CESARE PAVESE: "IL MESTIERE DI SCRIVERE" Cristina Maria De Panfilis Seminario di Filologia italiana A.A. 2013-2014 Prof.ssa F. Nassi
CESARE PAVESE: "IL MESTIERE DI SCRIVERE"
Cristina Maria De Panfilis
Seminario di Filologia italiana
A.A. 2013-2014
Prof.ssa F. Nassi
CESARE PAVESE: "IL MESTIERE DI SCRIVERE"
Cesare Pavese nasce il 9 settembre del 1908 a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe
in provincia di Cuneo. Si sposta a Torino per studiare nell’Istituto Sociale dei Gesuiti e nel
Ginnasio moderno, poi al Liceo D’Azeglio, dove apprende il latino e il greco grazie al professore
Augusto Monti1, antifascista, che lo inserisce nel contesto intellettuale dell’epoca.
A partire dal 1926, Cesare frequenta per tre anni la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Torino, dedicandosi con passione allo studio delle letterature classiche e di quella
inglese, che studiò con grande fervore, tanto da laurearsi nel 1930 con la tesi di laurea
Sull’interpretazione della poesia di Walt Whitman.
La profonda crisi generata dalla tremenda esperienza del confino2 sfocerà nel suo primo
romanzo, Il carcere, scritto tra il 27 novembre e il 16 aprile 1939, ma pubblicato nel 1949. A questa
fase risalgono anche i primi pensieri di quello che lui definisce Zibaldone e che sarà poi Il mestiere
di vivere3: dall’ottobre ’35 al marzo ’36 lo scrive a Brancaleone Calabro, dov’è confinato; tornato a
Torino, il diario diventa una sorta di “esame di coscienza”, con riflessioni su se stesso, giudizi e
note di lettura4.
Nel 1933 Einaudi fonda la sua casa editrice e Pavese fa domanda per sostituire Leone
Ginzburg alla direzione di una nuova rivista, nata dalla fusione de La riforma sociale e de La
Cultura. Ginzburg infatti era stato arrestato insieme ad altri membri del movimento “Giustizia e
Libertà” e così Pavese, essendo tra i meno compromessi politicamente, aveva preso a collaborare
con l’Einaudi, divenendo direttore della nuova rivista per un anno. A questa fase, particolarmente
fortunata, risale anche la pubblicazione della raccolta Lavorare stanca.
A proposito di questa, Pavese stesso afferma:
“La composizione dell’opera è durata tre anni. Tre anni di giovinezza e di scoperte
durante i quali è normale che la mia idea della poesia e insieme le mie capacità intuitive
si sian venute approfondendo. […] Semplicemente ho dinanzi un’opera che m’interessa,
non tanto perché composta da me, quanto perché, almeno un tempo, l’ho creduta ciò che
di meglio si stesse scrivendo in Italia e, ora come ora, sono l’uomo meglio preparato a
comprenderla.”5
La prima edizione di Lavorare stanca viene pubblicata all’inizio del 1936 a Firenze per
1 A lui dedicherà I mari del sud (7-19 settembre – novembre 1930), la lirica che apre Lavorare stanca (1936).2 Il 15 maggio 1935, Pavese era stato mandato a Brancaleone Calabro, condannato per sospetto antifascismo. Si era di
recente legato a Tina Pizzardo, una donna fortemente impegnata politicamente, che aveva spinto lo scrittore adaccettare di far giungere al proprio domicilio lettere fortemente compromettenti dal punto di vista politico.
3 Il primo pensiero de Il mestiere di vivere è del 6 ottobre 1935.4 Franco Fortini, Il disagio di vivere nelle note di un diario, in Disobbedienze II. Gli anni della sconfitta. Scritti sul
manifesto 1985-1994, Manifestolibri, Roma 1996.5 Cesare Pavese, Lavorare stanca, novembre 1934.
l'edizione di Solaria a cura di Alberto Carocci e contiene le quarantacinque poesie scritte da Pavese
a partire dal 1931.6 Diversi anni dopo, lo scrittore apportò varie modifiche, aggiungendo alcune
poesie e togliendone sei delle precedenti, per un totale di settanta liriche, divise in sei sezioni,
ciascuna con il titolo della poesia iniziale: è l’edizione del 1942 di Einaudi, che comprende le
poesie scritte fino al 1940.
