lo
stipendio non si impegni debitamente nel lavoro e allora vorrebbe sicuramente avere la possibilità di
controllare tutto e tutti di persona, ma rischierebbe di creare un rapporto di tensione con il
personale, d’altronde non lascerebbe mai che per colpa di un gruppo di lavativi i suoi sforzi ed i
suoi investimenti fossero vanificati. Senza contare la responsabilità indiretta di continuare a far
mangiare qualche centinaio di famiglie puntando solo sulle proprie forze e sulla fiducia che si ha nei
propri collaboratori più stretti.
-“ L’imprenditore è un lavoro che da delle soddisfazioni che a loro volte te ne permettono delle
altre, ma è anche rischioso. Stressante quantomeno. Non so proprio se lo farei.”
Spinge con forza la porta anche con la spalla ed appena fuori si chiude l’impermeabile fermandolo
con le braccia conserte, d’altra parte in questa stagione è maledettamente facile prendersi un
raffreddore e Domenico odia da morire starsene tutto il giorno a casa a vegetare quando è malato.
Non sa mai cosa fare, si sente inutile e poi Bruno soffre tantissimo quando è costretto a non uscire
per alcuni giorni.
Sono anni che non gli capita di stare male, al contrario di quando era un ragazzino e ad ogni cambio
di stagione aveva l’influenza assicurata…ma all’epoca stare a casa da scuola poteva fargli
sopportare qualsiasi cosa. Potesse tornare indietro a quei tempi con la coscienza del dopo,
sicuramente sopporterebbe qualsiasi cosa pur di andarci a scuola, e studierebbe con grande
passione. Il problema è che lo studio non te lo fanno amare quando è il momento giusto e quando si
hanno i mezzi per farlo ormai è troppo tardi, magari si è costretti a lavorare per continuare a
mantenere in piedi il palco delle proprie esigenze. Come è successo a lui.
Aveva vent’anni quando sua madre era morta, lo avevano lasciato lì da solo con quei quattro soldi
che erano riusciti a mettere da parte, la casa era in affitto. È stato allora che ha dovuto iniziare a
pensare seriamente a trovarsi un lavoro stabile e sicuro per poter andare avanti senza dover contare
sulle misere sovvenzioni di parenti lontani che forse nemmeno ricordavano si chiamasse Domenico.
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Aveva iniziato facendo l’apprendista da un idraulico, suo vicino di casa, sebbene avesse sorpassato
l’età massima consentita. Fu un’esperienza dura, e le seicentomilalire -di allora- al mese non
sbloccavano di certo la sua situazione.
Poi provò la fabbrica ma la catena di montaggio lo faceva impazzire.
Fu la volta del magazzino di un supermercato, e per la verità gli andava bene anche se lo stipendio
non era altissimo. Tutto andò liscio fino a che la società fallì e restò a piedi di nuovo.
Alcuni mesi dopo rispose ad un annuncio sul giornale ed ebbe il colloquio per un posto di
centralinista alla S.I.T.. ora quel lavoro è parte integrante della sua esistenza: ognuno non potrebbe
sopravvivere senza l’altro.
Ricorda che questo posto lo considerava come la sua ultima spiaggia quando le sue speranze di
avere una vita normale erano quasi ridotte a zero, l’ultimo tentativo prima di abbandonarsi agli
elementi così come venivano, senza più cercare di modificarli a proprio vantaggio. Ma a volte
capita che quando tutto sembra perduto, entra in scena un fatto nuovo, casuale, che cambia
completamente le carte in gioco. Ancora oggi crede che sia stata una sorta di ricompensa per tutto
quello che aveva passato…eccetto alcuni casi, esiste una certa forma di giustizia in questo mondo di
scompensi.
Usciti dal grande cancello elettrico bianco, si gira a destra per andare al self-service, a sinistra per il
bar da Ciccio.
Potrebbe anche usare la macchina, ma non ha fretta e si è profondamente convinto che ognuno, nel
proprio piccolo, sia tenuto a fare qualcosa per limitare il fottuto inquinamento che strangola le città,
ormai anche le più piccole. Così con le mani in tasca e leggermente ingobbito in avanti procede
lento come un’intera processione e la sua figura lineare scorre lungo il grigiastro retro dei
capannoni della zona industriale, lungo la solita scorciatoia di ghiaia, attraverso il cortile dell’ex
Italtech che ha chiuso circa tre anni e mezzo fa, lungo il marciapiede alto e largo che non ha mai
capito a cosa possa servire visto che l’unica cosa che si muove a piedi nei paraggi sono i gatti
randagi di notte, attraverso il piccolo boschetto in mezzo alla rotatoria che porta in tangenziale –
pesta una merda di cane…doveva succedere prima o poi…-, lungo tutto il violone a quattro corsie
costeggiato da orribili prefabbricati usati come depositi di generi alimentari, fastidioso rumore dei
motori delle celle frigorifere che ronza nelle orecchie, sbuffa e si accende una sigaretta.
La fame inizia a farsi sentire e quando lo stomaco chiede di essere riempito, fumare non gli dà lo
stesso solito piacere, solo un po’ di meno.
Guarda la sigaretta. Fa tre o quattro tiri riempiendosi la bocca al limite, poi aspira. Gli pare di aver
deglutito un sasso, aspetta qualche secondo e poi espira lentamente a bocca aperta per creare un
cono di fumo denso che ogni tanto spezza facendo qualche cerchio. Ripete l’operazione da capo e
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lancia lontano il mozzicone, con la stessa tecnica che usava da bambino per far correre le grosse
biglie di plastica con le facce dei campioni dello sport sulla pista di sabbia con le paraboliche.
Alla fine della strada ricomincia la città con tutti i suoi soliti servizi e si inizia ad intravedere il
capolinea degli autobus con la piccola piazzola creata apposta per fare in modo che si possano
girare senza intralciare il traffico, che nelle ore di entrata e di uscita dal lavoro è molto intenso
anche in quella zona. Chi usufruisce del servizio pubblico non è certo agevolato, infatti alcune
aziende distano anche un’abbondante quarto d’ora di camminata dalla fermata…potevano anche
pensare ad una corsa fatta esclusivamente per i lavoratori che facesse quanto meno il giro più
esterno dell’area industriale, giusto per evitare che praticamente tutti usino un mezzo proprio per
andare al lavoro, che è né più né meno di quello che succede ora.
Sorpassare la fermata è come sentire la campanella dell’ultimo giro in una corsa ciclistica su pista…
fa tirare fuori le ultime energie e magari si riesce ad essere più veloci nell’ultima parte della
competizione che in tutte quelle precedenti.
Ancora qualche centinaio di metri prima dell’arrivo.
Le vetrine del bar si presentano sporche come sempre e le orrende vetrofanie che richiamano le
forme dei panini e delle bibite danno a quel posto un aspetto decisamente periferico, da bettola di
porto industriale dove si spaccia droga e dove loschissimi soggetti si accoltellano per aggiudicarsi i
favori di qualche puttana eroinomane.
Appena si entra, se si trova il coraggio di farlo, ci si aspetta di vedere esattamente quello che si era
immaginato, condito dall’immancabile nuvola di fumo che ormai è diventata un controsoffitto e dal
forte odore di pesce fritto, invece gli occhi cadono subito su quell’enorme figura dallo sguardo
bonario che sta dietro il bancone, “Ciccio” per l’appunto. È così che si fa chiamare. Nel bar
lavorano lui e la moglie, anche lei una taglia forte, ed entrambi sono di una gentilezza squisita,
sempre con un sorriso pronto per tutti. La loro inflessione dialettale quando parlano l’italiano li
rende ancora più teneri.
