Page 1
1
Università degli studi di Pisa
Facoltà di lettere e filosofia Corso di laurea specialistica in Archeologia
Cerealia, oleum et vinum :
i rifornimenti alimentari sulla via tra Cartagine e
la Sicilia meridionale (Tarda Repubblica e Impero)
Candidato
Salvatore Andrea Incorvaia
Relatore
Maurizio Paoletti
Correlatore
Antonino Facella
Page 2
2
Indice
Premessa
I Cartagine: dinamiche storiche.
I.1 Dall’Africa punica all’ Africa proconsularis : la conquista romana e la romanizzazione.
I.2 La riforma dioclezianea e l’epoca di Costantino.
II Cartagine tra tarda repubblica e basso impero. Topografia, strutture portuali e sistema viario.
II.1 Topografia.
II.2 Le strutture portuali-commerciali di Cartagine.
II.3 Le romanae viae e le strutture produttivo-commerciali dell’Ager Carthaginiensis.
III La Sicilia romana: dinamiche storiche.
III.1 Dalla megale hellas alle guerre puniche.
III.2 Provincia Siciliae (241 a.C.-476 d.C.).
IV La Sicilia meridionale : approdi commerciali.
IV.1.1 Kamarina.
IV.1.2 Kaucana.
IV.2 Gela.
IV.2.1 Calvisiana.
IV.2.2 Chalis.
IV.3 Agrigento.
IV.3.1 Eraclea Minoa.
IV.4 Selinunte.
IV.4.1 Il litorale selinuntino: Il sito di Carabollace e i flussi commerciali col NordAfrica.
V Il caso di Finziade (Licata); da florido porto a città decaduta.
VI Rotte, merci, uomini : studio dei rapporti commerciali tra la Sicilia meridionale e Cartagine, tra
la tarda repubblica e impero.
VI.1 Appendice: il relitto di Ognina (Sr) e la centralità della Sicilia nei flussi commerciali romani.
VII Conclusioni.
Tavole
Bibliografia
Page 3
3
Premessa
Nella storia millenaria del Mediterraneo, piena di scambi di merci idee e popoli, sicuramente un
ruolo fondamentale è stato svolto dalla Sicilia, vera e propria “terra di mezzo”, ricettrice di culture e
idee svariate e molteplici. Parallelamente alla Trinacria, altro ruolo estremamente strategico è stato
quello recitato da Cartagine e dalla futura provincia romana d'Africa. Questi territori, letteralmente
fagocitati da Roma e dalla romanizzazione fin dalla media repubblica, svolsero il ruolo di
importante cerniera tra due continenti, apparentemente lontani ma in realtà vicinissimi: l'Africa e
l'Europa.
Il ruolo primario di Cartagine nella storia antica è riconosciuto anche nella mitologia ufficiale
romana. La vicenda di Enea infatti, perdutamente innamorato della regina punica Didone,
successivamente abbandonata per cause superiori, vuole essere una sorta di giustificazione del più
grande conflitto della classicità. Oggi purtroppo per altre cause questi luoghi sono teatro di un altro
scontro tra civiltà, ben diverso e forse ancora più drammatico.
Tra le due sponde del mare nostrum, infatti, non si fa più guerra, non si commerciano più cereali,
olio, vino, bestie per l'arena, ma soprattutto schiavi dell'età moderna costretti a scappare dalla loro
terra nella speranza di un futuro migliore. Auspicando che finalmente un giorno l'antica Africa
punica possa essere la terra promessa di questa povera gente e sperando che i venti della recente
primavera araba portino benefici reali a chi vive in condizioni precarie da diverso tempo, già fin da
adesso noi popolo del cosiddetto “primo mondo” dovremmo iniziare a vivere i 90 km che separano
le sponde siciliane da Capo Bon (Tunisia) con un occhio diverso, non come un confine serrato ma
come una porta d'accesso tra il sud ed il nord tra l' Africa e l'Europa: tra l'uomo e l'uomo.
Page 4
4
I Cartagine: dinamiche storiche.
I.1 Dall’Africa punica all’Africa proconsularis: la conquista romana e la
romanizzazione1.
«I tirii si affannano ardenti, parte ad erigere le mura e a costruire la rocca, a rotolare a braccia
macigni, parte a scegliere un luogo per la casa e a recingerlo d’un solco; scelgono leggi e magistrati
e il santo senato; qui alcuni scavano il porto, qui altri gettano le profonde fondamenta del teatro, e
tagliano dalle rupi enormi colonne, alto ornamento alle scene future2». Incerte le origini della città,
vaghe come il racconto fantastico ed esotico dipinto dal grande Virgilio, in uno scenario di
splendore e lucentezza nasce, secondo il mito, Cartagine la regina del mediterraneo. Fondata sul
finire del IX secolo a. C. dai padroni del mare, i poenikes originari per l’appunto di Tiro, Cartagine
dovette far preziosa esperienza dei problemi d’interazione etnica e territoriale che le più antiche
colonie fenice d’Africa, come Utica, avevano incontrato. Essa ebbe una grande considerazione delle
risorse territoriali come supporto e garanzia per gli scambi commerciali; vero e proprio fulcro della
cultura fenicia3.
Sintetizzando possiamo ben dire che Cartagine ed Annibale, il suo più illustre figlio, non sarebbero
mai entrati prepotentemente nella storia se l’elemento punico non fosse riuscito, dopo le prime
traumatiche esperienze, a far proprie le potenzialità delle risorse africane.4
L’indole marinara fenicia da sempre condizionò le scelte di questo popolo così intraprendente.
Le coste africane per diversi motivi: (approdi naturali facili, terre vergini e ricchezze varie)
costituirono da sempre una meta ambita.
La fondazione di Qart-ḥadašt e di altre colonie precedenti o successive, può essere vista in questo
contesto politico-economico.
1Opere di riferimento per la tematica di Cartagine e dell’Africa romana sono risultate essere: “Carthage” di Serge
Lancel, “Storia delle province romane dell'Africa” di Pietro Romanelli, i volumi riferiti a Cartagine nella “Storia di
Roma” a cura di Einaudi,” ed “Cartagine : un impero sul mediterraneo. Civiltà e conquiste della grande nemica di
Roma.” Di Enrico Acquaro. 2 Verg., Aen. 419 ss.
3 Sulla storia del sito risulta essenziale il volume di Serge Lancel “Carthage” edito da Fayard nel 1992. L’ opera da un
inquadramento storico ben preciso sullo sviluppo della comunità cartaginese 4Acquaro 1978, pp. 41-43
Page 5
5
Pochi secoli dopo la sua fondazione Cartagine poteva già vantare un impero commerciale notevole;
si andò infatti gradualmente a sostituire proprio ai mercanti fenici, monopolizzando le rotte del
mediterraneo.
I territori che più d’ogni altri interessarono ai navigatori cartaginesi furono le due grandi isole
mediterranee: la Sardegna e la Sicilia. Mentre in Sardegna ebbero per così dire vita facile, in Sicilia
l’elemento cartaginese fece più fatica ad emergere, poiché vi era la concorrenza politica-
commerciale della fortissima e radicatissima presenza greca.
Cartagine a differenza di altre città fenice mirò fin da subito a crearsi un solido impero, infatti
all’alba del conflitto più grande della storia antica, quello con l’Urbe, era la più grande e
riconosciuta potenza mediterranea.
La causa del grande conflitto fu la ormai forte presenza in Sicilia dei punici. L’elemento greco era
stato in parte soppiantato e l’unica roccaforte siceliota rimasta al III secolo a.C. era Siracusa.
La fatidica data del 264 a.C. corrisponde in pratica ad un vero e proprio spartiacque storico, poichè
muterà completamente la cartina geo-politica mondiale. I rapporti tra Roma e Cartagine, come le
fonti epigrafiche dettagliatamente ci tramandano, non erano mai stati pessimi, tutt’altro.
Prima della cosiddetta prima guerra punica, la storia ci parla di trattati commerciali a fini politici tra
la città di Didone e quella di Romolo. Polibio, dettagliatamente, nelle sue storie narra di questi tre
trattati: il primo trattato, datato secondo le fonti al V secolo prescriveva ai romani la navigazione al
limite di Capo Bello. Nella descrizione dettagliata che l’autore d’origine greca fa di questo trattato
si nota benissimo la posizione dominante dello stato cartaginese, come del resto sarà ancora di più
nel secondo trattato. Innanzitutto le navi “romane” a cui era proibito la navigazione oltre il Kalos
Akroterion, visto l’embrionale sviluppo della marineria romana dell’epoca, dovevano essere
imbarcazioni appartenute ai socii navales dello stato romano. Il divieto di navigazione in questo
caso più che a scopo militare era stato istituito per regolamentare le tratte commerciali. Il
commercio era consentito ai romani in un areale piuttosto ristretto: Cartagine stessa e l’ Eparchia
cartaginese in Sicilia offrivano spazio ai mercatores italici. Diatriba forte è nata negli anni
sull’identificazione geografica precisa di Caput Bellum “limite” fisico dell’accordo. Alcuni hanno
voluto identificare esso con l’odierno Capo Bon (Ras Addar), altri invece identificano esso con
l’attuale Capo Farina (Ras Ali-el-Mekki): questa disputa nasce dal fatto che le fonti polibiane non
sono del tutto chiare poiché indicano un promontorio immediatamente a Nord di Cartagine.
Entrambi geograficamente sono posti a nord della città punica anche se per la verità l’attuale Capo
Bon si pone in posizione leggermente più defilata (Nord-Est)5. Il secondo trattato ebbe condizioni
più dure poiché Roma aveva appena subito il sacco gallico ad opera di Brenno; addirittura fu
5Scardigli, 1991, p. 66 ssg.
Page 6
6
proibito ai mercatores italici il commercio in Africa. L’iniziativa di questa nuova stipulazione di
patti economico-politici partì nuovamente da Cartagine.
Le condizioni generalmente furono simili a quelle del primo trattato ma come già accennato in
precedenza nel complesso più dure, figlie di un momento storico ben determinato. Differenza
sostanziale dal primo trattato si ha nell’ inserimento nel documento di comunità alleate o vicine alla
stessa Roma e Cartagine: da parte cartaginese Tiro, Utica mentre da parte romana alcune comunità
latine. Nello specifico la Sicilia durante la stipulazione di questi accordi aveva visto il comparto
cartaginese piuttosto aumentato, di conseguenza l’interesse verso la Sicilia terra di “mezzo” costituì
uno dei punti focali.
Cartagine strategicamente non chiuse sull’isola gli empori romani, prima di tutto perché i
mercatores italici svolgevano un ruolo fondamentale nelle transazioni economiche all’interno dei
mercati greci inoltre miravano con questa mossa ad infastidire lo stesso elemento siceliota6.
Il terzo ed ultimo trattato è sicuramente il più significativo poiché viene stabilito tra le due super-
potenze in funzione della minaccia pirrica. Roma e Cartagine tramite quest'ultima alleanza
colmavano i loro gap militari: Cartagine dal punto di vista terreste mentre Roma dal punto di vista
navale.
Con la sconfitta di Pirro e il conseguente dominio incontrastato di Roma sulla penisola italiana, non
c'era apparentemente alcun motivo per creare astio all'alleato punico e viceversa, poiché i
cartaginesi mantenevano salde le loro posizioni in Sicilia.
Il contrasto nacque dalla reciproca paura di un'eccessiva vicinanza e dal timore che prima o poi
l'una potenza potesse prendere il sopravvento sull'altra7
. Il casus belli provenne da un
importantissima isola posta al centro del mediterraneo: la Sicilia.
Sotto la pressione delle mire espansionistiche del tiranno di Siracusa, Ierone, i mercenari di Mars
chiesero prima l'aiuto a Cartagine.
L'oligarchia punica non ascoltò le loro richieste e gli stessi si rivolsero al senato di Roma.
Il massimo organismo statale romano temporeggiò a lungo sul da farsi; la decisione sull'intervento
fu molto discussa perché avrebbe significato la guerra contro i cartaginesi e perché l'idea di aiutare
dei soldati che avevano ingiustamente strappato via una città ai legittimi possessori, divenendo poi
dei briganti, era mal vista (anche perché poco prima era stata invece soppressa una guarnigione che
aveva usurpato con la forza il comando di Reggio).
Tuttavia, in favore dei mamertini intervenne Appio Claudio Caudice e a Roma l'idea presa fu di
allearsi con loro per evitare che l'espansione cartaginese si avvicinasse troppo all'Italia e per
6Scardigli 1991, p. 105 ssg.
7Warmington 1954, p.15 ssg.
Page 7
7
estendere il domino dell'aquila delle legioni sulle ricchezze siciliane8.
Arrivati a Columna Regia i romani guidati in prima istanza da Valerio Messalla, da li sbarcarono
nella roccaforte dei mamertini, Messana. Il fretum aveva da sempre rappresentato una sorta di
“muro” tra civiltà e culture diverse, superandolo i romani dichiararono guerra non solo a Cartagine
ma al mondo intero allora conosciuto poiché da lì a pochi anni diventarono sostanzialmente i
padroni incontrastati dell'ecumene.
Le battaglie combattute per terra e per mare furono violente e cruenti, un' intera isola fu messa a
ferro e fuoco. La prima vera e propria svolta di questo primo “round” tra le due super- potenze si
ebbe, dopo alterne fortune (importantissima ad esempio per i romani era stata la battaglia di Mylae
del 256 a. C.), nel 241 a.C.
Le due flotte oppugnanti si scontrarono nelle acque prospicienti Lylibeum nella battaglia passata
alla storia come la battaglia delle Egadi. Fu una grande vittoria romana, ottenuta grazie all'abilità di
Lutazio Catulo. Alla vittoria navale seguì l'assedio e la presa di Lylibeum i quali sancirono la resa
incondizionata e l'estromissione dalla Sicilia dei punici. Nel 238 a.C. la Sicilia divenne la prima
provincia romana: tutto il territorio fu occupato ad eccezione dell' ager Syracusanus e di Siracusa
stessa che rimaneva formalmente città libera ma che praticamente era entrata fortemente nella sfera
d'influenza romana.
Questo grande scontro tra civiltà non era destinato tuttavia a concludersi con la vittoria del 241 a.C.;
da quella data infatti lo spirito di revanchismo punico si era acuito poiché la sconfitta era stata per
certi versi bruciante, inoltre veniva a tagliare un importante ponte di collegamento per i commerci
della polis africana.
La prima mossa Cartaginese fu quella di aprirsi un'altra via verso ponente, andando ad occupare
buona parte della fascia costiera dell' Hiberia al fine di sfruttare le importanti risorse minerarie
presenti soprattutto nella zona del Rio Tinto.
Roma dal canto suo, a protezione di Massalia in funzione anti-cartaginese, aveva stretto alleanza
con la città di Saguntum compresa però nel territorio cartaginese, attestando la linea di confine con i
possedimenti punici all' Ebro.
Il conflitto come da copione era inevitabile e sfociò allorquando Annibale, generale esponente della
più importante famiglia cartaginese del tempo i Barcidi, assalì Sagunto; celebre in merito a ciò è la
locuzione latina “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”9.
Da lì a poco Annibale alla testa di un grande esercito valicherà le Alpi e porterà la guerra sul suolo
italico.
8Canali De Rossi 2007, p.3 ssg.
9 Liv., XXI, 7, 1
Page 8
8
Fu una guerra ancora più atroce e cruenta rispetto a quella combattuta in Sicilia. Roma fu quasi
sull'orlo della sconfitta (la battaglia di Canne costituisce l’emblematico momento di difficoltà che
Roma stava vivendo), quando riuscì a ricompattarsi, grazie al suo efficiente esercito composto, a
differenza della macchina bellica di Annibale, da cittadini romani che in questo frangente erano
costretti a difendere la loro terra.
Una prima svolta si ebbe grazie alla riconquista di posizioni romane a Malta e in Sardegna,
seguirono anni di stasi fin quando Roma, rinvigorita sferrò l'attacco decisivo alla nemica storica sul
suolo africano.
Celeberrimo il vincitore di Cartagine, Scipione detto l' Africano sconfisse i Cartaginesi con una
grande strategia militare attestante sicuramente uno studio dettagliato di precedenti modus operandi
(il tentativo di Agatocle di invadere l'Africa nel IV sec. a.C.): egli sconfisse in maniera definitiva
Annibale a Zama nell'anno 202 a.C.
Per Roma si apriva decisamente una nuova fase politica, Cartagine invece dopo il conflitto, grazie
al suo potenziale economico si riprese presto pur rimanendo di fatto possedimento romano,
quest'evento sarà il futuro casus belli che porterà da li a circa cinquant'anni alla distruzione
completa della città punica10
.
Con la fine delle ostilità sul suolo italico e africano, la potenza di Cartagine e la sua relativa
eparchia erano state cancellate.
L'acerrima nemica tuttavia non era stata completamente eliminata poiché, la città stessa aveva
subito dure condizioni ma in sostanza la guerra si era fermata alla piana di Zama.
Nei circa cinquant'anni che intercorrono tra la seconda e la terza guerra punica Cartagine, pur sotto
il ferreo controllo politico romano, in virtù di una sorta di privilegi concessi dall'armistizio aveva
per così dire risollevato la sua l'economia11
.
Notissimo e pieno di significato fu l'arringa di Catone in senato, il famoso censore, si presentò con
un fico in mano proveniente dal mercato di Cartagine.
Egli fece prese sul partito “interventista” dichiarando che se il fico era giunto così fresco a Roma
indicava che Cartagine era vicina, con tutti i rischi e pericoli che ciò poteva determinare12
.
Quest’evento prettamente simbolico ci può dare sicuramente lo spunto per capire quale fossero
allora gli scambi commerciali attraverso il Mare Nostrum. I cartaginesi che ormai da secoli
monopolizzavano i commerci mediterranei riuscivano ancora dopo due cocenti sconfitte a svolgere
il loro antico mestiere.
10
Beschaouch, 1994, pp. 22-28 11
Romanelli 1959, pp. 12
Plin., XV, 74-76. "Verum est: – inquit Cato – nam haec ficus tertium abhinc diem, Carthagine decerpta est: tam
vicinum habemus hostem!"
Page 9
9
Sfruttando rotte di cabotaggio che toccavano le coste siciliane e di seguito quelle dell’Italia
peninsulare, ancora alla metà del II secolo a.C., essi raggiungevano facilmente i mercati di Roma.
Inoltre i mercanti fenici, grazie alla loro bravura e scaltrezza, erano dei competitors piuttosto
scomodi per la nascente classe dei mercatores italici.
Le terre africane erano note nel suddetto periodo per la produzione della porpora dal murex (murice)
e del garum, naturalmente in Africa non mancava, grazie ad un clima mediterraneo, la coltivazione
dell’olivo della vite e la cerealicoltura: la famosa triade mediterranea.
C’erano stati da sempre intensi scambi, anche a causa di possedimenti territoriali punici, con la
Sicilia. Prova ne sia che in diversi relitti ritrovati a poche miglia dalle coste siciliane : Nel relitto di
Secca di Capistello o nel più famoso relitto della nave punica dello Stagnone di Marsala, è possibile
vedere una fitta associazione di anfore da trasporto riconducibili a contesti nord-africani e sicelioti13
.
Questo dimostra ancora una volta che in un periodo leggermente antecedente alla conquista romana,
i cartaginesi avevano il completo dominio delle rotte e che questo dominio continuò anche dopo
fino alla distruzione del 146 a.C. Altro elemento scatenante il conflitto fu comunque la pressione
fatta dal regno di Numidia e dal suo re Massinissa, alleato dell'Urbe, su Cartagine stessa. Roma per
certi versi si vide “costretta” a dichiarare guerra alla città africana.
Roma decise di entrare in guerra, non tanto per paura che la potenza cartaginese potesse risorgere
ma più che altro per contrastare indirettamente l'alleato numida, poiché se come nei piani,
Massinissa si fosse impadronito di Carthago, Roma stessa avrebbe dovuto accettare l'idea del
formarsi di un nuovo, scomodo regno indipendente in Africa.
Le operazioni furono piuttosto brevi anche se l'orgoglio cartaginese vendette cara la pelle e l'assedio
della città dai due porti fu logorante e lungo. Le sorti della guerra furono decise da Scipione
Emiliano, nipote del console Lucio Emilio Paolo morto a Canne, adottato nella gens Cornelia dal
figlio di Scipione Africano.
Il comandante in capo dell'esercito romano ebbe la meglio sulla fiera resistenza punica solo tramite
un ardito escamotage che prevedette il taglio della fossa di collegamento del porto col mare aperto e
quindi l'interramento di esso.
Tramite ciò gli assediati non poterono più usufruire del vettovagliamento e furono costretti (i pochi
superstiti) a consegnarsi al nemico.
Era l'anno 146 a.C. La città venne cancellata dalla storia fu interamente distrutta e i suoi abitanti
arresisi furono venduti come schiavi.
Secondo alcune fonti il suolo di Cartagine fu consacrato agli dei infernali e niente più sorse ivi fino
alla seconda metà del I secolo a.C. Polibio in un celebre passo dei suoi scritti narra con forte pathos
13
Bisi 1986, pp.594-596
Page 10
10
le lacrime di Scipione Emiliano alla visione di Cartagine in fiamme prevedendo la stessa triste fine
futura per Roma14
.
Il famoso “Delenda Carthago” catoniano era stato applicato in piena regola, e della fiera nemica di
Roma non restavano che macerie.
L'Africa ad eccezione del regno numidico, era ora in possesso completo del senato romano. I
conquistatori nel solco della romanizzazione tipico dei territorio acquisiti, procedettero alla
risistemazione del nuovo ager publicus populi romani.
Interessante in questo senso la risistemazione e lo sfruttamento agricolo sistematico della valle del
Bagradas (l'odierno Medjerda). Innanzitutto successivamente alla sconfitta di Cartagine venne
istituita, secondo la legislazione romana, la provincia d'Africa, detta Africa Nova.
Essa comprendeva i territori che pressappoco costituivano il ricco ager Carthaginensis, il governo
di questa provincia fu affidato ad un pretore che in origine risiedette ad Utica e solo in un secondo
tempo, dopo la deduzione augustea, fu trasferito a Cartagine.
La nuova provincia comprendeva un territorio di circa 20-25 mila kmq ed in origine Roma stessa
non aveva pensato minimamente ad un suo ampliamento. Essa era delimitata a ovest e a sud dalla
monumentale Fossa Regia che la separava dal regno clientelare di Numidia. La capitale in un
primo momento fu posta ad Utica dove risiedettero pretore e questore. Al primo erano affidate
adempienze militari, amministrative e giudiziarie, il secondo aveva il compito di gestire le finanze,
le imposte e i tributi provinciali. Il governatore guidava poi anche una legione comandata da un
legato e truppe ausiliarie (auxilia) composte da socii, per un totale di circa 30 mila uomini
asserragliati presso Utica nei cosiddetti Castra Cornelia.
Tutto il suolo provinciale fu considerato agro pubblico con l’esclusione delle città che durante il
conflitto avevano sostenuto Roma.
Il territorio fu diviso in pagi e ai vecchi proprietari punici in gran parte fu lasciato il possedimento
di terreni già in loro possesso, sotto il pagamento però di un tributo, il vectigal.
Il ruolo marginale che all’inizio dovette svolgere questa provincia tuttavia andava a scontrarsi con
la sua posizione strategica e con le sue risorse economiche; in principio predominava un’intensa
monocoltura cerealicola seguita da un importante sfruttamento delle risorse minerarie, mentre
scadente risulta essere in questo orizzonte cronologico la produzione artigianale di ceramica che
segnerà le fortune Nordafricane nei secoli centrali dell’ Impero15
.
Restava come già precedentemente accennato, il regno numidico che formalmente rimaneva
indipendente. I primi sentori di un malessere numidico verso l’ingerenza romana sul proprio
14
Pol. XXXVIII, 22 15
Ibba 2012, pp. 20-23
Page 11
11
territorio si fecero sentire con l’ingresso sulla scena africana di Giugurta. Motivo scatenante per
quest’evento bellico fu determinato dall’azione politica di Roma stessa. L’ Urbe infatti per
ridimensionare il potere del regno numidico aveva deciso di smembrare il regno in tre porzioni.
Una porzione di esso era stata affidata a Giugurta il più scaltro dei figli di Micipsa (in realtà era
stato adottato da Mastanabal). Giugurta al quale fu assegnata la parte più orientale del regno scatenò
una guerra fratricida che presto andò a cozzare con gli interessi di Roma stessa, inseguito al famoso
eccidio perpetrato a danno degli italici consequenziale all’assedio posto a Cirta. Quest’ evento
scatenò la reazione romana che sotto la pressione del tribuno della plebe Gaio Memmio dichiarò
guerra a Giugurta. Le alterne vicende della guerra giugurtina furono segnate da Metello e Mario,
quest’ultimo sconfisse Giugurta ridisegnando la geopolitica Nordafricana16
.
L'occasione per Roma di unificare i possedimenti Nordafricani si presentò invece circa un
cinquantennio dopo, quando il re Giuba si schierò dalla parte di Pompeo contro Cesare. Il
condottiero romano decise egli steso di guidare il suo esercito alla volta dell’Africa. Il suo esercito
era composto da 7 legioni, 2880 cavalieri e alleati locali vari.
Essendo impossibilitato nel competere con l’agguerrita flotta pompeiana, il dictator sorprese tutti
partendo da Lilibeo nel dicembre del 47 a.C. Il suo piano strategico prevedette di iniziare la
spedizione a partire dalla regione libica per non scontrarsi immediatamente con le forze pompeiane
asserragliate per la maggior parte nell’ Africa cartaginese. Lo scontro finale si ebbe a Tapso nel 46
a.C. con una strage che coinvolse i pompeiani e parte dell’esercito di Giuba. Il nuovo territorio
prese il nome di Africa nova e la capitale fu posta a Sicca Veneria affidata ad un propretore che
guidava tre legioni.
Con la conquista cesariana della Numidia (46 a.C.), si procedette gradualmente al progetto poi
raggiunto dell’ unificazione politica delle due “afriche”17
.
Il “matrimonio” tra i due territori fu sancito giuridicamente da Augusto. L' Africa nova venne unita
all'Africa vetus a formare la provincia augustea chiamata Africa proconsularis, istituita dallo stesso
Augusto successivamente alla deduzione di Cartagine.
Il Pretor venne spostato nella nuova capitale sorta sulle macerie della gloriosa metropoli punica e la
centuriazione dell'intero territorio si fece sempre più articolata e completa. Lo sfruttamento della
valle del Bagradas fu totale poiché ormai l'intero territorio era sotto l’egida romana.
Bisogna però ben dire che già dal 146 a.C. ampie parti dell' ex territorio cartaginese erano state
soggetto di assegnazioni viritane; importante poi per questi territori fu la pseudo-deduzione
graccana che portò comunque all'impianto con relativa distribuzione fondiaria (123 a.C.), di diversi
16
Ibba 2012, pp. 29-31 17
Ibba 2012, pp. 32-34
Page 12
12
coloni provenienti dall’ Italia.
Gradualmente coloni romani, per lo più veterani, si insediarono nella valle del Bagradas.
In epoca mariana agli assegnatari furono concessi lotti da 25 ettari per terreno anche se buona parte
dei territori era ancora sotto la corona numida.
Il quadro africano cambiò radicalmente in seguito al già citato Bellum africanus e con l'istituzione
dell'impero augusteo: ci fu un ulteriore risistemazione agraria dei terreni con la naturale immissione
nel sistema centuriato di nuovi coloni.
L'Africa da lì a poco sarà una grande ed enorme riserva granaria per i sempre più affollati mercati di
Roma. Con la relativa deduzione augustea di Colonia Concordia Iulia Carthago, questi territori si
avvieranno verso uno sviluppo sempre più prospero e rappresenteranno strategicamente e
politicamente un punto focale per Roma e i suoi possedimenti occidentali18
.
18
Migliario 2004, pp. 161-163
Page 13
13
I.2 Dalla dinastia giulio-claudia all’epoca di Costantino.
Il periodo post augusteo fu per Cartagine e per la neo-costituita Africa proconsolare un periodo
sempre più ricco e florido. La città ed il suo hinterland rappresentavano ormai uno dei capisaldi
nell'economia romana.
L'unione della vecchia Africa nova agli ex possedimenti numidici, non aveva fatto altro che
incrementare l'arrivo di genti italiche in queste terre, che specie lungo il corso del Bagradas erano
piuttosto prospere.
La stessa Cartagine, col suo importantissimo porto, costituiva non più la minaccia costante ed
incombente descritta secoli prima da Catone: ormai era a pieno diritto una civitas romana anche se
conservava, e conservò per lungo tempo, tratti autoctoni piuttosto marcati19
.
Tiberio primo successore di Augusto, ebbe all'inizio alcune difficoltà nell'amministrare questa ricca
provincia.
Dovette infatti reprimere una rivolta di tribù locali guidate da un disertore della Legio IX Hispanica,
storicamente noto come Tacfarinas. Per la verità i primi dissapori con le tribù africane dell’interno
si erano avuti all’indomani della creazione della provincia augustea e dello smembramento del
regno di Numidia che aveva costituito un elemento mediatore con lo stato romano. Le operazioni
militari videro coinvolti, tra il 35 a.C. e 9 d.C., i reparti dell’esercito romano contro i vari
Garamantes, Phazanii, Gaetuli, Marmaridae, Nasamones e Musulamii. Nel 14 d.C. il fuoco della
rivolta ebbe il suo comandante in Tacfarinas, un comandante che in passato aveva imparato l’arte
della guerra militando fra gli ausiliari romani. L’elemento scatenante del conflitto fu la costruzione
di una strada militare fra Ammaedara e Tacape, provvedimento che puntava chiaramente a
controllare le tribù che popolavano la porzione meridionale della dorsale tunisina. Il conflitto
presto assunse contorni giganteschi e durò per 8 lunghi anni. Le fasi furono contraddistinte da una
parziale sconfitta di Tacfarinas il quale dopo essersi rifugiato presso i Garamanti riorganizzò il suo
esercito riprendendo il conflitto. Egli stesso raggiunto dall’incalzante azione di Publio Cornelio
Dolabella fu costretto alla resa presso Auzia preferendo il suicidio alla cattura.
Con la vittoria sui ribelli furono poste le basi per una pacifica convivenza con le popolazioni
berbere, tant’è vero che solo pochi anni dopo in Africa furono introdotti i praefecti gentis,
personalità addette alla mediazione tra governatore e tribù.20
Il dato più interessante di questo mutamento del quadro politico è testimoniato dall’ incremento in
quegli anni ancora della produzione agricola: le merci africane erano destinate a tutti i mercati
19
Beschaouch , 1994, pp. 33 ssg 20
Ibba 2012, pp. 45-47
Page 14
14
dell'impero; ruolo rilevante naturalmente aveva poi il commercio delle ferae per i ludi circenses.
Le epigrafi tacciono sull' influenza del successore di Tiberio, Caligola, sulle province africane.
Tutto ciò fu causato da una damnatio memoriae che colpì egli stesso postumo. Caligola fu
protagonista tuttavia di una serie di riforme che segnerà successivamente la vita dell’intera Africa
romana. Egli trasferì le competenze provinciali di ordine militare ad uno ei suoi legati cercando di
superare l’anomalia della Proconsolare, unica provincia con legioni a non esser gestita direttamente
dall’imperatore. Sempre con lo stesso fu soppresso il regno di Mauretania sottratto all’alleato
Tolomeo. Furono quindi create successivamente nel 43 d.C. due province marginali; la Mauretania
Tingitana e quella Caesariensis.21
Sotto il regno di Nerone in Africa furono confiscate diverse proprietà private ai danni di latifondisti
italici, queste terre divennero parte dell'immenso latifondo imperiale. Naturalmente queste scelte
politico-economiche non recarono a Nerone le simpatie dei suoi sudditi.
L'Africa in quegli anni fu governata da persone che ebbero un'importanza rilevante per la politica di
Roma.
Governatori d'Africa furono infatti Galba, Vitellio e lo stesso Vespasiano, questo ci dimostra che
per il cursus honorum romano era fondamentale e di passaggio l'amministrazione della ricca e
forida Proconsolare. In particolar modo il regno di Vespasiano si aprì per tutta l'Africa in
un'atmosfera per nulla serena.
Vitellio, che occupava il trono, aveva al fianco i veterani delle legioni della Gallia e della regione
del Reno, le migliori truppe di Roma.
Ma il favore verso Vespasiano prese rapidamente a crescere e gli eserciti di Tracia e Illirico presto
lo acclamarono, e di fatto lo fecero, padrone di metà del mondo romano.
Vespasiano avanzò verso Roma e successivamente all' uccisone di Vitellio fu proclamato imperatore.
La dinastia dei Flavi rilanciò in Africa la politica di promozione del modello urbano, già avviata da
Augusto, spostandola tuttavia per lo più in direzione della promozione delle città indigene. Il nuovo
ordine costituito risultò fondamentale poiché si superò la momentanea anarchia generata dalla fine
della dinastia Claudia.
All'epoca era venuto meno il vero e proprio movimento di colonizzazione, consistente nella
fondazione di città dipendenti direttamente da Roma ad opera di gruppi di cittadini romani, di solito
veterani che ricevevano lotti del territorio.
L'ultima vera colonia fondata, quella di Timgad, si ebbe nel 100 d.C. al momento in cui la pax
romana sembrava ormai estendersi all'intera provincia, con l'arresto delle scorrerie di tribù getule,
maure o sahariane.
21
Ibba 2012, pp. 49-52
Page 15
15
Lo statuto di colonia divenne quindi in Africa puramente onorifico, costituendo un riconoscimento
per le città che si fossero più completamente assimilate al modello romano. Per tutto l'alto impero le
città d'Africa beneficiarono di un contesto economico particolarmente florido.
La provincia continuò ad essere interessata dalle incursioni delle tribù dell'interno.
A causa di ciò fu sempre una concentrazione di popolazione estremamente mista essendo
composta da una serie di gruppi tribali rappresentati dai Berberi (Numidi, Getuli e Maurisiani),
Fenici, Romani che componevano le tre maggiori componenti etniche delle province africane di
Africa Proconsularis e Numidia.
Il progetto di Vespasiano tuttavia fu continuato dai figli Tito e Domiziano. I figli del dinasta flavio
puntarono più a consolidare il controllo delle terre ormai saldamente acquisite piuttosto che a
ampliare i possedimenti provinciali. Domiziano assegnò a schiavi o liberti imperiali l’ esazione
della Quattuor publica Africae distribuiti in 19 uffici (stationes) aiutati e controllati da
contrascriptores e militari prelevati dai vari reparti provinciali22
. Una piccola digressione può essere
fatta a proposito del tributo dovuto all’erario sopracitato, il Quattuor publica Africae. Questa
nomenclatura si ritrova in diverse iscrizione ma il suo utilizzo, il suo significato la sua stessa
riscossione risultano poco chiare. Alcuni storici dopo attenti studi hanno ipotizzato che questa serie
di parole riguarderebbe il portorium che le 4 divisioni territoriali africane versavano al fisco
romano, poiché gli interi possedimenti africani risultano divisi in 4 circoscrizioni doganali. Città
“capitali” di questi distretti fiscali risultano essere: Cartagine, Adrumento, Ippona e Leptis Magna.
La sigla Q.P.A è stata paragonata da molti ad altre tipologie d’imposta come la Sex Publicae
Siciliae, la realtà risulta ben diversa poiché la Sicilia non risulta essere divisa in 6 distretti fiscali.
Risulta ampiamente più probabile che questa sigla si riferisse a quattro differenti tipologie di
imposte pubbliche che i provinciali africani erano tenuti a versare.
Le tassazioni previste erano le seguenti:
1)Portorium
2)Vigesima Libertatis
3)Quinta et vicesima venalium mancipiorum
4) Vigesima hereditatium
Sotto Traiano è probabile che le tassazioni componenti la Q.P.A furono separate dai portoria,
tuttavia questa dislocazione dovette causare dei problemi poiché furono chiamati alla riscossione
altri funzionari e solo successivamente si decidette di tornare alle riscossioni operate da compagnie
di publicani.23
Gli uffici dei portoria risultano essere in 5 importanti porti africani: Leptis Magna,
22
Ibba 2012, pp. 58-60 23
De Laet 1949, pp. 247-254
Page 16
16
Cartagine, Utica, Rusicade e Chullu. Cartagine stessa doveva ospitare gli uffici più grandi per la
riscossione della Q.P.A., in oltre ognuno di questi centri portuali aveva pecurialità importanti per la
tipologia di commerci che esercitava (es. Rusicade centro attivissimo nel commercio di granaglie,
Chullu centro di riferimento per il commercio della porpora.). oltra ad uffici di riscossione siti in
zone costiere altri dovevano essere installati all’interno nel percorso del cursus publicus, esempi di
quanto detto ci giungono da Vaga, un sito all’interno, dove fu recuperata un’ iscrizione riferita
proprio a questa attività24
.
Questo continuo sviluppo economico-produttivo portava a continue invasioni da parte dei Berberi,
anche dopo le pacificazioni che c’erano stato verso la fine del I secolo a.C. Queste popolazioni
nomadi essendo state confinate ai margini della ricca Africa romana cercavano con insistenza di
accaparrarsi le ricchezze dei territori imperiali.
Con l’avvento dell’ ispanico Traiano, la frontiera fu spostata ancora di più a sud racchiudendo le
alture a nord delle province e i territori fertili, costruendo di fatto una linea di fortificazioni che
andava da Vescera (moderna Biskra) a Ad Majores (attuale Henchir Besseriani) nel profondo
deserto sud orientale, per meglio proteggere gli interessi dei possessores romani.
Probabilmente in seguito la linea difensiva si estendeva almeno fino a Castellum Dimmidi (moderna
Messaad), in un area che fu ampiamente sviluppata e colonizzata durante il II sec. d.C. intorno al
centro di Sitifis.
La presenza militare durante l’impero fu limitata in quest’area del nordafricana ad un totale
compreso tra le 25-30.000 truppe totali, di cui moltissimi ausiliari nelle province di Numidia e delle
due Mauretanie affiancate esclusivamente dalla Legio III Augusta che stazionò, difendendone i
confini, per più di quattro secoli e che proprio in questo arco cronologico fu spostata da Theveste a
Lambaesis. La conquista di nuove terre fertili interessò anche la Proconsolare non solo creando
nuovi fortilizi a ridosso degli chotts tripolitani ma anche e soprattutto inglobando all’interno della
provincia il massiccio dell’ Aurès. Traiano quindi funse in un certo senso da spartiacque fra due
concezioni di gestione territoriale: da un lato una concezione legata ancora al continuo afflusso di
immigrati italici e di cives romani, dall’altro le attente e doverose richieste dei cittadini africani
ormai pienamente integrati nel sistema imperiale. L’ opera traianea fu completata dal successore,
Adriano. Quest’ultimo visitò di persona ben due volte l’Africa cercando di favorire ancora di più
l’integrazione tra provinciali governo25
. Tra gli Antonini, per l’Africa, svolse un ruolo importante
colui che a Roma, come in precedenza Caligola, aveva subito la damnatio memoriae, Commodo.
Egli, tralasciando il quadro storico giunto fino a noi altamente denigratorio, elaborato dai suoi
24
De Laet, 1949 pp. 256-259 25
Ibba 2012, pp. 61-68
Page 17
17
biografi, dimostrò di essere piuttosto equilibrato e dinamico nel governo delle province soprattutto
per quel che concerne il contesto africano.
Un primo esempio di quanto precedentemente affermato ci viene direttamente dall’eccidio dei
martiri scillitani: il fatto delittuoso avvenne tra il 180-181 d.C. ma non fu l’imperatore ad emettere
la condanna bensì il governatore d’Africa P. Vigellio Saturnino, anzi Commodo stesso venuto a
sapere dell’ accaduto ebbe forti rimostranze.
Nell’ambito delle già citate lotte contro le popolazioni berbere del limes egli ebbe il gran merito
pacificare anche tramite la diplomazia, una terra flagellata da sempre da razzie barbariche, la
Mauretania.
Il consolidamento del limes ebbe due effetti principali: innanzitutto garantì la sicurezza provinciale
e in seconda battuta aprì la strada ad una graduale e pacifica avanzata verso sud, alla ricerca di
nuovi spazi agricoli.
Fece accordi diplomatici con comunità indigene, dando loro piccole concessioni e privilegi, inoltre
attuò una promozione giuridica di alcuni centri provinciali, ad esempio Thuburbo Maius fu elevata
al rango di colonia onoraria26
.
L’imperatore, in maniera lungimirante, aveva capito che per consolidare il confine bisognava
arrestare le mire espansionistiche
La Proconsolare, in particolar modo, durante il suo regno vide un grande aumento nelle produzioni.
Prova limpida ed indiscutibile di ciò viene da un passo della biografia commodiana, che riporta
l’istituzione da parte dello stesso della cosiddetta Classis Commodiana, creata per favorire il
trasporto e l’approvvigionamento granario.
Il passo risulta essere molto esplicito: “Classem africanam instituit quae subsidio esset si forte
Alexandrina frumenta cessarent”27
.
Da questa probabilissima e veritiera fonte storica si deduce che la Proconsolare, al volgere del II
secolo d.C., risulta avere un’importante propensione verso la produzione e l’esportazione
frumentaria.
Conseguenza di questa fitta rete commerciale fu la risistemazione delle vie di collegamento tra l’
Hinterland e le installazioni portuali costiere.
Il dato sulla risistemazione viaria ci viene direttamente da un miliario rinvenuto tra Cirta e il porto
di Rusicade, voluto da Commodo poiché egli era stato il restitutor viae.
Riassumendo, infine, il trattamento di riguardo da parte di Commodo verso l’Africa può essere
desunto sia dall’ istituzione della classis Africana sia dal fatto che l’Africa fu l’unica meta di
26
Gebbia 2004, pp. 1627-1635 27
HA, XVII, 7
Page 18
18
viaggio del breve regno dell’ultimo degli Antonini. Nei territori africani quindi non attecchì mai la
“damnatio memoriae” che “l’usurpatore” subì in generale nell’impero28
.
Le simpatie commodiane erano ben corrisposte dai provinciale, basta pensare che ancora nel v
secolo d.C. è ricordato in maniera piuttosto trionfalistica dal poeta cartaginese Draconzio.
Alter ait princeps modico sermone poeta
Commodus Augustus, vir pietate bonus:
“Nobile Praeceptum, rectore, discite post me:
Sit bonus in vita qui volet esse deus”29
Con l’avvento dei Severi, soprattutto con la salita al potere nel 193 d.C. di Settimio Severo, ci fu la
separazione giuridico-amministrativa della Numidia dall'Africa Proconsolare; con la decisione di
affidarla ad un procuratore imperiale, per l’ Africa si apre una nuova e ricca pagina storica.
Egli imperatore d’origine africana nato a Leptis Magna, restò sempre affezionato alla sua terra e alla
sua gente.
Durante il suo regno, innanzitutto si arrestò in un certo senso la crisi economica che attanagliava le
casse dello stato romano.
Egli “arruolò” tra i suoi più fidati collaboratori molti africani; inoltre la sua predisposizione verso
quella terra fu confermata dagli imponenti interventi edilizi che riguardarono soprattutto Leptis, la
quale divenne sotto il suo regno un grande porto sul Mar Libico.
Al suo avvento al potere Leptis stava languendo e il porto insabbiato non funzionava più.
Ora, a parte il naturale interesse che l’imperatore nutriva per la sua città natale, egli ben conosceva
l’importanza di Leptis per la navigazione nel Mediterraneo: quindi cercò di salvarla.
Fu a Settimio Severo che la città dovette il notevolissimo complesso monumentale tutto incentrato
sul progetto di un nuovo porto, importante soprattutto come primo luogo di partenza del
pregiatissimo avorio africano30
. La presenza al vertice imperiale di una famiglia africana del resto
si può considerare come il culmine dell’età dell’ oro per questa provincia. Con la fine della dinastia
Severa si iniziarono ad intravedere sintomi di un malessere socio-politico sinonimo della decadenza
tardo-imperale31
.
Tra gli altri episodi poi di rilievo nel Tardo Impero è giusto sottolineare l'ascesa al trono nel 238
d.C. del governatore d'Africa Gordiano, che sciolse temporaneamente la III Augusta.
Il vento riformista del regno di Diocleziano coinvolse pure l’ Africa romana.
28
Gebbia 2004, pp. 1636-1642 29
Drac., Satisf., 188 30
Aurigemma 1940, pp. 69 ssg. 31
Ibba 2012, pp. 75-85
Page 19
19
Fu in generale in periodo di svolta per l’impero che agonizzante ormai seppe riprendersi
decisamente grazie ad un’ oculata politica socio-economica.
La riorganizzazione statale riguardò sia il cuore pulsante dell’impero, l’Urbe, sia la cosiddetta
periferia” realizzando un nuovo regime fiscale che risollevò notevolmente le esigue casse statali32
.
Giunge ora a piena maturazione quell’opera di penetrazione e di assimilazione degli spiriti, che
Roma aveva compiuta nei secoli precedenti, poiché proprio ora, sul tramonto dell’età antica l’Africa
tutta si mostrò così pervasa di cultura e pensiero romano da dare un contributo molto efficace ad
una vera e propria romanizzazione.
Tuttavia questo forte momento di coesione per così dire “provinciale”, fu scombussolato in parte
dai movimenti dalle tribù maure che ripresero con varia intensità nei primi anni del regno
dioclezianeo.
L’ascesa al trono di quest’imperatore d’estrazione chiaramente militare, portò una consequenziale
gerarchizzazione del potere nel mondo romano.
A causa dell’ingestibilità dei domini imperiali per la continua pressione di barbari, alle frontiere i
territori sotto l’egida dell’aquila, furono divisi amministrativamente al fine di controllare meglio
risorse e uomini.
L’Africa Proconsolare fu quindi divisa in Proconsolare Zeugitana (Proconsularis Zeugitana) e
Valeria Bizacena (Valeria Byzacena), entrambe entrarono a far parte della diocesi d'Africa nella
Prefettura del pretorio d'Italia.
La suddetta diocesi africana fu affidata a Massimiano, il quale in precedenza, aveva assieme allo
stesso Diocleziano partecipato come Cesare alla diarchia instaurata nel 285 d.C. Massimiano
fronteggiò ripetute volte le incursioni oltre il limes di popolazioni berbere, arrivando solo nel 305
d.C. a sedare i tumulti che da anni ormai affligevano quelle terre.
Iniziò da quel momento in poi una nuova fase per le province d’Africa. Ci furono immissioni di
milizie barbare poichè ormai risultavano integrate alcune popolazioni da tempo insediatesi nei
confini imperiali33
. Il sogno dioclezianeo svanì presto, praticamente all’indomani del ritiro a vita
privata dell’imperatore illirico nella sua reggia di Spalato.
Nacquero, com’era facile pronosticare, forti contrasti tra le parti in campo: da un parte il
governatore della diocesi d’africa Massimiano correlato dal figlio Massenzio; dall’altra parte
Costanzo Cloro che aveva ereditato i possedimenti gallici e il figlio, Costantino.