In questi anni Pavese continua a scrivere racconti, romanzi brevi e saggi (nel 1939 sta
lavorando a Paesi tuoi), ma sembra anche avere una più matura coscienza politica, frequenta gli
intellettuali antifascisti della zona, senza tuttavia partecipare né alla guerra (l’Italia entra in guerra
nel 1940) né alla Resistenza (viene chiamato in guerra, ma viene dimesso perché malato di asma).
Negli anni ’40 lo scrittore si dedica alla stesura de La bella estate (il primo titolo era stato
La tenda), un romanzo in cui è tracciato il percorso di crescita di un’adolescente, Ginia, verso la
maturità, e dunque il passaggio dalla curiosità suscitata da esplorazione e scoperta alle inevitabili
delusione e sconfitta. Queste tematiche saranno le stesse che riaffioreranno nei due successivi
romanzi Il diavolo sulle colline (1948) e Tra donne sole (1949): tutti e tre, riuniti sotto il titolo del
primo, gli frutteranno il Premio Strega nel 1950.
Nel 1946 usciva Feria d’agosto, una raccolta di racconti divisa in tre sezioni (il mare, la
città e la vigna), in cui lo scrittore si fa indagatore del mondo dell’infanzia, che è contenitore delle
prime inconsapevoli esperienze, anticipazioni del mondo adulto.
Ancora nel dopoguerra, Pavese si era iscritto al Partito comunista, illudendosi di possedere
la capacità di aderire a determinate scelte e di impegnarsi, che invece gli mancava. Il suo impegno
continua ad essere letterario: scrive articoli e saggi di ispirazione etico-civile, e si interessa di
mitologia ed etnologia, elaborando la sua teoria sul mito. Questi studi si concretizzeranno nei
Dialoghi con Leucò, ventisette brevi racconti, strutturati in forma dialogica, su cui lavora dal
dicembre del 1945 al marzo 1947, anno della pubblicazione.
Mentre si trova a Roma per lavoro, nel marzo del 1950, conosce la giovane attrice
Constance Dowling, di cui si innamora perdutamente. L’amore per l’attrice americana – che poco
dopo aveva instaurato una relazione con l'attore Andrea Checchi – fa esplodere una serie di
contraddizioni in lui: come nota Cesare Segre, il sentimento d’amore viene vissuto come una
passione quasi adolescenziale e desiderio di matrimonio, cui segue la rassegnazione e poi la
tragedia7.
A questo punto l’idea del suicidio comincia a concretizzarsi sempre di più, un suicidio che –
lo ripete più volte – non dipende dalla donna, bensì da una sorta di condanna che sembra gravare su
di lui:
“Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci
6 La lirica con cui si apre la raccolta, I mari del sud, è tuttavia del 1930.7 Cesare Segre, introduzione a Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi, 2000, XXIII.
rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla.”8
E ancora:
“Il gesto – il gesto – non dev’essere una vendetta. Dev’essere una calma e stanca rinuncia, una
chiusa di conti, un fatto privato e ritmico. L’ultima battuta.”9
Nonostante gli importanti successi che la sua carriera letteraria gli sta regalando, Pavese sta
gradualmente smarrendosi, sprofondando nella solitudine e in un senso di vuoto. Nel 1948 Il
compagno vinceva il premio Salento, nel 1949 La bella estate otteneva il premio Strega e, nel 1950,
pubblicava La Luna e i Falò, il suo ultimo racconto, considerato il migliore.
Nell’agosto di quello stesso anno, Pavese inizia una sorta di ultimo viaggio in cui passa a
salutare gli amici che per anni gli sono stati più vicini, e , il 27 agosto del 1950 si suicida in una
camera dell’albergo Roma di Torino. Un’unica annotazione, sulla prima pagina dei Dialoghi con
Leucò, che si trovava sul tavolino:
“Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.”
IL MESTIERE DI VIVERE: DIARIO 1935-1950
"Il Diario è dunque la storia della costruzione di una vita, ed è l'affermazione della realtà,
dell'importanza e del valore della vita privata", scrive M. Mila, a proposito de Il mestiere di vivere,
in cui confluiscono i pensieri e le riflessioni dello scrittore a partire dall'esperienza di confino a
Brancaleone Calabro (1935), fino alla sua morte (1950), in una sorta di autobiografia.
