Top Banner
ISSN 1123-3117 Rapporti ISTISAN 05/10 ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ Crisi idrica in Italia e nel Lazio: cause generali e nuove tecniche di recupero e ricostituzione delle risorse idriche A cura di Milena Bruno, Serena Melchiorre e Valentina Messineo Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria
81

cause - Istituto Superiore di Sanità

Apr 25, 2023

Download

Documents

Khang Minh
Welcome message from author
This document is posted to help you gain knowledge. Please leave a comment to let me know what you think about it! Share it to your friends and learn new things together.
Transcript
Page 1: cause - Istituto Superiore di Sanità

ISSN 1123-3117 Rapporti ISTISAN

05/10

ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ

Crisi idrica in Italia e nel Lazio: cause generali e nuove tecniche di recupero

e ricostituzione delle risorse idriche

A cura di Milena Bruno, Serena Melchiorre e Valentina Messineo

Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria

Page 2: cause - Istituto Superiore di Sanità

Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e Direttore responsabile: Enrico Garaci Registro della Stampa - Tribunale di Roma n. 131/88 del 1° marzo 1988 Redazione: Paola De Castro, Sara Modigliani e Sandra Salinetti La responsabilità dei dati scientifici e tecnici è dei singoli autori. © Istituto Superiore di Sanità 2005

Istituto Superiore di Sanità Crisi idrica in Italia e nel Lazio: cause generali e nuove tecniche di recupero e ricostituzione delle risorse idriche. A cura di Milena Bruno, Serena Melchiorre e Valentina Messineo 2005, iii, 74 p. Rapporti ISTISAN 05/10

Drastici cambiamenti climatici causati dall’effetto serra stanno avendo negli ultimi anni pesanti ricadute sulla piovosità e sulla rigenerazione delle riserve naturali d’acqua dolce; l’aumento della temperatura nei mari consente l’impianto di specie tropicali, a volte indesiderabili, nelle più trofiche acque delle zone temperate. Questa situazione che interessa in misura variabile il globo, e che pone pesanti problemi gestionali a tutti i governi, riguarda, in modo preoccupante da alcuni anni, anche l’Italia. La scarsità di piogge autunnali e invernali durante il 2001-2002, e le alluvioni tropicali durante l’estate 2002 sono state accompagnate da una seria e diffusa siccità in tutto il territorio italiano, con l’evidente abbassamento, notevole, di tutti gli invasi, naturali e artificiali, deputati a risorsa idrica. Il territorio del Lazio è stato interessato dalla siccità e dalle successive violente precipitazioni del 2002 nella misura di un terzo della superficie agricola utilizzata, a cui sono affiancate le carenza di acqua potabile nell’area servita dal fiume Simbrivio. Le dispersioni delle reti acqueduttali predispongono a trovare soluzioni parallele che esaudiscano la domanda pubblica anche durante gli improcrastinabili lavori di adattamento delle reti, le grandi opere pubbliche del futuro. Il riuso delle acque, oltre ad essere protagonista di un recente decreto del Ministero dell’Ambiente, è un tema che troverà sempre più ampia declinazione nel futuro dei territori nazionali.

Parole chiave: Siccità, Riserve idriche, Effetto serra Istituto Superiore di Sanità Water crisis in Italy and in Latium: general causes, restoration and reconstitution techniques of water supplies. Edited by Milena Bruno, Serena Melchiorre and Valentina Messineo 2005, iii, 74 p. Rapporti ISTISAN 05/10 (in Italian)

The drastic climatic changes due to the “green house effect” are having heavy consequences on the rainfalls and on the regeneration of the natural fresh water supplies. In the meantime the increase of the sea temperature allows the development of undesirable tropical species in the most trophic water of the temperate areas. Since some years this situation, that concerns the globe in variable manner and that causes managerial problems to all the governments, involves Italy in a warring way. The low level of autumnal and winter rains during 2001-2002 and the tropical inundations during summer 2002 were combined with a serious and widespread drought all over Italian territory and this situation caused a remarkable lowering of both natural and artificial water supplies. The Latium territory has been involved by drought and by the subsequent violent rains of the current year for 1/3 of the used agricultural surface. The water dispersion of the aqueducts predisposes to find parallel solutions to satisfy the public request during the nets adaptation works. The re-utilization of waters, as well as being protagonist of a recent law of the Minister of Environment, is a theme that will be more and more important in the future of national territory.

Key words: Drought, Water supplies, Green-house effect Per informazioni su questo documento scrivere a: [email protected] Il rapporto è accessibile online dal sito di questo Istituto: www.iss.it.

Page 3: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

i

INDICE

Premessa ............................................................................................................................................... ii

Crisi idrica planetaria e conseguenze nel territorio italiano Milena Bruno, Serena Melchiorre, Valentina Messineo..................................................................... 1

Il servizio idrico integrato della Regione Lazio Gustavo Imbellone .............................................................................................................................. 4

Siccità al Sud e alluvioni al Nord: come intervenire per ridurre i danni Massimo Bartolelli.............................................................................................................................. 22

Aspetti qualitativi e quantitativi della risorsa idropotabile nella Regione Lazio

Mauro Lasagna................................................................................................................................... 34

Sistemi di trattamento delle acque Roberto Malagoli................................................................................................................................ 39

L’uomo e le modificazioni climatiche cicliche: effetto serra del Terzo Millennio e previsione degli impatti sull’ambiente

Franco Ortolani, Silvana Pagliuca..................................................................................................... 41

Page 4: cause - Istituto Superiore di Sanità
Page 5: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

iii

PREMESSA

L’Italia è il terzo Paese europeo per l’incidenza delle superfici irrigue sul totale del territorio destinato all’agricoltura. Il livello qualitativo delle acque destinate all’irrigazione è complessivamente basso: lo stato dei fiumi da cui si capta l’acqua per diverse città (come Firenze) è decisamente precario. La produzione di acqua potabile è garantita per l’85% dai prelievi di falda, al 90% al Nord e al 15-20% al Sud, dove si ricorre molto agli invasi artificiali. In ogni caso, solo il 73% del volume totale prelevato e immesso negli acquedotti viene realmente utilizzato; il rimanente si “perde” per strada. Questa percentuale è tra le più alte d’Europa.

Il ricorso alle acque di falda è giustificato dal trattamento minore in sede di potabilizzazione, ma espone ad un inquinamento difficilmente reversibile, a causa della lentezza di ricambio, della risorsa idrica più preziosa anche dal punto di vista della stabilità geologica.

Nel nostro paese si evidenziano da qualche anno le sempre più catastrofiche conseguenze estive della carenza idrica sulla produzione agricola e sulla disponibilità potabile. Gli effetti del riscaldamento del pianeta si riflettono in Italia con un clima che si avvicina sempre di più a quello subtropicale, in cui a stagioni intermedie scarsamente piovose fanno seguito alluvioni estivi che non ricaricano le falde e flagellano i livelli superficiali dei terreni.

I provvedimenti per capovolgere la tendenza al riscaldamento della crosta terrestre devono essere necessariamente planetari, e su di essi devono concentrarsi la forza e la decisione di tutti i paesi, soprattutto quelli con clima simile al nostro, prima che sia troppo tardi, cioè che la desertificazione avanzi.

Localmente, la siccità deve essere combattuta tutto l’anno, con una attenta politica di amministrazione e difesa delle risorse idriche, tutta da attuare, e con la ricostruzione della rete idrica nazionale, vetusta e pesantemente affetta da perdite. L’origine e gli aspetti attuali del fenomeno della carenza idrica in Italia e nel Lazio, con le possibili soluzioni e le nuove ipotesi di gestione del territorio regionale vengono brevemente discussi in un iniziale contributo di ipotesi per la gestione di questa nuova emergenza ambientale e sanitaria rappresentata dalla crisi idrica nazionale.

Page 6: cause - Istituto Superiore di Sanità
Page 7: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

1

CRISI IDRICA PLANETARIA E CONSEGUENZE NEL TERRITORIO ITALIANO

Milena Bruno, Serena Melchiorre, Valentina Messineo Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria, Istituto Superiore di Sanità, Roma

La tendenza al riscaldamento della superficie del pianeta negli ultimi 20 anni è

sostanzialmente più grande di quella vista durante il resto dell’ultimo secolo, e c’è crescente evidenza che i gas dell’effetto serra da attività umane siano un importante innesco dell’aumento della temperatura media globale nel XX secolo. Questa causa è anche all’origine del riscaldamento degli oceani, e della diminuzione nell’estensione e nello spessore del ghiaccio artico nelle ultime decadi. Nuove ricerche hanno rivelato che i ghiacciai della Groenlandia si stanno sciogliendo, l’accumulo di neve sull’Himalaia negli ultimi 1.000 anni rivela un aumento del riscaldamento nel XX secolo, come anche i profili di temperatura misurati nei pozzi di trivellazione forniscono una verifica indipendente del riscaldamento superficiale lungo tutti gli ultimi 500 anni.

L’attenzione degli ambienti scientifici mondiali si è concentrata sulla minaccia potenziale verso le risorse idriche rappresentata negli anni futuri dai cambi climatici.

Le conclusioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) del 1996 hanno sottolineato che il clima globale sta diventando sempre più caldo e umido a causa di emissioni di gas-serra come metano e CO2, che nell’ultimo secolo hanno accresciuto le temperature medie di 0,3 -0,6 gradi centigradi. Inoltre, a seguito di queste emissioni le aree continentali comprese tra 40-70° N mostrano aumento della temperatura, mentre quelle a latitudini più basse sono soggette invece a diminuzioni della temperatura. Anche le alterazioni nel regime di precipitazione variano geograficamente: la pioggia e la neve sono rispettivamente accresciute e diminuite alle alte latitudini dell’emisfero settentrionale, ma le precipitazioni sono diminuite nei tropici e nei subtropici. Ad esempio, nel 2002 in Australia si è registrata la più grave siccità della storia, con una media delle temperature tra marzo e novembre superiore di 1 °C rispetto al passato, e di 0,8 °C rispetto alle più alte massime degli anni precedenti. Questi livelli hanno determinato un aumento dell’evaporazione in tutti i corsi d’acqua e invasi del Paese, compreso il Bacino del Murray Darling, da cui proviene il 40% dei prodotti agricoli dell’Australia.

Questa variabilità su larga scala geografica suggerisce che tutti i futuri effetti di cambio climatico nei sistemi acquatici varieranno sostanzialmente attraverso il globo. Data la previsione di aumento delle emissioni di CO2 e della temperatura media globale dell’atmosfera di 1-3,5°C entro il 2100, sembra sempre più probabile che questi effetti si verifichino.

Le valutazioni espresse nel 1999 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite schedavano un terzo della popolazione mondiale come affetta da moderati o alti problemi di disponibilità d’acqua, dovuti in parte ad indisponibilità, ma in parte, nel Terzo Mondo, anche ad esclusione dal circuito dell’acqua potabile di gran parte delle risorse idriche, per via dell’inquinamento causato dai settori manifatturiero e minerario, dell’eutrofizzazione, dei metalli pesanti, dell’acidificazione e degli inquinanti organici. Nei paesi meridionali europei peraltro circa il 50% della popolazione non è connesso ad impianti di depurazione, e in Italia, in particolare, il 27% del territorio italiano è ormai soggetto a desertificazione.

Le previsioni dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) per il 2025 rimarcano inoltre che i livelli di consumo superano già del 20%, attualmente, i rifornimenti disponibili, e fra altri 30 anni la situazione peggiorerà notevolmente. Con l’attuale tendenza, in particolare, gli usi

Page 8: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

2

industriali raddoppieranno, l’agricoltura è già responsabile del 70% del consumo mondiale d’acqua e si avrà una crescita del 50-100% del consumo dell’acqua di irrigazione, preferenzialmente nei Paesi in via di sviluppo, dove più grande sarà la crescita della popolazione e l’espansione agricola e industriale. Come conseguenza, due terzi della popolazione mondiale avrà moderati o alti problemi di disponibilità d’acqua. Il problema è particolarmente serio quando la contaminazione idrica coinvolge le acque di falda: nei Paesi asiatici queste provvedono a più del 50% della disponibilità idrica domestica, e la maggior parte di questi sta sperimentando una rapida crescita nei settori minerario e manifatturiero, tra i più inquinanti per questo settore. Nel complesso dei Paesi in via di sviluppo, inoltre, dal 60 al 75% dell’acqua di irrigazione non raggiunge mai le piante, ma si perde per evaporazione o deviazioni dal percorso.

I danni segnalati nelle regioni italiane a seguito della siccità dell’estate 2002 sono stati ingenti. I dati della Coldiretti stimano a 3,5 miliardi di euro il danno complessivo, con maggiore interessamento delle colture di frutta, verdura, cereali, della viticoltura, dell’olivicoltura, delle barbabietole, dei foraggi e degli allevamenti. Nell’ordine, in Friuli-Venezia Giulia e Piemonte sono stati segnalati danni alle colture, in Umbria si è avuta la chiusura notturna delle reti idriche, e la calata del lago Trasimeno sotto il livello di guardia. In Toscana si sono avute falde idriche svuotate nell’Appennino, e invasi svuotati in Val di Chiana e nel Senese con conseguente blocco dell’irrigazione sulle colture.

Nel Lazio la siccità è stata gravissima: i danni più rilevanti riguardano i foraggi, i seminativi, le colture orticole fuori campo e quelle frutticole. Nel complesso sono stati interessati circa 280.000 ettari di superficie agricola utilizzata, su un totale di 834.000 ettari. 20.000 imprese su 100.000 operanti hanno subito danni, per un totale complessivo del 40% della produzione lorda vendibile. Sono stati segnalati danni alle zone agricole del basso Tevere e dei suoi affluenti, e invasi svuotati e danni alle colture nella zona del Viterbese e sul Simbrivio. Gli invasi sono stati tutti ampiamente al di sotto del livello di guardia. La situazione è stata aggravata anche dalla mancata attuazione di un piano organico per affrontare l’efficienza degli acquedotti, che in media perdono il 45% dell’acqua.

Nelle Marche ci sono stati invasi svuotati, in Basilicata mancate distribuzioni nei campi, in Puglia mancate erogazioni agli allevamenti e risalite di acqua salmastra, inservibile, da falde acquifere ormai esaurite in Capitanata; in Calabria sono stati rinvenuti allacci abusivi alle reti acqueduttali e furti d’acqua, in Sardegna la piovosità complessiva ha raggiunto poco più del 50% rispetto alla media dell’ultimo secolo, e in Sicilia si sono verificati turni di erogazione, è stato necessario arrivare alla requisizione di pozzi privati, sono stati scoperti furti d’acqua potabile con creazione di riserve idriche grandi come laghi e gestite dalla mafia.

Nel complesso, è stato calcolato che negli invasi del Sud Italia nel 2002 è mancato quasi un miliardo di metri cubi. Lo stato di riempimento non è andato oltre il 17% della capacità. Da dati provenienti da valutazioni degli utenti, viene segnalata una dotazione insufficiente di acqua nel 8,5% dei territori dell’Italia settentrionale, nel 18% del Centro, nel 55% delle Isole, e ben nel 78% del Sud Italia. Nel 1999 il 15% delle famiglie italiane ha rilevato irregolarità nella distribuzione della rete, e il 44% delle famiglie ha dichiarato di non bere comunque acqua pubblica a causa di disservizi o per scarsa fiducia nella qualità della stessa. Nel Lazio, anche se dalla fine degli anni settanta i regolamenti urbanistici hanno obbligato i nuovi edifici a dotarsi di serbatoi utili per la riserva idrica, gran parte degli edifici, soprattutto nei centri storici, ne sono privi.

La diminuzione estiva della portata degli invasi è causa di concentrazione dei sali nutritivi che arrivano per dilavamento o immissione diretta, con aumento dello stato trofico e della probabilità di iperproliferazione algale e innesco di fioriture tossiche; questa è una delle concause dell’aumento di queste ultime in Italia negli ultimi dieci anni.

Page 9: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

3

Inoltre la gestione delle risorse potabili in Italia è affidata ad Enti, Corsorzi, Comuni, Aziende speciali, Società per Azioni, ecc. In Sardegna 42 Aziende diverse gestiscono l’approvvigionamento idrico per una popolazione pari alla metà di quella di Roma; nel Lazio su 377 Comuni le Aziende sono 436, in Sicilia sono in totale 400. Questi numeri elevati di gestori non si conciliano con il riordino legislativo che, iniziato nel 1994 con la legge N° 36 detta “Galli” e con i successivi provvedimenti, non si è ancora compiuto.

La gestione della carenza idrica in Italia, oltre che per una distribuzione proporzionata ai bisogni e per il rinnovo della rete idrica, passa anche per la razionalizzazione delle fonti di approvvigionamento e per il riutilizzo delle acque bianche e nere, previa una depurazione non solo biologica, ma anche chimica, per realizzare il massimo abbattimento possibile del livello dei sali nutrienti.

Nell’estate del 2002 il Ministero dell’Ambiente ha cercato di dare delle prime risposte di lungo respiro alla crisi, redigendo il decreto per il riutilizzo delle acque reflue, alla data attuale non ancora promulgato, che prevede limitazioni del prelievo dalle acque superficiali e sotterranee, contemporaneamente alla riduzione dell’impatto sui corpi idrici recettori.

L’innovazione del decreto è il risparmio e la tutela della qualità delle risorse idriche italiane attraverso il riutilizzo multiplo delle acque reflue, che potrebbe coprire il 29% dell’attuale totale fabbisogno irriguo, e in particolare il 36% nel Sud, limitando lo sfruttamento delle acque di falda e di superficie.

Il decreto comprende inoltre incentivazioni e benefici economici per le Aziende che investono in tecnologie di recupero delle acque. Le acque adibite al riutilizzo dovranno ottemperare a standard di qualità ambientale e specifici requisiti chimico-fisici e microbiologici, per poter essere impiegate in usi irrigui, industriali e civili comprendenti il lavaggio delle strade, l’alimentazione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento, gli scarichi igienici se esiste il doppio circuito. Le abitazioni private saranno escluse dalla distribuzione, le reti di distribuzione saranno separate e isolate dalle reti di acque potabili, gli impianti di recupero saranno soggetti a controlli capillari, e infine è previsto che i governi regionali pianifichino le attività di recupero. Uno degli aspetti qualificanti del decreto è all’articolo 26, dove si stabilisce la responsabilità degli organi locali di incentivazione e beneficio economico per le aziende che si muniranno di tecnologie atte al recupero delle acque di processo. I benefici saranno delegati alle Regioni mediante l’erogazione di opportuni finanziamenti per gli investimenti nell’area e mediante abbattimento delle tariffe di consumo delle risorse idriche.

Bibliografia di riferimento

Frederick KD, Major DC. Climate change and water resources. Climatic Change 1997;37:7-23.

Intergovernmental Panel on Climate Change. Climate Change 1995: The Science of Climate Change: Contribution of Working Group I to the Second Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change. Cambridge, UK: Cambridge University Press, 1996.

Page 10: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

4

IL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO DELLA REGIONE LAZIO

Gustavo Imbellone Garante Regionale del Servizio Idrico Integrato, Lazio

I contenuti e le finalità dei Rapporti semestrali, che il Garante del Servizio idrico integrato è

tenuto ad elaborare in base alla normativa regionale (LR 26/1998), attengono agli aspetti della misurazione dell’efficienza e della comparazione tra gestioni nel campo, che oggi è un vero “cantiere aperto”, dell’organizzazione sul territorio dei servizi di acquedotto, depurazione e fognatura. Riuscire a relazionare periodicamente su questi aspetti, in particolare nella fase di questi anni fortemente segnata dai passaggi complessi e a volte incerti tra vecchie gestioni del servizio (il più delle volte frantumato in tantissimi segmenti separati) e nuova organizzazione sovracomunale della gestione (i cosiddetti ambiti territoriali ottimali), non è un compito facile. L’autonomia e l’indipendenza di giudizio che la legge regionale raccomanda al Garante nello svolgimento dei suoi compiti, in questo caso sono chiamate a dare seria prova di sé.

Ci si augura che i Rapporti costituiscano, nell’oggettività dei dati e della rappresentazione dei processi organizzativi - amministrativi in corso, un contributo, anche piccolo, ma reale, al radicamento di una vera cultura dell’acqua.