Queste guerre di “successione” che coinvolsero naturalmente anche la ricca Africa, portarono
Costantino da li a pochi anni, ad essere l’unico e incontrastato dominatore dell’impero romano.
32
B. H. Warmington 1954, pp. 33 ssg. 33
A. Barbero 2004, pp. 169-176
Page 20
20
Costantino cercò un ulteriore rinnovamento, sulla scia dioclezianea per il vecchio apparato statale
romano.
Conseguenza di ciò fu lo spostamento della capitale, e del potere a Costantinopoli fondata sul sito
della colonia greca di Bisanzio nel 330 d.C.
Quest’evento ebbe una portata notevole all’interno degli equilibri politico-economici dell’impero.
Innanzitutto Roma non era più il vero centro egemone, di conseguenza anche i mercati romani ne
risentirono della situazione insieme ad alcune province che si appoggiavano ad essi.
La provincia d’Egitto, che dopo la battaglia di Azio del 31 a.C. era diventata esclusiva proprietà
imperiale, passò a rifornire di beni di prima necessità (soprattutto cerealia) i fora costantinopolitani.
L’Africa, che con la decentralizzazione dell’Urbe era stata a sua volta coinvolta in questo processo,
tornò a rifornire i mercati dell’antica capitale ma, a causa dello spostamento degli interessi
economici, i commerci tra Africa e Italia, seppur frequenti e floridissimi, subirono un inevitabile
declassamento.
Con il 330 si aprì un nuovo capitolo della storia africana: il volume degli scambi non diminuì ma si
assistette ad un fenomeno che, nel corso dei secoli seguenti, si configurerà come un ribaltamento
dei flussi mercantili preesistenti.
Il cambiamento consiste in pratica nella direzione delle esportazioni: ad un assetto impostato sul
diretto e centripeto rapporto tra Roma e le province si sostituisce un sistema economico-
commerciale più variegato, articolato su una multipolarità dei mercati in rapporto interdipendente
tra loro.
È il segno di una vitalità economica più volte discussa in sede storica ma confermata da un’ampia
documentazione archeologica.
Con la conquista vandala del 439 d.C. l’economia nord-africana si strutturò diversamente ma non
subì un indebolimento ampliando il raggio di esportazione delle sue produzioni.
Tuttavia è difficile rilevare un incremento o un decremento del volume commerciale basandosi
esclusivamente sulla documentazione ceramica; è invece ragionevole pensare che l’arrivo dei
Vandali non avesse provocato un totale collasso dei livelli produttivi dell’agricoltura africana la
quale, anche se innegabilmente al di sotto degli standard raggiunti nel secolo precedente, continuò
ad alimentare fino all’arrivo degli arabi i mercati maggiori e minori, del mediterraneo occidentale34
.
34
A. Carignani 1986, pp. 612-613
Page 21
21
II Cartagine tra tarda repubblica e basso impero: topografia, strutture portuali e
sistema viario.
II.1 Topografia.
Il territorio in cui è stata insediata Cartagine è caratterizzato da numerosi cambiamenti topografici,
avvenuti fino ad epoca storica a causa dei sedimenti apportati dal già menzionato Medjerda (antico
Bagradas).
Il fiume compreso fra il Jebel Nahil ed il Jebel Ahmar, dovette colmare con un cordone sabbioso un
grande golfo naturale probabilmente ad ovest della città antica chiuso dal Capo Gammart.
L’esistenza di questo tombolo sabbioso provocò la creazione di tre veri e propri laghi salati. Anche
l’oued Miliane a sud dell’antica città punica apportò sedimenti formando l’attuale lago litoraneo di
Tunisi.
La ricchezza che contraddistinse per secoli Cartagine e il suo retroterra consistette soprattutto, oltre
che per l’invidiabile posizione geografica, la natura del suolo nord-africano. Esso si presenta infatti
prevalentemente formato d’argilla ma a tessitura fine e sufficientemente porosa da trattenere acqua
durante la stagione secca. Il clima prettamente mediterraneo poi permetteva il perfetto
attecchimento di coltivazioni tipiche mediterranee: cereali (Flavio Giuseppe nel I sec. d.C. cita la
Proconsolare come provincia grande produttrice di granaglie), olio e vino35
.
Geograficamente la città antica doveva quindi apparirci come un complesso abitativo compreso tra
il golfo aperto sulla costa di Utica, a nord-ovest, il Capo Gammart, e un lago a sud-est.
La naturale posizione strategica di Cartagine era poi ulteriormente rafforzata da un’imponente
scogliera a nord-est.
Le fortificazioni puniche che cingevano la città dovevano essere piuttosto imponenti e si
sviluppavano per circa 2000 passi, come indicato dalle fonti.
La città ebbe un crescita demografica piuttosto notevole, tutto ciò determinò la nascita di nuove aree
suburbane.
35
M. De Vos 2004, pp. 12-13
Page 22
22
Esse necessitarono di essere inglobate in una seconda cerchia muraria, creando un ampio circuito
fortificato che doveva, secondo gli autori classici, seguire l’andamento della penisola quadrilatera
isolata dal mare e dallo stagnum (odierno Lac de Tunis)36
.
L’elemento cartaginese, inerente le fortificazioni, si può ben confrontare col sistema difensivo
siracusano, precisamente con le rovine delle mura del forte Eurialo databile al V sec. a.C., poiché
anche qui può essere individuato un sistema di moenia triplice. La missione tedesca guidata dal
professor Rakob nell’individuazione di una porzione di mura inerente alla città punica (VI-V secolo
a.C.) ha rilevato nella costruzione la tecnica importata dalla Grecia definita ad emplekton visibile
anche successivamente con la sovrapposizione di strutture abitative puniche più recenti37
.
In maniera più generale il dato Cartaginese nella sua interezza può essere paragonato all’intero
sistema fortificato voluto da Dionigi il vecchio per Siracusa e non solo alla porzione del castello di
Eurialo. D’altronde la somiglianza topografica tra la città della Sicilia orientale e Cartagine era data
dalla posizione geografica; in entrambi i casi infatti bisognava difendere e sbarrare il punto debole
d’accesso verso il cuore della città (per Cartagine l’istmo che collegava la penisola alla terra ferma,
mentre per Siracusa era la dorsale a schiena d’asino dell’Eurialo)38
. L’impianto topografico della
città punica, fino alla sua distruzione, prevedeva uno schema ortogonale di “insulae” contornate da
una serie di ville patrizie poste proprio in prossimità della spiaggia39
.
Il cuore della città fu posto all’interno del sistema di collinette che contraddistinguono la dorsale
immediatamente interna e parallela alla costa: la collina di Giunone, la collina dell’Odeon e la
celeberrima Byrsa, ai piedi di quest’ ultima si estende poi una breve pianura costiera40
.
È facile dedurre perché i primi tirii giunti in questa insenatura, scelsero questi suggestivi luoghi:
innanzitutto il sistema endo-lagunare garantiva sia una protezione ulteriore a livello strategico, sia
una via di comunicazione sicura e meno perigliosa sotto costa.
La posizione scelta per la fondazione della città fenicia permetteva facilmente il controllo delle rotte
mediterranee, poiché era un punto di facile approdo per merci e uomini.
Capo Bon forse identificato come l’antico Caput Bellum, dista poi circa 90 km dalla Sicilia, isola
con un’importanza storica rilevantissima abitata sia da popolazioni autoctone ma anche e
36
App., VIII, 8. L’autore latino descrive così le mura cartaginesi: “…Dalla parte del mare la cinge un muro solo, poiché
le sponde sono ripide; ma a mezzogiorno verso il continente il muro è triplice. Ognuno di questi (tre) muri larghi 30
piedi e alti 30 cubiti, oltre i merli e le torri, le quali cingono il muro, in distanza di due iugeri, l’uno dall’altra, ordinata.
ciascuno a 4 piani. Ogni muro seguendo l’altezza è distinto in due parti; ciascuna vuota all’interno si che la più bassa
tiene le stalle per 300 elefanti e le conserve dei loro viveri, mentre quella di sopra ha stalle per 4000 cavalli con
magazzini per l’orzo, per fieni e i quartieri per fanti.” 37
Rakob 1985, p. 7 ssg. 38
Pace 1931, pp. 1-4 39
Nyemer 1987, p. 8 40
G. Di Stefano 2009, p. 12
Page 23
23
soprattutto da genti venute dalla Grecia,; le quali con ingegno ed impegno avevano fondato nel
corso dei secoli, città floride e opulente. Il legame tra Cartagine e la Trinacria fu sempre molto
intrinseco, basti pensare all’importantissimo punto di passaggio marittimo che si viene a creare tra
Capo Bon e Capo Lilibeo.
Polieno(VI 16,2), a riprova di ciò, cita che tra le siculo-puniche ci fosse addirittura un sistema di
segnalazione ottica, cosa comunque alquanto improbabile visto le grandi distanze41
.
La prima fase dell’abitato è riscontrabile archeologicamente tra l’ VIII e il VI secolo a.C. ed è
documentata tramite evidenze del tofet grazie ad uno scavo condotto da un’ equipe americana, che
fissa la più antica frequentazione del sito sacrificale all’ultimo quarto dell’ VIII secolo a.C42
. La
missione tedesca guidata dal professor Rakob individua nei suoi scavi di fine anni ’80 uno dei primi
quartieri di abitazione ubicato direttamente sul litorale che avrà ampio sviluppo nei secoli successivi
collegato alle già citate mura ed ad una porta d’accesso43
. Progressivamente l’urbanizzazione vide
un determinato sviluppo ad est del colle di Byrsa fino al litorale, in contemporanea la scacchiera
urbana si sviluppa anche a nord delle necropoli creando un nuovo quartiere urbano la nèapolis. Tra
il III e il II sec. a.C., nel momento di maggiore sviluppo della città, si assiste ad un progressivo
avanzamento delle mura verso il mare con ulteriore ampliamento del quartiere connesso alla zona
litoranea ed a un generale ampliamento della pianta cittadina con la costruzione dei 4 isolati
rinvenuti a Byrsa, il cosiddetto quartiere Hannibal.
Cartagine quindi, da piccolo centro presto divenne egemone sia nel proprio sistema regionale sia e
soprattutto, tramite un potere incontrastato, sui mari.
La sconfitta subita consequenzialmente allo scontro con Roma portò la fiera nemica ad un
inevitabile quanto ovvio declino.
Il sito abbandonato fu consacrato agli dei infernali e per un periodo determinato fu lasciato alla
mercè degli agenti atmosferici.
Un primo tentativo di ricolonizzazione del sito fu fatto dal tribuno della plebe Gaio Gracco nel 122
a.C., egli alla testa di 6000 coloni tentò, a dire il vero senza fortuna, di rifondare la citta come era
stato previsto dalla lex Rubria.
Il promotore della legge fu Rubrio, un tribuno amico di Gaio, egli presentò una norma per la
colonizzazione di Cartagine, distrutta nel 146 a.C. Grandi lotti di 200 iugeri (50 ettari) potevano
soddisfare abbondantemente la richiesta di terra dei contadini, ma anche i mercanti potevano trovare
particolari facilitazioni commerciali.
41
Medas 2004, pp. 79-80 42
Acquaro 1994, p. 3 43
Rakob 1987, p. 8
Page 24
24
Secondo i progetti graccani la città doveva sorgere sulla Cartagine punica, luogo già maledetto
dopo la distruzione del 146 a.C. tutto ciò ebbe un peso notevole nell’insuccesso di Gaio Gracco.
Lo schema centuriale fu impostato a partire dalla sommità della Byrsa (151 m. sul livello del mare)
e la centuriazione della colonia graccana seguì l’andamento della conformazione del territorio su
cui si era impostata la metropoli punica.
Alcuni lotti di terreno furono assegnati, troviamo infatti numerose tracce di questa prima
parcellizzazione territoriale nel settore ovest della città. L’ordine di orientamento della colonia
graccana e della successiva colonia augustea è il medesimo, quello che cambia dal punto di vista
centuriale è l’orientamento dei cardini e dei decumani nelle due centuriazioni, in questo caso
divergente il progetto graccano tuttavia si arenò prima di cominciare.
L’ impresa fu fagocitata dal partito oligarchico senatoriale che ad arte riuscì a sfruttare motivi
religioso-politici.
L’insediamento di una vera e propria colonia, come già anticipato in precedenza avvenne solo
quando Cesare, secondo una leggenda e dopo un sogno, nel quale durante un estasi vide un esercito
in lacrime nei pressi delle rovine di Cartagine, decise di dedurre sul sito della più acerrima nemica
di Roma una nèapolis44
.
L’insediamento della colonia cesariana, documentata da diverse fonti, è controverso: secondo
Plinio il vecchio avvenne in sovrapposizione alle macerie della città punica (NH V, 24) mentre
secondo Appiano avvenne in un’area contigua in ossequio ai divieti imposti da Scipione Emiliano
(Lib., 135-136).
Probabilmente analizzando queste tesi contrapposte e grazie ad importanti dati provenienti dalla
ricerca archeologica, la deduzione cesariana e la successiva deduzione augustea, si impostarono in
parte sui quartieri della Cartagine punica e in parte su un nuovo areale non molto distante comunque
dal nucleo più antico.
La deduzione ufficiale, che veniva a coronare il sogno “mistico” di Cesare avvenne, con Ottaviano.
Debolissime infatti sono le tracce archeologiche di una occupazione pre-augustea, cioè relative al
periodo immediatamente precedente al 29 a.C. (anno di fondazione della nuova Colonia Iulia
Concordia Karthago).
Secondo le fonti la deduzione della colonia non fu immediata. Nel 29 a.C. fu inviato un primo
contingente di 3000 coloni e solo sedici anni dopo il proconsole Saturnino compirà i riti propiziatori
che consentiranno effettivamente di rioccupare il sito. Oggi grazie a diverse campagne di scavo, è
stato possibile individuare l’estensione complessiva della città.
Ad ovest, verso l’entroterra, il limite urbano in tutte le epoche era certamente coincidente con
44
App., VIII 136
Page 25
25
l’inizio della centuriazione nord e con l’allineamento delle cisterne della Malga fino al Teuerf el
Sour, una scarpata naturale con il perimetro irregolare.
Questo limite urbano era anche segnato dalle necropoli : quella di Bir el Zeitoun (età repubblicana),
quella di Bir el Jebbana (età giulio -claudia), quella “des officinales” (II sec. d.C.) e infine quella di
Teuerf el Sour (metà I sec. d.C.)45
.
Un’altra necropoli marcava poi il limite meridionale di sud-est, la cosiddetta necropoli di Salambò
(fine I sec. d.C.-inizio II sec.d.C.)46
.
I porti e la linea di costa erano poi i limiti naturali della città fino alla collina di Santa Monica a
nord-est.
Il perimetro della prima colonia verso nord doveva essere più limitato, poiché a settentrione infatti
due necropoli dovevano imitare l’impianto più antico : a sud della collina di Borj Jedid a Douimés
(metà I sec. d.C.) e sulla collina dell’ Odeon.
Per quanto riguarda la nuova fondazione augustea, invece, fu l’archeologo Charles Saumagne che
nel 1924, ipotizzò, per la città africana un’urbanistica regolare. L’ urbanistica della nuova colonia
fu frutto di una scelta strategica al fine di utilizzare determinati luoghi per le loro caratteristiche
topografiche.
Questa scelta fu probabilmente anche determinata da un preciso volere politico, oltre che da
un’evidente concezione topografica.
Forse non si voleva cancellare completamente l’acerrima rivale, ma tenerla “viva” facendo in un
certo senso rivivere il suo antico cuore amministrativo e politico. A parte primi lavori riguardanti il
foro, che iniziarono nel 29 a.C., i primi isolati furono edificati attorno la fine del I sec. a.C.
Secondo lo studioso francese, l’impianto neocostituito si andava ad impiantare sovrapponendosi
direttamente alla città punica. Egli “creò” la pianta della città basandosi su un geometrico
empirismo teorico: uno spazio quadrangolare di 1776 metri per lato diviso in 4 centurie.
Le centurie erano poi separate da due strade assiali e ortogonali, come in ogni impianto urbanistico
romano : il decumanus maximus ed il cardo maximus.
Secondo questa ricostruzione la groma era posta, come d’altronde per la colonia graccana, sulla
Byrsa la collina che domina il sito e solo le due centurie prospicenti il mare non si sarebbero
completate sul margine orientale perché seguivano l’andamento irregolare della costa.
Questo eccessivo geometrismo dell’impianto urbano coloniale nella realtà è da sfumare poiché,
analizzando la presenza delle necropoli citate precedentemente, si può chiaramente intuire che il
loro andamento irregolare non può circoscrivere una pianta perfettamente regolare, come ipotizzato
45
Carandini et alii, 1983, pp. 9-16 46
Carton 1918, pp. 140-150
Page 26
26
dal Saumagne. Il processo di formazione della città romana non riempì da subito in modo
uniforme tutte le maglie della forma urbis ne si contenne entro i limiti prefissati dalla pianificazione
urbana, fu uno sviluppo lento e graduale.
Interessante risulta quindi seguire lo sviluppo delle diverse fasi urbanistiche della città. Gli scavi
archeologici realizzati da diverse equipe internazionali (francesi, tedeschi, canadesi, inglesi e
italiani) sono per le analisi topografiche, di fondamentale importanza. Innanzitutto sono
fondamentali le verifiche delle strade principali dell’abitato: cardines e decumani misurano 24
piedi il cardo maximus misura 24 piedi mentre il decumanus maximus 48 piedi.
Il decumano massimo, l’asse portante dell’impianto urbanistico, era in realtà una strada con una
relativa pendenza (dotata di un vero e proprio marciapiede) sia per chi la percorreva dalla costa, sia
per chi proveniva dall’entroterra.
Gli agrimensores avevano ovviato al problema dello scorrimento delle acque, realizzando ai lati di
questa strada principale, delle canalette.
I tecnici che lavorarono all’impianto urbanistico della nuova fondazione augustea, dovettero
logicamente affrontare il problema della natura del terreno sul quale dovevano impostare i nuovi
fabbricati. Cartagine infatti geologicamente è contornata e si sviluppa su una serie di basse colline.
L’esperienza degli agrimensores contribuì a risolvere il problema creando un efficace sistema di
terrazzamento, per facilitare la viabilità all’interno dell’abitato stesso.
Rakob durante le sue già citate indagini, individuando tracce di alcuni edifici tardo punici, i quali
si andavano allineandosi con il cardine XVIII est, dimostrò sostanzialmente che c’era stato in parte
una sorta di continuum abitativo tra la fase punica e quella augustea.
È probabile comunque che durante la pianificazione urbanistica si lavorò contemporaneamente sia
sulla linea costiera sia sulla Byrsa che sulla collina dell' Odèon.
Il primo problema che i tecnici romani dovettero affrontare fu sicuramente quello delle riserve
idriche. Il sito era posto in una zona che causa le aride condizioni climatiche, da sempre aveva
sofferto la mancanza di riserve efficienti e costanti.
Cartagine fu dotata, in epoca medio imperiale, di un grande acquedotto che riusciva a portare in
città ed a rifornire il suo ampio retroterra portando dalla fonte, un corrispettivo notevole d’acqua.
Zaghouan era, con suo ninfeo dedicato al culto delle acque, il caput acquae cioè il punto di partenza
di questo complesso idrico.
Il sistema si sviluppava per 132 km fino al castellum aquae sito nella nuova colonia di Cartagine47
.
47
Baiocchi 2009, pag. 88 ssg.
Page 27
27
La stessa città era salita al rango di “capitale” proprio grazie alle imponenti terme di Antonino
alimentate dall’acquedotto di Zaghouan48
.
L’acquedotto era costituito da due rami principali: quello di Zaghouan e quello di Djouggar i quali
si congiungevano all’altezza di Moghrane.
Solo una piccola parte del percorso era aereo, la restante costruita al livello del suolo e una parte
sotterranea.
Ad ogni modo la data di ultimazione dell’acquedotto coinciderebbe con la realizzazione del
complesso termale cartaginese, questo conferma la teoria che considera l’acquedotto un’opera
edilizia fondamentale per l’approvvigionamento idrico della città.
La base di quest’impianto termale aveva la dimensione di un intero isolato urbano. Era il più grande
ed imponente complesso termale del Nordafrica.
Esse rientrano nel grande programma urbanistico della metropoli punica. Occupano il volume di 6
isolati fino all’estremo limes maritimus. Costruite in circa vent’anni, tra il 144 e il 167,
costituiscono all’interno della romanitas d’occidente il più grande edificio dopo le costantiniane
terme di Augusta Trevirorum (Treviri). Per le realtà provinciali, assieme ad altri edifici come teatro
e anfiteatro, le terme costituivano una sorta di status-quo per l’effettiva elevazione a rango di città
romana. La particolarità di questa splendida e grandiosa costruzione sta nell’essersi adattata
perfettamente alla conformazione geomorfologica di Cartagine, usufruendo e ottimizzandone al
massimo dei suoi spazi. Le problematiche che gli architetti romani dovettero superare furono
soprattutto quelle legate al volume di quest’edificio, il quale si andava ad impiantare quasi al livello
del mare.
Di norma gli ambienti di servizi in edifici termali venivano costruiti nei sotterranei, il caso
cartaginese ci dimostra ancora una volta, l’alto grado d’ingegneria che i tecnici romani raggiunsero.
Data l’impossibilità di costruire sottoterra (a causa della presenza del mare), l’edificio fu compreso
attorno ad un grandissimo frigidarium creando una serie di ambienti semicircolari tutti distribuiti
attorno ad esso. Il frigidarium stesso poi era contornato da palestre di forma quadrata 49
.
Lo studio dei resti di quest’ambiente ha permesso di riscrivere la storia dell’intero edificio.
Precedentemente, infatti, si pensava che la sua distruzione fosse da imputare all’assedio vandalo
operato da Genserico.
Oggi, dopo attente ricerche, si è constatato che l’edificio in realtà cadde in rovina a causa
dell’incuria e del mancato restauro che esso necessitava quotidianamente. Tutto ciò generato dal
clima di forte declino sociale che aveva investito l’intera Proconsularis e l’impero in generale tra la
48
La costruzione delle terme di Antonino fu ultimata nel 165 d.C. 49
Torelli-P. Gros, 1994
Page 28
28
fine del IV e inizi del V secolo d.C50
. Importantissime riserve idriche, oltre all’acquedotto, erano
poi per l’antica città punica le cosiddette cisterne della Malga.
Queste costruzioni avevano costituito per secoli e prima della costruzione dell’acquedotto, l’unica
riserva idrica cittadina. La documentazione storica della loro esistenza è molto antica, tant’è vero
che l’arabo Idrissi nelle sue opere narra di questo grande edificio composto da 24 serbatoi
sormontati da cupole separati ad intervalli da una serie d’aperture per il transito dell’acqua. Tissot
nel 1884 contava solamente 14 serbatoi misuranti ognuno 320x25 piedi ma allo stesso tempo rileva
la presenza di una cisterna posta trasversalmente larga 17 piedi sita oltre le altre. Nel 1964 invece a
testimonianza della difficoltà nella lettura storico-archeologica al monumento, Haus-Miedan
descrive 24 cisterne di 814 m di lunghezza e 8 di larghezza. Il Falbe ipotizza che le cisterne siano
state alimentate dall’acquedotto, Vernaz dice invece che quest’ultimo vi passasse solo accanto
Magne addirittura che per la loro consistente portata d’acqua alimentassero le altre cisterne di Borji
Jedid51
. Oggi del monumentale complesso idraulico considerato la più grande riserva d’acqua
coperta del mondo antico, rimangono 16 vasti serbatoi di forma rettangolare, messi in opera con
malta cementizia, per una capienza complessiva di 51000 mc .
L’utilizzazione delle cisterne in contesti in cui l’acqua, a causa di una relativa aridità, costituiva una
risorsa preziosissima era caratteristico in queste zone.
Per l’approvvigionamento idrico ogni fattoria disponeva di cisterne e/o serbatoi privati, mentre la
fattorie più ricche erano servite da condotte che traevano l’acqua dalle sorgenti o da torrenti, altre
invece possedevano una sorta di impluvium direttamente ricavato nella roccia.
L’approvvigionamento idrico privato vide un grande sviluppo soprattutto dal 9 a.C., in seguito alla
lex Quinctia la quale vietava il danneggiamento e la captazione illecita di acqua per uso agricolo
senza l’autorizzazione dei curatores aquarum52
.
La situazione idrica cartaginese nello specifico, è contraddistinta da aree in cui erano inglobate
queste grandi massa d’acqua ricavate fra la collinetta di Tunisi e La Marsa.
Le camere che dovevano ospitare le acque presentavano delle volte a botte realizzate in opus
caementicium; di per sè questo dato non ci permette di collocarle cronologicamente in un arco
cronologico di un preciso periodo, poiché fu una tecnica edilizia usata, a lungo ed in maniera
costante, a Cartagine per tutta l’antichità53
.
50
Lezine, G. Picard, C. Picard 1956, pp. 426-428 51
Verite 1989, pp. 41-46 52
De Vos 2004, pp. 24-25. I curatores aquarum sovrintendevano all’approvvigionamento idrico della città e
all’amministrazione della rete idrica urbana, compresi i lavori di costruzione e manutenzione degli acquedotti.
Considerate le scarse conoscenze relative alla cura aquarum in età repubblicana, è con l’età imperiale che abbiamo un
netto quadro della situazione: esistevano tre curatores di rango senatorio di cui un consularis in qualità di presidente e
due adiutores (uno dei due era almeno un praetorius) come consulenti tecnici. 53
Hurst 1993, p. 333
Page 29
29
Per quanto riguarda il problema dell’alimentazione idrica di questo sistema, recenti studio hanno
confermato che il complesso sistema della Malga fosse alimentato sia dalle acque dell’acquedotto di
Zaghouan sia dalle acque piovane, le quali venivano incamerate dalle volte e probabilmente anche
da un altro acquedotto minore, forse un secondo ramo di quello di Zaghouan.
Recenti dati archeologici e topografici hanno stabilito che la riserva idrica, posta fra il limite della
centuriazione riferita dal Saumagne per la colonia Junonia e quella attribuita per la colonia Julia,
fosse già stata inserita nell’ impianto urbanistico della colonia, poiché una città cosi grande e dotata
di imponenti infrastrutture non poteva prescindere da prevedere una grande riserva idrica ai limiti
della città stessa.
In sostanza la zona della Malga fungeva da cerniera e zona di raccordo tra campagna e centro
abitato. Il sito oltre che importante dal punto di vista funzionale era piuttosto monumentalizzato, era
diviso in due settori: il settore della grandi cisterne e quello delle piccole cisterne.
Quest’ultimo presentava, poco oltre il punto dove terminava l’acquedotto di Zaghouan, una fontana
monumentale a cascata. La fontana era impreziosita da una decorazione a mosaico molto importante,
con una commistione di elementi che richiamavano l’importanza delle acque fluviali e marine.
La fontana della Malga può essere inquadrata nella tipologia a cascata, tipologia che seppur in
minoranza è riscontrata in Nord Africa ed in Egitto. Le fontane a cascata sono modelli per così dire
ibride, poiché possono essere categorizzate a metà tra le normali fontane con specus rettangolare e i
ninfei.
La realizzazione di quest’opera avrebbe quindi una forte valenza simbolica dato che
rappresenterebbe il fluire dinamico delle acque, ricollegando il monumento direttamente alla
sorgente di Zaghouan, il punto di partenza dell’acquedotto, che grazie all’intervento di Adriano era
stato realizzato “salvando” la città per sempre dalla siccità.
Altro fattore fortemente evocativo fu quello collegato al culto di Nettuno non come dio del mare,
ma in generale come dio delle acque54
.
Quest’evidenza archeologica così sontuosa e monumentale non doveva essere fine a se stessa e ci
suggerisce l’esistenza di uno spazio antistante a carattere pubblico.
L’area che ospitava questa ricca e decorata fontana doveva essere una sorta di piccolo foro con
valore civile, tanto da equiparare l’area al foro sulla Byrsa o alle strutture dell’agostiniana Platea
maritima. Si tratterebbe di un cosiddetto campus progettato da subito anch’esso, nell’impostazione
urbanistica della città ed in previsione di un suo sviluppo verso l’area nord.
Falbe durante i suoi lavori topografici, mette in pianta proprio in questo settore un edificio su podio
54
Mosca-Di Stefano 2006, pp. 869-877. Nel Nord Africa secondo una stima in percentuale la presenza di fontane a
cascata si staglia sul 3%, il dato più basso. Il dato più alto invece è rappresentato dai ninfei presenti, secondo i dati di
ricerca, al 40%.
Page 30
30
in opera cementizia con malta idraulica all’interno, dovrebbe essere l’altro limite di demarcazione
della piazza, infatti il Wilson definisce il complesso indicandolo come “bagno” .
Lo stato odierno della situazione tuttavia non permette di fare valutazioni certe sull’intero
complesso piazza-fontana.
Il complesso idraulico delle cisterne era comunque allineato secondo l’asse della centuriazione nord,
fra il decumano I nord ed il cardine XVI ovest e fungeva anche da porta d’ingresso alla città per chi
giungeva dalla campagna55
.
Fra il muro della camera longitudinale delle cisterne e l’acquedotto esiste uno spazio ristrettissimo:
è stato verificato che il paramento del muro esterno delle cisterne è intonacato e quindi è senza
dubbio precedente all’acquedotto.
Difficile invece risulta stabilire la cronologia assoluta dell’intero complesso. Una prima ipotesi fa
risalire il tutto tra il 29 a.C. e il secondo quarto del II sec. d.C. la probabile data, quest’ultima, della
costruzione del già citato acquedotto di Zaghouan.
La presenza di questa grande riserva idrica, correlata dalle grandi cisterne della Malga, e messa
fortemente in relazione con la città e col ricco territorio, permette un’analisi istantanea del sistema
economico cartaginese vigente fin dai tempi più remoti: campi frutteti e appezzamenti a produzione
diversificata, tutto ciò costituiva un reale pericolo per Roma e per i latifondisti italici.
Con la conquista romana il quadrò non mutò, i romani impostarono il loro sistema su radici ben
salde, non dovettero, come in altri territori, costruirlo ex novo.
La ricchezza monumentale della città “nacque” per cosi dire dalla sua ricchezza territoriale, con un
grande sviluppo economico della comunità cartaginese: i nuovi conquistatori romani non fecero
altro che ampliare e potenziare le strutture.
La costruzione della maglia urbana fu comunque per un certo periodo piuttosto discontinua.
Grazie ai dati pervenutici da diverse ricerche si può affermare che questo piano urbano, con
l’inclusione a progetto del porto, dell’ anfiteatro e del teatro, si conclude attorno alla fine del I sec.
d.C. Forse una nuova fase urbanistica è attestata a Cartagine in corrispondenza di un incendio che
nel 140 d.C. distrusse parte del centro cittadino56
.
È molto probabile comunque che con l’età degli Antonini e successivamente col regno dei Severi,
soprattutto per ovvie ragioni “territoriali” con Settimio Severo, si avviò un notevole processo di
crescita urbana.
Nella zona dei porti vengono sistemate le insule nord e viene trasformato il porto stesso, a nord-
ovest il limite urbano è invece attestato lungo il perimetro del già citato Teuerf el Sour, dove la
55
Rakob 1995, pp. 416-420. Fornisce una dettagliata suddivisone di Cartagine in cardini e decumani. 56
Ha., IX 4
Page 31
31
necropoli ormai svolge la funzione di perimetro in questa zona della colonia augustea.
Come ogni colonia romana che si rispetti la città, nel suo grande programma urbanistico, venne
dotata di edifici per spettacolo.
Questi edifici erano una sorta di status symbol per il raggiungimento di una romanizzazione
completa.
Programmati fin dalla nascita della deduzione coloniale, queste costruzioni furono poste secondo
uno schema ben preciso, seguendo dettagliatamente i canoni planimetrici romani: marginalmente al
centro abitato e con una relativa distanza l’uno dall’altro, inseriti nel tessuto organico come
“elementi modulari”57
.
Il teatro fu realizzato alle pendici meridionali della cosiddetta collina dell’Odèon, sull’asse
incrociante tra cardo V est e decumani IV e V nord, sfruttando la natura geomorfologica del terreno.
L’orientamento dell’opera era in direzione sud/est con diametro di cavea misurante 104 m. Si stima
che l’edificio potesse contenere e fosse stato progettato per circa 11.300 spettatori. La cavea
presentava 43 ordini di gradini ed era divisa in 6 cunei da 5 gradinate con 3 corridoi anulari.
Una porticus completava la summa cavea, non poggiante però direttamente sulla roccia, ma su
contrafforti artificiali. Questo espediente era stato realizzato poiché il fianco della collina era stato
“scavato” da secolari tombe ipogeiche. Il pulpitum aveva nicchie di forma semicircolare, una di
esse era rettangolare, con 2 scalette poste all’estremità.
La frons scenae era rientrante, con grandi nicchie, precedute da un basso podio su cui poggiava il
colonnato.
Esattamente in questo punto, durante delle operazioni di scavo, venne alla luce l’imponente statua
di Apollo citaredo, correlato da una serie di altre sculture minori.
Queste evidenze archeologiche portano a ipotizzare la presenza di un luogo riccamente decorato.
Verosimilmente si può datare la realizzazione dell’opera al 110-160 d.C. con modifiche e successive
monumentalizzazioni datate all’epoca severiana.
La “casa” dei munera et venationes era invece uno dei luoghi della romanità per eccellenza;
l’amphiteatrum. Esso giaceva tra il cardo XVIII e XX ovest immediatamente a sud del decumano
massimo. In questo caso verosimilmente, la datazione risale all’epoca augustea o al più alla dinastia
giulio-claudia.
Markers diagnostico in questo senso risulta essere la tecnica costruttiva, un opus reticulatum, chiaro
segno di cronologia non posteriore al I sec. d.C.
L’edificio aveva dimensioni allungate, con arena misurante tra i 64,66 x 36,70 m., con dimensioni
standard seguito dagli artifices romani, costituito dal riempimento artificiale con compartimento a
57
Torelli 1990, pp.53-55
Page 32
32
cassoni e andamento radiale. Presentava un unico ambulacro corrente alle spalle del podio,
quest’ultimo alto 2,5 m.
La facciata esterna, riccamente decorata, era ricoperta da marmi provenienti dal vicino Caput
Bellum (moderno Capo Bon)58
. Le uniche aperture erano costituite dai 4 ingressi che immettevano
direttamente sull’arena.
Consequenzialmente allo ius italicum, concesso da Settimio Severo durante il suo viaggio in Africa
(202-203 d.C.), Cartagine, in quella occasione diventata municipium, offrì alla gloria
dell’imperatore africano, come del resto altre città africane che avevano ricevuto lo stesso privilegio,
dei ludi.
A questo grande edificio, in conseguenza a ciò, sono legati questi ludi “severiani”, durante i quali
furono espletate le famose persecuzioni volute dall’imperatore africano ai danni di cristiani, che
non avevano voluto abiurare la loro fede.
L’ anfiteatro di Cartagine, risulta essere dopo l’anfiteatro Flavio e quello capuano il più grande del
mondo romano, tanto grande da occupare lo spazio di 4 insule.
Tornando ad analizzare la situazione topografica della colonia bisogna soffermarsi naturalmente su
gli interventi che riguardarono l’area più rappresentativa, il foro sulla sommità della Byrsa59
.
Proprio il foro merita un’attenzione particolare. Esso in quanto centro del potere doveva
rappresentare in tutto e per tutto l’anima viva di questa importante colonia affacciata sul canale di
Sicilia.
La Byrsa, collina di circa 56 metri, presenta già nella sua toponomastica indicazioni ben precise. Il
termine deriva dall’ibero-punico Byrsa cioè “pelle di bue”, guardando la conformazione di essa da
piante topografiche, possiamo ben vedere la conferma idiomatica di quanto detto.
Fu scelta perché il luogo, presentante una perfetta spianata, poteva essere adibita all’”uso” politico
ed amministrativo.
Il progetto augusteo prevedette di creare su quest’importante colle, una piattaforma artificiale creata
con lo spianamento della sommità e il riempimento delle pendici, secondo un preciso programma
urbanistico ben definito.
La colmata artificiale era trattenuta lungo le pendici sud-est da imponenti absidi in opus reticulatum.
Esse svolgevano l’importante ruolo di contrafforti a tutto il sistema edilizio. Per drenare
perfettamente il terreno, furono utilizzate delle anfore, circa seimila rinvenute durante lo scavo del
Delatre nel 1983.
La permanenza dei bolli su alcune di esse ci fa risalire con certezza alla data di compimento di
58
Mezzolani 2008, pp. 8-26 59
Gros 1990, pp.546-573
Page 33
33
questi lavori; l’opera si può datare bene al 15 a.C.. E’ da sottolineare il fatto che l’imponente
operazione andò ad “affondare” le proprie fondazioni sui resti degli antichi quartieri cartaginesi.
Probabilmente tra i fattori che influenzarono questa scelta, non è da trascurare un messaggio
propagandistico di Augusto, che con questa operazione volle ideologicamente collegarsi al passato
della città.
Quest’area urbanistica era, al di fuori dell’Urbe, la più vasta di tutto l’impero: alla terrazza
probabilmente si accedeva tramite il cardo massimo o tramite ipotetiche rampe laterali.
L’area fu soggetta tra il regno di Adriano e Antonino Pio a quei grandi spianamenti previsti dal
progetto augusteo. Fu costruita una gigantesca piattaforma adatta ad ospitare il foro e i grandi
edifici civili e religiosi, di questi monumenti oggi non restano solo in parte gli alzati di massicci
muri.
L’area fu divisa in tre settori: amministrativo, politico e religioso. Il settore più esteso doveva
essere propriamente quello del foro. L’identificazione esatta della più importante piazza cittadina si
deve all’ equipe francese guidata da Pierre Gròs coadiuvato da J. Deneuve; esso ospitava anche
un’imponente basilica giudiziaria sul margine orientale, costruita all’epoca degli Antonini. La
grande basilica civile lunga 83 metri e larga 43 era costituita da tre navate scandite da due file
parallele di 18 colonne. Tali dimensioni permettono di classificarla come una delle più imponenti e
grandi del mondo romano60
. All’estremità occidentale del foro invece in contrapposizione alla
basilica dovevano essere posti curia e capitolium. Quest’ultimo edificio, oggi giacente sotto la
cattedrale di San Luigi, era accessibile da occidente e dalla sua posizione, molto probabilmente, si
poteva arrivare con rampe laterali alla sommità della terrazza.
Accanto al capitolium in direzione sud, era posta la curia ed in posizione mediana rispetto queste
grandi strutture doveva trovar posto un grande fornice con funzione separatrice tra l’area sacra e
quella politico-amministrativa. Verso sud troviamo il secondo settore in cui era stata suddivisa per
così dire l’odierna collina di San Luigi.
Questo spazio di poco più piccolo rispetto al precedente, e anch’esso completato da portici a doppie
navate, doveva ospitare, probabilmente, o il Tabularium o una grande biblioteca. Anche questa
seconda area doveva avere un tempio dedicato forse al culto dinastico (Augusteum). La presenza
dell’augusteum è molto importante per Cartagine, poiché permette di capire il forte legame che
univa la nuova fondazione romana con la famiglia del princeps. La terza area infine fu realizzata
all’estremità meridionale della terrazza artificiale, qui proprio lungo il decumanus I sud fu
realizzato un grande tempio, con la facciata rivolta verso oriente.
La descrizione dettagliata del cuore della colonia romana di Cartagine certamente ci fa pensare ad
60
Ennabli 1994, pp. 4-5
Page 34
34
un insieme monumentale imponente, che, già all’inizio del II sec. d.C., fu un area politico-religiosa
degna di una grande capitale, in cui ritrovare tutti i simboli ideologici di Roma e del processo di
romanizzazione che andava sempre più ad investire i suoi territori.
Analizzando in una breve appendice, il rapporto colonia-territorium è possibile comprendere
questo dato dalle referenze di scavo della centuria A posta a nord della Byrsa.
La missione che operò in questo settore della città africana fu svolta da archeologi italiani negli anni
compresi tra il 1973-1977. Mentre altre missioni si erano occupate di zone più centrali (es.
americana e inglese nella zona porto), gli archeologi italiani decisero di studiare i tempi e i modi
dell’urbanizzazione di Cartagine nella zona interna, seguendo il limes fortificato e studiando il
rapporto tra impianto urbano e contesto rurale. Furono effettuati due tagli, il taglio A e il taglio B
proprio nella zona in cui Saumagne aveva ubicato un settore privo di abitazioni.
Furono riconosciute le cisterne della Malga come limite urbano (come già evidenziato
precedentemente), si vide chiaramente che questa zona seguiva l’andamento della centuriazione
rurale piuttosto che il nuovo andamento della centuriazione augustea.
Tutto ciò fu confermato nel taglio B dalla presenza di un settore delle mura teodosiane (fine V sec.
d.C.) che verosimilmente ricalcano il limite urbano della colonia, nel periodo di massima
espansione61
. In conclusione, possiamo ben dire che la riconoscenza imperiale verso quella che un
tempo era stata una fiera nemica di Roma fu grande: Antonino Pio, oltre a costruire le sue famose
terme, operò in maniera sicuramente più vasta come testimoniato da evidenze epigrafiche; Marco
Aurelio la incluse tra le sue città “preferite” ed è molto probabile che i lavori edilizi continuarono
anche durante il suo regno.
Agli inizi del III secolo d.C. è attestata la crescita massima dell’abitato, fino all’estremità
settentrionale. Oltre ai lavori di monumentalizzazione delle terme, furono realizzati l’Odèon, un
tempio a Borj Jedid, una piazza nel quartiere di Magone, forse l’agostiniana platea maritima, e i già
citati nuovi edifici nei pressi del foro (basilica giudiziaria, tempio, arco ecc.).
La città, quindi, durante l’epoca medio e basso imperiale, visse un periodo florido anche dal punto
di vista edilizio, che sfociò nella tarda antichità col fasto testimoniato anche dagli scritti di
Sant’Agostino.
Cartagine, fino alla sua caduta sotto i colpi di Genserico, sarà una delle città più importanti
dell’impero e potrà essere considerata a buon diritto una delle capitali tardo-antiche.
61
Carandini 1983, pp. 50-58
Page 35
35
II.1.1 Il sistema portuale-commerciale di Cartagine
I dati ricavati da indagini archeologiche, ormai realizzate da anni sul suolo cartaginese, hanno
permesso, dopo varie ricerche, di individuare con relativa certezze le aree del commercio e della
produzione.
Bisogna fare in origine però una breve introduzione sulla situazione presente oggi sul litorale che
bagna le rovine della città punica: la costa, infatti, presenta un profondo insabbiamento
nell’insenatura orientata secondo Est-Nord.
L’azione delle acque marine con relativa erosione si è fatta notevole nei settori paralleli alla costa,
infatti essa risulta arretrata di parecchio rispetto all’epoca romana. Le ricognizioni ripetute sul lido
cartaginese, hanno reso dati importantissimi, con la relativa conseguenza della ricostruzione della
costa in antico62
. Ricognendo le aree litoranee contornanti l’area dei porti punici e del cosiddetto
quadrilatero di Falbe, sono stati notati, durante le ricerche italo-tunisine avvenute tra il 2003-2005,
diverse tipologie di materiali da costruzione, ma il litotipo maggiormente presente è sicuramente il
grès di El Hanouria.
Questa tipologia litica era estratta a poca distanza da Cartagine, nelle vicinanze di Capo Bon e non è
altro che un’arenaria piuttosto tenera e sfaldabile, ampiamente utilizzata durante l’epoca punica,
resistente agli agenti atmosferici solo se rivestita da uno strato di stucco. Le tracce di stucco in
alcuni blocchi sono presenti e sicuramente ci rimandano all’immagine che il navigante aveva
avvistando Cartagine dal mare: un’immensa distesa bianca, effetto non dato dal marmo ma dallo
stucco sull’arenaria locale63
.
La posizione dei porti della città punica è stata sicuramente influenzata dalle dinamiche costiere e
da sempre ha costituito un elemento di forte diatriba tra gli archeologi che hanno lavorato a
Cartagine, fin dalle prime ispezioni ottocentesche.
La geomorfologia del sito cartaginese ci permette, già dopo una breve e attenta visione di insieme,
di capire certi aspetti che hanno caratterizzato la vita, lo sviluppo e il degrado dei porti della città di
Annibale. Lo spunto principale, che ha costituito un punto di inizio nella ricerca arriva dalle fonti
classiche. Polibio e Appiano infatti nei loro scritti trattano anche della situazione topografica della
città punica, evidenze che in parte possono essere rintracciate sul campo.
62
Panero, 2008 p. 69 63
Panero, 2008 pp. 83-86
Page 36
36
Il primo studioso che tentò di dare una collocazione geografica e fisica al sistema portuale punico fu
lo Shaw.
Egli collocò la città a nord, con i porti sboccanti sulla secca di Er Riana, ancora mare aperto ai
tempi di Polibio. Questa prima tesi, seppur pionieristica, andò presto a cadere poiché si constatò fin
da subito che nel settore meridionale di questa zona i terreni sono bassissimi, quasi a livello del
mare, pertanto è impossibile che le ipotetiche strutture non abbiano lasciato traccia.
Le fonti scritte d’altronde confermano la non autenticità del dato, poiché parlando della presa di
Cartagine, sia Polibio che Appiano narrano che Scipione Emiliano prese d’assalto una porzione del
muro che sbarrava l’istmo, dietro questo muro però non stava la città, ma le ville suburbane del
quartiere di Magone poste proprio tra la Byrsa e i porti.
Analizzando poi attentamente le due lagune, una di forma pseudo-rettangolare e l’altra di forma
circolare, comparandole con le fonti e i dati di scavo si è riusciti a risalire all’effettiva collocazione
dei porti tardo-punici64
.
Proprio per la sua posizione naturale, la città poteva essere fornita da più attracchi, come ricorda
Cicerone, l’autore latino la definisce infatti succinta portibus65
.
L’odierno Lago di Tunisi in età imperiale doveva essere una zona paludosa, una sorta di grande
stagno, privo di attrezzature significative. La zona privilegiata alle attività commerciali e portuali
era, ereditata a suo tempo dall’insediamento punico, quella “dei due porti”. Le indagini effettuate in
questo settore da equipes anglo-americane hanno rivelato che Cartagine almeno per tutto il V
secolo e parte del IV sec. a.C. non avesse strutture portuali paragonabili alla Cartagine “classica.”
Già dalla metà del IV sec. a.C. però in questa zona era presente un canale naturale d’acqua salata
poco profondo.
La presenza fortuita di questo canale naturale, parallelo alla costa, fu certamente il primo e più
antico ancoraggio della città punica66
.
Questo “primitivo” porto-canale doveva avere sicuramente un collegamento intrinseco col mare.
Questo dato è confermato dalla presenza di evidenze faunistiche (molluschi) collegate
all’ecosistema marino.