Il Diario inizia con la sezione "Secretum professionale - Ott.- dic. 1935 e febbr. 1936, a
Brancaleone", che chiarisce subito le intenzioni dell'autore e si collega con il discorso che aveva
iniziato con il "Mestiere di poeta" (1934), pubblicato poi in Lavorare stanca. I riferimenti al
Secretum petrarchesco10 sono degli evidenti richiami all'esperienza dell'autore classico,
un'esperienza basata sulla discussione e, dunque, sul discorso con se stesso, sul colloquio interiore
che è una costante tanto de "Il mestiere di poeta", quanto de Il mestiere di vivere.
Il carattere intimo della scrittura, a tratti più cruda e schietta, scandisce i temi della sua
opera, i momenti particolari della sua vita, le fasi principali della sua ricerca stilistica:
dall'ossessionante ricerca dell'amore alla tentazione del suicidio. A questo, come si diceva, deve
aggiungersi una parte piuttosto ampia del Diario "di riflessioni letterarie, interpretazioni e giudizi;
di osservazioni del Pavese sulla formazione e la natura del proprio stile narativo ecc., ecc. Da essa
sarebbe facile estrarre ed organizzare un volumetto, un "breviario" di considerazioni estetiche fra le
più acute ed esatte che da noi si siano avute da un pezzo"11.
8 C. Pavese, Il mestiere di vivere, 25 marzo 1950.9 Ivi, 10 maggio 1950.10 L'opera petrarchesca (a cui il poeta si era dedicato partire dal 1342) è strutturata in forma di dialogo tra il poeta e
Sant'Agostino, avvenuto alla presenza di una donna, simbolo della Verità.11 E. Cecchi, "L'Europeo", Milano, 8 ottobre 1952.
Gli aspetti di cui si è parlato fino ad ora rendono indiscutibile la natura letteraria del Diario,
a tal punto che il lettore sembrerebbe giustificato a credere che Pavese ne prevedesse una sorta di
pubblicazione: più volte, infatti, nei suoi pensieri l'autore si preoccupa, ad esempio, che quanto
scritto possa essere letto dall'amata, alla quale infatti è rivolta una delle sue ultime note, la
penultima per esattezza (16 agosto 195012).
Ma si analizzi, adesso, la struttura del Diario pavesiano: a quello che potrebbe definirsi
l'indice dell'opera (Fig.1) seguono i suoi pensieri – ciascuno con la data di composizione, indicante
giorno e mese – raccolti insieme di anno in anno. Il primo gruppo di pensieri è quello che si
racchiude sotto il nome di Secretum Professionale13 (ott.-dic. 1935 e febbr. 1936), composto a
Brancaleone Calabro. "Preistoria letteraria"14 del Secretum Professionale può considerarsi il
Mestiere di poeta, scritto nel 1934 e stampato nel '43, come postfazione di Lavorare stanca: un
momento utile alla preparazione della versificazione di Lavorare stanca ed affine al Secretum, in
quanto corrispondente alla fase di scoperta da parte di Pavese della parola-immagine.
Inoltre, considerando le carte manoscritte della prima giovinezza di Pavese, ci si imbatte in
un documento che sta a monte de Il mestiere di vivere, importante per comprenere alcuni aspetti
della struttura del Diario stesso. Si tratta di "una prova di diario di dieci carte, scritte su recto e
verso, ovviamente vergate a mano"15: sono i "Frammenti della mia vita trascorsa" – titolo proposto
da Laura Nay, che li riporta in appendice alla sua edizione de Il mestiere di vivere16 – la cui ipotetica
"interlocutrice" o "destinataria" sarebbe una ballerina, Maria (in arte Mary). La Nay estrae i
"Frammenti della mia vita trascorsa" dalle molte carte manoscritte (tarduzioni, versi, copioni
teatrali) tra le quali erano, proprio per inserire l'esperienza pavesiana in quella tipicamente diaristica
della frustrazione e della disperazione.
12 "Cara, forse tu sei davvero la migliore – quella vera. Ma non ho più tempo di dirtelo, di fartelo sapere – e poi, se anche potessi, resta la prova, la prova, il fallimento".