Per una parte i media, per altra parte le grandi istituzioni mondiali (ONU, Conferenza di Kyoto) molto attente nell’analisi dei fenomeni e altrettanto deboli nei poteri di decisione, hanno in questi ultimissimi tempi arricchito la conoscenza globale con dati inquietanti: oggi due miliardi e mezzo di donne e di uomini non hanno accesso all’acqua potabile; ogni giorno seimila bambini muoiono nel mondo per malattie provocate da acqua insalubre.

È quasi spontanea a ciò l’obiezione: sì, è una vera tragedia. Ma per fortuna l’Italia è il paese che, tra quelli più sviluppati, ha il più largo. consumo di acqua. Il Lazio, d’altra parte, è una Regione ricchissima d’acqua potabile.

Scatta a questo punto una seconda considerazione. Poco nell’operare delle istituzioni, dei soggetti pubblici e privati che hanno compiti nell’organizzazione e gestione dell’acqua, si scava, con l’esempio, con l’azione e con la proposta, per approfondire i nessi – non solo teorici, ma pratico-concreti – tra l’agire locale e il pensare globalmente.

Desertificazione, alluvioni devastanti, inquinamenti su grandissima scala, dipendono tante volte da tendenze e da processi planetari, ivi compresi modelli di sviluppo affermatisi negli ultimi decenni. Ciò non esime dal fatto che l’azione e la responsabilità a livello locale influiscano enormemente per limitare danni o per mettere a frutto potenzialità positive per un diverso uso e rapporto con l’acqua.

L’acqua si sta dimostrando un terreno privilegiato per questi nessi e queste relazioni di pensiero e di comportamenti reali. Scrive Vito Teti nella bella introduzione a “Storia dell’acqua” (Donzelli Editore, 2003): “Nelle nostre società progredite, non solo nelle megalopoli, nelle grandi concentrazioni urbane, ma anche nelle città di provincia, nei paesi e nelle piccole comunità, vengono sostanzialmente ignorati i cicli, i ritmi, le fasi, i luoghi dell’acqua”.

Dare conto in modo obiettivo degli sforzi, dell’impegno di risorse, delle resistenze e anche delle remore culturali con cui ci si misura nel lavoro di riorganizzazione in un territorio (una Regione) del servizio idrico integrato, può significare anche e molto formare e diffondere la cultura dell’acqua: come bene dell’umanità, come oggetto di un definito diritto umano e sociale.

Page 11: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

5

Piace concludere, una terza considerazione; oggi e tanto di più nel futuro, il programmatore, il decisore istituzionale, il gestore pubblico e privato di un servizio riguardante la distribuzione di una risorsa così importante in un contesto ambientale compatibile con lo sviluppo, dovranno saper coniugare le loro responsabilità operative e di scelta, con l’ausilio dei dati rientranti nella tecnologia e nella scienza applicata che solo organi scientifici e personale di qualità sono in grado di produrre e fornire.

Si apre così un campo vasto di lavoro comune e convergente di saperi, secondo regole agili e flessibili, a vantaggio della natura e delle generazioni future.

Attuazione della riforma nei cinque ambiti

Attività delle cinque conferenze d’Ambito

I dati informativi e le valutazioni presenti in questo Rapporto danno conto e misurano gli effettivi passi in avanti compiuti nel lavoro di riorganizzazione del servizio idrico nel Lazio, secondo le linee generali della L 36/1994 (Legge Galli) e della relativa normativa regionale di attuazione, lungo il semestre gennaio-giugno 2002, nei cinque ambiti territoriali ottimali, in cui il Lazio è stato suddiviso in base alla LR 6/1996.

Si tratta effettivamente di passi avanti compiuti lungo un arco di tempo che è orinai di sei anni: tanto è il tempo trascorso dalla prima importante legge regionale di attuazione della Legge Galli.

Anticipando quanto nelle pagine che seguono sarà più analiticamente rappresentato, ci si limita qui a richiamare i più rilevanti atti di valenza istituzionale prodotti dalle conferenze dei cinque Ambiti Territoriali Ottimali (ATO).

ATO 1 - Lazio Nord (Viterbo) Conferenze d’Ambito del 19 febbraio e del 22 aprile 2002: esame e approvazione del

programma a stralcio d’interventi urgenti ex art. 141 comma 4 L 388/2000 per adempimento obblighi comunitari in materia di fognatura, collettamento e depurazione;

Lavoro istruttorio della Consulta d’Ambito per la predisposizione del piano d’Ambito. Nella conferenza del 31 luglio viene approvato l’atto d’indirizzo contenente l’adozione del

programma e degli interventi quale base per la redazione del piano d’Ambito.

ATO 2 - Lazio Centrale (Roma) La Conferenza nella seduta del 24 maggio, in attuazione di quanto disposto da delibera dello

stesso organo del novembre 1999 (riconoscimento in attuazione della nonna della Convenzione di cooperazione, dei titoli in ACEA ad essere soggetto affidatario del servizio idrico integrato nell’ATO 2 - Lazio Centrale, Roma), ha approvato: la Convenzione di gestione e gli allegati; l’acquisizione da parte di ogni Comune del l’ATO e della provincia di Roma, di una azione dell’ACEA ATO 2 SpA; il conferimento del mandato al Presidente della Provincia di Roma, quale coordinatore dell’Autorità per l’ATO 2, della sottoscrizione della Convenzione di gestione e predisposizione di tutti gli atti necessari al fine di avviare il servizio idrico integrato, entro e non oltre il 1° gennaio 2003.

Si prevede che la Convenzione di gestione e la Convenzione di cooperazione modificata, siano approvate dai consigli comunali degli enti locali rientranti nell’ATO 2 e che ACEA ATO 2 SpA approvi la Convenzione di gestione.

La firma della Convenzione di gestione è avvenuta ai primi di agosto del corrente anno.

Page 12: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

6

ATO 3 - Lazio Centrale (Rieti) Il piano d’Ambito, redatto dalla Segreteria tecnico operativa e oggetto di approfondimenti in

sede di Consulta nel corso del semestre gennaio - giugno, è stato definitivamente approvato nella Conferenza d’ambito del 4 luglio del c.a. (2002)

ATO 4 - Lazio Meridionale (Latina) La conferenza d’Ambito del 9 aprile prende in esame e approva: – il piano d’Ambito definitivo derivante dall’offerta del raggruppamento temporaneo di

imprese capeggiato dalla Generale des Eaux; – il regolamento del servizio idrico integrato; – la Carta dei servizi; – l’elenco del personale pubblico trasferito al gestore; – gli schemi definitivi della Convenzione di gestione e il relativo disciplinare tecnico; – lo Statuto della Costituzione della società mista di gestione; la nomina dei membri

pubblici del C.d.A. La Conferenza d’Ambito del 7 maggio: presa in esame e approvazione definitiva del patto

parasociale per la costituzione della società mista di gestione del servizio idrico integrato. L’efficacia delle suddette prese in esame e approvazioni da parte delle due Conferenze

d’Ambito ora richiamate – come stabilito con decreto del 6/4/2002 del Presidente del TAR, sezione di Latina – è subordinata all’esito del giudizio di merito del ricorso presso il TAR medesimo.

Tale giudizio di merito, che respinge il ricorso presentato dalla società Severn Trent Water International avverso l’assegnazione alla compagnia Generale des Eaux, è stato pronunciato il 9 luglio (ad oggi le motivazioni della decisione non sono state ancora rese pubbliche).

La società mista è stata costituita nell’estate.

ATO 5 - Lazio Sud (Frosinone) Conferenza d’Ambito del 17 maggio 2002: presa d’atto e approvazione dei verbali della

commissione di gara e atti conseguenti per la selezione del soggetto concessionario cui affidare la gestione del servizio idrico integrato.

Sulla base degli atti della commissione di gara è risultato che il raggruppamento temporaneo di imprese capeggiato da ACEA SpA ha proposto l’offerta tecnicamente ed economicamente più vantaggiosa.

Come risulta dai verbali di gara, la graduatoria in termini di punteggio finale, è la seguente: ACEA: 131,83 EDISON: 127,65 HYDROLAZIO: 117,13 SUEZ: 96,81 SOCIETÀ ITALIANA GAS: 77,53

Quadro normativo regionale immutato

Nel corso del semestre non sono intervenute a livello legislativo regionale, modifiche alla normativa riguardante i processi attuativi della Legge Galli.

Page 13: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

7

Non sul tema riguardante il conferimento e riconoscimento della personalità giuridica pubblica ai soggetti d’Ambito, che una parte del dibattito tra gli operatori nel corso del 2001 e in questi mesi ha pure messo in evidenza.

Ma, specialmente, il legislatore non ha ritenuto di aggiornare e di affinare il sistema avviato con le leggi regionali del 1996 e del 1998, affrontando il problema “perequazione e fondi perequativi”. Da più parti è stato sollevato nel corso degli ultimi anni questo problema. La questione era presente nella problematica attuativa della Legge Galli nel Lazio già due anni fa, quando ancora si stavano definendo nei vari Ambiti le linee dei piani di intervento e tariffari.

Nelle condizioni di oggi, in una fase sicuramente più avanzata dei processi attuativi, l’esigenza di costruire e far saggiamente funzionare un meccanismo perequativo, ciò risulta costituire ancora di più una condizione essenziale ai fini della coerenza tra i vari piani d’Ambito, e ai fini, in specie, di qualificare la complessiva programmazione regionale.

Consolidamento delle conferenze d’Ambito

Gli atti istituzionali che segnano gli accennati effettivi passi in avanti compiuti, in quanto atti e procedimenti espressi dalle Conferenze d’ambito dei Sindaci e dei Presidenti delle Province (e lì ove sono state istituite, dalle Consulte d’ambito, quali organi interni), oltre a meritare una valutazione relativa al loro intrinseco contenuto (cosa che sarà fatta nel corso di questo Rapporto), indicano in pari tempo un consolidamento via via acquisito dall’architettura istituzionale, costruita in base alla legislazione regionale del Lazio, per attuare la riforma del servizio idrico integrato.

Questa architettura, in cui rientrano le Segreterie tecnico - operative d’ambito, alla lunga sta dimostrando un apprezzabile grado di capacità deliberante e di rappresentatività degli interessi generali delle comunità, in una dimensione che oltrepassa i confini comunali, in rapporto con i problemi della gestione di un servizio pubblico, di tipo industriale.

Nuove gestioni non ancora iniziate

In nessuno dei cinque ambiti territoriali ottimali, tuttavia, la conclusione del primo semestre di questo anno coincide con l’effettivo inizio della gestione unitaria del servizio integrato, da parte di un nuovo soggetto gestore affidatario.

Questo è vero per l’ATO 2, così come per l’ATO 4 e per l’ATO 5, ove i processi sono giunti al punto più avanzato.

Il processo costituente della riforma, di cui già i precedenti Rapporti hanno dato conto, è, quindi, al momento attuale, ancora in corso. Esso non è ancora approdato alla soglia che possa definirsi nuova gestione unitaria del ciclo operante per l’intero ambito.

Ne consegue che i contenuti del Rapporto del Garante (la LR 26/1998 ne indica gli aspetti essenziali: analisi e raffronto dei diversi aspetti tecnici, economici e funzionari della gestione del servizio; raffronto delle gestioni; valutazione dei servizi resi e delle tariffe praticate; individuazione delle situazioni di criticità; irregolarità dei servizi e inosservanza delle normative in materia di tutela degli utenti; proposte per il miglioramento delle gestioni, in base in particolare alle ragionevoli richieste degli utenti) non possono non riferirsi, anche questa volta, ad una situazione “in fieri”: con gestioni, a livello d’ambito, non ancora a regime.

Ciò limita certamente la possibilità di valutazioni fondate su omogeneità di raffronti e anche preclude il ricorso a strumenti analitici o ad indicatori che siano ancorati a cinque realtà (gli ambiti) ben definiti e compatti sulla base di gestioni unitarie operanti.

Page 14: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

8

I contenuti informativi e ricognitivi del Rapporto possono, però, preparare queste basi. Nel senso di mettere a disposizione dei soggetti regolatori, degli utenti singoli e associati, e dei soggetti, che, secondo le procedure, risultino o risulteranno enti gestori, tutto un materiale che contribuisca a costruire al meglio, in termini economici, funzionali e di tutela degli interessi degli utenti, l’avvio del nuovo servizio idrico.

Incidenza dell’art. 35 della finanziaria 2002

Non rientrava nelle possibilità reali il fatto che la piena incidenza operativa della nuova normativa sui servizi pubblici locali, contenuta nell’art. 35 della Legge Finanziaria per il 2002, agisse già nel primo semestre di questo anno. Ciò anche per il semplice motivo che, come disciplinato nell’ultimo comma dello stesso art. 35, il regolamento attuativo del complesso disposto normativo, sarebbe stato emanato entro il 30 Giugno. Termine questo che non è stato rispettato.

In data 26 giugno il Commissario europeo al mercato interno Frits Bolkestein ha indirizzato al governo italiano una comunicazione in merito ai contenuti dell’art. 35 L 448/2000. Con essa l’organo europeo ha preannunciato che in assenza di osservazioni da parte dello stesso governo italiano, entro i prossimi tre mesi, sarà aperta la procedura di infrazione, prevista dalle norme comunitarie, in materia di difesa della concorrenza. Al momento non si conoscono i contenuti delle osservazioni da parte del governo italiano.

In riferimento al servizio idrico integrato, l’art. 35 è stato più che altro oggetto, in questa prima metà dell’anno, specie in sedi specialistiche, di dibattiti e di confronti sulle non facili problematiche interpretativi e applicative (Convegno 18 febbraio 2002 ANCI Lazio - Confservizi Lazio: “ Il sevizio idrico integrato nel Lazio: stato di attuazione e analisi delle nuove normative”).

Ha prevalso l’atteggiamento di attesa: sia in riferimento all’emanazione del regolamento, sia all’esito del ricorso alla Corte Costituzionale, presentato da alcune Regioni sull’art. 35.

Liberalizzazione dei servizi pubblici locali

Nel valutare gli effettivi passi in avanti realizzatesi nel semestre per portare a compimento nei cinque ambiti territoriali del Lazio, la normativa di attuazione della legge Galli, non si può non constatare un altro aspetto di carattere generale che può essere enunciato nel modo seguente:

Si sono, in effetti, sostanzialmente venuti attenuando, già nelle sedi istituzionali, e nel confronto politico-culturale sul governo dei servizi, specie locali, la ricerca e il confronto sulle possibilità, sulle necessità, e sui limiti stessi dei processi di liberalizzazione del servizio idrico integrato.

Ciò anche per effetto di una sostanziale assenza di proposte. Fanno eccezione, in tal senso, alcune proposte legislative presentate nei consigli regionali

della Lombardia, dell’Emilia Romagna e della Toscana: sul riordino dei servizi locali e di modifica della normativa in materia di servizi idrici.

Non si può, tuttavia, non richiamare quanto espresso dal Presidente dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, nella relazione annuale al Parlamento (22 maggio 2002), specie in ordine ai seguenti due punti:

1. Le modificazioni nella struttura produttiva delle imprese fornitrici dei servizi di pubblica utilità hanno principalmente tratto origine dalla possibilità e opportunità di enucleare le fasi caratterizzate da condizione di monopolio naturale – essenzialmente le fasi che

Page 15: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

9

richiedono l’utilizzo di reti non riproducibili – dalle altre attività, ove la concorrenza è un regime compatibile con assetti industriali efficienti e quindi preferibile. Al tempo stesso, però, tali benefici non possono essere vanificati “... da un improprio esercizio dell’accresciuto potere del mercato o dai rischi che quest’ultimo possa risolversi in uno ostacolo di lungo periodo al processo di innovazione tecnologica o di prodotto”.

2. La recente modifica della Carta costituzionale, che ha affidato alle Regioni e agli Enti locali ampie funzioni normative e amministrative in materia economica (riforma del Titolo V della Costituzione). I processi virtuosi che prendono avvio da tali cambiamenti meritano costante attenzione “... al fine di evitare ricadute negative che possono derivare da contraddizioni delle normative di liberalizzazione, da rischi di iperregolazione connessi al moltiplicarsi dei soggetti regolatori...”

Qualità del servizio e tutela dell’utente

Nel corso del primo semestre del 2002 si è potuto constatare come agli effettivi passi avanti nella realizzazione della nuova organizzazione del servizio nei cinque ambiti del Lazio, abbiano corrisposto in modo e forme spesso molto visibili domande crescenti e anche più esigenti riguardanti la qualità del servizio stesso.

Innanzitutto per ciò che si riferisce al campo acquedottistico, muovendo da situazioni territoriali di criticità, e anche di emergenza; ma anche per i servizi di depurazione e fognatura.

Sul piano dell’indagine conoscitiva, le risultanze della ricerca ATESIA commissionata all’inizio del 2000 dall’Assessorato regionale alla Mobilità e ai Servizi a Rete (vedi rapporto semestrale del Garante luglio-dicembre 2000 pag. 16-17), meritano sicuramente un aggiornamento.

Se si mettono in fila alcuni dati certamente non omogenei, ma tutti riferiti al semestre trascorso (risposte dei Comuni gestori alla scheda dell’Osservatorio regionale sull’indagine conoscitiva sulle tariffe, in tema di qualità; indagini direttamente svolte da alcuni pochi Comuni in preparazione della adozione delle Carte dei servizi; documentazioni indirizzate alla Consulta regionale da associazioni di utenti e di consumatori; relazioni degli uffici rapporti con la clientela di alcuni Enti gestori; comunicazioni al Garante tramite la linea verde), emerge con sufficiente chiarezza il seguente dato di contrasto. Mentre si fa più sensibile la percezione della necessità e indispensabilità che alcuni livelli stabiliti di qualità vadano assicurati, tende, d’altra parte, a crescere la consapevolezza che le vigenti strumentazioni e organizzazioni di mezzi e di procedimenti per garantire l’osservanza oggettiva di qualità del servizio, non riescano a conseguire risultati adeguati rispetto alle legittime attese, sia dell’utenza, sia delle stesse norme di regolazione messe in atto.

Carte dei servizi

Nei Rapporti semestrali precedenti è stato messo ripetutamente in rilievo che lo stato di applicazione (e degli stessi processi formativi) delle Carte dei servizi idrici da parte degli enti gestori nel Lazio, rappresenti un quadro assolutamente insoddisfacente.

Il giudizio riferito alla situazione dell’ultimo semestre sostanzialmente non muta. Sono molto pochi gli enti che hanno adottato le Carte. Gli aggiornamenti da parte degli enti che le hanno adottate, sono stati rarissimi. Molto spesso le Carte dei servizi consistono nell’enunciazione di principi generali,

omettendo di disciplinare gli aspetti sanzionatori del comportamento omissivo del gestore.

Page 16: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

10

Quasi mai prendendo in considerazione il tema importante, anche se delicato, del rimborso per il mancato rispetto degli impegni.

Il contrasto tra quanto spesso enunciato nelle Carte dei servizi e quanto statuito nei regolamenti di utenza (ciò vale per i regolamenti dei servizi non solo di acquedotto, ma anche di fognatura e depurazione) risulta spesso macroscopico.

In genere non sono né prospettate né praticamente seguite chiare procedure per convalidare i contenuti delle Carte, né per determinarne l’effettivo inizio di efficacia.

Non è curata la regolazione tesa ad assicurare la più ampia comunicazione e pubblicizzazione delle Carte.

Negli affidamenti delle gestioni avvenuti come sopra illustrato, negli ATO 2, ATO 4 e ATO 5 le conferenze d’Ambito hanno acquisito le relative Carte dei servizi. Si è trattato di una formale presa d’atto, che come è dimostrato dai verbali ufficiali delle riunioni delle Conferenze, in nessun caso ha dato luogo ad un confronto e discussione effettivi nel merito.

Conviene ribadire, ai fini di una piena e coerente applicazione di quanto disposto dal DPCM 29/4/1999, in particolare quanto questo testo normativo stabilisce nei seguenti due punti:

1. “i contenuti della Carta dei servizi costituiscono elemento di valutazione da parte delle autorità concedente del servizio, al momento dell’affidamento e del rinnovo del servizio integrato al gestore”

2. “ nella predisposizione, attuazione e verifica o modifica della Carta, i gestori sono tenuti ad attivare forme di consultazione degli utenti e delle loro associazioni”.