Il canale scavato dalla prima missione dell’equipe britannica diretta da Henry Hurst nel 1978, ha
restituito diversi gruppi ceramici risalenti cronologicamente proprio alla seconda metà del IV secolo
a.C., confermando il dato storico del primo approdo della Cartagine punica67
. Nei pressi del
64
Pinza 1924, pp. 81-88 65
Cic., leg agr. 2,87 66
Lancel 1992, pp. 207-211 67
Hurst 1994, pp. 41-45
Page 37
37
“classico” porto rettangolare la missione americana dell’ University of Chicago ha scavato una
trincea a poca distanza dal mare sulla Rue des Suffettes.
Come i colleghi inglesi anche gli archeologi americani si imbatterono in resti punici, interessante
poi risulta la presenza sempre in questo comparto di un’ area destinata alla produzione della
ceramica (III secolo a.C.). Dietro questo settore risulta essere costruita una strada allineata proprio
ai livelli portuali dotata di cloache per lo scolo di acque reflue ed un canale che doveva portare
invece acqua pulita68
.
L’antico sistema portuale della megalopoli punica fu ripristinato in tutto e per tutto nel 15 d.C.,
esso continuò ad essere funzionale e acquistò sempre più importanza allorquando sotto il breve
regno di Commodo, attorno al 186 a.C., vi fu installata la cosiddetta Classis Commodiana69
.
La zona, o per meglio dire le zone portuali, oggi sono rintracciabili per l’esistenza ben visibile di
due lagune che occupano l’area degli antichi porti romani.
Le prime ricerche sistematiche su quest’area furono effettuate dal capitano Falbe. Egli rilevò
l’anomalia di queste due lagune, e grazie a studi d’erudizione riuscì a riconoscerle, seppur con limiti,
con l’antico bacino portuale punico e successivamente romano.
Analizzando una cartina apparsa nel 1830 relativa proprio agli studi del Falbe possiamo ben notare
che la linea di costa è molto vicina alle lagune sopracitate.
La situazione muta già abbastanza drasticamente a distanza di un trentennio. In una pianta del 1868,
realizzata dall’ingegnere Caillat si vede chiaramente che la linea di costa risulta piuttosto avanzata
rispetto al profilo di un trentennio precedente. Naturalmente, causa principale di ciò è anche
l’avanzata dei terreni coltivati e la bonifica di alcune parti del sito.
Per quanto riguarda la documentazione storica, importanti risultano sia gli scritti di Polibio, il quale
descrive come già anticipato, la presa di Cartagine e con essa del porto (in realtà fu proprio la presa
del porto che determinò la caduta della città nordafricana); altri spunti salienti ci giungono dalle
descrizioni di Appiano, che descrive due veri e propri bacini portuali con annesse strutture
commerciali.
La descrizione di Appiano e quella di Polibio trovano delle discordanze tecniche. Il primo infatti
parla di due porti comunicanti ma distinti e separati, l’autore greco invece parla di un insieme unico,
definendolo nella terminologia marinaresca latina, portus, da paragonare se vogliamo al sistema
portuale di Ostia70
. Precedentemente la conquista romana i bacini portuali avevano una superficie di
circa 7 ettari. Probabilmente verso la metà del IV secolo furono effettuati tagli e colmate.
68
Ellis 1987, pp. 11-12 69
De Salvo 1992, pp.14-15. Viene ipotizzata l’esistenza di una flotta che doveva essere composta in gran parte da
navicularii private, arruolati per far fronte ad un’emergenza. Contestualmente è anche congetturato un intervento di
Commodo in favore dell’agricoltura. 70
Cintas 1973, pp. 9 ssg.
Page 38
38
Durante la tarda epoca punica il Kothon, cosi è definito tecnicamente questa tipologia portuale
d’origine fenicia, era un bacino circolare con un’isola centrale71
.
Sia nell’isola che lungo la perimetrale terraferma erano presenti delle cale per il carenaggio delle
imbarcazioni: circa 30 hangar forse per 60 navi.
Il porto punico era preceduto, come del resto sarà poi nella conformazione romana, da un bacino di
forma rettangolare con funzione di avamporto.
Dopo la conquista viene mantenuta la forma rettangolare del primo bacino e forse solo in età
Antonina viene modificato il perimetro del primo bacino, che assume una forma esagonale72
.
Probabilmente la modifica avvenne tagliando i 4 angoli del bacino per motivi esclusivamente di
funzionalità. Attorno al porto in età romana furono costruiti vari edifici: magazzini, strutture
commerciali e luoghi di culto. Esisteva un tempio dedicato alla dea Caelestis, edificato all’epoca di
Marco Aurelio, e un complesso dedicato invece a Saturno, con relativa corte centrale ed un’area
riservata al culto con vere e proprie cellette.
Più a sud esisteva un altro complesso sacro, consacrato a Venere, dove forse si praticava la
prostituzione sacra. La “bocca” del porto non doveva essere molto larga, circa 20-25 metri, e
doveva essere chiusa da imponenti catene.
La celeberrima isoletta, sita all’interno del porto circolare, detta “dell’Ammiraglio”, dove in epoca
punica esistevano delle cale per il carenaggio delle imbarcazioni, fu completamente ristrutturata in
epoca romana in conseguenza anche degli ingenti danni che essa aveva subito durante l’assedio di
Cartagine della metà del II secolo a.C.
Fu ripensata la sua sistemazione e il suo ruolo topografico: fu rifatto il ponte di collegamento con la
terraferma; fu dragato il porto già durante l’età augustea, fu eretto un’arco nel punto di
collegamento tra il ponte e l’isola con un’iscrizione dedicata a Commodo; fu costruita poi
all’interno dell’isola una banchina con un colonnato ionico dotato di 50 colonne.
Inoltre in un secondo tempo fu aggiunta una seconda galleria colonnata nella parte più interna e fu
lastricato il piano di campagna originario dell’isola che si presentò da quel dato momento, come un
grande piazza.
Al centro dell’isola poi furono costruiti due grandi edifici: un tempio su alto podio di metri 7 x 14
con annesse gradinate centrali, realizzato in stile corinzio con pronao a 4 colonne ed infine una
tholos su podio a pianta ottagonale con un peristilio formato da 8 colonne corinzie.
71
Kothon è un termine fenicio per indicare un bacino idrico utilizzato all'interno dei porti fenici ( es. Kothon di Utica), si
crede sia stato un luogo di ricovero per le navi da riparare, oppure un bacino artificiale legato anche a culti locali. 72
Ben Abdallah-Ben Hassen 1991, pag. 6
Page 39
39
L’ isola divenne in pratica un vero e proprio foro commerciale. A tal proposito è necessario
menzionare un ritrovamento di un reperto effettuato durante la campagna di scavo 1909-1913.
Furono ritrovate, durante l’escavazione dell’isolotto, 24 ostraka iscritti e uno di essi riportava
un’iscrizione riferita ad un “Mensor olei in foro Karthag”, un tale Felix databile al 373 d.C. La
suddetta iscrizione ha dato ulteriori delucidazioni sull’uso che se ne faceva di questa costruzione.
Il complesso architettonico infatti con molta probabilità doveva svolgere il ruolo di foro “annonario”
per il controllo e lo smistamento delle derrate che arrivavano o partivano da Cartagine73
.
Le ricerche effettuate dalle varie missioni archeologiche che si sono succedute sul sito africano,
hanno dato importanti delucidazioni sulla sistemazione topografica del sistema portuale.
Lo scavo inglese, seppur inquadrato all’interno di una minuta porzione, ha permesso di chiarire il
quadro complessivo dello sviluppo edilizio portuale dall’epoca punica fino al tardo-antico inoltrato
(VI-VII secolo d.C.). I settori indagati dalla scavo della missione inglese sono quelli tra la Rue de
l’Amirautè e la Rue Taieb Mehiri, siti a nord del porto circolare.
In epoca romana la zona era segnata dal passaggio del cardo XIV e cardo XV est, un area già in
parte indagata dal Beulè (1861) e dal Saumagne (1931). Lo scavo sistematico dell’equipe inglese ha
permesso di ricostruire la storia di questo settore anche grazie alla grande quantità di elementi
ceramici presenti nei vari livelli stratigrafici. Lo scavo ha confermato, anche in questa porzione del
kothon, la presenza in epoca punica di shipsheds74
, ed il riutilizzo in epoca romana, dopo vari
interventi edilizi, come locali adibiti ad altri usi sempre ricollegati all’attività portuale.
Nei primi livelli stratigrafici d’epoca romana, si vedono chiaramente le spoliazioni che subì la zona
dalla caduta di Cartagine fino a quasi la fine del I sec. a.C. Durante la fase di dragaggio del porto
circolare furono rinvenuti tra i sedimenti argillosi diversi frammenti ceramici. L’interesse verso
questo recupero permette di capire, tramite un attento studio, che per la maggior parte i reperti
derivavano da contesti artigianali tunisini75
.
Databile alla prima fase romana, rinvenuto sempre dall’equipe inglese nel settore nord-est del
porto circolare, è un edificio realizzato tra l’ultima quarto del I sec. a.C.
Esso subì poi una ristrutturazione dopo il 15 a.C. Doveva essere la sede di un’associazione di
artigiani o in alternativa una stanza per operai dediti alla lavorazione di tessuti.
Dalla fondazione della colonia augustea fino a praticamente la presa vandala, il settore analizzato
dal Professor Hurst è occupato da singole stanze di maggiore o minore grandezza, prospicenti
direttamente il molo del porto circolare. Il momento di maggior splendore edilizio, per questa
porzione scavata, si ha tra il II-III sec. d.C., durante questo periodo infatti vengono documentate una
73
Hurst 1994, pp. 110-111 74
Con il termine shipsheds si indicano in anglosassone, i luoghi di rimessaggio delle imbarcazioni. 75
Hurst 1990, pp. 24-28
Page 40
40
miriade di strutture atte a molteplici usi. Molte attività artigianali quindi vennero a concentrarsi
nella zona immediatamente retrostante il porto circolare, soprattutto dal medio impero in avanti.
Tintorie, attività metallurgiche, salagione del pesce, attività legate alla produzione di ceramica,
officine per la lavorazione delle ossa e per il vetro con particolare attenzione in quest’ ultimo caso
per la produzione del cosiddetto blu egiziano.
Il porto rappresentava un gigantesco luogo di import-export per merci idee e uomini76
.
Ricapitolando, durante la campagna di scavo, lungo il perimetro della terraferma che chiude a nord
l’isola dell’Ammiraglio sono stati scoperti vari edifici che si sono succeduti continuamente dall’età
punica al II sec. d.C.: altre tracce di hangar, databili fra il 25 e il 200 d.C., una tintoria e forse un
gineceo. Nel 200 d.C. fu poi costruito un grande edificio con un colonnato rivolto verso il porto77
.
Le cale di carenaggio erano presenti lungo il perimetro dell’isola, ma anche sulla terraferma che
cingeva l’isolotto dell’Ammiragliato: la ricerca dell’Hurst ha permesso di individuare i veri e propri
ingressi agli hangar, essi si è appurato, erano delimitati da due colonne ioniche, tesi confermata dal
ritrovamento di una base ionica in grès ritrovata sul lato a mare del bacino circolare78
.
Il sistema portuale doppio cartaginese prevedeva ovviamente una serie di locali adibiti a magazzini
per l’approvvigionamento di beni di prima necessità, d’altra parte il retroterra cartaginese era
estremamente produttivo e il surplus agricolo prodotto, doveva avere una collocazione temporanea
in attesa di essere trasferito sui mercati dell’impero.
Tra il II e III secolo d.C., nell’area del porto commerciale sul lato a fronte porto, vennero realizzate
strutture con portici a due piani con alla base cisterne.
Queste strutture sono state interpretate come horrea79
. L’organizzazione degli horrea e la loro
disposizione sembra essere continuata almeno fino all’età vandalica; poiché Procopio stesso
descrive le rimostranze dei mercanti cartaginesi, i quali si erano visti saccheggiare letteralmente le
loro merci dai magazzini presso il porto dagli stessi soldati bizantini, dopo la conquista del generale
costantinopolitano.
Essi probabilmente si erano distaccati dall’esercito stanziato forse presso il Lago di Tunisi, e
nottetempo erano entrati nel mandracium, il bacino commerciale chiuso da catene80
.
Proprio il mandracium, il porto rettangolare, sviluppa in epoca imperiale una fortissima
connotazione commerciale.
76
Hurst 1994, pp. 92-108 77
Di Stefano 2004 pp. 31-34 78
Panero 2008, pp.74-77 79
Hurst 1994, pp.79-94, in part. p. 88 H. R. Hurst, Excavations at Carthage. The British Mission, II I, the Circular
Harbour, North Side. The Site and Finds Other than Pottery. Numerosi però rimangono i problemi interpretativi.
80
Proc., III, 20.
Page 41
41
Nel settore meridionale del tophet, la celebre necropoli infantile punica, poi doveva trovarsi un
officina di ceramisti poiché i mosaici rinvenuti durante gli scavi della “casa delle stagioni”
coprivano un deposito di lucerne prodotte probabilmente da un’officina individuata ad ovest nelle
vicinanze del complesso residenziale.
Le missioni tedesche prima, e successivamente la più recente missione italo-tunisina (2003-2005),
hanno individuato poi, nel tratto di costa compreso tra Bordj el Diedid e il cosiddetto Quadrilatero
di Falbe antistante al complesso di insule del quartiere di Magone, un articolato sistema di banchine,
cisterne e vasche adibite presumibilmente alla lavorazione del pescato.
Degne di nota, sono una serie di strutture murarie situate a sud-est del quartiere di Magone e
parzialmente sommerse dal mare. Esse definiscono piccoli ambienti di forma rettangolare simili e
comunicanti, probabilmente vasche per la lavorazione del pesce.
Spostandoci ad est tra i cardines XII e XIII si trovava un grande edificio probabilmente a
connotazione commerciale, avente lacerti di pavimentazione in cementizio e frammenti di pittura
parietale di III stile nel secondo piano, è stato interpretato come macellum. Ad est di questo edificio
lungo il cardo XIII, si aprivano una serie di tabernae seminterrate accessibili dalla strada81
.
Fra il sopracitato foro commerciale e la Byrsa doveva trovarsi il vicus argentariorum, quartiere
monumentale sorto in una zona centrale della colonia di Cartagine; era una sorta di via di
collegamento tra la città alta e quella bassa compreso il relativo porto. Quest’ultima si è concentrata
sulle strutture del porto circolare individuandone settori prima non conosciuti.
In generale è possibile affermare, dopo le varie missioni di scavo, che l’impianto del porto
risistemato e ristrutturato in epoca romana ebbe un impatto topografico molto importante per
l’urbanistica cartaginese, divenendo, senza alcuna ombra di dubbio, il motore principale dello
sviluppo economico della colonia africana.
Proprio infatti col potenziamento delle strutture portuali che Cartagine divenne una delle città più
importanti dell’impero, connessa totalmente col ramificato, ma ordinato, sistema socio-economico
romano.
81
Rakob 1989, pp. 155-194
Page 42
42
II.1.2 Le romanae viae e le strutture produttivo-commerciali dell’Ager
Carthaginiensis
La produzione di olio vino e cereali gioca, come ben sappiamo da dati storici ed archeologici un
ruolo fondamentale nell’economia dell’Africa proconsolare.
Limitandoci all’analisi di siti sulle coste dell’odierna Tunisia, osserviamo innanzitutto una serie di
problematiche di natura geomorfologica.
Questa regione infatti con i suoi 3000 km di coste presenta una serie di golfi, anfratti, insenature
con annesse penisole e lagune soggette ad una relativa subsidenza.
A tutto ciò va aggiunto anche il fenomeno dell’erosione marina e di contro avanzamento della
linea di costa causato da detriti trasportati da fiumi come l’antico Bagradas. Tutto ciò rende
l’identificazione con il relativo studio dei siti piuttosto difficoltosa.
Importante era, per la vitalità economica di questa terra, la produzione commerciale legata alla
lavorazione ittica: garum o liquamen e salsamenta vari erano prodotti che partivano giornalmente
dai porti della moderna Tunisia82
.
Trait d’union tra queste strutture costiere e l’interno produttivo, furono sicuramente le vie litoranee.
Esse giocarono un ruolo fondamentale per la commercializzazione dei prodotti alla costa
all’entroterra e viceversa.
Sicuramente i romani al loro arrivo ereditarono tratti viari dell’antica viabilità punica, ma la
trasformazione delle direttrici di traffico in vere e proprie romanae viae avvenne solamente a
partire dal regno di Augusto.
La prima fu forse la via costiera che congiungeva la neapòlis cartaginese ad Hadrumentum, il
principale porto punico della zona che in epoca dioclezianea sarà rinominata Byzacena. Il dato
archeologico da integrarsi con quello storico lo si ricava da un miliario ritrovato a Kroussia.
Il cippo miliario di forma ogivale non fu trovato in situ ma si tratta di un reperto lì trasportato.
Riporta il nome del proconsole Africano Fabio Massimo ed è databile al 5-6 sec. a.C. Intersecato
perfettamente nella trattazione economico produttiva collegata alla viabilità, è poi la più grande
infrastruttura mai realizzata nella Proconsolare, il viadotto delle Kerkenna83
.
Queste isole poste a poche miglia dalla costa meridionale della Tunisia, avevano un’ importanza
strategica notevole. Esse infatti, avevano un ruolo notevole come punto di raccolta e di imbarco del
grano.
82
Plin. XXXI , 93; Colum., XI 14, 3. Il garum o liquamen era una salsa ottenuta dalla lavorazione delle interiora del
pesce azzurro, del quale il Mediterraneo ne è stato sempre ricco. La produzione più apprezzata veniva dalla Betica e
dalla Lusitania. 83
Plin. V, 41: huic perparua Carthaginem versus Cercinitis ponte iungitur.
Page 43
43
Questo ruolo era stato messo in luce fin dalle guerre tra Cesare e Pompeo. La struttura citata
misurava circa 1 km e sembra sostituisse un’opera ancora precedente.
Le iniziative augustee portarono anche alla creazione di vie, attraverso le steppe interne, che
congiungevano la ricca e florida zona del golfo di Gàbes, ricca di centri di produzione agricola con
l’interno della provincia.
L’ascesa al trono imperiale di Tiberio diede un’ulteriore spinta all’edilizia di queste importanti vie
commerciali. Fu costruita l’importantissima via Lepicitana che metteva in comunicazione con
l’altopiano di Tarhuna. Questo processo, si accentuò dopo la pace ottenuta all’indomani della
repressa rivolta di Tacfarinas. Furono realizzate nuove opere sulla via che partendo da Cartagine
attraversava il Bagradas arrivando fino al porto di Ippona.
Da ultima poi bisogna considerare l’asse viario d’età neroniana, creato per congiungere Cirta a
Rusicade. Quest’arteria garantì il collegamento tra la capitale di questa estrema regione con un
porto di media grandezza, diminuendo notevolmente per i mercatores i costi di trasporto84
.
Alla luce di queste considerazioni, possiamo dedurre che le romanae viae, essendo un veicolo di
romanizzazione impressionante, contribuirono non poco allo sviluppo economico, già per la verità
abbastanza florido di questa ricca provincia.
Le arterie sopracitate mettevano in stretta comunicazione i più importanti porti della costa e le
relative strutture produttive e di immagazzinamento delle merci. Diversi porti e diverse strutture si
svilupparono in corrispondenza del sistema viario: Horrea Caelia, il cui porto riforniva di grano
l’interno del Sahel, Hadrumentum stessa, Ruspina, Leptis Minus e così via.
Un’importante ricerca archeologica, avvenuta tra il 2003-2005 e condotta da un’equipe franco-
tunisina, ha portato all’individuazione di circa 200 siti costieri, con relative strutture produttivo-
commerciali e portuali.
La ricerca ha contribuito in maniera decisiva a creare un quadro ben determinato
dell’organizzazione della costa, con relativi piccoli o medi scali portuali, afferente alla Colonia Iulia
Carthago. Si può quindi facilmente definire Cartagine e la sua area costiera come una zona
fortemente antropizzata. E’ difficile però stabilirne l’entità dello sfruttamento, poiché a causa di una
regressione marina, per far fronte all’innalzamento delle acque durante la fine del IV e l’inizio del V
secolo d.C., vennero costruite banchine sopraelevate85
.
La ricchezza del territorio cartaginese, ed in maniera più ampia della regione Proconsularis, era
sicuramente la produttività agricola del territorio, certamente all’epoca meno arido che oggi.
La provincia africana produceva grandissime quantità di grano, basta pensare ai grandi horrea
84
Bullo 2002, pp. 47-57. 85
Hurst 1994, pp. 50-51
Page 44
44
presenti a Cartagine, fu per questo motivo uno dei granai dell’impero.
Notevole era anche la produzione di olio, caratteristica soprattutto però delle zone più interne nella
fertile valle del Medjerda. Plutarco ad esempio, lodò Cesare poiché con la relativa conquista
dell’Africa egli aveva donato Roma di un patrimonio di 3 milioni di litri di olio annuali.
Presente, anche se forse in tono minore rispetto alla produzione olearia-cerealicola, è la coltivazione
della vite a mosto.
Parlando delle aree produttive interne, è possibile affermare dopo ricerche territoriali attente, che
esse si trovavano su assi viari importanti al fine di favorire le comunicazioni tra i siti. I prodotti
venivano trasportati sui carri stipati in otri (sia l’olio che il vino) o in sacchi nel caso delle granaglie,
ed in seguito una volta raggiunta Cartagine, o altri porti minori, prendevano la via del mare. Esempi
di strutture produttive poste nel retroterra cartaginese, possono essere dati dagli innumerevoli
oleifici realizzati lungo la valle del Bagradas, tra l’oued Siliana e l’Oued Medjerda, nei pressi di
Dougga.
In alcuni casi la struttura produttiva occupava solo una parte della fattoria, come nel caso della
tenuta imperiale di Ain Wassel; in altri casi l’edificio era costituito interamente dall’intera struttura
produttiva86
. Nel caso degli oleifici vi erano diversi ambienti adibiti alla lavorazione delle olive. Le
operazioni di spremitura avvenivano tramite l’utilizzo della mola olearia e/o del trapetum.
La mola olearia è composta da una base rotonda e fissa , nel centro è incastrato il braccio di una
macina a ruota che gira intorno al suo asse. La macina è fissata all’asse in modo che la sommità sia
mobile; ciò era molto importante affinché i noccioli delle olive non venissero schiacciati e
danneggiassero l’olio. Il trapetum è composto da una grossa pila in pietra o mortaio in cui, intorno
ad un piccolo asse verticale, girano due macine semisferiche. Anche nel trapetum vi era un
dispositivo per evitare di schiacciare i noccioli delle olive, esso veniva azionato, come nel caso
della mola olearia dall’uomo.
I cereali venivano raccolti tramite l’utilizzo della falx o altri tipi di falcetto, successivamente
venivano separate le cariossidi dalle pula e in una fase successiva il cereale poteva essere
immagazzinato o prima passato dalla macina per ottenerne farina.
Per quanto riguarda il vino, le fase della spremitura degli acini avveniva in determinate vasche di
“pestaggio”, successivamente passava in vasche di fermentazione, li poi era lasciato riposare fino
a prodotto finito.
Le tipologie edilizie che fin dall’antichità furono adibite alla trasformazione dell’uva in vino sono
dette palmenti87
.
86
De Vos 2004, pp. 36-42 87
Amato 2012 pag. ssg.
Page 45
45
Anche nell’Africa romana vi sono attestazioni di vasche per il pestaggio e la fermentazione dell’uva,
ma in ogni caso l’importazione del vino era superiore alla produzione locale.
Notevole infatti è l’attestazione d’importazione di vino, soprattutto dall‘ager falernus e dalla vicina
Sicilia. Le ricchezze agricole africane erano state la fortuna di Cartagine e lo furono
successivamente per Roma, il perfetto sfruttamento del territorio, sia cartaginese che africano, è
rintracciabile nel già citato sistema centuriale con ampi latifondi e fattorie, il quale durò a lungo
fino a praticamente la conquista araba.
Page 46
46
III La Sicilia antica: dinamiche storiche
III.1 Dalla Megálè Hellàs alle guerre puniche.
“Sicilia, ab Italia exiguo fretu discreta, Africum marem prospectans, terris frugifera, auro
abundans, cavernis tamen penetrabilis, ventisque et sulphure piena est, unde Aetnae montis exstant
incendia”88
.
Cosi scriveva, alla fine del I secolo d.C., il grande autore latino Plinio il vecchio nella Naturalis
Historia. Egli, nel descrivere questi luoghi, sottintende ancora un velo di meraviglia e mitologia da
sempre legato a questa terra.
La Sicilia, per secoli ombelico del mediterraneo, è la più grande isola dell’ antico mare nostrum.
Vasta circa 25.000 km² e, oggi come in antico, densamente abitata, ha avuto da sempre una
importanza storica davvero rilevante. Poche terre infatti hanno avuto un ruolo storico e culturale
così importante, come quello recitato dalla Sicilia.
Questa ambita terra, posta al centro del mediterraneo, lungo direttrici viarie e commerciali
importantissime è stata da sempre un crocevia di popoli, merci ed idee. I greci e i cartaginesi per
secoli tentarono di accaparrarsi le sue ricchezze, per l’intera grecità siciliana lo scontro secolare col
nemico punico fu sempre visto in parallelo allo scontro con l’elemento barbaro per eccellenza che
minacciava l’Ellade: l’impero persiano.
Le vele delle triremi greche “avvistarono” le coste siciliane in un orizzonte cronologico piuttosto
lontano. Tracce di frequentazioni micenee dirette o indirette (materiale ceramico imitato, quindi
passaggio di idee) sono ben note agli studiosi dei contesti archeologici siciliani.
E’ errato pensare comunque ai contatti con il mondo egeo, in special modo miceneo, nei termini di
una colonizzazione di stanziamento. Non esistono sul territorio isolano testimonianze di
insediamenti stabili, di abitati o di necropoli di fondazione e di cultura esclusivamente micenea,
proprio perché l'interesse prevalente di queste genti era commerciale, le tracce si rifanno solo a
materiale fittile o in un certo senso “mobile”.
Recupero di reperti di questo genere sono stati effettuati talvolta nell’arcipelago eolico o
nell’agrigentino vicino la foce del Platani89
.
88
Plin., III .”La Sicilia è divisa dall’Italia da un piccolo stretto di mare, che si affaccia sul mare africano, è feconda di
terre, abbondante di oro, ma anche penetrabile tramite caverne, piena di venti e di zolfo, donde provengono gli incendi
dell’ Etna”. 89
Materiale ceramico “egeo” è stato rinvenuto ad esempio nell’ insediamento a Monte Grande di Palma di Montechiaro,
dove l'attrazione principale per la gente d'oltremare doveva essere costituita dall'antica lavorazione dello zolfo o sulle
coste delle eolie legate quest’ultime alla secolare tratta dell’ossidiana.
Page 47
47
Tuttavia, per identificare i primi veri e propri stanziamenti stabili, bisogna andare avanti di qualche
secolo: il primo grande flusso coloniale, infatti, inizia all’incirca verso l’VIII secolo a.C., nel
cosiddetto periodo arcaico della grecità.
I motivi che spinsero le genti dell’Ellade a cercare una nuova “casa” sono stati ampiamente
disquisiti: ricerca di nuove terre da coltivare, cause demografiche, riscatto sociale ecc. I primi
coloni che arrivarono dal Mar egeo provenivano dalla Calcide, per cui le prime colonie fondate sul
suolo siculo sono quelle dette Calcidesi.
La prima colonia calcidese fu Zancle, l’odierna Messina, fondata nel 756 a.C., seguirono negli anni
immediatamente successivi, Naxos (734 a.C.), Leontinoi (729 a.C.), Katane (729 a.C.). Nel 728 a.C.
giunsero sempre in questo settore orientale dell’isola (tutto ciò testimonia un primo interesse di
natura geografica-commerciale verso questi territori più “vicini” alla madrepatria) i megaresi di
Megara nicea, essi stabilitisi presso l’odierna Augusta fondarono, con rigido schema per scamna e
strigas, la colonia di Megara Hyblea.
A questi elementi greci non ionici seguirono, sempre nel serrato e conteso settore territoriale, genti
provenienti dalla ricca e florida Corinto. Guidati dall’ecista Archia i corintii, giunsero in questa
zona e seguendo il loro spirito fiero e bellicoso di chiara matrice dorica, combatterono aspramente
le popolazioni locali, i siculi.
La politica della polis siracusana fu di forte acquisizione territoriale, l’egemonia siracusana sul
territorio si fece da subito dominante, riuscendo a creare nel proprio territorio sub-colonie in grado
di difenderne i confini. I siculi stabilitisi in quei territori da circa 200 anni furono come detto
massacrati mentre quelli che rimasero vivi furono deportati e confinati in vere e proprie città-ghetto.
L’egemonia siracusana può essere ricollegata, per un certo senso, alla durezza e alla repressione
spartana sulle genti messeniche.
In questo caso il ruolo degli Iloti fu recitato dai siculi: essi presero il nome di Killyroi mentre i
nuovi coloni, il ceto dirigente, furono chiamati Gamòroi, una scelta politica tipica delle oligarchie
doriche90
.
Spostandoci verso sud-ovest, seguendo il litorale che dal siracusano giunge fino al Salso, ci
imbattiamo nella colonia greca che chiude il sipario sulla prima fase della colonizzazione greca in
Sicilia, Gela.
Questa polis fu fondata nel 688 a.C.. La peculiarità della fondazione di Gela sta nel fatto che essa
ebbe “doppie-radici”. Non fu infatti fondata dalla presenza di un’unica etnia, per questa fondazione
concorsero sia coloni rodiesi sia cretesi.
Questa tipologia insediativa fu alla base dello sviluppo storico della città di Gela. Poco più ad ovest
90
Musti, 2005 pp. 50-51
Page 48
48
a circa 70 km dal sito geloo fu fondata nel 580 a.C. la “figlia” di Gela, Akragas l’odierna Agrigento.
Questa città, archeologicamente notissima, fin da subito ebbe un’importanza fondamentale per
l’intero scacchiere politico siciliano, soprattutto durante il plurisecolare scontro tra la fazione
cartaginese e quella greca poiché Akragas era una sorta di città di confine tra le due zone di
influenza.
La veloce rassegna delle colonie greche di Sicilia non può terminare senza menzionare colonie
“minori”: da est ad ovest come già anticipato di notevole importanza sono gli avamposti siracusani
nel proprio ager, soprattutto Kamarina e Akrai costituiscono due città di confine che ben si
intersecano nel sistema difensivo siracusano.
Tra Akragas e Gela si insedia, ma solo nel 282 a.C. la colonia di Finziade, essa costituisce l’ultima
fondazione greca di Sicilia realizzata ad opera del tiranno akragantino Finzia dopo la distruzione di
Gela e la deportazione massiccia dei suoi abitanti91
.
Procedendo verso est, da citare sono le colonie di Eraclea Minoa, fondata da coloni selinuntini nel
VI secolo a.C., la stessa Selinunte della quale oggi ci rimangono imponenti tracce, fu una florida
subcolonia di Megara Hyblea fondata all’incirca alla metà del VII secolo a.C. in contrasto fin dalle
sue origini con la città per eccellenza degli elimi, Segesta.
All’interno della Sicilia arroccata sui colli nei pressi vale la pena d’esser nominata la polis di
Morgantina, sito già siculo colonizzato dai Calcidesi che percorsero la valle interna del Simeto
attorno alla metà del VI secolo a.C.
La posizione strategica di questa città fu rilevante durante la rivolta sicula di Ducezio, allorquando
il condottiero siculo nel 459 a.C. la prese e la distrusse. Il secolare scontro con i punici, insediatisi
ad occidente della Trinacria, fu all’origine sollecitato dalle mire espansionistiche della grecità,
poiché come la loro storia insegna, i punici erano da sempre ed in primis interessati al dominio sui
mari.
Come già anticipato precedentemente, si insediarono ad ovest dell’isola: il vero primo avamposto
extra-africano fu Mothya, sito sorto sulla più piccola delle Egadi, all’interno dello scenografico
Stagnone di Marsala. Qui essi crearono un importante porto, imitando in un certo senso il modello
del Kothon cartaginese.
Altri emporia punici furono Solus, Panormus (forse in lingua punica Ziz92
) e successivamente dopo
la distruzione di Mozia del 397 a.C., ad opera di Dionisio I, e la fondazione sulla terraferma di
Lilibeo (Marsala) quest’ultima acquisì maggiore importanza.
Questa divisione politico-geografica, tra i due diversi elementi culturali e politici, fu alla base di
91
Diod., XXII 49 92
Finley 1979, pp.24-25.
Page 49
49
secoli di guerra nell’isola. Da una parte la Sicilia dei tiranni, che soprattutto con Dionisio il vecchio
riuscì ad avere una grande egemonia non solo sul territorio siciliano ma anche nella penisola
italiana, creando un vero e proprio impero.
La fase tirannica nell’isola visse di momenti e situazioni diverse: all’inizio attorno al VI secolo
riuscì a creare una sorta di vera e propria egemonia greca (basti pensare ai casi di Akragas, Gela e
“all’impero” Siracusano), successivamente, soprattutto dopo la rivolta sicula di Ducezio93
, e ancor
di più dopo la morte del grande Dionisio I, il modello tirannico cominciò a perdere consensi,
portando negli ultimi secoli, antecedenti alla conquista romana, al sempre più fitto ed insistito
scontro con Cartagine. Timoleonte prima e Agatocle dopo, entrambi venuti da Corinto in soccorso
dei sicelioti e dei siracusani tra IV e III secolo a.C., riuscirono a combattere e contrastare, con
alterne fortune, l’elemento punico, che rimase comunque sempre ben asserragliato all’estremo
occidentale dell’isola.
Timoleonte riuscì a risollevare le sorti dell’isola dopo un periodo difficile per l’elemento greco:
promosse soprattutto grandi opere di riqualificazione urbana, si guardi ad esempio alle mura di Gela,
chiamate proprio mura timoleontee poiché erette proprio durante la restaurazione del condottiero
greco.
Egli rifiutò sempre il titolo di basileus di Sicilia, cosa che non fu assolutamente concepita dal suo
successore Agatocle. Quest’ultimo, anche egli d’origine corinzia, ebbe tutti i crismi del monarca
orientale, egli stesso si definiva monarca dell’isola, i suoi modelli erano i regni ellenistici post-
alessandrini. Tutto ciò può essere visto chiaramente anche solo dalla politica matrimoniale.
Agatocle, infatti, diede in sposa sua figlia al re dell’Epiro, Pirro. Proprio quest’ultimo fu l’ultimo
grande difensore della grecità di Sicilia e dell’Italia in generale. Con la sconfitta del molosso nel
280 a.C., anche l’elemento greco iniziò fortemente a vacillare, facilitando l’avanzata politico-
economica cartaginese, seguita subito dopo da quella romana.
Negli anni di governo agatocleo si erano stanziati a Messina dei mercenari d’origine italica,
consacrati al dio Marte erano detti Mamertini.
Essi avevano preso la città a tradimento, ma a causa della posizione estremamente strategica di
quest’ultima la loro situazione politica si faceva alquanto difficile.
Dopo essere stati sconfitti da Siracusa nel 270 a.C., i Mamertini chiesero l’aiuto a due potenze
“straniere”.
La richiesta iniziale fu fatta in origine pervenire al senato cartaginese che rispose in maniera
93
Ducezio fu il comandante della rivolta sicula alla metà del V secolo a.C. Nel 460 a.C. fu eletto re dei Siculi,
successivamente distrusse Morgantina dopo aver preso precedentemente Aitna, fondo Palikè, la sua rivolta fu presto
fermata con la sconfitta ad opera siracusano-akragantina, nella battaglia di Motyon. Esiliato in a Corinto, torno in Sicilia
nel 444 a.C. fondando Kale Akte sul Tirreno dove morì pochi anni dopo.
Page 50
50
negativa, successivamente e dopo una grande diatriba politica, la richiesta fu accolta da Roma, la
quale nel 264 a.C. per la prima volta si apprestò ad attraversare lo stretto per adempire al suo dovere.
Era l’inizio di tre guerre che cambiarono la faccia geopolitica del mondo conosciuto; le guerre
puniche.
La prima, interamente combattuta in Sicilia che si concluse con la battaglia delle Egadi del 241 a.C.
Essa vide vincitrice l’esercito romano comandato da Lutazio Catulo e supportato dall’alleata
Siracusa. Con la conquista dell’isola Roma portò in Sicilia la sua giurisdizione riducendola in
provincia, la prima provincia del futuro impero.
Le altra due guerre puniche, combattute verso la fine del III secolo (218-202 a.C.) e la metà del
secondo (149-146 a.C.), servirono a cancellare Cartagine dalla storia e posero le basi per la
creazione del più grande apparato politico-amministrativo del mondo, l’impero romano.
Page 51
51
III.2 Provincia Siciliae (241 a.C.-476 d.C.)
Con la creazione della prima provincia (la “gemella” provincia di Sardegna fu creata nel 238 a.C.),
Roma trasportò in terra sicula gli elementi del suo potere. Già con la vittoria delle Egadi del 241 a.C.
la Sicilia era entrata di fatto nella sfera romana, resisteva tuttavia il regno cliente del filoromano
Ierone II, creato alla fine della I guerra punica grazie alla stipulazione di un trattato di alleanza
perpetua (philia kai symmachia). Dopo la scomparsa del dinasta filoromano, il partito filopunico
prese il sopravvento e Roma travolse il regno siracusano con le armate del console Marcello nel 211
a.C.
Con ciò, anche l’ultima grande metropoli greca perse l’indipendenza, integrata, come capitale nella
provincia Siciliae. La conquista di Siracusa rappresenta un importante viatico per la romanizzazione,
ancora al volgere del III secolo a.C. in stato piuttosto embrionale sull’isola. Dopo aver conquistato
Siracusa e avere in generale preso il possesso dell’isola, Marcello fu costretto, per così dire, a
cedere il potere a Levino poiché i suoi modi erano stati giudicati fin troppo bellicosi.
La creazione ufficiale della provincia quindi va datata al 210 a.C., quando Marco Valerio Levino
giunto in Sicilia poté affermare che: “sull’isola nemmeno un cartaginese era rimasto sull'isola, che i
profughi siciliani erano tornati alle loro case e che la produzione agricola era ripresa regolarmente”.
La “pacificazione” leviniana tuttavia non fu raggiunta senza versamento di sangue, poiché egli, per
eliminare completamente ogni elemento anti-romano, decise di marciare in forze su una delle ultime
roccaforti filopuniche, Agrigento.
I ribelli sicelioti e cartaginesi, che si erano rifugiati ad Agrigento, non ebbero scampo sotto i colpi
delle legioni; alcuni furono uccisi e molti vennero venduti come schiavi. Il console si preoccupò
quindi di ristabilire un determinato equilibrio socio-economico, venuto meno nei lunghi anni di
guerra. Roma stesso aveva un grande interesse a ristabilire un determinato ordine nel comparto
siciliano, poiché gli anni di guerra erano stati probanti e l’annona dell’Urbe, in grossa difficoltà, era
stata costretta a chiedere aiuto a Tolomeo IV d’ Egitto94
.
Tra il 208 e il 207 a.C., con la relativa rasserenazione del clima politico siciliano, Levino poté
procedere alla riorganizzazione dell’ordine provinciale.
Ormai da secoli l’Urbe aveva un dominio incontrastato sulla penisola italiana, anche grazie al suo
efficiente sistema amministrativo.
In Sicilia il potere fu delegato ad un funzionario del senato, era governata da un Propretore di rango
pretorio coadiuvato da due questori.
94
Pol., IX 11a
Page 52
52
Il primo questor risiedeva a Siracusa, il secondo fu lasciato a Lilibeo, la polis che per prima,
precedentemente all’annessione di Siracusa, era stata capitale dell’isola.
La protezione di Roma portò alla Sicilia ed ai suoi abitanti pace e prosperità. I romani rispettarono
la cultura greca, le leggi, gli usi e costumi dei greci, e concessero ai siciliani una totale autonomia
nella gestione degli affari locali. Il provvedimento più indicativo, che ci permette di capire il ruolo
assegnato alla prima provincia e l’atteggiamento dei romani verso l’elemento locale, è il
mantenimento e l’estensione anche alla parte occidentale, del sistema di tassazione diretta voluto
da Ierone II noto come lex Hieronica.
La tassa corrispondeva al 10% del prodotto agricolo del suolo provinciale, valutato in base alle
dichiarazioni dei proprietari terrieri e alla corrispondente stima dell’importo dovuto concordato
annualmente con gli esattori delle tasse95
.
Successivamente alla lex Hieronica, con la crescita sempre maggiore dell’Urbe furono aggiunte
altre imposte sulle quote di frumento a prezzo politico: frumentum emptum (frumento acquistato) e
frumentum imperatum (frumento ordinato). L’Urbe fu comunque attenta a mantenere un certo
equilibrio nei prezzi, poiché un’eventuale diminuzione del prezzo d’acquisto del frumento siculo
per i mercati romani, avrebbe potuto scatenare pericolose conseguenze.
L’Urbe, grazie allo sfruttamento di queste tassazioni, poté approfittare in maniera totale e comoda
delle immense potenzialità del “granaio” siciliano. Naturalmente l’economia isolane trasse
anch’essa giovamento da queste politiche economiche, tant’è che, soprattutto a partire dall’epoca
augustea, l’isola visse uno dei periodi di massima prosperità.
Da analizzare poi fu sicuramente il diverso trattamento riservato da Roma alle molteplici e
diversificate comunità dell’isola, in base al loro comportamento tenuto durante il conflitto
cartaginese. Prevalsero amministrativamente le civitas decumanae, soggette ad obblighi fiscali ma
in ogni caso piuttosto autonome. Esse erano obbligate a versare a Roma una quota decimale,
derivante dai prodotti del territorio, tra queste città sono probabilmente da comprendere le 40
comunità consegnatesi spontaneamente in fidem a Roma, e le 20 circa prese per tradimento. La
quota decimale o decuma non era versata soltanto sulle granaglie ma anche per tutti gli altri prodotti
della terra96
.
Circa 6 poi furono le civitas censorie, il cui ex territorio fu ridotto ad ager publicus sfruttato da
affittuari locali, i locatio censoria per l’appunto. I loro territori dichiarati ager publicus vennero
confiscati e dati in affitto sotto il pagamento di un tributo stabilito ogni 5 anni dal governo centrale.
95
Genovese 1999, pp. 20-29 96
Genovese 1999, pp.18-19
Page 53
53
Queste città erano state spazzate via dall’avanzata romana poiché si erano fino all’ultimo istante
fermamente imposte all’avanzata delle legioni.
I centri, che si erano opposti alla devastante avanzata romana, vennero drasticamente ridimensionati,
sia nel corpo civico (con immissione di élites filoromana) sia nell’apparato monumentale, poiché
subirono diverse distruzioni.
Morgantina, ad esempio, fu assegnata ad un contingente di militari ispanici, decisivi durante
l’assedio di Siracusa, e la sua popolazione fu deportata e ridotta in schiavitù; Agrigento subì lo
stesso trattamento con diverse distruzioni annesse. Dopo la loro distruzione già piccoli gruppi di
sopravvissuti erano tornati blandamente a popolare queste terre (come nel caso di Agrigento), ma
solo successivamente esse furono elevate al rango di civitas.
Roma non agì per benevolenza ma seguendo naturalmente i propri interessi, poiché restituendo
parte dell’ex ager publicus alle comunità in questione riportò i contadini locali a coltivare terreni
rimasti incolti o adibiti al pascolo, ne beneficiò naturalmente il grande pozzo senza fondo dell’
Annona Urbis. Beneficianti di questa situazione, furono anche le compagnie dei publicani
appaltatrici dei canoni affittuari dei terreni rimasti comunque sotto la giurisdizione romana.
I publicani locali ebbero il compito di riscuotere la tassazione regolare mentre i publicani romani
esigevano canone affittuario sui terreni pubblici, tassa sui pascoli (scriptura) più i vari dazi
determinati dai commerci portuali (portorium). Quest’ ultimo tributo risulta essere di fondamentale
importanza per il ruolo commerciale transmarino dell’ isola stessa. Già i cartaginesi durante la loro
eparchia avevano adottato sistemi di retribuzione di diritti doganali così come la parte greca ed in
seguito siracusana dell’ isola.
Con l’immissione in toto del sistema siciliano in quello romano fu introdotta questa tassa sulle
merci che arrivavano e partivano dai più importanti porti della Sicilia. I diritti doganali
ammontavano al 5% del valore della merce ed erano riscossi da uffici preposti siti all’ interno delle
strutture portuali adatte. Cicerone stesso, nella sua accusa contro Verre menziona portoria sia in
grandi comunità: Siracusa, Agrigento, Palermo; sia in piccole: Finziade, Alesa e Terme. Rostovtzeff
male interpretando il dato ciceroniano deduce che la denominazione “fiscale” per la Sicilia di Sex
publicae Siciliae voglia indicare le sei città in cui il portorium veniva riscosso. Quest’ ipotesi risulta
essere poco concreta e credibile perché nel testo ciceroniano il retore elenca si sei città, ma allo
stesso tempo riporta il nome di 8 porti; tutto questo lascia intendere che la riscossione di questo
tributo avveniva anche in altri siti portuali. L’ accusa a Verre è un opera che permette in modo
chiaro e concreto, di capire come funzionava la riscossione del portorio e la relativa società di
publicani a cui era affidata. L’importanza di questo tributo è testimoniata da un episodio di cronaca
storica: Verre durante il suo “malgoverno” s’appellò il diritto di esportare le merci liberamente
Page 54
54
senza la sottoposizione a dazi doganali97
.
Di contro vennero premiate, con statuti speciali o esenzioni tributarie, quelle comunità che durante
gli anni dei conflitto avevano aiutato e sostenuto Roma: Civatas foederate come Tauromenium o
Messina, civitas stipendiariae come Finziade differenti dalle civitas liberae ac immunes come
Halaesa, Centuripae, Palermo e Segesta poiché quest’ultime erano libere per motivi vari da alcuna
tassazione98
. Le civitas foederate erano quelle città legate a Roma da un trattato d’alleanza
bilaterale, un foedus.
Per quanto riguarda le comunità liberae ac immunes emblematici sono due casi: Segesta ad
esempio si fregiava di un’antica discendenza troiana in relazione al peregrinare di Enea per mare.
La consanguineità tra l’Urbe e Segesta è testimoniata dall’assunzione nel pantheon romano del
culto di Venere Ericina. Questo dato conferma che l’elemento romano s’inserisce nel contesto
isolano anche da un punto di vista strettamente religioso, forse è proprio quest’evento che gioca un
ruolo fondamentale nella romanizzazione dell’isola.
Kentoripa parallelamente a Segesta ricevette lo stesso trattamento speciale poiché questa città
siciliana vantava legami parenterali con Lanuvium.
L’origine della città latina infatti si faceva discendere da genti provenienti dall’ odierna Centuripe,
tutto ciò è correlato dall’importante dato epigrafico derivante da un’iscrizione in dorico narrante la
visita di ambasciatori giunti dalla Sicilia nel Lazio per rinnovare il legame di parentela.