13 Vedi nota 10.14 M. Verdenelli, "Il mestiere di vivere" tra la trappola dei giorni e l'ultima rappresentazione, Atti del convegno
internazionale, San Salvatore Monferrato, 25-26-27 settembre 1987, p. 117.15 M. Guglielminetti, "La letteratura è una difesa contro le offese della vita". Attraverso Il mestiere di vivere, XXXI.16 "In appendice, si dà prima il testo del diario giovanile, anepigrafo, intitolato Frammenti della mia vita trascorsa,
conservato egualmente presso il "Centro Studi di Letteratura Italiana in Piemonte Guido Gozzano" dell'Università diTorino, segnatura AP X, I, XXXII (un primo abbozzo si trova ad AP X, I, XXXIV), fondo Sini. La redazione ultima,scorciata, segnalata da Mariarosa Masoero, in Cesare Pavese, Lotte di giovani e altri raconti (1925-30), Einaudi,Torino 1993, p. XXII, si trova nel fondo Einaudi (FE 3).Esso è costituito da 10 carte, scritte su r e v, per linee di scrittura da un minimo di 30 a un massimo di 36, riunite inmodo da formare un fascicolo. Le cc. non sono numerate. Si tratta di fogli staccati di libro mastro, piegati aquinterno, di mm 312 x 420.La scrittura è di tipo corsivo, ad inchiostro nero. Si notano macchie d'inchiostro alle cc. qui, per comodità, numerate1v, 2r e v, 3r, 5r, 8r, 9v, 10r; segni di matita si trovano alle cc. 2r e v, 3r, 9v, 10r". L. Nay, Nota al testo, ne Il mestieredi vivere, Diario 1935-1950, ed. cit., LXX.
Altra scansione interessante è quella che riguarda i luoghi da cui l'autore scrive; l'intenzione
di tenerli distinti si nota, infatti, nell'indice, a proposito del quale, si legge nella nota al testo:
"In particolare: a) riproducendo l'indice del ms, si è sostituito all'indicazionedella pagina (p.) quella della carta (c.) per comodità del lettore, ma si tenga presente chemancano tutte le carte e i fogli aggiunti dopo la composizione dell'indice, che non vaoltre il 1949, e parimenti si noti che in luogo di c. 14 si dovrebbe leggere "c. 13", inluogo di c. 34 "c. 33", in luogo di c. 95 "c. 94", in luogo di c. 175 "c. 174", in luogo di c.241 "c. 240"; b) non sono state riportate due aggiunte a matita, c. 9r (a fondo pagina) ec. 144v, che non danno senso; c) a c. 45r si è ovviamente corretto "fanno" in fatte e a c.213 "fallica" in falliche (a proposito di immagini); d) al c. 137 il rinvio al "3 luglio, II"lascia supporre che la carta dattiloscritta corrispondente, la 135, non rispetti la primitivavolontà dell'autore di sdoppiare il suo pensiero, dal momento che i numeri romaniindicano sempre, in casi del genere, l'ordine interno dato al succedersi dei pensierinell'ambito di un solo giorno."17
Fig. 1 Riproduzione dell'indice del manoscritto de Il mestiere di vivere, proposta nell'edizione di L. Nay e M.Gulielminetti.
17 L. Nay, Nota al testo, ne Il mestiere di vivere, Diario 1935-1950, Torino, Eianudi, 2000, LXXI.
"IL MESTIERE DI VIVERE" MANOSCRITTO
La breve analisi filologica qui riportata si basa sull'edizione condotta sull'autografo a cura di
Marziano Guglielminetti e Laura Nay, il cui lavoro è stato condotto sul manoscritto autografo,
conservato presso il "Centro di Studi di Letteratura Italiana in Piemonte Guido Gozzano"
dell'Università di Torino, segnatura AP IV (fondo Sini).
Per chiarire gli aspetti principali del manoscritto, ritengo opportuno citare parte della nota al
testo dell'edizione citata:
"Le prime tre cc. non numerate, scritte solo sul r, contengono il titolo, l'indicegenerale (escluso l'anno 1950) e il titolo della prima sezione, "Secretum professionale".Le successive, dal "6 ott. '35" al "20 dic." del medesimo anno, sono numerate 1-6, r e v(ad eccezione della seconda). Dal "16 febbr." al "28 febbr." del 1936 sono nuovamentenumerate 1-5, r e v, ad eccezione dell'ultima. Sono ancora numerate 1-4, solo r, le cc.Del "10 Apr." 1936. dal "20 apr. '36" al "18 a." del 1950 la numerazione è ripresa, econtinua dalla c. 1 sino alla c. 298, r e v, conservano numerazione autonoma, da 1 a 9,solo r, le cc.. inserite fra la 174 e la 175.
