Top Banner
ANNATA LXXXIX ISSN 0391-5239 RIVISTA BIMESTRALE DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA GIÀ DIRETTA DA ITALO DE PICCOLI (1924-1940), RENZO PROVINCIALI (1941-1981), ANGELO BONSIGNORI (1982-2000) E GIUSEPPE RAGUSA MAGGIORE (1982-2003) DIREZIONE GIROLAMO BONGIORNO, CONCETTO COSTA, MASSIMO DI LAURO, ELENA FRASCAROLI SANTI, BRUNO I NZITARI , GIUSEPPE TERRANOVA, GUSTAVO VISENTINI Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1 - DCB Milano - Pubblicazione bimestrale - Con I.P. Maggio-Agosto 2014 N. 3-4 www.edicolaprofessionale.com/DFSC DIR. FALL.
28

Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

Mar 07, 2023

Download

Documents

Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

€ 84,00

5!;EE;;F:SXV

QXR!00

1497

29

9!BMMCF>:RSQ

XQO!IS

BN

978

-88-

13-3

4292

-0

AnnAtA LXXXIX

ISSN 0391-5239

RIVISTA BIMESTRALE DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZAGIà DIRETTA DA ITALO DE PICCOLI (1924-1940), RENZO PROVINCIALI (1941-1981),

ANGELO BONSIGNORI (1982-2000) E GIUSEPPE RAGUSA MAGGIORE (1982-2003)

Direzione

GIroLAmo BonGIorno, ConCetto CostA, mAssImo DI LAuro, eLenA FrAsCAroLI sAntI,

Bruno InzItArI, GIuseppe terrAnovA, GustAvo vIsentInI

Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1 - DCB Milano - Pubblicazione bimestrale - Con I.P.

black pellicola (1,1)

Annata LXXXVII Gennaio-Febbraio 2012 N. 1

dir. fall.

RIVISTA BIMESTRALE DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA

gia diretta da ITALO DE PICCOLI (1924-1940), RENZO PROVINCIALI (1941-1981),

ANGELO BONSIGNORI (1982-2000) e GIUSEPPE RAGUSA MAGGIORE (1982-2003)

DIREZIONE

Girolamo Bongiorno, Concetto Costa,

Massimo Di Lauro, Elena Frascaroli Santi, Lino Guglielmucci,

Bruno Inzitari, Giuseppe Terranova, Gustavo Visentini

CEDAM - CASA EDITRICE DOTT. ANTONIO MILANI - PADOVA - 2012

ISSN 0391-5239

N.1-2012—

IL

DIRITTO

FALLIM

EN

TARE

—AnnataLXXXVII

Prezzo A 42,00

Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1,comma 1 - DCB Milano - Pubblicazione bimestrale - Con I.P.

N.

3-4

-

201

4 —

IL

DIR

ITT

O F

AL

LIM

EN

TA

RE

— A

nnat

a L

XX

XIX

Maggio-Agosto 2014 N. 3-4

www.edicolaprofessionale.com/DFSC

DIR. FALL.

Page 2: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

CESSIONE DEL CREDITOE RETTIFICAZIONE DELLO STATO PASSIVO

diLivia Di Cola (*)

Sommario: 1. La cessione del credito dopo la dichiarazione di fallimento nella disciplinaprecedente alla riforma 2006-2007. – 2. (Segue) Questioni specifiche relative alla modi-ficazione dello stato passivo a seguito del pagamento del coobbligato. – 3. La rettifica-zione dello stato passivo in caso di cessione di un credito. – 4. (Segue) La rettificazionedello stato passivo in caso di surrogazione del creditore. – 5. L’impugnazione dello statopassivo rettificato.

1. La cessione del credito dopo la dichiarazione di fallimento nella disci-plina precedente alla riforma 2006-2007. – Una delle novità rilevanti dellariforma del sistema della disciplina fallimentare avvenuta nel biennio 2006-2007, meno evidente rispetto ad altre modifiche più ampiamente discusse,è stata l’attribuzione del compito di rettificare formalmente lo stato passivoal curatore in caso di cessione di un credito già ammesso. Per evitare le di-sparità di trattamento già rilevate dalla dottrina, tale disciplina è stata este-sa anche al caso di surrogazione del creditore.

In questo modo è stata semplificata un’operazione che, in passato, se-condo una prassi creata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazionepresso che costante nonostante le critiche avanzate in dottrina, richiedeval’insinuazione tardiva nello stato passivo del creditore cessionario per po-ter partecipare alle successive ripartizioni dell’attivo. Per giustificare taleprassi, la Cassazione (1) spiegava che il subingresso di un soggetto ad un al-

(*) Ricercatore di Diritto Processuale Civile nell’Università di Macerata.(1) Cassazione, 9 dicembre 1991, n. 13221, in Giust. civ., 1992, I, pag. 937, con nota cri-

tica di Lo Cascio, Obbligo del cessionario di un credito di proporre l’insinuazione tardiva dicui all’art. 101 legge fallimentare; Cassazione, 22 febbraio 1995, n. 1997, in Fall., 1995, pag.948, con nota di Marchini, Surrogazione e sostituzione processuale nel fallimento; Cassazio-ne, 2 luglio 1998, n. 6469, ivi, I, 1999, pag. 529; Cassazione, 15 gennaio 2000, n. 421, in Dir.fall., 2000, II, pag. 25; Cassazione, 26 luglio 2002, n. 11038, in Fall., 2003, pag. 729.

Page 3: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

tro nella titolarità di un diritto, non dispensava il nuovo creditore dall’one-re di insinuazione ex art. 101 della legge fallim., a prescindere dal fatto chevi fosse stata cessione o surrogazione ex lege a favore del terzo che avesseeseguito il pagamento; ed infatti la definitiva ammissione al passivo falli-mentare, finalizzata alla realizzazione del concorso dei creditori sul patri-monio del fallito, postulava una valutazione del credito non nella suaastratta oggettività ma riferita ad un ben determinato soggetto. L’indivi-duazione di quest’ultimo veniva considerata necessaria per scongiurarequalsiasi evenienza che potesse compromettere la liberazione del fallito:solo attraverso la cognizione garantita dall’ammissione al passivo ex art. 93segg. legge fallim. si riteneva possibile verificare l’effettività della cessione el’insussistenza di cause preclusive del credito, nei confronti del fallimentoin relazione al nuovo titolare.

In un primo momento il riferimento della Corte all’«effettività dellacessione» (con specificazione che la cognizione non si estendeva alla validi-tà) ha reso difficoltosa l’identificazione del compito demandato al giudicedella cognizione. Si trattava di verificare che la cessione non fosse simulata,con un esame che, però, difficilmente poteva scindersi da quello di validitàdella cessione (2).

In una successiva pronuncia (3), tuttavia, la Corte ha puntualizzato co-me non potesse valere l’obiezione secondo la quale vi sarebbe stata unaviolazione del principio del ne bis in eadem, perché doveva escludersi qual-siasi interferenza tra l’accertamento compiuto ed il nuovo accertamento,differenti sia per petitum che per causa petendi, avendo il secondo ad og-getto la validità e l’efficacia della cessione. Così, infine, la Cassazione aderi-va a quella parte della dottrina che riteneva sindacabile la validità e l’effica-cia della cessione da parte del debitore, pur essendo inter alios acta (4).

Altro controllo che il giudice avrebbe dovuto effettuare era relativo al-l’eventuale compensazione tra i crediti già scaduti all’atto della dichiarazio-ne di fallimento e ceduti successivamente e i crediti del debitore fallito, da-to che la preclusione alla compensazione sancita dall’art. 56, comma 2, leg-ge fallim. è limitata ai crediti non ancora scaduti al momento del fallimen-to (5).

(2) Cassazione, 9 dicembre 1991, n. 13221, cit., pag. 938, affermava espressamente: «...nella specie non è in discussione l’effetto sostanziale della cessione – e cioè che dopo la noti-ficazione di questa il debitore sia obbligato solo verso il cessionario – ma l’azionabilità diquell’effetto in sede fallimentare.».

(3) Cassazione, 2 luglio 1998, n. 6469, cit., I, 1999, pag. 529.(4) Si vedano in proposito i riferimento dottrinali forniti da Lo Cascio, Obbligo del

cessionario di un credito di proporre l’insinuazione tardiva di cui all’art. 101 legge fallimentare,cit., pag. 940.

(5) In senso contrario Ferrara Jr., Il fallimento, Milano, 1989, pag. 422, che da un’in-terpretazione non letterale dell’art. 56, comma 2, legge fallim., secondo cui il divieto in essa

Parte I - Dottrina 353

Page 4: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

In mancanza di insinuazione da parte del cessionario, il diritto di parte-cipare alla distribuzione dell’attivo rimaneva in capo cedente, perché se-condo la giurisprudenza questa era l’unica strada di accesso del nuovo cre-ditore al passivo (6).

La prassi consolidata nell’ordinamento previgente, a ben vedere pe-rò, era in contrasto con l’insegnamento delle stesse Sezioni unite intor-no all’oggetto dell’insinuazione passiva: «L’ammissione tardiva al passi-vo fallimentare rappresenta, al pari di quella ordinaria, una fase delmedesimo procedimento giurisdizionale, sicché le determinazioni presein tale ultima sede hanno valore di giudicato interno rispetto alla do-manda tardiva, la quale, pertanto, deve avere ad oggetto un credito deltutto diverso – sia per petitum che per causa petendi – da quello giàammesso, coprendo il giudicato endofallimentare sia il dedotto che ildeducibile» (7).

Per capire se possa considerarsi corretta l’impostazione della giuri-sprudenza passata è indispensabile ripartire dall’affermazione di principio,da cui ha preso le mosse questo indirizzo giurisprudenziale: la necessità

espresso sarebbe estendibile anche ai crediti già scaduti per i quali il potere di avvalersi dellacompensazione non fosse stato esercitato prima della dichiarazione di fallimento: insomma,se non si è esercitata tale facoltà prima che il patrimonio del debitore divenisse per lui indi-sponibile, il suo esercizio rimarrebbe precluso per tutta la durata della procedura fallimenta-re. Così anche: Abriani, Cessione di un credito ammesso al passivo fallimentare ed obbligo diinsinuazione tardiva (Nota a Cassazione, 9 dicembre 1991, n. 13221), pag. 821, in particolarepag. 824 seg.

(6) Su queste stesse posizioni era la giurisprudenza di merito: Tribunale Roma, 10 set-tembre 1982, in Fall., 1983, pag. 987; Tribunale Roma, 23 novembre 1985, in Fall., 1986,pag. 993; Tribunale Siena, 18 luglio 1985, in Fall., 1986, pag. 993; Tribunale Torino, 16 feb-braio, in Fall., 1988, pag. 723. Piuttosto isolata è rimasta la pronuncia del Tribuna di Sulmo-na, 30 dicembre 2004, in Fall., 2005, pag. 1305, con nota critica di Rinaldi, La cessione delcredito, il fallimento del debitore ceduto e l’art. 45 legge fallimentare. Secondo tale sentenza alfallimento del debitore ceduto sarebbero opponibili le sole cessioni del credito notificato oaccettato con atto di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, ai sensi degli artt.2914, n. 2, cod. civ. e dell’art. 45 legge fallim.(norma in virtù della quale le formalità necessa-rie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fal-limento, sono senza effetto rispetto dei creditori). È stato correttamente osservato da Rinal-di, op. ult. cit., come l’art. 45 concerna le liti relative a diritti che compongono il patrimoniodestinato ai creditori con riferimento agli atti acquisitivi e dispositivi, non le liti che possanoinsorgere tra soggetti solo ed unicamente in relazione all’ammissione al passivo; tanto piùche l’art. 56, comma 2, implicitamente ammette la cedibilità del credito dopo la dichiarazio-ne di fallimento escludendone il solo effetto compensativo. Non essendoci disposizioni spe-cifiche all’interno della legge fallimentare a regolare i conflitti tra il creditore cessionario e glialtri creditori ammessi al passivo fallimentare, ad opinione di questo Autore, sarebbe logicosupplire a questa mancanza con l’applicazione analogia delle disposizioni in materia di ese-cuzione forzata: nella fattispecie l’art. 2914, n. 2, cod. civ., che esclude l’efficacia della cessio-ne in danno al creditore procedente ed ai creditori intervenuti nell’esecuzione.