La politica svolta in Sicilia da Levino può essere rintracciata epigraficamente in un’iscrizione di
Delfi incisa in 5 colonne di 647 linee su una grande stele.
In questa iscrizione, accanto ai molteplici nomi delle città del mondo greco ed ellenistico, appaiono
i nomi dei theorodokoi, in pratica cittadini i quali avevano avuto l’onere e l’onore di ospitare i
theoroi, cioè i sacri messi del santuario delfico venuti ad invitare le città menzionate per i giochi
pitici.
Nella IV colonna relativa alla Sicilia si ha un quadro più o meno completo delle principali città
dell’epoca, seguendo un’excusus ben dettagliato.
Compaiono numerosissime comunità siceliote anche città che erano state prese con una certa
resistenza e quindi dichiarate decumane99
. Alcune città risultano essere assenti da questo itinerario
delfico; tutto ciò non deve essere imputato all’ignoranza o alla fretta nella redazione del documento,
bensì all’effettiva scomparsa di alcune di esse o semplicemente al mancato passaggio dei theoroi in
alcune di esse. In ogni caso sotto Levino il numero delle città autonome, le quali dovevano un
97
De Laet 1949, pag. 55 ssg. 98
Wilson 1990, pag. 36 ssg. Il termine stipendiarii è riferibile a comunità senza privilegi distinte da quelle con diritti
latini. 99
Manganaro 1980, pp. 415-427
Page 55
55
tributo a Roma, dovette ridursi rispetto alla fase precedente poiché esse videro ampliato
notevolmente il loro territorio ai danni di comunità vicine, che avevano attuato sovente una politica
anti-romana. Lentamente nel sistema amministrativo-produttivo siciliano si iniziarono a stabilire
genti di stirpe italica, nacque quindi un grande sistema cooperativo tra locali e immigrati.
Alcuni studiosi pensano che, in questa precisa fase storica, Roma avesse il monopolio commerciale-
produttivo sul grano siciliano, poiché ad esempio, analizzando un passo polibiano riferito al 169
a.C., ambasciatori rodii avevano ottenuto il permesso di trasportare in patria ben 100 mila medimni
di grano siciliano100
.
In realtà il problema è ben più complesso poiché Roma non aveva alcun interesse nel surplus
produttivo, semmai controllava la gestione dei dazi doganali del 5% (portorium, appaltato da
questori e dato in gestione a publicani) ma i vettovagliamenti avanzati potevano essere liberamente
commerciati e Roma non poneva alcun veto su ciò.
Tant’è vero che i rapporti extra-romani continuarono per le genti di Sicilia: basti pensare al
massaliota Poseidermos ricordato in un epigramma di Lilibeo del II secolo a.C.
Si iniziò comunque a formare un sistema agrario ben definito e restò pressoché immutato fino
all’avvento del grande latifondo d’epoca imperiale, che contraddistinse le campagne sicule da quel
dato momento storico.
L’economia agraria siciliana era ancora basata sulla piccola proprietà terriere forse il modello da
seguire per questa strutturazione sono le eupaleis di Diodoro Siculo o forse semplicemente dei
piccoli fondi. Sicuramente ci sono diverse evidenze archeologiche di questo periodo che narrano del
predominio della piccola proprietà terriera.
Camarina, Alesa, Taormina sono tutte comunità che presentano un’estrema parcellizzazione dei
terreni, indice di un’agricoltura a conduzione familiare.
Esempio tangibile del momento storico-economico ci viene poi da un sito rurale, in contrada
Aguglia tra Noto e Palazzolo Acreide. L’areale è piuttosto ridotto, presenta 3 ambienti abitativi una
stalla e un grande cortile, tipico esempio di villa rustica siciliana del III-I secolo a.C., modello delle
campagne isolane spazzato via dalla furia delle guerre servili101
.
Il successo in questo periodo della piccola proprietà, nasce dal presupposto che la coltivazione ed il
relativo export del grano verso l’Urbe ed altri mercati garantiva un benessere generalizzato.
Il quadro tardo-repubblicano, da Levino alle guerre servili risulta essere ben delineato: certamente
esisteva il latifondo, ma in questa fase risulta essere nettamente in minoranza rispetto alla piccola
proprietà.
100
Pol., XXVIII 2,5 101
Manganaro 1980, pp. 428-435
Page 56
56
Le rivolte servili fanno pensare in automatico ad un grande sistema latifondistico stabilito in Sicilia
trasposto dal suolo italico al contesto siciliano.
In realtà la situazione risulta essere ben diversa rispetto a come la si poteva pensare fin a qualche
tempo fa. Analizzando il contesto socio-economico dal quale nacquero i focolai di rivolta,
innanzitutto, se ne desume che i nomi dei proprietari terrieri coinvolti nei tumulti per la maggiore
avevano origine greca, inoltre il modello latifondista italico non poteva in quel tempo attecchire
nell’isola a causa della sua più volte citata funzione di granaio di Roma, il che presupponeva un tipo
d’economia agricola basato sulla piccola proprietà. Nella penisola, con quadro socio-economico
estremamente diverso, il topòs della grande villa a produzione schiavile con latifundus esisteva già
dal II secolo a.C. (la villa di Settefinestre nell’ Etruria meridionale è un esempio lampante) e si era
lasciato ben presto alle spalle il modello catoniano per abbracciare un modello aziendalistico ben
affermato102
. Le rivolte servili siciliane furono si interessate dalla grande immissione di schiavi
scaturita dopo i successi di Roma, in Grecia prima e a Cartagine dopo, ma non erano state generate
dall’intensa oppressione latifondista presente già nella penisola italica.
La manodopera schiavile crebbe in maniera esponenziale poiché era acquistata a basso costo sui
mercati ellenistico-orientali e costituiva molto probabilmente una delle più ovvie contropartite per
il grano siciliano nei mercati.
I tumulti non furono, come potrebbe far pensare a primo impatto il nome, rivolte svolte solamente
dalla componente schiavile ad ingrossare le fila dei rivoltosi ci pensarono infatti lunghe schiere di
nullatenenti siciliani oppressi dal regime imposto da Roma.
Lampante risulta essere il dato dell’esercito dei rivoltosi durante la prima guerra: esso, capeggiato
da Euno e Cleone, arrivò, secondo alcune fonti, a toccare le 200 mila unità, un dato effettivamente
impressionante segno di un forte disagio socio-economico103
.
La rivolta servile, iniziata attorno al 135 a.C. e conclusasi all’incirca nel 132 a.C., fu repressa, non
senza difficoltà, dal console Publio Rupilio104
. Una svolta sicuramente importante nell’impostazione
amministrativo-economica dell’isola, si ebbe tuttavia realmente nel 131 a.C. con la lex Rupilia.
A seguito della sollevazione, il Senato romano era stato costretto a emettere un senatus consultum
con il quale si conferivano i pieni poteri al console, affinché fosse restaurato l'ordine pubblico nella
ricca provincia siciliana.
102
Celuzza 1984, pp. 163-165 103
Manganaro 1980, pp. 435-439 104
L’evento scatenante questa ribellione fu l’indigenza vissuta dagli schiavi sin dalla fine del dominio cartaginese. La
rivolta fu capeggiata da Euno schiavo di origine siriaca, e Cleone di Licia. I ribelli misero in difficoltà la guarnigione
romana conquistando diversi capisaldi (Catania, Taormina) e solo dopo una strenua resistenza furono sconfitti.
Page 57
57
La lex Rupilia non fu altro che un mezzo per disciplinare i rapporti socio-economici tra le varie e
diversificate comunità siciliane105
.
Questi provvedimenti evidentemente non bastarono per garantire la pax, poiché un trentennio dopo
scoppiò sull’isola la seconda rivolta servile, segno tangibile che comunque le riforme perpetrate
qualche anno prima non avevano modificato di molto la condizione schiavile. Iniziata nel 102 a.C. e
conclusasi al 98 a.C., fu sedata dall’intervento diretto di Mario106
. I tumulti nacquero anche in
questo caso da condizioni sociali e politiche particolari: erano stati liberati, su richiesta di Nicomede
III di Bitinia al fine di garantire il suo sostegno bellico a Roma contro i Cimbri, moltissimi schiavi
d’origine orientale.
Il propretore di Sicilia, Nerva, si vide costretto a sospendere il decreto poiché se ne erano presentati,
allettati dal profumo della libertà, tantissimi. La soppressione del provvedimento scatenò una
reazione durissima da chi si era visto negare quel privilegio, i rivoltosi guidati da Salvio e Atenione
successivamente si compattarono e misero nuovamente a ferro e fuoco la Sicilia.
Venne presa Eraclea Minoa, città fatta rinascere appena un trentennio prima dalla riforma rupiliana,
fu espugnata all’interno Morgantina e successivamente l’intrapendente Salvio prese il titolo di re
Triphon. Atenione, schiavo d’origine cilicia, invece mosse dall’agro lilibetano e abbracciò la rivolta
di Salvio, i due nonostante intenti formalmente comuni, ebbero dei forti dissidi che portarono
quest’ultimo a far imprigionare Atenione. Atenione poté prendere il pieno controllo dei rivoltosi
solo dopo la morte del Triphon e dovette da subito affrontare da par suo il console Aquillio giunto in
Sicilia alla fine del II a.C.
Gli scontri e le vicende varie di questo secondo tumulto furono asprissime e cruente, il tutto
testimoniato archeologicamente dall’ingente quantità di tesoretti e ripostigli trovati nelle campagne
siciliane, testimoni di una ricchezza economica perduta e di un’instabilità politica notevole107
.
Le fonti ci parlano poi di un altro evento che sconvolse la Sicilia dopo la vittoria romana di Aquillio:
una tremenda invasione di cavallette che distrusse per buonissima parte la produzione granaria
siceliota con ripercussioni economiche gravissime, tant’è che Aquillio, spenti gli ultimi focolai,
dovette provvedere a sfamare la popolazione con vettovagliamenti fatti arrivare appositamente108
.
Il quadro siciliano alla fine di questi delittuosi eventi si presenta piuttosto impoverito e funge in
pratica da apripista alla installazione latifondistica d’età imperiale.
105
Cic. II 13,15,16, 3. “Publiusque Rupilius postea leges ita Siculis ex senatus consulto de x legatorum sententia
dedisset ut ciues inter sese legibus suis agerent”. 106
Diod. XXXVI 2, 3-6. Diodoro Siculo narra che la II rivolta servile capeggiata da uno schiavo di nome Salvio, fu
scatenata dalla liberazione di alcuni schiavi che si erano dichiarati preda di razzie durante le guerre sostenute da Roma
in oriente. Gli schiavi non liberati scatenarono la sommossa che portò i ribelli a cingere d’assedio Morgantina. La
resistenza servile fu alla fine sconfitta con la presa di Eraclea ultimo baluardo e focolaio della rivolta, nel 98 a.C. 107
Manganaro 1980 pp. 440-441 108
Cic. De lege agr. 2,83
Page 58
58
Iniziarono a giungere nell’isola rappresentanti della classe dirigente romana, e una serie di questi
rappresentanti diretti di Roma riuscirono per certi versi a risollevare l’economia caduta in rovina di
questo vasto territorio. Uno di questi, Asyllios, da identificare col romano Sempronio Asellio,
succeduto a Domizio Enobarbo, attuò dei provvedimenti mirati alla risollevazione dell’intero
comparto territoriale. Egli, secondo il racconto che ne fa Diodoro, si sarebbe impegnato nella retta
gestione della giustizia, prestando protezione alle classi deboli e restituendo l’isola “all’antica felice
prosperità di un tempo”109
.
La Sicilia resto estranea ai successivi eventi bellici che coinvolsero Roma e i suoi socii anche se
quest’ultimi sperarono fino all’ultimo, dopo aver espugnato Reggio, di espandere nuovamente la
rivolta in Sicilia. L’isola, governata da Norbano, respinse il moto rivoluzionario, anzi Reggio stessa
fu liberata dalle truppe di quest’ultimo che in previsione di una strenua resistenza bellica aumentò
l’ammontare della decima dai campi Leontini.
In quegli anni dovettero esserci diversi eccidi sull’isola riguardanti sillani, altri eventi delittuosi
furono generati nell’ 82 a.C. dalle incursioni di un giovane Cneo Pompeo.
Pompeo riuscì ad infrangere le difese del mariano Perperna ma tuttavia usò una certa clemenza nei
riguardi dei vinti anche se delitti furono commessi contro i mariani rimasti che non avevano voluto
abiurare al loro credo politico. Nell 81 a.C. l’isola fu saccheggiata da M. Emilio Lepido, forse col
pretesto di eliminare gli ultimi mariani, dopo il provvedimento sillano che voleva che i tribunali
delle cause di concussione fossero restituiti ai senatori.
Dopo alterne vicissitudini fu propretore di Sicilia negli anni 73-71 a.C., il famigerato e celebre
Verre.
La storia passata sotto la rigida “censura” ciceroniana ci ha lasciato un’immagine di Verre
particolarmente negativa: uomo senza scrupoli, avido di ricchezze e di potere.
Celebri sono ai nostri occhi le immani razzie di preziose opere d’arte che il propretore trafugò dalla
Trinacria. Nessuno può negare il fatto che Verre sia stato un ladro senza scrupoli vari, ma detto ciò è
innegabile che quest’ultimo avesse svolto il lavoro con alcuni risvolti positivi.
Particolarmente ammirabile, fu la scaltrezza con cui egli riuscì a sedare il propagarsi della rivolta
schiavile sotto l’eco delle azioni del gladiatore campano Spartaco, inoltre fornì sempre alla plebe il
grano necessario per sfamarsi. In corrispondenza alla Lex Terentia Cassia emessa nel 73 a.C., essa
prevedeva maggiori acquisti di frumento in Sicilia sicché vennero assicurate distribuzioni gratuite a
molte famiglie indigenti. Lo scontro lo ebbe però in questo caso con i proprietari dei fondi che
producevano granaglie: procedendo ad acquisti forzosi correlati da grandi profitti per i publicani,
pretendendo una seconda decima.
109
Diod. Sic., XXXVII 8
Page 59
59
Verre pretese dagli agricoltori, che non offrivano frumento buono, la differenza di prezzo rispetto a
quello politico per poter acquistare il frumento buono richiesto con insistenza dalla plebe.
Lo scontro con gli aratores fu la naturale conseguenza, ma a parziale discolpa del propretore va la
considerazione che egli fu il primo governatore di Sicilia che dovette affrontare la legge Terenzia
Cassia. Sarebbe corretto anche dire che Verre non fu il solo governatore corrotto anche altre
amministrazioni provinciali apparentemente normotipo infatti, pare avessero ostacolato la piccola
proprietà, avvantaggiando un’economia di stampo capitalistico-schiavile110
. Le Verrine di
ciceroniana memoria anche se estremamente influenzate dal pensiero politico dell’autore restano il
più limpido e vivo quadro del contesto siciliano tardo-repubblicano.
Il trentennio che da Verre giunge a Cesare rappresentò per l’isola un momento di ulteriore
aggregazione col mondo romano, anche se il substrato sociale rimaneva e rimase, almeno fino al
basso impero nelle campagne, greco.
Nel 49 a.C. la Sicilia fu invasa dal cesariano Scribonio Curione, davanti a questa azione bellica il
propretore del tempo, Catone l’Uticense, fuggì verso l’Africa. Nel 47 a.C. salpò da Lilibeo Giulio
Cesare per andare a combattere le ultime sacche di resistenza pompeiane rifugiatesi in Africa Nova.
Proprio allo scopo di “clientelizzarsi” la Sicilia e i suoi abitanti, a causa della relativa vicinanza a
Roma e alla sua importanza economica, Cesare l’anno dopo promulgò la cittadinanza romana ai
magistrati dei municipi latini, lo ius Latii lasciando alle città istituzioni e lingua proprie111
.
I provvedimenti cesariani coinvolsero anche il sistema tributario poiché fu abolita la decima per le
città in ius latii le quali furono soggette al pagamento di uno stipendium112
.
Col provvedimento cesariano, portato da Antonio nel 44 a.C. al livello superiore del diritto romano,
fu insignita di fatto del riconoscimento di una “quasi” totale integrazione nel sistema repubblicano.
L’isola non godrà mai però, almeno fino alle riforme dioclezianee, di una totale integrazione
“italica”. Negli otto anni successivi (44-36 a.C.) l’isola fu governata da Sesto Pompeo che mirava a
costituire una grande contrafforte economico-politica al centro del mediterraneo. In questo lasso di
tempo cronologico l’isola e le sue maggiori città ebbero un controllo della tipologia che
contraddistingueva i municipia latini. Alcune città iniziarono a battere moneta e lo stesso Sesto
Pompeo in qualità di praefectus classis et ora maritimae installò una zecca a Messana dopo aver
disposto la coniazione dell’asse celebrativo in onore del padre.
Questo contesto generò un risveglio economico della Sicilia vessata da anni di guerre e malgoverni,
che tuttavia non portò ad un consenso totale per il figlio di Pompeo Magno. La situazione politica
creatasi in Sicilia generò e creò i presupposti per un intervento diretto di Ottaviano, ormai stufo
110
Weber, 1981 pag. 320 111
Manganaro 1980, pp.443-447 112
Manganaro 1988, pp. 11-12
Page 60
60
dell’azione incessante della pirateria pompeiana per il mediterraneo.
Nel 36 a.C. decise con convinzione di attaccare la Sicilia città capisaldi della resistenza pompeiana
caddero con estrema facilità, Lilibeo fu assediata da Lepido, Tindari e Milazzo furono espugnate
dalla sagacia di Agrippa. Tuttavia le devastazioni nell’isola non furono causate solamente dalla
resistenza pompeiana ma anche e soprattutto dall’azione delle legioni triumvirali che si
abbandonarono a razzie di ogni tipo. Lo scontro finale avvenne a Nauloco il 3 Settembre del 36 a.C.,
la battaglia si concluse con la vittoria di Agrippa comandante della flotta augustea ed in seguito alla
resa di Taormina le operazioni risultarono concluse.
Pompeo vedendo la situazione decisamente precaria, si imbarcò con i tesori accumulati e la figlia,
verso la Grecia auto-esiliandosi di fatto. Lasciò in Sicilia le sue legioni agli ordini di Tisieno Gallo e
Plinio Rufo, le quali ben presto si arresero, le prime ad Ottaviano mentre le seconde ad Emilio
Lepido113
.
Il prezzo da pagare per l’isola fu effettivamente altissimo, oltre ad un’ingente tributo in denaro,
molti sostenitori di Pompeo furono schiavizzati o brutalmente assassinati. In seguito al sostegno
dato a Sesto Pompeo, alcune città, che in precedenza erano state privilegiate come Taormina, ora
vengono pesantemente punite.
Quest’ultima subisce la deportazione dei suoi abitanti e la deduzione coloniale con immissione di
veterani augustei 114
. Testimonianza del clima instabile che visse l’isola in questo periodo, risiede
nel ritrovamento di 6 ripostigli monetali databili tra il 41 ed il 36 a.C. due dei quali in monete
bronzee, provenienti da varie località: Licata, Megara, Lilibeo, Messana e San Domenica Vittoria.
I motivi scatenanti le diverse deduzioni augustee furono molteplici: sicuramente maggior controllo
del territorio, inoltre l’installazione di veri e propri contingenti romani sulle coste, portò
innanzitutto ad un pieno controllo del trasporto marittimo che tanti danni aveva causato durante la
guerra a Sesto Pompeo, inoltre grazie alla felice posizione delle colonie dedotte Roma si garantiva
lo sfruttamento diretto di un ricco e fertile entroterra.
La testimonianza vivida della riconquista siciliana si ha da un iscrizione epigrafata a d opera dei
due fratelli C. Papius Celsius e M. Papius Kanus, i due in onore del nipote di Cesare fecero porre a
Narona in Dalmazia, una stele incisa col titolo Sicilia recepta115
.
Augusto nella compilazione delle Res Gestae declassò la guerra contro Pompeo da guerra civile a
Bellum servile poiché tale era la considerazione dei ribelli116
.
L’isola comunque fu esclusa nel 27 a.C., dalla riforma delle regiones perpetrata da Ottaviano,
113
Manganaro 1980, pp. 448-451 114
Portale 2004, pp. 6-7 115
Manganaro, 1988, pp. 13-15 116
Aug, I 27,3
Page 61
61
espediente motivato dall’appoggio offerto da alcune comunità isolane a Sesto Pompeo e alla sua
pirateria, durante la guerra civile (42-36 a.C.).
L’isola rimase per lungo tempo una sorta di ibrido tra una vera e propria provincia e una regio
italica.
Punto di svolta per la politica socio-economica in Sicilia, fu la battaglia di Azio. Essa rappresenta
un punto focale nelle transazioni di beni di prima necessità nel mediterraneo romano, poiché da
questo momento in poi, a causa della grande disponibilità di granaglie provenienti dall’Egitto,
trasportate a Roma direttamente dalla flotta di stato la cosiddetta Classis Alexandrina, la Sicilia
perse la sua centralità.
L’esistenza o meno della flotta alessandrina resta, comunque, una supposizione poiché,
verosimilmente, essa era costituita semplicemente da una serie di imbarcazioni private, requisite
dallo stato romano per il trasporto annonario, viaggianti in convogli sulla rotta Alessandria-Roma. Il
post-Azio fu abbastanza duro per l’isola poiché il comparto territoriale si presentava piuttosto
degradato e Strabone stesso narra di condizioni disastrose soprattutto per la fascia meridionale
dell’isola.
Per le campagne isolane ed i suoi aratores, quindi, con lo spostamento degli interessi cerealicoli,
iniziò il processo di svincolamento dell’isola dall’annona Urbis117
. Innanzitutto le condizioni
dell’isola aprirono la strada agli allevatori dell’interno per la produzione di lana e cuoio, solo pian
piano l’equilibrio agricolo dell’isola si ristabilì.
Il Princeps , assunto il ruolo di curatore dell’annona, riesaminò infatti la situazione isolana,
ispezionando personalmente le località principali tra il 22 e il 21 a.C. Oltre la già citata deduzione di
Tauromenio, Augusto si adoperò per installare altri suoi veterani, o comunque gente di stirpe latina,
in città strategicamente importantissime. Una dei provvedimenti principali fu la collocazioni di
procuratori imperiali per gestire il latifondo e tutto quello che esisteva attorno ad esso118
.
Nell’elenco delle colonie romane citate da Plinio il Vecchio figurano oltre a Tauromenium, Catina,
Syracusae, Thermae, Tyndaris e Panhormum anche se Plinio definisce quest’ultimo centro come
oppidum. Molte città soprattutto all’interno, finirono per scomparire con il loro agro accorpato
giurisdizionalmente a quello di città vicine. Ogni anno arrivava da Roma ad amministrare la
provincia un magistrato detto Proconsul, grazie ad emissioni monetali dei centri più eminenti si
conoscono cinque nomi di governatori di Sicilia119
. Dall’età augustea, Roma vene a costituire
quindi il centro catalizzatore economico-commerciale di tutto l’impero, rappresentando in
contemporanea il più grande centro di consumo, a causa del suo elevatissimo aumento demografico.
117
Panella 1985, pag. 182 118
Manganaro 1988, pp. 22-23 119
Manganaro 1980, pp. 451-453
Page 62
62
Testi letterari ed evidenze di scavo ci narrano che nell’ Urbs giungevano moltissimi prodotti dalla
ricche provincie120
. La Sicilia inviava a Roma, soprattutto dopo la già menzionata perdita del
monopolio sulla produzione cerealicola, vino, frutta e in minor parte salsa di pesce ed olio.
Questa tendenza economico-produttiva si ha quindi in seguito alla perdita dei fondi isolani della
leadership sulla monocoltura cerealicola, in favore di produzioni differenziate.
La risistemazione augustea, da qualsiasi punto la si guardi, segnerà gli sviluppi futuri della Sicilia:
aprirà innanzitutto la strada al secolare latifondismo siculo ed inoltre, l’installazione di uno zoccolo
duro romano nelle città strategicamente più importanti creerà, una sempre e totale fedeltà di tutte le
comunità verso l’Urbe, anche se è bene ricordare che l’elemento greco non perirà praticamente mai
ma si andrà “mescolando” con la romanitas. Ancora tuttavia non è chiara la matrice
dell’imposizione fiscale assegnata all’isola.
Il tributo principale era lo stipendium, esso aveva un ammontare fisso, bisogna stabilire se esso sia
rimasto essenzialmente una tassa in natura come in altre province annonarie. In ogni caso restava in
vigore come vicesima (5%), l’imposta doganale (Portorium), da aggiungere alla tassazione
provinciale ordinaria e dal 6 a.C., come da altre parti, l’imposta di successione (Vicesima
hereditarium). Lo stipendium provinciale era raccolto principalmente dalle comunità a condizione
stipendiaria in proporzione all’ agro demaniale e privato, in seguito esso era consegnato sottoforma
di pactiones ai rappresentanti delle società dei publicani121
. Il periodo di relativa tranquillità politica dell’isola, dopo gli ultimi focolai bellici generati dai socio-
economico e storico romano. Pochi furono gli episodi degni di nota che interessarono l’isola
durante i primi secoli dell’impero: Sotto Tiberio furono emesse monete in onore del divo Augusto e
lo stesso culto imperiale augusteo fu messo in primo piano. Fu recuperato il vecchio aes per le
nuove coniazioni e questo recupero di materiale bronzeo può sicuramente essere collegato alla
contromarcature di bronzo africano col timbro APRON riferito al proconsole d’Africa del periodo,
Apronio. In quegli anni la Sicilia costituiva la retrovia del fronte militare contra berberos guidati
da Tacfarinas (Vedi Cap. I). La rivolta barbara portò al sicuro un’ infinità di bronzo africano
contromarcato dal Proconsole sopracitato, come testimoniano le evidenze archeologiche.
Tralasciando il delicato momento bellico durante gli anni tiberini in Sicilia si assistente ad una
rinascita graduale dei culti locali, tendenza che continuò anche sotto Claudio tant’è vero che ci
furono interventi in soccorso del sacro tempio di Venere Ericina. Caligola succeduto a Claudio,
visitò l’isola ma ai primi tremori generati dall’ Etna preferì fuggire. Sotto la sua amministrazione si
registarono diversi interventi edilizi. Egli avrebbe concepito in quegli anni il grandioso progetto
120
Panella 1985, pp. 180-181 121
Manganaro 1988, pp. 37-38
Page 63
63
edilizio di grandi moli a Messana e Region per permettere alla flotta frumentaria proveniente dall’
Egitto di aver condizioni ottimali di attracco. Con la fine dei tumulti dovuti alla vacanza del trono
imperiale, la situazione per l’isola divenne sicuramente migliore. Vespasiano ristabilita la pace
procedette alla deduzione di propri veterani, tramite assegnazione di lotti centuriali nell’agro
palermitano e selinuntino. Questa nuova suddivisione territoriale portò alla formazione di nuovi
piccoli proprietari terrieri e di grandi proprietari di latifundia a regime pascolare. Tendenza
testimoniata dalla proprietà, nel territorio catanese di Domitia, moglie di Domitianus. Proprio sotto
i Flavi apparve sulla scena politica il primo senatore siciliano, L. Acilius Rufus.
Segno tangibile dell’ importanza della Sicilia in epoca Flavia è rivelato da un evento ludico di
grande importanza: durante l’inaugurazione del Colosseo nell’ 80 d.C. fu inscenata una naumachia
riproducente e rievocante lo scontro tra siracusani e ateniesi del 413 a.C.
Con l’avvento di Traiano si ebbe un decremento della produzione agricola isolana, viceversa si
ebbe un’ intensa attività edilizia (nel 108 d.C. il teatro di Taormina subì dei restauri e rifacimenti
che lo adattarono ad ospitare ludi gladiatori122
.).
Adriano viene ricordato dalle fonti come Restitutor Siciliae poiché probabilmente restaurò ed eresse
nuove opere pubbliche123
. Egli al rientro dalla Grecia nell’ estate del 126 d.C. volle fermarsi
sull’isola. Fu proprio in quell’occasione e successivamente ad una ascensione dell’ Etna che
procedette alla disposizione di opere edilizie e restauri sopracitati. All’ imperatore Antonino Pio si
riferiscono soltanto saltuari ritrtti o dediche.
Sicuramente più ricca risulta essere la documentazione riferita a Marco Aurelio. Innumerevoli
infatti risultano essere le dediche o i ritratti dedicati o all’imperatore o ai membri della famiglia
imperiale (es. dediche al gemello di Commodo, T. Fulvus Aurelius Antoninus a Lilibeo), non è da
escludere inoltre che l’assegnazione ad alcuni equites di posti fissi presso alcuni anfiteatri non fosse
riconducibile a restauri messi in atto dall’ imperatore. Con la presa al potere di Commodo si
riscontra l’immissione nel senato di Roma di un’ altro senatore siciliano, tale M. Marcius Bietis
Glaucus.
L’ ingresso sulla scena imperiale dei severi ebbe ovviamente le sue conseguenze anche nell’ambito
provinciale siculo124
. Settimio Severo fu l’imperatore tardo che lasciò maggiori tracce sul suolo
siciliano, d’altronde l’isola aveva avuto in un due orizzonte cronologici ravvicinati come
governatori sia quest’ultimo che il fratello Settimio Geta, del quale resta ricordo in un busto trovato
in un contesto rurale di Sabucina bassa (Cl)125
.
122
Santangelo 1966, pag. 48 ssg. 123
Clemente 1980, pp. 468-469 124
Manganaro 1988, pp. 65-76 125
Bejor 1986, pag. 472
Page 64
64
Furono compiute risistemazioni portuali a Caucana ad opera di Geta stesso, dato che permette forse
di riportare la cronologia del sito indietro, al II secolo d.C126
.
Ad ogni modo i contatti dell’isola con la corte imperiale risultano essere piuttosto scarsi, dato reso
veritiero dalla scarsissima connessione tra i cittadini sicelioti e l’amministrazione centrale.
Conosciamo circa 31 governatori siciliani, un numero piuttosto basso se il numero viene comparato
ai numeri di altre realtà provinciali. Pochissime poi sono le carriere note e nell’insieme si tratta di
carriere con un legame piuttosto scollegato con il contesto isolano.
Si deduce facilmente quindi che l’interesse verso la provincia e la sua amministrazione, nei primi
secoli dell’impero, risulta essere piuttosto scarso.
Al contrario dell’importanza che assumerà dal punto di vista politico amministrativo da Diocleziano
in poi. Essa era vista sempre come uno dei luoghi di rifornimento per l’insaziabile ventre dell’Urbe,
rimanendo in stretta connessione con l’Italia, ma il suo ruolo commerciale si faceva piuttosto
marginale relegato in secondo piano dalle tratte di import-export tra Roma, le Gallie, la penisola
iberica e L’Africa con partnership commerciali impostate perlopiù su scambi a scala minore e
privata. L’ isola visse un lungo periodo di pace ma di relativa stagnazione politico-economica e
commerciale.
Alcune attività non furono mai abbandonate: attività portuali, a causa della posizione geografica
favorevolissima, servizi amministrativi provinciali ed altre attività riuscirono a vivacizzare la vita
dei grossi centri ma la stagnazione commerciale fu determinata dalla mole modesta dei trend di
import-export rispetto ai secoli pre-imperiali. L’assenza stessa di un esercito stanziale, alla lunga,
ebbe il suo peso sul fattore economico poiché senza la presenza dei ricchi stipendia militari anche
l’economia di riflesso ne risultava impoverita.
Si riconosce, in questa brevissima rassegna di concause, un accentuato isolamento politico,
generato con molta probabilità dalla diversa impostazione fondiaria post-augustea sopracitata.
Nessun legionario infatti appare nei lacunosi elenchi noti e pochissimi entrarono a far parte
dell’apparato militare romano.
La debolezza militare della provincia è deducibile da un episodio sotto il regno di Gallieno nel 261
d.C., narrante di una probabile rivolta “servile” poiché nell’isola si era creata una situazione di
grande instabilità, a causa dell’estendersi del fenomeno del brigantaggio127
.
126
L’ iscrizione frammentaria ritrovata a Caucana commemora una presunta risistemazione portuale, il prefetto
dell’annona deve aver trovato nella produzione annonaria sicula un importante ausilio alle esigenze della capitale:
“ [Provid]entia / [-- v(iri) p(erfectissimi) pr]aef(ecti) ann(one) / [idemq(ue) a(gentis) v(ices) pr]aef(ectorum)
praetorio (duorum) e(minentissimorum) v(irorum)” 127
HA, V. Gall, 4,9
Page 65
65
Quest’ultimo fenomeno non deve assolutamente stupirci, poiché già Strabone parla in un periodo
ben antecedente delle razzie nei territori etnei di un tale Seluro128
. Il fenomeno generale dello
spopolamento coinvolse nelle fasi medio imperiali il territorio siciliano, la popolazione andò per
concentrarsi in grossi centri costieri o in grandi complessi rurali interni.
L’evasione dalla vita urbana dal medio impero in poi era stata correlata dal trasferirsi del fulcro
economico isolano verso i grandi possedimenti terrieri. I proprietari di questi grandi latifondi per il
più delle volte non risiedettero direttamente nelle loro tenute, bensì i loro affari erano gestiti
direttamente ai cosiddetti actores, degli amministratori privati. Le piccole proprietà in sostanza
erano la linfa vitale del motore economico siciliano, “morte” quest’ultime il perfetto meccanismo
che aveva portato l’isola ad avere una fiorentissima economia si inceppò inesorabilmente.
L’unico interesse dei grandi proprietari infatti era determinato dalla voglia di disporre sempre e
comunque di introiti regolari e fissi. I ricchi latifondisti romani, in questo frangente ebbero un
grande interesse a spendere la loro ricchezza accumulata non ad incrementarla, l’obiettivo
principale infatti è rientrare nei costi delle spese, il cosiddetto pareggio di bilancio129
. L’isola anche
a causa di questa perdita d’importanza strategica, restò pressoché immune dalle scorrerie barbare,
solo un piccolo contingente franco proveniente dal Ponto nel 278 d.C. toccò Siracusa130
.
In questo clima di stasis predominante non mancarono comunque sprazzi di vitalità: fulgidi esempi
sono a ciò Catania città portuale importantissima dove fu fortemente sviluppata l’attività
corporativa, esisteva infatti il collegio dei faber navales, indicante un’intensa attività cantieristica
della comunità catanese che porto l’insediamento etneo a stringere rapporti con il ricco ambiente
ostiense. Naturalmente la città affrontò anche difficoltà economiche, esse si riscontrano in un lettera
del Procurator Giulio Paterno, il quale pone all’attenzione di Lucio Vero e Marco Aurelio il cattivo
stato delle finanze cittadine. Altri contesti cittadini che vissero un periodo d’isolata floridezza
furono Lilibeo sede storica del secondo questore, Palermo col suo importante porto, Termini
importante approdo tirrenico e naturalmente la capitale amministrativa, Siracusa131
.
L’epoca dioclezianea rappresentò per l’isola un importante momento politico: durante il regno
dell’imperatore dalmata, la Sicilia venne inserita all’interno della diocesi italica aggregata al
vicariato suburbicario e affidata ad un corrector.
La provincia viene investita da un nuovo interesse politico che porta essa stessa ad essere uno dei
territori più ambiti del celebre cursus honorum.
Testimonianza di quanto sopra riferito, si ha nella elezione di membri di due importanti famiglie
128
Strab. VI 2,2 129
L. Cracco Ruggini 1980, pp. 483-487 130
Zosim., I 71,2 131
Clemente 1980, pag. 471
Page 66
66
senatoriali, i Simmachi e i Nicomachi nel governo siciliano. Durante il regno del riformatore
Diocleziano, si inasprì ulteriormente la lotta delle istituzioni romane contro l’incalzante avanzata
nelle coscienze della morale cristiana e dei suoi precetti.
Per la verità già i predecessori di Diocleziano avevano provveduto a contrastare gli adepti della
nuova religione, incessanti furono le persecuzioni di Decio e Valeriano (esempio di ciò è costituito
negli anni di Valeriano da una grande persecuzione che coinvolse Santa Lucia a Siracusa ). Sotto
Diocletianus la situazione precipitò e solo in seguito con le riforme di Costantino la sempre più
importante presenza cristiana sull’ isola potette vivere con maggiori garanzie.
Data fondamentale per le sorti politico-economiche dell’isola è il 330 d.C. : quella data infatti segna
la fondazione di Costantinopoli e il conseguente spostamento degli interessi economici verso la
nuova capitale.
L’isola riacquista, insieme all’ Africa, il suo ruolo predominante nell’approvvigionamento
cerealicolo della vecchia capitale, Roma132
. L’isola venne a colmare formalmente il ruolo annonario
ricoperto dall’Egitto ora rivolto ai fabbisogni della nuova capitale, Costantinopoli. Mentre buona
parte dell’impero durante la sua fase tarda visse un momento di crisi con relativo blocco di
particolari produzioni, la Sicilia in questa fase registrò un notevole aumento della produzione
economica. Lo sviluppo dell’economia isolana fu determinato poi da un’accresciuta domanda dei
mercati romani e di altri eminenti centri italici
La differenza sostanziale, che rappresentò inoltre il motivo di una grande crescita economica, fu
determinata, a differenza del periodo tardo repubblicano e primo imperiale, dell’esclusione
dell’isola dagli obblighi annonari con relativa liberalizzazione commerciale, una sorta di manna per
i grandi latifondisti imperiali. È questo, di fatto, il periodo storico delle grandi tenute tardoantiche
delle campagne sicule, delle quali la villa del Casale sita in Piazza Armerina rappresenta la
sublimazione.
A partire dal IV secolo, la Sicilia entrò decisamente e attivamente nell’orbita degli interessi
dell’ormai fragile sistema imperiale, poiché divenne innanzitutto un’importantissima base strategica
verso l’Africa. L’isola divenne poi un serio appoggio nei periodo di stabilità politica, per i traffici ed
i transiti delle merci nel Mediterraneo centrale da e verso Roma, ed infine mantenne la sua
importanza come fonte alternativa in sostituzione della mancanza straordinaria di vettovagliamenti
che dovevano giungere dall’Africa verso l’ annona allorquando carestie, difficili condizioni
metereologiche o scorrerie barbariche bloccavano le esportazioni dall’Africa133
.
Nell’ultimo secolo dell’impero ci fu quindi una vera e propria metamorfosi della vitalità economica
132
Il primato delle esportazioni cerealicole verso la nuova capitale va, come lo era stata precedentemente per Roma,
all’Egitto provincia proprietà diretta degli imperatori fin dalla battaglia di Azio del 31 a.C. 133
Cracco Ruggini 1980, pp. 487-489
Page 67
67
isolana: in parte dovuta sicuramente al ruolo assegnatogli da Diocleziano in seguito alla riforma
amministrativa, in parte allo spostamento degli interessi centrali verso Costantinopoli, che
determinarono un isolamento dell’antica capitale colmato con l’apporto socio-economico
dell’Africa e della Sicilia. Specchio sociale di questo rinnovato fervore economico ci giunge ad
esempio dal sopra menzionato e sfarzoso complesso di Piazza Armerina (En) conosciuto oggi come
Villa del Casale. In questo sito sono rintracciabili tutti i prodromi della situazione storica dell’isola,
in quel dato orizzonte cronologico. Questa grande domus svolgeva appieno il ruolo territoriale di
“piccola città”, la funzione pubblica svolta dalla villa stessa con i suoi svariati ambienti di
rappresentanza avvicinano la costruzione più ad un palazzo reale che ad una residenza privata134
. A
livello produttivo, in questo dato periodo sembra subire una sorta di sollevamento la produzione
vinicola siciliana, fonte da sempre di importanti rendite, poiché vi era stata una crisi nelle
produzioni sul suolo italico135
.
Nel 411 d.C. la Sicilia viveva un periodo di relativa tranquillità mentre buona parte della pars
occidentalis era flagellata dalle invasioni barbariche. L’isola in quel determinato periodo storico
veniva definita “getarum genetrix” poiché, insieme alla Sardegna, rappresentava una delle arterie
dalle quali affluivano i necessari beni di prima necessità per Roma e l’ Italia, i vandali cercarono
sempre, con alterne fortune, di tagliare queste vie commerciali di vitale importanza. In quell’anno
fu promulgata un provvedimento ad opera di Valentiniano III, che confermava per i suoi abitanti,
l’esenzione dal’ aurum tirocinium, provvedimento sospeso nelle altre provincie per le devastazioni
barbariche. Molte famiglie proprietarie terriere in Italia intanto, a causa dell’aggravarsi della
situazione socio-politica, decisero di abbandonare la penisola, devastata dai barbari, per rifugiarsi in
Sicilia. Notizia di questa trasmigrazione ci giunge direttamente dalla “Vita di Santa Melania”, la
famiglia della futura Santa trovò infatti rifugio dalle orde vandaliche in una villa sulla costa
tirrenica sul messinese. La posizione panoramica della villa prossima alla spiaggia, secondo il tipico
schema della villa marittima connessa ad una grande tenuta, era amplificata dalle decorazioni
marmoree e musive ricche in ogni loro forma136
. La pax fu bruscamente interrotta dalle razzie,
giunte fin nell’isola, operate dal Vandalo Genserico nel 440, egli assediò Palermo dopo aver preso
Lilibeo. I vandali, probabilmente, furono attratti sull’isola dalle grandi ricchezze di città come
Catania, Siracusa, Lilibeo, Palermo ecc. L’obiettivo ultimo dell’orda vandalica fu la razzia, tant’è
vero che consegnarono l’isola, iure tributatio, nelle mani di Odoacre quando quest’ultimo, con la
consegna delle insegne imperiali a Costantinopoli, pose fine convenzionalmente nel 476 d.C.
134
Pensabene 2010, pp. 7-12 135
Cracco Ruggini 1980, pp. 490-491 136
Manganaro 1959-60, p. 21 ssg.
Page 68
68
all’esistenza dell’impero romano d’occidente137
.
L’isola, estremamente provata e ferita, fu esentata dal pagamento tributario successivo d’epoca
teodoriciana138
. In conclusione, è possibile affermare che durante l’intero arco del dominio romano,
la Trinacria visse un periodo di sviluppo economico notevole soprattutto allorquando il sistema
romano iniziò a vacillare dal medio impero in poi. La posizione geografica, invidiabile, rese lontana
in parte la Sicilia dalle vicende del limes, questo non poté che giovare al grande latifondo siculo,
così bene impiantato da essere “estirpato” da questa terra solo con la fine del regno borbonico nella
metà del XIX secolo.
137
Clemente 1980, pp. 475-478 138
Portale 2004, pp. 8-11
Page 69
69
IV La Sicilia meridionale: approdi commerciali
Centro economico mondiale dell’antichità, la Sicilia ha costituito sempre un punto focale negli
interessi socio-economici europei. Le rotte commerciali, che nei secoli anno visto l’isola come
primo punto focale dell’economia mediterranea, hanno riguardato i più svariati prodotti: dalla
ricercatissima ossidiana di Lipari, fino alle granaglie che alimentavano l’Urbe. Il ruolo commerciale
dell’isola non si perse con la fine del mondo antico, anzi si ebbe un periodo di floridezza
sconosciuto per altre province dell’ormai ex-impero romano.
L’isola è costellata da una serie di approdi naturali, gli stessi che attirarono l’attenzione di
navigatori greci e fenici durante l’epoca antica.
La navigazione antica si avvaleva di situazioni portuali estremamente diverse dalle nostre, tant’ è
vero che erano sfruttatissime baie e estuari fluviali poiché riuscivano a contenere le ridotte
dimensioni delle imbarcazioni da trasporto. Innanzitutto dobbiamo distinguere due tipi di portuosità:
il limen rappresentante il bacino vero e proprio e l’ormòs costituente solo un luogo di rifugio. I porti
potevano quindi essere interni, cioè ricavati da attività escavative sotto costa, e esterni ottenuti da
costruzioni artificiali che servivano a delimitare altre strutture.
I porti punici e sicelioti avevano sempre queste peculiarità e ogni grande città portuale era
contornata da un sistema di approdi secondari piuttosto notevole139
. La varietà tipologica delle coste
siciliane è notevole: si passa da litorali bassi e sabbiosi ottimi per la tipologia della plagia, fino a
coste alte e rocciose le quali offrivano un ottimo riparo naturale per le navi140
. Il sistema portuale
isolano rappresentò da sempre il primo motore dello sviluppo dell’isola, tramite la sua efficienza
infatti la Sicilia si aprì al mondo antico ed entrò pienamente, con successo nella storia. Nella
trattazione fatta nei seguenti paragrafi è stato scelto un criterio geografico, con una relativa analisi
dei contesti da Est verso Ovest, contemporaneamente si è scelto di inserire siti maggiori ed
“inglobare” nella geografia di quest’ ultimi siti secondari o per così dire minori, legati in qualche
modo con determinati comparti territoriali.
139
Bonora Mazzoli 2002, pp. 1040-1049 140
Uggeri 1968, p. 236 ssg.
Page 70
70
IV.1 Kamarina
Classificazione portuale: Il sito portuale dell’antica città di Kamarina è considerato secondo la
terminologia latina un ostium, nient’altro che un porto sito nei pressi o sulla foce di un fiume, le
foci dei fiumi erano frequentate sia per la loro funzione di sicuro approdo quando risultavano
accessibili, sia per la facilità presente nel fare l’acquata in questa tipologia portuale.
L’esempio più lampante di ostium è recato da un sito che porta un nome pressoché identico; Ostia il
celeberrimo porto dell’Urbe sorto proprio alla foce del Tiber141
.
L’antica città di Camarina si inquadra topograficamente sull’agro immediatamente posto tra il
torrente Ippari e l’Oanis. L'Ippari scorre per 20 km in una splendida e fertile valle e, all’epoca
dell’insediamento della colonia siracusana, era ampiamente navigabile. Questi brevi corsi d’acqua
rappresenteranno sempre una risorsa importantissima ai fini dello sviluppo della città. Il nome della
città può riconoscersi in quello del porto arabo di K.r.ni ricordato da El Edrisi che ne indica la
distanza da Malta. Il sito viene descritto per la prima volta dal Fazello intorno al 1558, egli ancora
riconosce le strutture portuali riguardanti un antemurale142
. Secondo Strabone il toponimo
(Καμαρίνα) indica un sito "Abitato dopo molta fatica" ed in effetti, secondo le fonti, i siracusani
dovettero vincere la strenua resistenza sicula nel 598 a.C. per fondare il loro avamposto in questa
porzione territoriale. La colonia greca, insediatasi su una collina perpendicolare alla costa,
organizzata fin dalla fondazione secondo uno schema di isolati regolari (per scamna et strigas)
mantiene un ritmo e un orientamento in stretto rapporto con la topografia territoriale, conservata
anche poi durante la ricostruzione timoleontea del 340 a.C.143
Gli scavi effettuati sul sito
camarinese hanno messo in evidenza lo sviluppo della polis e le sue diverse fasi. La città, dopo la
fondazione, conobbe due estensioni una nel corso del V secolo a.C. l’altra nel 340 a.C. Una grande
strada mediana, sviluppata sulla cresta dorsale, realizzava l’asse della zona urbana la quale si
estendeva fino alle rive dell’Ippari, in comunicazione diretta con il porto-canale.