È stato messo in evidenza (V Documento della Consulta regionale degli utenti e consumatori del S.I.I. dell’11 marzo 2002) che una delle lacune della legislazione regionale del Lazio in materia, al momento, sia rappresentata dall’assenza di ogni riferimento a funzioni della Regione (atti della Giunta o atti del Consiglio) consistenti in direttive o indirizzi nei confronti delle Conferenze d’Ambito in materia di: vincoli e composizione degli organismi di rappresentanza e tutela degli utenti, organismi che pure la LR 26/1998 prevede in via generale.

Oggettivamente l’art. 35, della Finanziaria nel momento stesso in cui prospetta un’ampia riorganizzazione del governo dei servizi locali, contiene in sé una contraddizione. È quella di omettere completamente qualsiasi elemento di qualificazione e di potenziamento della tutela e della garanzia dell’utente.

Anche per questo l’iniziativa intrapresa dal Dipartimento Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri con il Dossier “Cantieri” (febbraio 2002) ha rappresentato, sia pure a livello di enunciazioni generali, uno stimolo positivo per ricercare un approfondimento nei vari settori del tema qualità dei servizi pubblici come interfaccia di forme e di garanzia dei diritti degli utenti e di livelli e di obiettivi di efficienza dell’azione dei gestori.

L’incontro pubblico dell’11 marzo 2002

In una simile ottica si collocano le documentazioni offerte nell’incontro pubblico dell’11 marzo 2002 “Qualità dei servizi idrici nel Lazio: amministratori e utenti a confronto”, promosso a Roma congiuntamente dall’Assessorato regionale ai Trasporti e ai Lavori Pubblici, dal Garante e dalla Consulta regionale degli utenti del S.I.I.

Si è trattato, in sostanza, del tentativo in riferimento alla odierna realtà regionale, di attualizzare le ragioni dell’opportunità e della necessità di dare oggi coerente e completo corso alla riforma Galli, partendo dai problemi reali e odierni della qualità dei servizi idrici. Fornendo anche suggerimenti e proposte per regolare il sistema delle relazioni tra i soggetti programmatori, i soggetti gestori e i fruitori del servizio, in modo più finalizzato ad obiettivi di efficienza, di trasparenza, di autonome e reciproche responsabilizzazioni.

Page 17: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

11

Si conoscono le linee generali e specifiche dei piani degli interventi e degli stessi piani tariffari, o che sono stati presentati nelle Conferenze d’Ambito, o che da queste sono stati approvati, al termine di gare. In tutti, più o meno, è presente un itinerario, riferito ai primi tre - cinque anni, dal quale è possibile ricavare una corrispondenza tra innalzamento dei livelli di tutela e garanzia dei diritti degli utenti rispetto alle soglie vigenti, e crescita degli standard di efficienza del servizio (con le relative previsioni di investimenti).

Si avverte la necessità che tale punto riceva adeguati approfondimenti, e che ciò avvenga in base ad esclusive valutazioni di ordine tecnico.

Va sicuramente compiuta e rappresentata una più oggettiva e completa ricognizione delle attuali condizioni del servizio. Per riconoscimento degli stessi documenti che delineano i piani di interventi, le ricognizioni fino ad oggi compiute non danno pienamente conto del quadro reale ed effettivo dei servizi prestati. La determinazione e selezione degli obiettivi di efficienza a breve e a medio termine, vanno correlate a precisi quadri di riferimento di mezzi tecnici, di temporalizzazioni precise.

L’itinerario riferito ai primi tre-cinque anni del piano comprende la definizione concreta di ciò che è intervento urgente e intervento a breve; la regolazione di forme e di procedure precise per i necessari aggiustamenti degli obiettivi del piano: tutti questi elementi acquistano, alla luce delle attuali situazioni di deficit e di emergenza idrica, maggiore necessità di considerazione e di puntualizzazione, rispetto a quanto finora è avvenuto.

Deficit ed emergenze del servizio idrico

Aggravata dal fenomeno della siccità, anche quest’anno si è riproposta la situazione di deficit e di emergenze del servizio idrico. Le zone in particolare interessate: la fascia litoranea delle province di Roma e Latina; alcune zone della provincia di Viterbo e dell’alto reatino; l’area servita dal Simbrivio: Sud della provincia di Roma e provincia di Frosinone ovest; molti comuni serviti dal Consorzio degli Aurunci.

Per detta area a Sud di Roma, servita dall’acquedotto del Simbrivio, ricomprendente i relativi Comuni, su richiesta del governo regionale, il Consiglio dei ministri nella riunione del 28 giugno 2002 (vedi verbale n. 60 di detta seduta), ha dichiarato lo stato di emergenza, investendo gli organi commissariali di poteri straordinari.

Nei mesi di maggio e di giugno, nonostante molti enti locali abbiano manifestato maggiore tempestività e determinazione nell’affrontare i problemi dell’emergenza idrica (tavolo di unità di crisi dei comuni del Sud - pontino; vertice tecnico - istituzionale presso la provincia di Frosinone; conferenza dei Sindaci dell’ATO 4), ha pesato non positivamente, ai fini della chiarezza del quadro dei livelli di decisione e di responsabilità e dell’utilizzabilità di sicuri strumenti operativi, la perdurante fase intermedia di passaggio tra le vecchie gestioni e quelle nuove a livello d’ambito.

Ne ha risentito la stessa definizione dei piani di intervento di emergenza. Deficit ed emergenze richiamano al tempo stesso con notevole grado di acutezza, il

perdurare e, sotto certi aspetti, anche l’aggravarsi per il Lazio di problemi strutturali: consistenza e condizioni delle reti acquedottistiche; rapporto tra fonti locali e schemi intercomunali; tutela e salvaguardia dell’integrità della risorsa idrica.

La qualità della programmazione e il grado di coordinamento dell’attività programmatoria di soggetti diversi e dei diversi settori della Regione sono posti di fronte alla esigenza ineludibile di una maggiore efficacia (coordinamento nell’attuazione dei piani della legge Galli e piani di intervento in base al DL.vo n. 152/1999).

Page 18: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

12

Va precisato il rapporto tra la pianificazione d’ambito e quella regionale di tutela e uso delle risorse idriche: vincolando il piano d’ambito agli indirizzi del piano regionale di tutela, da far valere con atti di indirizzo regionale.

Le connessioni e gli intrecci sono numerosi e tutti di peso: come dimostra la documentazione presentata al Convegno regionale del 5 luglio 2002 “ Verso il piano dell’uso compatibile della risorsa idrica nei territori vulcanici e costieri del Lazio”.

Rispetto alle previsioni, risalenti a molti anni fa, del piano generale di revisione degli acquedotti del Lazio, la realtà odierna presenta tendenze sicuramente diverse e certamente più problematiche.

Si confidava negli anni passati di realizzare nel Lazio un rapporto equilibrato tra schemi intercomunali e fonti locali, come garanzia della qualità e affidabilità della risorsa.

Si calcola che oggi il 30% dei Comuni del Lazio faccia leva su fonti di approvvigionamento locale con una portata addetta, fatta eccezione di Roma, pari al 47% del totale.

Indagine sulle tariffe e le nuove metodologie da costruire

I primi risultati dell’indagine

La documentazione offerta in occasione dell’incontro pubblico dell’11 marzo del 2002 “Qualità dei servizi idrici nel Lazio: utenti e amministratori a confronto” congiuntamente promosso dall’Assessorato ai Trasporti e Lavori Pubblici della Regione, dal Garante e dalla Consulta regionale utenti e consumatori, ha il merito di costituire un richiamo alla realtà dei dati e delle diverse situazioni territoriali. Amministratori, regolatori e gestori, nelle scelte che sono di loro competenza, sono chiamati a tenerne conto.

Ciò vale anche nella materia di metodologie e di livelli tariffari. Per molto tempo (da più parti) ci si è accontentati di una rappresentazione della realtà secondo cui da una situazione molto frammentata delle gestioni (si è parlato e si è scritto di oltre quattrocento gestioni del servizio idrico integrato nel Lazio) come conseguenza inevitabile derivava e tuttora deriva un quadro di metodologie e di livelli delle tariffe molto differenziato.

Finora hanno difettato al riguardo analisi concrete delle diverse situazioni nelle distinte aree territoriali del Lazio. L’avvio della riforma con i piani tariffari nei cinque ambiti è stato d’altra parte rappresentato sovente come rapido e radicale processo di omogeneizzazione.

Gli scarsi riferimenti all’effettiva e variegata articolazione dei livelli tariffari del servizio idrico nel Lazio hanno d’altra parte inciso nel fornire spazio a disquisizioni, spesso astratte e sovente di carattere assai generale, sul dato secondo cui la tariffa del servizio idrico (prescindendo da un’analisi sui livelli di qualità) ad oggi costi per l’utente finale veramente poco.

Sottovalutando anche, in questo modo, che l’applicazione del così detto “metodo normalizzato”, costituisce sicuramente un processo molto complesso. Ci sono di questo metodo aspetti positivi che rientra nell’interesse generale siano messi a frutto nei processi applicativi: la copertura dei costi; il rapporto tra investimenti e tariffe; gli incentivi all’economia di gestione. Al contempo è necessario ovviare al rischio che tramite il metodo stesso si definisca un costo “modellato” che non sia rappresentativo della variegata tipologia dei sistemi attualmente vigenti, non solo nazionalmente, ma anche in riferimento al territorio regionale. Di qui l’importanza di una ricognizione della vigente situazione dei diversi metodi adottati e dei differenti livelli operanti di tariffe, che sia non approssimativa.

Page 19: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

13

I primi dati forniti dall’indagine conoscitiva condotta dall’Osservatorio regionale sulle risorse idriche e che sono stati illustrati nell’incontro dell’11 marzo (vedi relazioni dell’ing. Tanzi, coordinatore dell’Osservatorio e dell’ing. Miozzo) prospettano una realtà molto più complessa e articolata di quanto era dato prevedere. Al tempo stesso forniscono un ausilio importante al lavoro di programmazione dei piani tariffari che sono in corso in diversi ambiti e per gli stessi ambiti ove i piani sono stati già approvati.

Si sollecita l’Osservatorio a concludere entro l’anno in corso questa utile indagine e parimenti si sollecita che i risultati dell’indagine siano messi a disposizione di tutta l’attività di programmazione e di controllo delle 5 conferenze d’ambito e delle Segreterie Tecnico operative.

Metodi e livelli molto eterogenei

Sulla base dell’indagine ancora parziale e che abbraccia tutti i comuni della regione, risultano individuati ben diciassette metodi di determinazione del sistema tariffario, al momento vigenti.

L’indagine conferma l’intreccio di elementi di forte semplificazione ed elementi maturi e sofisticati delle metodologie adottate.

Si va dal Comune ove ancora vige il sistema a canone fisso senza contatore, a sistemi complessi e articolati per componenti dell’utenza e per residenti e non residenti.

Nel sistema “tariffa agevolata + tariffa base + eccedenza”, che dai primi dati dell’indagine risulta essere il sistema più diffuso nel Lazio, c’è un’estrema variabilità della fissazione delle fasce di consumo. Tale variabilità si constata esistere anche tra comuni appartenenti allo stesso ambito.

Nel sistema più diffuso, che è quello appena sopra descritto, la tariffa agevolata presenta una variabilità in termini di vecchie lire che va da un minimo di 280 ad un massimo di 1280. In termini di consumo la fascia va da un minimo di 36 m3 ad un massimo di 156 m3.

L’Attuazione della Delibera CIPE 4.3.2001

L’interesse dell’indagine riguarda una più esatta ricognizione della effettiva realtà tariffaria, attualmente in svolgimento nella regione. Sulla base di essa sarà anche possibile comprendere il grado e il modo secondo i quali la vigente delibera CIPE del 2001 si stia facendo strada nel Lazio. Si tratta della delibera CIPE che tende a costituire, gradualmente (nel corso del quadriennio) il “minimo impegnato” con nuove “quote fisse per utenza”, con ciò non annullando il sistema tariffario “ a fasce”.

Appare condivisibile quanto al riguardo enunciato nel documento del gruppo di lavoro coordinato dall’Associazione idrotecnica italiana (“Osservazioni al Documento di consultazione sulla revisione del metodo normalizzato per la tariffazione del servizio idrico integrato” pubblicato in “ l’Acqua” 3/2002) che per chiarezza si riporta per esteso:

“Si ritiene che le quote fisse debbano avere comunque una consistenza tale da coprire buona parte dei costi fissi relativi ad utenze ad “alta stagionalità” e/o a bassa e discontinua utilizzazione settimanale (ad esempio le seconde case) e si ritiene che un effetto concreto di “elasticità consumi/tariffe” (nel senso di una spinta al risparmio) si possa ottenere soprattutto nei casi nei quali la distribuzione domestica sia attuata attraverso contatori “divisionali”. È anche più facile in questi ultimi casi procedere a sussidi che vanno comunque finanziati dalla fiscalità generale, per gli utenti bisognosi”.

Page 20: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

14

Nuova normativa sui fondi vincolati per la depurazione e fognatura

Il richiamo di cui sopra alla delibera CIPE 4 aprile 2001 ha rilievo anche sotto l’aspetto della quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione. Difatti nei punti 2 e 3 di detta delibera sono determinate le relative percentuali di aumento rispetto ai livelli fissati dalla L 549/1995.

Nella L 31/7/2002 n. 179 “Disposizioni in materia ambientale” (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 13 agosto 2002) con l’articolo 28 si fornisce una nuova disciplina (fondi vincolati) dell’art. 14 della Legge Galli disponendo che:

“i relativi proventi affluiscono ad un fondo vincolato a disposizione dei soggetti gestori del servizio idrico la cui utilizzazione è vincolata all’attuazione del piano d’ambito”.

Inizio del semestre ed emergenza idrica

È significativo che l’inizio del semestre coincida con la dichiarazione dello “stato di emergenza” adottata con provvedimento del governo nazionale su richiesta della Regione Lazio, in conseguenza della crisi di approvvigionamento idrico, legata anche al grave fenomeno siccitoso, verificatosi nella primavera estate (Consiglio dei Ministri 19 Luglio 2002). Hanno inciso, sul piano istituzionale e della rilevanza esterna, il cumulo e il peso degli elementi di stato di sofferenza in cui si sono venuti a trovare parti e aree non piccole delle strutture dei servizi di distribuzione di acqua potabile.

L’estensione del disagio di fasce di utenza ha avuto modo di manifestarsi. anche vivacemente. Livelli di accresciuta e più generale consapevolezza da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica, hanno concorso a diffondere il convincimento per cui la risorsa acqua ed il suo uso costituiscono oggi e costituiranno negli anni futuri priorità in senso pieno. Per effetto dell’emergenza idrica causata in parte dalla siccità della primavera-estate, si sono avuti anche nazionalmente segnali di un’attenzione nuova. Il confronto politico, anche a livello delle istituzioni nazionali e delle Regioni e degli enti locali, nonché delle rappresentanze delle forze economiche e sociali, in più di una circostanza ha avuto il merito di guardare con occhio critico a scelte del passato, al peso dei ritardi. Si è discusso nel merito di proposte.

Alcuni temi hanno ritrovato un’attenzione particolare, come quello del riutilizzo delle acque reflue depurate. Hanno avuto una rilevante eco dati e analisi, già in precedenza prodotti, quali quelli curati dall’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria), secondo cui il 29% dell’attuale fabbisogno irriguo del comparto agricolo potrebbe essere coperto su scala nazionale da acque reflue, se recuperate. Tale percentuale sale al 30%, per il sud del paese. Si è dato particolare significato alla scadenza della fine del 2003 termine entro cui le Regioni debbono adottare i piani di tutela (ex DL.vo 152/1999). Essi costituiscono i piani stralcio di settore del piano di bacino, che contengono oltre gli interventi volti a garantire il raggiungimento e il mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale, fissati dal decreto medesimo, le misure necessarie alla tutela quali-quantitativa del sistema idrico. Non può, tuttavia, tacersi che mano a mano che i dati e le situazioni più propriamente “emergenziali” si sono attenuati, per altra parte anche quella attenzione e quelle manifestazioni, da più parti espresse, di un dovere di approccio al tema dell’acqua potabile, secondo attitudini di forte costanza e continuità in base a programmi di risorse da impiegare (pubbliche e private) finalizzate ad obiettivi anche parziali ed a breve termine, siano venute a poco a poco scemando.

A conclusione del semestre non può dirsi che il quadro normativo e regolativo, anche di ordine nazionale, risulti arricchito di rilevanti strumenti ed indirizzi. Nel far leva e nel ricavare insegnamenti dall’esperienza e dai problemi dell’emergenza idrica dell’anno 2002, tali

Page 21: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

15

strumenti ed indirizzi, se concretamente impostati, avrebbero dato un contributo, anche di tipo parziale e di effetti ravvicinati, all’organizzazione del governo nel territorio della risorsa idrico-potabile, più efficiente e razionale, maggiormente in coerenza con lo sviluppo ambientale.

A poco più di due settimane dalla dichiarazione dello stato di emergenza idrica, sopra ricordata, in due ATO della Regione, ai primi di agosto, si è addivenuti alla sottoscrizione della convenzione della gestione (e relativi allegati): ATO 2 ATO 4 . Per Roma ed altri 111 Comuni e per Latina e altri 37 Comuni si è concluso quindi, un iter lungo più anni accidentato e faticoso, che in base a percorsi diversi nell’uno e nell’altro ATO, ha portato all’individuazione del soggetto unico gestore del servizio idrico integrato.

Dal nuovo gestore questo servizio inizierà ad essere svolto a partire dal gennaio 2003. Si tratta di un vero punto di svolta e di non ritorno. L’attività amministrativa, organizzativa ed istituzionale coinvolgente la pluralità di soggetti (Conferenze d’ambito, Comuni, nuovo gestore, vecchie gestioni, rappresentanze dell’utenza, Regione) nel corso di questi primi mesi a seguito dell’avvenuta sottoscrizione della convenzione di gestione, fa già chiaramente intendere la complessità della fase che si è aperta. Ci si rende necessariamente conto che questa fase - definibile di transizione, nel senso preciso di passaggio dalla firma delle convenzioni di gestione alla gestione a regime, ha bisogno di strategie mirate di sostegno e di accompagno, di implementazione con un ruolo proprio di ogni soggetto, ad incominciare dal soggetto Regione.

L’emergenza idrica ha inciso anche nella fissazione definitiva delle priorità d’intervento del piano dell’ATO Roma-Lazio centrale. Nella processualità delle prese in carico da parte del gestore unico (ACEA ATO 2) e del piano degli interventi, si è data priorità assoluta al potenziamento dell’acquedotto del Simbrivio e alla realizzazione del primo lotto dell’acquedotto del Pertuso. Soprattutto nell’ultima primavera - estate la vasta area di Comuni interessati da questi schemi, ha sofferto in modo più acuto rispetto agli anni passati delle carenze di rifornimento idrico.

Tra indirizzi comunitari e mancato adeguamento delle norme nazionali di riforma

Quasi in coincidenza con l’inizio del secondo semestre 2002, il 26 giugno, la Commissione della Comunità Europea ha indirizzato al governo italiano una nota di costituzione in mora aggiuntiva (in riferimento a quella del novembre 2000), rilevando che l’art. 35 della finanziaria 2002 (L 448/2001) consente numerosi casi di affidamento diretto di servizi pubblici locali “senza il rispetto di principi di pubblicità e di messa in concorrenza”. In particolare la Commissione Europea rileva che il comma 5 dell’art. 35, disciplinando il regime derogatorio per il servizio idrico integrato, urta contro norme e indirizzi del diritto comunitario, che prevedono l’affidamento con gara.

Diversi nel frattempo sono stati i reclami e le segnalazioni inoltrati alla Commissione Europea, da parte di soggetti individuali e collettivi di nazionalità italiana, che hanno denunciato situazioni di alterazione della concorrenza e del principio di pubblicità della gara. Si tratta di casi di affidamento a società partecipate in tutto o in parte da enti locali facenti parte di uno stesso ATO.