(7) Cassazione, 19 febbraio 2003, n. 2476, in Fall., 2004, pag. 389, con nota di Guar-

nieri.

354 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 5: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

che ciascun creditore, che intenda partecipare alla ripartizione dell’attivo,si munisca di titolo di «esecuzione» formato secondo i meccanismi propridel fallimento, cioè ai sensi degli artt. 92 segg. legge fallim., a differenza diquanto può accadere nell’esecuzione individuale, a cui si può eccedere an-che con titoli stragiudiziali. Questo ragionamento si basava sull’art. 52,comma 2, ai sensi del quale ogni credito, nonché ogni diritto reale o perso-nale deve essere accertato secondo la procedura disciplinata dalla legge fal-limentare, salvo le diverse disposizioni di legge.

Ci può essere utile, anche per il prosieguo dell’indagine intrapresa, te-nere a mente la distinzione tra «la fase di accertamento» e «la fase di esecu-zione» all’interno della procedura fallimentare: nella prima si formano tuttii titoli che consentono l’accesso alla fase successiva; nella seconda le paren-tesi di cognizione hanno a che vedere con attività illecite od erronee com-piute dagli organi della procedura fallimentare ovvero con vicende succes-sive alla formazione dei titoli (8), senza compiere l’errore di accomunarel’insinuazione tardiva di cui all’art. 101 a queste ultime, per essere essanull’altro che un’appendice della prima fase.

Per un corretto inquadramento dell’argomento, va fin d’ora affrontatala questione degli effetti collegabili al provvedimento del giudice che chiu-deva ed a quello che ora chiude la fase di verificazione dello stato passivo;per ordine espositivo, in questo primo paragrafo ci si concentra sui risultatiai quali l’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale era giunta prima dellastagione delle riforme 2006-2007.

Giurisprudenza e dottrina (9) maggioritarie erano concordi sul punto

(8) Alcuni in dottrina ritenevano che implicati nell’attività di riparto dell’attivo fosserodiritti diversi dalle situazioni consolidate nella procedura di accertamento del passivo: inquesta seconda fase si tratterebbe di accertare l’ordine tra i creditori, considerato un novumincidente direttamente su diritti soggettivi, in quanto condizionante la concreta collocazionedegli stessi. Si veda sul punto Lanfranchi, Sulla tutela dei diritti nel fallimento, Milano,1982, 11, al quale si rimanda per una panoramica intorno ai dibattiti dottrinali e giurispru-denziali dell’epoca.

(9) Si veda sul punto in dottrina: Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano,1974, pag. 1379; Lanfranchi, La verificazione del passivo nel fallimento, Milano, 1979, pag.330; Lanfranchi, Sulla tutela dei diritti nel fallimento, cit., pag. 82; Satta, Diritto fallimen-tare, Padova, 1990, pag. 294; in giurisprudenza: Cassazione, 19 giugno 1981, n. 4014, in Foroit., 1981, I, pag. 2726 ed in Fall., 1981, II, pag. 483, specificava: «... in conformità ad unachiara impostazione dottrinale, ... l’istanza di insinuazione al passivo integra gli estremi diuna domanda non soltanto di accertamento, ma sostanzialmente di condanna alla soddisfa-zione del credito (nei modi propri del procedimento fallimentare). Da ciò consegue che ilprovvedimento che la domanda è rivolta ad ottenere ha efficacia di giudicato ...». Sullo stes-so punto si veda inoltre: Cassazione, 30 gennaio 1985, n. 585, in Fall., 1985, pag. 825; Cassa-zione, 5 gennaio 1986, n. 195, in Fall., 1986, pag. 953 secondo la quale: «Va rilevato, innanzi-tutto, che l’interpretazione, sia letterale, sia logica, dell’art. 94 della legge fallimentare inducea ricomprendere negli “effetti della domanda giudiziale” attribuiti alla domanda di insinua-zione al passivo, non soltanto l’effetto iniziale (interruzione della prescrizione), ma anche

Parte I - Dottrina 355

Page 6: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

che oggetto del giudizio di insinuazione allo stato passivo fosse l’accerta-mento dei diritti soggettivi dei creditori e dei terzi che avevano fatto la rela-tiva domanda e, nonostante nulla venisse detto dalla legge intorno all’effi-cacia del provvedimento che decideva su di esse, la ricavarono dalla relati-va normativa.

La previgente disciplina prevedeva una doppia fase di cognizione, in-

l’effetto che, ex art. 2945, comma 2, cod. civ., consegue alla proposizione della domandastessa. Nel caso di domanda di ammissione al passivo, tale effetto, dura fino al provvedimen-to giurisdizionale che chiude la procedura fallimentare, durante la quale nessuna azione ese-cutiva individuale può essere iniziata o proseguita (art. 51 legge fallim.). È, d’altronde, lostesso provvedimento giurisdizionale finale (chiusura del fallimento) che ... consente al cre-ditore insoddisfatto dal reparto dell’attivo del fallimento, non solo di riprendere ad agire in-dividualmente, ma anche di sapere quale sia il suo residuo credito. Questo provvedimento,che libera il creditore dal divieto dell’azione individuale e contemporaneamente lo porta aconoscenza della entità del diritto che d’ora in poi potrà azionare, è analogo al passaggio ingiudicato della sentenza che definisce il giudizio: anche la chiusura del fallimento ha, appun-to, questa funzione definitoria ...».

Più ambiguo appare il disposto di altra sentenza, Cassazione, 8 aprile 1992, n. 4304, inFall., 1992, pag. 910. In questa occasione il giudice di legittimità si pronunciava incidentertantum sull’idoneità o meno al giudicato del provvedimento che dichiara esecutivo lo statopassivo, affrontando la questione di quale fosse la corretta interpretazione degli artt. 1310,comma 2, 2943 e 2943 cod. civ. e dell’art. 94 legge fallim. Il ricorso introduttivo si basava sul-la presunta scissione dei concetti di interruzione della prescrizione e della sua sospensione,entrambi presenti nell’art. 2945, comma 2, civ. civ.: infatti, il primo effetto sarebbe stato col-legabile alla domanda giudiziale, mentre il secondo all’idoneità al giudicato del provvedi-mento che venisse chiesto e sarebbe stato sussistente perciò fino a quel momento solo se ilprovvedimento finale avesse avuto tale qualità. Secondo la tesi del ricorrente, il decreto diaccoglimento del giudice delegato avrebbe soltanto un’efficacia endofallimentare e perciònon avrebbe dato luogo al secondo effetto. Di contrario avviso era la Corte, la quale ritenevache i due effetti fossero inscindibili tra di loro e che l’interruzione permanente della prescri-zione si protraesse fino alla data del provvedimento di chiusura del procedimento esecutivoconcorsuale, in armonia con la giurisprudenza che riconosceva l’idoneità al giudicato delprovvedimento che accerta lo stato passivo; nel contempo, però, essa precisava che: «...“l’ammissione allo stato passivo” costituisce una delle diverse fasi processuali interinali, nonaventi fine a sé stesse».

Contrario alla conclusione della giurisprudenza e dottrina maggioritaria era E.F. Ricci,Sull’efficacia dell’ammissione al passivo fallimentare (nota a Tribunale Reggio Emilia, 5 luglio1974), in Giur. comm., 1975, pag. 85; E. Ricci, Formazione del passivo fallimentare e decisio-ne sul credito, Milano, 1979, pag. 22 segg., ad opinione del quale l’art. 52, comma 2, legge fal-lim. avrebbe potuto essere interpretato in due differenti modi: l’insinuazione al passivoavrebbe potuto essere considerato l’unico strumento per ottenere un giudicato spendibileanche in sede extrafallimentare; ovvero essa avrebbe potuto essere ritenuta necessaria ai solifini della partecipazione al concorso, fermo restando il diritto del creditore di agire per l’ac-certamento del credito anche nei confronti del debitore in un processo ordinario. Tuttavia,solo quest’ultima interpretazione sarebbe stata rispettosa del dettato dell’art. 24 Cost. per-ché, non essendo adeguatamente rappresentato il debitore, neanche nella fase di opposizio-ne a cognizione piena, il creditore non avrebbe mai potuto nella procedura fallimentare otte-nere un giudicato contro di lui. Questa conclusione non mutava neppure in caso di introdu-zione del giudizio ordinario tramite opposizione e conclusione con sentenza: la posizione deldebitore, ritenuto inerme ed inerte, rimaneva la medesima.

356 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 7: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

quadrabile nello schema proprio dei procedimenti decisori sommari. Edinfatti avverso il decreto con cui il giudice, a seguito di una cognizionesommaria, decideva lo stato passivo era data opposizione o impugnazione(la prima competeva ai creditori esclusi o ammessi con riserva; la secondaad ogni creditore contro l’ammissione di crediti o diritti di altri concorren-ti); con questi rimedi si apriva una seconda fase davanti al tribunale falli-mentare, che, salvo alcune differenze specifiche stabilite dalla legge falli-mentare (artt. 98, 99 e 100 previgenti), si svolgeva secondo le regole del ri-to ordinario e si chiudeva con sentenza soggetta ad appello ed a ricorso incassazione. Inoltre, se prima della chiusura del fallimento si scopriva chel’ammissione allo stato passivo era stata determinata da falsità, dolo od er-rore essenziale di fatto ovvero se si scoprivano documenti decisivi nonprodotti tempestivamente per causa non imputabile, il curatore o qualun-que creditore potevano proporre, con ricorso al giudice delegato, doman-da di revocazione del decreto giudice delegato o della sentenza di tribuna-le relativamente al credito o alla garanzia oggetto dell’impugnativa (10).Gli eventi a cui veniva legato quest’ultimo mezzo di impugnazione e lamancata previsione di un temine di decadenza decorrente dalla data dellapubblicazione del provvedimento, portavano a concludere che si trattassedi una impugnazione straordinaria. Infine, la mancata inclusione dellesentenze della corte d’appello tra i provvedimenti soggetti alla revocazionedi cui all’art. 102, poteva far ritenere che esse, essendo state emesse al ter-mine di un appello ordinario, fossero soggette a revocazione ex art. 395cod. proc. civ.

Per il decreto che dichiarava esecutivo lo stato passivo, come per i pro-cedimenti decisori sommari di creazione più risalente, era prevista espres-samente la sola efficacia esecutiva: è il meccanismo imperniato sulla liberae consapevole scelta di introdurre la cognizione piena, dopo una prima faseesclusivamente sommaria, a garantire la rispondenza ai principi del giustoprocesso (11) ed ad aprire la via del giudicato; conclusione questa confer-mata dal sistema delle impugnazioni previste avverso il provvedimentosommariamente adottato, non opposto e non più opponibile (o impugna-bile nel caso di specie).

Gli effetti del giudicato e le regole della successione nel diritto contro-verso per atto tra vivi imponevano di considerare come avvenuto l’accerta-mento del credito anche nei confronti degli aventi causa, senza che fosse

(10) Pur non essendo espressamente contemplato negli abrogati artt. 98, 99, 100 e 102legge fallim., è da ritenere che tali disposizioni riguardassero anche il terzo titolare di un di-ritto su beni mobili o immobili inclusi nel fallimento che avesse presentato domanda di am-missione allo stato passivo.

(11) Sul punto si rimanda agli ampi studi compiuti da Lanfranchi, La roccia non incli-nata, Torino, 2011.

Parte I - Dottrina 357

Page 8: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

necessario un nuovo giudizio avente lo stesso oggetto ma diverso soggetto,come ha riconosciuto lo stesso giudice di legittimità.

In conclusione, alla luce dell’efficacia attribuita al decreto che dichia-rava esecutivo lo stato passivo ed della funzione dell’insinuazione tardivanello stato passivo, non appariva giustificata la prassi consolidata in ordineall’ammissione allo stato passivo del creditore cessionario.