Il tracciato urbanistico era completato da tre assi paralleli, queste grandi plateiai misuravano in
larghezza circa 10,70 m. La trama urbanistica era definita da vie longitudinali che delimitavano gli
isolati tramite un ambitus. La lottizzazione degli isolati a Camarina si adatta perfettamente alle
funzioni agricole proprie di questa zona144
.
141
Uggeri, 1968 pag. 236 142
Pelagatti, 1985 pp. 291-292 143
Martin-P. Pelagatti-G. Vallet-G. Voza, 1980 pag. 245-246 144
Martin-G. Vallet 1980, pp. 262-264
Page 71
71
Una sistemazione urbanistica tipicamente ippodamea, questa disposizione degli isolati con vani
aventi un’ apertura su un appezzamento di terra coltivabile, ricorda molto infatti, l’impianto arcaico
di Megara Iblea. Questo dato archeologico, unito ad altre evidenze materiali, ci rimanda in maniera
sicura ad una esclusiva vocazione camarinese per l’agricoltura. Essa può benissimo essere messa in
rapporto con l’importanza della produzione vinicola nella zona145
. L’areale risulta essere piuttosto
popolato a causa della natura geomorfologica del luogo.
Gli scogli di Punta secca infatti preservarono, a mò di frangiflutti, la plaga camarinese dal vento
impetuoso di levante, condizione ideale per lo sviluppo in questo tratto di mare di un’intensa
navigazione di cabotaggio. Il sito portuale, riferibile al contesto cittadino, doveva trovarsi sulle
sponde immediatamente prospicenti la foce dell’Ippari, formando così un sistema porto-canale
molto efficiente. Geomorfologicamente costituì da sempre un facile approdo tanto da sopravvivere
alla distruzione di Camarina ad opera dell’esercito romano nel 258 a.C. Tuttavia dopo la
distruzione dell’abitato perpetrato dai romani in parte fu ricostruito. Il nuovo assetto delle unità
abitative è visibile negli isolati C7 e C8. Il sistema abitativo presenta differenze sostanziali con
quello immediatamente precedente: in particolare il C8 dove è presente anche la “casa dell’altare”.
Essa si sviluppa su un peristilio con stanze che si aprono attorno ad esso. Pregevole e tipicamente
repubblicana risulta essere la decorazione parietale e pavimentale (opus sectile)146
.
La prima memoria storico-topografica della città si ebbe con lo Schubring (1873), egli indicò
ipoteticamente un primo tracciato murario. Le prime ricerche sistematiche sul sito camarinese
ebbero inizio col 1896, fu Paolo Orsi che diresse le prime ricerche sistematiche sul campo. Egli
stesso tracciò un perimetro murario diverso rispetto quello ipotizzato vent’anni prima dallo
Schubring, idealizzò un percorso più ridotto indicando la presenza di un muro trasversale con
andamento N-S, il quale chiude l’acropoli in direzione ovest.
In antico, il fiume Ippari era alimentato da molte fonti, generate anche dalla differente copertura
boschiva che ricopriva l’isola prima dell’epoca moderna147
. Il fiume straripava nel periodo
invernale creando nei pressi della foce una vera e propria area palustre, l’antico lacus camarinensis.
Lo stesso lacus camarinensis era collegato con un bacino interno al porto-canale.
Camillo Camilliani ingegnere portuale del vicerè, nel 1584 segnalò alla foce del fiume, un canale
scavato in maniera totalmente artificiale, adatto per il rifornimento idrico di grosse imbarcazioni.
Con i lavori di bonifica eseguiti alla foce dell’Ippari nel biennio 1905-1907 furono intercettate e alla
fine emersero per buona parte, proprio queste strutture riferibili al porto-canale: furono ritrovati
145
Gabba 1980, pp. 336-337 146
Di Stefano 1996, pp. 34-35 147
Tommaso Fazello nel De Rebus Siculis Decades Duae edito nel 1558, descrivendo la regione interna dell’ager
camarinensis fa riferimento a circa 20 fonti che alimentavano l’ Ippari.
Page 72
72
muri disposti a pettine sulla riva riferibili a banchine, presso la cava di gesso la fondazione a pianta
quadripartita di un edificio circolare (forse una torre di avvistamento) in conci squadrati di pietra
giuggiolena148
e rocchi di colonne149
.
Il Fazello, nel suo studio, individua delle strutture direttamente in mare, probabilmente qui siamo di
fronte a dello opere di contenimento dell’azione d’insabbiamento del mare150
. Durante gli stessi
lavori furono messi in luce due sbocchi di cloache e delle discariche di pezzi architettonici e
fittili151
. Il porto canale di Kamarina fu realizzato assieme alla città già in età greca con importanti
interventi di adattamento della foce del fiume Ippari e dell'utilizzo del lago palude alimentato dallo
stesso fiume in prossimità dello sbocco.
All'imbocco del porto era stato costruito un robusto antemurale al fine di: facilitare l'ingresso delle
navi, evitarne l'insabbiamento che proteggeva il bacino portuale, rompere le correnti che creavano
difficoltà per l'approdo e difendere l’ingresso del porto-canale dal Grecale. Nello studio topografico
del sito camarinese merita citazione il tracciato murario: un cospicuo frammento di muro esiste
lungo il fiume a 200 passi a valle dalla cava di gesso, messo in luce anch’esso dopo le bonifiche di
inizio XX secolo, coincide con il cammino di ronda della banchina sinistra del fiume152
.
Si tratta di una poderosa muraglia sommersa, con un orientamento est-ovest perpendicolare alla
costa, non perfettamente rettilinea, lunga 300 m circa, inizialmente divisa in due braccia che si
attaccano direttamente alla riva e alla costa rocciosa dell'acropoli153
.
Fu costruita con blocchi di parallelepipedi semilavorati d’arenaria locale, con il bordo ben rifinito e
per riempimento fu usato materiale lapideo vario. All’interno della foce del fiume, il porto-canale
era dotato di banchinamenti e varie strutture portuali individuate da paolo Orsi durante le ispezioni
compiute tra il 1904 ed il 1907154
. In questo porto dalle contrade dell'entroterra, fin verso l'odierna
Comiso, giungevano all'ancoraggio della città vino, frumento, olio, che alimentavano un attivo
commercio via mare, i cui riferimenti erano l'arcipelago maltese e i porti del Medio Oriente e della
Grecia. Questo porto fu fulcro di importanti traffici commerciali fino all'età romana, alimentati
anche dalla produzione locale di un vino, il Mesopotamium, particolarmente apprezzato
148
Arenaria tipica della Sicilia sud-orientale. 149
Uggeri 1974, pag. 21 sgg. 150
Pace 1927, pp. 96-97 151
Di Vita 1959, pag. 347. Tra le terrecotte rinvenute durante gli scavi diretti dal Di Vita si annovera il kalypter hegemon
della prima metà del IV sec. a.C. a figura di cavaliere. 151
Portale 2004, pag. 28. Anfore vinarie recanti bolli indicanti la sigla MES e quindi risalenti all’areale di
produzione di questo vino, il Mesopotamium, sono stati trovati sia in ceramica rinvenuta a Pompei che in altro materiale
da Vindonissa e Cartagine 152
Pace 1927, pp. 69-71 153
Di Stefano 1990, pp. 175-177 154
Basile-G. Di Stefano-G. Lena 1988, pp. 69-70
Page 73
73
nell'antichità155
. Alla foce del Dirillo, lungo tutto l’arco costiero sono segnalati una serie di piccoli
abitati rupestri. Il probabile sbocco della plaga Mesopotamio doveva essere l’agglomerato del
Cozzo Ciccirello. I resti di quest’opera sono abbastanza presenti: oggetti fittili, monete varie che
attestano la vita del complesso dal II secolo d.C. fino all’ età bizantina. Furono ritrovati anche resti
di 4/5 ambienti in alzato con pavimenti decorati in opus sectile e pareti dipinte con vivaci
colorazioni156
. La produzione vinicola di questa zona è accentuata dagli innumerevoli ritrovamenti
su materiale anforaceo.
Oltre a indicazioni epigrafiche che attestano l’importanza commerciale di questo vino, risultano
essere decisive le evidenze numismatiche.
Nei primi anni del XX secolo furono infatti ritrovate monete coniate a Camarina recanti, nell’esergo
delle anfore vinarie, testimonianza ulteriore dell’importanza che aveva la coltivazione della vite in
questo settore dell’isola157
.
Quest’importante approdo accolse le navi da guerra di Publio Cornelio Scipione, Emilio Paolo,
Pompeo Magno, Cesare e Ottaviano e soprattutto una vasta rete di commerci con l'Africa e l'Egitto.
Il porto a partire dal 300 d.C. fu usato come caricatore di grano e munito di una torre di
avvistamento a protezione delle frequenti incursioni piratesche. L’ importanza di Camarina è
soprattutto data dalla sua posizione geografica e dalla sua conformazione litoranea. Connessa al
porto stava una baia a sud-est dell’ acropoli perfettamente integrata col sistema porto-fiume della
città. Probabilmente questa baia ospitò lo sbarco degli ateniesi nel 415 a.C. La sua portuosità
permetteva alle navi un costante avvicinamento che a volte, a causa delle cattive condizioni
climatiche, si trasformava in affondamento delle stesse. Prova di quanto detto viene direttamente
dall’innumerevole numero di relitti trovati al suo interno: relitto delle colonne, relitto di Femina
morta, relitto dell’elmo attico, relitto delle lucerne ecc158
. Il relitto delle lucerne ad esempio, fu
trovato proprio al centro della baia nel 1989. Esso recava con se un carico commerciale con circa
sessanta lucerne. Oltre a questo eccezionale carico di lucerne dopo altre perlustrazioni sono venute
alla luce altre evidenze: ex-voto bronzei, un piatto in marmo, la base in bronzo di un candelabro
ecc. Alcune monete poi hanno confermato l’epoca di affondamento dell’imbarcazione (metà del II
secolo d.C. a causa di monete con effige di Settimio Severo, Balbino e Filippo I). Anche il
cronologicamente relitto “mamertino” risulta essere importante per conoscere la storia della città. Il
suo affondamento è datato al 277-278 a.C. durante l’incursione dei mercenari mamertini su
155
Portale 2004, pag. 28. Anfore vinarie recanti bolli indicanti la sigla MES e quindi risalenti all’areale di
produzione di questo vino, il Mesopotamium, sono stati trovati sia in ceramica rinvenuta a Pompei che in altro materiale
da Vindonissa e Cartagine. 156
Di Stefano 1985, pp. 13-14 157
Pace 1927, pp.402-403 158
Di Stefano 1990, pp. 180-182
Page 74
74
Camarina. Il relitto sembra essere carico di evidenze di un certo pregio forse in riferimento del
sacco del tempio del dio Oanis perpetrato dagli stessi mercenari159
. Le fonti storiche poi riescono
come al solito a dare un quadro chiaro della situazione permettendo di capire perché quest’alta
concentrazione di relitti.
Polibio ad esempio narra che nell’estate del 255 a.C. 640 navi romane di ritorno dall’ Africa
trovarono naufragio sulla costa camarinese160
. Litus protagonista nuovamente nel 249 a.C. quando
una tempesta di libeccio investì 920 navi guidate da Giunio Pullo161
. Queste testimonianze
rappresentano due dei più grandi naufragi della storia, consumatesi proprio lungo queste perigliose
coste162
.
159
Di Stefano 1990, pp. 185-196 160
Pol., I, 37. “Colti da una tempesta di eccezionale violenza i romani incorsero in tale disastro…(le navi)… si
sfasciarono si che le spiagge si riempirono di cadaveri e rottami…Non esiste esempio nella storia di un disastro
marittimo singolo più grave di questo” 161
Pol., I, 54 “Le due flotte dei romani, sorprese dalla tempesta, poiché la costa non offriva nessun riparo, furono tanto
gravemente danneggiate…i romani ebbero annientate tutte le loro navi ” 162
Di Stefano 1989, pp. 127-128.
Page 75
75
IV.1.1 Kaucana
Classificazione portuale: Il sito di Kaucana è classificabile come plaga o plagia l’equivalente
del nostro spiaggia.
Topograficamente la situazione che si presenta è quella di un vasto arenile dove le barche potevano
essere tirate a secco. È la tipologia portuale più antica, del resto tutt’oggi la marineria minore
preferisce tirare le imbarcazioni a secco.
Una breve appendice sul sito costiero di Kaucana può risultare interessante poiché esso rappresentò
un fermo punto di riferimento per la navigazione romana e soprattutto tardo-antica dell’area iblea.
Fa parte di una serie di insediamenti dell’arco costiero ragusano, legati all’intenso traffico
commerciale col Nord Africa e con l’arcipelago maltese. I resti dell’ancoraggio tardo-antico sono
distribuiti lungo tutta la costa meridionale della Sicilia ad est di Capo Scalambri163
.
Kaucana è un chorion164
fiorito tra il IV secolo e il VI secolo d.C., sostituì storicamente il decaduto
porto di Kamarina.
Questo sito per l’appunto fu uno dei pochi abitati dell’isola sopravvissuti ininterrottamente da IV al
VII secolo d.C.
Dopo la distruzione di Camarina del 258 a.C., alcuni abitanti dell’antica colonia siracusana decisero
di trasferirsi in questo sito.
Il geografo di età imperiale Tolomeo parla di un sito con questo nome, mentre la testimonianza più
viva ci arriva direttamente da Procopio il quale nel narrare le operazioni della guerra gotica parla
dell’importanza strategica del sito ibleo.
L’area di scavo risulta essere piuttosto vasta, con una dislocazione degli edifici scaglionata lungo
l’intero settore costiero. Il sito, scavato dal Pelegatti alla metà del XX secolo, risulta svilupparsi indi
tutt’attorno al porto. Diverse abitazioni con cortile centrale presentano una sorta di aspetto
“fortificato”. L’ispettrice dell’allora soprintendenza di Siracusa identificò una serie di 25 edifici
disposti sula linea di costa165
.
Il legame stretto con l’Africa in epoca tardo-romana è poi testimoniato della recente scoperta
nell’entroterra del sito di un’iscrizione, in cui è documentata la costruzione di una chiesa voluta da
un certo Cresconius, il nome, di chiara origine africana, testimonierebbe
163
Di Stefano 2004, pag. 173-174 164
Si definisce Chorion non una semplice unità territoriale ma una vera e propria società organizzata, d’epoca tardo-
antica preferibilmente ascrivibile al periodo bizantino. 165
Wilson 2011, pp. 263-264
Page 76
76
una massiccia immigrazione verso il sito costiero siciliano di profughi africani, in seguito alla presa
vandala di Cartagine166
.
Il porto dell’insediamento era adattato forse con la costruzione di un bacino artificiale,
nell’insenatura di Capo Scaramia nei pressi del quale sui fondali è attestata la presenza di relitti
bizantini167
. In maniera più generale possiamo comunque affermare che Kaucana col suo facile
approdo costituì, durante la fase di decadenza dell’impero romano, un caposaldo fondamentale della
rotta Sicilia-Cartagine, passante anche per Malta. Il ricordo storico di Kaucana è legato
principalmente alla sua fervente attività portuale tardo-romana.
I quartieri componenti il chorion di Kaucana, sorsero su un’area mai abitata in precedenza. Le
evidenze del sito ci sono giunte pressoché intatte poiché i ruderi furono, col tempo, ricoperti da una
spessa coltre di sabbia che ne ha consentito una conservazione eccezionale168
.
Tre sono i gruppi dei quartieri sorti lungo la plaga: due di essi sono molto vicini e sono ubicati ad
Est di Punta Secca, il terzo gruppo è sito ad ovest di quest’ultima località in un contesto definito
come San Nicola a torre di Pietro. Il contesto abitativo orientale, nei pressi della contrada di
Anticaglia, presenta ben 25 edifici, nell’insieme raggruppati attorno ad un piccolo complesso
ecclesiastico, la sopracitata chiesa voluta da Cresconio.
A parte quest’ultimo edificio (N. 18), tutte le altre costruzioni hanno una determinazione d’ uso
abbastanza ipotetica. Occorre quindi, al fine di capire come si svolgevano le attività all’interno di
questo sito costiero, fare dei necessari confronti con situazioni apparentemente speculari ritrovate in
planimetrie di abitati Nord-africani. Esempio di quanto affermato, viene direttamente dall’edificio
N. 22; esso non può essere classificato come un’unità abitativa, può invece essere paragonato ad un
complesso africano sito a Tamet el Argub, dove è stata riconosciuta una residenza rurale o un
convento.169
Anche l’edificio N. 19, per le sue caratteristiche, non può essere identificato come una
semplice abitazione, lo si tende a paragonare infatti a edifici specializzati di villaggi siriani coevi,
probabilmente costruzioni pubbliche. Tutti gli altri edifici di questo settore del sito siciliano,
possono invece essere classificati come abitazioni, anche se ognuno di essi presenta peculiarità
differenti. Allo stesso modo degli edifici sopra menzionati, anche le unità abitative possono essere
paragonate alle tipologie presenti in Nord-Africa. Il miglior confronto col contesto Nord-africano
può essere realizzato con il Villaggio di Ghirza in Cirenaica. Il modello interpretativo in questo
166
C. A. Di Stefano 2004, pp. 1214-1215 167
Basile, G. Di Stefano, G. Lena 1988, pp 71-72 168
Di Stefano 1991, pp. 11-12 169
Stucchi 1975, pp. 504-505
Page 77
77
caso sono i gsur170
, modelli edilizi tipici soprattutto della tripolitania consistenti in una sorta di
fattorie fortificate, sviluppatesi tra la tarda-antichità ed il medioevo171
. Le case A e B del villaggio
cirenaico, infatti, sono perfettamente confrontabili con gli ambienti sopra descritti riferiti a
Kaucana, seguenti una disposizione a schiera con ambiente absidato. Il confronto morfologico tra
questi due siti siculo-africani, fornisce un ‘ottima testimonianza dei collegamenti, anche nell’ambito
dello scambio di concetti ideologici, tra Africa e Sicilia.172
170
Cirelli 2004, pp. 377-393 171
Wilson 2011, pag. 264 ssg. 172
Di Stefano 1997-98, pp. 463 ssg.
Page 78
78
IV.2 Gela
Classificazione portuale: Il sito portuale dell’antica Gela posto alla foce del Ghelas può essere
catalogato come porto-canale, una sorta di ostium, anche la città siceliota come Kamarina sfruttava
quest’importante percorso idrografico appoggiandosi ad esso come sicuro rifugio per le
imbarcazioni.
L’epoca timoleontea prevedette lo spostamento del porto dall’odierno fiume Dessueri alle pendici
di Capo Soprano, costituendo quello che nel gergo marinaresco romano viene detto Refugium, un
sito protetto da un promontorio che ostacola l’impeto dei vita almeno da una direzione173
.
Quando i coloni rodio-cretesi, guidati dagli ecisti Antifemo ed Entimo nel 689 a.C. arrivarono, in
questo settore costiero meridionale della Sicilia, furono sicuramente attratti per primi dalla natura
geomorfologica del sito174
. Gela è sita all’interno di un ampio golfo compreso tra Capo Scaramia ad
est e Licata ad ovest
La città antica di Gela, infatti, si sviluppò su un sistema a plateau dominante la restante pianura
presente alle spalle di questo sistema di colline. L’area urbana dell’antica Gela, interessa, infatti la
piattaforma sommitale della collina anonima, parallela alla costa per circa 4 km.
Delimitata d est dal corso del Gelàs e ad ovest dalla zona detta Macchitella, a nord il pendio scende
in maniera piuttosto dolce, mentre a sud in direzione del mare, è notevolmente ripido. Lungo il
litorale si alzano caratteristiche dune dette “”macconi” esse formatesi con l’azione di venti sahariani,
hanno un’importante funzione: proteggere le colture agricole della piana175
. L’estremità ad est del
plateau corrisponde al luogo scelto in epoca arcaica per l’insediamento dell’acropoli cittadina, il
sito di Molino a Vento ospita infatti le strutture sacre della polis geloa.
L’abitato, fino all’epoca classica, si sviluppò sulla dorsale mediana di questo sistema di colline, le
necropoli sulle spianate ovest del quartiere di Borgo fino a Capo Soprano. In epoca timolontea, con
la ricostruzione della città voluta dal “Restitutor Siciliae”, in seguito alla distruzione cartaginese del
405 a.C., il quadro urbanistico e topografico della città mutò notevolmente. L’area delle necropoli e
dell’acropoli furono destinate a quartieri abitativi e il circuito murario fu ampliato notevolmente,
173
Uggeri 1968, pp. 249-250 174
Tucid., VI, 4, 3 175
Panvini 1996, pp. 6-7
Page 79
79
risalgono a questo periodo le imponenti mura timoleontee perfettamente conservate nel tratto di
Capo Soprano grazie all’azione preservatrice della sabbia, che per secoli le ha coperte e protette
dagli agenti atmosferici176
. Gli scavi condotti nel settore occidentale di Capo Soprano diretti da
Paolo Orsi e dopo da altri archeologi, hanno restituito importanti risultati.
Quasi tutti i vani riscoperti durante queste indagini archeologiche erano sigillati da uno strato di
bruciato riferibile alla distruzione di Phintia. I nuovi quartieri avevano un orientamento N-NE e S-
SO sembrerebbero ricalcare l’impianto della città moderna.
Nel settore occidentale della suddetta collina poi sono state ritrovate diverse cisterne scavate in
roccia tufacea a forma di campana molto profonde. Usate come riserva d’acqua per la quale Gela
dovette sempre soffrire la mancanza, il dato interessante in questo caso è la presenza di importanti
decorazioni nella parte sommitale. Altri complessi che meritano un cenno, ritrovati sempre in
questo settore scavato (nei pressi dell’Ospizio di mendicità), sono le “strutture termali” studiate
all’inizio degli anni ’60. Il complesso presentava due distinti ambienti coperti da un tetto a tegole
piane e separati in origine da un muro in mattone crudo intonacato in superfice del quale restano in
tracce le fondazioni. Sono state ritrovate diverse vasche nei singoli ambienti, che a causa di alcune
peculiarità (di nessuna di esse risulta conservata la parte superiore) hanno indotto gli studiosi a
pensare che l’edificio non fu mai veramente completata causa la distruzione del 282 a.C.
La floridezza economica di Gela poco prima della sua distruzione, oltre che da queste tipologie
edilizie si può ben vedere dalla presenza datata al IV/III sec. a.C. di un’importante villa suburbana
scoperta sempre a Capo Soprano in prossimità del mare.
Proprio la vicinanza al mare è indice dell’intenso traffico marino che interessava la polis anche in
una fase discendente. La villa doveva appartenere a ricchi proprietari poiché era caratterizzata da
un notevole sfarzo sia decorativo che architettonico-strutturale.
Gli ambienti erano delimitati da muri di blocchi regolari rivestiti da intonaco colorato in
connessione a pavimenti in cocciopesto.
Quest’ultimo, poi, era interrotto all’ingresso da un mosaico decorato da motivi meandriformi, infine
un vano della villa aveva al centro un impluvium decorato internamente da un ricco mosaico di
tessere bianche. La connessione di questa ricca villa con commerci transmarini e con produzione
agricola avanzata può essere confermata dalla presenza in zona (nell’area dell’attuale Ospedale) di
un complesso edilizio con pianta rettangolare, identificato come una bottega.
Presentava due vani orientati E-O, uno di essi aveva la funzione di cella vinaria poiché furono
trovate diverse anfore vinarie schiacciate. L’edificio e la sua tipologia architettonica ricordano
molto da vicino altri ambienti rurali scavati dall’ Orsi in altri punti della collina; tutto ciò a
176
Canzanella 1990, p. 15
Page 80
80
conferma ulteriore dell’importante ruolo agricolo e artigianale svolto da Gela nella fase pre-
romana177
. Le merci, i prodotti del ricco entroterra gelese dovevano passare naturalmente da un
approdo costiero. Il porto, che faceva capo alla polis greca, doveva essere sito alla foce del fiume
Gela poiché il litorale geloo si presenta piuttosto basso e sabbioso, senza una reale possibilità di
attracco e l’emporio gelese completava l’organizzazione urbana della città antica. Dopo diverse
ricerche è stata chiarita l’antica idrografia del fiume Gela: si credeva precedentemente che il fiume
omonimo della città si diramasse e avesse una “seconda” foce (ipotesi dello Schubring) in seguito
invece è stato chiarito che il fiume avesse un’unica foce corrispondente alla moderna nel settore est
del terrazzo sul quale si sviluppava la citta178
. Lo studio del corso antico del fiume è fondamentale
per capire anche l’ideale sviluppo del porto gelese e il suo legame con la chora della città. Un vasto
settore della zona portuale è stato riportato alla luce in località Bosco Littorio, a sud del piano
dell’acropoli sito sulla bassa collina di Molino a Vento. Per questa fase sono stati rinvenuti alcuni
vani di forma rettangolare orientati E-O, in mattone crudo con intonacatura conservata fin quasi
sempre al piano d’impostazione della travatura. La peculiarità di questi vani è costituita
dall’estrema somiglianza tipologica con alcuni isolati dell’acropoli. La datazione del complesso, a
seguito dello scavo effettuato, ha posto cronologicamente i vani tra il VII ed il V secolo a.C., in
sostanza dalla fondazione della polis fino al periodo classico.
L’insediamento portuale può essere classificato come emporion, poiché data la sua estrema
vicinanza alla foce del fiume si trova vicinissimo alla linea di costa che doveva per forza ospitare lo
scalo della colonia. Prova ne sia che nel mare antistante quella fascia costiera fu ritrovata, durante
un’ispezione subacquea, una nave greca affondata poco prima di giungere nel porto antico di Gela.
Le fonti antiche tuttavia in questo caso non ci vengono in aiuto poiché esse non fanno alcun cenno
sull’esistenza di un porto a Γέλας, solo Tucidide accenna ad una flotta di cinque triremi posseduta
dalla città e mandata in aiuto dei siracusani nel bel mezzo del conflitto con Atene. Questo dato
risulta piuttosto discordante poiché la città doveva avere un ruolo commerciale piuttosto importante
soprattutto per quel ne concerne la produzione agricola della fertile piana alle sue spalle. La
scoperta della nave nei pressi di Bosco Littorio e di altre navi affondate nei pressi di foci dei torrenti
che contornano i campi geloi, rende pressoché necessaria la localizzazione di un porto cittadino
centro di primo smistamento dei prodotti del territorio verso il Mediterraneo179
.
177
Panvini 1996, pp. 106-114 178
Pareti 1910, pp.1-26 179
Le navi greche di Gela sono testimonianze viventi dell’importante ruolo commerciale svolto dalla città siceliota.
I relitti individuati fin ad ora sono 3: il primo, l’unico recuperato fu riportato alla luce durante lavori svoltisi dal 2004 al
2008 a seguito della sua individuazione avvenuta nel 1988. Il secondo relitto, di portata sicuramente inferiore giace sul
fondale a poca distanza dal primo, infine il terzo fu rintracciato nei pressi della foce del Dirillo. Le triremi
appartengono ad un orizzonte cronologico omogeneo, si collocano infatti tra il VI ed il V secolo a.C.
Page 81
81
La nave greca, recuperata completamente nel 2008, ha confermato il dato essendo stata ritrovata
corredata da un carico di materiale di beni di prima necessità: del carico, in parte recuperato anche
nella zona di prua e superficialmente anche a poppa, facevano parte numerose anfore chiote, attiche,
puniche, lesbie, corinzie di tipo A, massaliote e samie: non tutte erano ricoperte di pece all'interno e
ciò fa supporre che sulla nave fossero trasportati oltre al vino, anche prodotti alimentari, come ad
esempio, l'olio. Per il trasporto di prodotti alimentari erano stati utilizzati anche canestri in fibre
vegetali, in parte intessuti con fibre graminacee (come dimostrano le analisi effettuate sui campioni
prelevati) chiusi con bordo di legno cucito a sacco, per il quale era stata utilizzata l'essenza l'essenza
di fico, e ricoperti di pece all'interno180
.
Altro elemento da non trascurare è la presenza attorno a Gela di una rete idrografica importante.
Buona parte dei fiumi e torrenti che contornavano la città erano naturalmente usati come vie di
comunicazione verso l’interno, soprattutto i due corsi principali della zona il Gela stesso ed il Salso
o Imera Meridionale ad ovest, un tempo navigabili, i quali tramite chiatte potevano essere risaliti
portando con se’ tratti di culture transmarine181
. Con la riforma urbanistica timoleontea, e il
consequenziale spostamento del centro cittadino alla zona di capo Soprano, mutò anche il sistema
portuale di Gela nella sua ultima fase. Probabilmente lo spostamento dell’asse della vita
commerciale comportò un riposizionamento portuale, tutto ciò potrebbe essere confermato dal
ritrovamento nei pressi dell’attuale porto rifugio nella zona di Capo soprano, di una struttura
muraria portuale. Essa fu individuata sul fondale immediatamente vicino a quella determinata fascia
costiera; è costituita da blocchi squadrati e si prolunga in mare per circa 100 metri in direzione NE-
SO, probabilmente un antemurale. Lo spostamento della zona di pertinenza delle attività
commerciali comportò anche uno spostamento del sito d’approdo. Altro dato da non trascurare poi è
la continuità storica del sito: esso infatti divenne durante il medioevo sede del caricatore di grano
della federiciana Terranova182
. Il declino della città di Gela coincise praticamente con l’arrivo dei
romani in Sicilia. Le note vicende storiche, riferite alla distruzione di Gela ad opera di Finzia
tiranno di Agrigento nel 282 a.C., rappresentarono la fine dell’importante città siceliota e con essa
del suo sistema portuale. Le prerogative portuali, da quel momento e soprattutto per l’epoca romana
tardo repubblicana, verranno adempite da Finziade, fondata proprio nel 282 a.C. e popolata dai
deportati geloi.
180
Panvini 1993, in “Archeologia viva” (Aprile 1993) 181
Panvini 1996, pp. 54-57 182
Panvini 1996, pp.116-117
Page 82
82
IV.2.1 Calvisiana
Classificazione portuale: La statio Calvisiana era dotata di un approdo, importantissimo perché
in forte connessione con i praedia Calvisiana, queste grandi proprietà latifondistiche che dalla
costa si inoltravano fin quasi sotto l’odierna città di Niscemi. Nell’itinerarium Antoninii, il sito è
classificato come plaga, essa in senso tecnico può essere intesa come lido o spiaggia buona per
l’approdo. Qui le imbarcazioni venivano tirate a secco con appositi verricelli detti pulvini183
.
L’acqua poco profonda ne è la caratteristica principale e ci spiega le espressioni di contrasto ad
portus et plagias.
La via litoranea che da Siracusa giunge a Lilibeo è costellata, soprattutto durante l’epoca medio
imperiale e tardo antica, da un grande numero di stationes o mansiones.
Questo sistema insediativo annovera circa 100 siti censiti che non sempre si accordano come
localizzazione esatta con le varie fonti itinerarie in nostro possesso: itinerarium antonini , tabula
peutingeriana, la Comosmografia dell’anonimo geografo Ravennate ecc.
L’area compresa tra gli odierni territori di Gela e Butera merita di essere indagata specificatamente
poiché rappresenta un punto di passaggio fondamentale nel percorso dell’antica via selinuntina.
Seguendo la direttrice viaria costeggiante il mare, che da est diparte verso ovest, ci si imbatte per
primi nel sito medio e tardo romano di Calvisiana.
Il sito sorge praticamente in una posizione dominante il basso corso del fiume Gela su un ampio
areale comprendente in epoca arcaica il grande santuario ctonio, o Tesmophorion, di Bitalemi
consacrato al culto di Demetra Tesmophora184
.
Il toponimo Bitalemi è una corruzione locale dell’originale Betlemme (riferibile al culto cristiano
ivi insediatosi e tuttora esistente della Madonna di Betlemme), la località in questione si trova su
una bassa collina sabbiosa.
183
Isid., XIX 2, 16. “Pulvini sunt machinae, quibus naves deducuntur et subducuntur in portum”. In Sicilia il pulvino
nel gergo dialettale-marinaresco è detto Argano, esso era frequentemente usato fino ad almeno gli anni ‘60 del XX
secolo.
184
Canzanella 1990, pag. 25: Del santuario sono ben note tre fasi di vita: Il culto è celebrato fin dal VII secolo a.C. fino
alla metà del VI secolo a.C. Furono ritrovate durante le campagne di scavo offerte votive depositate nel terreno. Nella
prima fase il santuario consta di un piccolo edificio rettangolare con orientamento N-S probabilmente usato per
accogliere le donne durante le tesmophorie . Il complesso viene ampliato alla metà del VI secolo a.C. ed infine viene
distrutto da un incendio nella prima metà del V secolo.
Ricostruito vengono creati nuovi sacelli, ma con la distruzione cartaginese del 405 a.C. non verrà più reso funzionale
neanche durante l’imponente opera di Timoleonte.
Page 83
83
Il santuario greco arcaico e la successiva fattoria romana, furono riconosciute dall’Orlandini
durante lo scavo iniziato negli anni ’60 del novecento185
.
Durante le attività di ricerca furono riportate alla luce solo poche strutture riferibili all’età
imperiali, non mancano tuttavia tracce d’occupazione d’epoca Augustea (nello strato augusteo fu
ritrovato un bronzo riferibile ad Agrippa) con alcune monete inerenti a quell’ orizzonte cronologico
e d’età Flavia alla quale sono ascrivibili reperti fittili in sigillata italica tra i quali spicca una coppa
con la firma del ceramista d’età tiberiana N. Naevius Hilarius186
. Dagli ambienti del complesso
provengono anche macine per il grano in arenaria che testimoniano ancora ulteriormente
l’importanza che aveva questo sito per il retroterra agricolo. L’edificio che l’ Orlandini indagò è
attribuibile al III secolo d.C. ed è caratterizzato da muri grezzi, rozzamente squadrati con blocchi
riutilizzati, fondato direttamente sul terreno ed in alcuni punti su strutture preesistenti del periodo
arcaico, probabilmente i corpi di fabbrica si raggrupparono attorno ad un'unica corte centrale.
La fattoria è stata identificata con la statio Calvisiana, citata nell’itinerarium antoninii, a causa del
ritrovamento, estremamente diagnostico, di diverse tegole bollate con dicitura CAL, CALVI(oltre ad
altri bolli con dicitura SAB,PAE e SIRE). La presenza all’interno dell’ipotetico latifondo di bolli con
diversa dicitura potrebbe essere sinonimo di cambiamento nella amministrazione delle figline, le
officine per la produzione d’argilla, le quali erano gestite da privati che gestivano lo stesso fondo.
Il toponimo comunque deriverebbe da un tale Calvisianus corrector Siciliae nel 304 d.C.,
probabilmente un importante esponente senatoriale, forse discendente di quel Calvisius Tullus Ruso
comandante della Classis tirrenica di Augusto e avo di Marco Aurelio.
Il toponimo del praedium deriverebbe direttamente dal nome del suo proprietario, i cui
possedimenti ricadevano in una zona intensamente coltivata a grano che aveva inoltra il grande
vantaggio di avere un importante sbocco sul mare. La statio Calvisiana è citata in questo itinerario
due volte: una come tappa tra Hybla e Agrigento, la seconda volta invece è citata lungo il percorso
per maritima loca sulla via litoranea che da Agrigento arriva a Siracusa. In questa seconda citazione
è indicata come plaga, insieme ad altri piccoli agglomerati siti nei pressi di insenature. La doppia
dicitura non è frutto di un errore, indicherebbe invece l’insieme di due mansiones del cursus
publicus giacenti nei confini di un uguale fundus, esteso fino al mare il cui limite dovrebbe trovarsi
in Contrada Casa Mastro, luogo che ha restituito anch’esso ceramica bollata. La plaga costituiva
nient’altro che l’attracco per le imbarcazioni che potevano così rifornirsi e a loro scelta sostare nel
sito più interno nei pressi della fattoria. Il caso di Bitalemi/Calvisiana è emblematico; ci troviamo di
185
Orlandini Lo scavo del Thesmophorion di Bitalemi e il culto delle divinità ctonie a Gela, in Kokalos XXI, 1966,
pp. 12-16. 186
Panvini 1997, pag. 62
Page 84
84
fronte ad un efficiente emporio piccolo centro di smistamento dei prodotti che dall’interno della
piana partivano verso Lilibeo. Alle spalle del sito infatti si apre una fertilissima pianura, destinata
alla coltivazione del grano e della vite, i commerci da e verso l’africa riguardarono soprattutto
questi beni di consumo.
Del resto, il ritrovamento di una grande serie di ceramica sigillata africana, costituisce un’ ulteriore
conferma del grande flusso commerciale sull’asse Cartagine-Roma che interessava anche questo
piccolo insediamento. Tra i ritrovamenti ceramici da segnalare la presenza di sigillata A in
sottoclassi A1/2, coppe tipo Lamboglia sempre in sigillata A insieme a piatti della stessa tipologia
ceramica, la totalità di questi materiali sono collegabili ai secoli II/III d.C. Per il periodo
immediatamente successivo da segnalare il ritrovamento durante le ricerche di terra sigillata D
(coppe Hayes 81 e piatti Hayes 60). Per il dato puramente commerciale prevalgono le anfore di
produzione africana, iberica e gallica (II/III d.C.) ulteriore conferma del grande traffico
commerciale che interessava questo sito187
. Il praedium di Bitalemi dovette avere un’importanza
notevole nel contesto viario della Sicilia sud-occidentale, anche se i grandi centri per lo
smistamento dei vettovagliamenti rimanevano Agrigento e Lilibeo in forte connessione col vicino
litorale africano.
Probabilmente la funzione portuale della statio Calvisiana poteva essere quella di punto di raccolta
e smistamento dei prodotti agricoli verso i centri portuali dell’isola, in cambio dei prodotti
provenienti dall’Africa, risalendo in parte il corso del Ghelas essi poi potevano essere commerciati
anche nelle zone più interne.
La presenza di questo sito, anche se di modeste dimensioni rispetto la colonia rodio-cretese,
dimostrerebbe che il territorio gelese, anche se privo di un grosso centro come lo era stato per tutta
l’epoca classica, continuò ad essere uno snodo commerciale notevole nella Sicilia sud-occidentale
durante la dominazione romana188
.
187
Panvini 1997, pp.63 ssg. 188
Panvini 1996, pp. 123-129
Page 85
85
IV.2.2 Chalis
Classificazione portuale: la zona archeologica sita a pochi km ad ovest di Gela, presenta
caratteristiche peculiari, diverse rispetto alla morfologia costiera di questo settore territoriale. Il
nome del sito è esplicativo; Chalis ed il termine Cala ricorre nell’ itinerario Antonino solo come
toponimo proprio come in questo caso. Il linguaggio marinaresco latino d’altronde conosce la voce
verbale calare (chalare) che indicherebbe per cala il senso di scalo o approdo189
.
Nel caso specifico del sito nei pressi della torre di Manfria, il toponimo può essere derivato anche
dalla geomorfologia del luogo: il sito che doveva ospitare l’approdo ha una caratteristica forma a
chela di granchio da qui il termine chela potrebbe essere mutuato da chalae, l’approdo dalla forma
a chela di granchio.
Tra le colline di Manfria ed il torrente Comunelli è rintracciabile, sulla via antica che guarda verso
Agrigentum il sito di Chalis. L’identificazione del sito è aiutato dalla topomomastica: in questa
estremità occidentale della piana infatti si trova la Contrada Monumenti, così chiamata perché fin
dal medioevo emergevano dal terreno strutture probabilmente da riferirsi ad un impianto termale.
L’insediamento, oltre a contenere questi resti, presenta un vasto settore di necropoli ipogeiche sulle
balze rocciose. I corredi ceramici qui individuati ed una lucerna africana con rosone sul disco e
ramo di palma inciso sotto il fondo (tipo VIII a I c) hanno permesso di assegnare la datazione delle
tombe al IV-V secolo d.C., periodo abbastanza florido per il refugium Chalis190
. In particolare la
lucerna in sigillata africana nella forma X presenta sul dorso un’iscrizione dedicatoria ai dii Mannis,
cronologicamente assegnabile al IV-V sec. d.C.
In epoca tardo-antica le balze rocciose prospicienti i due torrenti, lo Scozzarella (quello minore) e il
più grande Torrente Comunelli furono occupate per l’appunto da necropoli sub divo e gli ipogeii
usati fin dall’età del del bronzo ebbero un notevole riutilizzo.
Lo schema planimetrico di queste tombe ipogeiche riutilizzate era molto semplice: presentavano
una piccola camera quadrangolare con unico accesso preceduto da un breve corridoi sulla fronte.
La suddivisione interna poi presentava solitamente 3/4 tombe a cassa scavate nella roccia, disposte
longitudinalmente con 1 o 2 tombe occupanti la nicchia, tipologia tipica per le sepolture infantili.
Le necropoli sub divo presenti nel sito di Contrada Monumenti sono costituite da 62 tombe a fossa,
189
Uggeri 1968, pp. 227-228 190
Panvini 1996, pp. 122-123
Page 86
86
scavate interamente nella calcarenite di forma rettangolare o trapezoidale.
L’estensione di questa tipologia funeraria occupa due dossi collinari uno più a est ed uno più ad
ovest distanti 30 metri l’uno dall’altro191
.
La maggior parte delle tombe presenta una spoliazione già avvenuta in antico, inoltre perlopiù
presentano raramente le loro coperture e naturalmente il loro corredo.
Per alcune di esse è segnalata la presenza di copertura in pietra locale, posta proprio ai piedi della
fossa, in altri casi la pietra presente è d’importazione.
Le scoperte, fatte nell’area della necropoli paleocristiana in contrada Monumenti e databili sulla
base delle ceramiche raccolte, confermano la presenza probabilissima, di un grande insediamento,
in parte coincidente con il refugium delle fonti itinerarie e dove le fonti più tarde pongono la Marsa
Al butiri.
Una breve analisi del contesto funerario della zona è necessaria poiché la necropoli era strettamente
legata al sito abitato.
Le strutture della statio infatti erano con molta probabilità contornate dalle necropoli site sulle balze
rocciose. Come è stato possibile intravedere, tramite una serie di ricognizioni superficiali, l’abitato
poteva svilupparsi su un leggerissimo pendio digradante verso la piana, questo dato, seppur
ipotetico, può essere intravisto grazie alla ricca presenza, in questo settore, del sito tra i campi
coltivati a frumento di un innumerevole quantità di materiale ceramico, cronologicamente databile
tra il III-IV secolo d.C. insieme ad elementi architettonici quali tegole coppi e laterizi vari, indice
sicuramente di un’importante presenza antropica.
Il fundus, facente capo alla statio, è da localizzarsi inoltre in un settore costeggiante la S.S. 115
sud-occidentale sicula la quale ricalca in maniera pressoché perfetta il tracciato dell’antica via
selinuntina. Il litorale costiero si presenta poi geomorfologicamente omogeneo, la costa è bassa e
sabbiosa salvo una piccola baia che si apre tra la collina della torre del Camilliani e la località detta
Costa del Sole.
E’ probabilmente all’interno di questa baia che va ad installarsi questo Refugium imperiale. Il
toponimo in questo caso risulta essere alquanto esplicativo.
Con molta probabilità questo sito costiero svolgeva, dopo il decadimento dell’antica Gela e assieme
ad altre località quali Calvisiana, un luogo importantissimo sia per la navigazione sia per lo
smistamento dei prodotti da e verso l’entroterra.
191
Panvini 1996, pp. 97-101
Page 87
87
IV.2.2.1 Appendice: Chalis, i risultati da ricognizioni superficiali.
Il sito in questione è stato indagato con tre campagne di ricognizione superficiale, effettuate durante
il periodo Marzo-Maggio 2012. L’analisi è partita da una prima visione geomorfologica dell’
insenatura che doveva (?) ospitare l’approdo portuale riferibile all’ insediamento interno.
La ceramica individuata nell’arco di queste tre campagne ricognitive, ha permesso di confermare il
dato storico-cronologico sull’insediamento di Manfria: dalla fase castellucciana, a quella greco-
ellenistica fino all’ ultima fase tardo-romana o tardo-antica.
I risultati della ricognizione nei pressi dell’insenatura costiera sono stati piuttosto scarni perché,
hanno sì restituito una grande serie di materiale ceramico, ma assolutamente poco datante in quanto
poco significativo: frammenti vari di ceramica a vernice nera assolutamente poco datante e riferibile
ad epoca ellenistica.
Riferibile forse ad un epoca più tarda rispetto all’orizzonte cronologico precedente sono alcuni
frammenti in sigillata e un fondo probabilmente di una forma piatta con decorazione poco leggibile
ma a fasce (epoca romana).
Ben più interessante dal punto di vista dei reperti, è stata la seconda ricognizione effettuata, in una
zona più interna tra le balze rocciose ospitanti le necropoli ipogeiche e sub divo e la pianura che
guarda i due torrenti Scozzarella e Comunelli.
Questa ricerca sul campo si è distinta in più fasi: la Prima fase della ricognizione ha interessato, il
settore Sud-Est della necropoli, qui tra gli infiniti frammenti ceramici, d’orizzonte cronologico
misto è stato recuperato un puntale di grossa anfora africana.
La rottura del taglio in due lati su tre sembra essere piuttosto recente, mentre la tipologia anforacea
era usata a fini oleari (?) o per fini rituali (ipotesi sostenuta dal fatto che esistono sepolture tarde
all’interno di anfore, tipologia detta ad enchytrismos), la capacità del contenitore ceramico è stimata
attorno ai 67 litri. L’esatta classificazione dell’anfora, tramite confronti, si può avere con le Keay 56
anfore di produzione africana, sui mercati antichi in corrsipondenza di un’ orizzonte cronologico
che abbraccia fine V inizio VI secolo d.C. in stretta connessione con l’abitato tardo-romano.
Questa tipologia anforacea è strettamente collegata alla forma Keay 55.Esistono 3 varianti di essa:
la variante A, la B e la C. La variante A è quella che più si avvicina alla Keay 55,essa infatti
presenta l’orlo molto simile al tipo A di quest’ultima.
La variante B ha un corpo alto e d’aspetto cilindrico anch’esso simile alla Keay 55, si presenta però
con un orlo leggermente convesso, l’ansa appare con un piccolo profilo circolare con sezione
ellittica.
Page 88
88
Infine la variante C si mette in evidenza rispetto alle altre due tipologie poiché è dotata di un orlo
molto pronunciato con una faccia ampiamente convessa, l’ansa è simile alla variante A mentre la
banda decorativa incisa e disposta in una posizione inferiore sotto il collo dell’anfora rispetto alla
prima variante192
. L’orizzonte cronologico di questo reperto può essere trovato a cavallo del V e VI
secolo d.C. prodotto di officine Nordafricane precisamente dall’odierna Tunisia.