Tra queste situazioni segnalate rientra anche ACEA ATO 2. Il Governo italiano con nota del 26/9/2002 ha innanzitutto richiesto una proroga del termine per le proprie contro deduzioni. Esse non risultano essere state prodotte entro tutto il 2002 e neppure nei primi mesi del 2003.

Sempre da parte del governo italiano si fa sapere con la stessa nota che nelle ipotesi in cui l’affidamento sia fatto a società che non siano funzionalmente strumentali agli enti locali, la

Page 22: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

16

disciplina non potrà non prevedere la gara, nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici Nel caso di affidamenti a società che siano funzionalmente strumentali all’attività dell’ente locale, il regolamento previsto nell’ultimo comma dell’articolo 35 citato (da emanare) dovrà necessariamente assicurare il rispetto dei canoni e delle procedure – come fissato dalle decisioni della giurisprudenza comunitaria che sono propri degli affidamenti in house.

La nota del Governo italiano del 26 settembre 2002 già citata fa chiaramente intendere che l’applicabilità dell’insieme dell’art. 35 è per buona parte condizionata all’emanazione del previsto regolamento attuativo. Tale regolamento alla fine di aprile 2003 non risulta ancora essere stato emanato. Nell’esame del disegno di legge (finanziaria per il 2003) in seconda lettura presso il Senato – ottobre 2002 – la commissione Bilancio aveva predisposto e approvato un emendamento, in un primo momento con l’adesione del Governo, di sostanziale modifica della disciplina dei servizi pubblici locali, come risultavano essere stati disciplinati ex novo dall’articolo 35 della L 448/2001. Si è trattato dell’articolo 19/bis che, poi, in sede di votazione finale, è stato intieramente cancellato.

Con l’esito che il riordino della materia resta ad oggi incompiuto. Le modifiche proposte e che costituivano il contenuto del citato emendamento, non erano di poco conto e per una parte costituivano anche una risposta in positivo ai rilievi mossi dalla Commissione Europea. Provando a sintetizzare, si segnalano in particolare i seguenti quattro punti:

1. era prevista una consistente riduzione del periodo transitorio, disciplinato dall’art. 35, fissando il termine inderogabile dei cinque anni;

2. la direttiva comunitaria in materia di appalti e dei servizi veniva generalmente applicata ai servizi locali (da affidare in appalto) di rilevanza industriale; mentre l’affidamento diretto veniva limitato ad una casistica estremamente limitata;

3. il regime derogatorio per il servizio idrico integrato (comma 5 dell’art. 35) era superato, fissando immancabilmente la scadenza del primo gennaio 2006 per gli affidamenti diretti effettuati dopo il primo gennaio 2001;

4. circa la gestione delle reti, dei patrimoni e degli impianti, si prevedeva la facoltà per gli enti locali di optare tra gestione diretta (s’intende separata dalla gestione del servizio) o affidamenti a società controllate in modo totalitario, o attraverso imprese idonee, in ogni modo da individuare attraverso procedure ad evidenza pubblica.

Nella sostanza si superava il principio consentito dalla vigente normativa, in base al quale per le reti è possibile il ricorso ad affidamento diretto a società miste con partecipazione maggioritaria degli enti locali.

La questione tariffaria

La proposta ha suscitato, tra gli operatori del settore, notevole attenzione e anche reazioni di segno contrastante, proprio per la considerazione specifica che nel campo idrico ha la gestione della rete, rispetto a quella del servizio. Ciò vale non solo per l’acquedotto, ma vale anche per la fognatura e la depurazione. A conclusione della discussione della Finanziaria per il 2003, in assenza dell’emanazione del regolamento attuativo (comma 16 dell’art. 35) chiamato a chiarire punti non secondari della complessa problematica, il Parlamento ha espresso con un ordine del giorno l’impegno rivolto al Governo e al Parlamento stesso per un lavoro di calibratura e di sistemazione della riforma dei servizi pubblici locali, che sia tempestivo e in grado di armonizzarsi con le direttive europee. Con l’avvenuta sottoscrizione della convenzione di gestione nei due ATO (Roma-Lazio Centrale e Latina-Lazio Meridionale) e, quindi, con la determinazione tariffaria a livello di ambito nel Lazio a partire dal nuovo anno 2003, le tariffe del servizio idrico integrato saranno applicate in base ad un doppio regime. Nei due ambiti citati

Page 23: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

17

la tariffa sarà applicata dal gestore in base a quanto determinato dal relativo piano, risultante dalla gara nel caso di ATO 4. Negli altri ambiti invece si applicherà il regime transitorio determinato dalle delibere CIPE. I problemi interpretativi e di applicazione non si presentano facili. Né chiare risultano le soluzioni, che si intendono sperimentare per il primo anno.

Negli ATO (come l’ATO 2 Roma-Lazio Centrale), ove la presa in carico e l’avvio della nuova gestione da parte di ACEA ATO 2 procederà per fasi (che si concluderanno entro la fine del 2005), probabilmente si applicheranno in contemporanea tariffe diverse all’interno dello stesso ambito.

L’applicazione della tariffa unica non è chiaro in che modo si adeguerà alle situazioni di ambito ove, per effetto delle passate gestioni, la forbice tra livello minimo antecedente e livello massimo antecedente è non di lieve consistenza, come succede all’interno rispettivamente di ATO 4 e ATO 5. II semestre luglio-dicembre 2002 non ha arrecato sostanziali contributi di chiarimento e di effettivo ausilio alla difficile azione degli operatori, per l’aspetto importante del governo del tema tariffario. Ciò vale razionalmente innanzi tutto, ma vale anche dal punto di vista della regione. Prosegue a scontarsi innanzitutto il serio limite dato dall’assenza di una banca dati e di una reale circolazione informativa sulle tariffe applicate e vigenti del servizio idrico. Non si è utilizzato né si utilizza l’ingente mole di dati raccolti dalle Camere di Commercio relativi alle tariffe CIPE.

Non è stata monitorata l’azione dei Comuni, ad esempio, sul modo come essi finora hanno applicato da tre anni a questa parte la direttiva sul superamento del minimo impegnato.

Nuove proposte sulle tariffe

Il documento del Ministero dell’Ambiente “Strategie d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia”, che è del luglio 2002, per i paragrafi relativi alla risorsa idrica e al problema tariffario, formula valutazioni e giudizi che entrano nel merito dei vari problemi e che certo per risultare pienamente efficaci, hanno e avranno bisogno di elaborazioni di adeguate indicazioni pratiche (a ciò debbono provvedere non solo g li organi centrali, ma anche e molto le Regioni).

In sintesi sono queste le valutazioni e i giudizi ricavabili dal citato documento: – i ritardi dell’attuazione della legge Galli hanno comportato un ritardo nell’adeguamento

delle tariffe ai costi; – la regolazione tariffaria continua ad oscillare tra una politica di breve respiro e di limitate

potenzialità incentivanti e un metodo tariffario normalizzato, la cui applicazione è prevista solo a lungo termine e non è priva di difetti (i meccanismi incentivanti sono molo deboli);

– le modificazioni tariffarie che vanno operate in modo trasparente, debbono rispondere all’obiettivo fondamentale di sostenibilità sociale ed equitativa;

– si devono prevedere strumenti di perequazione territoriale per aree diverse, come è previsto in Francia, prelevando attraverso canoni ambientali e addizionali sulle tariffe, le risorse finanziarie per specifici interventi rivolti alle aree più deboli;

– le differenziazioni delle tariffe all’interno di uno stesso ambito possono essere elementi di strategie finalizzate a chiari obiettivi.

Critiche e consultazioni sul metodo normalizzato

D’altra parte, specie negli ultimi tempi, le opinioni critiche verso il cosiddetto metodo normalizzato si sono fatte frequenti: mancanza di meccanismi di riaggiustamento automatico

Page 24: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

18

della tariffa; modelli tariffari la cui applicazione ha come risultato dati di contrasto con le finalità della L 36/1994; incentivazione rivolta soprattutto ad un tipo di investimento risultante tra i più tradizionali e meno coerente con gli obiettivi di risparmio e utilizzazione della risorsa.

Le proposte di revisione del metodo normalizzate, messe in consultazione dal Comitato di vigilanza sull’uso delle risorse idriche, contenevano in effetti alcune indicazioni di un certo significato: particolare attenzione tra le componenti di costo a quella relativa alla remunerazione del capitale investito; articolazione tariffaria secondo criteri innovativi rispetto alle linee seguite in questi anni dalle delibere CIPE; specificazione precisa delle attività dei servizi rientranti nell’applicazione del metodo, imponendo al gestore l’obbligo di contabilità separate per la gestione di altre attività (il riferimento è in particolare agli scarichi produttivi); maggiore flessibilità e spirito innovativo nell’individuazione di meccanismi di revisione e controllo delle tariffe.

Al 31 dicembre del 2002 tali indicazioni rimanevano a livello di proposta, non essendo stato emanato dal Governo il relativo decreto di adeguamento e revisione di detto metodo normalizzato.

Ultima delibera CIPE

Il 19 dicembre 2002 (delibera n. 131) il CIPE ha emanato la direttiva per la determinazione in via transitoria delle tariffe dei servizi acquedottistici, di fognatura e di depurazione per l’anno 2002. La delibera è stata pubblicata nei primi mesi del 2003. Non discostandosi dai meccanismi adottati con le delibere degli anni precedenti, quest’ultima determinazione del CIPE conferma come condizione dell’incremento tariffario per fattori di qualità per i servizi di acquedotto, l’adozione da parte degli enti e delle imprese della carta dei servizi e la previsione dell’acquisizione della certificazione ISO.

I processi nei cinque ATO

ATO 1 - Lazio Nord (Viterbo)

Gli atti amministrativi più rilevanti nel corso del semestre hanno riguardato essenzialmente: la definizione del piano degli interventi e la scelta della forma di gestione. Nella Conferenza d’ambito del 31 luglio è sottoposta all’esame dei Sindaci una “proposta di piano degli interventi e degli investimenti” che viene votata e approvata all’unanimità (con una astensione). L’ammontare degli interventi è quantificato in 420.830,197 euro. Sono previsti 11 interventi di schema nel campo acquedottistico. L’obiettivo è quello di elevare il dato di integrazione tra gli acquedotti.

Gli interventi di manutenzione nei tre settori (acquedottistico, depurazione, fognatura) si prevede che abbiano pesi finanziari omogenei nelle quattro fasi temporali programmate. Nelle Conferenza d’ambito dell’8 novembre con voto unanime è approvato l’atto di indirizzo-orientamento che modifica gli articoli della convenzione di cooperazione (1996) che individuavano nella società mista la forma di gestione prescelta per il servizio idrico, optando ora per la concessione a terzi mediante gara. Nel contesto di questo esame, la Conferenza prende atto, con voto unanime (meno un voto contrario) della richiesta avanzata e motivata da parte del Comune capoluogo (Viterbo) di affidare temporaneamente il servizio idrico integrato a costituenda società di capitali a totale partecipazione pubblica.

Page 25: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

19

ATO 2 - Lazio Centrale (Roma)

Il 6 agosto 2002 è sottoscritta la convenzione di gestione tra il Presidente della Provincia di Roma quale coordinatore della Conferenza d’ambito dell’ATO 2 e la Società per Azione ACEA ATO 2, quale soggetto gestore affidatario. Risultano allegati alla convenzione sottoscritta sette documenti, tra cui, oltre la carta dei servizi e il regolamento di utenza, le convenzioni per la disciplina delle interferenze interambito e di quelle interne all’ambito. In estrema sintesi alcuni dati che danno conto delle dimensione dell’ATO 2: superficie di oltre 5.100 km/q; Roma e 111 Comuni per la gran parte rientranti nella Provincia di Roma; popolazione residente complessiva circa 3 milioni e settecentomila abitanti, di cui 2.700.00 nella capitale; 64 comuni ricadono nelle comunità montane di cui 11 Comuni con meno di 500 abitanti. Il sistema acquedottistico si fonda principalmente su:

1. acquedotto del Peschiera, lunghezza pari a 132 km, serve Roma e altri Comuni. La portata addotta è di 12,5 m3/s;

2. acquedotto Acqua Marcia, lungo 56 km, serve Roma e adduce 4,4 m3/s; 3. acquedotto del Simbrivio, costituito da 322 km di tubazioni, serve 50 Comuni dell’ATO e

trasporta mediamente 900 l/ms prelevati da pozzi e sorgenti dell’alta valle dell’Aniene. Il piano d’ambito fa una stima delle utenze esistenti ma senza contatore, che è di 200.000

unità a cui corrisponde un intervento per l’apposizione di contatori di circa 25 milioni di euro. La popolazione non ancora servita, nell’ambito ATO 2, di depuratori assomma 750.000

abitanti, di cui 700.000 in Comuni con più di 10.000 abitanti. I Comuni senza depuratori sono 22 di cui 2 con popolazione superiore a 10.000 abitanti. La convenzione di gestione sottoscritta prevede che ACEA ATO 2 inizi a prendere in carico i servizi attualmente gestiti dai singoli Comuni, da Consorzi e gestori a partire dallo gennaio 2003. L’operazione si completerà entro il 31 dicembre 2005, secondo la seguente progressione: sottobacino Centro; Sud 1/2/3/4; Est 1/2/3; Nord 1/2; Ovest 1/2. La crisi idrica manifestatasi in modo serio nella primavera - estate di questo anno nell’area ad Est di Roma, ha indotto a dare assoluta priorità alla presa in carico dei Comuni del Consorzio del Simbrivio. Nel Disciplinare tecnico, allegato alla convenzione sottoscritta, tra l’altro, sono descritti ed elencati i contenuti di un rapporto semestrale informativo che il gestore è obbligato a redigere e comunicare al soggetto d’ambito, onde superare il gap costituito dall’asimmetria informativa. In due conferenze d’ambito (novembre e dicembre 2002) sono stati esaminati e discussi criteri e procedure, onde arrivare alla costituzione della Consulta d’ambito. Essa al momento non risulta essere stata eletta e insediata. A partire dal settembre 2002 diventa operativa da parte di ACEA ATO 2 la gestione dell’intiero sistema fognario della capitale. Ad ACEA che già in precedenza gestiva la rete fognaria su incarico del Comune costruita fin dagli anni settanta, vengono conferiti 2.600 km circa di rete fognaria e 320 km di collettori realizzati dal Comune. Il sistema fognario è di tipo unitario o misto.

Qui di seguito alcuni dati succinti relativi alla struttura di ACEA ATO 2 SpA, in base ai patti parasociali sottoscritti e approvati nel maggio 2002: consiglio di amministrazione composto di otto membri: cinque designati da ACEA SpA, uno dalla Provincia di Roma, uno congiuntamente dai Comuni di ATO 2 e uno dal Comune di Roma. Il presidente è scelto fra i consiglieri designati da ACEA SpA Il vice presidente è designato dalla Provincia; un sindacato di voto garantisce nell’assemblea l’espressione unitaria del voto attraverso un unico rappresentante costituito dal presidente della provincia di Roma.

È sempre necessario il voto favorevole della provincia e dei comuni minori per le deliberazioni riguardanti eventuali operazioni di scissione, quotazioni in borsa di ACEA ATO 2, scorporo o fusione di rami di azienda;si prevede un “comitato di consultazione permanente” per verificare l’andamento del servizio, composto da un rappresentante della provincia, tre

Page 26: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

20

rappresentanti dei comuni minori, uno del Comune di Roma e tre di ACEA SpA; il presidente del collegio sindacale è designato da ACEA SpA.

ATO 3 - Lazio Centrale (Rieti)

Nella prima delle due Conferenze d’ambito, del 4 luglio, svoltesi nel semestre luglio -dicembre 2002, è stata assunta l’importante determinazione di approvazione definitiva del piano degli interventi e tariffario, rinviando alla consulta d’ambito il recepimento di suggerimenti e osservazioni da parte dei comuni. Nella seconda Conferenza d’ambito, del 16 ottobre 2002, vengono esaminati e approvati lo schema di convenzione tipo per la gestione del servizio e relativo disciplinare tecnico e la scelta relativa alla modalità di gestione del servizio idrico integrato.

Inerente all’esame dello schema della convenzione tipo di gestione sono le considerazioni relative alle interferenze d’ambito, alla luce anche del tavolo di confronto avviato tra Regione Lazio, Provincia di Rieti e Provincia di Roma che ha programmato la conclusione dell’esame e del confronto per la fine dell’anno 2002. Gli investimenti complessivi ammontanti a quasi 202 milioni di euro, risultano in termini percentuali così ripartiti: acquedotti 60; fognature 26; depuratori 12,5.

Gli interventi indicati nel piano d’ambito ricomprendono integralmente quelli del piano stralcio, ex articolo 141 L 388/2000 che costituiscono la quasi totalità degli interventi per depurazione e fognatura previsti nella prima fase di realizzazione del piano d’ambito. Circa le modalità di gestione, la Conferenza del 16 ottobre 2002 ritorna ad esaminare la scelta operata dalla Conferenza d’ambito del 1996 che sull’argomento, aveva optato in via prioritaria per la società mista a maggioranza pubblica e in via subordinata per la concessione a terzi, qualora la prima opzione risultasse impraticabile in base alle risultanze del piano d’ambito. La Conferenza d’ambito con un voto di maggioranza ha ora indicato la modalità di gestione nello schema della concessione a terzi.

ATO 4 - Lazio Meridionale (Latina)

La convenzione di gestione tra l’autorità d’ambito Lazio Meridionale - Latina (ATO 4) e Acqualatina SpA, quale soggetto affidatario del servizio, è stata sottoscritta il 2 agosto 2002.

Fanno parte integrante della convenzione i documenti contenenti: estratto di piano (piano degli interventi e tariffario triennale); estratto della ricognizione delle opere, delle reti e degli impianti; disciplinare tecnico; regolamento del servizio; carta dei servizi; convenzioni ATO 4 e Consorzi di Bonifica; elenco del personale trasferito al gestore; cauzione; convenzione di cooperazione.

In base all’art. 9 L 36/1994 non si prevedono gestioni da salvaguardare. Per effetto della L 36/1994 art. 10 (le società e le imprese consortili concessionarie

mantengono la gestione fino alla scadenza della concessione) nell’ATO 4 sono conservate le gestioni relative al ciclo integrale nel Comune di Sezze (1.1.2024) e la distribuzione dell’acqua nel Comune di Sabaudia (13.7.2020).

Il trasferimento delle gestioni esistenti al nuovo gestore prende avvio nel mese di ottobre e alla fine dell’anno 2002 il processo non può dirsi assolutamente concluso. La convenzione di gestione citata, all’art. 18/bis, stabilisce che per tutto il periodo intercorrente fra la sottoscrizione della convenzione e il trasferimento della totalità delle gestioni (definito “periodo transitorio”) il gestore non assume nessun obbligo di attuazione del piano, ivi inclusi gli obblighi di realizzazione degli investimenti, opere, impianti e interventi e di raggiungimento

Page 27: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

21

dei livelli di servizio, ai sensi di quanto fissato in convenzione. È anche stabilito che se il trasferimento integrale non avviene entro nove mesi dalla firma della convenzione (vale a dire entro il 2 maggio 2003), il gestore può richiedere l’adeguamento del piano. A seguito della sottoscrizione della convenzione di gestione e contestualmente all’indicazione dell’inizio della nuova gestione fissata in un primo momento al l° novembre 2002 (e poi rinviata), la Conferenza d’ambito, tramite il coordinamento svolto dalla Presidenza della provincia e l’attività tecnica dello STO, ha promosso la costituzione dell’organismo di tutela degli utenti e dei consumatori a livello d’ambito (LR 26/1948) il quale, però, al 31/12/2002 non risulta ancora essere stato insediato.

ATO 5 - Lazio Meridionale (Frosinone)

Nel corso del semestre luglio-dicembre 2002 non vi è stata alcuna riunione della Conferenza dei Sindaci e dei Presidenti dell’ATO 5. L’ultima fase deliberante di detto organo risale a maggio 2002, quando la Conferenza ha approvato i verbali della commissione di gara.

Non si sono, quindi, prodotti atti amministrativi - istituzionali di rilievo esterno che dessero seguito all’individuazione e scelta del soggetto gestore affidatario del servizio.