Tutto è pulito perfettamente ed un gradevole profumo di fresco si mescola a quello dei panini che
sono sulla piastra, non si può fumare e non ci sono posti a sedere, solo qualche altissimo sgabello
che non dà nessun conforto alla schiena di chi è stato seduto tutta la mattina.
Domenico non ci sarebbe mai entrato in un posto come quello se non fosse stato per Gabriella, la
collega dell’ufficio accanto che un giorno l’aveva portato lì prima di convertirsi anche lei al self-
service. È piacevole confondersi tra gente che si conosce solo di vista ed ascoltare il ritmo caotico
del vocio in sottofondo che ti penetra fino a dare il tempo alla masticazione.
Il lato frontale del lungo bancone è tappezzato di cartoline che vengono da ogni parte del mondo ed
alcune sono addirittura in bianco e nero, altre hanno le immancabili donne nude che conservano
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ancora qualche cenno di attrazione. D’altronde un bel culo fotografato, a prescindere dal motivo per
cui è stato fotografato, è pur sempre un bel culo!
Ormai è prassi entrare, ordinare e mentre si aspetta scorrere con lo sguardo quelle centinaia di
rettangoli lucidi soffermandosi solo su quelli con qualche pezzo di qualche bella signorina.
-“ Finalmente!”- apre la porta facendo attenzione al gradino –“ Ciao Ciccio! Ciao Marisa! Cosa c’è
di buono oggi?” Si toglie l’impermeabile per sentirsi un po’ più libero nei movimenti. Orami sono
anni che frequenta quel locale ed ha una certa confidenza con i proprietari, ma gli piace anche il
fatto che essendo un cliente loro non tentano mai di sapere i fatti suoi con domande inopportune, e
così può condurre la conversazione negli argomenti che preferisce, oppure non iniziarla nemmeno.
Tutto comunque a sua discrezione. Odia la gente indiscreta.
-“ Come va, ragazzi? Visto che anche oggi vi degno della mia compagnia?”
- “ Bene, grazie Domenico. Tu?”
Si avvicina alla vetrina che contiene niente meno che cibo.
Ciccio si sposta a sua volta facendo scricchiolare la pedana sotto i suoi piedi.
-“ Come al solito…una fatica.
Oggi prendo un vegetariano, un toast farcito con le melanzane e la solita acqua minerale naturale,
grazie.”
Ciccio annuisce con la testa.
-“ E’ in gamba! Sa sempre dove fermarsi per non diventare invadente. È questo il modo di gestire
un locale, anch’io farei così!
Altro che i Cinesi che si opprimono con il carico del giudizio altrui e con la cortesia a tutti i costi!
Come cazzo faranno a vivere in quelle condizioni è una cosa che non capirò mai…mi scoppia il
cervello solo a pensarci!
Chissà se proprio non capisco o se è solo una questione di paura di cambiare sistema…comunque i
Giapponesi non se la devono passare molto bene…sarà una questione genetica!”
Una sola cosa lo infastidisce di quel posto: le gocce di formaggio colate sulla piastra che friggono
emanando un odore acutissimo che pizzica le narici fino in mezzo agli occhi, acido quasi.
E anche lo sgabello, naturalmente.
Ma la tranquillità viene prima di tutto.
Dal primo giorno che l’ ha conosciuta, si è accorto che Marisa lo guarda in modo particolare, ma
ultimamente la cosa è diventata più evidente, sarà forse per il fatto che salta subito agli occhi la
differenza di età e di figura tra lui e Ciccio, ma questa situazione lo imbarazza dal momento che lui
non prova assolutamente nessun interesse nei confronti di quella donna, per cui da tempo ha deciso
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di non rivolgerle la parola direttamente o quanto meno di essere il più banale e generico possibile
quando le parla.
Non è mai scortese, non sia mai detto.
Semplicemente alimenta il dubbio di lei che questo suo comportamento sia dovuto alla normale
distanza da mantenere tra cliente ed esercente, e contemporaneamente la sua speranza di tornare ad
essere femminile conquistandosi le attenzioni di un giovane uomo.
Non troverebbe mai il coraggio di fare qualcosa che le facesse capire che il solo pensiero di vederla
nuda lo fa rabbrividire, neanche se fosse qualcosa fatto con la dovuta gentilezza e classe. È anche
una questione di carattere in fondo, non ricorda di aver mai detto in faccia a nessuno esattamente
quello che gli spettava, nemmeno quando la ragione era tutta dalla sua parte…è un’innata difficoltà
a dire o fare cose che sanno di offese.
Di solito preferisce lasciar perdere.
-“ Sono sicuro che se mi giro lei mi sta guardando.
Maledizione Marisa!
Toglimi gli occhi di dosso che hanno i denti che mi pungono la schiena.
Ma guarda che cazzo mi deve capitare…mai che mi succeda con una bella ventiduenne!
Però anch’io…ormai dovrei esserci abituato, e poi…mi spavento per una che si è già quasi scordata
la menopausa e che avrebbe solo voglia di un po’ di sesso?
Si vede che quest’ultimo periodo di astinenza mi ha rammollito.
Quasi quasi la faccio felice un paio di volte e interrompo la mia serie negativa, tutto
contemporaneamente!
Ma che cazzo stai pensando Domenico?
No, dico, che cazzo stai pensando? Non ti sarai mica bevuto il cervello?!?
Pensa a questa donna molliccia e sudaticcia che ti si dimena sopra come un’indemoniata e che
magari vuole sentirsi dire volgarità per scaricare anni di libidine repressa…ma poi, al di là di
tutto…che cazzo stai pensando?!
Cadere in basso va bene, ma così sarebbe davvero troppo.”
Riporta il pensiero al cibo senza muoversi di un millimetro, girando la pagina della Gazzetta che
non sta nemmeno leggendo. Non saprebbe come ingannare l’attesa ed evitare l’imbarazzo
altrimenti, non si può neanche fumare e alzarsi e uscire per farlo è fuori discussione: lo farebbe
passare per un tossico nicotinomane.
Non può nemmeno gustarsi i giornali dal momento che le notizie principali le ha già sentite al
notiziario della mattina in tv –d’altronde gli piace troppo quel tipo di compagnia quando si alza- e
delle minori non gli importa più di tanto, la cronaca locale la segue al telegiornale regionale della
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sera. Senza contare che l’apprendimento passivo lo soddisfa maggiormente e gli risulta meno
ingombrante…per leggere di disgrazie o cazzate fatte da questo o da quel politico dovrebbe
addirittura sforzarsi, il miracolo dell’audio-video scavalca agevolmente questo ostacolo. E poi adora
vedere i giornalisti alle prese con improvvise situazioni non inserite nella scaletta, gli piace
soppesare la professionalità dei vari cronisti in base al modo in cui reagiscono ad una variazione del
programma non calcolata.
Gli sarebbe piaciuto anche fare il giornalista, magari l’inviato o il corrispondente dall’estero, vivere
una vita sbriciolata e sparsa in luoghi diversi, senza orari né legami, e magari comprare una casa di
campagna nei dintorni dove rifugiarsi, magari proprio quella dove ha abitato con i suoi.
Forse non sarebbe stato tagliato per questo tipo di lavoro.
E se l’avessero mandato in mezzo ai Cinesi?
Magari a Pechino!