È stata proposta anche l’applicazione analogica dell’art. 511 cod. proc.civ., che impone al creditore di un creditore, con diritto di surrogarsi aquest’ultimo nella distribuzione, di proporre domanda ex art. 499, comma2, cod. proc. civ.; questa opzione, però, riportava ad una soluzione analogaall’insinuazione tardiva nel fallimento (12).

Più che altro, si sarebbe dovuto svolgere un controllo analogo a quelloche il cancelliere esegue quando spedisce in forma esecutiva un titolo neiconfronti degli eredi o degli aventi causa, con la possibilità, però, di unacognizione sugli eventi successivi all’accertamento del diritto di credito incapo al creditore cedente (sulla validità o efficacia della cessione ovverosull’operatività di un’eventuale compensazione) a richiesta degli interessa-ti. Si era ipotizzato che un simile ruolo potesse essere svolto dal curatorefallimentare; non era tuttavia ben chiaro quale fosse lo strumento deman-dato a dare accesso alla cognizione, considerando che al curatore era ed èdato solo il compito di eseguire un controllo limitato all’esistenza dei docu-menti comprovanti l’avvenuta cessione (13).

2. (Segue) Questioni specifiche relative alla modificazione dello statopassivo a seguito del pagamento del coobbligato. – Più complesso il caso incui la rettificazione del passivo fallimentare, ormai stabilizzato, debba esse-re compiuta a favore di un coobbligato in solido, che abbia effettuato il pa-gamento a favore dell’unico creditore dopo la dichiarazione di fallimento:stando alla lettera dell’art. 61, comma 2, legge fallim. egli avrebbe diritto diagire in via di regresso solo se il creditore principale sia stato precedente-mente soddisfatto integralmente (14).

(12) Carpi-Colesanti-Taruffo, Commento all’art. 511, in Commentario al codice diprocedura civile, Padova, 1984, pag. 665.

(13) Lo Cascio, Obbligo del cessionario di un credito di proporre l’insinuazione tardivadi cui all’art. 101 legge fallimentare, cit., pag. 941 seg.; Montanari, I procedimenti di liquida-zione e di ripartizione dell’attivo fallimentare, in Impresa-Società-Fallimento, a cura di Bonsi-gnori-Ragusa Maggiore, Padova, 1995, pag. 420 segg.; Guglielmucci, Lezioni di diritto fal-limentare, Torino, 2000, 892; quest’ultima dottrina ha ipotizzato la sufficienza, per evitareun’inutile duplicazione nell’accertamento dello stesso credito, di una dichiarazione congiun-ta di cedente e cessionario, con modifica dal lato soggettivo dello stato passivo, preivo con-trollo da parte degli organi della procedura.

(14) Individuata la ratio della norma nella necessità di evitare che il medesimo creditosia considerato due volte nel passivo (mediante l’esclusione dal concorso del coobbligato o

358 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 9: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

Il diritto di regresso è un diritto autonomo distinto da quello del credi-tore principale che sorge direttamente in capo al condebitore dal giornodel pagamento e che comprende oltre alla somma pagata (la sorte e gli inte-ressi sulla somma originariamente dovuta, che, anche dopo la dichiarazio-ne di fallimento, sono continuati a decorrere per i coobbligati in bonis), gliinteressi e le spese sostenute; nel caso di solidarietà convenuta per un inte-resse comune, da tale importo deve essere scorporato quanto dovuto dalcondebitore solvente.

L’inclusione nello stato passivo di un diritto di credito nato dopo lasentenza di fallimento, di primo acchitto, sembra contrario ad uno dei pila-stri della procedura fallimentare, il principio di cristallizzazione della mas-sa passiva: vi sarebbe, in apparenza, un conflitto tra due norme apparte-nenti allo stesso corpo legislativo, l’una generale, l’art. 52, l’altra speciale,l’art. 61, comma 2.

Si è cercato di ovviare a questo problema in vari modi: in questo para-grafo ci soffermiamo, per coerenza con il resto della trattazione, solo sulladottrina e sulla giurisprudenza precedenti alla riforma 2006-2007, lascian-do al paragrafo 3 l’esame dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenzialepiù recente.

Un indirizzo giurisprudenziale più risalente voleva necessaria ai finidella partecipazione al concorso l’insinuazione e la conseguente ammissio-ne con riserva allo stato passivo di un credito che, in fin dei conti, non eraancora sorto, quello del condebitore prima del pagamento, a differenza delcredito sotto condizione (15). Per far rientrare questa «legittima aspettati-

del fideiussore che, avendo pagato dopo la dichiarazione di fallimento, trova cristallizzata lasituazione esistente al momento in cui il creditore aveva insinuato il suo credito al passivoper l’intero ammontare), la si ritiene applicabile anche nel caso in cui l’azione di regresso neiconfronti del fallito sia esercitata da un coobbligato in bonis: Cassazione, 5 luglio 1988, n.4419, in Foro it., 1988, I, pag. 2873; Cassazione, 12 luglio 1990, n. 7222, in Fall., 1991, pag.55; Cassazione, 1 marzo 2012, n. 3216; Cassazione, 4 luglio 2012, n. 11144, in Fall., 21013,pag. 495.

(15) Si veda: Cassazione, 10 luglio 1978, n. 3439, in Giust. civ., 1979, I, pag. 531; Cassa-zione, 5 luglio 1988, n. 4419, 1988, I, pag. 2873; Cassazione, 12 luglio 1990, n. 7222, cit.,1991, pag. 55; Cassazione, 27 giugno 1998, n. 6355, in Fall., 1999, 525; Cassazione, 21 luglio2004, n. 13508, in Fall., 2005, pag. 399, con nota di Cataldo, Effetti dell’ammissione con ri-serva dei crediti condizionati.

Per la giurisprudenza di merito si veda: Tribunale Napoli, 31 marzo 1984, in Fall., 1985,pag. 573; Tribunale Palermo, 12 maggio 1984, in Dir. fall., 1984, II, pag. 1033; Tribunale Ro-ma, 13 ottobre 1987, in Foro it., 1988, I, pag. 603.

Si veda in dottrina, tra gli altri: Fragali, Fideiussione. Mandato di credito, in Commen-tario al codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1957, pag. 424 segg.; Nun-

ziata, Credito di regresso del fideiussore e ammissione allo stato passivo del fallimento del cre-ditore garantito, in Dir. giur., 1982, pag. 178; Del Vecchio, I crediti condizionati nelle proce-dure concorsuali, in Giur. comm., 1983, I, pag. 353 segg.; Lo Cascio, Ammissione al passivodel credito di regresso del fideiussore: le alterne soluzioni della giurisprudenza, in Giust. civ.,

Parte I - Dottrina 359

Page 10: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

va» del condebitore in bonis nella previsione di cui all’art. 55, comma 3,legge fallim. giurisprudenza e dottrina (16) conclusero che la nozione dicredito condizionato a cui faceva riferimento la legge fallimentare non fos-se solo quella di cui all’art. 1353 cod. civ., ovvero di diritto subordinatonella sua efficacia ad un evento futuro ed incerto, ma si estendesse fino acomprendere fattispecie in via di formazione, la cui esistenza stessa dipen-desse da un evento futuro ed incerto (17).

Con particolare riguardo alla posizione del fideiussore in dottrina (18)si è argomentato che fosse necessario distinguere tra diritto ed azione di re-gresso: mentre quest’ultima sarebbe una conseguenza immediata e direttadel pagamento e come tale esercitabile solo dopo di esso, il primo sorge-rebbe al momento della stipulazione del contratto ovvero della manifesta-zione della volontà di prestare garanzia. Ad avvalorare tale interpretazionevi sarebbe il dato testuale offerto dall’art. 1953 cod. civ., che, consentendoal fideiussore di chiedere all’obbligato principale di procurargli la libera-zione o di offrirgli le garanzie necessarie per la futura soddisfazione delleragioni di regresso, contemplerebbe un’azione con funzione cautelare (19).

Questa prassi portava però ad una duplicazione dello stesso creditocon svantaggi per gli altri creditori concorrenti: basti pensare che i credito-ri ammessi con riserva hanno diritto all’accantonamento in sede di ripartoparziale (art. 113, n. 3, legge fallim.), al deposito per il riparto finale (artt.117 e 113, n. 2, legge fallim.) ed al voto sulla proposta di concordato falli-mentare (art. 127, comma 1, legge fallim.).

La giurisprudenza di merito (20), critica nei confronti della prassi della

1987, I, pag. 969; Lo Cascio, Brevi note sui crediti condizionati nel fallimento, in Giust. civ.,1987, I, pag. 1835; Perrone, Fideiussore non escusso e credito di regresso «in limine» verso ilfallimento, in Fall., 1991, pag. 777 segg.

(16) Si veda la giurisprudenza e dottrina citate nella nota precedente.(17) Oltre ad i crediti di regresso quando non sia stato ancora effettuato il pagamento, si

facevano rientrare in questa categoria: l’eventuale credito per il residuo del cessionario prosolvendo nei confronti del cedente fallito (Cassazione, 30 maggio 1960, n. 1398, in Giur. it.,1960, I, 1, pag. 1247; il possibile credito del sequestrante verso il sequestratario in pendenzadel giudizio di merito (Tribunale Bologna, 16 gennaio 1989, in Giust. civ., 1960, I, 1, pag.1247); il credito erariale contestato davanti alla commissione tributaria all’atto dell’aperturadel fallimento (Cassazione, 5 luglio 1988, n. 4419, cit.).

(18) Perrone, Fideiussore non escusso e credito di regresso «in limine» verso il fallimen-to, cit., 779 segg.

(19) Perrone, op. ul. cit.(20) Tribunale Verona, 7 settembre 1987, in Fall., 1988, pag. 47; Tribunale Udine, 30

aprile 1988, in Foro it., 1988, I, pag. 2874; Tribunale Milano, 11 luglio 1988, in Fall., 1989,pag. 652; Tribunale Bologna, 25 giugno 1991, in Fall., 1992, pag. 77, con nota di Bozza, Re-gresso del fideiussore non escusso verso il debitore fallito; Tribunale Taranto, 9 giugno 2006,in Fall., 2006, pag. 1415, con nota di Costanza, Il fideiussore e i suoi diritti di surroga e re-gresso verso il debitore principale fallito.

In dottrina si veda: Vaccarella, La solidarietà passiva nel fallimento, in Dir. fall., 1967,

360 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 11: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

Cassazione, ritenne che non fosse da considerare creditore condizionale ilcondebitore che non avesse effettuato il pagamento prima della dichiara-zione di fallimento e, conseguentemente, che non fosse da ammettere alpassivo per il preteso credito di rivalsa; il diritto del coobbligato al control-lo nei confronti del creditore solidale (affinché quest’ultimo non fruisse diun indebito lucro connesso all’ipotetico mantenimento della propria prete-sa insinuata nonostante il pagamento ricevuto), sarebbe stato sufficiente-mente garantito dalla surrogazione legale, spettante al solvens ex artt. 1203e 1949 cod. civ.: la surrogazione legale poteva avvenire solo attraverso glistrumenti concessi dalla procedura fallimentare, ovvero la domanda tardi-va di ammissione allo stato passivo, quando fosse stato interamente soddi-sfatto il credito insinuato (21). Né sarebbe rimasto privo di tutela il conde-bitore che in parte avesse soddisfatto il creditore, perché lo stesso avrebbe

I, pag. 46 segg.; LoMoro Banzi, Solidarietà, espropriazione e procedure concorsuali, Padova,1989, pag. 44 segg.; Bozza, Le obbligazioni solidali e i crediti condizionati nel fallimento, inContratto ed impresa, cit., 1221 segg.; Id., Il regresso del fideiussore che ha pagato il creditoreprincipale dopo la dichiarazione di fallimento del comune debitore, in Fall., 2012, 938, l’auto-re, in relazione alla giurisprudenza ed alla dottrina che consideravano necessaria l’ammissio-ne prenotativa con riserva del coobbligato che non avesse effettuato ancora il pagamento, hacorrettamente notato: «... La tesi in esame finisce con il disapplicare il comma 2 dell’art. 61,che espressamente ammette il regresso fallimentare del coobbligato che abbia integralmentesoddisfatto il creditore dopo la dichiarazione di fallimento, perché questo non potrebbe maiessere esercitato per il divieto posto dall’art. 52; e questo effetto è in contrasto con i canoniermeneutici che impongono di dare prevalenza, tra due norme contenute nella stessa legge, aquella specifica su quella generale. Il comma 2 dell’art. 61 – sia esso coerente al sistema falli-mentare (per avere il credito di regresso natura concorsuale), sia che si ponga come un’ecce-zione al sistema – contiene la norma che regola espressamente l’ipotesi di regresso fallimen-tare tra coobbligati, per cui la stessa ipotesi non può essere ricondotta sotto la disciplina ge-nerale dell’art. 52. La conseguenza di tale sovvertimento è che, per coordinare le due disci-pline, bisogna in esse innestare elementi non rinvenibili nel testo di legge, e cioè l’ammissio-ne condizionata, che diventa in tal modo, non più una facoltà, ma un onere per poter eserci-tare il successivo regresso; sicché, il coobbligato o il fideiussore non può attendere di essereprima escusso e poi insinuarsi in via pura e semplice, a differenza di quanto è consentito atutti i creditori condizionali, che possono partecipare al concorso anche dopo il verificarsidella condizione, con evidente penalizzazione del coobbligato o fideiussore che non facessein tempo ad insinuarsi tempestivamente ...».