Non è stata al momento sottoscritta la convenzione di gestione. Al termine del semestre risulta che non tutti i Comuni costituenti l’ATO si siano espressi sugli orientamenti decisi dalla Conferenza d’ambito, come previsto dalla normativa regionale (Art. 5/6 LR 6/1966).

Il processo che qui si è seguito è diverso da quello avutosi nell’ATO 4 ove, dopo l’approvazione definitiva del piano e dei risultati della gara per la selezione del socio privato di minoranza, sono avvenute la costituzione della società di gestione e la sottoscrizione della convenzione di gestione e allegati, prima che i singoli consigli comunali ratificassero le decisioni della Conferenza.

(Nel senso della processualità approvazione dei consigli comunali deliberazione della Conferenza d’ambito, v. determinazione del Presidente della provincia di Frosinone 17.7.2002).

Page 28: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

22

SICCITÀ AL SUD E ALLUVIONI AL NORD: COME INTERVENIRE PER RIDURRE I DANNI

Massimo Bartolelli Facoltà di Economia e Politica Agraria, Università di Bari.

Il lento ma continuo modificarsi del ciclo naturale dell’acqua ha portato negli ultimi 20 anni

all’accentuarsi della cronica carenza idrica al Sud e degli eventi alluvionali al Nord. Uno dei modi per ristabilire il bilancio idrico del nostro paese è la tecnologia di stimolazione

della pioggia, in grado di incrementare la disponibilità di acqua al Sud e ridurre gli effetti negativi delle alluvioni al Nord. Un aspetto della problematica dell’acqua è stato sempre molto importante nel Mezzogiorno del nostro paese, e lo è divenuto ancor di più negli ultimi venti anni per effetto del modificarsi – lento ma continuo – del ciclo naturale dell’acqua, che ha portato all’accentuarsi della cronica carenza idrica nel Sud e degli eventi alluvionali al Nord.

Tratterò pertanto del bilancio idrico nel nostro paese e degli squilibri che presenta, della necessità di incrementare la disponibilità di acqua nel Sud, della tecnologia di stimolazione della pioggia e dei buoni risultati che può dare, citerò la possibilità di utilizzare la stessa tecnologia per ridurre gli effetti negativi delle alluvioni nel Nord Italia e ne evidenzierò gli aspetti ambientali ed economici.

Bilancio idrico in Italia

La quantità di acqua su cui ogni anno il nostro Paese può contare, è sufficiente ai fabbisogni?

La risposta che coralmente viene data – dagli studiosi, dai tecnici, dai mass-media – è che in Italia di acqua ce ne è molta e il “bilancio idrico” è ampiamente sufficiente; i problemi nascono dal cattivo uso, dai sistemi di distribuzione obsoleti, dalle insufficienze gestionali, dagli sprechi, ecc.

È proprio così? Sulla seconda parte della risposta si può esser d’accordo, sulla prima molto meno.

Nel bilancio idrico (annuo medio) ci sono da un lato le precipitazioni piovose e nevose che costituiscono l’apporto atmosferico nel ciclo dell’acqua - e che sono cioè “l’attivo” del bilancio – e dall’altro abbiamo l’acqua che ritorna all’atmosfera per evapotraspirazione dalle piante, evaporazione dal suolo e dalle superfici liquide (mare, fiumi, invasi), ecc.

Riprendendo i dati della Conferenza delle acque e dell’indagine conoscitiva del Senato coordinata da Giorgio Nebbia, si ha che ogni anno in Italia cadono circa 295 miliardi di m3 di acqua; di questi, 140 miliardi rievaporano e 155 (di cui 41 per l’intero Mezzogiorno) tornano al mare dai vari bacini idrografici.

Per uso irriguo sono considerati “utilizzabili” (comprese le acque raccolte in laghi e invasi artificiali) circa 35-40 miliardi di metri cubi l’anno.

I consumi medi annui per settore sono approssimativamente i seguenti: – 7 miliardi di m3 per usi civili e domestici – 7 per l’industria – 6-7 per produrre energia – 28-30 per l’agricoltura (dei quali però solo 5 per tutto il Mezzogiorno).

Page 29: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

23

Un totale quindi di circa 50 miliardi di m3. Come già accennato, da questi dati generalmente si trae la conclusione che in Italia acqua ce

ne è a sufficienza, che i problemi da risolvere sono quelli citati al primo capoverso e che non c’è bisogno di altra acqua.

Ora, se è vero che i problemi del cattivo uso esistono e sono gravi, non appare altrettanto vero che non ci sia bisogno di altra acqua.

Ragionando in termini di “bilancio”, anche se idrico, la personale deformazione professionale di economista agrario mi fa dire che non è sufficiente che il bilancio globale chiuda in attivo perché per una “azienda” – nel nostro caso l’Italia – le cose vadano bene. Si deve verificare, almeno, che tale situazione:

1. sia riferibile all’intera azienda – cioè a tutto il territorio italiano – perché possono esserci aree ove l’acqua è abbondante e altre ove essa manca od è scarsa, per cui da queste ultime, se si trattasse di un’azienda agricola, si otterrebbero raccolti scarsi, e quindi un bilancio economico meno soddisfacente di quello che potrebbe essere se la distribuzione idrica territoriale fosse meno disuniforme;

2. sia valida nel corso dell’anno, perché se – a titolo di esempio – in alcuni mesi c’è tantissima acqua e in altri non ce n’è affatto, anche se la quantità globale è mediamente sufficiente per l’intero anno, nei primi mesi si annega, negli ultimi si muore di sete;

3. sia stabile nel tempo, perché se l’attivo del bilancio tende a diminuire (cioè decresce “l’offerta” di acqua) mentre i consumi tendono ad aumentare (cioè aumenta la “domanda” di acqua) lo stesso risultato finale – nella sua globalità oggi positivo – può diventare negativo.

Orbene, non c’è necessità di portare molti dati per verificare, con assoluta certezza che: 1. nel Sud del Paese cade molta meno acqua che al Nord; che le perdite sono più elevate per

la peggiore situazione del Mezzogiorno in termini di qualità, pendenza e sistemazione dei terreni e di grado di copertura forestale, ecc.; che i consumi unitari (indipendentemente dall’uomo) sono più elevati per la più alta evapotraspirazione conseguente a maggiori temperature, e così via;

2. la distribuzione temporale delle precipitazioni è al Sud più irregolare che al Nord, con piogge proporzionalmente di più forte intensità in alcuni mesi (che ruscellano e non servono, né si accumulano nei terreni argillosi, di cui il Centro-Sud è pieno) e lunghi periodi di piogge scarse o nulle, proprio cioè quando la “domanda” d’acqua da parte dell’uomo e delle piante è più elevata.

È proprio quanto ora detto che motiva il grande sforzo del Paese, nel dopoguerra, per la realizzazione nel Sud di tutta una serie di invasi ove accumulare acqua, dove e quando c’era, per distribuirla dove e quando mancava.

Ma ci sono altri due aspetti importanti che vanno sottolineati, come ha fatto il Servizio Meteorologico dell’Aeronautica:

1. la lenta ma continua tendenza alla crescita della temperatura media annua, in particolare nei mesi di maggio e novembre;

2. la tendenza alla diminuzione delle precipitazioni nell’anno e in particolare nei mesi di aprile e ottobre.

Questi due fenomeni, attribuibili forse ai grandi cambiamenti climatici in atto, e particolarmente rilevanti in Sicilia e in Puglia, contribuiscono a determinare l’espandersi della desertificazione anche nei paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo.

L’indice standardizzato di anomalia per le temperature (SAIT) elaborato su 120 anni dal Centro nazionale di climatologia dell’Aeronautica militare evidenzia che vi sono stati valori medi via via crescenti nelle temperature, con forte accentuazione negli ultimi venti anni.

Page 30: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

24

In particolare il decennio ’90 è stato il più caldo degli ultimi 120 anni, superando anche il decennio ’80, che aveva prima il record.

Si consideri che l’aumento della temperatura determina una maggiore evaporazione dell’acqua dal suolo e se vi sono piante, una più elevata evapotraspirazione delle stesse, con conseguente loro più alto fabbisogno d’acqua, proprio quando ce n’è di meno.

Ma ancor più grave è la tendenza alla diminuzione delle precipitazioni, che è molto chiara (un po’ meno lo è quella dell’aumento nel Nord, che peraltro ormai si avverte) e per la quale i modelli previsionali più accreditati non individuano variazioni almeno fino al 2020-2030, perché oltre non si spingono.

Per citare solo qualche dato su tale netta tendenza alla diminuzione delle piogge (chiarissima a tutti gli agricoltori) va evidenziato quanto segue:

1. l’indice standardizzato di anomalia per le piogge (SAIP), elaborato pochi anni fa dal Centro nazionale di climatologia dell’Aeronautica militare, permette di valutare in che modo la piovosità verificatasi in un determinato anno si discosta dai valori medi degli ultimi 125 anni. Tale indice evidenzia una netta tendenza negativa per le precipitazioni, con una maggiore frequenza di annate siccitose negli anni compresi tra il 1967 e il 1995, in questi 28 anni si sono verificati 8 casi di precipitazioni molto inferiori alla media, cioè il doppio di quelli che si erano verificati nei quasi cento anni precedenti. Se si aggiungono i tre anni di siccità verificatasi nel successivo periodo 1996-2001 l’indice si aggrava e la tendenza negativa si accentua;

2. la carenza d’acqua si è fatta sentire in modo particolarmente pesante negli anni 1988, 1989, 1990, 1994, 1995, 1997, parte del 1999, 2000, 2001 e metà 2002, con danni alla sola economia agricola, in termini di mancate produzioni, stimati in decine di migliaia di miliardi (6.000 nella annata agraria 1989-90, oltre 4.000 nel 1994); mentre i danni ambientali sono evidenziati da quei fenomeni di “desertificazione” (impoverimento della flora, diminuzione delle specie vegetali, alterazione dell’habitat naturale per la fauna) ormai chiaramente visibili in svariate aree dell’Italia meridionale e centrale;

3. se si considerano i dati della Associazione nazionale delle bonifiche relativi alle quantità di acqua che negli ultimi anni sono state raccolte negli invasi (preziosi per il Mezzogiorno) vi è da rimanere sgomenti: essi contengono volumi d’acqua oscillanti tra un quarto e un decimo della capacità globale; alcuni sono praticamente inutilizzabili per la troppa poca acqua, altri sono vuoti del tutto. La grande speranza del Sud – data dalla rete degli invasi – rischia di vanificarsi per mancanza di pioggia. A titolo di esempio si veda la Tabella 1, relativa alla quantità d’acqua contenuta, nell’anno 2000, nei principali invasi costruiti nel Mezzogiorno, messa a confronto con la capacità d’invaso per la quale furono realizzati.

Questa situazione è esemplificativa sia degli altri invasi nel Mezzogiorno sia di quanto accaduto nella maggioranza degli anni dell’ultimo quindicennio. Ci sono stati alcuni anni con maggiori piogge e la situazione è stata migliore, ma tenendo conto che gli invasi – ad es. quelli della Basilicata, che è la più ricca d’acqua – sono a riempimento pluriennale, il recupero della loro funzionalità è legato ad una significativa e costante inversione di tendenza nelle piogge, che invece continuano a diminuire, e anche regioni abbastanza dotate di acqua, come il Molise, se ne cominciano ad accorgere.

Se aggiungiamo che, di fronte a questa diminuzione di “offerta d’acqua” si ha una continua crescita della “domanda” in quanto i consumi unitari per abitante sono aumentati di 12-13 volte dal 1925 ad oggi, e i fabbisogni dell’agricoltura del Mezzogiorno – che solo con acqua irrigua può tentare di essere competitiva sui mercati – sono ancora molto lontani dall’essere soddisfatti, si constata che il rapporto disponibilità effettiva per l’uomo/consumi per l’uomo, non fa che peggiorare continuamente.

Page 31: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

25

Tabella 1. Situazione dei principali invasi del Mezzogiorno nel luglio dell’anno 2000 (dati relativi a marzo 2000 al termine della stagione delle piogge)

Invaso Capacità (milioni di metri cubi)

Acqua contenuta (milioni di metri cubi)

Puglia Occhito 250 26 Celone 17 3 Capacciotti 49 7

Basilicata Monte Cotugno 430 63 Pertusillo 100 21 S.Giuliano 90 23 Camastra 33 12 Basentello 31 15

Sicilia Rubino 12 1 Zaffarana 1 0.1 Paceco 5 1 Don Sturzo 110 3

Sardegna Temo 68 2 M. Lerno 72 5 Posada Mac. 25 7 Flumendosa A. 262 32 Omodeo 143 7 Mulargia 323 11* Coghinas 224 79* Monte Pranu 50 10* Cucchinadorza 16 1*

Da queste brevi notazioni si può concludere che il bilancio idrico italiano, calcolando le

medie nazionali a tavolino potrà anche apparire soddisfacente a livello globale, ma, almeno per il Mezzogiorno, vi sono squilibri spaziali e temporali tali, e tendenze alla riduzione così preoccupanti, che occorre cercare di avere più acqua a disposizione, in modo da aumentare l’attivo (per gli esseri umani) del bilancio e di distribuirlo in modo più uniforme sul territorio e nel tempo, in particolare (ma non solo) per l’agricoltura.

Aumento della disponibilità dell’acqua

Considerando il rapporto disponibilità/consumi derivante dal bilancio idrico citato, una maggiore disponibilità di acqua per i consumi può derivare o da un incremento nelle precipitazioni “ a monte” (piovose e nevose) o da una maggiore capacità di invaso delle acque (se piove), oppure da uno o più riusi delle acque già utilizzate dall’uomo, quindi in un certo senso “a valle” del ciclo “umano” captazione-distribuzione-consumo.

In un approfondito studio eseguito nel 1992 dalla Tecnagro (associazione senza fini di lucro per le innovazioni tecnologiche per l’agricoltura e l’ambiente) per incarico del Ministero dell’agricoltura (che era impegnato a riferirne in Parlamento ove erano emerse precise richieste circa la possibilità di disporre di più acqua nel Mezzogiorno, in relazione anche alla già citata importante indagine conoscitiva del Senato sull’acqua) e intitolato “Acqua per l’agricoltura”,

Page 32: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

26

questi possibili “modi” per disporre di più acqua, erano stati attentamente esaminati. Si erano analizzate la tecnica di ravvenamento delle falde per “immagazzinare” l’acqua, la problematica del recupero e ampliamento di laghetti collinari allo stesso scopo la riutilizzazione delle acque reflue e la stimolazione della pioggia con cenni anche a quella della neve, che è certamente di notevole interesse ma sulla quale si è meno avanti in termini di tecnologia applicativa. In una successiva indagine voluta dallo stesso Ministero, Tecnagro faceva il quadro dei progetti di completamento delle opere di captazione e distribuzione delle acque predisposti dai Consorzi di bonifica e immediatamente cantierabili: questo allo scopo di poterne finanziare il rapido completamento. Si veniva così a delineare, il Piano acqua per l’agricoltura nel Mezzogiorno (che era utile non solo alla agricoltura e che avrebbe dovuto essere affiancato da altre azioni negli altri settori), basato su tre punti principali:

1. completamento dei progetti cantierabili dei Consorzi di bonifica, almeno entro la disponibilità finanziaria;

2. riuso delle acque reflue delle città in agricoltura, in particolare per le coltivazioni arboree (che costituiscono quasi il 50% della superficie agricola nel Mezzogiorno);

3. avvio di un programma operativo di stimolazione artificiale della pioggia in tutto il Mezzogiorno, sulla base delle tecnologie acquisite da Israele e applicate e messe a punto in Italia dalla Tecnagro.

Tralasciando di trattare i primi due punti (dei quali il secondo ancora fermo per una normativa italiana di una rigidità unica al mondo) in quanto sono parti del più grande problema del rifacimento e completamento degli schemi idrici italiani, che non sono qui in discussione, si viene al terzo punto, quello della stimolazione artificiale della pioggia.

Questa tecnologia, della quale Israele era maestro, è stata “importata” in Italia nel 1985 dalla Tecnagro, adattata e messa a punto in oltre dieci anni di attività, è stata esplicitamente indicata nelle conclusioni dell’indagine conoscitiva del Senato della Repubblica sull’acqua; è stato il “cuore” del Convegno mondiale delle Nazioni Unite affidato alla Tecnagro e svoltosi a Paestum (Salerno) nel 1994; è chiaramente indicata nella fondamentale Legge Galli (5 gennaio 1994 n. 36), esistono già due centri radar fissi e uno mobile della Tecnagro per la stimolazione della pioggia (Puglia, Sicilia e Sardegna), con piccoli aerei attrezzati e tecnici capaci, è stata recepita dall’Europartenariato mediterraneo per l’acqua (27 Paesi) negli accordi di Torino (1999), è sollecitata da Paesi arabi e dall’Iran.

È bene allora qui illustrare in sintesi quali sono i meccanismi di formazione della pioggia e come la si può stimolare.

Stimolazione delle nubi

Sulla superficie del globo terrestre l’acqua non manca: negli oceani e nei mari, nei laghi e nei fiumi, ma anche sulla terra (come neve, nelle piante, nel terreno) e nell’atmosfera.

In quest’ultima vi è, per fortuna dell’uomo, una altissima quantità di acqua la quale si può addensare in nuvole, che sono delle masse più o meno estese di acqua sotto le sue varie forme: vapore, minuscole goccioline d’acqua liquida e minuscoli cristalli di ghiaccio, che si formano per il raffreddamento dell’aria dovuto a moti convettivi generalmente di origine termica, a mescolanze di masse d’aria a temperatura diversa, a fenomeni di espansione, irraggiamento, ecc.

Queste piccolissime particelle derivanti dalla condensazione dell’acqua evaporata dalla superficie del globo, sono soggette a più forze: a quella di gravità, che tende a farle ricadere a terra, a quella dell’attrito esercitato dal mezzo in cui si muovono e il cui valore cresce con l’aumentare della velocità di caduta delle goccioline, a quella delle correnti ascensionali

Page 33: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

27

dell’aria più calda che viene dal basso, ecc. La pioggia avviene se, per effetto di vari processi, le minuscole (dell’ordine di qualche micron) e leggerissime particelle si addensano fra di loro e crescono di dimensioni, fino ad arrivare ad una gocciolina di circa un millimetro di diametro; a quel punto la forza di gravità riesce a far “sentire” la sua azione e le goccioline cominciano a cadere superando la spinta verso l’alto dei moti convettivi.

Se la struttura microfisica della nube, lo stato di turbolenza interna, la velocità del vento, le temperature, le varie altitudini, ecc. non sono tali da determinare questa crescita delle particelle di acqua, la precipitazione non avviene e le nuvole se ne vanno, dissolvendosi, o dando luogo a precipitazioni sui mari aperti, di nessuna utilità diretta per l’uomo.

Condizione necessaria perché cada la pioggia è che ci sia una concentrazione di acqua sospesa, cioè che ci siano le nuvole. Ma questo non è sufficiente; le nuvole devono avere una serie di caratteristiche per determinare una pioggia effettiva: basta che qualcuna di esse manchi che la precipitazione non avviene più.

Senza dilungarsi su vari aspetti, conviene soffermare l’attenzione su quello che è, comunque, l’elemento chiave perché si inneschi il processo di formazione della pioggia, e cioè il “nucleo di condensazione”.

È noto dalla fisica sperimentale, che, in assenza di agenti esterni, l’acqua può trovarsi in una fase diversa da quella che le sue condizioni ambientali farebbero supporre. L’acqua può perdurare, infatti, nella sua fase liquida anche a temperature inferiori a zero gradi senza diventar ghiaccio, così come la fase di vapore può permanere tale anche a pressioni superiori a quelle di equilibrio a quella data temperatura. Nel primo caso si è in presenza di acqua sopraffusa, nel secondo di vapore soprassaturo; entrambi gli stati sono detti “metastabili”.

Un tale comportamento, apparentemente anomalo, trova la sua spiegazione nell’assenza di “agenti nucleanti della fase” che sono cristalli di ghiaccio nel caso dell’acqua sopraffusa e goccioline d’acqua in quello del vapore soprassaturo.