Sarebbe di sicuro impazzito!
-“Il pranzo è servito, Domenico.”
La sonora voce di Ciccio spacca il brusio condito dal bip caotico del registratore di cassa che in
questo orario difficilmente tace.
Si alza e si gira verso il banco tralasciando di fare attenzione ad ogni cosa fino a che non mette a
fuoco quella faccia tonda, solo per non incrociare lo sguardo di Marisa che lo fa sentire esattamente
come quando scoreggiava in classe e la puzza si diffondeva veloce tra i banchi suscitando conati di
vomito nelle compagne più a modo: un’indifferente colpevole idiota. Solo che le performances
scolastiche erano anche divertenti…
- “Grazie Ciccio.” Il piatto si presenta con un panino sopra l’altro.
- “Forse dovrei smettere di venire qui…ma dove vado a mangiare?
Povero Ciccio…nemmeno si accorge di quello che gli capita sotto agli occhi.
Le donne possono fare più danni di una bomba!”
Scuote la testa in segno di disapprovazione confondendo il movimento tra quello per allungare il
collo e quello per annusare il cibo.
Addenta per primo il vegetariano perché gli piace sentire la sensazione che dà il pomodoro a
fette caldo: sugosa e tiepida…se lo mangiasse per secondo di certo si raffredderebbe. Di solito
beve un sorso d’acqua subito dopo il primo boccone e poi tenta di regolarsi e di lasciare metà
bicchiere per il secondo panino.
Bruno è di ritorno dal bagno dove una cassetta per gatti piena di ghiaia fine sostituisce erba ed
alberi e riceve i suoi rifiuti organici mentre Domenico è fuori. La maggior parte delle volte
riesce tranquillamente ad aspettare, ma quando capita di non poterlo fare allora quel pezzo di
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plastica azzurra diventa indispensabile. Se dipendesse solo da una sua scelta chiederebbe di
vivere in una casa con il giardino.
Anche l’appartamento comunque va bene, è un posto caldo e sicuro e le occasioni per uscire
non mancano di certo. Da questi punti di vista, come da molti altri del resto, Domenico è un
compagno coscienzioso, di quelli che non dimenticano mai le esigenze di chi in qualche modo
dipende da loro.
La ciotola dell’acqua e del cibo sono sempre pulite e non hanno mai quell’odore sgradevole di
avanzi lasciati ad invecchiare, la coperta della cesta viene sbattuta e messa all’aria nel terrazzino
quasi ogni giorno, la vaschetta viene lavata e disinfettata dopo ogni uso, la salute è tenuta sotto
controllo con regolarità, il menù è vario e abbondante, la sterilizzazione è stata evitata, l’affetto
assicurato…e poi dicono della vita da cani!
È come se Bruno si rendesse conto di tutto ciò e ricambiasse la considerazione che gli viene
data tenendo a sua volta in considerazione la diversità dei ruoli all’interno del gruppo.
Il rispetto reciproco ha reso questo legame solido e piacevole da approfondire, anche se ormai
sono ben pochi gli atteggiamenti dell’uno che risultino nuovi od inaspettati per l’altro, e
viceversa.
È diventato così raffinato che ormai è quasi una questione di sole presenze, di delicate
consapevolezze sull’essenza della presenza, di equilibrio della coesistenza in uno stesso spazio,
in uno stesso tempo.
Odori, rumori, immagini vere o fantasiose, a volte preoccupazione.
Addenta il toast farcito sapendo già che non riuscirà a finirlo e che poi lo avvolgerà nella
salvietta e lo butterà nel cestino assieme al resto prima di appoggiare il piatto e il bicchiere sul
bancone. Gli secca tremendamente far vedere che butta lo roba da mangiare.
È il pensiero di non poter mangiare una buona pasta col sugo come quella che faceva sua madre
che gli smorza l’appetito. Guarda fuori della vetrina le macchine che passano. La mente si
rifiuta di pensare al rientro al lavoro: ogni cosa a suo tempo. Prima ci sono un buon caffè, una
passeggiata come digestivo ed una grandiosa sigaretta come dessert, com’è che si dice?!…
Dulcis in fundo!
Adora quei minuti di completa solitudine, camminare fumando per tornare verso l’ufficio lo
rilassa tantissimo e lo ricarica di buona volontà, tutta quella che gli serve per affrontare la
seconda parte della giornata di lavoro che, per fortuna, gli pesa sicuramente meno della prima.
Solitudine, compagnia…
Gli viene in mente che la sera dopo c’è la cena a casa di Marco, con Gigi ed Elisabetta che non
vede da quasi un anno, il pazzoide Sergio con i suoi soliti spinelli –non crescerà mai-, Roberto
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con la sua ultima fiamma Martina, Greg il canadese collega di Marco alla farmacia e altri amici
di amici che non conosce. Ci sarà anche Bruno con lui, naturalmente. È sempre ben accetto
nelle case degli amici, anche di quelli che hanno gatti, perché è tranquillo, ben educato e non dà
il minimo disturbo.
L’aver ricordato questo piacevole impegno gli ha sollevato il livello di resistenza alle fatiche del
lavoro.
Gli piace coltivare qualche amicizia discreta, poco chiasso, qualche cena tra intimi, qualche
mostra e qualche gita, qualche libro consigliato, a volte il cinema o la partita di coppa, poi amici
che continuano la propria vita privata. Quelle più strette sono quelle più datate, come spesso
accade, Sergio è un compagno addirittura delle medie, Marco uno dei primissimi conosciuti al
club di pallavolo.
Nessuno dei due è cambiato di tanto dal primo incontro…nemmeno lui, suppone.
È bello anche perché ognuno è per gli altri uno specchio su cui guardare che effetto fa il tempo
che passa e contemporaneamente un punto fisso a cui sono ancorati ricordi ed esperienze che
altrimenti sarebbero di certo andati alla deriva, che si sarebbero persi come chissà quanti altri
hanno già fatto. È difficile tenere il conto perché nel momento in cui vengono richiamati per
essere ricordati non sono più persi, e così quelli che scompaiono lo fanno senza lasciare traccia,
in silenzio e a tradimento.
Avere la coscienza di ciò che è stato è importante per capire dove si sta andando.
Forse proprio in questo sta la spiegazione del rapporto che ha con i luoghi che lo hanno accolto
il giorno che è nato e che lo hanno accompagnato fin dove è arrivato, –quante volte lo ha
pensato- quei luoghi che conosce alla perfezione e che sono diventati lo scenario
imprescindibile della sua vita, quelli che non lascerebbe per niente al mondo, quelli che gli
fanno venire voglia di tornare quando è distante, quelli che osservano e commentano tutto ciò
che fa perché lo conoscono, perché hanno la confidenza per poterlo fare, quelli che sanno chi
erano i suoi genitori, che sanno che la sua è stata una famiglia rispettabile e che altrettanto si
può dire di lui.
Fa parte della popolazione di quella città, lì ci sono le sue origini, le sue radici, ed un albero
senza radici non può crescere.
L’ultimo angolo del toast proprio non gli va giù, lo appoggia sulla salvietta e beve d’un sorso
tutta l’acqua rimasta nel bicchiere. Si asciuga la bocca e avvicinandosi al banco ordina il caffè.
Sembra impossibile ma il tempo corre quando ce n’è poco a disposizione ed arrivare tardi non
gli si addice, perciò visto che la passeggiata non ha tempo definito, di solito preferisce muoversi
appena terminato.
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Anche perché così può sfuggire alle silenziose proposte di Marisa.