(21) Tribunale Taranto, 9 giugno 2006, cit., pag. 1415 ha distinto correttamente: «... a)la surrogazione fa subentrare il fideiussore nella stessa posizione del creditore originario, la-sciando inalterata l’obbligazione principale, mentre il regresso opera unicamente nei rappor-ti tra fideiussore e debitore principale e dà vita ad una nuova e distinta obbligazione;

b) con la surroga il fideiussore beneficia delle garanzie che assistono il creditore origina-rio, ma è soggetto alle stesse eccezioni (tranne quelle di carattere puramente personale) oppo-nibili allo stesso, mentre con il regresso non gode delle garanzie e non sopporta le eccezioni (ameno che non siano relative al rapporto di garanzia o a quello tra condebitori solidali);

c) agendo il regresso, il fideiussore può chiedere il rimborso, oltre che del capitale e de-gli interessi maturati sullo stesso, anche degli ulteriori interessi sulle somme pagate dalla datadel pagamento effettuato e delle spese sopportate dopo la denunzia all’obbligato principaledelle istanze del creditore, mentre con l’azione surrogatoria ciò non è consentito.».

Parte I - Dottrina 361

Page 12: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

sempre potuto esercitare nell’ambito della procedura fallimentare l’azionedi ripetizione dell’indebito ex art. 2033 cod. civ. e l’azione di regresso unavolta che il fallito fosse tornato in bonis.

Seguendo l’una o l’altra delle strade prospettate (ammissione conriserva ovvero tardiva allo stato passivo in surrogazione del creditoresoddisfatto) si salvaguardava il principio di cristallizzazione della massapassiva, mentre rimaneva il dubbio che l’art. 61, comma 2, legge fallim.non fosse altro che una mera duplicazione dell’art. 1299 cod. civ. e co-me tale del tutto pleonastica. L’opinione prevalente, tuttavia, era nelsenso che l’art. 61, comma 2, non si limitasse a ripetere il generaleprincipio sancito dal codice civile, ma che avesse una portata precettivapropria: si tratterebbe, infatti, di una norma speciale che introdurrebbeun’eccezione al principio dell’opponibilità al creditore comune dei pa-gamenti parziali ricevuti, in tal modo completando la tutela apprestatadal comma 1 al creditore predetto, il quale viene sottratto al concorsocon il credito di regresso del coobbligato, pur esercitabile secondo ladisciplina comune. La disciplina in esame, insomma, risponderebbe al-l’esigenza di assicurare la stabilità della situazione esistente al momentodella dichiarazione di fallimento, mantenendola ferma fino a che il cre-dito principale non scompaia per intero dal passivo, onde evitare che sicreino, per effetto dei pagamenti da parte dei coobbligati e dell’eserci-zio dell’azione di regresso contro il fallito, duplicazioni di concorsodello stesso credito, con conseguenti duplicazioni di accantonamenti afavore della stessa pretesa creditoria, tali da comportare una diminuzio-ne della massa ripetibile fra gli altri creditori (22).

3. La rettificazione dello stato passivo in caso di cessione di un credito. –Il nuovo art. 115, comma 2, legge fallim. prevede che se prima della riparti-zione i crediti ammessi sono stati ceduti o c’è un caso di surrogazione, il cu-ratore fallimentare provveda all’assegnazione delle quote di riparto ai ces-sionari o ai surroganti, purché la cessione o la surrogazione sia stata tempe-stivamente comunicata, unitamente alla relativa documentazione (23). In

(22) Cassazione, 10 gennaio 1966, n. 188, in Dir. fall., 1966, II, pag. 194 segg.Ad opinione di Vaccarella, La solidarietà passiva nel fallimento, cit., pag. 54 segg., tale

disposizione è stata posta a salvaguardia degli interessi dei condebitori in bonis; invece Boz-za, Le obbligazioni solidali e i crediti condizionati nel fallimento, cit., pag. 1243 segg., indivi-dua la sua ratio nella tutela rafforzata garantita al creditore comune, la cui posizione all’inter-no dello stato passivo viene resa insensibile ai pagamenti parziali, in modo tale da aumentar-ne la possibilità di soddisfazione integrale.

(23) Celentano, Accertamenti del passivo e ripartizione dell’attivo, in Fall., 2011,pag.1128, in particolare pag. 1134, ha sottolineato come questa disposizione non appaia unanorma di stretta interpretazione, ma che si riferisca a tutte le vicende giuridiche in cui vi sia lasostituzione di un soggetto ad un altro nella titolarità di un credito ammesso al passivo, pur-

362 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 13: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

questi casi il curatore esegue la rettificazione formale dello stato passivo.L’esistenza di una disposizione speciale esclude definitivamente l’ipoteticaapplicabilità dell’art. 511 cod. proc. civ. (24).

La modifica legislativa è stata ben accolta dal giudice di legittimità, cheha interpretato anche la disciplina previgente alla luce del nuovo art. 115,comma 2, ritenendo che, ove ci sia una procedura fallimentare ancora pen-dente soggetta alla disciplina abrogata, nessuna insinuazione tardiva debbaessere richiesta per l’ammissione del nuovo creditore allo stato passivo in ca-so di cessione o surrogazione successiva alla dichiarazione di fallimento (25).

La nuova norma pone, tuttavia, diversi dubbi interpretativi.In primo luogo, si parla di cessione o surrogazione che devono essere

comunicate prima della ripartizione: viene da chiedersi a quale ripartizioneci si riferisca, dal momento che oltre a quella finale ce ne possono essere di-verse parziali. Per sciogliere il nodo è opportuno far leva sul dato stretta-mente lessicale: probabilmente il fatto che il termine «ripartizione» non siaaccompagnato da alcun aggettivo sta ad indicare che il riferimento sia aquella finale, seguita solo dalla chiusura del fallimento, in quanto dopo diessa non permane più alcun interesse dei creditori ad esser formalmenteparte dello stato passivo.

Una riflessione più articolata merita, in secondo luogo, il ruolo del cu-ratore nella vicenda della successione in un credito già ammesso al passivo.

La successione nel lato attivo di un diritto non ne determina uno nuo-vo: non si è avuto un cambiamento quantitativo, né qualitativo del creditodato che, ai sensi dell’art. 1263 cod. civ., per effetto della cessione vienetrasferito al cessionario comprensivo di tutti gli accessori, degli eventualiprivilegi e delle garanzie reali e personali (26). Conseguentemente, davantiall’efficacia del decreto che dichiara esecutivo lo stato passivo, sia che siipotizzi la sua idoneità al giudicato che alla sola efficacia endoprocedimen-tale (27), non dovrebbe esser necessario compiere un nuovo accertamento

ché si fornisca al curatore la prova documentale, anche indiretta, compatibile con la struttu-ra della procedura fallimentare: così essa si applicherebbe anche al caso di cessione di azien-da o di successione mortis causa. In caso contrario non si potrebbe evitare una censura perdisparità di trattamento tra situazioni analoghe.

(24) Carratta, Ripartizione dell’attivo - il procedimento di ripartizione dell’attivo, inApice (diretto e coordinato da), La procedura fallimentare, diretto e coordinato da Apice,Torino, 2010, II, pag. 423, in particolare pag. 436.

(25) Cassazione, 15 luglio 2011 n. 15660, in Fall., 2012, pag. 193 segg., con nota criticadi Staunovo-Polacco, Le modalità di partecipazione al concorso fallimentare in caso di su-bentro nella titolarità del credito ammesso al passivo.

(26) Così già prima della riforma aveva ritenuto Di Mauro, In tema di cessione del cre-dito già ammesso già ammesso al passivo fallimentare, in Giust. civ., 1992, I, pag. 1247.

(27) Contro il disposto letterale dell’art. 96, ult. comma, legge fallim., che sancisce l’effi-cacia endofallimentare non solo del decreto che rende esecutivo lo stato passivo ma anche

Parte I - Dottrina 363

Page 14: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

del diritto: vero è che, come sottolineato da attenta dottrina (28), l’art. 96,comma 6, legge fallim. non esclude la produzione degli effetti di cui all’art.2909 cod. civ., ma, per rimanere aderenti alla lettera della norma, li limitaalla procedura fallimentare. Inoltre, finché il provvedimento in questionenon abbia esaurito il corso delle impugnazioni ovvero non siano scaduti itermini per impugnare, a garanzia della produzione degli effetti accertativied esecutivi nei confronti dell’avente causa c’è l’art. 111, ult. comma, cod.proc. civ., disposizione di carattere generale applicabile a tutti i processi dicognizione, salvo deroga espressa o implicita (29).

dei provvedimenti emessi dal giudice al termine dei procedimenti di cui all’art. 99 legge fal-lim., cioè i procedimenti di impugnazione, una dottrina minoritaria ha opposto la deducibi-lità dell’idoneità al giudicato sia dell’uno che degli altri, sfruttando argomentazioni di carat-tere esegetico-sistematico, per l’incompatibilità della mera efficacia endofallimentare di taliprovvedimenti con precise norme che disciplinano il fallimento, e sottolineando come lacomplessiva vicenda della verificazione dello stato passivo sia sostanzialmente ricostruibilein termini di giusto processo e sia perciò contro i principi costituzionali negare tale idoneitàal provvedimento conclusivo: Carratta, Profili processuali della riforma della legge fallimen-tare, in Dir. fall., 2007, pag. 27 segg.; Lanfranchi, Costituzione e procedure concorsuali, To-rino, 2010, pag. 230 segg. Nello specifico quest’ultimo Autore ricorda che l’art. 43, comma3, legge fallim. novellato dispone l’interruzione ope legis dei giudizi pendenti al momentodell’apertura del fallimento unitamente alla connessa improponibilità delle relative azioni;che l’art. 114 legge fallim., il quale al comma 1 dispone che «i pagamenti effettuati con l’ese-cuzione dei piani di riparto non possono essere ripetuti, salvo il caso dell’accoglimento delledomande di revocazione» i cui effetti sono oggetto del comma 2, sancisce una sosta di stabi-lità extrafallimentare dei risultati raggiunti in sede di ripartizione dell’attivo; che difficilmen-te il concetto della efficacia endofallimentare può ritenersi adattabile ad una sentenza di cas-sazione (o comunque ad un provvedimento idoneo all’impugnabilità in cassazione); che l’ac-certamento del diritto del titolare di beni mobili o immobili previsto dall’art. 101, comma 3,è anch’esso in contrasto con il disposto dell’art. 96, comma 6. L’Autore facendo leva sul det-tato letterale di quest’ultima disposizione, che non esclude espressamente gli effetti dell’art.2902 cod. civ., contrariamente ad altre norme (art. 19, comma 5, D.Lgs. 5/2003), ha ipotizza-to la scindibilità degli effetti del giudicato dall’efficacia esecutiva del provvedimento: questiultimi potrebbero ritenersi limitati alla procedura concorsuale, mentre sarebbe necessarioaffinché il decreto che dichiara esecutivo lo stato passivo possa esser utilizzato al di fuori diessa una sorta di exequatur, al termine di un procedimento in cui venga compiuto un control-lo di esclusivo carattere formale sulla falsa riga di quello di cui all’art. 825 cod. pro. civ.