Nell'ambito di questo gruppo di cc. si noti infine: la numerazione delle cc. 81-82è ripetuta due volte; la c. 129, solo r, è mutila; le cc. 130-43 sono solo r, e così pure lecc. 188-223; alla c. 228, è collegata una c. Mutila, solo r, non numerata; le cc. 231-235sono solo r; sulla c. 238r è pinzato un foglietto, solo r, non numerato, che riporta ipensieri del "3 ag." e del "18 ag." 1946; la c. 250 mutila, solo r, è seguita da un'altra c.mutila, non numerata; fra le cc. 258 e 259, è inserito un foglietto mutilo, solo r, nonnumerato; fra le cc. 276 e 277, è inserito un foglietto non numerato.
Tenendo conto che il materiale in uso è in massime parte ricavato, come hascritto Fernanda Pivano sul "Corriere della Sera" del 14 febbraio 1987, da "quellepagine lunghe, di carta che allora si chiamava "da minuta" ed era la più economicareperibile nelle cartolerie, accartocciate negli angoli delle sue dita nervose", si fapresente che Pavese sovente provveda egli stesso a confezionarsi cartelle di variedimensioni. Pavese ha pure utilizzato altra carta: carta da recupero (extra-strong e extra-forte di diversa grammatura), carta-legno, carta velina, carta patinata, carta da copie,fogli staccati di libro mastro, bozze di stampa. [...] La scrittura è di tipo corsivo, adeccezione delle cc. 130-43, dattiloscritte, con aggiunte e correzioni a mano in inchiostroe matita neri.L'inchiostro usato è in prevalenza nero. [...]"18.
Per quel che riguarda la stampa del manoscritto, sappiamo che la prima edizione è del 1952,
venne stampata in 407 pagine, nella collezione dei "Saggi" di Einaudi n. 157 e pubblicata a Torino.
Questa prima edizione era accompagnata da un' Avvertenza, che la Nay riporta nella sua nota al
testo19, in cui si indicavano brevemente il ritrovamento e lo stato del manoscritto, inoltre, il modo di
procedere dei due curatori, I. Calvino e N. Ginzburg, talvolta indecisi su come intervenire "perché il
diario conteneva riferimenti a persone in vita"20.
Le successive edizioni sono:
– del 1962, nei Supercoralli;
18 L. Nay, Nota al testo, ne Il mestiere di vivere, Diario 1935-1950 , ed. cit., LXIII-LXIV.19 Ivi, LXXII.20 L'Europeo, 26-30 luglio 1990.
– del 1964, nella collezione I Gabbiani, Il Saggiatore, Milano;
– del 1968, per le Opere complete di Cesare Pavese, vol. X;
– a partire dal 1973, nei Nuovi Coralli.
I criteri editoriali seguono per tutte le edizioni, quelli adottati nella ristampa del 1962,
edizione in cui vi erano state omissioni integrali o parziali di alcuni pensieri:
• omessi integralmente: 4 luglio 1937 - 12 ottobre 1937 - 2 agosto 1938 - 8 ottobre 1938;
• omessi parzialmente: 26 aprile 1936 - 4, 23, 25, 30 dicembre 1937 - 3, 4, 5, 15, 17, 19, 26
gennaio 1938 - 5, 15, 20 febbraio 1938 - 26, 27 marzo 1938 - 11, 13, 16 giugno 1938 - 1
gennaio 1940 - 6 aprile 1940 - 27 maggio 1942 - 7 dicembre 1945 - 17 aprile 1946 - 9 marzo
1950.
I cambiamenti subiti dal testo nel corso delle stampe e, dunque, gli interventi d'autore,
possono più o meno essere motivati. È chiaro che l'editore, nel momento in cui decide di intervenire
sul testo, è mosso da specifiche ragioni, tuttavia, quando si parla di filologia d'autore bisogna anche
utilizzare un certo riguardo nei confronti degli scrittori – come fa notare lo Stussi21 – specie se si
tratta di testi non direttamente collegati a una determinata opera letteraria e dunque scritti per uso
privato. Ci si trova così a costruire ipotesi su dati incerti e contraddittori, dato il carattere privato
della scrittura.