- “Lo sai che il tuo caffè mi salva la vita, vero Ciccio?”
- “Ci mancherebbe…è il migliore!
Però costa…”
- “Immagino. Ma merita di essere pagato.”
Il sapore intenso e sincero e la consistenza cremosa gli invadono la bocca, con il cucchiaino
pesca lo zucchero sul fondo della tazzina riappoggiandola poi delicatamente sul piattino
spostando la bustina vuota. Una mano è già dentro la tasca alla ricerca dei buoni pasto. Saluta a
distanza un paio di persone con un cenno della testa ed un impercettibile movimento della
bocca.
Pagando con i buoni gli torna anche qualcosa di resto, che per la verità è qualcosa meno di un
pacchetto di sigarette, e sono soldi che a conti fatti gli sono utili a fine mese. Intasca le
banconote da una parte e le monete dall’altra gettando per terra lo scontrino accartocciato e con
un rapido movimento del piede ne devia la traiettoria prima che tocchi il pavimento, per farlo
rotolare più in là.
- “Forse ci vediamo domani!
Grazie e ciao.”
- “Ciao Domenico.”
Si gira verso l’uscita.
- “Ciao Marisa!”
Ora che se ne sta andando le concede uno sguardo ambiguo.
Appena fuori prende la direzione opposta a quella da cui è venuto per allungare il giro e perdersi
un po’ nei suoi pensieri. Sfila una sigaretta dal pacchetto e l’accende senza tergiversare, poi con
calma rimette via tutto, si sistema il colletto dell’impermeabile.
C’è anche qualche impiegato della banca per strada, i soliti inconfondibili gruppetti, quelli che
si riconoscono a duemila chilometri di distanza: cinque o sei bei fusti abbronzati da lampade
integrali con denti bianchissimi e capelli in ordine, giacca, cravatta e scarpe lucide color radica,
solitamente due donne ben vestite e cariche di splendida bigiotteria, una ha gli occhiali, e
talvolta chiude la sequenza il collega informale, blu-jeans, scarpe casual, camicia poco classica
e maglioncino.
A Domenico sembrano una pattuglia di marinai inglesi ubriachi fradici in giro per Bangkok per
la prima volta, all’epoca del colonialismo.
Sono divertenti.
Fa un lungo tiro.
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Sono baldanzosi e chiassosi, abituati ad essere al di là di un divisorio di vetro invisibile che col
tempo diventa psicologico, abituati a trattare in modo diverso la gente e a farsi trattare in modo
diverso dalla gente, d’altronde il denaro è campo di umiliazione o di adorazione.
Odia andare in banca, infatti…quelli sanno tutto di tutti ed ammesso che per professionalità non
divulghino confidenzialmente i fatti altrui, quando si è lì davanti il rapporto è sempre diretto,
uno a uno, uno che dell’altro sa e l’altro che dell’un sa più o meno nulla. Si entra uno alla volta,
si esce uno alla volta, il maledettissimo metal detector sulla porta che suona anche se si ha una
puntina infilata sotto la suola della scarpa. La riga blu che non si può oltrepassare per garantire
la riservatezza del cliente che sta facendo l’operazione…ma quale cazzo di riservatezza.
Sono un clan di indiscreti che semplicemente non hanno niente che possa farlo pensare.
Ma è l’istituzione-banca che li plagia. Lo stesso che succede a quei poveretti che sono obbligati
a lavorare come forsennati con orari allucinanti per non perdere quel posto da sottopagati
nell’enorme ingranaggio dell’organizzazione degli ipermercati stranieri. Eppure migliaia di
persone sono pronte a prendere il posto del primo che viene liquidato o che si licenzia per non
scoppiare. Ti fanno il lavaggio del cervello.
Si accorge improvvisamente che per seguire il gruppetto con lo sguardo sta quasi camminando
all’indietro.
Si gira e mette la sigaretta tra le labbra, facendo finta di niente. A volte un’innocente curiosità
viene scambiata per invadenza e crea equivoci spiacevoli. Gli è già capitato che la malizia delle
persone abbia distorto i suoi atteggiamenti.
Un autobus passa rumorosamente tagliando lo spazio che lo metteva in relazione con il
gruppetto all’altro lato della strada, dividendo le vicissitudini.
Ora lo sguardo ed il pensiero di Domenico sono rivolti in avanti e passo dopo passo la sua figura
si squaglia e si ricompone uguale a prima nella gioia di sentirsi protetto dall’indifferenza con cui
conosce perfettamente chi è in quel momento, da dove è partito e dove sta andando, muri di
palazzi e vetrine di negozi. Quello è il suo universo, quello dove qualunque estraneo deve
sentirsi un intruso con una maschera che ne nasconde l’identità, e per questo motivo potrebbe
essere sottoposto a lunghe valutazioni ed osservazioni.
Dopo un paio di isolati arriva l’unico punto un po’ fastidioso del tragitto, emotivamente
sconnesso. È la porta di ingresso dell’Eden bar. Anni fa era il locale in cui andava a mangiare
prima di conoscere Ciccio e da cui è scomparso improvvisamente senza mai più avere il
coraggio di ritornarci. Sarebbe stato molto imbarazzante tentare di trovare una scusa per
giustificare il suo comportamento se Antonio –il proprietario- gli avesse chiesto come mai fosse
sparito. Data la confidenza che aveva avuto quasi da subito, sarebbe stata una domanda
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assolutamente inevitabile e Domenico aveva deciso che si sarebbe risparmiato la mancanza di
tatto di rispondere che aveva trovato un posto dove si mangiava meglio e con meno soldi. Così
evita il luogo fisico per evitare quella domanda.
Ad ogni modo questo inconveniente non è mai riuscito ad essere più forte della sua voglia di
fare quella strada per tornare in ufficio e così si lascia rapire da distrazioni false come i comizi
elettorali, basta che provengano dal più distante possibile da quella porta. La vetrina è coperta
da una tenda per cui è questione di un attimo: spostare lo sguardo dall’altra parte della strada ad
esempio, e fare quei due passi per uscire dalla visuale che la porta consente e sfuggire
all’attenzione di chi sta dentro.
Gli capita di sentirsi ridicolo…un bambino con il corpo da adulto. Ma anche se il fottuto mondo
lo ignora, lui lo fa semplicemente per non offendere Antonio, non perché abbia paura di dire
come stanno davvero le cose.
Lancia lontano il mozzicone della sigaretta fumata avidamente. Gli occhi gli corrono avanti
lungo le facciate dei palazzi ed aspettano fissi in qualche punto che lui vada a riprenderli, e poi
ricominciano.
Domenico cristallinamente adora quella camminata.
L’ufficio postale…quelli si fanno una bella vita…gli statali…gente fortunata. Lo diceva sempre
anche suo padre e lui non aveva mai ben capito il perché, lo aveva preso come un luogo comune
sul lavoro fisso, sulla paga e la pensione assicurate, sulle poche controindicazioni di quel tipo di
impieghi. Da quando aveva lui stesso iniziato a lavorare, quelle dicerie erano diventate sempre
più delle verità, delle certezze, fino ad arrivare ad essere una sottile invidia.
Forse un fastidio per quella generica ingiustizia.
Ma la vita è così, ad alcuni va bene, ad altri meglio…ma c’è anche a chi va di merda! Questo -
diceva sempre sua madre- non bisogna mai dimenticarlo.