Si rinvia ai testi citati in questa nota per la ricostruzione del dibattito dottrinale e giuri-sprudenziale intorno all’efficacia dei provvedimenti di cui all’art. 96, comma 6.

(28) Lanfranchi, op. cit., pag. 235 segg.(29) Secondo l’opinione prevalente in dottrina tra gli effetti della sentenza pronunciata

nei confronti dell’alienante o del successore a titolo universale che, a norma dell’art. 111, ult.comma, cod. proc. civ., si producono anche nei confronti del successore a titolo particolarec’è sicuramente l’effetto esecutivo, così: Satta, Commentario al codice di procedura civile,Milano, 1959-71, pag. 96 segg.; Bonsignori, L’esecuzione forzata, Torino, 1991, pag. 65segg.; Tota, Note sulla successione a titolo particolare nel processo esecutivo, in Riv. es. for.,2002, pag. 605 segg.; Trinchi, Commento agli artt. 475-476-477, in Codice di procedura civi-le commentato, a cura di Consolo, Milano, 2010, pag. 1685 segg. Conseguenza di questa nor-ma è un’interpretazione necessariamente estensiva del termine «successore» di cui all’art.

364 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 15: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

La funzione del curatore potrebbe essere considerata analoga a quelladel cancelliere che, secondo quanto disposto nell’art. 475, comma 2, cod.proc. civ., compie la spedizione in forma esecutiva di una sentenza, di altroprovvedimento giudiziale o di un atto ricevuto da un notaio o da pubblicoufficiale anche nei confronti dei successori di una parte vittoriosa di ungiudizio o di coloro a favore del quale è stata stipulata l’obbligazione. Taleattività non comporta alcuna modificazione del titolo esecutivo: la rispon-denza a diritto dell’operazione compiuta a seguito di un mero controlloformale, può essere accertata successivamente tramite l’opposizione al-l’esecuzione.

La differenza più evidente tra il ruolo del curatore nella vicenda in esa-me e quello del cancelliere la si può individuare nel fatto che il primo inci-de direttamente e materialmente sul titolo che si è formato in giudizio,cambiandone il contenuto; il suo potere è molto più simile a quello del can-celliere o di altro pubblico ufficiale nell’ordinamento giuridico tede-sco (30), incaricato di compiere attestazioni di diritti sino al momento in cuinon sopraggiunga la necessità di risolvere una lite (31), attività riservata alsolo giudice (32).

Ma v’è di più. La norma dispone testualmente che il curatore provveda

475 cod. proc. civ., da riferire oltre che agli eredi a titolo universale, anche agli aventi causa atitolo particolare.

Qualche dubbio sussiste in dottrina introno all’applicabilità dell’art. 111, ult. comma, aprocedimento esecutivo iniziato: da parte di chi la nega si argomenta che nell’ambito delprocesso esecutivo non c’è una controversia su di un diritto, quindi un contraddittorio ed unprovvedimento di merito, essendo esclusivamente finalizzato alla realizzazione di un dirittogià accertato altrove.

A queste considerazioni si può aggiungere che, a differenza che nel fallimento, nel corsodel processo esecutivo non c’è alcun controllo formale neppure da parte del cancelliere.

Su quest’ultima questione si veda il dibattito dottrinale riferito da Trinchi, op. cit.,pag. 1700 segg.

(30) L. Mandrioli, La ripartizione dell’attivo, la chiusura del fallimento, Corso di Dirit-to fallimentare, Ancona, 5 maggio 2006, in www.ilcaso.it, par. 1.5, esprime significativi dubbiintrono alle modalità di compimento di questa operazione, sottolineando come un curatorefallimentare che possa modificare lo stato passivo, intervenendo su di un provvedimento delgiudice delegato, sia pensabile solo immaginando che egli presenti in cancelleria fallimenta-re, più che un’istanza, un’attestazione, mediante la quale lo stesso, allegando la scrittura pri-vata autenticata probante l’intervenuta cessione del credito, richieda al cancelliere di inserirequest’ultima nel fascicolo fallimentare, perché tale documento dà titolo al cessionario dichiedere la modifica dello stato passivo.

(31) Di Cola, L’efficacia dei provvedimenti sommari nell’ordinamento giuridico tedesco,in La tutela sommari in Europa - Studi, a cura di Carratta, Napoli, 2012, pag. 77 segg.

(32) Celentano, Accertamenti del passivo e ripartizione dell’attivo, cit., pag. 1134, ritie-ne che con «rettifica formale dello stato passivo» si intenda l’annotazione sullo stato passivo,in cui è compreso il credito oggetto della vicenda traslativa, dell’intervenuta successione delnuovo al vecchio titolare del credito, ai fini del prosieguo della procedura e delle successiveripartizioni dell’attivo fallimentare.

Parte I - Dottrina 365

Page 16: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

alla «rettificazione formale dello stato passivo»: si tratta di un intervento sudi un atto pubblico, per cui è richiesto di regola un provvedimento del giu-dice passato in giudicato, si pensi, a titolo di esempio, all’annotazione dellasentenza che dichiara la falsità su un atto pubblico o della sentenza di di-vorzio sui registri dello stato civile. Si aggiunga che l’atto pubblico in que-stione è un titolo di formazione giudiziale, sul quale, a parte i casi di corre-zione di errori materiali comunque affidati ad un giudice, non si può inter-venire direttamente perché ogni eventuale rettifica segue il percorso obbli-gato delle impugnazioni, che come risultato ha un nuovo provvedimentosostitutivo di quello precedente, ma che non può operare materialmentesul provvedimento-atto già esistente.

L’attribuzione al curatore del compito di rettificare lo stato passivo, of-fre un’indicazione sulla natura dell’attività che gli viene richiesta: non es-sendo un organo giudiziario, deve limitarsi a un mero controllo formaledella regolarità della documentazione prodotta, senza valutare il meritodella cessione.

Su domanda, però, deve essere data agli interessati facoltà di sottopo-ste alla cognizione dell’autorità giudiziaria la validità ed efficacia della ces-sione, nonché l’eventuale compensazione di crediti tra nuovo creditore efallito, in virtù dei limiti posti dall’art. 56, comma 2, legge fallim.

Il problema è capire come si possa inserire un momento di cognizionenella fase di distribuzione; ed infatti, da un canto, il reclamo di cui all’art.36 legge fallim. è un’impugnazione di mera legittimità, dall’altro, il reclamoex art. 26 legge fallim. – in teoria maggiormente idoneo a realizzare il giustoprocesso – non può essere utilizzato, per essere previsto solo avverso iprovvedimenti del giudice delegato.

L’impasse potrebbe essere più facilmente superata se si aderisse all’opi-nione di parte della dottrina secondo la quale la rettificazione dello statopassivo non può avvenire che previo provvedimento del giudice: un prov-vedimento di autorizzazione (33) preventiva ovvero un provvedimento diammissione tardiva allo stato passivo (34).

(33) Perrotti, sub art. 115, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio e coordina-to da M. Fabiani, Bologna, 2007, pag. 1881, in particolare pag. 1884 seg., osserva che nono-stante dalla dizione letterale della norma possa sembrare superfluo l’intervento del giudice,si può considerare il caso analogo a quello di scioglimento della riserva di cui all’art. 113 bis,dove davanti a circostanze del tutto pacifiche (ad es. formazione del giudicato, avveramentodi una condizione) si richiede comunque al giudice delegato la pronuncia di un decreto mo-dificativo dello stato passivo.

(34) Carratta, Ripartizione dell’attivo - il procedimento di ripartizione dell’attivo, cit.,pag. 435 segg., ritiene che l’inserimento dei cessionari nel piano di riparto in sostituzione deicreditori cedenti con rettifica formale dello stato passivo non possa che avvenire per effettodella pronuncia di un nuovo decreto di ammissione allo stato passivo da parte del giudicedelegato, correttivo del precedente, perché rientrerebbe nei poteri esclusivi dell’autorità giu-

366 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 17: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

Altra pecca del meccanismo delineato dal legislatore è la mancata pre-visione di una formale comunicazione della rettificazione o del relativoprovvedimento agli interessati dalla modificazione, che sono quantomenoil vecchio creditore, il nuovo creditore ed il debitore, per il quale potrebbenon essere indifferente pagare al primo piuttosto che al secondo: tutti co-storo potrebbero venire a conoscenza dell’operato del curatore a pagamen-ti effettuati, con qualche difficoltà ad adeguare, dopo di essi, lo stato mate-riale all’eventuale impugnazione vittoriosa (35). In teoria questa seconda la-cuna del sistema è più agevolmente colmata se si aderisce a quella partedella dottrina che vuole la rettifica preceduta sempre da un provvedimentodel giudice delegato, perché quest’ultimo dovrebbe essere comunicato agliinteressati, con la possibilità di impugnazione del medesimo.

Se si vuole escludere il ritorno al passato sistema dell’ammissione tardi-va (36), due appaiono le soluzioni prospettabili per porre rimedio a questagrave mancanza legislativa: che il curatore proceda a dare avviso ai credito-ri ed agli altri interessati dell’avvenuta rettificazione dello stato passivo neimodi previsti dall’art. 92 legge fallim.; e che dal ricevimento di tale comu-nicazione essi abbiano otto giorni per fare opposizione ex art. 36; ovveroche con un meccanismo analogo a quello di cui all’art. 110 – disposizioneche disciplina il procedimento di ripartizione secondo un progetto formatodal curatore e dichiarato esecutivo dal giudice delegato decorso il termineper il reclamo – il giudice ordini il deposito della documentazione dallaquale risulta la rettificazione avvenuta, disponendo che i creditori e gli altriinteressati siano avvisati mediante lettera raccomandata con avviso di rice-vimento o con altra modalità telematica ai sensi del comma 2 dell’art. 110.In quest’ultima eventualità, per l’applicazione analogica dell’art. 110, com-ma 3, ai creditori dovrebbe essere dato un termine perentorio di quindicigiorni, non di otto, dalla recezione della comunicazione per proporre re-clamo ai sensi dell’art. 36; decorso inutilmente tale termine il giudice dele-gato, su istanza del curatore o degli altri interessati (37), dovrebbe dichiara-re esecutivo lo stato passivo rettificato con decreto.

dicante procedere all’accertamento dei crediti e dei diritti reali e personali vantati dai terzi, anorma del Capo V (art. 25, n. 8, legge fallim.).

Dubbioso sulla possibilità di procedere alla rettifica senza un previo provvedimento delgiudice anche Trinchi, sub art. 115, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Ca-vallini, Milano, 2010, pag. 1298 segg.

(35) Celentano, Accertamenti del passivo e ripartizione dell’attivo, cit., pag. 1134.(36) Non è pensabile la richiesta di autorizzazione preventiva al giudice delegato,

perché tale ipotesi non rientra in quella limitata cerchia per cui la legge fallimentare la ri-chiede.

(37) Non può che ritenersi una dimenticanza del legislatore la previsione della facoltà difare istanza solo in capo al curatore e non in capo ai soggetti direttamente interessati: sia nel-la disciplina della fattispecie di cui all’art. 110; sia nell’applicazione analogica che nel testo sipropone.

Parte I - Dottrina 367

Page 18: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

Come argomento contrario all’interpretazione da ultimo proposta vi èl’evidente forzatura di adattare uno schema pensato per la fase esecutiva insenso stretto ad un episodio che in fin dei conti riguarda ancora la forma-zione dei titoli che consentono di accedere alla ripartizione della massa at-tiva. Come argomento a favore, però, c’è la necessità di trovare uno schemasemplice che si adatti ad un’attività di carattere amministrativo del curato-re, a cui deve seguire il controllo del giudice, perché non si tratta di unadelle attività gestorie rientranti nella discrezionalità del primo organo, madella modificazione formale di un titolo esecutivo.