Nel caso di Pavese, alcuni interventi editoriali erano stati motivati – sulla base di alcune
cassature – dall'ipotesi che questi non scrivesse parolacce (e bestemmie) nel suo Diario, oppure
erano stati legati a particolari luoghi del testo in cui la scrittura si faceva più volgare o esplicita: ne è
un esempio l'anno 1938. I pensieri di questo periodo si accaniscnono sul rapporto di coppia, che gli
ha procurato malessere ed umiliazione, aumentano i riferimenti alle "cose sessuali"22, ai genitali, ai
testicoli, al seno della donna ecc. Infatti nel testo a stampa, alla data del 30 ottobre 1938, leggiamo:
"Si perdona agli altri quando ci conviene", dove il pensiero – cassato – era originariamente: "Se
senti che esiste un inetto, un qualunque, un morto in piedi, che cosa te ne importa! E se scopri che
questo inetto, ecc., sei tu, perché te ne deve importare? C'è qualche ragione perché tu conti più di un
altro?".
Il 4 luglio 1936, nel manoscritto si leggeva un'aggiunta a matita: "IL 4 LUGLIO È
RITORNATA TINA", che tuttavia gli editori della stampa del '52 avevano pensato di non riportare
per il riferimento troppo diretto alla persona23.
21 A. Stussi, Introduzione ali studi di filologia italiana, Bologna, Il Mulino, 2011.22 C. Pavese, Il mestiere di vivere, ed. cit., 2 giugno 1938.23 Pavese sta parlando di Tina Pizzardo, "la donna dalla voce rauca", conosciuta durante gli anni dell'Università. Per
causa sua lo scrittore era stato confinato a Brancaleone; tornato da questa esperienza, scoprì inoltre di essere statoabbandonato da Tina, che aveva sposato un altro uomo (saranno queste delusioni a sfociare nel suo primo romanzo,Il carcere, scritto tra il 27 novembre e il 16 aprile 1939, ma pubblicato nel 1949).
Altro anno particolare dal punto di vista della manomissione editoriale ed importante da
controllare sul manoscritto è il 1940. In questi anni Pavese si sta dedicando alla stesura di Paesi
tuoi e, la propria attività di narratore mette in discussione la natura del suo Diario. Ne deriva una
serie di riflessioni sulla sua scrittura, sul valore di essa e del Diario stesso, a proposito della quale,
Guglielminetti avanzava una sorta di confronto con i "canzonieri":
"[...] è fuori di dubbio che, a partire da qui, le responsabilità creative della scrittura
diaristica è affrontata in misura tale da rendere ogni segmento di essa, ogni pensiero,
momento di un'opera in atto di farsi, come se di un racconto o di un poemetto si
trattasse. È solo più incidentalemente manuale questa scrittura, che ha misure e
ambizioni di ritratto intellettuale definitivo"24.
Piuttosto di frequente Pavese emenda se stesso, ed è per questo che troviamo cancellature,
sostituzioni, aggiunte, che sono infatti tipiche di chi, mentre lavora, si perfeziona. A tal proposito, si
veda la prima pagina de La luna e i falò (vedi Fig. 2), il romanzo che, scritto nel 1949 e pubblicato
nel 1950, segna la conclusione della carriera dello scrittore.
La pagina che si sta prendendo in considerazione venne scritta domenica 18 settembre 1949,
come si vede nel margine destro in alto. Il testo, così come lo leggiamo nell'edizione a stampa e da
confrontare col manoscritto, riporta:
"C'è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a
Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non
c'è da queste parti una casa ne un pezzo di terra ne delle ossa ch'io possa dire "Ecco
cos'ero prima di nascere". Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da
una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del duomo di Alba,
magari non veniva neanche dalla campagna, magari era la figlia dei padroni di un
palazzo, oppure mi ci hanno portato in un cavagno da vendemmia due povere donne da
Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana. Chi può dire di che carne sono fatto?
Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono,
ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché
la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione"25.
24 M. Guglielminetti, "Il mestiere di vivere" manoscritto, in Cesare Pavese oggi. Atti del convegno internazionale, San Salvatore Monferrato, 25-26-27 settembre 1987, p. 97.