Subito dopo l’elettrauto, all’angolo con lo strettissimo Vicolo Lodigiani sulla destra, si aprono
le vetrate del ristorante cinese “Fior di Loto”, decorate con dragoni che sputano fiamme
attorcigliati su colonne fine intarsiate a spirale. Le luccicanze del rosso vivo e dell’oro, del
verde giada e del giallo e le sinuosità di quei due esseri, non passano inosservate. C’era anche
stato a mangiare una volta con Rossella. Lei adorava la cucina cinese e quello era probabilmente
uno dei locali migliori della città.
All’interno, da quel poco che si vede, sono in corso i ferventi lavori per l’apertura serale, per il
rito a cui parteciperanno molti altri Cinesi.
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È impressionante, ma ci sono sempre numerosi autobus da gran turismo che accompagnano
comitive di orientali forse stanchi del cibo italiano o magari solo diffidenti, che si riversano
come locuste nei ristoranti che servono la loro cucina tipica.
A Domenico è capitato di vedere gli stessi autobus più giorni di fila.
- “Magari è tutta una messinscena! Mettiamo che la presenza di un loro ristorante in ogni
quartiere di ogni città del mondo non sia proprio casuale.
È probabile che tutti i Cinesi che se ne vanno dal loro paese e si stabiliscono in un altro
finiscano per aprire un ristorante o per lavorarci?
Dico, si è mai visto un Cinese in un’edicola? In una tabaccheria? Un infermiere? Un fantino?
Un muratore? Un domestico o un alpinista? Sono tutti nei ristoranti!
A me pare che quando una coincidenza si ripropone in così larga scala, inizia a perdere di
credibilità…
E quando finiscono di lavorare cosa fanno? Non si vedono in giro. Vanno al supermercato?
Dove passano i momenti liberi?
Escono a bere una birra?
Io li ho visti solo all’ufficio di collocamento per rinnovare il libretto di lavoro, e ogni volta
ognuno accompagna un amico appena arrivato che ancora non sa la lingua.
E poi svaniscono.
Quanti Cinesi ci sono in Italia?
Quando muoiono, dove vengono sepolti? Non ho mai visto la lapide di un Cinese al cimitero!
Vuoi vedere che un’altra coincidenza ha voluto che fin’ora tutti gli immigrati Cinesi siano
riusciti a tornare nel loro paese prima di morire? E così sarebbero tutti sepolti lì, tra la loro
gente…potrebbe essere…
Sono essenze, sembra che facciano di tutto per non farsi notare, per
passare inosservati.
Com’è che un nero lo si nota subito per strada anche se ce ne sono una moltitudine in giro,
mentre ad un Cinese non fa caso nessuno?
C’è mai stato un articolo sul giornale che parlasse di qualche Cinese coinvolto in qualcosa di
illegale o deceduto in un incidente spaventoso che lui stesso aveva causato?
C’è mai stato un Cinese terrorista? Non qui!
A nessun Cinese è mai venuto in mente di spacciare droga, proprio a nessuno?
Non ricordo di aver mai sentito di qualche Cinese incazzatissimo od uscito di testa che ha
ammazzato qualcuno, o che si sia suicidato.
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Dove vanno in vacanza? Tutti in Cina? Quelli che si incontrano sui litorali sono tutti turisti. È
incredibile!
Sembra che cessino di esistere materialmente, una volta usciti dai ristoranti.
Ma forse c’è una spiegazione: lavorano diciotto ore al giorno e poi vanno a letto, e così per tutta la
vita…e poi, mica tutti i ristoranti cinesi saranno in attivo, è normale che per qualcuno le cose non
abbiano girato per il verso giusto…succede anche agli occidentali! Qualcuno sarà pur stato costretto
ad invecchiare qui.
Giuro che tra i pochi che ho visto in giro non c’era nemmeno un anziano. Quasi tutte giovani coppie
con un bambino o gruppetti di uomini…cosa fanno? Li mangiano i vecchi? Oppure ad un certo
punto si reincarnano in un corpo più giovane…
Quanti sono cittadini italiani? Non ne ho mai visti ai seggi elettorali.
Sono fantasmi, silenziosi ed iperattivi proprio come le formiche, tanti come le formiche, con la testa
grossa come le formiche. Chissà se nascondono mascelle a tenaglia dietro quei sorrisi
appiccicosamente accondiscendenti. Chissà se non li useranno per divorarci…”
La strada continua a scorrere sotto i piedi di Domenico.
Si accende un’altra sigaretta.
-“E se invece i ristoranti non fossero altro che punti di ritrovo, filiali dell’Impero dove si addestrano
gli animi dell’esercito che dovrà conquistare l’Occidente…
Punti di soggiorno e di ristoro per attivisti in fuga dopo azioni destabilizzanti portate a termine in
altri paesi…
Sedi rionali del Partito…
Nascondigli di armi e informazioni…
Uffici di reclutamento…
Magari in ogni retro bottega si nasconde il posto in cui si riuniscono per concordare le nuove
strategie e per adorare le loro divinità.
Magari è proprio per questo che non si vedono nei luoghi pubblici…hanno altro da fare, e vivono
nella perfetta legalità e nel perfetto anonimato per non avere problemi con le forze dell’ordine
locali. Come quando dei rapinatori fuggiti in macchina dal luogo della rapina e confusi nel traffico,
evitano di passare con il rosso e di superare i limiti di velocità.
Sono come le dannate sette segrete!
Come i batteri in incubazione in un fisico sempre più debole…aspettano il momento opportuno per
saltare fuori ormai talmente forti e convinti da essere invincibili.
Per il momento vivono in mezzo a noi, mescolati, per studiarci e per mettere a fuoco con precisione
i punti in cui colpire, i modi in cui colpire, facendo la parte di quelli che lavorano onestamente e che
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si danno semplicemente una mano tra connazionali, esattamente come facevano i nostri emigrati
decenni fa.
Esistono molte Little Italy come molte China Town, molti ristoranti italiani e molti cinesi in ogni
parte del globo. L’unica differenza è che la presenza degli Italiani è evidente, chiassosa, conosciuta
e solare. Perfino le congreghe mafiose lo sono…tutti sanno e tutti vedono. Ma tutto finisce lì,
nell’esagerata protezione della famiglia come interesse superiore, nel culto dello scambio di favori,
nella patologica diffidenza nei confronti di uno Stato saccheggiatore ed assente da secoli. Poi la
società moderna ha iniettato in questi concetti la violenza, il business, la ricchezza, lo scadimento
dei codici d’onore rigidi e con radicate origini morali in favore di potere puro e semplice. Il grande
compromesso con la classe politica.
Quella cinese non è una comunità, non è un clan, è una semplice organizzazione, aggettivo che è
stato ultimamente usato per etichettare anche Cosa Nostra: crimine organizzato. Un qualcosa con
uno scopo ragionato che scaturisce solo dalla fredda determinazione e non più dai sentimenti. Ed
ecco che si sfocia nel fanatismo, quello coatto, quello folle, quello che esplode in una sola
devastante deflagrazione.
Io me li immagino: ometti insignificanti umilmente prostrati ai piedi dei superiori, servilismi e
reverenze pompose. Tutti hanno due volti, quello del sottomesso e quello del dominante, in una
scala che si perde all’orizzonte con intrecci intercontinentali, posti di lavoro che improvvisamente si
liberano e velocemente vengono rioccupati da altri gialli, tanto nessuno se ne accorge.