Dal punto di vista meteorologico è estremamente importante osservare che gli stati metastabili possono essere alterati da agenti nucleanti diversi dai cristalli di ghiaccio (per l’acqua sopraffusa) e dalle goccioline d’acqua (per il vapore soprassaturo). Nell’atmosfera la condensazione del vapor d’acqua non inizia fino a quando esso non ha una superficie sulla quale condensare: tale supporto è detto “nucleo di condensazione”. I nuclei di condensazione possono essere: omogenei – se costituiti da goccioline d’acqua; eterogenei – se costituiti da particelle di natura chimica diversa.

Poiché le sovrassaturazioni che si raggiungono nell’atmosfera sono piuttosto modeste, la nucleazione omogenea è in essa praticamente impossibile, almeno nello stadio iniziale della condensazione. Le goccioline d’acqua cominciano ad accrescersi (e quindi ad agire come nuclei di condensazione) soltanto quando le loro dimensioni sono dell’ordine di molti micron. Pertanto nei processi di condensazione che si manifestano nell’atmosfera, almeno nella fase iniziale, rivestono importanza predominante i nuclei di condensazione eterogenei. Le particelle che sono in grado di comportarsi come nuclei di condensazione hanno varie origini, come, ad esempio:

– dalla terra, come polveri fini erose per azione del vento; – dalle combustioni naturali (incendi boschivi, di sottoboschi, praterie, ecc.); – per distacco dalla superficie del mare sotto l’azione del vento; – dalle eruzioni vulcaniche e da esplosioni effettuate dall’uomo; – da reazioni nucleogene chimiche e fotochimiche; – come materiale particolato derivante dalle attività industriali.

Page 34: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

28

Nuclei di condensazione

Se la pioggia naturalmente cade perché, oltre ad altre condizioni nelle nuvole, vi sono nuclei di condensazione capaci di aggregare le particelle di acqua e di farle crescere fino a superare i moti turbolenti e ascensionali e quindi scendere a terra, è allora logico pensare che in nuvole in cui non vi siano sufficienti “nuclei di condensazione” un intervento umano che inserisca tali nuclei possa consentire l’avvio “artificiale” di un processo “naturale”.

È su questo concetto che in molti paesi del mondo si sono fatte prove ed esperimenti volti a diffondere – in nuvole che hanno potenzialmente condizioni favorevoli – nuclei di condensazione o, come anche si suol dire, ad “inseminare” le nuvole, visto che si tratta di sparpagliare in esse tante piccolissime particelle condensanti.

Nei vari esperimenti il materiale usato è stato il più vario: spray d’acqua, nuclei di ghiaccio, sali di vario genere, ecc.; almeno finora il più efficace agente nucleante è stato lo ioduro d’argento. Anche gli strumenti per disseminare tale materiale nelle nubi sono stati diversi: razzi, palloni, diffusori termici dal suolo, aerei; così come molto diversa è stata sia l’organizzazione complessiva che la durata e la sistematicità delle prove.

La tecnologia israelo-italiana (cioè quella derivata da Israele e adattata da Tecnagro per le condizioni del Mezzogiorno) appare essere – almeno oggi – di notevole razionalità ed efficienza, anche per quasi 3 decenni di esperienza in Israele e un decennio in Italia.

Per attuare la stimolazione artificiale della pioggia con tale tecnologia occorrono basi logistiche, attrezzature, personale. Le basi debbono essere in aeroporti, ove siano disponibili i locali e i servizi necessari al funzionamento delle attrezzature.

Esse consistono in: ricevitore da satellite, radar meteorologico con relativo centro elettronico, radio ricetrasmittenti, strumenti scientifici vari, apparecchiature per la preparazione della soluzione di ioduro d’argento, aerei (con attrezzature scientifiche per le misure e con bruciatore e diffusori per l’inseminazione), officina. Il personale è composto da meteorologi, radaristi, esperti elettronici, informatici, piloti, meccanici, ecc.; il tutto in numero tale da consentire più turni di lavoro e coprire così le 24 ore, in quanto il personale deve essere pronto ad intervenire con gli aerei giorno e notte, in ogni area del territorio nella quale siano in arrivo sistemi nuvolosi (avvistati dal radar) che abbiano caratteristiche potenzialmente favorevoli al successo della inseminazione.

Questo per tutto il periodo in cui vi è una buona presenza di nuvole (in generale da metà ottobre ai primi di maggio).

Gli aerei per la inseminazione sono bimotori di piccole dimensioni che hanno nel loro interno un contenitore di ioduro d’argento in soluzione con acetone, liquido che viene condotto a degli appositi bruciatori collocati sotto le ali ove viene bruciato.

Questo provoca la emissione di fumi composti da molti miliardi di microscopiche particelle che hanno la stessa struttura fisica dei cristalli di ghiaccio naturale, e che l’aereo diffonde volando sopravvento e alla base della nuvola laddove vengono rilevate correnti ascensionali; il fumo, caldo, sale rapidamente e viene trasportato e mescolato nelle nuvole dai moti convettivi dell’aria. Se l’inseminazione ha effetto, la pioggia comincia a cadere dopo un certo tempo, durante il quale le nuvole si spostano per effetto del vento, la cui velocità e direzione sono variabili e delle quali occorre quindi tener conto.

Page 35: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

29

Risultati degli esperimenti

I risultati ottenuti negli esperimenti svolti negli anni sono quanto mai incoraggianti, anche perché ottenuti operando con una serie di vincoli legati alla metodologia sperimentale e che in fase operativa su larga scala non dovranno più esserci.

La misurazione dei risultati è stata fatta utilizzando il radar meteorologico (che è un occhio imparziale e obiettivo), una fitta rete di pluviometri, dei modelli numerici ad alta risoluzione, dati rilevati dagli aerei con GPS, ecc.

In concreto si è cercato di verificare se appariva un rapporto di causa ed effetto tra l’inseminazione e la pioggia; se emergevano motivi che invalidavano o smentivano i risultati dell’analisi statistica; se quanto osservato con il radar era coerente anche con le condizioni meteorologiche su piccola scala.

Per determinare se esisteva un rapporto causa/effetto tra semina delle nubi e pioggia stimolata, la prima analisi – e la più semplice – è stata quella di osservare (con il radar) i cambiamenti che avvenivano nelle nubi dopo l’inseminazione, seguendole nel loro percorso e vedendo se cadeva pioggia sottovento alla pista di semina, e dove e quanta ne cadeva. Orbene, dopo ogni inseminazione:

1. la quantità di acqua liquida contenuta nelle nubi “in arrivo” cresceva considerevolmente per effetto della condensazione del vapore d’acqua sopraffuso;

2. l’altezza della nube saliva notevolmente (per effetto della immissione in essa dei fumi caldi derivati dalla combustione della soluzione di ioduro d’argento) e poiché più la quota sale più la nube si raffredda, si incrementava la condensazione del vapore d’acqua e la formazione delle goccioline;

3. vi era una caduta di pioggia – nel periodo: durata della semina più tre ore – considerevolmente maggiore (come si vedrà quasi quattro volte) di quella caduta – se cadeva – dalle nubi non inseminate e non contaminate dalla semina fatta. La misura della pioggia la si fa contemporaneamente dal radar e dai pluviometri se cade a terra, dal solo radar se cade a mare. L’incremento di condensazione nelle nubi e la pioggia che ne derivava si diffondevano a ventaglio partendo dalla linea di semina e proseguendo ben oltre l’area bersaglio.

4. Nulla di tutto questo accadeva nei sistemi nuvolosi “vicini” diretti verso le aree di controllo e, quindi, non seminati, a meno che non vi fosse una parziale “contaminazione” derivante dallo spostamento di direzione – a causa del vento – delle nubi inseminate, fatto chiaramente visibile e registrabile dal radar.

L’evidenza visiva – chiarissima e registrata in modo oggettivo dal radar – che sempre, dopo ogni inseminazione, aumentano le condizioni che nelle nubi portano alla pioggia e che di questa ne cade molto di più rispetto alle nubi non seminate è ben convincente. Riuscire finalmente a seguire tutta l’evoluzione del processo di stimolazione attraverso l’occhio imparziale e sicuro del radar consente di confermare senza ombra di dubbio che nelle nubi avvengono proprio quei processi che già da tanto tempo erano stati sperimentati in laboratorio e che i ricercatori ritenevano dovessero avvenire su scala ben più ampia.

Ma dove cade la pioggia? Il piano degli esperimenti prevedeva di confrontare i dati pluviometrici raccolti in una area,

detta bersaglio, con quelli raccolti in un’area controllo separata dalla prima da una zona “cuscinetto”, quindi con l’implicito presupposto che il prodotto della stimolazione (se ottenuto) fosse da ritrovare sempre dentro i limiti dell’area bersaglio.

In realtà, direzione e intensità del vento e quota di semina hanno determinato il fatto che molto spesso la pioggia è caduta ben oltre il bersaglio – che era troppo vicino alla pista di

Page 36: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

30

semina – e spesso a mare, o nell’area cuscinetto oppure anche nella zona di controllo anziché in quella di bersaglio, a causa del cambiamento di direzione del vento. Anche il tempo di condensazione del vapore acqueo si è verificato essere più lungo di quanto ipotizzato – per cui la pioggia è caduta più lontano – mentre la durata dell’effetto della inseminazione è stata maggiore delle ipotesi fatte, per cui un’area ben più grande di quella del bersaglio ha ricevuto quantità di pioggia molto più abbondanti di quelle cadute nelle aree sottovento ai sistemi nuvolosi non inseminati.

Quindi in sostanza, per misurare i risultati: 1. si è preso ogni singolo caso di inseminazione delle nubi; 2. per le nubi inseminate si è visto dove è caduta la pioggia, sottovento alla linea di semina

in un periodo di tempo pari alla durata della semina più ore; 3. si è delimitata tutta la superficie dell’aerea dove è caduta la pioggia, indipendentemente

se fosse dentro o fuori l’area bersaglio, ma purché fosse derivata dal sistema nuvoloso inseminato (che il radar ha seguito in ogni momento);

4. si è misurata la quantità di pioggia complessivamente caduta su tale area utilizzando radar e pluviometri se sul suolo, solo il radar, se a mare;

5. si è fatta la stessa cosa per le nubi che, mentre avveniva la semina, restavano fuori dagli effetti di essa, in linea di principio dirigendosi verso l’area di controllo, ottenendo quindi la misura della quantità di pioggia caduta e della superficie nella quale tale precipitazione “naturale” avveniva, considerando sempre lo stesso intervallo di tempo;

6. si è fatto poi il confronto tra i dati relativi a tutte le nubi inseminate e alle corrispondenti non oggetto di semina, considerando sia la quantità di pioggia caduta sia la superficie interessata da questa.

Ciò è stato fatto per 139 missioni aeree, pari a 300 ore di volo e 190 ore di semina; da tutto questo è emerso che:

1. nel complesso dei tempi durante i quali è stata fatta l’inseminazione (più tre ore) sono caduti 56 milioni di metri cubi di pioggia “naturale” derivante cioè da nubi che non erano state in alcun modo seminate, mentre dalle nubi inseminate sono caduti 231 milioni di metri cubi, cioè oltre 4 volte di più;

2. tali maggiori piogge hanno interessato un’area molto più vasta che non quella ove è caduta la pioggia naturale e cioè circa 70 mila chilometri quadrati rispetto a circa 25 mila, vale a dire 3 volte tanto;

3. a parità di superficie l’incremento netto unitario per ettaro è stato del 40%. Quindi molta più pioggia su molta più superficie, e questo nonostante che si fosse dovuto

operare con i vincoli posti dalla metodologia sperimentale, senza poter puntare invece sulla ottimizzazione degli eventi.

Impatto ambientale della stimolazione

In molti esperimenti finora condotti, in particolare negli USA e in Israele, sono stati esaminati i possibili impatti sull’uomo e sull’ambiente della tecnologia di stimolazione delle nubi. In sostanza, le principali domande alle quali si voleva rispondere erano due:

1. L’utilizzazione dello ioduro d’argento quale nucleo di condensazione della pioggia può determinare effetti nocivi sull’uomo e gli esseri viventi?

2. Il fatto di “togliere” una certa quantità d’acqua da sistemi nuvolosi facendo piovere in un dato luogo, può determinare la carenza di pioggia in altri luoghi e, comunque, una alterazione sensibile nel ciclo dell’acqua?

Page 37: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

31

Per quanto attiene al primo punto c’è da rilevare che lo ioduro d’argento è un sale minerale (di formula AgI), la cui fondamentale caratteristica è la cosiddetta “stabilità” chimica, vale a dire la non solubilità, che evita la scomposizione in elementi tossici, e la non influenza sugli organismi, se non in situazioni molto particolari e di straordinario accumulo.

Le caratteristiche e le modalità degli interventi di inseminazione prevedono, all’opposto, l’utilizzazione di quantità minime di sostanza, appena sufficienti ad attivare quella “reazione a catena” all’interno della nube, che produce la moltiplicazione dei nuclei di condensazione e la conseguente formazione delle gocce di pioggia.

Per ogni ora di volo i bruciatori consumano 600 grammi di ioduro d’argento mentre l’aereo copre una distanza lineare media di circa 200 km.

Assumendo quindi, per esempio, che: 1. in quota spiri un vento orizzontale medio di 40 km/h (valore sottostimato in presenza di

tempo perturbato) che disperda sottovento i prodotti della combustione; 2. le correnti ascensionali sollevino gli stessi prodotti di circa 1 km in un’ora (valore

certamente sottostimato in presenza di tempo perturbato), è più che evidente come lo ioduro venga disperso in un volume atmosferico di grandi dimensioni, e come pertanto le sue concentrazioni, quando precipita a terra “dentro la goccia” siano del tutto insignificanti, al punto che occorrerebbero strumenti molto sofisticati solo per rivelarne delle tracce.

Si può quindi affermare che “l’argento introdotto dalle semine delle nubi non costituisce alcuna minaccia ambientale” (dichiarazione finale di impatto ambientale del progetto Skywater – US Bureau of Reclamation – 1977).

Quanto al secondo quesito, relativo alla presunta “sottrazione” di nubi e di pioggia ad altre regioni o paesi, sarà bene ricordare, prima di ogni altra considerazione, l’immensa vastità e complessità dell’atmosfera e degli eventi meteorologici, tale da “sopportare”, senza alcuna apprezzabile alterazione delle dinamiche principali, ogni intervento inteso a sottrarre ad una formazione nuvolosa parte dell’enorme patrimonio d’acqua che la compone.

Va sottolineato che, per quanto buono possa essere il risultato della semina, la quantità di acqua che si toglie è piccola cosa.

D’altra parte gli studiosi americani hanno calcolato che anche le più intense precipitazioni non sottraggono più del 20% dell’acqua esistente nei sistemi nuvolosi dai quali esse si generano: quindi anche raddoppiando la quantità di pioggia che cade non si avrebbero sottrazioni consistenti, tenendo conto – per di più – che la inseminazione ha anche l’effetto di “diluire” le piogge violente, facendo cadere acqua per più lungo tempo su più ampie superfici: non ci si troverebbe quindi neppure nel caso delle sottrazioni di acqua indicate dagli studiosi bensì a livelli inferiori in pratica, tutto quel che si fa è rendere leggermente più efficiente la “macchina termica” costituita dalla nube.

L’esperienza operativa di ormai 30 anni, in Israele, dimostra infine che l’incremento di precipitazioni stimolato in questo paese non ha determinato alcuna diminuzione nei paesi vicini, anzi, Giordania e Siria hanno usufruito degli effetti positivi dell’inseminazione registrando una maggiore quantità di pioggia (ulteriore dimostrazione degli “extra area effects” di cui si è detto).

Benefici diretti e indiretti

I vantaggi di avere maggiore acqua da pioggia, dopo tutto quel che si è detto della siccità, dei danni all’agricoltura del Mezzogiorno e così via, appaiono subito di tutta evidenza. E tali vantaggi non sono solo per l’agricoltura; accanto, infatti, all’effetto immediatamente positivo che le precipitazioni hanno sulle coltivazioni agrarie, è evidente che la maggiore acqua che

Page 38: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

32

cade, da un lato va a rimpinguare le falde freatiche dalle quali viene poi emunta per vari usi, dall’altro si accumula negli invasi naturali e artificiali, dai quali i vari settori attingono.

È proprio per questo, che si deve tener conto della esistenza di invasi nella individuazione delle aree di intervento operativo per la stimolazione della pioggia.

Se si vuole fare una rapida rassegna dei benefici che si ottengono dalla stimolazione, è bene distinguere tra quelli diretti e quelli indiretti.

I benefici diretti sono quelli derivanti da una maggiore disponibilità di acqua, alla quale sono interessati tutti i settori e le tipologie di utenza della risorsa idrica.

In maniera molto sintetica essi possono essere elencati come segue: 1. maggiore disponibilità irrigua per le colture; 2. maggiore elasticità negli ordinamenti produttivi; 3. aumento del carico potenziale di capi per ettaro; 4. rimpinguamento delle falde; 5. maggior riempimento degli invasi; 6. contrasto alla salinizzazione delle falde nelle aree costiere; 7. riduzione dei processi di erosione dei versanti; 8. miglioramento delle condizioni di vita della popolazione; 9. miglior mantenimento dell’ambiente e del paesaggio;

10. mantenimento di condizioni positive per flora e fauna spontanee.

Tra i benefici indiretti si raggruppano tutti quei benefici non direttamente derivanti dalla maggiore disponibilità di risorse idriche, ma in qualche modo indotti e/o generati dalla costituzione di Servizi di stimolazione delle piogge:

1. creazione di nuove opportunità di occupazione (agricoltura, industria, ambiente, forestazione, turismo, ecc.);

2. creazione di un sistema di strutture e competenze complementari ai servizi agrometeorologici regionali e nazionale, nonché di assistenza tecnica agli agricoltori;

3. realizzazione di un sistema complesso per un migliore e approfondito monitoraggio e controllo ambientale (radar, aerei attrezzati, sistema di elaborazione dati e trattamento immagini, ecc.);

4. raccolta di dati di base e generazione di prodotti elaborati utilizzabili da un bacino di utenza molto ampio: assistenza meteorologica alle flottiglie da pesca, precoce segnalazione di fenomeni avversi (temporali, grandinate, nebbia, gelate, ecc.); assistenza al volo (wind-shear, formazione di venti orografici e cumulonembi, ecc.) e a manifestazioni ricreative e sportive (regate, velistica da diporto, manifestazioni aeree), supporto e attività di ricerca scientifica, ecc.

Indicazioni sui costi

Per quanto concerne i costi della stimolazione artificiale della pioggia vi sono alcuni elementi da tenere presenti. Innanzi tutto bisogna distinguere tra i costi di progetti sperimentali – nei quali vengono esaminati e “provati” tutta una serie di aspetti, di strumenti, di attrezzature, ecc., per cui i costi sono più elevati – e quelli di una attività “ordinaria”, nell’auspicio che si passi finalmente ad un vero e proprio “servizio” sistematico e operativo di stimolazione della pioggia durante i mesi nuvolosi, per la quale si attua – auspicabilmente con la migliore efficacia possibile – solo quello che è funzionale, ben conosciuto, di sicura configurazione, e quindi di minor costo complessivo. Occorre poi distinguere tra quelli che sono i costi dovuti alla acquisizione delle attrezzature necessarie (radar, aerei, ricevitore da satellite, computer, ecc.),

Page 39: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

33

alla realizzazione della base logistica e operativa e alla formazione del personale – che sono costi da sostenere una tantum e da ammortizzare poi su un certo numero di anni – e i costi per il funzionamento annuo del servizio (personale, carburante, ioduro d’argento, manutenzione e così via), che sono viceversa riferibili ad ogni singola annata. Va infine considerato se ci si trova di fronte all’ipotesi di un centro che opera “da solo” in relazione ad un dato territorio, delimitato in base alla capacità operativa degli strumenti e in relazione al quale si effettuano interventi di stimolazione artificiale, oppure se si considera l’ipotesi di una “rete meridionale” di basi operative, tra loro coordinate, allo scopo di ottimizzare la quantità di pioggia fatta cadere sul territorio.