La seconda fase di questa ricognizione ha interessato invece il settore Nord-occidentale della
necropoli, anche qui tra gli innumerevoli ma frammentari reperti ceramici è apparsa inserita in una
piccola sezione stratigrafica un grosso coppo con margine non ingrossato di tonalità tendente al
beige di probabile classificazione cronologica ricollegabile ad una fase ellenistica.
Essa vide una fase insediativa che interessò questa porzione orientale della costa gelese a cui tra
l’altro possono essere ricollegati i frammenti di ceramica a vernice nera riscontrati durante la prima
ricognizione e individuati in maniera minore anche in questa zona.
La fase ellenistica infatti ospitò un piccolo insediamento, una sorta di fattoria a produzione locale,
punto di riferimento per la piana circostante.
La terza fase riguardo l’ area che, secondo ipotesi topografiche e geomorfologiche, avrebbe potuto
ospitare il fundus dominato dalla statio facente riferimento all’ormai famoso refugium Chalis.
È stato indagato per prima un settore più a valle coltivato a frumento, esso ha restituito una
notevolissima quantità di reperti ceramici e cosa ancora più importante di materiale da costruzione
(laterizi e coppi soprattutto), tutto ciò tale da far ipotizzare una localizzazione della statio tardo-
romana. Il campo seminato a grano ha restituito coppi romani con bordo ingrossato, un puntale di
spatheion, tre frammenti di TSAD (terra sigillata africana D), dei quali uno di essi sicuramente
rapportabili al V secolo a.C., ed infine un orlo in ceramica di fuoco.
Le attestazioni cronologiche sicure rientrano nel quadro del V secolo d.C., eccezion fatta però per
un ¾ di orlo di anfora greco italica classificabile all’ interno della fine del IV inizi del III secolo
a.C,. ulteriore conferma della fattoria ellenistica citata dalle fonti.
Particolarmente significativo il ritrovamento della base di spatheion, classificabile tipologicamente
come spatheion 1. Questa forma ceramica fa parte dell’industria africana, sono anfore
contraddistinte da un corpo lungo e stretto aveva una capacità sicuramente minore rispetto a forme
come le Keay 55 o 56 stimata all’incirca sui 3,5 litri.
Questo tipo ceramico è contraddistinto da un collo abbastanza lungo ed con orlo estroflesso e due
anse corte applicate su di esso.Keay nella sua classificazione paragona questo tipo ceramico all’
anfora Keay 25,2 a causa delle caratteristiche estremamente simili, anche se quest’ultimo è
192
Keay 1984, pp. 293-300
Page 89
89
leggermente più piccolo193
.
L’ orizzonte cronologico varia tra il IV e l’inizio del V secolo d.C., in linea perfettamente con lo
sviluppo dell’insediamento tardo- antico. La produzione ceramica di spatheia è attestata a Cartagine,
famose sono le officine di Ariana, e nella regione di Nabeul a Sidi Zahruni.
L’ultima fase della ricognizione ha interessato sempre la zona a valle prospicente i due fiumi, in un
settore interessato non da coltivazione intensiva ma dalla presenza di specie arbustive.
Questa piccola porzione analizzata ha restituito anch’essa un quantitativo notevole di materiali:
presenza di coppi romani con bordo ingrossato, anfore africane cronologicamente qualificabile ad
un orizzonte tardo-romano, un frammento interessante di un vaso a listello (tardo-romano anch’esso,
due frammenti di TSAD di cui un databile frammento di orlo riconducibile al IV secolo d.C. di
forma Hayes 59 ed infine un frammento di ben più tarda Late-Roman amphora 2.
L’orizzonte cronologico che qui va delineandosi sembra essere piuttosto omogeneo e si staglia tra il
IV-V/VI secolo d.C. forse addirittura oltre a causa del frammento di L-R 2. Un’ ultima ricognizione
effettuata sul sito, che avrebbe dovuto ospitare le diverse stratificazioni cronologiche precedenti alla
mansio tardo-romana e la mansio stessa, è stata mirata verso la ricerca di veri e proprie evidenze
architettoniche tangibili. Escludendo le strutture già indagate durante i saggi degli anni ’60 e
riferibili ad un impianto termale, sono state identificate ai piedi del settore sud-ovest delle necropoli
dei grossi blocchi estremamente squadrati, appartenuti, per la mole e per la disposizione ipotetica
leggermente leggibile, a probabili strutture murarie smantellate in seguito all’intervento invasivo
antropico avvenuto negli ultimi venti o trent’anni.
Quest’intervento distruttivo è leggibilissimo poiché oltre a questi blocchi squadrati sono visibili sul
terreno grossi blocchi completamente smantellati, riferibili alla necropoli subdivo posta nei livelli
superiori. In connessione con l’individuazione di veri e propri blocchi riferibili a mura e/o edifici,
sono state ritrovate, nell’area ricognita per ultima, una grande serie di materiale ceramico piuttosto
frammentario e poco diagnostico.
Si segnala un frammentino di sigillata italica proveniente dall’areale delle necropoli subdivo a nord-
ovest in un’ area piuttosto pianeggiante, segno evidente di frequentazioni primo imperiali.
Riferibile invece alla Chalis tardo-romana è sicuramente un’ ansetta di piccola brocca sempre sita
nella stessa zona.
Quest’evidenza risulta avere una non certa, ma ipotizzabile particolarità: sul dorso dell’ansa infatti
sembra essere inciso un chrismon, il monogramma di Cristo. L’incisione risulta essere piuttosto
profonda e ben delineata ma la certezza assoluta non è constatabile a causa delle precarie condizioni
in cui versa il reperto.
193
Keay 1984, pag. 212
Page 90
90
Alla fine di queste tre brevi ricognizioni territoriali può essere ricostruito, in maniera piuttosto
ipotetica, in base alla ceramica ritrovata nelle varie porzioni del sito una sorta di disposizione
topografica dell’ abitato. La parte abitata doveva risiedere nella porzione più a levante coperta alle
spalle dalla necropoli sita sulle balze superiori settentrionali, il dato ceramico infatti ci indica una
fitta presenza di ceramica da mensa e da trasporto. La porzione delle necropoli più a valle doveva
ospitare (escludendo naturalmente le necropoli che si trovavano sempre al di fuori di contesti
abitativi) la parte finale del sito con mura poste seguendo l’andamento del terrazzo naturale.
La componente ceramica venuta fuori da questa ricerca in questo settore è risultata essere piuttosto
scarna: sono stati trovati moltissimi frammenti di laterizi coppi e tegole a bordo rialzato, gli unici
frammenti ceramici ritrovati superficialmente sono rappresentati da orli, un’ansa (bollata con una
C?) e alcuni fondi, sono reperti di difficile lettura ma per la fattura della ceramica, l’impasto e
l’ingobbio possono essere classificati tra reperti inerenti alla fase tardo-antica quindi riferibili alla
statio-mansio.
Sola una ricerca futura e più dettagliata del sito in questione e delle sue varie fasi potrà chiarire in
maniera definitiva e alquanto esaustiva lo sviluppo storico-cronologico dell’ insediamento del
litorale gelese. L’unica certezza che emerge da questi pochi dati desunti è l’importanza economico-
commerciale avuta da questo sito durante la tarda-romanità, consequenzialmente alla decadenza,
anzi per meglio dire, alla scomparsa di Gela, soppiantata ad Est dal sito gemello di Chalis,
Calvisiana.
Page 91
91
IV.3 Agrigento
Classificazione portuale: Il porto del quale era dotata l’antica città di Akragas può anch’esso
considerarsi per certi versi un ostium poiché nasce e si sviluppa come porto fluviale sulla foce
dell’odierno fiume San Biagio (Akragas), per una classificazione più precisa e dettagliata però il
sito può essere definito come vero e proprio emporion, termine usato dai greci per identificare uno
scalo portuale interessato da intensissimi traffici, una sorta di mercato marinaresco194
.
La storia della ricerca archeologica ad Agrigento nasce molto precocemente sulla spinta delle
evidenti presenza archeologiche, residuo vivente dello splendore dell’antica Akragas.
Oltre al già ampiamente citato storico saccense Fazello, un’importante lavoro fu svolto dal frate
teatino Giuseppe Maria Pancrazi (1751).
La ricerca metodologica tuttavia va fatta risalire agli ultimi decenni del XVIII secolo, allorquando il
regno borbonico istituì dei distretti archeologici.
L’area urbana della città antica sorse su un pianoro costituito da una banchina di calcarenite, cinto
da ampi declivi da N a S.
A nord il limite è costituito dalla cosiddetta “collina di Girgenti”, sulla quale si instaurerà la città
medioevale, e dalla Rupe Atenea l’acropoli del periodo classico.
Ad est vi è una scarpata rocciosa che domina il corso dell’antico Akragas (odierno San Biagio),
mentre ad ovest il limite è formato dal ciglio roccioso dominante il corso dell’ Hypsas (odierno
Drago).
Limite meridionale invece è composto da una paleo riva sulla quale sorsero i templi e a
mezzogiorno della quale si estende una pianura alluvionale sino alla foce dell’ Akragas dove poi
sorgeva il porto della polis195
.
Il sistema stradale in cui è organizzata la zona è di tipo ippodameo: si distendono 4 lunghi cardines
che si andavano a ricollegare ad un grande decumanus forse quello massimo.
Sicuramente la via diretta di comunicazione tra la città alta e la zona sacra dei templi. In questo
sistema di incroci stradali si inserivano i contesti abitativi distinte gli uni dagli altri da strettissime
intercapedini e distribuite variamente negli spazi esistenti tra i cardini. Si notano chiaramente case
di tipo ellenistico, altre hanno atrio di tipo italico circondato da portici e da vani. Sono abitazioni
che ricalcano la tipologia locale: l’uso dei laterizi e del conglomerato tipicamente romani viene
ignorato, il materiale da costruzione presente è costituito invece da blocchi di arenaria locale.
194
Uggeri 1968, pp. 228-229 195
De Miro 1984, pp. 75-81
Page 92
92
Molte unità abitative di questo quartiere dovevano avere una ricca ornamentazione interna,
testimoniata da tracce di intonaco dipinto a livelle delle pareti e resti notevoli di pavimenti musivi
realizzati con svariate tecniche; dall’ opus signinum dell’ultimo periodo ellenistico fino ai complessi
floro-faunistici databili a primi tre secoli dell’impero. Molte case poi presentano resti di scale,
segni evidenti dell’esistenza di piani superiori. Sui cardines si affacciavano botteghe e tabernae,
una di esse, riscoperta, esibisce il banco di vendita della caupona.
Il complesso idrico che regolamenta la regimazione delle acque è piuttosto avanzato. Sono infatti
presenti pozzi, cisterne, canaletti di scolo e cloache. Lo scavo di questi isolati d’epoca ellenistico-
romana contribuì a colmare una importante lacuna storica creatasi dopo la distruzione della città
nel 262 a.C. Questi abitati, tramite l’ azione di saggi mirati, sono impostati su strutture arcaiche,
questo dato ci permette di capire l’impostazione edilizia della città greca ed il suo consequenziale
sviluppo nella fase romana.
La presenza di queste fabbriche, cronologicamente anteriori, fa pensare che il modello insediativo
agrigentino non mutò più di tanto nel passaggio dalla fase classica a quella ellenistico-romana del
III secolo a.C. Fu nel II secolo a.C. che l’impianto urbano subì un notevole cambiamento: le aree
intermedie fra Rupe Atenea e collina dei templi vennero occupate da un’intensa attività edilizia, le
aree con forti differenze di quota furono livellate con materiale di riporto, il tutto all’interno di un
regolare reticolato di matrice romana. L’interesse civico viene spostato all’ agorà in media urbis
sull’altura di San Nicola, mentre l’agorà inferiore riferita alla fase arcaica e classica del sito perde
progressivamente importanza. Essa continuò a recitare un ruolo di aggregazione inerente però forse
solo alle attività commerciali riferibili al vicino scalo portuale, collegata ad essa tramite la già
menzionata porta IV. Proprio questa porta che conduce a mare, secondo affermazione liviana,
immette all’interno della città romana vera e propria196
. Livio nella sua opera ricorda infatti che i
romani, quando nel 210 entrarono ad Akragas, lo fecero dalla porta dell’emporion giungendo presto
nel foro, ulteriore testimonianza dell’importanza che aveva questo scalo commerciale e la sua facile
collocazione topografica in relazione col cuore della città197
. Il porto era un importante approdo
marittimo in un’area sita, probabilmente, tra la contrada Maddalusa e San Leone, più arretrata
rispetto all’attuale linea di costa. Nel XVI secolo Fazello notò nell'area della foce dei saxa
quadrata, individuati ancora nel 1922 dal Caruso-Lanza a sud della chiesa di San Leone. Si tratta
certamente dei resti delle banchine del porto classico che si estendeva lungo le sponde del fiume,
furono poi trovate strutture portuali riferite ad horrea. Il suo porto continuò a funzionare come
196
Fiorentini 2010, pp. 97-101 197
Liv., 26,40
Page 93
93
sbocco di un vasto distretto granario e minerario fino al VI secolo d.C. almeno198
. In epoca romana
lo scavo veniva segnalato dalla toponomastica come Emporium Agrigenti, in un determinato
momento storico lo scavo cominciò a decadere e venne utilizzata come scalo la rada posta poco più
ad occidente, nei pressi dell’ odierna Porto Empledoche. Qui l’insenatura risultava essere molto più
profonda perfettamente idonea agli intensi traffici che coinvolgevano Agrigento. Altre cause
decisive per l’abbandono dello scavo fluviale furono sicuramente una modifica geomorfologica
dell’imboccatura dell’estuario che andò insabbiandosi rendendo difficilissimo l’approdo, inoltre si
registrò un aumento delle dimensioni delle imbarcazioni commerciali. Decisiva fu infine la
possibilità di utilizzare come depositi per granaglie le fosse marnose formatesi sull’altopiano
sovrastante lo scalo. Probabilmente per un determinato periodo di tempo i due scali portuali
convissero autonomamente, e il successivo abbandono dello scalo san leonino sia stato lento e
graduale. L’ultimo termine cronologico in cui viene menzionato l’ Emporium si ha nel VI secolo
d.C199
.
Tornando al sito romano esso presenta strutture da mettere in connessione con la necropoli
romano-cristiana, scavata proprio nei pressi dell’emporio agrigentino.
La necropoli infatti si andò ad insediare in parte su strutture precedenti riferibili ad ambienti
funzionali, facenti capo al sito portuale. In questo misto orizzonte stratigrafico si deduce che
l’abitato costiero è vitale tra il I-IV sec. d.C. successivamente da li in poi la necropoli inizierà a
stringerlo da vicino occupando man mano le altre zone in corrispondenza dell’avanzamento del
mare200
.Con la decadenza dell’Emporium di epoca romana, venne invece utilizzata una spiaggia
qualche chilometro a ponente, dove sarebbe poi sorto il porto dell’attuale Porto Empedocle. La città
fondazione geloa del 580 a.C., ben presto diventò uno de centri più importanti di questo settore
della Sicilia, a causa soprattutto della vicinanza con la fertile Africa cartaginese. La grande
prosperità della comunità akragantina fu determinata soprattutto dalla produzione ed esportazione
di olio ma soprattutto di cereali e vino, nel periodo romano fu poi fiorente l’industria dello zolfo,
basti pensare alle tabulae sulfuris del Museo di Agrigento.
Agrigentum fu l’unica città della costa meridionale a mantenere una certa vitalità economica in
epoca romana201
.
198
Uggeri 2004, pp. 173-174 199
Gibilaro 1988, pp. 25-29 200
Griffo-E. De Miro 1955, pp. 335-338 201
Bonacasa Carra 1987, pag. 34
Page 94
94
IV.4.1 Eraclea Minoa
Classificazione portuale: Il sito portuale di Eraclea Minoa fu posto con molta probabilità, a causa
della geomorfologia del territorio, sul litorale basso e sabbioso sottostante le alte pareti marnose nei
pressi del fiume, l’ Halykos (l’odierno Platani).
Può essere classificato come ostium , cioè come porto sito posto alla foce fluviale, fiume
quest’ultimo sicuramente navigabile per un tratto ab antiquo.
Importante stazione marittima per le rotte commerciali da e verso l’Africa, fattore quest’ultimo
determinato dalla situazione politica di questo settore della Sicilia.
L’antica città di Heraclea Minoa si estende topograficamente su un bianco e marnoso promontorio,
detto Capo Bianco per l’appunto, proteso in maniera pressoché uniforme verso il Mare Lybicum,
con alte e scoscese pareti verticali, in sinistra del Fiume Platani.
Il doppio nome che caratterizza questa fondazione selinuntina per certi versi reca in seno la storia
stessa del sito: Heraclea, come chiaramente ne deduciamo dalla parola stessa, si rifà al culto di
Ercole, molto caro alle popolazioni di stirpe dorico-peloponnesiaca, mentre Minoa si riferisce
chiaramente ad un “passato” cretese.
Dei due nomi il più antico è sicuramente Minoa, esso ci rimanda alla leggendaria venuta di Minosse,
re di Creta in Sicilia alla ricerca di Dedalo.
Il mito contestualizza la morte del re cretese proprio in questo settore della Sicilia, ad opera del re
siculo Cocalo e delle sue figlie202
.
In realtà il substrato storico è ben più profondo, anche se il mito, come sempre, rimane molto
esplicativo.
Esso infatti non fa altro che confermare storicamente intense frequentazioni minoico-micenee nella
zona, contestualizzando tutto nella fase di pre-colonizzazione.
Importante base navale punica durante le prime due guerre puniche, dopo la completa conquista
della Sicila ad opera delle legioni fu insignita del titolo di civitas decumana con i relativi privilegi
sulla tassazione che ne conseguirono203
.
I primi resti della città furono identificati dal celebre storico saccense Tommaso Fazello, quest’
ultimo riconobbe per primo alla destra dell’antico Alico strutture antiche.
202
Diod., IV, 79, 1, 5 203
Diod., XXIII 8; Liv. XXI 35, 3 e XXV 40,11
Page 95
95
Erodoto cita Eraclea Minoa a proposito della spedizione spartana di Dorideo, essa per tutto il V
secolo rimase sottoposta ad Akragas. Alterne vicende storiche la videro sia in mano greca che in
mano cartaginese poiché strategicamente posta sul limes greco-punico.
L’importanza della città era determinata principalmente da una struttura edilizia, purtroppo oggi
poco identificabile, il porto-canale, soprattutto dopo che in seguito alla I guerra punica diventò una
base sistematica cartaginese. Le strutture portuali ad oggi risultano piuttosto mancanti, solo uno
storico cattolicese, Cariselli, segnalò alla fine dell’ ‘800 dopo una grande alluvione, l’emersione di
strutture architettoniche romane sull’argine sinistro. Il tratto di mare antistante la colonia selinuntina
di contro, non ha mai restituito dati significativi. Se si escludono alcuni elmi bronzei.
Nel corso di ricerche archeologiche nel 1995 e tramite l’utilizzo dell’aerofotogrammetria, furono
notate in mare delle ben evidenti anomalie, strutture regolari scavate nella marna ed oggi sommerse.
Esse si spingevano dalla riva verso il largo per circa 200 metri, accanto ad esse furono rinvenute
altre strutture propaganti a destra e a sinistra dal corpo centrale. Spicca poi un elemento
quadrangolare a circa 300 metri dalla riva. Dopo un’ analisi dettagliata viene da escludere la teoria
che vede questo elemento come una sorta di barriera frangiflutti, piuttosto sembra un elemento di
banchina atto allo scalo ad alaggio, certamente strutture annesse all’antico e florido porto-canale di
Eraclea. Interessante poi da notare sono due gallerie di servizio scavate sulla dorsale del
promontorio e comunicanti tra loro; esse servivano presumibilmente , tramite l’uso di argani, a
portare sull’acropoli cittadina i vettovagliamenti che giungevano nel porto senza dover ricorrere ad
un faticoso ed impervio trasporto204
.
La ricerca sistematica sull’ insediamento invece subì un’accelerata ben precedente; alla metà del
XX secolo, quando l’archeologo Ernesto De Miro scoprì il teatro scavato continuamente fino al
1964.
Quest’importante opera era perfettamente inserita nel reticolo urbanistico della città “appoggiato”
su un pendio in direzione S-O. Oggi, come importanti evidenze, oltre al già citato teatro, rimangono
una cinta muraria di circa 6 km, e un settore del quartiere ellenistico-romano a meridione del teatro,
grazie alle campagne di scavo riferite agli anni 1963 e 1964 sono state messe in luce importanti
evidenze. La costruzione muraria risulta essere costruito da un basamento di piccoli blocchi di
gesso e da una sovrastruttura di mattoni crudi conservato solo nel tratto del baluardo alla estremità
NE. La cinta poi è rafforzata da torri quadrangolari e da una circolare, si riconoscono infine poi le
tre porte che davano accesso alla città205
. Alla fase ellenistica del sito è riferibile cronologicamente
uno strato del IV-III secolo a.C., si sovrappone ad esso il cosiddetto strato 1, identificabile con la
204
Macaluso 2009, pp. 196-203 205
De Miro 1989, pp. 240-243
Page 96
96
colonia di ripopolamento voluta da Rupilio al termine della prima guerra servile. Il territorio nei
pressi di Eraclea, poco prima della ricolonizzazione rupiliana era contornato da un grande sistema
di fattorie di medio-grande porzione. Le fattorie rintracciate sembrano essere omogeneamente tutte
della stessa grandezza ed a una distanza di circa 1 km le une dalle altre.
Caratteristica eminente era la loro vicinanza ad una sorgente, la quale permette un
approvvigionamento idrico costante e sicuro. Per certi versi l’opera voluta da Publio Rupilio
comunque, fu una ricostruzione in toto dell’abitato sia in maniera integrale, come nel caso delle
abitazioni site sul fianco della collinetta e realizzate su un grande riempimento, sia impostando le
strutture su più antiche fondazioni (abitazioni della fase cronologica precedente)206
.
Altro dato estremamente importante per capire lo sviluppo storico della suddetta comunità, viene
da alcuni edifici riferibili all’epoca romana quindi contigui al periodo analizzato, addossanti all’
analemmata del teatro, questo dato conferma l’abbandono di questo edificio per spettacoli in
questa fase tarda, e di riflesso attesta la graduale ma inarrestabile decadenza del sito dalla tarda
repubblica in poi207
. Cicerone nel 70 a.C. visitò la città per raccogliere prove sufficienti contro
Verre e quest’episodio risulta importante poiché costituisce un terminus ante quem per definire
l’abbandono della città al volgere del I secolo a.C. suggerito tra l’altro, dall’assenza sullo scavo di
ceramica in sigillata aretina, decisamente un marker stratigrafico per il suddetto orizzonte
cronologico. Altro fattore storico sicuramente da non tralasciare fu il ruolo svolto da Eraclea M.
durante la II guerra servile: essa infatti rappresentò un’importante roccaforte per i ribelli, e
probabilmente con la sua presa e la sua distruzione iniziò la sua fase di decadimento. Nei secoli
successivi un insediamento cristiano viene costruito alcuni km più a nord rispetto
l’insediamento greco-romano. L’ analisi dei contesti insediativi di dimensioni maggiori; poleis,
empori, strutture portuali non esclude di certo nello studio delle dinamiche economico-sociali
l’importanza delle cosiddette ville marittime. L’importanza di eraclea infatti era determinata dal
fatto di rappresentare un importante terminal commerciale per tutto l’entroterra e le zone limitrofe.
La tipologia insediativa della villa marittima prende piede nel contesto isolano a partire dal I secolo
d.C., essa riscuote un grande successo tant’è che il modello è riproposto anche in contesti minori
quali le isole Lipari, Favignana o Ustica208
.
Queste piccole realtà insediative create attorno ad un sistema ben più grande e complesso
costituiscono il simbolo di una ramificazione economica piuttosto avanzata che vedeva nel porto
solamente l’unico step di una grande processo che iniziava nelle campagne.
Oltre alle più volte menzionate ville o fattorie dell’interno esistevano infatti vere e proprie piccole
206
Wilson 1980-81, pag. ssg 207
De Miro 1966, 221-233 208
Bejor 1986, pag. 477
Page 97
97
unità insediative che facevano poi riferimento ad unità superiori e ben più attrezzate.
È il caso della villa scoperta in una zona prospicente il mare nei pressi dell’odierna Realmonte (AG)
in località Durrelli. Rappresenta il più chiaro esempio tipologico di villa marittima in Sicilia, essa
venne alla luce da scavi eseguiti nel 1908 subito ad ovest di Agrigento. In epoca più recente (circa
70 anni dopo lo scavo d’inizio ‘900) il sito è stato ristudiato, ne è scaturita quindi la sua cronologia
stabilita dopo campagne di scavo tra la seconda metà del I sec. a.C. e la prima metà del i secolo d.C.
L’area dello scavo copre una superficie di 50x50 m., durante e operazioni di ricerca vennero alla
luce un gruppo di stanze quadrate o rettangolari con le ultime tre addossate ad un peristilio.
Le stanze a nord del peristilio sono ornate da pavimenti musivi con tessere bianche e nere cosi
come le stanze site ad occidente. La più grande stanza dell’ala nord del complesso presenta una
notevole eleganza: infatti qui è posto di fronte ad essa una fontana semi-circolare di pregevole
fattura sicuramente realizzata in un periodo secondario rispetto alla costruzione della villa stessa.
La disposizione degli ambienti termali dopo gli ultimi interventi di scavo è piuttosto chiara;
innanzitutto bisogna certamente mettere in risalto la decorazione dell’ anticamera d’accesso agli
ambienti funzionali, poiché essa col chiaro rimando alla mitologia marina (opera musiva
rappresentante Scilla e altre mostri ricollegabili alla mitologia marina) non fa altro che accrescere il
legame della villa di Durrelli col mare stesso. Risulta essere molto usato il marmo di Carrara che
arricchisce la costruzione, esso è presente infatti nel pavimento del frigidarium.
L’area dell’ipotetico tepidarium risulta essere ancora sotto studio, all’interno della quale è stata
identificata nella parte nord una piccola fornace. Infine una piccola necropoli completava il
complesso, sita alla sinistra dell’ argine del torrente che lambisce la costruzione ad est del sito
stesso. L’ ottimale posizione del sito, dominante una splendida insenatura, costruita proprio al
limite della spiaggia, l’assenza di una grande serie di frammenti dispersi sul sito, le alte scogliere
che la contornano a nord suggeriscono che più plausibilmente l’abitato fosse più un rifugio di
villeggiatura per i ricchi agrigentini del periodo piuttosto che un’ azienda agricola attiva ed in
collegamento con i porti della zona209
.
209
Wilson 1990, pp. 192-193
Page 98
98
IV.4 Selinunte
Classificazione portuale: Il sito di Selinunte presenta una portuosità del tutto particolare.
Esso sorge, come del resto molti altri insediamenti di questo settore costiero meridionale della
Sicilia, su un sistema fluviale piuttosto articolato.
Come per altri siti anche Selinunte è contornata da due fiumi, oggi piuttosto asciutti ma un tempo
sicuramente recanti una portata maggiore.
I torrenti in questione sono il Gorgo Cottone posizionato ad est, ed il più celebre Modione (antico
Selinus) che scorre invece più ad ovest.
La città fu quindi dotata di due importanti approdi fluviali , proprio essi costituirono la ricchezza nei
secoli della comunità selinuntina, poiché permettevano un ampio flusso commerciale testimoniato
dall’ampio numero di relitti che si trovano adagiati sui fondali nei pressi del litorale selinuntino e
dall’alto numero di ceramica da trasporto presente tra le praterie di posidonia
.
Selinunte, il suo territorio la sua storia e la sua cultura danno, e hanno dato da sempre, l’idea di una
sorta di finis terrae del mondo greco, ed occidentale in genere, di Sicilia.
Colonia megarese del VII secolo a.C., dovette sempre confrontarsi col vicino e bellicoso elemento
punico risiedente a Mothya prima e Lilibeo poi e con l’ancora più vicina comunità elima di Segesta,
continuamente in lotta con Selinus per il controllo territoriale di questa porzione sud occidentale
dell’isola210
.
L’importanza commerciale di Selinunte è testimoniata indirettamente dallo sfarzo sfoggiato dalla
sua acropoli: i templi, le costruzione sacre in generale presentano una fattura notevolmente elevata,
retaggio di una polis ricca e opulenta.
Il ricco entroterra selinuntino permise alla città uno sviluppo economico notevole e la posizione
topografica relativamente vicina alle coste tunisine rese agevoli i contatti col continente africano,
distante solo un centinaio di chilometri. Selinunte si inserisce indipendentemente dalla sua data di
fondazione (650 a.C. secondo Diodoro Siculo e 628 a.C. secondo Tucidide) in una rete di contatti
con una dimensione ampiamente mediterranea, nella quale da tempo risiedevano l’elemento elimo e
quello punico. La fase greca e classica in generale della città sulle rive del Modione è notissima: dai
Grandtour settecenteschi fino agli inizi della ricerca archeologica, coloro che si apprestavano alla
210
Cusumano 2010, pp. 11-15
Page 99
99
visione delle rovine di questa nobilissima città ne rimanevano estremamente affascinati.
Gli innumerevoli complessi templari (tempio A, tempio B tempio C, tempo G ecc.), le molteplici
aree sacre che adornano il pianoro sul quale si erge l’acropoli, tutto il materiale che è stato riportato
alla luce in seguito alle moltissime campagne di scavo sistematico, iniziate soprattutto nel XX,
secolo contraddistinguono in maniera decisiva questo sito.
Settore meno celebre ma allo stesso modo importantissimo della città in questione, poiché vero
motore economico della comunità, è costituito dal complesso sistema portuale.
Bisogna innanzitutto dire che in antico fino a praticamente la fine della classicità, le foci dei due
fiumi che “isolano” il pianoro di Selinunte erano molto più scavate quasi a formare dei rias
lasciando quindi isolato lo sperone roccioso. Oltre ad offrire un eccellente punto di attracco, le baie
offrivano una sorta di imponente difesa naturale, facilitando anche la naturale collocazione delle
mura urbiche211
. I porti furono posti l’uno alla foce del Selinus/Modione, l’altro alla foce del Gorgo
Cottone, luoghi favorevoli ad un attracco sicuro e funzionale. Il tema della portualità per Selinunte è
di vitale importanza: La città greca infatti avrà una competizione agguerritissima con Segesta e
Siracusa, le due rivali per il predominio sui mari, oltre che con la sempre viva ed efficiente
marineria punica. Lo studio attento del sistema portuale selinuntino è ancora poco chiaro ed in fase
di elaborazione, tuttavia hanno aiutato molto in tutto ciò gli eventi naturali; poiché ad esempio solo
grazie alle cicliche onde di piena del Gorgo Cottone, che è stato possibile individuare un consistente
numero di banchine e moli in relazione allo scalo orientale della città. Fin dai primi dell’800 due
ricercatori inglesi, Harris e Angell, poterono notare la presenza di strutture riconducibili ad
un’intensa attività portuale poste alle foci di questi due fiumi. Si trattava in particolare di una
banchina sita sul fianco destro del Gorgo Cottone, descritta e analizzata da altri studiosi di epoche
più recenti a causa delle continue “apparizioni” in seguito a mareggiate o piene. Essa stessa fu
scavata parzialmente alla fine dell’800 dal Cavallari prima e dal Salinas in seguito.
Quest’ultimo, soprattutto in seguito ad un notevole mareggiata, ebbe modo di notare la presenza
oltre che delle grappe plumbee che rinsaldavano i blocchi, anche la presenza di due grossi muri che
tagliavano in due parti la spiaggia, probabilmente opere di contenimento per le esondazioni fluviali.
Gli scavi d’epoca moderna per così dire iniziarono alla metà del ‘900 con la Bovio Marconi212
.
Quest’ultima infatti grazie a ridotti saggi ne approfondirà le conoscenze, identificando ad esempio
un angolo di banchina posto nei pressi del porto-canale213
. Da allora, e del resto da sempre, il mare
ha sepolto e dissepolto i resti di queste strutture portuali sia quelle ad ovest, che quelle ad est, oltre
211
Mertens 2010, pp. 97-99 212
Bovio Marconi 1961, pag. 12 213
Tusa 2010, pp. 219-220
Page 100
100
ad altri ambienti siti vicino le banchine interpretati come magazzini per le attività marinaresche214
.
Il rinvenimento di queste strutture sovrapposte, praticamente in parte a strutture più antiche,
dimostra più fasi di costruzione quindi un’evoluzione stessa del sistema portuale selinuntino.
Per quanto riguarda la situazione archeologicamente documentata del porto occidentale, in realtà
poco sappiamo. Per la fase classico-ellenistica la ricerca si è basata soprattutto sui rinvenimenti
anforacei fatti sul fondale, il complesso può essere configurato come un tipico fondale di porto ma
non si è andati oltre ipotesi congetturali poiché non ci sono dati edilizi diagnostici.
Si conosce invece decisamente meglio la fase romana e soprattutto tardo-romana del porto sul
Modione. Scavi effettuati tra il 2004 ed il 2006 misero infatti in luce un vero e proprio quartiere
marinaro vissuto tra IV e V secolo d.C. Furono identificati un’area sacra con piccola basilica e
battistero annesso, ma soprattutto strutture inerenti a banchine costituite da grossi blocchi con
orientamento Est-Ovest, alle quali si appoggiavano altri muri con posizione Nord-Sud, chiusi a loro
volta all’estremità sud da altri muri con orientamento Est-Ovest.
Un sistema abbastanza complesso con i blocchi del lato sud posti su uno spesso strato di sabbia
protendente verso il mare, ricoperto da uno strato di terra più scuro, interpretabile come il limo
fluviale215
. La messa in luce, grazie a questo recentissimo scavo, di queste strutture dimostra quindi
la presenza di un vero e proprio porto attivo tra IV e V secolo, la cui principale attività commerciale
coincideva (grazie a rinvenimenti ceramici di specifici areali) con l’area Nordafricana e con
Pantelleria. In sintesi si può ben dire che Selinunte dotata di due ricchi porti, basò la sua floridezza
sia per le epoche più antiche che per quelle più “tarde” sulla sua dicotomia portuale.
Il porto sul Modione doveva essere, a causa della maggiore portata di questo fiume stesso, più
importante e funzionale, rispetto al porto orientale anche se le grandi strutture rinvenute nei pressi
del Gorgo Cottone non mettono assolutamente in secondo piano il porto orientale.
La situazione portuale di Selinunte è comunque tipica di altre settori portuali di poleis della costa
meridionale della Sicilia: Camarina, Licata, Agrigento ecc. tutte comunità aventi porti o approdi
costituiti su estuari fluviali. Confronto valido è rappresentato in questo caso da Camarina, li infatti
alla foce dell’ Ippari, si conosce un molo protettivo che doveva proteggere l’ingresso all’estuario,
molto simile per tipologia alla banchina tardo-antica sul Modione216
.
Una breve appendice poi può essere fatta sul tema degli innumerevoli relitti rinvenuti in prossimità
delle coste del litorale selinuntino.
La natura dei fondali sabbiosi con una grande presenza di detriti provenienti dagli estuari dei corsi
214
Purpura 1975, pp. 58-60. Il mare durante la sua azione ha rilevate strutture costituite da ambienti con blocchi
squadrati, sistemati irregolarmente di testa e di taglio privi di legante, probabili magazzini. 215
La suddetta tipologia è definita a “cassoni” cioè con strutture colmate da terra mista frammista a frammenti ceramici
(con datazione al IV/V sec. d.C.), situazione tipica di una banchina portuale. 216
Tusa 2010, pp. 221-224
Page 101
101
d’acqua ha permesso, qui come a Gela, la conservazione di imbarcazioni affondate nel Mare
Africanum, testimoni dirette di un flusso commerciale notevolissimo in questa porzione di Sicilia
traccia indelebile di un’ intensa frequentazione portuale.
Quasi ovunque ci si immerga nel tratto di costa antistante la colonia megarese, ci si imbatte in
evidenze archeologiche importanti. Le acque marine restituiscono continuamente frammenti di
anfore Spatheion, greco-italiche, puniche, dressel 9 frammenti di pithoi e altro ancora.
Siti recanti veri e propri relitti se ne conoscono due: uno nei fondali di Capo Granitola, l’altro nei
pressi di Porto Palo. Il relitto di Capo Granitola è estremamente interessante poiché non è altro che
una tipica nave lapidaria cronologicamente da porre al III secolo d.C. grazie a reperti anforacei del
tipo Kapitan 2, quasi in linea cronologica con le strutture portuali del Modione.
L’imbarcazione trasportava un ingente carico (circa 50 blocchi di marmo); essa naufragò a causa
probabilmente di un grande fortunale che la scaraventò sulla spiaggia, facendo rovesciare il suo
ricco e pesante carico sul basso fondale limoso.
Il secondo relitto perfettamente identificato, presenta un orizzonte cronologico ed una tipologia
strutturale del tutto diversi. Siamo in presenza di un’ imbarcazione datata, grazie alla presenza di
anfore puniche del tipo Manà e di greco-italiche tarde, al II-I secolo a.C.
Ricerche sistematiche sul relitto di Porto Palo hanno permesso di identificare la dilocazione del
carico e tal volta di documentare il contenuto delle anfore. Alcune di esse contenevano tritumi di
conchiglie, utilizzabili come leganti nell’industria edile, altre invece contenevano resti ossei di pesci,
i quali per la loro grandezza non sono riferibili al garum ma probabilmente a prodotti ittici
sottoposti a trattamenti di salatura. I dati pervenuti dallo studio di questo relitto ci permettono di
classificare quest’ultimo come nave da piccole rotte, forse utilizzabile al massimo sulla rotta
Cartagine-Sicilia, a differenza del relitto più tardo di Capo Granitola, il quale si presenta come una
tipica imbarcazione per commerci transmarini su grandi rotte.
In ogni caso, anche se di orizzonti cronologici abbastanza differenti, queste due evidenze
sottomarine ci descrivono in maniera dettagliata il flusso commerciale che interessò questo settore
di Sicilia217
.
217
Tusa 2010, pp. 226-229
Page 102
102
IV4.1 Il litorale selinuntino: Il sito di Carabollace e i flussi commerciali col
NordAfrica
L’ importanza giocata nelle dinamiche dei flussi commerciali da questo settore dell’estremo ponente
siculo è ben rappresentata dai vari siti minori costieri che contornano l’area di Selinunte e più a
nord di Lilibeo.
Una delle ultime ricerche sul campo (campagna di scavo 2006-2007), ha interessato il sito costiero
di Contrada Carabollace a Sciacca, nelle vicinanze dell’omonimo torrente.
Il sito è collocabile in un orizzonte cronologico piuttosto tardo ma il suo studio è risultato piuttosto
esplicativo per capire ulteriormente le dinamiche commerciali di questo settore di Sicilia.
L’area scavata ha riguardato all’incirca una porzione di 1400 m² , sono state distinte all’interno di
essa due fasi ben precise: una classificabile, dopo l’acquisizione del dato ceramico tra la fine del IV
e l’inizio del V secolo d.C., l’altra più tarda identificabile col periodo che va dal V al VI secolo d.C.
Gli edifici della prima fase sono venuti alla luce in maniera piuttosto chiara nel settore nord, su di
essi nella seconda fase s’impostano l’edificio A e quello B separati da un corridoi ciottolato.
Lo schema insediativo del complesso di Carabollace ripete topoi ampiamente presenti sulle coste
siciliane (es. assimilabile col complesso di Kaucana), e allo stesso tempo riflette situazioni
riscontrabili nelle aree siriache già indicate, dove la ripartizione degli edifici risulta funzionale con
finalità di tipo produttivo.
L’ esame condotto sulle varie tipologie ceramiche rinvenute, ha diretto gli archeologi verso i vicini
contesti africani; in particolare sono state rinvenuti manufatti provenienti dall’ atelier di Sidi zahruni,
di Odhuna, di Sidi Khalifa e di Nabeul collocati nella zona del golfo di Hammamet e di
conseguenza testimoni di una fitta rete commerciale soprattutto con questa determinata porzione
della Tunisia settentrionale.
La rotta battuta con maggiore frequenza era quindi quella che andava da Nabeul/Neapolis e
giungeva alla Sicilia nord-occidentale, per fare scalo e rifornirsi ed infine attraversare il Tirreno per
giungere ai mercati di Roma o della ricca Gallia Narbonese. Quest’ultima è un’evidenza
testimoniata dalla perfetta comparazione di reperti ritrovati in relitti del basso Tirreno (Cefalù,
Alicudi ecc.) e ceramica venuta alla luce in seguito alle attività di ricerca. Concludendo possiamo
dire che siamo di fronte a strutture di un piccolo villaggio tardo-romano con estrema vocazione
commerciale sito nei pressi della straboniana Thermae Selinuntinae ed in forte connessione con essa,
poiché il fiume che alimentava le terme doveva essere per forza di cose il Carabollace, data la forte
presenza sulfurea nelle sue acque.
Page 103
103
Questo villaggio, come per altri casi conclamati (Calvisiana, Chalis ecc.), svolgeva il ruolo
d’importante collante tra il ricco entroterra e i commerci transmarini e, a differenza di altri siti, esso
non svolgeva attività produttiva legata alla terra (nel villaggio di Campanaio fu trovato un frantoio)
ma molto probabilmente, oltre al commercio, si praticava un’intensa attività peschereccia
testimoniata dalla presenza di pesi da rete anch’essi di fattura africana218
.
218
Caminneci 2010, pp. 1-14
Page 104
104
V Il caso di Finziade (Licata); da florido porto a città decaduta
In questo grande excursus, che ha interessato la costa della Sicilia meridionale, merita menzione
sicuramente un sito, il quale per diverse vicende, fu protagonista o per meglio dire apripista per la
dominazione romana dell’ isola.
Fondata nel 282 a.C., e per questo motivo classificabile come ultima fondazione greca (più
esattamente ellenistica) di Sicilia, Finziade visse una parabola storica contraddistinta da sviluppo
veloce ed altrettanto repentina decadenza.
Il nome è tratto dal tiranno di Agrigento, Finzia, il quale poco prima della conquista romana
dell’isola, distrusse definitivamente Gela deportandone gli abitanti in riva all’ Imera meridionale
(odierno fiume Salso).
L’origine geloa della comunità, installatasi sul Monte S. Angelo è, comprovata da rinvenimenti
ceramici riferibili a tipologie geloe del periodo, e dal dato storico che vedeva gli abitanti di questa
nuova fondazione come geloi.
Un riferimento postumo alla distruzione mamertina di Gela ci viene direttamente da Cicerone, il
quale nell’ orazione contro Verre, le Verrine219
, parlando delle civitates decumanae egli non nomina
mai la città al contrario dei suoi abitanti i Gelenses, gli abitanti che egli presumibilmente intendeva
residenti a Finziade220
. Plinio il vecchio nella sezione della sua opera comprendente la Sicilia
nomina tra stipendiarii Gelani e allo stesso modo Phintienses creando una grande ambiguità.
Ad ogni modo il ruolo della nuova città, sorta alla maniera ellenistica, cioè su una serie di
terrazzamenti su un colle a 131 metri s.l.m. fu decisivo durante le guerre puniche; essa infatti
costituì un importantissimo caposaldo romano in contrapposizione al caposaldo punico prossimo
rappresentato dalla vicina Agrigento. La storia di Finziade, come d’altronde per tutte le città
litoranee, ruotò attorno al suo florido porto. I romani infatti al tramonto del primo conflitto
vittorioso contro i punici, vollero ringraziare la comunità greca del posto “regalando” ad essa la
costruzione di un grande sistema portuale ottimo punto di riferimento per i commerci
transmediterranei. In questo preciso momento storico, contrassegnato dalla scomparsa di Gela e
dalle difficoltà che stava attraversando la quasi del tutto sterminata popolazione akragantina,
Finziade ed il suo porto la facevano da padrone. Topograficamente poi la città godeva di un sistema
difensivo naturale: oltre ad essere sorta su un ripido colle essa era contornata da un sistema fluviale
doppio, tipico di altre poleis della zona (basti pensare a Camarina o a Selinunte).
219
Cic., Verr. 103; 192 220
Ghizolfi 1991, p. 24
Page 105
105
Vi erano infatti due rami fluviali: il ramo principale del Salso sfociante poco più ad ovest rispetto il
delta odierno, e il cosiddetto Fiumicello ramo secondario sfociante nella baia di Serra Mollarella.
Questi due alvei fluviali costituivano due vie commerciali interne oltre che a veri e propri siti per
approdi e scali. In particolare il ramo principale del Salso ospitava con molta probabilità, seguendo
un modello tipico di altre comunità siceliote, un ostium cioè alla latina un porto fluviale attivissimo
e ricollegato alla navigabilità del Salso, per alcuni tratti, in epoca storica. Il Flumen con molta
probabilità era percorribile fin sotto le alture collinari della Muculufa, in una zona fertilissima e
allo stesso tempo ricca di zolfo, materiale apprezzatissimo all’epoca. Poiché la città si costituì sulla
direttrice viaria che congiungeva Siracusa a Marsala (la via selinuntina) importante punto di
passaggio era costituito dall’ Imera meridionale/Salso: l’assenza di un ponte portava il viaggiatore
a scegliere tra il facile guado alla foce o in alternativa ci si poteva imbarcare su piccole barche dette
giarrette, le quali velocemente attraversavano il corso d’acqua221
. Il porto costruito dai romani in
seguito alla vittoria dell’ Urbe della prima guerra punica, doveva essere sito invece ad ovest del
fiume immediatamente sottostante l’Eknomos/Monte S. Angelo. Quest’ipotesi può essere deducibile
dalla conformazione geomorfologica del luogo e inoltre dalle fonti epigrafiche (una su tutti ci viene
riferita da Diodoro Siculo), le quali ci accennano seppur in maniera minoritaria l’importanza e la
funzionalità del porto. Localmente inoltre la zona che doveva ospitare questo scalo è detta fin
“l’ortu du za saru”, indice toponomastico di un luogo fertile e rigoglioso con sicura presenza
d’acqua. Geomorfologicamente il sito ipotetico di questo porto romano è collocato in una conca
sovrastata da rupi scoscese verso nord e verso ovest, chiusa poi a levante e a meridione da degli
edifici disposti a falce.
Secondo l’ Uggeri quest’insenatura si sarebbe insabbiata a causa del violento moto ondoso
connesso alle forti correnti generate da un molo sottomarino notato anche dal principe di Biscari
alla fine del ‘700 come riporta il Paternò222
. Il sito doveva ospitare un caricatore di grano
estremamente importante per il retroterra. Le notizie più recenti del caricatore tuttavia ci giungono
da fonti medioevali: nel 1154 il geografo arabo Idrisi scrive che la città “havvi un porto al quale
traggono le navi che vengono a far lor carichi”223
.