Una mattina ti svegli e scopri che l’appartamento all’ultimo piano che credevi sfitto è invece abitato
da Loro, da quelli che non avevi mai visto né sentito far alcun rumore, oppure la tua vicina
scompare ed il giorno dopo te li trovi lì con le valigie da disfare…e forse è successo tutto perché
quella casa in quella posizione a Loro serviva…e tu non ne sai nulla…”
Una certa sensazione di disagio gli si aggrappa ad una gamba e si fa trascinare.
Si guarda attorno trovandosi a tratti un po’ ridicolo a pensare certe cose.
- “Ridicolo un cazzo!
Non ci avevo mai pensato, nessuno forse ci ha mai pensato, o forse non gli ha dato importanza.
Se è venuto in mente a me, non capisco perché sarebbe da escludere che possa essere venuto in
mente anche ad un Cinese…in fondo lui avrebbe più motivi di me per voler schiacciare gli
occidentali, e visto che Loro sono molti più di noi, la teoria delle probabilità assicura un buon
numero di cervelli bacati che potrebbero pensare di organizzare un’operazione simile. Anche se
potrebbe essere un progetto tramandato da dinastie e quindi ormai trasmesso da secoli negli
animi delle nuove generazioni come lo scopo ultimo e fondamentale.
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E poi vengono qui e ti sorridono e sono gentili, e intanto pensano a quando ti vedranno in catene
in fila per essere giudicato utile come servitore o come concime per le risaie.
E Loro abiteranno in splendide regge circondate da giardini meravigliosi, vivranno nel lusso
della loro cultura millenaria fatta di onore, di fede, di coraggio e di saggezza…e di tutte le altre
cose che sporcano le mani, che non saranno più mani gialle.
Si prenderanno tutte le donne e le useranno come fanno con le loro, senza rispetto, fino al punto
in cui dopo qualche secolo di incroci le altre razze si estingueranno.
Ma forse era già tutto scritto nei codici dell’evoluzione della nostra specie.
Ricordo che a scuola ci avevano spiegato le teorie dell’evoluzione con un esperimento fatto da
un tizio, un certo Mendel se non sbaglio, che aveva incrociato delle piante di piselli di cui
alcune avevano la caratteristica di dare frutti verdi e lisci, altre di un altro colore e rugosi.
Osservando i risultati degli incroci nelle generazioni successive, riuscì ad evidenziare che
determinate caratteristiche, che chiamò caratteri, risultavano recessive, altre dominanti. Accertò,
ad esempio, che i frutti tendevano ad essere quasi tutti rugosi. Ormai è arciprovato che questa è
una legge fissa: se un soggetto bianco e uno di colore hanno un bambino, indipendentemente da
quale dei due genitori sia di colore, il bambino avrà la pelle scura.
Tutti i neri africani presentano caratteristiche equivalenti: bocca grande, naso schiacciato con
narici larghe, fronte robusta e forma del cranio leggermente diversa dalla nostra.
Questi sono tutti caratteri altamente trasmissibili a tutte le razze…ma non ai Cinesi!
Se un nero ed un Cinese hanno un bambino, nascerà anche con la pelle scura, ma i tratti saranno
spiccatamente orientali!
Cazzo! Questa è una catastrofe!
Mongoli, Giapponesi, Tibetani, Nepalesi, Coreani, Siberiani, Cinesi…soprattutto i Cinesi…si
somigliano tutti…sono tutti della stessa razza e le poche differenze sono dovute alla diversità di
habitat! Ed ogni volta che uno di loro genera figli mescolandosi con un’altra razza…è una
contaminazione lenta ma inarrestabile!
Oh cazzo!
Predominanza genetica…ecco cosa!
È fottutamente incredibile…diventeremo tutti cinesi prima o poi, e non possiamo farci niente!
È come un cancro che infetta pian piano una cellula alla volta, ha tempo, sa di non poter essere
asportato!
Diventeremo Cinesi diventando Cinesi…”
Domenico si trova particolarmente perspicace.
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Inizia ad agitarsi…tutta quella fluida logicità nelle considerazioni e nelle conclusioni che
spiegano molte cose, non gli sembra solo un gioco di fantasia.
Affretta il passo infilandosi le mani nelle tasche e tenendo lo sguardo in avanti.
- “Adesso inizio a capire.
Stanno sempre tra di loro perché che senso avrebbe integrarsi in una società in via d’estinzione?
Terranno in vita qualche esemplare di qualche specie minore per farli accoppiare, qualche
esemplare non incrociato, di pura razza bastarda, giusto il necessario a garantirsi le scorte di
servitori.
Altro che armi ed eserciti!
Deve essere così!
Non può che essere così!
Come ho fatto a non capirlo prima?
Stanno aspettando che la Storia faccia il suo corso, stanno aspettando di rimanere gli unici, i
prescelti, e intanto iniziano a colonizzare i nuovi territori per sfruttarne meglio le risorse quando
tutto sarà loro.
Maledetti gialli!
Hanno già la partita vinta e lo sanno!
Sono tutti d’accordo su cosa devono fare, ognuno di loro conosce perfettamente il proprio posto,
il proprio ruolo e lo scopo finale…soprattutto quello…sanno che forse non riusciranno a vedere
quel giorno, ma godono della certezza che arriverà!
E noi?
Allora ci stiamo trascinando come vermi in una latrina, andiamo avanti perché non possiamo
immaginare quello che ci aspetta, quello che succederà ai figli dei figli dei nostri figli…”
Una piccola folata d’aria gli scompiglia i capelli e gliene adagia un fine ciuffo sulle ciglia, una
mano nervosamente li rimette a posto con un gesto vecchio quanto lui stesso, ripetuto decine di
volte al giorno come quello di togliere la sigaretta dal pacchetto –come sta facendo ora- e
riuscire ad accenderla all’aperto entro il secondo tentativo, ma tanto che importanza può avere
ogni stupida cosa arrivati a questo punto della vita che non si accontento neanche più di
dedicarti i peggiori problemi che le vengono a portata di mano ma ti riserva anche la sorpresa
finale di farti sapere che prima o poi tutti diventeremo fottuti Cinesi con le loro fottute regole e
le loro vomitevoli tradizioni buone solo per un popolo di braccianti cresciuti con i piedi nel
fango.
Un lungo tiro gli smorza le palpitazioni.
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- “Devo stare tranquillo…ci deve essere una via d’uscita…non può essere già tutto deciso,
non possiamo essere destinati a soccombere geneticamente, non possiamo umiliare un
orgoglio di secoli di cultura illuminata!
Cazzo, non faremo mica la stessa fine dei dinosauri? Da dominatori ad estinti, da colonne
portanti al ruolo di scomparsi senza i quali il sistema procede ugualmente…e poi tutto per
lasciare spazio a dei Cinesi?
Buon Dio! Con tutte le razze che ci sono…
A proposito…dimmi Dio, hai gli occhi a mandorla?! Sono davvero loro i tuoi prediletti? Cosa
hanno fatto per meritarlo?
Tu sei il Dio unico, e loro nemmeno ti venerano…allora perché?
Siamo noi il tuo popolo, quello per cui hai diviso le acque, che erano un pericolo insignificante
confronto a questo, ti ricordi? Quello a cui hai dettato le tue leggi, quello che per te è stato
perseguitato, quello che si è immolato nel tuo nome, quello che porta la tua parola, quello che
sta scontando le conseguenze del peccato originale…vuoi abbandonarlo adesso?
Forse…forse questa è la punizione per aver crocifisso tuo figlio?
Ma tu sei misericordia infinita…! Non puoi averci programmato una fine simile!”