La ratio su cui può far leva l’operazione di interpretazione analogicaproposta può essere individuata nel fatto che in entrambi i casi l’attività delcuratore riguarda il regolare svolgimento del procedimento di ripartizione:l’una concerne i termini oggettivi (la misura dei riparti), l’altra quelli sog-gettivi (i soggetti a cui destinare le somme).

4. (Segue) La rettificazione dello stato passivo in caso di surrogazionedel creditore. – Il disposto dell’art. 115, comma 2, è stata esteso anche alleipotesi di surrogazione dall’art. 8 del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169; sirende, perciò, necessario ritornare sulla posizione del condebitore che ab-bia eseguito il pagamento dopo la dichiarazione di fallimento per esporregli sviluppi della giurisprudenza e dottrina successive alla riforma.

La giurisprudenza più recente ha messo in evidenza come abbianatura concorsuale il credito sorto anteriormente al fallimento e aziona-to in via surrogatoria dal fideiussore che ha pagato, poiché essendo giàinsinuato al passivo per opera del creditore principale, continuerebbead esserlo per iniziativa del fideiussore surrogatosi, anche quando que-sti non abbia provveduto in precedenza all’ammissione del credito invia condizionale, a nulla rilevando la successione di un diverso soggettonella sua titolarità; né verrebbe violato il principio di cristallizzazionedella massa passiva, perché nel concorso nulla verrebbe a modificarsi,subentrando nella titolarità di un credito insinuato, nel suo ammontareoriginario, un altro creditore; (38) al contrario, l’azione in via di regres-so non sarebbe consentita poiché si tratterebbe di un nuovo diritto, na-scente dal pagamento dell’obbligazione solidale, con la funzione di ri-partire il peso nei rapporti interni o di addossarlo ad uno solo, comenel caso della fideiussore (39).

(38) Secondo la dottrina maggioritaria il disposto degli artt. 1203 e 1949 cod. civ. sem-bra indicare il carattere automatico della surrogazione del debitore solidale al creditore: siveda più ampiamente sul punto Petti, Surrogazione e regresso del fideiussore nel fallimento,in Fall., 2008, pag. 650; l’autore in nota da conto anche della dottrina minoritaria.

(39) Così: Cassazione, 11 settembre 2007 n. 19097, in Fall., 2008, pag. 539, con nota dicritica di Cataldo, L’ammissione allo stato passivo del credito di regresso del fideiussore verso

368 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 19: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

Critiche (40) sono state mosse a questo nuovo indirizzo giurispruden-ziale partendo da punti di vista diversi. La principale obiezione è basatasulla constatazione che la surrogazione del fideiussore è direttamente lega-ta al suo diritto di agire in via di regresso: il suo esercizio comporterebbe lapossibilità a favore del fideiussore di far valere non solo la sorte oggettodell’originario credito, ma anche gli interessi e le eventuali spese; a favoredel fallito, in qualità di debitore ceduto, di far valere le eccezioni a taleazione collegabili. Il diritto di agire in via di regresso, inoltre, non sorge-rebbe che a pagamento effettuato: si verrebbe a perpetrare, perciò, una di-sparità di trattamento, con lesione degli artt. 3 e 24 Cost., a danno di altrisoggetti il cui credito fosse sorto solo dopo la dichiarazione di fallimento,ove tale surrogazione avvenisse dopo questo evento.

In una successiva sentenza (41), il giudice di legittimità ha distinto tradiritto di surrogazione e diritto di regresso ed ha conseguentemente rico-nosciuto la natura concorsuale anche del secondo, spiegando che esso nontrae origine dall’evento pagamento, ma da un fatto genetico anteriore alfallimento. Al contempo è stato precisato che il principio di cristallizzazio-ne del passivo esprime l’esigenza che non siano fatti valere nel corso del fal-limento pretese aggiuntive rispetto a quelle facenti parte del patrimoniodel fallito alla data della sentenza di fallimento, mentre non può essere in-vocato al fine di escludere la rilevanza per la massa fallimentare di muta-menti verificatesi nella titolarità dei crediti preesistenti alla dichiarazione difallimento.

L’argomento di maggiore forza a favore della possibilità di far entrarenel passivo il diritto di regresso del condebitore, che ha pagato dopo la di-chiarazione di fallimento, risiede nel riconoscimento della prevalenza del-l’art. 61, comma 2, disposizione speciale, sull’art. 52, disposizione generaledello stesso testo legislativo (42).

La riprova del fatto che l’art. 61, comma 2, fa riferimento al regresso insenso stretto, e quindi non a qualsiasi azione di rivalsa, la fornisce il succes-sivo art. 63, il quale consente al coobbligato o fideiussore del fallito non an-cora escusso di valersi delle garanzie costituite sui bene del fallito a favoredel suo diritto di regresso (43). Del resto, il legislatore proprio nell’art. 115,

il fallito; Cassazione, 12 ottobre 2007, n. 21430, con nota di Petti, Surrogazione e regressodel fideiussore nel fallimento, cit., pag. 920.

(40) Cataldo, L’ammissione allo stato passivo del credito di regresso del fideiussore ver-so il fallito, cit., pag. 542 segg.

(41) Cassazione, 17 gennaio 2008 n. 903, in Fall., 2008, pag. 920, con nota critica di Fi-ci, Sull’ammissibilità al passivo del credito di regresso del fideiussore adempiente dopo il falli-mento del debitore garantito.

(42) Cassazione, 17 gennaio 2008 n. 903, cit., pag. 926.(43) Cassazione, 17 gennaio 2008 n. 903, op. ult. cit.

Parte I - Dottrina 369

Page 20: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

comma 2, ha dimostrato di saper distinguere tra le due modalità di rivalsa,facendo riferimento in questa sede alla sola surrogazione.

Conseguenza che la Corte trae da tali premesse è che il condebitore sol-ves possa far valere, oltre al credito originariamente insinuato, anche i pro-pri crediti per spese ed interessi, purché l’importo complessivo non eccedaquello già presente nella massa passiva, ritornando in ultima analisi sullanecessità del rispetto del principio di cristallizzazione (44).

In dottrina (45) è stata criticata la limitazione del raggio di azione rico-nosciuta dalla giurisprudenza al nuovo diritto, eccezionalmente ammessodopo la dichiarazione di fallimento in virtù di una disposizione specialeche nessun limite pone in proposito.

Il debitore solvente deve scegliere se agire in surrogazione od in regres-so, essendo i due rimedi non cumulabili tra di loro (46): nel primo caso sipotrebbe giovare del disposto dell’art. 115, comma 2, per essere ammessoallo stato passivo; nel secondo caso agirebbe per far valere un diritto nuo-vo, tale per importo e/o per le garanzie che lo accompagnano, e quindi sa-rebbe necessario chiedere l’ammissione tardiva allo stato passivo.

Infine, dal momento che l’art. 61, comma 2, si riferisce esclusivamenteal regresso, è logico ritenere che alla surrogazione si applichi la disciplinagenerale di cui al codice civile, che all’art. 1205 contempla la surrogazioneparziale in caso di pagamento parziale: infatti la successione soggettiva, setotale o parziale, non comporta alcuna alterazione oggettiva del passivo; alcontrario, ha senso ritenere che l’esercizio di diritto oggettivamente diver-so, ma in parte coincidente per ammontare con quello del creditore soddi-sfatto, possa essere esercitato solo dopo che il secondo sia definitivamenteuscito dalla massa passiva fallimentare.

La giurisprudenza di cassazione più recente continua a non distingueretra surrogazione e regresso ai fini dell’applicazione dell’art. 61, comma 2, e,di conseguenza, continua a non essere chiara in ordine allo strumento perfar valere questo successivo diritto (47).

(44) Cassazione, 17 gennaio 2008 n. 903, cit., pag. 928 segg.: «La inderogabilità delprincipio della par conditio creditorum e la correlativa stabilizzazione delle posizioni giuridi-che al momento della dichiarazione di fallimento tendono, cioè, a imporre alla disciplina fi-siologica della fideiussore diverse anomalie. Per un necessario adattamento al sistema falli-mentare il credito di regresso non può far ricavare più di quanto poteva chiedere il creditoree lo stesso fideiussore per i crediti acquisiti in proprio anteriormente alla dichiarazione di fal-limento ...».

(45) Fici, Sull’ammissibilità al passivo del credito di regresso del fideiussore adempientedopo il fallimento del debitore garantito, cit., pag. 929 segg.

(46) Fici, op. ult. cit., pag. 935 riferisce gli orientamenti della dottrina prevalente.(47) Cassazione, 11 febbraio 2011, n. 3472, in Fall., 2011, pag. 1193; Cassazione, 1 mar-

zo 2012, n. 3216, con nota di Cerri, I rimedi spettanti al debitore escusso dopo la dichiarazio-ne di fallimento del debitore comune tra surroga e regresso, in Dir. fall., 2013, pag. 243; con

370 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 21: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

5. L’impugnazione dello stato passivo rettificato. – Ritorniamo alle pro-blematiche che pone l’art. 115, comma 2, riformato.

Il controllo giurisdizionale successivo alla rettificazione formale dellostato passivo deve riguardare due differenti aspetti: le eventuali irregolaritàformali della rettificazione compiuta dal curatore; l’efficacia e la validitàdella cessione o surrogazione.

È utile premettere che non si approfondiranno le ipotesi di impugna-zione legate a teorie che si è arrivati ad accantonare: così quella in virtù delquale ai fini della rettificazione dello stato passivo sarebbe necessario unnuovo decreto del giudice delegato, correttivo del precedente ed impugna-bile ai sensi e per gli effetti dell’art. 98 legge fallim.; così, a maggior ragione,quella che vuole l’applicazione analogica dell’art. 511 cod. proc. civ., conconseguente ricorso ai rimedi disponibili nella disciplina dell’esecuzioneforzata nel caso in cui si voglia contestare la rettificazione avvenuta.

Si vuole ripartire dall’ipotesi che si è formulata alla fine del paragrafo3; la necessità di determinare il mezzo di impugnazione ed il suo termineha portato ad ipotizzare che due siano le vie percorribili: la diretta applica-zione dell’art. 36, che disciplina il reclamo avverso gli atti del curatore;l’applicazione analogica dell’art. 110, comma 2, il quale oltre che concede-re un termine più lungo, garantirebbe un controllo del giudice sull’operatodel curatore anche in caso di mancata impugnazione di parte. Quest’ultimavia sembra essere quella preferibile, perché dà un’assicurazione in più.

Scelta tale strada, rimangono alcuni punti da chiarire: in primo luogo,la natura del rimedio previsto dall’art. 36; strettamente legata a questa vi èpoi la questione del dovuto processo su diritti; infine, quella della tipologiadi controllo eseguita dal giudice all’atto dell’emissione del decreto che di-chiara esecutivo il nuovo stato passivo o la parte di stato passivo rettificato.

La linea guida dell’interprete nell’applicazione della disciplina falli-mentare crediamo debba essere quella della massima garanzia della tuteladei diritti che si trovano ad essere incisi dalle attività dell’organo di gestio-ne della procedura fallimentare, il curatore, a maggior ragione dopo l’ulti-ma riforma che gli ha attribuito maggiori poteri, data l’impossibilità di farlivalere al di fuori di essa.

Si dubita che il dovuto processo su diritti possa essere garantito dal re-clamo avverso gli atti del curatore di cui all’art. 36.

L’opera di maquillage normativo compiuta dalla giurisprudenza dellaCorte costituzionale e della Cassazione sulla disciplina comune ai procedi-menti in camera di consiglio (48) potrebbe essere la base da cui partire per

nota di Bozza, Il regresso del fideiussore che ha pagato il creditore principale dopo la dichiara-zione di fallimento del comune debitore, in Fall., 2012, pag. 935; Cassazione, 4 luglio 2012, n.11144, in Fall., 2013, pag. 495; Cassazione, 11 maggio 2013, n. 613, in www.ilcaso.it.