A grandi spanne, tanto per dare degli ordini di grandezza su cui ragionare, un centro operativo come quello di Bari si può costituire e attrezzare con radar e aerei (partendo da zero) con circa 6-7 miliardi di lire, che consentono di operare per almeno 12-15 anni; il costo di gestione annuo dovrebbe essere intorno a 4-5 miliardi. In termini di rapporti costi/benefici della stimolazione della pioggia, non esiste ancora uno studio che abbia quantificato tutti i benefici diretti e indiretti di una attività di tal genere.

È stata fatta una valutazione di una parte di tali benefici, quella cioè che viene all’agricoltura, espressa però solo in termini di risparmio nel costo per irrigare le colture, cosa che se piove non occorre. Tale valutazione, fatta in Israele, ha condotto ad un rapporto tra costo dell’intervento di stimolazione delle piogge e beneficio diretto per la agricoltura – come minore spesa irrigua – di 1 a 12. Tale rapporto è però distorcente in senso riduttivo.

Il vero vantaggio per l’agricoltura meridionale di una maggiore quantità di pioggia che – come più volte detto – “annaffia” i campi, impingua le falde, immette più acqua negli invasi anche ad uso irriguo, ecc., non è quello di risparmiare il costo di portare acqua irrigua sui campi, bensì quello di dare “elasticità” all’agricoltore consentendogli di effettuare (almeno potenzialmente) una gamma di colture ben più ampia di quelle ottenibili con la sola aridocoltura, e di ottenere prodotti di qualità e quantità tali da rendere le aziende agricole capaci di essere competitive e di avere buoni redditi.

Anche la sola considerazione di riuscire a “non perdere” i raccolti a causa della siccità e quindi a quanto meno ridurne fortemente i danni, quantificati in migliaia di miliardi per ogni anno siccitoso, basta da sola, senza ulteriori aggiunte, a far capire come il solo rapporto costo del servizio di stimolazione-riduzione dei danni da siccità (è difficile pensare ad una totale eliminazione) è di un ordine di grandezza molte volte superiore all’1:12 del semplicistico calcolo israeliano citato.

Aggiungiamo i vantaggi per tutti gli altri settori, consideriamo anche i benefici indiretti già citati e rendiamoci conto che è ben difficile trovare iniziative più convenienti, per l’intera collettività, della stimolazione della pioggia.

Page 40: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

34

ASPETTI QUALITATIVI E QUANTITATIVI DELLA RISORSA IDROPOTABILE NELLA REGIONE LAZIO

Mauro Lasagna Direzione Regionale Ambiente e Protezione Civile – Risorse Idriche. Regione Lazio

Aspetto qualitativo della risorsa

Il campo normativo che sovraintende la materia è costituito dal DL.vo 31/2000 e sue modifiche e integrazioni (che sostituirà dal 25 dicembre 2003 il DPR 236/1988) e dal DL.vo 152/1999.

La nuova normativa, come recepimento della direttiva 98/83/CE, introduce tra l’altro valori di concentrazione massima più restrittivi di sostanze quali arsenico, nichel, antimonio, e altri, ma ne elegge anche di nuovi, introducendoli nella tabella B dei parametri chimici, quali il vanadio, selenio, mercurio, boro, rame e altri ancora.

Da subito la Regione si è attivata richiedendo la preziosa collaborazione dei Dipartimenti prevenzione delle Aziende ASL per mettere in campo un monitoraggio aggiuntivo mirato al controllo dei parametri della classificazione C4 nelle acque di pozzo e di sorgente prelevate e utilizzate a scopo idropotabile.

L’analisi storica dell’andamento della qualità delle acque idropotabili nell’ultimo triennio 1999 - 2000- 2001, lungo l’intera rete di distribuzione, ha dato luogo a confortanti risultati, che possono così essere riassunti in termini percentuali:

– Controlli di parametri effettuati ai sensi del DPR 236/1988 per una media di 130.000 controlli parametrici annui nel triennio:

1999 = 158.000 2000 = 115.000 2001 = 110.000

– Esiti negativi: 1999 = 7554 (4,7%) 2000 = 2465 (2,1%) 2001 = 768 (0,7%)

che nel triennio danno luogo ad una percentuale del 2,5% di esiti di analisi di parametri negativi. Analisi delle negatività: 1. il 28% delle negatività appena citate concerne parametri microbiologici (valore medio del

triennio che però sottende una preoccupante tendenza alla crescita); 2. il parametro microbiologico più frequentemente fuori norma è quello dei “coliformi

totali”, sempre però contenuto nei limiti consentiti dal DPR 236/1988: < 5 unità per 100 mL e su un massimo del 5% dei campioni;

3. il 72% riguarda i parametri chimici tra i quali manganese, nitriti e fluoro, molto probabilmente dovuti all’origine ignea delle rocce attraversate.

L’analisi della negatività, riportata a livello di campioni di prelievo indica come su 27.800 campionamenti regionali, esaminati nell’anno 1999, solo il 5% delle perizie ha presentato parametri con valori non rispondenti ai requisiti di potabilità previsti dal DPR 236/1988.

Per cause naturali, quindi indipendenti dall’inquinamento, sono state concesse deroghe:

Page 41: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

35

1. al Comune di Cerveteri per il fluoro (4 mg/L fino a dicembre 2003) 2. al Comune di Anguillara Sabazia per il fluoro (4 mg/L fino a dicembre 2002), per il pH e

manganese, anche se riscontrati in acque non condottate nel pubblico acquedotto. A livello regionale è in corso di predisposizione la norma legislativa di recepimento del

DL.vo 31/2000 con particolare riferimento alla identificazione tecnica delle aree di salvaguardia, nella diversificazione di tutela assoluta, di rispetto e di protezione.

Alla data odierna sono state istituite una decina di aree di salvaguardia e di un pari numero è in corso l’iter per la loro istituzione (rilevante è il lavoro già eseguito, in collaborazione con l’ACEA, per l’istituzione delle aree di salvaguardia degli acquiferi gestiti dalla Società).

In un processo di innovazione e razionalizzazione di controlli si sta istituendo in Regione una geo referenziazione dei punti di monitoraggio, dell’intero complesso distributivo delle acque potabili, dalle sorgenti alle pubbliche fontane, mediante tecnologia GIS (Geographic Information System).

Aspetto quantitativo della risorsa

Nell’ultimo triennio, prendendo in considerazione nella Regione Lazio solamente i 63 acquedotti, recapitanti risorsa idropotabile, a popolazioni superiori a 5.000 abitanti, per un dato di popolazione servita pari a 5,8 milioni, risulta, una quantità d’acqua fornita pari a: 929.741 migliaia di m3/anno (circa 1 miliardo di m3/anno), quasi interamente approvvigionato da sorgenti e da falde profonde (solo lo 0,5% proviene da prelievo o derivazione da acque superficiali).

La maggiore produzione deriva dalle sorgenti di piede del complesso carbonatico dell’Appennino laziale, come si può vedere dalla Tabella 1.

Tabella 1. Principali sorgenti della Regione Lazio e loro portata

Sorgente Portata

Sorgente del Peschiera (monte Nuria) 17,0 m3/s Sorgente del Gari (Cassino) 18,8 m3/s Complesso sorgentizio tra Ninfa e Priverno (Lepini) 13,4 m3/s Fibreno (Ernici) 9,5 m3/s Canetra (Monte Nuria) 6,7 m3/s Acqua Marcia (Simbruini) 6,0 m3/s Amaseno, il Simbrivio, ecc. nd

nd: dato non disponibili

La portata complessiva dalle sorgenti è stimata pari a circa 175 m3/s. Complessivamente nel Lazio (compresi i piccoli Comuni con acquedotti locali) vengono

forniti alla distribuzione idropotabile 1,021 miliardi di m3/anno, per una conseguente portata media di 32,4 m3/s.

La distribuzione avviene: 1. a mezzo di schemi comprensoriali complessi che gestiscono il grosso della risorsa

idropotabile, pari all’80,2%, attingendo da sorgenti. Gli attuali gestori Enti e Consorzi trattano 822,6 milioni di m3/anno, per una Q media di 26,1 m3/s;

2. a mezzo di acquedotti locali che gestiscono il 19,4% della risorsa per complessivi 198,7 milioni di m3/anno, per una Q media di 6,3 m3/s.

Page 42: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

36

Il caso di Roma

Discorso a parte va fatto su Roma che necessita di schemi di approvvigionamento misti e complessi, che richiedono risorse dislocate (Bracciano, Capore, Peschiera, Acqua Marcia e altre).

A Roma (anno 1999) sono stati addotti 600 milioni di m3, pari ad una Q media di 19,0 m3/s, che costituisce il 58,8% del totale distribuito nell’intera Regione.

In tutti gli altri Comuni del Lazio, nell’anno 1999, sono stati addotti 421 milioni di m3/anno, per una Q media di 13,55 m3/s.

Strumenti di programmazione

Gli strumenti di programmazione sono:

– Piano Stralcio di Bilancio idrico a livello di Autorità di Bacino Le autorità di Bacino Nazionali del Tevere e del Liri Garigliano, le interregionali del Fiora e del Tronto e quella dei Bacini regionali, stanno completando la pianificazione del Bilancio idrico, il più delle volte realizzata in collaborazione con le Università

– Piani di Ambito delle Autorità di Ambito Territoriale Ottimale Quattro ATO (Ambiti Territoriali Ottimali) su cinque hanno adottato il Piano d’Ambito.

– Piano Regolatore Generale degli Acquedotti La Regione sta ultimando la revisione e l’aggiornamento del Piano Regolatore Generale degli Acquedotti (PRGA), proponendosi come obiettivi, la stima, la più attendibile possibile, di:

- quantità della risorsa idrica disponibile; - quantificazione e sua proiezione futura del fabbisogno idrico; - consumi; - perdite di rete; - vulnerabilità delle risorse; - inquinamento in atto; - l’intrusione del cuneo salino.

– Piano Regionale di Tutela delle Acque La Regione ha iniziato il cammino di programmazione della tutela delle acque, come previsto dal DL.vo 152/1999, mediante l’avvio del Piano Regionale di Tutela delle Acque, quale strumento stralcio dei più generali Piani delle Autorità di Bacino. Il Piano Regionale di Tutela delle Acque (PRTA) si propone di fissare per tutti i corpi idrici significativi, e tali sono le acque profonde e sorgenti, oltre quelle superficiali (laghi e fiumi) che per loro caratteristica di qualità, sono già previste come risorse potenzialmente idropotabili, gli indici di qualità ambientale. Tale classificazione sarà imperniata, oltre che su parametri chimico fisici e microbiologici, anche sugli aspetti quantitativi, tenuto conto che una corretta gestione del bilancio idrico di un bacino idrografico, si basa sul rapporto tra consumo e capacità di ricarico della risorsa, venendone così a definire l’uso compatibile, in funzione della sua capacità di mantenere standard di qualità prefissati o da raggiungere.

Page 43: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

37

La programmazione delle esigenze idropotabili prevede nel 2015 un incremento nel Lazio del numero di popolazione utente pari al 23%, da cui discende una necessità di disponibilità di Q media complessiva pari a 27,5 m3/s e una Q nel periodo dei massimi consumi pari a 33,17 m3/s.

Gli investimenti richiesti nel settore dell’approvvigionamento idropotabile andranno canalizzati sul patrimonio esistente, per salvaguardarlo e razionalizzandone i prelievi; tale patrimonio è costituito da 164 sorgenti, 19 campi pozzi, 11 prese da acque superficiali (fiumi, laghi, invasi).

Carenze del Servizio idrico e criticità del sistema

Le aree regionali che cominciano a presentare conclamati fenomeni di carenza idrica generale, con picchi di vera penuria nella stagione estiva sono:

– i territori della fascia litoranea delle Provincie di Roma e Latina: Comuni di Aprilia, Ardea, Pomezia, Cisterna, parte del Comune di Latina, Pontinia, Sabaudia, Priverno, Sezze e Bassiano;

– alcune aree della Provincia di Viterbo nei Comuni di Tarquinia, Soriano, Orte e Civita Castellana.

Per l’area a Sud di Roma e la parte ovest della Provincia di Frosinone, servita dal Consorzio acquedottistico del Simbrivio, ricomprendente i relativi Comuni, la contemporanea presenza di deficit idrico e la correlata emergenza del servizio idropotabile, ha comportato lo stato di emergenza, come riconosciuta, su richiesta del governo regionale, dal Consiglio dei Ministri con Ordinanza n. 60 del 28.06.02, Ordinanza emergenziale che ha rivestito gli organi commissariali di poteri straordinari.

Aggravata dal fenomeno della siccità è emersa in maniera dirompente, come certificato anche dalla Relazione del Garante del Servizio idrico integrato del 1° semestre 2002, la necessità di intervenire sulle infrastrutture per la risoluzione dei problemi, mediante:

1. nuove captazioni e razionalizzazione delle opere di presa; 2. risanamento e ammodernamento delle reti di adduzione; 3. interconnessione degli schemi idrici; 4. completamento degli schemi di adduzione compresi e previsti dal PRGA. Per cercare di porre rimedio alla tendenza deficitaria del servizio, negli anni si è andata

sviluppando, da parte del 30% dei Comuni laziali, la ricerca sistematica di fonti locali di approvvigionamento, di rinforzo alle tradizionali, che rappresentano, in termini di portata addotta, il 47% del totale, escluso il sistema Roma, contro una previsione del PRGA del 25% (che scendeva al 16% se comprendiamo Roma).

Tutto ciò ha comportato un indebolimento generalizzato dell’intero sistema in quanto si sono posti in essere investimenti e opere riferiti a modeste risorse, costituite da emergenze sorgentizie piccole e poco protette, quindi vulnerabili e scarsamente tutelabili dal punto di vista igienico sanitario.

Esigenze infrastrutturali prioritarie

Sono già stati individuati alcuni interventi infrastrutturali in grado di interagire per dare risposte ai problemi anzidetti.

Page 44: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

38

Si è ricorso all’opportunità offerte dall’Intesa istituzionale tra lo Stato e la Regione Lazio, attraverso lo strumento dell’Accordo di Programma Quadro denominato «Tutela delle acque e gestione integrata delle risorse idriche», di imminente sottoscrizione, che comprende e prevede e destina risorse per investimenti per due interventi nel campo dell’approvvigionamento idropotabile.

È previsto un intervento strategico di razionalizzazione dei prelievi delle risorse idriche nel gruppo carbonatico dell’”Alto Aniene”, associato ad un piano mirato di utilizzo delle sorgenti Pertuso e delle Cone, con il duplice obiettivo di ripristinare i livelli di approvvigionamento del sistema del Simbrivio e dei Colli Albani, attualmente sofferenti per l’impoverimento anche della sorgente della Doganella.

Parallelamente e contemporaneamente, pena la vanificazione dell’intervento appena accennato, dovrà essere eseguita la razionalizzazione e il rifacimento degli schemi idrici di trasporto e distribuzione del complesso territoriale attualmente approvvigionato dal Simbrivio.

Conclusione

Tutto quanto sopra esposto appare al momento urgente e irrinunciabile. Ma contemporaneamente devono essere messe in atto politiche parallele, le uniche in grado

di supportate il risanamento e il superamento delle attuali condizioni di deficit, ovverosia: Il rimpossessarsi da parte della Regione del controllo strategico e della verifica dei

quantitativi di prelievo della risorsa, a tutti i livelli, derivata per gli usi civili, domestici, agricoli e industriali, rapportando tali quantitativi agli effettivi livelli di ricarica delle falde.

Pianificazione della Tutela dell’intero complesso della risorsa idrica mediante aree di salvaguardia delle sorgenti, individuazione delle aree vulnerabili e contaminanti le risorse sotterranee, raggiungimento e conservazione di livelli di qualità prefissati all’interno dei corpi idrici significativi, controllo degli scarichi, affinamento delle tecniche depurative, e riutilizzo.

Incentivazione e supporto al vero decollo del Servizio idrico integrato, mantenendo vigile l’attenzione sugli obiettivi di vasta scala.

Politiche sociali volte all’educazione comportamentale sull’uso compatibile del bene, visto come risorsa comune, rinnovabile, ma a precise condizioni.

Bibliografia di riferimento

Regione Lazio. Atti dell’Incontro pubblico dell’11.03.02 Qualità dei servizi idrici del Lazio: amministratori e utenti a confronto. Roma: Regione Lazio - Garante - Consulta degli utenti del Servizio idrico integrato.

Regione Lazio – Garante del Servizio Idrico Integrato. Rapporto 1° semestre 2002. Roma: Regione Lazio, 2003.

Atti del Convegno Regionale del 5 luglio 2002 «Verso il piano dell’uso compatibile della risorsa idrica nei territori vulcanici e costieri del Lazio».

Page 45: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

39

SISTEMI DI TRATTAMENTO DELLE ACQUE

Roberto Malagoli Pall Water Service, Milano

Ultra e micro filtrazione

I sistemi di trattamento Aria SM, prodotti dalla PALL Water Processing, divisione della PALL Corporation, sono stati appositamente progettati per produrre acqua potabile, secondo gli standard delle normative più esigenti, e per usi industriali utilizzando acque sia superficiali, come laghi naturali o artificiali, corsi d’acqua e acqua marina, sia sotterranee, e per produrre acqua da utilizzare per l’irrigazione agricola utilizzando acque reflue provenienti da impianti di trattamento primario.

I sistemi di trattamento Aria SM consistono in moduli filtranti cilindrici, contenenti fibre cave costituite da una membrana permeabile, questi possono essere assemblati fino ad un massimo di 6 per ogni unità di trattamento e montati su apposito telaio in conformità alla quantità di acqua da trattare, l’impianto può assumere una configurazione modulare composta da più unità di trattamento, fino ad un massimo di 40 cilindri filtranti, corrispondenti ad una capacità di trattamento di circa 80 m3/h per sistema di trattamento, è comunque possibile configurare un impianto per qualunque tipo di portata richiesta.

Le fibre cave, contenute nei moduli cilindrici, sono costituite in polivinildinedifloruro (PVDF), materiale atossico che resiste a pressioni elevate; hanno un diametro esterno di 1,3 mm e un diametro interno di 0,7 mm, ogni modulo cilindrico filtrante ha una superficie attiva di circa 50m2.

Il processo di filtrazione avviene perchè l’acqua è spinta dalla pressione attraverso la membrana porosa che costituisce la fibra cava; una apposita pompa in dotazione al sistema di trattamento conferisce all’acqua da trattare la pressione idonea per la filtrazione, il diametro dei pori della membrana permeabile è di 0,1 µ ciò fa si che questa si comporti come un setaccio molto fine mentre l’acqua e i componenti in soluzione passano attraverso la membrana permeabile come filtrato o acqua filtrata, tutto il materiale di dimensioni superiori a 0,1 µ viene separato.

Si può fare della microfiltrazione, se il processo avviene a temperatura ambiente con una pressione di iniezione compresa tra 0,34 e 3 BAR: in questo caso saranno trattenuti particelle, batteri e protozoi patogeni; oppure si può fare della ultrafiltrazione, se il processo avviene entro la temperatura di 40 °C con una pressione di iniezione compresa tra 0,68 e 3,40 BAR, e in questo caso oltre alle particelle, batteri e protozoi patogeni, saranno stati trattenuti virus e molecole organiche più grandi rispetto al loro cut-off relativo peso molecolare.

I sistemi di trattamento Aria SM eliminano dall’acqua trattata torbidità, batteri, cisti e oocisti di protozoi patogeni (come Giarda e Cryptosporidium), virus come MS-2 Batteriophagi, ferro e manganese. Tali sistemi sono compatibili con gli altri trattamenti chimici comuni, come ad esempio la clorazione.

Inoltre, hanno un dispositivo completamente automatico di pulizia: ogni 15-30 minuti di lavoro il sistema effettua una pulizia delle fibre cave (una seconda pompa in dotazione al sistema, utilizzando circa il 5% dell’acqua pulita prodotta, inietta acqua in senso inverso alla direzione di filtrazione per rimuovere la pellicola di sostanze filtrate che si forma sull’esterno della membrana delle fibre cave: per tenere sotto controllo lo sviluppo di batteri si può

Page 46: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

40

impiegare da 10 a 25 mg/L di ipoclorito di sodio). Queste operazioni chiamate RF – ovvero Reverse Filtration (filtrazione inversa) – e AS – ovvero Air Scrubing (lavaggio ad aria) – sono completamente automatiche e sono programmate dal microprocessore che è stato progettato per lavorare senza la presenza costante di un operatore.