Del Cristianesimo Domenico non accetta il ruolo della Chiesa, il lusso dello Stato Vaticano, la
figura del Papa e dei Vescovi e le loro sfarzose cerimonie.
Sua madre diceva sempre che ogni posto e ogni momento sono buoni per pregare e che i preti
non servono a niente, non sono meglio di un altro cristiano che fa del bene e cerca di seguire le
leggi di Dio.
Anche lui si è sempre trovato d’accordo e ha conservato la sua fede nel più profondo del suo
animo, lontana dai calendari religiosi e dalle confessioni di massa. Molto lontano dalle chiese e
dai preti, “..quelli che mangiano a sbafo…” era come la sua povera mamma li chiamava quasi
con disprezzo, eppure in chiesa ci andava nelle occasioni più importanti e aveva un buon
rapporto con il parroco.
Forse se fosse ancora viva ora avrebbe una buona parola o un buon consiglio da dargli.
Si sente un po’ solo.
Bruno.
C’è.
Dio.
C’è.
36
Ancora poche centinaia di metri e la passeggiata sarà finita. In lontananza vede alcuni colleghi
che entrano nel cancello piccolo e che percorrono il vialetto per tornare al loro posto, ognuno
alla propria scrivania, ignari di tutto e con una visione del futuro completamente distorta.
Nulla di quello che stano progettando per le loro discendenze si realizzerà, ma non lo sanno e
continuano a sacrificarsi per costruire…costruire una casa che due giorni dopo essere stata finita
crollerà sgretolata dal terremoto…la beffa finale.
Una rapida occhiata alla sigaretta accerta che non c’è bisogno di rallentare il passo per poterla
fumare tutta prima di entrare nell’atrio. Si sente svogliato, demotivato, che stimolo può avere
per tornare al lavoro? A che scopo affannarsi in quel modo? Perché dovrebbe continuare questa
messinscena? Ma forse è quello che vogliono Loro: se non ti accorgi di nulla bene, se riesci a
capire più del dovuto ti trovi tutte le strade sbarrate.
- “Cosa posso fare? Non posso andare in giro per gli uffici a dire a tutti di smettere di lavorare
e di pensare a un modo per difenderci da questa minaccia…penserebbero che sono
impazzito!
E se ne parlassi alla cena con gli altri? Mi conoscono da sempre e sanno che non potrei
inventare una cazzata del genere senza motivo. Poi potrebbero aiutarmi a spiegare a tutti… No!
Forse è meglio se vengono con me dal sindaco o da qualche altra autorità per confermare quello
che dico.
O forse è meglio parlare con qualche giornalista, qualcuno che lavora in un piccolo giornale e
che è a caccia dello scoop importante, ci vorrebbe uno sveglio e pronto a credere…uno aperto e
curioso!
Magari sarebbe meglio provare prima con qualche lettera anonima ai giornali per vedere che
effetto fa! Se avessi delle prove più sicure…delle foto di qualche riunione segrete, delle
registrazioni…anche solo qualcosa visto di persona.
Forse potrei provare a procurami qualche informazione in più!
Forse potrei telefonare alla Polizia e dire che a volte –di notte- vedo persone andare e venire da
qualche ristorante cinese…forse se facessero qualche controllo…ma che cazzo sto dicendo!?
Non è mica un reato riunirsi in un locale tra connazionali!
Ok!
Devo sedermi in ufficio e riflettere con calma.”
Camminando per l’edificio gli sembra di essere un medico responsabile del reparto dei malati
terminali senza speranza, spacciati ormai da chissà quanto tempo, forse nati solo per morire…
uno di quelli che oltre ad essere dottore deve anche essere attore e comportarsi come se tutta la
situazione non fosse poi così drammatica.
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Bisogna trattare i pazienti come se ognuno di loro avesse ancora la possibilità di uscire di lì e di
ricominciare a vivere come prima… l’unica differenza è che qui non ci sono i familiari a cui
dire come stanno veramente le cose e così l’unico che si fa carico di tutte queste tragedie è lui,
in triste segretezza.
Un giorno, al posto di quello stabile, potrebbe esserci una pagoda con il tetto in argento ed uno
splendido giardino con gli animali.
Oppure un ristorante!
- “Forse potrei fare delle locandine e poi potrei andare ad attaccarle di notte su tutti i muri
della città…
No!
Non si fermerebbe nessuno a leggerle, la gente non ha tempo per ricevere questo tipo di
messaggi, ci vuole qualcosa di più diretto.
Cinesi bastardi!
Hanno pensato a tutto!
Ci stanno isolando, quelli che sanno sono isolati, hanno capito che devono giocare sul fatto che
gli ottusi occidentali si sentono al sicuro nella loro idea di potere e democrazia, e che il solo
pensiero di poter essere dominati li fa sorridere, non sentono il pericolo abituati come sono ad
essere colonizzatori.
Chissà come godono loro vedendoci derisi, umiliati, fatti passare per paranoici in preda a manie
di persecuzione, agitati e con i convulsi nervosi di chi dice la verità e non viene minimamente
creduto. E loro si comportano in modo da favorire la nostra emarginazione, sorridendo e
facendo inchini, parlando con quelle vocine soavi e innocenti –non ho mai sentito un Cinese con
la voce grossa!- cosicché tutti peschino nella propria arroganza la convinzione che delle creature
così piccole e fragili non hanno nemmeno la forza di pensare di sottometterci, e tutto finisce in
una risata generale…isterica di quelli che sanno, grassa di quelli che non credono perché non
vedono, e soddisfatta di tutti Loro.”
Gli pare che l’aria odori di fritto.
Decine di migliaia di consegne all’anno in Cina, e chi può sapere ormai cosa contenevano quei
pacchi…informazioni, rapporti, resoconti, suggerimenti, elenchi dei nuovi nati in terra straniera,
foto e registrazioni, segreti industriali e chimici…Domenico sente che in tutta questa faccenda
esiste un evidente filo conduttore, una trama. La porta dell’ufficio.
Dietro quella porta lo aspetta la sua cella, il luogo in cui è costretto –a questo punto- a dare il
suo contributo alla produzione della ricchezza che deve mantenere in vita questo sistema fino al
giorno del passaggio del testimone.
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Deve pur continuare a mangiare, a pagare l’affitto, le sigarette…e così è per tutti quelli che
hanno visto la luce.
La luce dell’inferno.
Il falò dell’Occidente in fiamme.
La maniglia è sempre stata difettosa e per farla ruotare bisogna tenerla premuta verso l’alto in
modo che non si incastri.quel semplice gesto lo rituffa nel suo mondo, quello dove si sente al
sicuro, quello dove potrebbe muoversi con assoluta precisione se un giorno diventasse
improvvisamente cieco, quello che parla male di lui, ma almeno tiene presente che esiste.
Entra ed apre la finestra,da anni chiaro segno dell’imminente accensione dell’ennesima
sigaretta, odora l’aria ripensando malinconicamente a quando viveva senza sentire il carico della
vita sulle spalle, a quando –proprio in questo periodo- iniziava a prendere accordi con gli altri
ragazzini per formare i gruppetti che avrebbero aiutato i vicini a vendemmiare.
Non tutti avevano le vigne.
La sua famiglia, ad esempio.
Forse era proprio questo il motivo per cui si sentiva così eccitato per quell’avvenimento.