(48) Si citano solo alcune delle numerose sentenze dei due organi giurisdizionali: Corte

Parte I - Dottrina 371

Page 22: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

arricchire delle garanzie del dovuto processo sui diritti uno scarno schemaprocedimentale quale è quello previsto dall’art. 36 legge fallim. Tuttavia,prima di procedere in questa direzione, è opportuno verificare se la naturadel rimedio consenta l’accoglimento della cognizione su diritti soggettivi.

È stato argutamente (49) notato che tanto nell’art. 26 quanto nell’art.36, a parte la diversa disciplina dei termini, si è in presenza di un procedi-mento in camera di consiglio la cui trattazione si svolge in maniera non pre-determinata e si conclude con decreto motivato; analoghe forme proces-suali depongono a favore di un’analoga funzione dei due rimedi, entrambipreordinati al controllo giurisdizionale di atti e provvedimenti di naturaamministrativa, non di provvedimenti di natura decisoria.

La riflessione che ne potrebbe conseguire, è che il lavoro di eliminazio-ne ed aggiustamento interpretativo compiuto dalla Corte costituzionale edi Cassazione nel corso degli anni al fine di utilizzare il reclamo ex art.26 (50) anche per la tutela dei diritti, potrebbe essere un valido spunto per

cost., 14 dicembre 1989, n. 543; Corte cost., 23 dicembre 1989, n. 573, entrambe in Foro it.,1990, I, pag. 366, con nota critica Proto Pisani (che ha la paternità dell’espressione usatanel testo); Corte cost., 29 maggio 2009, n. 170, in www.leggiditalia.it; Cassazione, 31 dicem-bre 2008 n. 30688, in www.leggiditalia.it; Cassazione, 19 giugno 1996, n. 5629, in Giur. it.,1996, I, 1, pag. 3, con nota critica di Carratta; Cassazione, 28 luglio 2004 n. 14200, in Foroit., 2005, I, pag. 988; Cassazione, 29 ottobre 2004 n. 20957, in Corr. giur., 2005, pag. 988, connota di Donzelli.

(49) Carratta, Liquidazione e ripartizione dell’attivo nel fallimento e tutela giurisdizio-nale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, pag. 1271 segg., ed in particolare pag. 1296.

(50) Nel testo originario l’art. 26 prevedeva che il fallito, il comitato dei creditori e dichiunque vi avesse interesse potesse proporre reclamo al tribunale avverso i decreti del giu-dice delegato nel termine perentorio di tre giorni decorrenti dalla data del decreto ovverodal deposito in cancelleria dello stesso; il tribunale decideva in camera di consiglio; il ricorsonon sospendeva l’esecuzione del provvedimento. I dubbi di costituzionalità che destava que-sta disposizione, perché disegnava uno scarno procedimento che appariva inidoneo alla tute-la di diritti e status, vennero concretizzati in un’eccezione di legittimità costituzionale, riget-tata in prima battuta dalla Corte costituzionale, Corte cost., 9 luglio 1963 n. 118, in Giust.civ., III, pag. 213, con nota di Bianchi D’Espinosa, «Una sentenza interpretativa di rigetto»della Corte Costituzionale in materia fallimentari. La Corte, infatti, ritenne che il rimedio fos-se utilizzabile esclusivamente avverso provvedimenti privi di natura decisoria. In un secondomomento, davanti alla prassi di utilizzare il rimedio anche avverso provvedimenti decisori, laCorte (Corte cost., 23 marzo 1981 n. 42, in Giur. comm., 1981, II, pag. 553, con nota diPajardi, Ancora davanti alla Corte Costituzionale il problema del trattamento dei diritti sog-gettivi perfetti nel processo fallimentare (art. 26): prime impressioni critiche) dichiarava costi-tuzionalmente «illegittimo per violazione dell’art. 24 Cost. l’art. 26 (in relazione all’art. 23)r.d. 16 marzo 1942 n. 267, nella parte in cui assoggetta al reclamo al tribunale, senza adeguategaranzie di difesa, i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di ripartodell’attivo», specificando al contempo che l’individuazione del rimedio apprestato dall’ordi-namento per la tutela dei diritti soggettivi, che si assumevano lesi dai provvedimenti adottatidal giudice delegato in materia di piani di riparto delle attività fallimentari (il provvedimentodecisorio del giudice delegato che nella fattispecie aveva generato la questione di legittimitàcostituzionale), era questione ermeneutica che non competeva alla corte stessa risolvere.

372 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 23: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

un’operazione simile riguardante il reclamo ex art. 36, davanti ad atti delcuratore che ledano diritti.

Questo passaggio è ostacolato, tuttavia, dalla constatazione che mentreil reclamo ex art. 26 può avere ad oggetto anche un provvedimento deciso-rio su diritto e, quindi, all’occorrenza si può utilizzare come impugnazionea tutto tondo dello stesso, senza limitazioni espresse nella norma sui motividi critica, tale funzione non può essere riconosciuta al rimedio di cui all’art.36.

La Corte di Cassazione con una pronuncia a sezioni unite, (Cassazione, 9 aprile 1981 n.2255, in Giust. civ., 1984, I, pag. 1716 segg., con nota critica di Lanfranchi, I provvedimen-ti decisori del giudice delegato e la giurisprudenza della Cassazione, ed in Giur. comm., 1984,II, pag. 501, con nota favorevole di E.F. Ricci, Una svolta sulla tutela dei diritti soggettivi nelfallimento), ha interpretato il silenzio serbato dalla Corte costituzionale sulle modalità diriempimento del vuoto lasciato dalla sua pronuncia come volontà di eliminare alcuni aspettidella disciplina del reclamo ex art. 26 legge fallim. incompatibili con l’art. 24 Cost. (la brevitàdel termine di impugnazione e l’incertezza sulla sua decorrenza, la mancanza del contraddit-torio e della motivazione del decreto) ed ha ritenuto, inoltre, che questa lacuna legislativa an-dasse colmata con riferimento alla disciplina comune ai procedimenti in camera di consiglio.

Per una ricostruzione dettagliata della giurisprudenza della Corte costituzionale e diCassazione ante riforma si rinvia a Lanfranchi, Procedure concorsuali e tutela dei creditori,Milano, 1988; si veda anche: Ragusa Maggiore, Sull’impugnabilità dei provvedimenti delgiudice delegato, in Dir. fall., 1981, II, pag. 230; C. Ferri, I provvedimenti del giudice delegatoe l’art. 26 della legge fallimentare, Milano, 1986, pag. 110; Lo Cascio, Il procedimento di re-clamo endofallimentare ancora all’esame della consulta, in Fall., 1999, pag. 148.

Per una panoramica completa sulla giurisprudenza relativa alle condizioni di utilizza-zione del procedimento in camera di consiglio per la tutela dei diritti lesi e status si veda:Carratta, La ripartizione dell’attivo, cit., pag. 446.

Accanto a quelle sopra ricordate, vanno accennate una serie di pronunce delle due cortiche hanno portato a superare i dubbi di costituzionalità generati dall’uso del procedimentoin camera di consiglio per la tutela di diritti.

La Corte costituzionale ha tracciato la mappa delle garanzie costituzionali, di cui si devearricchire qualsiasi procedimento che sia relativo a diritti o status, che si svolga in camera diconsiglio, ponendo l’accento sulla necessità del rispetto del principio del contraddittorio,della difesa tecnica, di un’istruzione probatoria in cui sia possibile l’assunzione di qualsiasimezzo di prova, compatibile con le forme del rito camerale, sui termini d’impugnazione chedebbono essere quelli previsti nel rito ordinario. Tra le pronunce di maggiore rilevanza si ri-cordano: Corte cost., 14 dicembre 1989, n. 543 e 23 dicembre 89, n. 573, cit.; Corte cost., 29maggio 2009, n. 170, cit. La Corte di cassazione, dal canto suo, ha incentivato l’uso alternati-vo del procedimento in camera di consiglio: Cassazione, 19 giugno 1996, n. 5629, cit.; Cassa-zione, 28 luglio 2004, n. 14200, cit.; Cassazione, 29 ottobre 2004, n. 20957, cit.

Le direttrici lungo cui si è mossa questa giurisprudenza possono essere utilizzate perun’operazione interpretativa volta a colmare le lacune della disciplina attuale del reclamo exart. 26, se dato avverso provvedimenti del giudice delegato aventi portata decisoria. Per ap-profondimenti si veda: Trisorio Liuzzi-Pagni, I reclami. Sospensione feriale dei termini, inFallimento e le altre procedure concorsuali, a cura di Fauceglia-Panzani, Torino, 2009, I, pag.393; Recchioni, sub art. 26, in Commentario alla legge fallimentare, a cura di Cavallini, Mi-lano, 2010, I, pag. 597; Tiscini, sub art. 26, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura diNigro-Sandulli-Santoro, Torino, 2010, I, pag. 348; Guglielmucci, Diritto fallimentare, To-rino, 2012, pag. 90.

Parte I - Dottrina 373

Page 24: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

La formulazione letterale dell’art. 36 sancisce l’impugnabilità degli attidel curatore esclusivamente «per violazione di legge», chiarendo la naturadel mezzo disciplinato: si tratta di un rimedio assibilabile ad un ricorso am-ministrativo, con cui si introduce una verifica sulla legittimità dell’attivitàeseguita dal curatore, ovvero sulla rettificazione dello stato passivo in basealla documentazione prodotta, senza che il giudice delegato possa compie-re alcun accertamento di merito, fuori dalla sua cognizione proprio per lalimitazione posta dall’art. 36 (51). L’oggetto del reclamo è circoscritto al-l’attività sottoposta a controllo, che non arriva al sindacato dell’efficacia evalidità della cessione o surrogazione.

La natura non discrezionale dell’attività svolta in questo caso dal cura-tore suggerisce di non dilungarci sull’idoneità o meno del mezzo in que-stione per sindacare il merito gestorio (52).

Possono essere legittimati al ricorso tutti coloro che sono interessati ache la modificazione formale dello stato passivo avvenga regolarmente,cioè tutti i creditori concorrenti ed il fallito.

Su istanza dei creditori o del curatore (53), decorso il termine per pro-

(51) Per eseguire un controllo di mero carattere amministrativo non è necessario com-piere l’opera di arricchimento delle garanzie costituzionali suggerita da Trinchi, sub art. 36,cit., pag. 767 ed in particolare pag. 777 segg., seguendo la dottrina e giurisprudenza che talelavorio hanno compiuto sul procedimento in camera di consiglio per la tutela dei diritti; siverrebbe solo ad appesantire ed a privare di senso uno strumento pensato per un agile con-trollo amministrativo. È preferibile considerare necessario ai fine della tutela dei diritti even-tualmente incisi dall’operato del curatore un autonomo giudizio, così, Guglielmucci, Di-ritto fallimentare, cit., 93 e ss.

Quest’ultima sembra essere anche la posizione della più recente giurisprudenza dellaCorte di Cassazione, Cassazione, 1 giugno 2012 n. 8870, in Fall., 2013, pag. 368; Cassazione,18 gennaio 2013, n. 1240, in www.leggiditalia.it, che ha negato ricorso straordinario avversoil decreto emesso dal tribunale fallimentare in sede di decisione del reclamo di cui all’art. 36legge fallim., argomentando che decisioni su i reclami di cui agli artt. 36 e 26 afferiscanoesclusivamente all’individuazione delle modalità ritenute più opportune per l’amministra-zione del patrimonio del fallito.

Questa giurisprudenza è adattabile al caso di specie, anche se quella svolta dal curatorenon è un’attività gestionale, perciò discrezionale, ma di controllo e rettificazione formale,cioè non discrezionale.

Per approfondimenti sul reclamo ex art. 36 si veda inoltre: Abete, sub art. 36, in Nuovodiritto fallimentare, a cura di Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna-Torino, 2006, pag. 607;M. Fabiani, sub art. 36, in Codice commentato del fallimento, a cura di Lo Cascio, Milano,2008, pag. 306; Trisorio Liuzzi-Pagni, I reclami. Sospensione feriale dei termini, cit., pag.424; Tiscini, sub art. 36, cit., pag. 466.