Nel tratto di mare antistante questo settore sono state rinvenute sette ancore di piombo d’età greca,
un’altra ancora proverrebbe dall’area dell’ ex cine giardino Verbena, zona fortemente interrata nei
pressi della foce del Salso ed infine due silos sezionati durante i lavori per la costruzione della
moderna via Marconi. La vitalità commerciale della civitas continuò anche durante la dominazione
romana; Finziade infatti costituiva un’ ottima testa di ponte per commerciare i prodotti
221
Uggeri 2004, pp. 178-180 222
Uggeri 1968, pp. 54-63 223
Gibilaro 1988, pp.13-20
Page 106
106
dell’entroterra (olio, vino, grano, zolfo, prodotti ittici) da e verso l’Africa soprattutto dopo la
scomparsa del prezioso approdo di Gela.
La presenza di ceramica da esportazione/importazione, soprattutto di tipologia anforacea è un
ulteriore indice di importanza commerciale per il sito sorto solo pochi anni prima.
Naturalmente i rinvenimenti effettuati sul territorio licatese non hanno messo in evidenza solamente
reperti inerenti a quel dato e limitato periodo cronologico, al contrario soprattutto da ricerche
effettuate sull’area collinare di Licata, esse hanno restituito evidenze ben anteriori alla fondazione
di Finziade, testimoni di un passato classico piuttosto ricco come indicato da Diodoro Siculo, il
quale parla dell’installazione, prima della creazione di Finziade, di fattorie appartenute a cavalieri
akragantini. Il vino, da loro prodotto, era di qualità superiore esso lo cita come uno dei migliori e
più pregiati del mondo antico. Questo dato ci permette di ricostruire ampiamente la storia di Licata
ante deductio, poiché ci mostra uno spaccato netto e sicuro della situazione del territorio.
Testimonianze fisse di questi agglomerati agricoli della fase precedente alla fondazione di Finzia,
sono gli innumerevoli palmenti atti alla produzione vinaria che si trovano lungo tutta la montagna di
Licata224
. La decadenza di Finziade fu graduale e molto probabilmente fu dovuta all’ interramento
già menzionato del suo porto e allo spostamento degli interessi economici verso l’oriente, in seguito
alla conquista dell’ Egitto tolemaico del 31 a.C.
.
224
Amato 2012, pag. 25 ssg.
Page 107
107
VI Rotte, merci, uomini : studio dei rapporti commerciali tra la Sicilia
meridionale e Cartagine, tra la tarda repubblica e impero.
I rapporti commerciali tra la Sicilia e l’Africa cartaginese, come già ampiamente trattato in
precedenza, sono attestati fin da epoche antichissime.
Le rotte che collegano le due sponde mediterranee sono svariate e molteplici e toccano praticamente
l’intero settore africano tra capo Bon e il settore meridionale della Tunisia, assieme all’intero
settore meridionale della Sicilia. I capisaldi di queste tratte erano i porti di Siracusa e Lilibeo per la
Trinakria e porto di Cartagine, assieme ad una serie di strutture portuali minori sorti lungo la costa
africana. Tra l’ isola ed il continente africano, oltre ad un braccio di mare largo nel suo punto più
stretto 90 km, ci sono una serie di isole e arcipelaghi che svolgono oggi come allora tappe
all’interno di rotte già delineate. Tra i prodotti esportati dalla Sicilia verso l’Africa oltre allo zolfo e
all’apprezzatissimo vino siculo, vi era un altro materiale molto importante per la marineria, del
quale la Sicilia era un vero e proprio magazzino all’epoca, il legname225
.
Importante ruolo commerciale sulla tratta Sicilia-Nord-Africa aveva poi il sale, l’allume delle Eolie,
forse lo zafferano, il miele e il cuoio, anche se di queste esportazioni non rimangono tracce fisiche
poiché erano contenute in materiale deperibile226
. Punti focali di passaggio per merci e uomini sono
l’arcipelago maltese e Kossyra l’odierna Pantelleria. Già il primo portulano, il periplo dello Pseudo
Scilace riferibile al IV secolo a.C., menziona l’isola quale tappa intermedia tra Capo Bon e Lilibeo.
L’importanza dell’isola, quale scalo marittimo, può essere desunta anche dal riferimento che ne fa
Stabone nella sua opera227
. Pantelleria viene attraversata per secoli da un traffico fitto di navi e
merci, favorito dalla sua posizione geografica favorevolissima. Le anfore ritrovate soprattutto
durante ricerche subacquee, sono la testimonianza più diretta della vitalità economica dell’isola,
dallo studio di esse è desumibile da un lato l’importanza commerciale di Pantelleria, dall’altro la
testimonianza di effettivi consumi in ambito puramente locale, lo studio dell’economia isolana con
quella più in generale mediterranea si intrecciano228
.
225
Vino: Romanelli 1959, pp.217-218; zolfo: De Miro 1982-1983 pp. 319-320 226
De Salvo 2008, pp. 1517-1519 227
Strab., XVII, 3, 6 228
Baldassari-Fontana 2000, pp. 953-989
Page 108
108
Lo studio della sigillata africana nel micro-contesto dell’ isola è risultato decisivo per capire
l’andamento dei commerci e quindi delle importazioni commerciali dall’Africa: sommando i dati
del centro urbano e delle campagne si nota che vi è una presenza massima nel II secolo d.C.,
con un decremento tra III e IV secolo d.C., poi uno stabilizzarsi dei valori tra V e VI secolo, infine
un calo, più o meno sensibile, nel VII secolo d.C.229
Pantelleria non rappresentava l’unico approdo mediano della traversata siculo-africana, la rotta
poteva venire a coincidere infatti con l’arcipelago delle Pelagie e precisamente con la sua isola
maggiore, Lampedusa. La sua posizione geografica, favorevolissima come punto d’approdo per le
navi da trasporto, rappresentava un punto di sosta fondamentale per rifornimenti e vettovagliamenti.
Le prime campagne sistematiche di scavo vennero realizzate dalla sovrintendenza di Agrigento nel
triennio 1985-1988. Nei diversi saggi aperti in svariati punti dell’isola furono ritrovati una grande
serie di frammenti di TSAD, cronologicamente databili tra il III e IV secolo d.C., indice chiaro di un
commercio, anche solo di passaggio, con l’ Africa notevole. Precisamente nella zona dell’odierno
porto poi furono ritrovate grandi vasche, correlate da evidenze ceramiche, ipotizzabilmente
utilizzate come costruzioni per la salagione del pescato. La presenza di ceramica tardo-antica è
indice di una frequentazione ricca e dettagliata almeno a partire dal tardo-romano230
. Malta e
l’economia maltese a sua volta, furono favorite dalla felice posizione strategica tra Sicilia ed Africa,
a differenza di Pantelleria e Lampedusa, l’ altra isola di “passaggio” fondava la sua ricchezza sia
sulle rotte commerciali e sui traffici che quotidianamente la investivano, ma fungeva anche quale
luogo di frequentazione o forse di residenza per illustri personaggi del mondo romano. La sosta a
Malta risultava essere vantaggiosa per i mercatores e gli imprenditori che dal I secolo a.C.
gravitavano in Sicilia ed in Nord-Africa, proprio da ciò nasce il potenziamento dell’arcipelago delle
sue strutture portuali, conferma storica ci giunge direttamente da Diodoro Siculo231
.
L’autore d’origine, siceliota nella sua opera dichiara che i maltesi si erano arricchiti col tempo
grazie alla presenza di emporoi, situazione riferibile sicuramente all’epoca punica ma che può
essere benissimo trasposta alle epoche successive232
. Gli stretti rapporti commerciali tra la Sicilia e
l’Africa ad ogni modo, furono incentivati innanzitutto dalla relativa vicinanza tra queste due terre,
elemento che le marinerie greche e cartaginesi non trascurarono. L’economia siciliana e quella
cartaginese hanno, come facilmente intuibile, delle forti analogie in comune: innanzitutto il clima,
le due rispettive macro-regioni godono infatti di un benessere climatico che ha permesso fin dalle
229
Massa 2000, pp. 948-951. 230
De Miro, 1988-89 pp 231
Diod. Sic., V, 12,1-4 232
Bruno 2000, pp. 1067-1071
Page 109
109
epoche più antiche uno sviluppo socio-economico notevolissimo.
Su entrambe le sponde del Mare Africanum si coltivavano, e relazionando il tutto col presente si
coltivano, le stesse colture anche se vanno fatti dei distinguo su produzioni maggiori e minori cosi
come sull’ import-export all’interno del mondo romano.
Dal punto di vista meramente geo-pedologico la natura del terreno, africano-costiero e siciliano è
pressoché simile. Sia nell’ Africa mediterranea sia in Sicilia sono presenti terreni ricchi di sostanze
minerali e di humus elementi che naturalmente non possono che conferire una certa floridezza al
terreno. Per quanto riguarda la fascia l’Africa cartaginese, oltre alla fertile fascia costiera, risulta
altrettanto, se non più florido, il settore interno vallivo dell’ unico vero fiume di questo settore, il
Medjerda/Bagradas. Quest’area geografica è contornata da una fascia collinare ricca e soprattutto in
antico ben coltivata. Un’analisi dei diversi contesti archeologici della zona attorno al fiume ha
restituito dati piuttosto interessanti: la coltivazione principe, anche osservando la situazione odierna,
risulta essere quella dell’ olivo(v. sopra, cap. I). Proprio la produzione di olio ed il commercio di
esso stesso rappresenteranno il continuum storico-economico tra l’epoca romana e la fase tardo-
antica, prova ne sia il fatto che dal IV secolo d.C. i contenitori oleari per l’Africa settentrionale
diventano “fossili guida”233
. Il grano e i cereali in genere rappresentarono anch’ essi una grande
fonte di ricchezza, visto che dati archeologicamente provati ci dicono chiaramente che l’ Africa
proconsolare soprattutto durante l’alba dell’ impero, quando il collegamento con l’Egitto non era
ancora così diretto come lo sarà successivamente, inviava a Roma i 2/3 del fabbisogno granario
della capitale234
. La Sicilia, con la genesi dell’impero, vide notevolmente ridotte le sue esportazioni
cerealicole verso Roma, tant’ è che nel I sec d.C. essa si limitava a contribuire con solamente l’
1/1,5% alla domanda frumentaria di Roma e più in generale dell’intera penisola.
Cartagine stessa era la più grande installazione portuale della provincia, non deve stupire quindi il
dato storico-archeologico che vuole il convogliamento di tutte le merci o quasi verso lo scalo
cartaginese.
Anche la ricca provincia di Tripolitania e soprattutto l’entroterra lepicitano, per lo stoccaggio e la
partenza delle merci aveva in Carthago un rilevante punto di riferimento, almeno fino
all’imponente porto fattovi costruire proprio a Leptis Magna da uno dei suoi illustrissimi figli,
Settimio Severo.
Durante le innumerevoli campagne di scavo a Cartagine, tra i molteplici isolati scavati, soprattutto
in zone dove sorgevano agglomerati residenziali sono state messe in luce evidenze particolari come
i mulini, elemento che conferma ancora una volta la connotazione produttivo –commerciale delle
233
Palmieri 2008, pp. 1081-1087 234
Gius. Flav., II, 383-386
Page 110
110
comunità nordafricane, anche in contesti cittadini ricchi235
.
Le missioni cartaginesi hanno poi messo in luce una grandissima quantità di materiale ceramico dai
vari saggi effettuati nell’areale della colonia augustea.
Il dato ricavato, ci mostra una dettagliata panoramica delle transazioni ed dei movimenti
commerciali di una delle città più importanti dell’impero, la seconda dopo l’ Urbe nell’ occidente
romanizzato. Fortissima risulta essere la presenza di ceramica africana locale, apprezzata soprattutto
come contenitore oleario e come contenitore di conserve ittiche. Comparando il dato della
stratigrafia cartaginese con quello desunto da contesti ostiensi e principalmente dalle terme del
nuotatore, se ne desume che le importazioni verso la capitale di olio e garum fino alla fine de IV
secolo risultano fitte. Il quadro cambia invece dal V secolo in poi, quando le tipologie sopracitate
scompaiono per dare spazio a contenitori cilindrici con dimensione e volume superiori. Alle
produzioni locali si affiancano ceramiche di tipo orientale, segno d’intensi scambi commerciali con
l’oriente (Grecia, area Siro-palestinese.).
Riassumendo è possibile affermare che dal I secolo d.C., Cartagine risulta inserita benissimo nei
contesti commerciali mediterranei, nel II secolo invece è riscontrabile una fortissima presenza di
ceramica locale, questo fenomeno è spiegabile con la grande crescita economica che investì la
provincia in questo dato momento storico.
La forte economia cartaginese non aveva quindi bisogno in maniera vitale dei prodotti derivati dalle
importazioni, ne deriva un’autosufficienza economica determinata non dalla crisi ma da un’
altissima prosperità che svincolò l’ex capitale punica dalle dipendenze commerciali.
Si assiste quindi, a causa del predominio dell’elemento africano sui mercati, ad una
provincializzazione degli scambi correlata da una meridionalizzazione delle produzioni236
.
La tendenza cambia decisamente nel V secolo d.C.: si riscontra infatti una tendenza al rialzo delle
importazioni, dato indice di un periodo di difficoltà per la comunità africana la quale non era più in
grado di rendersi autosufficiente237
. Risulta opportuno comunque svincolare le esportazioni di
derrate alimentari, liquide e non, dalle esportazioni di ceramica d’artigianato.
Quest’ultima infatti è da considerarsi un altro grande cavallo di battaglia della florida economia
africana, basti pensare che ad un certo punto risultò più economico comprare ceramiche fini da
235
Di Stefano 2010, pp. 557-573. Per Cartagine a seguito di un recente censimento dell’edilizia residenziale, sono stati
censiti ben 28 edifici, di questi solo uno scarso 9% presenta connotazioni tipiche di tabernae, un dato numerico in
ribasso rispetto ad altri contesti cittadini. 236
Panella 1986, pp. 435-436 237
Panella 1983, pag. 53 ssg. Da un quadro sinottico degli indici di presenza dei contenitori da trasporto attestati nelle
stratigrafie della missione italiana a Cartagine risulta impressionante il dato tra la presenza di ceramica africana nel II
secolo (53%) e quella della stessa tipologia nel V secolo (31,4%). Di contro è evidente l’aumento in percentuale della
ceramica orientale nei due dati periodi, si passa infatti da un’assenza di importazioni fino alla prima metà del IV secolo
ad una percentuale totale di Late Roman quasi vicina al 20%
Page 111
111
mensa africane rispetto a ceramiche fini locali238
. Un posto di rilievo è assunto dalle lucerne di
provenienza africana, reperti presenti in maniera considerevole in diversi contesti a partire dal II
secolo d.C. Le lucerne africane si fecero via via strada imitando inizialmente le produzioni italiche,
successivamente si specializzarono creando modelli propri.
Nel grande mercato di Ostia ad esempio, già succitato per il materiale anforico, in età antonina le
lucerne di fattura africana risultano assenti mentre dall’età severiana il dato inizia a crescere
gradualmente.
Le lucerne in TSA furono esportate in tutta la pars occidentalis ed in Egitto, più sporadiche
risultano ad Oriente. Solo in un’epoca successiva, che va oltre l’orizzonte romano, l’età bizantina
esse risultano presenti in contesti orientali a causa della loro simbologia correlabile al
cristianesimo239
.
Venendo allo specifico caso delle esportazioni di questo materiale di pregio in Italia, sono due le
forme maggiormente attestate: la forma X e la forma VIII. Analizzando il contesto siciliano
lampante risulta ad esempio, il menzionato ritrovamento in Contrada Monumenti (Gela) di una
lucerna africana di forma X, evidenza estremamente diagnostica per il commercio di questa
tipologia ceramica. Altro esempio di recentissima scoperta ci giunge dal sito di Monte San Angelo
in Licata, qui le ultime ricerche hanno riportato alla luce una lucerna di chiara fattura africana
all’interno di contesti ipogeici. Si tratta di un grande complesso catacombale, collocabile tra la fase
tardo-antica e quella bizantina.
La lucerna ha la particolarità di avere impressa sulla parte superiore il Menorah, il candelabro a
sette braccia, chiaro rimando alla tradizione giudaica240
. Questi topòs in ogni caso risultano
estremamente presenti nei contesti siciliani sia per la vicinanza geografica tra Sicilia e Africa sia per
i legami storico-economici che da sempre anno contraddistinto le due sponde del mediterraneo
centro-meridionale241
. Oltre alle ceramiche, apprezzatissimi erano i marmi africani nei mercati
imperiali: ancora una volta il rinvenimento di relitti con carichi pesanti fornisce una giusta ed esatta
osservazione degli export africani.
Per la precisione, bisogna analizzare il contesto subacqueo del relitto delle colonne nelle acque
della Sicilia sud-orientale. Il carico dell’imbarcazione era costituito per lo più da materiale
“pesante”, anche se non bisogna escludere oggetti di vero e proprio artigianato artistico come il
vaso metallico intarsiato con pasta vitrea azzurra. La parte più importante del carico risulta però
238
Panella 1986, pp. 445-446 239
Anselmino 1986, pag. 228 ssg 240
I dati di scavo, ancora in fase di studio, sono stati resi noti in via eccezionale all’interno di un convegno svolto
nell’aprile del 2012 a Sciacca e presieduto dal Professor Gioacchino La Torre. Seguirà in futuro a scavo completato, la
pubblicazione dei lavori.
241
Pavolini 1984, pag. 241 ssg.
Page 112
112
essere formata da due grosse colonne, apparentemente ben conservate, provenienti dalle cave di
Chemtou242
.
Si tratta del pregiato e richiestissimo marmor Numidicum, detto anche giallo antico, usato per
diversi fini edilizi a Cartagine243
.
Il carattere economico-commerciale siciliano invece risulta estremamente diverso: nell’isola, dopo
la fase delle eupaleis, si stabilirono col tempo landowners di stirpe nobiliare, con relativi
importanti incarichi a Roma. Essi infatti, stabilirono molte delle loro tenute sull’ isola perché
geograficamente vicini a Roma e all’Italia stessa quindi al centro del potere.
La produzione siciliana si basava su cereali in primis, l’isola era stata per secoli la celeberrima
fornitrice dell’ annona romana, solo con la conquista dell’Egitto tolemaico il suo ruolo fu
ridimensionato, anche se le produzioni continuavano in maniera notevole verso mercati tanto ricchi
quanto meno prestigiosi. Il commercio dei prodotti cerealicoli rimase in mano ai proprietari terrieri
per buona parte dell’ impero, questo fattore fu determinante per la presenza costante dei ricchi
proprietari in Sicilia poiché godettero di una sorta di monopolio commerciale e produttivo.
Il vecchio sistema della decima come indennizzo per le produzioni, che prevalse durante la fase
repubblicana, poi fu abolito e fu sostituito da un sistema fisso di stipendia.
Sull’ organizzazione dell’approvvigionamento granario e sulla relativa esportazione, siamo però
poco informati. La risorsa frumentaria costituiva il sangue che circolava senza interruzione nelle
arterie dell’impero, il suo controllo era fondamentale, poiché la mancanza di essa poteva portare a
delle vere e proprie turbe244
. Il mercato annonario della capitale, e dell’Italia in genere, era schiavo
dei commerci oltremarini, poiché il trasporto dei vettovagliamenti via mare aveva un costo
sorprendentemente minore rispetto al trasporto via terra. Il sistema dei trasporti su scala
mediterranea comportava una grandissima mobilitazione: la stazza media di una nave oneraria
romana adibita al trasporto della res frumentaria, si aggirava teoricamente tra i 50.000 modii
(340/400 tonnellate), in pratica come dire una serie di almeno 800 trasporti dalle province
oltremarine all’ Italia, durante la stagione nella quale il mare era navigabile(fine maggio-fine
settembre).
In sostanza i trasporti erano effettuati anche con imbarcazioni ben più piccole (10.000 modii), con
una mole di trasporti di conseguenza più grande.
Nei porti marittimi il grano veniva poi trasferito su imbarcazioni più piccole dette naves
caudicariae, a Roma ad esempio esse risalivano il Tevere tramite la tecnica dell’alaggio, una volta
242
Parker 1975, pp.25-29 243
Di Stefano 2002, pp. 627-635 244
Basti pensare a tal proposito che Clodio nel 58 a.C. fece passare una legge frumentaria che prevedeva la consegna
gratuita a Roma di una parte del bene, ma le frumentazioni, cioè le elargizioni gratutite di frumento, esistevano da ben
prima ed erano un forte strumento di potere.
Page 113
113
arrivate nei pressi degli horrea le merci poi venivano immagazzinate da personale addetto a ciò e
immesse successivamente sul mercato245
. Sono giunte fino a noi alcune testimonianze epigrafiche,
riguardanti personaggi influenti, sui vettovagliamenti dei beni cerealicoli; un’ iscrizione di Efeso
cita infatti un efesino che aveva fatto un certo tipo di carriera tanto da conseguire il titolo di
Protomagister frumenti municipalis provinciae Siciliae, durante il regno di Domiziano, il
personaggio in questione è un tale C. Vibius Saltuarius.
Alcuni studiosi hanno interpretato il testo collegando il nome di quest’ ultimo come amministratore
del grano prodotto sull’ ager publicus, altri invece lo vedono come responsabile del prefetto
annonario sull’ isola, incaricato di gestire il rifornimento e le spedizioni di cereali verso l’Urbe.
Lo stesso individuo poi è incluso come Protomagister portuum provinciae Siciliae, un ruolo
piuttosto importante e di responsabilità, poiché comprendeva la gestione riguardante le rotte e
l’amministrazione nei porti provinciali.
Durante la repubblica, di contro, non si aveva un unico magistrato incaricato di visionare le varie
situazioni portuali, ma ogni città portuale aveva i propri magistrati per la supervisione dell’ import-
export dei prodotti.
Le tipologie cerealicole maggiormente coltivate in Sicilia e commerciate in tutto l’impero erano
molteplici. L’ importanza dei cerealia la si nota facilmente analizzando la situazione della piana di
Catania in antico: oggi ci appare come un’ immensa distesa di agrumi, all’epoca invece era una
grandissima monocoltura cerealicola. Tutto l’anno l’isola godeva di una produzione cerealicola
costante, tant’è che Plinio nella sua Naturalis Historia menziona diverse specie di frumento: il
triticum ad esempio, seminato in autunno e giunto a maturazione nella tarda primavera (oggi questo
prodotto agricolo copre solo il 2% della superficie agraria della Sicilia). Evidenze nella coltivazione
di questo cereale nelle sue due accezioni, monococcum e durum ci giungono da un deposito del V
secolo d.C. nei pressi della località di Montallegro (AG). Altre due varietà, dicoccum e triticum
comportum sono invece state identificate nella Sicilia orientale assieme ad attestazioni di orzo e
miglio. Altra fonte di ricchezza era sicuramente costituita dalla coltivazione della vite e dalla
produzione relativa del vino. Le fonti cosi come per i cereali, parlano di una innumerevole quantità
di vitigni dalle quali si ricavano tipologie vinarie differenti.
Nel nord-est dell’ isola veniva prodotto il Mamertinum, classificato da Strabone come il più grande
rivale dei vini italici, era ricercatissimo non solo a Roma ma anche sui ricchi mercati africani.
Il vino dell’ agro di Taormina era secondo Plinio spacciato per Mamertinum ma non aveva le stesse
qualità enologiche del primo. Nelle zone più interne era prodotto poi il Murgentinum, proprio nei
245
Per Alaggio s’intende una tecnica di traino su terraferma di una suddetta imbarcazione, poteva avvenire manualmente
o tramite l’utilizzo di forza animale, celebre è la rappresentazione che fa di questa tecnica Orazio nel libro V delle Satire
(V, I, 5, 3-26 ) durante il traino in notturna della piccola chiatta sul decennovio.
Page 114
114
pressi della città di Morgantina. Un vitigno famoso per gli esperimenti agrari subiti in epoca
repubblicana al fine di farlo impiantare in Campania, altro elemento che testimonia la ricercatezza
del vino siciliano nel mondo romano. Il Mesopotamium era un vino conosciuto ampiamente e per
questo citato spesso dalle fonti.
Era prodotto nella zona compresa tra Gela e Camarina, detta per l’appunto Mesopotamio in un
ricco e fertile areale compreso tra il fiume Dirillo e l’ Ippari246
.
Attestazioni del commercio di questo vino ci arrivano perfino d’ oltralpe e precisamente dal sito di
Vindonissa in Svizzera. Interessante infine, per il dato economico-commerciale, è un Titulus pictus
scoperto durante lo scavo di un settore abitativo proprio a Cartagine che ci permette di capire
ulteriormente le importanti relazioni tra Sicilia e Africa Proconsolare. L’ opera reca la data
consolare del 21 a.C. ed il probabile latifondo di produzione AV[…] ed infine il nome di tale
Afranius Silvius.
Questo personaggio citato era sicuramente il navicularis dell’ imbarcazione che trasportava il
carico ma potrebbe essere anche il nome del proprietari del latifondo, anche perché un altro Afranio
è ricordato su un bollo anforaceo proveniente dal territorio di Mineo (CT), dove probabilmente è da
collocarsi il fundus. Tutto ciò non può apparirci strano poiché molto spesso il navicularis e il
mercatores erano figure coincidenti, a seconda dei contesti l’individuo poteva presentarsi come
meglio gli conveniva. Questione annosa da sempre battuta risulta essere quella della partecipazione
diretta di senatori ai traffici marittimi anche dopo l’interdizione di Claudio del 218/219 a.C.
(plebiscitum claudium). Esiste infatti una forte confusione tra i vari membri che componevano l’
“organigramma” marittimo. Per individuare gli uomini attivi in questo settore di grande aiuto sono
stati i vari ritrovamenti subacquei: ceppi d’ancora, tituli picti ecc. i quali se bollati, hanno permesso
di identificare i protagonisti delle rotte mediterranee. Tra i numerosi operatori dei commerci
transmarini moltissimi erano liberti ed in qualche caso anche gli schiavi. Forse i più virtuosi tra essi,
i quali agivano anche con una discreta autonomia. Esempio lampante di quanto affermato in
precedenza viene direttamente da due ceppi d’ancora recuperati nel mare antistante Palermo e
Cagliari: i reperti riportano incisi il nominativo Nicia Villii L(uci) s(ervus), vivida testimonianza
della parziale autonomia della quale godevano queste figure grazie all’actio institoria247
. Molte
volte essi erano legati a gruppi familiari abbastanza noti come gli Utii o gli Iunii narbonesi, per non
parlare dei Calpurnii puteolani248
.
Le rotte maggiormente battute dalla marineria romana erano molteplici, il mare era il luogo principe
per eccellenza su trasporti a vasta scala, era una sorta di grande autostrada dove merci e uomini
246
Wilson 1990, pp. 190-191 247
Hesnard-Gianfrotta 1989, pag. 437 248
Gianfrotta 2007, pp. 65-66
Page 115
115
comprese le idee viaggiavano a passo più spedito. Sicuramente però la navigazione, soprattutto
quella ad ampio raggio presentava delle grosse difficoltà; i rischi incombenti erano il naufragio con
la perdita di uomini e del prezioso carico, era consuetudine infatti affidarsi a numi tutelari per le
navi che solcavano i mari, a tal proposito proprio il satiro di Mazara, splendida evidenza
archeologica dei mari siciliani, potrebbe rappresentare un vivo esempio di nume che “vegliava” sull’
imbarcazione secondo la tesi del Di Vita249
. Ad ogni modo gli armatori erano consapevoli della
perigliosità della navigazione, ecco perché Claudio nel 51 a.C., dopo un feroce malcontento
popolare per la mancanza di frumentò, cercò di stimolare i viaggi transmarini anche durante periodi
dell’anno piuttosto proibitivi (il cosiddetto mare clausum, da ottobre ad aprile.), tramite contratti
ricchi e vantaggiosi per gli armatori.
Fece infatti da assicuratore alle perdite subite dai navicularii in seguito ad un ipotetico naufragio,
assicurando agli stessi armatori che trasportavano carichi superiori ai 10.000 modii dei privilegi
dopo 6 anni di servizio (ius Quiritium).
Una delle rotte maggiormente battute e trafficate era quella che collegava l’Africa, e soprattutto
Cartagine, con l’ Italia e nello specifico la Sicilia, la prima vera testa di ponte verso la penisola.
Selinunte, a causa della sua posizione geografica, protesa cosi come Lilibeo verso il continente
africano era una delle poleis siceliote, ed in seguito in epoca romana il sito costiero di Thermae
selinuntinae, più legata ai contesti africani. Anche Akragas non era sicuramente da meno essa infatti,
secondo la testimonianza di Diodoro Siculo, vendeva con profitto fin dal V secolo a.C. ai mercati
africani olio ma soprattutto vino250
. Con l’arrivo dei romani comunque i rapporti diretti tra le
popolazioni africane e siceliote diminuirono, data la prepotente intromissione dei mercatores italici,
di contro però nel periodo repubblicano le relazioni economiche subirono un forte stimolo e nuova
linfa dalla situazione venutasi a creare in seguito alla distruzione di Cartagine del 146 a.C.
La conquista totale e diretta dell’Africa unita alla creazione della provincia dell’ Africa Nova, attirò
nella prima capitale provinciale, Utica, e ne suoi porti principali, gruppi di equites romani. Costoro,
dovendo spesso toccare i porti di Sicilia per raggiungere l’Africa, inserirono ben presto l’isola
all’interno di importanti e vitali rotte mediterranee. Giunsero quindi anche in Sicilia gruppi di
latifondisti italici e romani, si venne a creare quindi uno sviluppo socio-economico tra le due
sponde del canale di Sicilia, legate ora come non mai da un unico filo conduttore, Roma.
Dopo le guerre puniche furono quindi speculatori privati a mantenere in vita contatti tra le due
249
C. A. Di Stefano 2004, pp. 84-85. Secondo la tesi del Di Vita (A. Di Vita, A. Di Vita, Il Satiro di Mazara era una
“tutela”?, in Archeologia del Mediterraneo. Studi in onore di Ernesto De Miro, Roma 2003 ) il ritrovamento effettuato
nelle acque sicule dovrebbe riferirsi ad un nume tutelare poiché esso presentava all’interno del calcagno sinistro un
incasso quadrangolare per l’alloggiamento della testa di un tenone di sostegno che doveva assicurare la gamba sollevata
ad un supporto. 250
Diod. Sic. XIII, 81, 4-5
Page 116
116
realtà continentali. Il governo romano incentivò la produzione granaria in Sicilia, il proconsole
Levino contribuì a far diventare la Sicilia la cella penaria dell’ Urbe, la monocoltura cerealicola
influì notevolmente sulle tipologie agricole della penisola italica poiché le coltivazioni della
penisola da questo momento si indirizzarono verso la vite e l’olivo.
L’isola perse il suo ruolo di principale esportatrice frumentaria verso Roma, sostanzialmente per
due motivi vicini cronologicamente: innanzitutto in seguito alla guerra scatenata dal ribelle figlio di
Pompeo, Sesto Pompeo che sospendendo gli invii verso la capitale ne fece vacillare il ruolo di cella
penaria, e successivamente altro fattore determinante per la perdita della leadership commerciale
nel settore frumentario fu la battaglia di Azio e la relativa conquista dell’ Egitto nel 31 a.C.
Essa si liberò da quella forte condizione di dipendenza economica che l’aveva contraddistinta per
due secoli, la nuova situazione permise infatti all’ isola di riallacciare o rinsaldare gli storici legami
economici che da sempre l’ avevano contraddistinta con i territori oltremarini africani.
Le rotte e le direttrici commerciali preferenziali tra i due territori vanno ben analizzate, poiché le
differenti posizioni geografiche nell’ isola e nel settore africano favorirono rotte più o meno
vantaggiose, a seconda della collocazione di ciascun sito.
La tendenza preferenziale della Sicilia orientale fu naturalmente verso la Tripolitania e verso la
Cirenaica.
La porzione occidentale dell’ isola invece si rivolse verso i più vicini mercati dell’ odierna Tunisia
concentrati attorno a Cartagine e alla sua area limitrofa. Si vennero quindi a creare due direttrici all’
interno di un’unica grande via di comunicazione, all’ interno della quale, i rapporti tra Sicilia e
Africa in generale, appaiono come il frutto di un’ integrazione dovuta a secoli di contatti piuttosto
che come la conseguenza di un semplice ponte commerciale, relazionabile anche ai bisogni dell’
Urbe. Prova di ciò può essere costituita dal fatto che il collegamento-ponte tra i due territori, entrati
nell’orbita dei più facoltosi cavalieri romani, era una conseguenza ovvia della loro vicinanza
geografica, ma di contro, la funzione di ponte commerciale non è assolutamente avvalorata dal
fatto che l’isola e l’ Africa del nord ebbero contatti fitti anche quando quest’ ultima fu avulsa a
Roma.
La fase post-Azio vide il sempre più decisivo e convinto inserimento della Sicilia e del contesto
siciliano in genere, pienamente con l’orizzonte africano più che con quello italico.
Alcuni provvedimenti imperiali del resto ci permettono di capire in maniera chiara e precisa queste
dinamiche socio-economiche.
All’ interno di questo processo storico va innanzitutto inclusa la scelta di elevare al rango di colonie
da parte di Augusto, tra il 21 e il 22 d.C., stanziandovi gruppi di suoi veterani, le città di Siracusa,
Tindari, Taormina. Catania e Termini.
Page 117
117
Questa mossa politica non era destinata a rimanere fine a se stessa, Augusto infatti dopo
l’esperienza avuta pochi anni prima in seguito alla guerra contro Sesto Pompeo, aveva capito che il
possesso ed il controllo stesso dell’ isola passava dal pieno potere dei suoi principali porti, chiavi di
volta di un unico sistema. Potenziando le città portuali principali e le loro strutture, egli si volle
garantire la massima sicurezza possibile sull’isola. Lo stesso piano politico fu sviluppato per il
settore costiero nord africano: la volontà di assicurare protezione alla provincia da parte di attacchi
esterni, fece aumentare il numero di colonie sulla penisola di Caput Bellum, da due a quattro.
La presenza delle quattro colonie era importante, anche perché con questa disposizione Capo Bon
così proteso verso l’ isola non poteva essere usato da eventuali nemici dell’ impero come base di
partenza verso la Sicilia o peggio verso l’Italia. È facilmente deducibile quindi il legame militare-
strategico, oltre a quello puramente commerciale, che giocavano questi due territori, il loro
rafforzamento ed il potenziamento di strutture militari garantiva la sicurezza nell’ intero
Mediterraneo centrale.
Cesare stesso ricorda d’altronde che senza il possesso della Sicilia e dell’ Africa, considerate come
un unicum, era pressoché impossibile difendere Roma e l’Italia.
Altro episodio che ci permette ancora una volta di più di capire il forte legame, generato non solo
dalla vicinanza geografica, è fornito da un episodio avvenuto nel 68 d.C. nell’ambito del cosiddetto
bellum Neronis251
.
Si tratta di un’ emissione monetale, avvenuta sotto l’egida dell’ auto-proclamato propretore d’Africa
Clodio Macro. La moneta emessa presentava al dritto il busto di Cartagine e l’iscrizione
CARTHAGO mentre al rovescio l triquetra con testa di medusa al centro e tre spighe di grano con
l’iscrizione SICILIA. Molti studiosi hanno formulato la loro ipotesi per spiegare questo doppio e
accomunante riferimento, l’ipotesi più verosimile sembra quella che vede in quest’oggetto
numismatico concentrate tutte le mire espansionistiche macroniane.
Un’aspirazione, forse nata dalla voglia di tenere, con la conquista della Sicilia, sotto scacco Roma e
l’Italia nell’ambito appunto dei disordini neroniani252
. L’Africa e la Sicilia rappresentarono pur
sempre dei mercati importanti per l’Urbe, non ricevere più vettovagliamenti da questi territori
oltremarini, come suggeritogli da Calvia Crispillina, significava ridurre alla fame Roma e buona
parte dell’impero253
. Il progetto macroniano infine fu bloccato dall’intervento tempestivo di Galba
che uccise il funzionario ribelle. Con l’avvento della dinastia Flavia, all’ Africa fu riservato un ruolo
principe, poiché lo stesso Vespasiano ad esempio, era stato per lungo tempo governatore in terra
africana. Parallelamente in Sicilia si ebbe una buona ripresa della produzione agricola soprattutto
251
Salmieri 1984, pp. 404-407 252
Bessone 1979, pp. 188-197 253
Tac., I, 73
Page 118
118
nella zona occidentale, nella quale il nuovo princeps assegnò alcuni agri centuriati a suoi veterani
nei territori tra Palermo e Segesta, andando quindi a completare un quadro insediativo già iniziato
un secolo prima con Augusto. Questi presupposti, naturalmente, portarono ad una forte
accelerazione del processo di romanizzazione dell’isola, con una popolazione che ancora, e per
buona parte dell’impero si sentì più greca che romana.
Da Traiano agli Antoninii, i rapporti tra Africa e Sicilia non sono narrati ampiamente dalle fonti
epigrafiche, i dati più interessanti in quest’ orizzonte cronologico ci giungono sia dalle evidenze
archeologiche sia da alcune carriere di proconsoli o procuratori imperiali.
Spesso infatti alcuni personaggi eminenti furono proconsoli d’ Africa e di Sicilia, esempio lampante
ci viene direttamente dal cursus honorum di Pompeio Macrino. Questo personaggio fu prima
Proconsul Siciliae tra il 113-114 d.C. e successivamente tra il 130-131 d.C. fu Proconsul Africae.
Il futuro imperatore Settimio Severo, nativo tra l’altro di Leptis Magna, fu assieme al fratello,
Settimio Geta, Proconsole di Sicilia sotto Commodo.
I proconsoli africani mantennero comunque sempre una chiara specializzazione annonaria, in
relazione alla già citata importanza delle province africane nella cura annonis. Tra il 115 e il 117
d.C. un’ improvvisa rivolta giudaica causò distruzioni varie nelle campagne africane, rendendo
problematico quindi l’invio verso i mercati imperiali di derrate. Questo scenario portò sicuramente
ad una missione dei due procuratori africani verso la Sicilia, per incentivare la produzione
cerealicola e venire incontro alle pressanti esigenze e richieste della capitale.
La presenza di questi due procuratori africani in questo biennio mise in risalto, per l’unica volta nei
primi due secoli d.C., il ruolo dell’isola come produttrice di grano dopo la perdita di questa
leadership economica, in seguito agli eventi del 31 a.C. A parte questo preciso episodio, non si può
escludere il fatto che ogni volta che Roma avesse incontrato difficoltà nell’ approvvigionamento
cerealicolo dall’ Africa e dall’Egitto, si fosse rivolta ai possedimenti siciliani. Col trasferimento
degli interessi governativi da Roma a Costantinopoli nel 332 d.C., l’isola dopo 4 secoli riassunse,
come già menzionato, una posizione di rilievo nel rifornimento granario verso Roma254
. La nuova
condizione di dipendenza da Roma dell’economia isolana, unita poi alla riforma giuridica
dell’apparato statale romano, che contribuì ad inserire l’isola nel contesto dell’Italia suburbicaria
rinsaldò i legami socio-economici tra essa stessa e la penisola.
Questo sviluppo storico-economico non portò comunque alla fine dei contatti col Nord-Africa, anzi
i rapporti transmarini continuarono, prova di ciò fu il grandissimo flusso commerciale che
contraddistinse Africa e Sicilia qualche secolo dopo, con l’arrivo dei vandali, segno tangibile di un
canale preferenziale sempre attivo e mai morto. Il legame che unisce questi due territori può essere
254
Gabba 1982-83, pp. 525-526
Page 119
119
visto anche tramite lo studio delle varie gens omonime sicule e africane, insediatesi tra queste due
terre separate da un solo braccio di mare. Storicamente noti sono difatti i membri della gens Cestia
e Grania attestati a Thermae ed in molti siti della costa africana arricchitesi col commercio granario
e vinicolo. La gens Maesia attestata in Sicilia e ampiamente in Africa, la gens Cassia che sebbene
poco attestata nella Trinacria, resta presente tramite menzione certa nelle tabule sulfuris di
Agrigento, con un chiaro riferimento all’ officina Cassiana collegabile con la suddetta gens.
Questa famiglia con molta probabilità si era trasferita dalla Proconsolare nell’isola e aveva
realizzato le sue fortune col commercio dello zolfo, una delle materie prime esportate sul suolo
africano255
. L’attività estrattiva dello zolfo era realizzata tramite conductiones, cioè affitti delle
cave a conductores. Queste miniere delle quali la Sicilia ne era ricchissima fino al II secolo d.C.
erano gestite da privati. Successivamente, forse dopo la presa di coscienza da parte dell’imperatore
che esse potessero essere un ‘ottima fonte di rendita, passarono al controllo imperiale che le
subaffittava sotto il pagamento di un’ imposta, il pretium sulla base di una professio. Il mercato
sulfureo conobbe una crisi nei secoli centrali dell’ impero per poi avere una forte ripresa da
Costantino in poi256
. Al contrario delle miniere di zolfo le cave d’argilla o figline furono gestite
dagli stessi privati che gestivano i vari latifondi, poiché considerate esse stesse piena parte dei
possedimenti privati. Questa situazione perdurò ampiamente anche in età imperiale anche se la
pressione fiscale ed il controllo doganale man mano si fecero sempre più forti257
.
Il trend d’import-export, riguardante Africa e Sicilia che risulta dall’analisi delle varie situazioni
storico-commerciali, riepilogando i dati raccolti, appare così delineato:
Dalla Sicilia verso l’ Africa;
- Il vino risulta essere la merce maggiormente commerciata ed esportata verso i territori
africani
- Altri prodotti (zolfo, sale ecc.) seguono negli andamenti le richieste di vino siculo ma
nessuno ne batte la ricerca sui mercati d’Africa
Cartagine presenta diverse attestazioni anforacee di vini siciliani piuttosto apprezzati. Questo
mercato vinicolo risulta avere le sue origini in epoca tardo-repubblicana resta però ampaimente
attestato durante la tarda-antichità.
Le anfore Keay LII, sono anfore diagnostiche in tal senso, poiché una volta si credeva provenissero
da un areale orientale, oggi invece si è certi che essa abbiano avuto una provenienza calabro-sicula,
la loro presenza a Cartagine è la più importante testimonianza d’esportazione di vino siceliota nel
continente africano. Naturalmente le Keay LII sono anfore piuttosto tarde , ciò non implica il fatto
255
De Salvo 2008, pp. 1518-1519 256
Manganaro 1988, pp. 27-28 257
Manganaro 1988, pp. 30-35
Page 120
120
che i commerci e le transazioni avvennero solo in epoca tarda, le esportazioni infatti dovettero
essere abituali per la Sicilia, testimonianza di ciò è rappresentata dalla presenza stabile sul suolo
africano di ceramiche “antenate” della Keay LII, la Dressel 1, 2-4 e 6 di chiara origine siciliana
testimoni di un flusso commerciale ben più antico.
Dall’ Africa verso la Sicilia;
- L’olio, nell’indice degli export verso la Sicilia, la fa da padrone, prova di ciò sono le
immense tenute a produzione olearia site nelle varie zone fertili tra Tripolitania, Cirenaica e
Proconsolare.
- Si può benissimo affiancare al ricco export dell’olio, il commercio di ceramica fine
d’artigianato, richiestissima in Italia e soprattutto in terra sicula.
- Il marmo africano, circolante per tutto l’impero, doveva avere un ruolo edilizio anche in
Sicilia.
- Da non sottovalutare il mercato che ebbero le ferae africane per le venationes.
Questo fitto export s’intensificò soprattutto nei secoli II e III d.C., l’olio divenne man mano il
prodotto di punta esportato verso la Sicilia e verso l’Italia, soppiantando gradualmente il
monopolio economico in questo campo avuto dalla penisola iberica.
Interessante è osservare che i principali centri di produzione ceramica coincidano con gli
altrettanto principali distretti olivicoli, impianti oleari e fornaci ceramiche vivono di paripasso,
ulteriore conferma della commistione profonda del commercio congiunto di olio e ceramica.
Esempio lampante di questa commistione commerciale ci viene direttamente dall’ entroterra
lepicitano, qui negli stessi contesti si trovano attestazioni di oleifici e fornaci per produzioni
industriali di ceramica258
.
Gli ateliers africani quindi, in special modo quelli produttori delle celeberrime lucerne, riscossero
grande successo in Sicilia tant’è vero che la percentuale maggiore di lucerne attestate nell’ isola
(27%) riguarda forme prodotte esclusivamente nelle officine africane.
Oltre alle rinomate lucerne un posto importante aveva la produzione di ceramiche fini da mensa.
Le officine di terra sigillata A e D erano ubicate spesso nella Tunisia meridionale e centrale (la
sigillata D era prodotta anche nella parte settentrionale), la Tunisia centrale aveva inoltre l’esclusiva
sulla sigillata C. All’interno dei rapporti siculo africano vanno inserite poi le maestranza nell’
ambito dell’ arte musiva. Gli artisti africani infatti erano maestri nell’arte del mosaico ed erano
ricercatissimi nell’isola, testimonianza diretta di ciò è rappresentata dall’ infinita serie di cicli
mosaici presente nelle ville tardo-romane siciliane. Ad ogni modo uno dei dati più importanti per lo
studio ed il pieno apprendimento dei flussi commerciali tra Africa e Sicilia, ci giunge direttamente
258
Felici-Pentiricci 2002, pp.1875-1900
Page 121
121
dai fondali marini. Molte sono le attestazioni di relitti adagiatisi sui fondali siciliani, molti di essi
recano il loro carico da trasporto estremamente diagnostico per la ricerca.
Sicuramente non tutte le imbarcazioni avevano come destinazione ultima la Sicilia ma una presenza
così massiccia di reperti può essere giustificata solo dalla posizione centrale dell’ isola nelle rotte
mediterranee e dal suo ruolo d’importante passaggio. Uno dei principali relitti che attesta la
presenza di merci africane è da localizzarsi nelle acque antistanti Siracusa, denominato Plemmirio B
databile al 200 d.C259
. Esso contiene materiale anforico proveniente dalla Tunisia e da altre zone
dell’ Africa settentrionale (ceramica Africana I e Africana IIa)260
.
Importanti evidenze ci giungono dal relitto denominato Camarina A databile al 175-200 d.C.
recante un carico di anfore del tipo africana I, contenenti vino e garum dalla proconsolare insieme a
due colonne, spostandoci verso il canale di Sicilia troviamo il cosiddetto relitto di Lampedusa che
presenta, in questo caso, una datazione più tarda (300-350 d.C.) esso presentava un grande carico
anforico, costituito per la maggior parte da anfore di tipo africana II.
Relativamente più vicino alla costa sicula è poi il famoso relitto di Seccagrande, nei pressi di
Heraclea Minoa, il quale recava una discreta presenza di ceramica africana di fine fattura.
Altri relitti, rinvenuti in contesti diversi come quelli gallici, nei pressi di Marsiglia, attestano a
causa del materiale ritrovato a bordo, che il commercio di materiale africano dovesse per forza
passare o transitare per le coste sicule. Emerge quindi un dato importante: la Sicilia ed il Nord-
Africa oltre a commerciare intensamente fra loro erano coinvolte in flussi commerciali notevoli che
dalle stesse provincie portavano a Roma.