Sarebbe salito sul vecchio carretto trainato dal trattore, vestito con una maglietta e i calzoncini
corti, il cappello e i sandali senza calzini, pronto per trascorrere molte ore di allegra
spensieratezza, e la sera ci si riuniva tutti per la grande mangiata e i bambini continuavano i loro
giochi in libertà mentre gli adulti preparavano le tavole con le candide tovaglie di stoffa che
ancora profumavano di bucato.
Ora, se tutto andrà bene, la generazioni future saliranno a forza su carri bestiame per essere
dislocate a mondare il prezioso alimento di cui i padroni sono ghiotti.
Come cambiano in fretta le cose.
Il fortissimo contrasto tra ciò che era e ciò che sarà gli fa lentamente perdere il controllo del
sistema nervoso costringendolo a pensare in fretta senza avere il tempo di valutare le risposte al
problema che gli vengono in mente. Si accende la sigaretta.
Nemmeno questo faceva durante l’infanzia.
Tutto per colpa di quella dannata carta geografica a cui categoricamente non vuole più prestare
attenzione per la paura di vederla in qualche modo sghignazzante, consapevole che il segreto
che ha rivelato ha smontato tutti i riferimenti di uno che di gran lunga avrebbe preferito non
sapere. Ma lei ha voluto metterlo sulla pista giusta…e questo è il risultato. Che bisogno c’era?
Domenico ha lavorato per anni senza e non ricorda gli sia mai successo di sbagliarsi. Allora che
bisogno c’era?
Era già scritto che doveva andare così? Alza gli occhi al cielo.
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- “Perché proprio a me?
Che bisogno c’era? Non ti pare che ne abbia già passate abbastanza?
Almeno dimmi chi sono gli altri che hanno già saputo, lasciami una possibilità!
Non mi puoi abbandonare così, da solo non ce la posso fare!
Ma!!…Forse Loro…”- una specie di rivelazione regala uno spiraglio nella confusione che ha in
tesata- “…Forse Tu…forse è questo il segno…maledetti figli di puttana!
Ecco cosa riescono a fare! È incredibile!
Gran bastardi…come faccio a farmi fregare così da queste cazzate! Stanno cercando di farmi
sentire sempre più solo ed impotente…se riescono a fare in modo che io mi convinca che anche
Tu mi hai voltato le spalle e che stai da sempre dalla loro parte…io sono fottuto!
Maledetti…chissà quanti ne hanno fatti impazzire così, chissà in quale clinica stanno.
Ecco! Non devo espormi! Questo devo fare! La cosa più importante è che resti libero di agire e
soprattutto di cercare altri che sono nella mia stessa situazione.
E io che volevo dire tutto ad un giornalista qualsiasi…mi avrebbero rinchiuso dopo due giorni!
E i pezzi di merda avrebbero avuto di nuovo partita vinta!
Adesso sono io in vantaggio: io che so e Loro che non sanno che io so…vedremo chi riderà alla
fine!”
Percepisce che le possibilità di trovare una soluzione sono aumentate improvvisamente. Finché
si comporterà come ha sempre fatto, nessuno potrà capire che ha scoperto il gioco, così avrà
tutto il tempo che gli serve per riflettere.
Calma.
C’è bisogno di calma.
Non serve l’istinto.
Bisogna ragionare.
Ma non c’è tempo. Il telefono squilla e Domenico deve pensare ad altro, l’elastico torna ad
accorciarsi trascinandolo fatalmente verso l’obbligo. Una mano incerta alza la cornetta per
scoprire un’altra sterile conversazione mentre le formiche gialle dilagano.
Se tutto dovesse succedere in pochi decenni, anche lui sarebbe coinvolto nei drammatici
cambiamenti: non potrebbe più comprarsi le brioches al mattino, non potrebbe aver con sé un
cane, non potrebbe gradire la compagnia delle sigarette, non potrebbe più fare assolutamente
nulla…la sola ipotesi gli gela le tempie, e questo solo pensando di eliminare i “vizi”, senza
contare tutto il resto.
- “Non voglio!” –dice una voce.
E si dimena incazzata.
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E Domenico la osserva assente.
E si dimena incazzata.
E Domenico la osserva assente.
E si dimena incazzata.
E Domenico la osserva.
E si dimena.
E Domenico…
Un neo nasce sulla schiena per non far vedere che si ingrandisce.
Con questa logica si evolvono alcuni fenomeni di questo mondo.
Altre chiamate seguono.
Milioni di chilometri di cavi che portano la voce a spasso per il globo e dove non si possono
mettere i cavi il problema si risolve con il satellite che cattura il segnale e lo trasferisce ad un
altro satellite che lo rimanda ad un ripetitore a terra che lo invia al numero di utenza digitato
oppure c’è la possibilità di parlarsi via internet schiacciando dei tasti oppure via fax per non
parlare del telefonino che funziona perfino in aereo e anche dall’inferno se hai l’abbonamento
specifico con scheda intercambiabile prepagata e ricaricabile anche da casa. E lui non può dire
tutto quello che sa a chi sta nell’ufficio accanto? Bella cagata la comunicazione globale!
Sono anni che vive, ma una cosa così non gli era mai successa prima.
- “…e poi la odio, la cucina cinese! Soprattutto gli involtini primavera!
E poi se non voglio, se proprio non voglio, se assolutamente non voglio essere il servitore di un
muso giallo, non c’è niente al mondo che possa farmelo fare.
Cazzo, potrò almeno essere padrone della mia vita?
Piuttosto mi imbottisco di tritolo, mi tuffo sulla vetrina di qualche ristorante e faccio una strage!
Cosa pensano? Di avere a che fare con dei cacasotto? Con delle meduse impaurite senza
tentacoli?
Sono loro le formiche, e io ho il quarantasette di piede…”
Trova di nuovo rifugio in una sigaretta che batte sul tavolo diverse volte prima di lisciarla con
due dita e appoggiarla tra le labbra, che nei confronti di una forma cilindrica di quelle
dimensioni sono diventate prensili come le mani.
Fiducia nella sicurezza. Di questo sente la mancanza adesso.
Non sa nemmeno spiegarsi di quale genere di sicurezza, come quando non si riesce a capire che
ingrediente manchi in una pietanza, ma la sua assenza è comunque evidente.
Corposi tiri ravvicinati hanno formato un lungo tizzone conico.
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Con la testa completamente da un’altra parte Domenico continua il suo tondo lavoro, ancora
scosso e senza la possibilità di reagire a questa condizione.
Non vede l’ora di essere a casa.
Non vede l’ora di essere solo.
Non vede l’ora di mettere le ciabatte.
Non vede l’ora di rivedere Bruno.
Non vede l’ora che tutto finisca, in qualsiasi modo.
La scrivania in trucilolare laminato in finta noce, la maledetta sedia, il caro vecchio posacenere,
l’armadietto con la serratura sempre inceppata, l’attaccapanni, la maniglia della porta col trucco,
il cestino dei rifiuti in plastica, la grande finestra, il telefono con mille tasti diversi, le veneziane
che scendono una volta su tre, otto anni di vita.
No carta geografica.
Schemi di gioco regolari senza imprevisti: sicurezza.
Ripetitivi: fiducia.
La grande Mercedes del titolare percorre silenziosamente il vialetto, lucida come fosse appena
uscita dal salone del concessionario. Anche questa è un segnale del cambio di stagione…durante
l’estate di solito usa una spider inglese d’epoca, di quelle con la guida a destra, rossa fiammante
e con la capotta che si apre.
Con impertinenza il Casio ufficializza l’ingresso in una nuova ora.