25 C. Pavese, La luna e i falò, Torino, Einaudi Tascabili, 2003, cap. I.
Fig. 2 Copia del manoscritto della prima pagina de La luna e i falò, custodito in originale presso il Centro manoscrittidell'Archivio di Stato di Torino, afferente al Centro Studi Gozzano – Pavese, (Torino).
Si notano correzioni, cancellature e aggiunte da parte dello scrittore che, tuttavia, non
modificano l'assetto del testo e neppure ne stravolgono il senso. Nella maggior parte dei casi
sembrerebbe trattarsi di varianti immediate e dunque di correzioni apportate dallo scrittore durante
la fase stessa di stesura: immediatamente dopo aver scritto, Pavese torna sulle parole, cassandole,
per poi soprascrivere la variante, e questo sarebbe evidente dal fatto che il senso della frase
prosegue sulla base della correzione fatta.
Ne cito due esempi: nel manoscritto, sotto le cancellature, si legge "ma proprio per questo
vien un momento", tuttavia è evidente che Pavese lo avesse corretto subito in "ma è per questo
che", dal momento che la frase prosegue con "uno si stanca...". E ancora, più avanti leggiamo
"cerca di mettere radici, di farsi terra e paese", dove originariamente era "...terra, di non essere più
lui": è ovvio che la frase acquista un senso solo se paese (Pavese aveva scritto in alternativa anche
località, ma traccia un segno sopra la parola) si collega direttamente a terra e, dunque, solo
considerando che lo scrittore avesse cancellato "di non essere più lui" prima di continuare a scrivere
la frase principale.
Da quanto si vede, l'usus scribendi dello scrittore peìiemontese sembrerebbe basarsi su
minimi ripensamenti e, soprattutto immediati, anche se non tutti sono d'accordo a proposito di ciò.
La luna e i falò è il suo ultimo romanzo e in questo si allontana cronologicamente da Il mestiere di
vivere. Ad esempio, a proposito del Diario, G. Isotti Rosowsky aveva consultato i manoscritti del
fondo Einaudi 23, trovando dei fogli, su cui erano annotati a matita nera alcuni pensieri de Il
mestiere di vivere, e in particolare quelli del 22, 27 e 28 novembre e 2 dicembre 1945, oltre a quello
del 6 febbraio 1946 (che tuttavia compare in data 6 gennaio 1946), giungendo alla conclusione che
Pavese non scrivesse di getto, ma che tendesse piuttosto a "raccogliere trascendendole le sue
annotazioni".
Lo studio di questa pagina de La luna e i falò, non mi permette, di certo, di trarre delle
conclusioni sulle abitudini generali dello scrittore; tracciare un filo conduttore con Il mestiere di
vivere, ipotizzando le trasformazioni – avvenute o meno nel tempo – della sua scrittura e, meglio
ancora, del suo modo di lavorare risulterebbe piuttosto complesso, senza avere precedentemente
consultato i manoscritti delle sue opere, dove possibile. Non mi resta, dunque, che rimandare
qualunque approfondimento in merito ad una più compiuta analisi, per collocare l'indagine
effettuata in uno studio più completo e rigoroso sull'usus scribendi di Cesare Pavese.
Bibliografia e sitografia
GUGLIELMINETTI M., "Il mestiere di vivere" manoscritto, in Cesare Pavese oggi. Atti del convegno
internazionale, San Salvatore Monferrato, 25-26-27 settembre 1987.
FORTINI F., Il disagio di vivere nelle note di un diario, in Disobbedienze II. Gli anni della sconfitta.
Scritti sul manifesto 1985-1994, Roma, Manifestolibri, 1996.
PAVESE C., Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi, 2000.
PAVESE C., La luna e i falò, Torino, Einaudi Tascabili, 2003.
PAVESE C., Prima che il gallo canti, Torino, Einaudi, 2003.
PAVESE C., Vita attraverso le lettere, Torino, Einaudi, 2004.
STUSSI A., Introduzione agli studi di filologia italiana, Bologna, Il Mulino, 2011.
VERDENELLI M., "Il mestiere di vivere" tra la trappola dei giorni e l'ultima rappresentazione. Atti del
convegno internazionale, San Salvatore Monferrato, 25-26-27 settembre 1987.
BOCELLI A., PAVESE, Cesare, Treccani.it, Enciclopedia italiana,
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