(52) Trisorio Liuzzi-Pagni, I reclami. Sospensione feriale dei termini, cit., pag. 429, ri-tengono che l’adozione del parametro della violazione di legge richiami i limiti della nozionedi diritto amministrativo: tra i vizi dell’atto amministrativo la giurisprudenza del Consiglio diStato include anche il cattivo uso del potere discrezionale.

(53) Si dovrebbe applicare in via analogica l’ult. comma dell’art. 110, che prevede ingiu-stificatamente la facoltà del solo curatore di chiedere al giudice di dichiarare esecutivo il pro-

374 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 25: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

porre reclamo ex art. 36, il giudice dovrebbe dichiarare esecutivo con de-creto lo stato passivo rettificato o la parte di stato passivo rettificata.

Quanto sopra detto ci aiuta a sciogliere anche il nodo relativo al tipo diattività che il giudice delegato deve svolgere in questa occasione: un merocontrollo formale della regolarità di un atto di carattere amministrativo,senza prendere in considerazione l’efficacia o validità della cessione o sur-rogazione, perché così darebbe vita ad un’attività inquisitoria che la leggenon gli consente.

È certo, dunque, che non si può negare al titolare di un diritto incisodalla rettificazione dello stato passivo l’accesso alla cognizione piena; ildubbio che si pone, piuttosto, è di quale sia il procedimento da seguire.

L’unico punto fermo è che in virtù del disposto dell’art. 52, comma 2,legge fallim., il procedimento si deve svolgere all’intero della procedurafallimentare; il resto va riempito di nuovo con l’interpretazione analogica.Si può partire dall’oggetto del medesimo procedimento: l’accertamentodell’efficacia o validità della cessione o surrogazione, detto in altre parole,l’accertamento del diritto di essere parte o meno dello stato passivo. L’og-getto, così individuato, è analogo a quello del procedimento di cui agli artt.93 segg. legge fallim., perciò è presumibile l’applicazione della stessa nor-mativa processuale davanti al giudice delegato, con gli opportuni adatta-menti dovuti alla differenze esistenti tra le due situazioni giuridiche sostan-ziali.

Difficile è individuare un termine entro cui poter agire: a tal propositole uniche indicazioni possono provenire dal codice civile, dai termini pre-scritti della disciplina delle azione negoziali, come nell’opposizione all’ese-cuzione, a cui si sia dato impulso mediante titolo esecutivo di formazionegiudiziale a seguito di una successione nel titolo, o stragiudiziale.

Se prima dell’inizio del processo di merito sono stati eseguiti pagamen-ti che successivamente si rivelassero non dovuti, difficile sarebbe pensaredi poter ripetere tali somme, applicando il disposto dell’art. 114, comma 1.Questa disposizione parte dal presupposto che il decreto di esecutività ab-bia conseguito la stabilità di giudicato o quantomeno quella endofallimen-tare: tale efficacia, tuttavia, non riguarda eventi successivi alla sua forma-zione, su cui non si è avuta la cognizione di alcun giudice.

Considerate corrette le premesse tracciate, si desume che chi agisce perla dichiarazione dell’invalidità o dell’inefficacia della cessione o surroga-zione possa chiedere al contempo la restituzione di quanto indebitamentepagato al creditore cessionario o surrogante.

getto di ripartizione: tuttavia, essendo i creditori concorrenti a giovarsi del provvedimento diesecutività, tanto nel caso espressamente previsto dalla norma che nell’applicazione analogi-ca in questa sede proposta, è preferibile etichettare come errore legislativo la mancata previ-sione della possibile istanza di parte.

Parte I - Dottrina 375

Page 26: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

Una volta instaurato il giudizio, altro problema è stabilire se vi sia omeno la possibilità di continuare o iniziare la ripartizione dell’attivo in suacostanza; vi è, infatti, una parte di stato passivo – salvo casi eccezionali, lamaggior parte – pacifica, per la cui soddisfazione non c’è motivo di atten-dere oltre. Per la parte in contestazione il giudice può disporre, in applica-zione analogica dell’art. 113, comma 1, n. 4, degli accantonamenti, perché,come nel caso espressamente disciplinato, il diritto di credito non si puòsoddisfare per essere ancora sub iudice, poco importa che il procedimentosia in primo o in secondo grado.

Legittimati ad agire ed essere parti del giudizio per la verifica della vali-dità o efficacia della cessione e surrogazione sono di certo il creditore origi-nario, il debitore ceduto o garantito ed il creditore cessionario o surrogante.

Parte necessaria deve considerarsi anche il curatore, che rappresentagli interessi del fallimento o meglio l’interesse al buon andamento dellaprocedura fallimentare. È il curatore che deve avvisare gli altri interessatidella data dell’udienza fissata dal giudice delegato davanti a sé. Al curatorespettano i poteri di cui al comma 1 dell’art. 95: una relazione sull’esistenzao meno dell’attuale diritto del cessionario o del surrogante di partecipareallo stato passivo, nonché la sollevazione delle eccezioni relative alla validi-tà ed efficacia del titolo su cui è fondato il diritto di partecipare allo statopassivo.

Il giudice decide con decreto motivato sulla validità o efficacia dellacessione, nonché sulle eventuali domande di restituzione dell’indebito.

Il giudizio di cognizione può essere introdotto sia prima che dopo ildecreto di esecutività del giudice delegato, anche pendente il termine perproporre reclamo ex art. 36, istituto al quale è riservata una funzione diver-sa.

Se il giudizio contenzioso è stato introdotto prima della dichiarazionedi esecutività, nulla vieta che in pendenza del primo venga fatta istanza algiudice delegato per la seconda: quest’ultimo, nell’esercizio del potere didirezione del procedimento riconosciutogli in sede di volontaria giurisdi-zione, può sospendere la dichiarazione di esecutività in attesa della decisio-ne del merito.

Ove il giudizio di cognizione sia introdotto dopo il provvedimento diesecutività, si pone il problema di sospenderne l’efficacia esecutiva. Se sisegue lo schema proposto, contro il provvedimento di omologazione si po-trebbe ancora proporre reclamo ex art. 26 legge fallim. Il relativo procedi-mento ha la stessa natura di quello di cui all’art. 739 cod. proc. civ., puravendo una disciplina propria (54).

A questo riguardo si è osservato che il provvedimento volontario può

(54) Cassazione, 1 giugno 2012, n. 8870, cit., pag. 368; Cassazione, 18 gennaio 2013, n.1240, cit.

376 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014

Page 27: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

essere impugnato solo con le forme del procedimento camerale (reclamo orevoca) e non mediante quelle del processo contenzioso: la tutela cameralerelativa alla gestione esclusiva di interessi e la tutela giurisdizionale dei di-ritti configurerebbero due sfere completamente autonome, che in quantotali, non tollererebbero interferenze reciproche (55). A tale posizione sipreferisce, però, quella dottrina che opta per la sindacabilità del provvedi-mento di volontaria giurisdizione in sede contenziosa, sulla base di una se-rie di significative considerazioni (56).

In ogni caso, la dottrina tradizionale (57) ammette la possibilità di di-

(55) Franchi, Sull’impugnabilità dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, in Riv.trim. dir. proc. civ., 1952, pag. 795; Id., Sulla revoca dei provvedimenti di giurisdizione volon-taria e sull’opponibilità dei motivi di revoca al terzo acquirente, in Riv. dir. civ., 1960, II, pag.204; Carnelutti, Rimedi contro il provvedimento di giurisdizione volontaria, in Riv. dir.proc., 1961, pag. 666; Micheli, Efficacia, validità e revocabilità dei provvedimenti di giurisdi-zione volontaria, in Opere minori di diritto processuale civile, Milano, 1982, II, pag. 229;Montesano, Giurisdizione volontaria, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, par. 7; Id., Sull’ef-ficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei provvedimenti non contenziosi dei giudici ci-vili, in Riv. dir. civ., 1986, I, pag. 591, in particolare pag. 615; Chizzini, La revoca dei provve-dimenti di volontaria giurisdizione, Padova, 1994, pag. 246. In senso difforme: Fazzalari,La giurisdizione volontaria, Padova, 1953, pag. 184; Liebman, Impugnazione in sede conten-ziosa del provvedimento di giurisdizione volontaria, in Problemi del processo civile, Napoli,1962, pag. 445; Ghirga, Sulla proponibilità dell’«actio nullitatis» contro il provvedimento ca-merale, in Riv. dir. proc., 1988, pag. 1160; Carratta, Processo camerale (Dir. proc. civ.), Enc.dir., Annali, III, Milano, 2010, pag. 928, in particolare pag. 945 segg. La sfera giuridica del ti-tolare del diritto (o della situazione giuridica incisa) contro il provvedimento illegittimo po-trebbe essere salvaguardata anche mediante actio nullitatis, poiché la mancanza del giudica-to finale escluderebbe l’operatività della regola dell’assorbimento dei vizi di nullità in motividi gravame (art. 161 cod. proc. civ.).

(56) Carratta, Processo camerale (Dir. proc. civ.), cit., pag. 946 segg., tra di esse: «... la(orami pacificamente) riconosciuta natura giurisdizionale anche dell’attività giudiziale vo-lontaria rende arduo giustificare per quale ragione lo stesso giudice, nell’esercizio di funzionigiurisdizionali “costituzionalmente necessarie” non possa sindacare (con pienezza di poterie dunque anche con possibilità di revoca e modifica) il provvedimento che, in sede “volonta-ria”, può sempre revocare e modificare; ... qualsiasi limitazione del “sindacato contenzioso”sugli stessi provvedimenti finirebbe per equiparare i diritti eventualmente “incisi” a “dirittiaffievoliti” o “degradati ad interessi legittimi” ...».

(57) Si rinvia sul punto agli studi di Chizzini, La revoca dei provvedimenti di volontariagiurisdizione, cit., pag. 245 segg. Secondo questo A. a fronte della riconosciuta efficacia co-stitutiva dei provvedimenti volontari, la disapplicazione esclude che sia rinvenibile una nor-ma per la quale gli effetti costitutivi del provvedimento siano attaccabili da chi ne abbia inte-resse solo in via diretta, mediante reclamo o revoca. Infatti, la ricognizione dei presupposticompiuta dal giudice volontario per la emanazione del provvedimento è strumentale: nonspetta al provvedimento volontario la funzione di fare certezza sulla presenza delle condizio-ni di legge necessarie alla sua emanazione; ne consegue che in seguito sarà sempre possibileripercorrere quella cognizione preventiva all’emanazione dell’atto, quando utile a ogni altrofine. Se nel corso di un processo di cognizione l’accertamento della situazione sostanzialefatta valere richiede di rivalutare il provvedimento volontario, il giudice deve considerare exnovo i suoi presupposti, proprio perché non è espressamente previsto un limite alla sua co-

Parte I - Dottrina 377

Page 28: Cessione del credito e rettificazione dello stato passivo

sapplicazione del provvedimento di volontaria giurisdizione in sede con-tenziosa, che ai nostri fini vuol dire attribuire al giudice la facoltà di so-spendere l’efficacia esecutiva del decreto di omologazione.

Lo schema procedimentale ricostruito in via interpretativa potrebbesembrare lungo e farraginoso, se non si ponesse mente al fatto che quelleproposte sono solo ipotesi di cognizione, la cui previsione è necessaria a ga-ranzia dei controinteressati. Se non c’è contestazione, la rettificazione dellostato passivo può risultare piuttosto rapida: eseguita l’operazione di modi-fica formale, il curatore deve depositare lo stato passivo rettificato con i do-cumenti giustificativi nella cancelleria del giudice delegato; Il giudice ordi-na che del deposito sia dato avviso ai creditori ed al fallito con le modalitàdi cui all’art. 110, comma 2; i creditori ed il fallito, a seconda dell’interessead agire di cui sono portatori, hanno la facoltà introdurre due differenti ti-pi di parentesi di cognizione; dalla data della comunicazione di cui sopradecorre il termine per il reclamo ex art. 36; decorso tale termine ovveroesaurito il ricorso ex art. 36 si può chiedere al giudice delegato di dichiara-re esecutivo lo stato passivo rettificato.

gnizione e un suo obbligo a conformarsi al contenuto del provvedimento volontario.

378 Il diritto fallimentare e delle società commerciali - n. 3-4-2014