I ritrovamenti fatti nei mari siciliani, mostrano l’esistenza di un notevole commercio di transito che
dovette interessare l’isola, prodotti vari di indubbia importanza, sia per l’import-export Africa-
Sicilia sia per gli approvvigionamenti dell’ Urbe.
259
Gibbins-Parker 1986, pp. 267-304 260
Clementina Flesca 2002, p. 1037
Page 122
122
VI.1 Appendice: il relitto di Ognina (Sr) e la centralità della Sicilia nei flussi
commerciali romani.
Geograficamente situato nel tratto di costa posto tra Capo Eloro ed il menzionato promontorio
Plemmyrion, il relitto cosiddetto di Capo d’ Ognina ha restituito agli archeologi che l’hanno
ispezionato delle importanti evidenze archeologiche261
.
Il luogo di ritrovamento risulta topograficamente essere fuori dal contesto studiato in questo lavoro
di tesi, ma una veloce digressione sul ritrovamento subacqueo può essere fatta poiché fornisce
importanti indicazioni al fine di comprendere l’ampio raggio che coinvolgeva la Sicilia tutta nelle
dinamiche e nei flussi commerciali del mondo romano.
Innanzitutto, partendo dall’orizzonte cronologico indagato, consequenzialmente al ritrovamento di
reperti estremamente diagnostici il relitto è classificabile nei primi secoli del III secolo a.C. a
cavallo tra il medio impero e la tarda romanità, un periodo storico estremamente complesso anche
per l’economia e le sue dinamiche. L’isola non è più da tempo la cella penaria dell’Urbe ma
continua attivamente la sua attività produttiva svolgendo, a causa della sua posizione centrale “in
Mediterraneum”, un ruolo estremamente focale per il commercio imperiale. Il carico piuttosto
abbondante della nave presenta diverse tipologie ceramiche: perlopiù sono venute alla luce diverse
quantità di Africana I, Dressel 20 di provenienza Betica usata quasi esclusivamente per lo
stivamento ed il trasporto oleario, massiccia inoltre risulta la presenza di anfore vinarie del tipo
Kapitan I e II. Nei pressi dei resti dello scafo adagiati sul fondale, sono state ritrovate poi tessere di
mosaico, resti di colonnine marmoree con capitelli corinzi, statuette di bronzo e frammenti di vetro
blu. Alcuni pezzi facevano parte della collezione di suppellettili usati dai passeggeri, indice quindi
del ceto medio-alto che si trovava a bordo dell’imbarcazione nel momento dell’affondamento.
Il relitto è stato esattamente datato grazie a ritrovamenti monetali riferibili ad emissioni da Perinto,
Smirne e Bisanzio tra gli anni 215 e 230 d.C262
.
Dopo aver analizzato il contesto dei materiali si è cercato di ricostruire la rotta che la nave stava
seguendo e le sue varie tappe nel Mare Nostrum.
Il luogo di partenza dell’imbarcazione va ricercato con tutta probabilità nell’area betica. Subito
dopo la partenza dalle coste della Spagna meridionale, della quale testimonianza può essere
riscontrata nel frammento di Dressel 20 per il trasporto del rinomato olio betico , il natante si
261
Clementina Flesca 2002, pag. 1038 262
Price 1974, pp. 151-153
Page 123
123
diresse verso l’Africa imbarcando in Byzacena un grosso carico di altro olio e salsa di pesce e
garum. Un’ ulteriore tappa si ebbe, con molta probabilità, nell’ Egeo al fine di caricare del pregiato
vino greco ed infine il viaggio si sarebbe dovuto concludere a Roma.
La nave ebbe molta difficoltà a risalire la costa sud-orientale della Sicilia per raggiungere lo stretto,
e proprio le difficoltà di manovra, forse inasprite da un fortunale, portarono l’imbacazione al
naufragio. La direzione ultima verso Roma è stata desunta poiché al momento del ritrovamento il
relitto si presentava con la prua rivolta verso nord, in chiara risalita verso lo stretto.
Tuttavia non vi è la certezza assoluta, infatti la posizione di ritrovamento potrebbe essere solo
casuale, determinata dalla situazione relativa al naufragio, in ogni caso le probabilità che il viaggio
del relitto di Capo d’ Ognina si dovesse concludere a Roma sono molto alte anche perché non si
capirebbe altrimenti perché la nave avesse un carico così abbondante, se non per soddisfare i ricchi
ed esigenti mercati romani.
Page 124
124
VII Conclusioni.
L’attenta analisi dei vari contesti cha ha contraddistinto questo lavoro di tesi ha portato ad uno
studio sistematico dei flussi commerciali nel Mediterraneo centro-meridionale. Indagando i vari
contesti portuali, sia africani che siciliani, si sono potuti desumere diversi elementi comuni e di
disaccordo fra i siti studiati.
In Africa, Cartagine soprattutto, dopo la sua elevazione a rango di città capitale, la fa da padrone
poiché innanzitutto rimane una delle grandi megalopoli durante tutto l’arco di vita dell’ impero,
inoltre essa funge da gigantesco interporto per tutte le località prossime.
Esistono naturalmente altri contesti portuali analizzati, piuttosto importanti, ma nella fattispecie il
sito cartaginese spadroneggia, andando un po’ in difficoltà allorquando Settimio Severo potenzia le
strutture portuali della sua favorita, Leptis Magna la sua città natale. La presenza in continuum
storico di Cartagine dall’ epoca classica sino ad arrivare alla conquista saracena degli Omayadi con
la sua successiva distruzione, testimonia il peso geo-politico esercitato da questa civitas nel
percorso storico indagato. La ricerca è partita, nel suo sviluppo, dalla riflessione attenta sui contesti
portuali e sulla portuosità sia di Cartagine stessa che della Sicilia meridionale.
Per Cartagine, come già ampiamente trattato, la conformazione geomorfologica della sua costa ha
consentito un impianto portuale di quella rilevanza, sede sia di commerci ma anche di grandi
immagazzinamenti. Al successo del commercio cartaginese hanno contribuito innanzitutto l’esperta
marineria africana, in seconda battuta un fitto sistema di porti minori che contornava il suddetto sito,
e in linea generale l’intera zona di Capo Bon.
La città era vicina a territori fertili e ricchi dal punto di vista agricolo, e disponeva di risorse, come
le ferae, ricercatissime sui mercati d’ogni città romana propriamente detta263
.
Questi fattori garantirono la sopravvivenza e la vitalità socio-economica del sito stesso.
Con l’ingresso in scena degli arabi nel VII secolo d.C., il quadro storico-economico mutò poiché gli
interessi principali si spostarono verso oriente e l’areale in questione perse l’importanza acquisita
nei secoli precedenti. Elemento fondamentale per capire a pieno gli andamenti economici è
naturalmente la ceramica.
Solo tramite un’analisi dei contesti ceramici è possibile ricostruire in maniera piuttosto uniforme i
263
Kuhoff 2002, pp. 2015- 2022. Nell’ editto sui massimi prezzi di Diocleziano una delle merci africane più ricercate
risultano essere proprio le bestie per spettacoli vari.
Basti pensare al ciclo musivo di Piazza Armerina sito all’ interno della tardo-romana villa del Casale.
La rappresentazione della caccia alle belve feroci infatti era un modello per gli artisti africani ma allo stesso tempo
rappresentava un’importante forma di sostentamento per l’economia della provincia.
In questo caso il mosaico e la caccia alle fere costituiscono le due facce di un’ unica moneta che lascia immaginare il
grande rilievo economico dato a quest’ attività esclusivamente africana.
Page 125
125
flussi da e verso l’Africa. Durante la suddetta ricerca è stato notato che nel contesto Cartaginese ed
in altri contesti africani in generale vi è una forte presenza di ceramica d’ origine sicula.
Le esportazioni, in base al dato ceramico giuntoci, erano notevoli ed erano indipendenti dal mercato
dell’ Urbe. La ceramica maggiormente presente nelle varie località africane riguarda materiale da
trasporto o da 1’ immagazzinamento: anfore, spatheia, pithoi ecc. riferibilia produzioni siculo-
italiche.
Per quanto riguarda il versante siciliano, trattando nella ricerca di un areale ben più grande che
dall’estremità orientali ospitanti il sito di Camarina, giunge fino ad occidente e precisamente all’
ager selinuntinus, è stato innanzitutto di primario interesse fare attente valutazioni geomorfologiche
sulla natura degli insediamenti studiati. I contesti portuali studiati sono una decina tutti con
particolari peculiarità di diverso genere, uno di essi, il sito di Manfria, è stato studiato tramite
ricognizioni sul campo con relativa presa visione del materiale.
È facile notare, a prima vista, la portuosità piuttosto omogenea di questi siti della Sicilia
meridionale; essi infatti sorgono nella quasi totalità dei casi lungo o accanto vie d’acqua più o meno
importanti, svolgendo il ruolo fondamentale di trait d’ union tra il territorio e il mare stesso.
La tipologia portuale instauratasi è agevolata dalla conformazione geologica della costa
meridionale dell’isola, per lunghi tratti bassa e sabbiosa, con poche cale e scogliere offrenti rifugio.
Le imbarcazioni venivano quindi, nella maggior parte dei casi, tirate a secco sulla riva in attesa che
il rifornimento fosse finito o che le condizioni climatiche fossero ritornate consone alla navigazione.
Le diverse situazioni archeologiche indagate mostrano un quadro abbastanza completo: è presente
infatti moltissima ceramica da trasporto naturalmente di fattura africana, ma accanto ad essa
altrettanto ingente risulta essere la presenza di ceramica fine come le celeberrime lucerne d’ Africa.
Le attestazioni di rinvenimenti subacquei nel settore centro-meridionale del mediterraneo,
presentano indici piuttosto elevati fino all’ arco di tempo tra il IV/V secolo d.C.
Fino a quest’epoca, e nonostante i problemi socio-politici che l’impero dovette affrontare, i flussi
commerciali risultano abbastanza prosperi e fitti. Un’inversione di tendenza nelle evidenze
archeologiche subacquee si ha dal V secolo in poi; l’indice cambia, non perché erano migliorate le
condizioni di sicurezza sui mari, ma a causa del mutato contesto politico generato dalle invasioni
barbariche il quale aveva causato il taglio di alcune arterie commerciali vitali.
Piuttosto chiaro quindi risulta essere il decadimento economico-commerciale che investì il
mediterraneo durante la fine dell’età romana. Il dato è amplificato da un fattore cardine; poiché da
VI secolo in poi vi sono attestazioni molto più frequenti di relitti nelle acque della pars orientalis,
chiaro elemento diagnostico quest’ultimo, dimostrante lo spostamento degli interessi monetari verso
Page 126
126
Costantinopoli e l’ordinato e pressoché immune impero romano d’oriente264
. L’ intensità degli
scambi commerciali, che comunque per secoli hanno interessato questo tratto di mare, sono la
risultante di sviluppi socio-economici notevoli che portarono, secondo alcuni dati emersi da questa
breve ricerca, questo ristretto settore del Mare Nostrum ad avere una leadership commerciale,
notevole in determinate epoche storiche, indipendentemente dalle relazioni più o meno presenti con
Roma.
Il complesso di queste relationships economiche infatti non può essere ristretto solo alla koinè
culturale dell’impero ma deve guardare piuttosto a connessioni nate da affinità sociali e culturali,
che da secoli hanno contraddistinto le genti di queste terre di confine e continente.
264
Volpe 2002, pp. 239-241
Page 127
127
Ringraziamenti
In queste poche righe finali, e a conclusione di un percorso formativo che ha arricchito il mio
bagaglio di conoscenze tecnico-scientifiche, volevo ringraziare le tante persone che mi sono state
vicine in questi anni di studio e apprendimento.
Il primo saluto va al Professor Maurizio Paoletti e al Dottor Antonino Facella sempre disponibili al
dialogo e al confronto, ottimi punti di riferimento per la mia carriera futura.
Il ringraziamento più grande va ovviamente alla mia famiglia; in primis i miei genitori, vera fonte
d’ispirazione quotidiana grazie ai quali sto avendo la possibilità di crearmi un futuro sereno e
stabile. Non meno importanti sono i ringraziamenti che vanno ai mie fratelli, Luca e Davide, sempre
pronti a sostenermi, ai nonni fonte eterna di saggezza e dulcis in fundo ringrazio sentitamente tutti i
miei zii con cugini e cuginetti. Quest’ ultimi con la loro spensieratezza da bambini hanno
contribuito a rasserenarmi ogni qual volta ne ho avuto bisogno. Infine un grandissimo
ringraziamento va a tutti gli amici sia storici: Angelo B. Angelo Z., Claudio, Fabio , Tommaso,
Marco, Luca e Nino, che “nuovi”: Peppe, Leo, Vincenzo, Umberto, Liliana, Cristina, Claudia, Vale,
Giulia, Alessandro, Raffaele e tutti gli altri. Non posso dimenticare poi i miei coinquilini vecchi e
nuovi sempre presenti nella mia carriera universitaria. Infine un grande plauso va a tutto il Gruppo
Archeologico Finziade dal presidente Fabio Amato, grande amico e collega, passando a Maurizio
Angelo e tutti gli altri, essi col loro prezioso aiuti nelle attività ricognitive hanno contribuito alla
riuscita di questo lavoro. Ringraziando tutte le altre persone non citate ma pur sempre importanti
per il mio lavoro di formazione e crescita, mi auguro che quanto finora svolto sia solamente il
punto di partenza per future soddisfazioni e personali realizzazioni.
Page 128
128
Tavole
Tav. I- L’ eparchia cartaginese nel III secolo a.C.
Page 129
129
Tav. II- L’Africa Proconsolare istituita da Augusto.
Page 130
130
Tav. III- Leptis Magna: il teatro
Page 131
131
Tav. IV- Cartagine: Pianta della città augustea. Si noti la collina della Byrsa come centro di
posizionamento della groma.
Page 132
132
Tav. V- Cartagine: Tratto extraurbano dell’ acquedotto di Zaghouan.
Page 133
133
Tav. VI- Cartagine: le cisterne della Malga e l’orientamento centuriale. 1) grandi cisterne; 2)
acquedotto; 3) Piccole cisterne; 4-9 e 14) strutture legate funzionalmente all’acquedotto; 10,12,13)
resti isolati di cisterne; 11) strutture idrauliche moderne su fondazioni antiche; 15-16) frammenti
isolati di muri e colonne (da Vanderleest 1989)
Page 134
134
Tav. VII- Cartagine: le cisterne della Malga
Page 135
135
Tav. VIII- Cartagine: ricche evidenze archeologiche sul colle di Byrsa, acropoli cartaginese.
Page 136
136
Tav. IX- Cartagine: pianta illustrante la conformazione del porto circolare con relativi hangar.
Page 137
137
Tav. X- Cartagine: i due porti allo stato attuale.
Page 138
138
Tav. XI- Cartagine: Ricostruzione grafica del Kothon.
Page 139
139
Tav. XII- Cartagine: ricostruzione grafica del kothon; particolare dell’ isolotto dell’ ammiraglio.
Page 140
140
Tav. XIII- Cartagine: missione di scavo inglese; shipsheds del porto circolare.
Page 141
141
Tav. XIV- Cartagine: strutture portuali semi-sommerse riferibili ad installazioni del litorale
cartaginese.
Page 142
142
Tav. XV- Pantalica: La necropoli ipogeica, splendido esempio protostorico della Sicilia sud-
orientale
Page 143
143
Tav. XVI- La colonizzazione greca in Italia meridionale.
Page 144
144
Tav XVII- Tabula Peutingeriana : particolare della Sicilia.
Page 145
145
Tav. XVIII- Piazza Armerina: Visione d’insieme del complesso rurale della Villa del Casale.
Page 146
146
Tav. XIX- Cartina della Sicilia con i siti portuali analizzati (Barrington).
Page 147
147
Tav. XX- Camarina: Quartiere abitativo.
Page 148
148
Tav. XXI- Camarina: l’ area archeologica vista dal satellite.
Page 149
149
Tav. XXII- Camarina: ricostruzione grafica della polis di Camarina.
Page 150
150
Tav XXIII- Kaucana: settore abitativo.
Page 151
151
Tav. XXIV- Gela: visione satellitare. (foto tratta da Google maps)
Page 152
152
Tav. XXV- Capo Soprano(Gela) : tratto delle mura timoleontee.
Page 153
153
Tav. XXVI- Gela: l’acropoli di Molino a vento (VI-V sec. a.C.)
Page 154
154
Tav. XXVII- Gela: La collina ospitante il sito di Bitalemi (VI secolo a.C.- V secolo d.C.)
Page 155
155
Tav. XVIII- Gela: Il fiume Desueri, l’antico Ghelas passante per il territorio della statio Calvisiana.
Page 156
156
Tav. XXIX- Manfria: La probabile insenatura che doveva ospitare il refugium Chalis (Foto autore).
Page 157
157
Tav. XXX- Manfria: visione della piana tra i torrenti Scozzarello e Comunelli (Foto autore).
Page 158
158
Tav. XXXI- Manfria: Riutilizzo d’epoca tardo- antica di una tomba a grotticella(Foto autore) .
Page 159
159
Tav. XXXII- Manfria: settore sud- occidentale della necropoli subdivo del sito di Chalis (Foto
autore).
Page 160
160
Tav. XXXIII- Manfria: l’insenatura e l’ipotetica plaga del sito tardo romano di Chalis(Foto autore).
Page 161
161
Tav. XXXIV- Manfria: frammento di ceramica a vernice nera d’epoca ellenistica proveniente dal
settore prossimo al mare (Foto autore).
Page 162
162
Tav. XXXV- Manfria: puntale d’anfora africana (Keay 56 ?) proveniente dal settore delle necropoli
subdivo(Foto autore) .
Page 163
163
Tav. XXXVI- Manfria: puntale di anfora Keay 56 (?) visione della frattura (Foto autore).
Page 164
164
Tav. XXXVII- Manfria: coppo ellenistico (Foto autore).
Page 165
165
Tav. XXXVIII– Manfria: puntale di Spatheion proveniente dal settore coltivato a grano (Foto
autore).
Page 166
166
Tav. XXXIX- Manfria: spatheion, visione in alzato (Foto autore).
Page 167
167
Tav. XL- Manfria: frammento di probabile ceramica LR2 (Foto autore) .
Page 168
168
Tav. XLI- Manfria: orlo di ceramica TSAD (Foto autore).
Page 169
169
Tav. XLII- Manfria: evidenza di probabile ansetta in sigillata africana recante incisione di
Chrismon (Foto autore).
Page 170
170
Tav. XLIII- Manfria: particolari dell’incisione(?) del monogramma di Cristo (Foto autore).
Page 171
171
Tav. XLIV- Manfria: ipotetici resti di blocchi murari dislocati a valle della necropoli subdivo
(Foto autore) .
Page 172
172
Tav. XLV- Manfria: grafico a torta delle evidenze ceramiche.
tipologie ceramiche
TSAD
TSI
LRA2
Greco-italica
Page 173
173
Tav. XLVI- Agrigento: tempio di Eracle, resti dismessi della costruzione templare.
Page 174
174
Tav. XLVII- Agrigento: il quartiere ellenistico-romano.
Page 175
175
Tav. XLVIII- Agrigento: Opera musiva dal contesto archeologico di San Nicola.
Page 176
176
Tav. XLIX- Eraclea Minoa: Il teatro ellenistico.
Page 177
177
Tav. L- Durrelli, Realmonte (Ag) la villa maritimae.
Page 178
178
Tav. LI- Durrelli, Realmonte (Ag) particolare di settori abitativi con pavimentazione in opera
musiva.
Page 179
179
Tav. LII- Selinunte: visione dall’alto del sito abbracciato dai due torrenti, Il Cuttone ed il Modione.
Page 180
180
Tav. LIII- Selinunte: il tempio E identificato come l’edificio templare adibito al culto di Hera.
Page 181
181
Tav. LIV- Selinunte: La foce del Modione nei pressi del sito portuale di Selinunte.
Page 182
182
Tav. LV- Capo Granitola : ritrovamento subacqueo di blocchi marmorei naufragati col relitto che li
trasportava.
Page 183
183
Tav. LVI- Licata: Case ellenistico-romane sull’acropoli di Finziade.
Page 184
184
ABBREVIAZIONI BIBLIOGRAFICHE
Acquaro 1978 = E. Acquaro, Cartagine : un impero sul mediterraneo. Civiltà e conquiste della
grande nemica di Roma, 1978 .
Acquaro 1994 = E. Acquaro, “Cartagine. Periodo punico” in “Enciclopedia dell’arte antica II
supplemento”, 1994 pp. 3-4
Amato 2012 = F. Amato, “Prospettive di ricerca sulla produzione vitivinicola antica a Licata (AG)”
in A. Ciacci, P. Rendini e A. Zifferero (a cura di) “Archeologia della vite e del vino in toscana e nel
Lazio. Dalle tecniche dell’indagine archeologica alle prospettive della biologia molecolare” , 2012
pp. 307-348.
Anselmino 1986 = L. Anselmino, “ Le lucerne tardo-antiche: produzione e cronologia” in A.
Giardina (a cura di) “Società romana e impero tardo-antico” Vol. III, 1986 p. 228 ssg.
Aurigemma 1940 = S. Aurigemma, L’elefante di Leptis Magna ed il commercio dell’avorio e delle
ferae lybicae negli emporia tripolitani, in “Africa Italiana” 7 1940. pag. 69 ssg.
Baldassari-Fontana 2002 = Roberta Baldassarri-Sergio Fontana, “Anfore a Pantelleria: appunti per
una storia economica dell'isola nell'antichità” in A. Mastino (a cura di) Africa romana, XIV Roma
2002. pp.
Baiocchi 2009 = D. Baiocchi, tesi di laurea: Cisterne e approviggionamento idrico a Karthago,
Thapsus, Thysdrus (Africa Proconsolare). Università degli studi di Pisa A.A. 2009/2010
Barbero 2000 = A. Barbero, Barbari. Immigrati, profughi, deportati, nell'impero romano, Bari 2000
Basile-Lena-Di Stefano 1988 = B. Basile-G. Lena-G. Di Stefano, “Approdi, porti, insediamenti
costieri e linee di costa nella Sicilia sud-orientale dalla preistoria alla tarda antichità” in ASSIR
1988, pp. 69-72.
Page 185
185
Bisi 1986 = A. M. Bisi, “Associazioni di anfore puniche Maña C1 = Uzita 3 e di « greco-italiche »
in contesti punici della Sicilia e del Nordafrica”, in Atti del convegno “: Anfore romane e storia
economica : un decennio di ricerche.” 1986, pp. 594-596.
Ben Abdallah-Ben Hassen 1991 = Z. Ben Abdallah-H. Ben Hassen, “Tunisie: rapport preliminaire
sur la fouille du port marchand” in CEDAC bulletin 12, Juin 1991 p. 6
Bejor 1986 = G. Bejor, “Gli insediamenti della Sicilia romana: distribuzione, tipologia e sviluppo da
un primo inventario dei dati archeologici” estratto da Società romana e impero tardo-antico Vol. III
in A. Giardina (a cura di), 1986, pag. 472 ssg.
Beschaouch 1993 = A. Beschaouch, “Cartagine la leggenda ritrovata”, 1993.
Bessone 1979 = C. Bessone, L’Africa nella guerra civile del 68-69 d.C., in “Num. e ant. classiche”
VIII 1979, pp. 188-197
Bonacasa Carra 1987 = R. M. Bonacasa Carra, “Agrigento paleocristiana: zona archeologica e
Antiquarium”, 1987.
Bonora Mazzoli 2002 = G. Bonora Mazzoli, “Approdi della Sicilia occidentale: considerazioni
topografiche” in A. Mastino (a cura di) Africa Romana XIV 2002, pp. 1040-1049
Bovio Marconi 1961 = J. Bovio Marconi, “Le più recenti scoperte dell’archeologia della Sicilia
Occidentale, con particolare riguardo agli scavi di Selinunte ” in “Atti del VII congresso
internazionale di archeologia classica 2”, 1961 p.12
Bruno 2002 = B. Bruno, “Economia e traffici a Malta in età tardo-repubblicana” ” in A. Mastino (a
cura di) Africa Romana XIV 2002, pp. 1067-1071
Bullo 2002 = S. Bullo, “Provinciae africae”, 2002.
Page 186
186
Caminneci 2010 = V. Caminneci, “Tra il mare ed il fiume. Dinamiche insediative nella Sicilia
occidentale in età tardo-antica: il villaggio in Contrada Carabollace” (Sciacca, Agrigento, Sicilia,
Italia), in Fastionline 2010 pp.
Canali De rossi 2007 = F. Canali De rossi, “Le relazioni diplomatiche di Roma” Vol. II, 2007.
Canzanella 1990 = G. Canzanella, v. Gela in BTCG VIII 1990, pp. 15-25
Carandini 1983 = A. Carandini, “Cartagine romana; breve storia di una periferia urbana” in R.
Bussi(a cura di) “Misurare la Terra; centuriazione e coloni nel mondo romano” 1983, pp. 50-58
Carandini et alii 1983 = A. Carandini, L. Anselmino, C. Pannella, C. Tavolini, R. Caciagli, “Scavi
italiani a Cartagine. Rapporto preliminare delle campagne 1973-77”, in “QAL”, 13, 1983 pp. 9-16.
Carignani 1986 = A. Carignani, “La distribuzione delle anfore africane tra III e VII secolo, in A.
Giardina (a cura di), “Società romana e impero tardoantico, III, Le merci, gli insediamenti” 1986
pp. 612-613
Carton 1918 = L. Carton, “Nouvelles recherchessur le littoral carthaginois”, in “CRAI”, 1918 pp.
140-150
Celuzza 1984 = M. G. Celuzza, “Le villae” in “Misurare la terra: centuriazione e coloni nel mondo
romano” 1984, pp. 163-165.
Cintas 1973 = P. Cintas, “Le port de Carthage. Extrait du manuel d'archeologie punique II, 1973.
Cirelli 2004 = E. Cirelli, “Villaggi e granai fortificati della tripolitania nel IX secolo d. C. Ai
confini dell’ Impero: contatti, scambi, conflitti” in A. Mastino(a cura di) Africa Romana XV, 2004
pp. 377-393
Clemente 1980 = G. Clemente, “La Sicilia nell’età imperiale” in E. Gabba e G. Vallet(a cura di)
“ La Sicilia Antica” 1980, pp. 468-491.
Page 187
187
Clementina Flesca 2002 = F. Clementina Flesca, “Le rotte di navigazione attraverso lo stretto di
Messina in età imperiale” in A. Mastino (a cura di) Africa Romana XIV 2002 pp. 1037-1038
Cracco Ruggini 1980 = L. Cracco Ruggini, “La Sicilia e la fine del mondo antico (IV-VI secolo)” in
E. Gabba e G. Vallet(a cura di) “La Sicilia Antica” vol. II.2, 1980 pp. 483-491
Cracco Ruggini 1983 = L. Cracco Ruggini, “L’ annona di Roma nell’età imperiale” in “Misurare la
terra: centuriazione e coloni nel mondo romano. Città, agricoltura, commercio: materiali da Roma e
dal suburbio” 1983 pp.
Cusumano 2010 = N. Cusumano, “Profilo Storico” Selinunte in S. Tusa(a cura di) “Selinunte”,
2010 pp. 11-15
De Laet 1949 = S. J. De Laet, “Portorium. Etude sur l’organitation douaniere chez les romains
surtout à l’ epoque du haute empire”, 1949
De Vos 2004 = M. De Vos, “Archeologia del territorio. Metodi, Materiali Prospettive. Medjerba e
Adige; due territori a confronto” , Università degli Studi di Trento, Trento 2004.
De Miro 1966 = E. De Miro, “Heraclea Minoa. Risultati archeologici e storici dei primi scavi
sistematici nell’area dell’abitato”, in Kokalos XXII 1966 pp. 221-233
De Miro 1982-83 = E. De Miro, “Città e contado nella Sicilia centro-meridionale nel III e IV
secolo d.C. ”, in Kokalos XXVIII-XXIX, 1982-83 pp. 319-320
De Miro 1984 = E. De Miro, v. Agrigento in BTCG III, 1984 pp. 75-81
De Miro- Aleo Nero 1988-89 = E. De Miro e C Aleo Nero, “Lampedusa. Scavi 1985-88” in
Kokalos XXXIV-XXXV T. II, 1988-89 pp. 240-243
De Miro 1989 = E. De Miro, “Agrigento: la necropoli greca di contrada Pezzino” , 1989.
De Salvo 1992 = L. De Salvo, “Economia privata e pubblici servizi nell'Impero romano. I corpora
naviculariorum”, 1992.
Page 188
188
De Salvo 2008 = L. De Salvo, “Produzioni e flussi commerciali fra l’africa e la Sicilia in età
imperiale e tardo-antica” in A. Mastino (a cura di) Africa Romana XVII, 2008 pp. 1518-1519
C. Di Stefano 2004 = C. A. Di Stefano, “Il satiro di Mazara del Vallo. Dal mare al museo” in
“Sicilia Antiqua, an International Journal of Archaeology”, 2004 pp. 1214-1215
Di Stefano-Leone 1985 = G. Di Stefano-G. Leone, “La regione camarinese in età romana. Appunti
per la carta archeologica” 1985.
Di Stefano 1989 = G. Di Stefano, “Antichi relitti nella baia di Camarina” estratto da “V rassegna di
archeologia subacquea-V premio Franco Papò. Atti” 1989 pp. 127-134
Di Stefano 1990 = G. Di Stefano, “Camarina 1990. Nuove ricerche e recenti scoperte nella baia e
nell’avamporto” estratto da “V rassegna di archeologia subacquea-V premio Franco Papò. Atti”,
1990 pp. 175-206
Di Stefano 1991 = G. Di Stefano, “Kaucana. Guida agli scavi e al parco” 1991.
Di Stefano 1996 = G. Di Stefano, “Camarina. Guida al museo e alla città antica” 1996.
Di Stefano 1997-98 = G. Di Stefano, “Forme urbane tarde nella Sicilia Orientale: l’esempio del
Chorion di Kaucana” in Kokalos XLIII-XLIV, 1997-98 p. 463 ssg.
Di Stefano 2002 = G. Di Stefano, “Marmi africani e garum spagnolo nel Mediterraneo centrale:
tracce di alcune rotte commerciali in età romana” in A. Mastino (a cura di) Africa Romana XIV,
2002 pp. 627-635
Di Stefano 2006 = G. Di Stefano, “L’ancoraggio di Caucana e il problema dei Vandali” in A.
Mastino (a cura di) Africa Romana XVI, 2006 pp.
Di Stefano 2008 = G. Di Stefano, Cartagine. “Torcularia e tabernae nelle domus urbane tardo-
antiche” in A. Mastino (a cura di) Africa Romana XVIII, 2008 pp.
Di Stefano 2009 = G. Di Stefano, “Cartagine romana e tardoantica”, 2009.
Page 189
189
Di Vita 1959 = A. Di Vita, “Breve rassegna degli scavi archelogici condotti in provincia di Ragusa
nel quadriennio 1955-59” in “BA” XLIV 1959, p. 347
Ellis 1986 = S. Ellis, “Etats Unis: a recscue excavation at the circular harbour south side” in
CEDAC bulletin 7, Mars 1986 pp.14-22
Ellis 1987 = S. Ellis, “Excavation at Carthage. 1986.” in CEDAC bulletin 8, Juin 1987 pp. 11-12
Ennabli 1994 = A. Ennabli, “Cartagine. Periodo romano” in “Enciclopedia dell’arte antica II
supplemento”, 1994 pp. 4-6
Felici-Pentiricci 2002 = F.Felici-M. Pentiricci “Per una definizione delle dinamiche economiche e
commerciali del territorio di Leptis Magna” in A. Mastino (a cura di) Africa Romana XIV, 2002 pp.
1875-1900
Finley 2001 = M. Finley, “Storia della Sicilia antica”, tr. it., 2001.
Fiorentini-De Miro 2010 = G. Fiorentini-E. De Miro, VI. “Agrigento romana. Gli edifici pubblici”
2010,
Freed-Hurst 1991 = J. Freed-H. Hurst, “Pottery from dredging of the circular harbor, May 1990” in
CEDAC bulletin 12, Juin 1991 pp. 24-28
Gabba 1982-83 = E. Gabba, “La Sicilia nel III-IV secolo d.C.”, in Kokalos XXVIII-XXIX, 1982-
83 pp. 336-337
Gebbia 2004 = C. Gebbia, “Commodo e le province romane dell’Africa” in A. Mastino (a cura di)
Africa Romana XV 2004, pp. 1627-1642
Genovese 1999 = M. Genovese, “Gli interventi edittali di Verre in materia di decime sicule”, 1999.
Ghizolfi 1991 = P. Ghizolfi, v. Licata in BTCG IX 1991, p. 24
Gianfrotta 2007 = P. A. Gianfrotta, “Il commercio marittimo in età tardo-repubblicana: merci,
mercanti, infrastrutture” in “Comercio, redistribuction y fondeaderos. La navegacion a vela en el
Page 190
190
Mediterraneo. Acta V Jornadas Internacionales de Arqueologia Subacuatica” Josè Perez e
Guillermo Pascual (a cura di) 2007 pp. 65-66
Gibbins-Parker 1986 = D. J. Gibbins- A. J. Parker, “ The Roman wreck of c. AD 200 at Plemmirio
near Syracuse(Sicily): interim report” in “INJA”, 15, 1986 pp. 267-304.
Gibilaro 1988 = G. Gibilaro, “I caricatori del litorale agrigentino” quaderno n. 35 della Lega navale
italiana, delegazione di Agrigento, 1988.
Griffo-De Miro 1955 = P. Griffo-E. De Miro, “Fasti Archeologici X” in “Annual Bulletin of
classical archeology volume referring to the year 1955” 1955, pp. 335-338.
Gros 1990 = P. Gros, “Le premiere urbanisme de la Colonia Julia Carthago. Mites et realitès d ‘une
fondation cesare-augustienne” in l’ Afrique dans l’ occident romaine ( I siecle av. J.-C.- IV siecle ap.
J. C.) actes du colloque 1990, pp. 546-573
Hesnard-Gianfrotta 1989 = A. Hesnard-P. A. Gianfrotta, “Les bouchons d'amphores en pouzzolane”
in “Amphores romaines et histoire économique : dix ans de recherche. Actes du colloque (Sienne.
22-24 mai 1986)” pag. 431
Hugognot 1996 = C. Hugognot, “Les spectacles de l'Afrique romaine. Une culture officielle
municipale sous l'empire romaine”, 1996.
Hurst 1993 = H. Hurst, “Cartagine: la nuova Alessandria” in AAVV “Storia di Roma” III, 2 1993,
p. 333
Hurst 1994 = H. Hurst, “Excavations at Carthage. The British Mission II” , 1984.
Ibba 2012 = A. Ibba, “L' Africa mediterranea in età romana(202 a.C-442 d.C.)”, 2012.
Lancel 1992 = S. Lancel, “Carthage”, 1992.
Lezine-Picard-Picard 1956 = A. Lezine-G. Picard-C. Picard, “Observations sur la ruine des thermes
d’ Antonin a Carthage” in “CRAI” pp.426-428
Page 191
191
Keay 1984 = S. J. Keay, “Late Roman amphorae in the Western Mediterranean”, 1984.
Kuhoff 2002 = W. Kuhoff, “Il ruolo dell’ Africa nell’editto sui massimi prezzi di diocleziano” in A.
Mastino (a cura di) Africa Romana XIV 2002, pp. 2015-2022
Macaluso 2009 = D. Macaluso, “Ricerca e mappatura degli itinerari archeologico-subacquei della
provincia di Agrigento” in M. Paoletti (a cura di), 2009 pp. 196-203
Manganaro 1980 = G. Manganaro, “La Provincia Romana”, in E. Gabba e G. Vallet(a cura di) “ La
Sicilia Antica” vol. II.2 1980, pp. 415-457
Manganaro 1988 = G. Manganaro, “La Sicilia da Sesto Pompeo a Diocleziano” in “ANRW” Teil II:
Principat. Band 11, politische geschichte (Provinzen und randvolker: Sizilien und Sardinien; italien
un Rom; allgemain). 1.teilband-Sizilien und Sardinien, H. Temporini (a cura di), 1988 pp. 3-88
Martin-Vallet 1980 = R. Martin-G. Vallet, “L’architettura domestica”, E. Gabba e G. Vallet(a cura
di) “ La Sicilia Antica” vol I.2 1980, pp. 262-264
Martin-Pelegatti-Vallet-Voza = R. Martin, P. Pelagatti, G. Vallet, G. Voza, “Le strutture urbane ed il
loro rapporto con la storia” in E. Gabba e G. Vallet(a cura di) “ La Sicilia Antica” vol. I.2 1980, pp.
245-246
Massa 2002 = S. Massa, Pantelleria. “Le produzioni ceramiche di età romana e tardoantica: il
contesto locale e la rete dei traffici mediterranei” in A. Mastino (a cura di) Africa romana XIV 2002,
pp. 948-951
Medas 2004 = S. Meda, “De rebus nauticis, l’arte della navigazione nel mondo antico”, 2004
Mertens 2010 = D. Mertens, “L’architettura templare” in S. Tusa(a cura di) “Selinunte”, 2010 pp.
97-99
Page 192
192
Mezzolani 2008 = A. Mezzolani, “I materiali lapidei nelle costruzioni di età fenicia e punica a
Cartagine”, in “Analecta Romana Instituti Danici XXXIII, Accademia di Danimarca 2008, pp. 8-
26.
Migliario 2004 = E. Migliario, "Per una rilettura del "Bellum Africum" - e di varie fonti epigrafiche
- alla luce dei nuovi dati dal survey di Dougga" in M. Raajimakers (a cura di), “Archeologia del
territorio: metodi materiali prospettive: Medjerda e Adige: due territori a confronto”, Trento:
Università di Trento. Dipartimento di Scienze filologiche e storiche 2004 pp. 161-163
Mosca-Di Stefano 2006 = A. Mosca e G. Di Stefano, “Una fontana a cascata a Cartagine” in A.
Mastino (a cura di) Africa Romana XVII 2008, pp. 816-877
M. Lavigerie 1921 = Musée Lavagerie, (Carthage, Tunisie), “Carthage autrefois, Carthage
aujourd'hui: description et guide avec graveures et un plan par deux pères blancs”, 1921.
Musti 2005 = D. Musti, “Introduzione alla storia greca”, 2005.
Orlandini 1966 = P. Orlandini, “Lo scavo del thesmophorion di Bitalemi e il culto delle divinità
ctonie a Gela” in Kokalos, XII 1966, pp. 12-16
Pace 1927 = B. Pace, “Camarina. Topografia, storia, archeologia” 1927.
Pace 1931 = B. Pace, “Le Fortificazioni di Cartagine”, 1931.
Palmieri 2008 = L. Palmieri, “I Vandali e l’ olio” in A. Mastino (a cura di) Africa Romana XVII
2008, pp. 1081-1087
Panella 1983 = C. Panella, “Le anfore di Cartagine: nuovi elementi per la ricostruzione dei flussi
commerciali del Mediterraneo in età imperiale romana” in “OPUS” II. International Journal for
social and economic history of antiquity 1983, p. 53 ssg.
Page 193
193
Panella 1984 = C. Panella, “I commerci di Roma ed Ostia in età imperiale (secoli I-III): le derrate
alimentari” in “Misurare la terra: centuriazione e coloni nel mondo romano. Città, agricoltura,
commercio: materiali da Roma e dal suburbio” 1985, pp. 180-182
Panella 1986a = C. Panella, “Le anfore tardo-antiche: centri di produzione e mercati preferenziali”
in A. Giardina (a cura di) “Società romana e impero tardo-antico” Vol. III 1986, pp. 435-437
Panella 1986b = C. Panella, “Le merci: produzioni, itinerari e destini” in A. Giardina (a cura di)
“Società romana e impero tardo-antico” Vol. III 1986 pp. 440-446
Panero 2008 = E. Panero, “La Maalga e i Porti Punici di Cartagine. Una città e il suo territorio dalla
fondazione fenicia alla dominazione romana”, 2008.
Panvini 1993 = R. Panvini, “La nave greca di Gela” in “Archeologia Viva” n. 37(Aprile 1993).
Panvini 1996 = R. Panvini, “Ghelas. Storia e archeologia dell'antica Gela”, 1996.
Panvini 1997 = R. Panvini, “Gela ed il suo territorio.” In “La Sicilia centro-meridionale tra il II ed
il VI secolo d.C.” Catalogo della mostra svoltasi ad Caltanissetta/Gela nell’Aprile/dicembre 1997.
Pareti 1910 = L. Pareti, “Per la storia e la topografia di Gela” in “MDAI” (R), XXV, 1910, Studi
siciliani e italioti 1914, pp. 1-26
Parker 1976 = A.J. Parker, “Il relitto romano delle colonne a Camarina” in “Sicilia Archeologica”
30, 1976 pp. 25-29
Pavolini 1984 = C. Pavolini, “I commerci di Roma e di Ostia in età imperiale: merci di
accompagnamento e carichi di ritorno” in “Misurare la terra: centuriazione e coloni nel mondo
romano. Città, agricoltura, commercio: materiali da Roma e dal suburbio” 1984, p. 241 ssg
Pelagatti 1985= P. Pelagatti, v. Camarina in BTCG IV 1985, pp. 291-292
Pensabene 2010 = P. Pensabene, “Piazza Armerina: Villa del Casale e la Sicilia tra Tardo-antico e
medioevo”, 2010.
Page 194
194
Picard 1961 = G. e C. Picard, “I cartaginesi al tempo di Annibale”, 1961.
Pinza 1924 = G. Pinza, “Ricerche su la topografia di Cartagine punica” in Atti dei Rendiconti della
Regia Accademia dei Lincei, 1924 pp. 81-88
Portale 2004 = E.C. Portale, “Le grandi isole del Mediterraneo occidentale. Sicilia.”, 2005.
Price 1974= M. J. Price, “A Roman third century A.D. shipwreck at Cape Ognina (Siracuse, Sici-
ly)”, in G. Kapitan (a cura di) “IJNA”3 1974, pp. 151-153
Purpura 1975 = G. Purpura, “Alcuni rinvenimenti lungo le coste della Sicilia Nord-occidentale, in
“SicA” VIII 28-29 1975, pp. 58-60
Rakob 1985 = F. Rakob, “Fouilles a Carthage. Mission archeologique Allemande. Activities en
1983. Bref rapport“ in CEDAC bulletin 6, Mars 1985 pp. 5-7
Rakob 1987 = F. Rakob, “Bref rapport preliminaire sur les sondages de sauvatage. Mars-Avril 1987”
in CEDAC bulletin 8, Juin 1987 p. 8
Rakob 1989 = F. Rakob, “ Die fruhe siedlung” in RM 96, 1989 pp. 155-194
Rakob 1995 = F. Rakob, “Forschungen im Stadtzentrum von Karthago” in RM 102, 1995 pp. 416-
420
Romanelli 1959 = P. Romanelli, “Storia delle province romane d’Africa“, 1959.
Salmieri 1984 = G. Salmieri, “Sui rapporti tra Sicilia e Africa in età romana repubblicana e
imperiale” in A. Mastino (a cura di) Africa Romana III 1986, pp. 404-407
Santangelo 1966 = G. Santangelo, “Taormina und Umgebung”, 1966 .
Scardigli 1991 = G. Scardigli, “I trattati romano-cartaginesi”, 1991.
Stucchi 1975 = S. Stucchi, “Architettura Cirenaica. Monografia di archeologia libica 9”, 1975 pp.
504-505.
Torelli 1990 = M. Torelli, “Il modello urbano e l’immagine della città” in S. Settis (a cura di)
“Civiltà dei romani. Le città, il territorio, l’impero” 1990, pp. 53-55.
Page 195
195
Torelli-Gròs 1994 = M. Torelli-P. Gros, “Storia dell’urbanistica. Il mondo romano”, 1994.
Tusa 2010 = S. Tusa, “Selinunte”, 2010.
Uggeri 1968 = G. Uggeri, “La terminologia portuale romana e la documentazione dell’“Itinerarium
Antonini”, in «Studi italiani di filologia classica» 1968, pp.
Uggeri 1974 = G. Uggeri, “Edizione archeologica della carta d’ Italia al 100.000, F 275 (Scoglitti)”,
1974.
Uggeri 2004 = G. Uggeri, “La viabilità della Sicilia in età romana.”, 2004.
B.H. Warmington 1968 = B. H. Warmington, “Storia di Cartagine”, 1968 .
Verite 1989 = J. Verite, “Le site de la Malga a Carthage” in CEDAC bulletin 10, Juin 1989 pp. 41-
46
Volpe 2002 = “Relitti e rotte commerciali nel Medioevo occidentale tardo-antico” in A. Mastino (a
cura di) Africa Romana XIV 2002, pp. 239-241
Wilson 1990 = R. J. A. Wilson, “Sicily under the roman empire. The archaeology of a Roman
province. 36 BC -AD 535”, 1990
Wilson 2011 = “Funerary feasting in Early Byzantine Sicily: new evidence from Kaucana” in AJA
vol. 155 n. 22, April 2011, pp. 263-266
Page 196
196
Fonti storiche
Appianus, “Historia Romanae”, E. Bekker (a cura di) 1852.
Augustus, “Res gestae Divi Augusti”, E. Malcadi (a cura di) 1936.
Cicero Marco Tullius, “The Verrine Orations”, L. H. G. Greenwood (a cura di) 1966.
Cicero Marco Tullius, “De Lege Agraria orationes” L. Filippi (a cura di) 1930.
Columella, “Res Rustica”, R. H. Rodgers (a cura di) 2010.
Diodorus Siculos, “Bibliotheca Historica”, L. Dindorf (a cura di)
Dracontius, “De laudibus Dei et Satisfactio”, A. Luceri (a cura di) 2006.
Iosephus Flavius, “La guerra giudaica”, G. Vitucci (a cura di) 1974.
Isidorus Hispalensis, “Chronichon”, library of latin texts- series A (risorsa elettronica) 2010.
Historia Augusta, “Scrittori della Storia Augusta”, G. Porta (a cura di) 1990.
Titus Livius, “Ab Urbe condita”, W. Weissenborn e H.J. Muller (a cura di) 1963.
C. Plinius Secundus, “Naturalis historia”, C. Mayhoff (a cura di) 1906.
Plutarcus, “Vitae Parallelae” C. Lindskog (a cura di) 1964.
Polybius, “Historiae”, L. Dindorf ( a cura di) 1882.
Polyaenus, “Strategicon”, E. Woelfflin (a cura di) 1860.
Procopius Caesarensis, “La guerra gotica”, D. Comparetti (a cura di) 1898.
Strabo, “Geographica”, A. Alfoldi (a cura di) 1968.
P. Cornelius Tacitus, Annalium (ab excessu Divi Augusti), C.D. Fisher (a cura di) 1953.
Thucydidis, “Historiae”, C. Hude (a cura di) 1901.
P. Vergilius Maro, “Aeneidos”, R. Sabbadini (a cura di) 1958.
Zosymus, “Historia Nova”, L. Mendelssohn (a cura di) 1963.