Ogni 4-6 settimane di utilizzo occorre fare una pulizia chimica dei moduli cilindrici filtranti utilizzando soluzioni di acqua pulita, tra i 25 °C e i 35 °C: nel primo trattamento,eseguito per sciogliere e rimuovere il materiale organico tra le fibre, viene impiegato ipoclorito di sodio e idrossido di sodio; nel secondo trattamento, eseguito per sciogliere e rimuovere le incrostazioni minerali dalla membrana, viene impiegato acido citrico.

Questa operazione – chiamata CIP, ovvero Cleaning In Place (lavaggio sul posto) –necessita, dopo entrambi gli interventi di pulizia chimica, di acqua per il risciacquo delle fibre: la pulizia riguarda contemporaneamente tutti i moduli montati sul medesimo telaio che per tutto il tempo del lavaggio chimico (circa 2 ore) saranno fuori dalla linea di trattamento, e è effettuata manualmente.

I prodotti derivanti dalla pulizia chimica possono essere convogliati direttamente in una fognatura per acque industriali oppure, dopo essere stati neutralizzati, possono essere stoccati in discarica.

Le fibre cave dell’impianto di filtrazione, se sottoposte ad un piano di manutenzione, hanno una vita media di 5/6 anni dopo di che vanno sostituite.

La Pall Water Processing è in grado di fornire referenze attive, sul trattamento delle acque con sistemi Aria SM avendo impianti funzionanti in tutto il mondo.

Page 47: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

41

L’UOMO E LE MODIFICAZIONI CLIMATICHE CICLICHE: EFFETTO SERRA DEL TERZO MILLENNIO E PREVISIONE DEGLI IMPATTI SULL’AMBIENTE

Franco Ortolani (a), Silvana Pagliuca (b) (a) Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio (DIPIST), Università Federico II, Napoli (b) Istituto per lo Studio dei Problemi Agronomici dell’Irrigazione nel Mezzogiorno (ISPAIM), CNR

Ercolano, Napoli Le ricerche sull’evoluzione ambientale dell’Area Mediterranea hanno messo in evidenza che

negli ultimi millenni si sono verificate variazioni climatiche cicliche (periodi freddo-umidi definiti “Piccole Età Glaciali” alternati a periodi caldo-aridi definiti “Tipo Effetto Serra”) e che l’attuale periodo climatico rappresenta la transizione tra la Piccola Età Glaciale e il prossimo Effetto Serra.

Utilizzando i vari dati scientifici (in particolare sulla base dei risultati relativi al periodo 500-1300 d.C. e al periodo 1500-2000) si propone una previsione dell’andamento climatico-ambientale e in particolare delle precipitazioni e delle risorse idriche rinnovabili per il prossimo futuro.

Le modificazioni ambientali più significative e prevedibili nell’Italia meridionale, a partire dal prossimo futuro, possono essere così schematizzate:

– diminuzione progressiva delle piogge: nelle fasce costiere fino a circa 41° N si potrà avere una vera e propria desertificazione (pioggia intorno a 200 mm), mentre nelle aree montuose e collinari si prevede una forte riduzione delle precipitazioni (oltre il 50% dell’attuale);

– rallentamento dei processi pedogenetici; – incremento della disgregazione ed erosione del suolo; – variazione del regime dei venti con prevalenza di quelli provenienti dai quadranti

meridionali; – incremento di deposito di polvere del deserto; – incremento dell’erosione dei litorali sabbioso-ghiaiosi; – incremento dell’ingressione di acqua marina nelle pianure costiere; – riequilibrio del ciclo della CO2 anche tramite un incremento della produzione di gusci

carbonatici marini; – riduzione della copertura vegetale; – sovrasfruttamento delle falde per approvvigionamento idrico idropotabile, irriguo e

industriale e conseguenti fenomeni di salinizzazione nelle aree costiere; – sterilità del suolo dove non sarà possibile praticare l’irrigazione – modificazioni dei tipici ordinamenti colturali agricoli mediterranei; – invasioni biologiche (da Sud verso Nord); – incremento dell’inquinamento dei fiumi e delle acque costiere. L’incremento della temperatura media, la diminuzione delle precipitazioni e delle

disponibilità idriche per il prossimo futuro sono prevedibili in base all’evoluzione ricostruita con i dati strumentali dal 1850 circa ad oggi e con i dati ricavabili dalla ciclicità millenaria delle variazioni climatiche. La conoscenza dell’attuale assetto idrologico, geologico e idrogeologico tridimensionale del territorio consente di prevedere la modificazione della disponibilità delle risorse idriche rinnovabili nelle diverse aree dell’Italia meridionale per i prossimi 100 anni. Il progressivo decremento di tali risorse, differenziato dalla fascia costiera a quella appenninica e

Page 48: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

42

in relazione alla geometria tridimensionale degli acquiferi, determinerà seri conflitti di interessi nella gestione tra Regioni confinanti e, all’interno della stessa Regione, tra usi diversi delle acque. In tale quadro, nelle prossime decine di anni, sono prevedibili onerosi incrementi del prezzo dell’acqua per l’agricoltura e progressive riduzioni della risorsa destinabile all’irrigazione. La serietà dei problemi prevedibili impone alle Istituzioni di individuare linee di intervento efficaci tese all’individuazione, valorizzazione, risparmio, completa utilizzazione (usi civili, industriali e irrigui) delle risorse idriche strategiche, al fine di contenere il prezzo dell’acqua ed evitare conflitti sociali, anche mediante una moderna e adeguata legislazione.

È opinione diffusa che sensibili mutamenti climatici e geoambientali siano avvenuti solo durante il periodo preistorico (nelle ultime centinaia di migliaia di anni) in occasione dei vari e noti periodi glaciali e interglaciali e che nelle ultime migliaia di anni il clima e le condizioni ambientali siano rimasti pressoché costanti, con modificazioni tanto minime da poter essere trascurate. Partendo da questi presupposti si deduce che le modificazioni dell’ambiente fisico verificatesi recentemente (negli ultimi 3000 anni) e la variazione climatica in atto, attribuita all’incremento dell’immissione in atmosfera di gas ad effetto serra, sarebbero provocate solo dall’uomo.

Come è noto i dati climatici strumentali risalgono agli ultimi 2 o 3 secoli e lo studio dei documenti scritti si è rivelato idoneo solo per la ricostruzione di eventi naturali catastrofici, quali eruzioni, terremoti e frane; tale metodo si è rivelato non idoneo per la ricostruzione delle modificazioni plurisecolari del clima e dell’ambiente fisico che inconfutabilmente si sono verificate.

È evidente che l’ampliamento temporale degli archivi contenenti dati significativi sulle modificazioni climatiche costituisce un argomento di strategica importanza scientifica e sociale.

Al fine di effettuare una ricostruzione delle modificazioni climatiche avvenute negli ultimi millenni sono state eseguite ricerche sugli archivi naturali che rappresentano dei registratori degli effetti del cambiamento del clima, in modo da fornire un quadro ampio che consenta di comprendere il significato dei dati strumentali recenti relativi all’incremento della temperatura dell’aria e di gas ad effetto serra nell’atmosfera (es. anidride carbonica) e di fornire le basi per una corretta previsione dell’evoluzione climatica nel prossimo futuro, secondo le varie fasce climatiche.

Descrizione dell’area di studio

L’Area Mediterranea compresa tra 45° N e 31° N circa di latitudine, caratterizzata da condizioni climatico-ambientali differenti e da continua e diffusa presenza dell’uomo, rappresenta sicuramente una zona di riferimento per lo studio delle variazioni climatico-ambientali quest’area è limitata nel margine meridionale dall’Egitto settentrionale e in quello settentrionale dall’Italia meridionale.

Le condizioni climatico-ambientali dell’area mediterranea sono schematizzate nella Figura 1 mediante la rappresentazione delle attuali differenti fasce climatiche, nonché dell’assetto morfologico, stratigrafico e vegetazionale tipico di aree non coltivate e non irrigate ubicate lungo la fascia costiera dei margini meridionale (Egitto settentrionale) e settentrionale (Italia meridionale), che caratterizzano la zona mediterranea, lungo il transetto compreso tra l’Europa Settentrionale e l’Africa.

Il clima umido con temperatura media inferiore a 18°, precipitazioni piovose abbondanti (da circa 500 a circa 2000 mm) prevalentemente nel periodo autunno-primavera e superficie terrestre generalmente ricoperta da suolo e vegetazione caratterizzano la parte centro-settentrionale anche nelle aree non coltivate. Il clima subdesertico e desertico con temperatura

Page 49: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

43

Precipitazioni inferiori a 100 mmD

Precipitazioni da 500 a 2000 mm in EstateS

Clima Mediterraneo con precipitazioni da 500 mm (nella parte meridionale) a 2000 mm (nella parte centro-settentrionale)

MC

Precipitazioni da 500 a 2000 mm in Autunno-Inverno-Primavera

AW

Precipitazioni da 500 a 1000 mmin Inverno-Primavera-Estate-Autunno

AY

Precipitazioni inferiori a 100 mmD

Precipitazioni da 500 a 2000 mm in EstateS

Clima Mediterraneo con precipitazioni da 500 mm (nella parte meridionale) a 2000 mm (nella parte centro-settentrionale)

MC

Precipitazioni da 500 a 2000 mm in Autunno-Inverno-Primavera

AW

Precipitazioni da 500 a 1000 mmin Inverno-Primavera-Estate-Autunno

AY

SEZIONI GEOARCHEOLOGICHE SIGNIFICATIVE

1 Pianura alluvionale del fiume Po (Nord Italia)2 Velia (Sud Italia)3 Selinunte (Sicilia)4 Egitto settentrionale

SEZIONI GEOARCHEOLOGICHE SIGNIFICATIVE

1 Pianura alluvionale del fiume Po (Nord Italia)2 Velia (Sud Italia)3 Selinunte (Sicilia)4 Egitto settentrionale

media superiore a 18° con precipitazioni piovose molto scarse (da circa 100 a circa 250 mm) e superficie priva di suolo e vegetazione caratterizzano in gran parte il margine più meridionale, a Sud di 32° di latitudine.

Figura 1. A: caratteristiche climatiche e ambientali dell’area umida mediterranea; B: caratteristiche climatiche e ambientali dell’area desertica sudmediterranea

Tale assetto climatico è determinato dai delicati, e sempre in evoluzione, equilibri che si sono instaurati tra le masse d’aria, di diversa provenienza, che interessano incessantemente l’Area Mediterranea.

L’area è caratterizzata da venti provenienti da NW che prevalgono durante i mesi autunnali, invernali e primaverili; essi apportano aria fredda e precipitazioni abbondanti tra settembre e maggio. I venti provenienti da NE apportano aria fredda e secca e prevalgono tra novembre e marzo determinando notevoli abbassamenti delle temperature.

I venti provenienti da SW e SE apportano aria calda e secca, ricca di polvere dei deserti; essi prevalgono nei mesi primaverili ed estivi e stanno aumentando di frequenza ormai da alcune decine di anni anche nei mesi autunnali e invernali.

L’area mediterranea, rappresentando la zona di confine tra zona umida e zona desertica è molto sensibile alle variazioni climatico-ambientali; infatti, spostamenti delle fasce climatiche verso Nord o verso Sud di pochi gradi di latitudine possono determinare drastici sconvolgimenti

Page 50: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

44

A

Sedimenti alluvionali, inizio della Piccola Età Glaciale (1500 – 1700)

Superficie antropizzata

Sabbie eoliche, Periodo Caldo Medievale (1100 – 1270)

Superficie antropizzata

Superficie antropizzata

Sedimenti alluvionali, Piccola EtàGlaciale Altomedievale (500 – 700 DC)

Sabbie eoliche, Periodo Caldo Romano (200 – 400)

Superficie antropizzata

Sedimenti alluvionali, inizio della Piccola Età Glaciale Arcaica (500 – 400 AC)

BSuperficie antropizzata

Substrato

2400 – 1700 2400 – 1700

1500 – 1270

1500 – 12701270 - 1100

500 - 350

500 AC –350 DC

500 AC –350 DC

A

Sedimenti alluvionali, inizio della Piccola Età Glaciale (1500 – 1700)

Superficie antropizzata

Sabbie eoliche, Periodo Caldo Medievale (1100 – 1270)

Superficie antropizzata

Superficie antropizzata

Sedimenti alluvionali, Piccola EtàGlaciale Altomedievale (500 – 700 DC)

Sabbie eoliche, Periodo Caldo Romano (200 – 400)

Superficie antropizzata

Sedimenti alluvionali, inizio della Piccola Età Glaciale Arcaica (500 – 400 AC)

BSuperficie antropizzata

Substrato

2400 – 1700 2400 – 1700

1500 – 1270

1500 – 12701270 - 1100

500 - 350

500 AC –350 DC

500 AC –350 DC

della superficie del suolo provocando, ad esempio, desertificazione in aree precedentemente caratterizzate da clima umido, o, viceversa, la trasformazione di zone desertiche in aree umide.

L’Area Mediterranea, inoltre, contiene archivi di eccezionale importanza, per i dati quantitativi relativi alle modificazioni ambientali e al rapporto uomo-ambiente, per i seguenti motivi:

– è stata caratterizzata dalla presenza continua dell’uomo per molti millenni; – il territorio è stato diffusamente e continuamente antropizzato come evidenziato dagli

insediamenti archeologici; – le aree costiere sono state interessate da sensibili modificazioni geoambientali come

evidenziato dai considerevoli spessori di sedimenti accumulatisi nelle ultime migliaia di anni nelle pianure alluvionali e nelle aree dunari antropizzate.

Le ricerche, di cui di seguito verranno illustrati i principali risultati, sono state stimolate dall’osservazione di numerose discontinuità fisiche significative, evidenti in molte sezioni stratigrafiche in zone archeologiche dell’area mediterranea, e in particolare in Italia (Figure 2, 3), e nella documentazione storica e scientifica a carattere multidisciplinare.

Le ricerche geoambientali multidisciplinari sono state effettuate per gettare luce sul significato climatico dei differenti tipi di sedimenti accumulatisi negli ultimi 2500 anni che ricoprono numerosi siti archeologici, non influenzabili dagli interventi umani, di età compresa tra il Periodo Arcaico e il Medioevo, ubicati a diverse latitudini e in aree geografiche con differenti condizioni morfoclimatiche.

Figura 2. Stratigrafia geoarcheologica dell’Italia meridionale a Sud di 42°N (A) e dell’Italia settentrionale (B)

Page 51: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

45

Figura 3. Stratigrafia geoarcheologica di Velia nella Campania meridionale (40° N) e di Selinunte nella Sicilia Sud-occidentale (37,5° N) e interpretazione paleoclimatica

Le aree studiate (Figura 1) sono comprese tra la Pianura del fiume Po (circa 45° N di latitudine) e il Nord Africa (Egitto) a circa 30-31° N di latitudine; le sezioni geoarcheologiche più complete e significative sono state studiate nelle pianure alluvionali e nelle dune costiere (es. parte meridionale della pianura del fiume Po, Velia nella Campania meridionale, Puglia, Sicilia, Egitto settentrionale).

Metodo e materiale studiato

La ricerca è stata articolata nelle seguenti fasi: – individuazione dei principali, più completi e significativi archivi naturali presenti

nell’Area Mediterranea ubicati in zone a latitudine diversa e con differenti condizioni climatiche;

– ricostruzione delle colonne stratigrafiche geoarcheologiche, – analisi morfologica, sedimentologica, mineralogica dei sedimenti e loro datazione con

metodi radiometrici e archeologici; – ricostruzione delle condizioni morfologiche e climatico-ambientali in cui attualmente si

accumulano i sedimenti rinvenuti nelle colonne stratigrafiche geoarcheologiche; – ricostruzione paleoambientale e paleoclimatica e analisi dei dati archeologici e storici

relativi ai periodi in cui si sono accumulati i diversi sedimenti; – correlazione dei dati geoarcheologici con quelli relativi alle variazioni climatiche globali

ottenuti con diverse metodologie in siti ubicati a varie latitudini e in differenti condizioni climatico-ambientali;

Page 52: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

46

– ricostruzione delle modificazioni geoambientali attuali e di quelle avvenute negli ultimi secoli in relazione alle variazioni climatiche testimoniate da dati strumentali;

– ricostruzione di colonne geoarcheologiche-climatico-ambientali.

Lo studio delle sezioni geoarcheologiche ha consentito di individuare i seguenti importanti archivi naturali:

– grandi pianure alluvionali costiere con insediamenti archeologici particolarmente diffusi a partire dal Periodo della Magna Graecia (VIII secolo a.C.) caratterizzate da lunghi periodi di stabilità geomorfologica e diffusa antropizzazione e da brevi periodi di instabilità geomorfologica evidenziata da rapida aggradazione della superficie in seguito ad accumulo di sedimenti;

– dune costiere caratterizzate da periodi di attività eolica con accumulo di sabbia, fino a notevole distanza dal mare, e da periodi di stabilità con sviluppo di suolo;

– spiagge con sabbie silicoclastiche interessate da progradazione durante i periodi in cui si ha aggradazione delle pianure alluvionali;

– spiagge con sabbie bioclastiche interessate da progradazione durante i periodi in cui le dune sono caratterizzate da attività eolica.

Risultati

Stratigrafia geoarcheologica

Lo studio multidisciplinare ha permesso di ricostruire le colonne stratigrafiche geoarcheologiche continue, relative agli ultimi 2500 anni circa, riscontrabili in moltissimi siti dell’Area Mediterranea:

Pianure alluvionali costiere a Nord di 42° di latitudine Al di sotto della attuale superficie del suolo antropizzata si trovano: 1. sedimenti alluvionali di spessore variabile da qualche metro ad oltre 5 metri accumulatisi

tra il 1500 circa e 1700 circa; 2. superficie antropizzata dal 1500 d.C. circa al 700 d,C, circa; 3. sedimenti alluvionali di spessore variabile da qualche metro a circa 10 metri accumulatisi

tra il 700 d.C. circa e il 500 d.C. circa; 4. superficie antropizzata dal 400-300 a.C. circa al 500 d.C. circa, (Figure 2, 3, 4).

Pianure alluvionali costiere ubicate a latitudine compresa tra 42° e 35 Al di sotto della attuale superficie del suolo antropizzata e ricoperta di vegetazione si

trovano: 1. sedimenti alluvionali di spessore variabile da qualche metro ad oltre 5 metri accumulatisi

tra il 1500 circa e 1700 circa; 2. superficie antropizzata dal 1500 d.C. circa al 1300 d,C, circa; 3. sabbie eoliche accumulatesi dal 1300 d.C. circa al 1000 d.C. circa; 4. superficie antropizzata dal 1000 d.C. circa al 700 d.C. circa; 5. sedimenti alluvionali di spessore variabile da qualche metro a circa 10 metri accumulatisi

tra il 700 d.C. circa e il 500 d.C. circa; 6. superficie antropizzata dal 500 d.C. circa al 350 d.C. circa;

Page 53: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

47

Substrato

2000

1000

500

DC

A B C D

Piccola Età Glaciale

Periodo Caldo Medievale

Piccola Età Glaciale Altomedievale

Periodo Caldo Romano

Piccola Età Glaciale Arcaica

Accumulo di sabbie eoliche (precipitazioni < 200 mm)

Condizioni ambientali simili alle attuali (precipitazioni < 200-250 mm)

Accumulo di sedimenti alluvionali (precipitazioni > 25%)

Condizioni ambientali e precipitazioni simili alle attualiCondizioni ambientali simili alle attuali. Clima mediterraneo

A Nord Africa (Area costiera) 31° NB Nord Africa- Sud Italia (Sicilia, Puglia) 35° NC Sud Italia 40-41,5° ND Nord Italia > 45° N

Substrato

2000

1000

500

DC

A B C D

Piccola Età Glaciale

Periodo Caldo Medievale

Piccola Età Glaciale Altomedievale

Periodo Caldo Romano

Piccola Età Glaciale Arcaica

Accumulo di sabbie eoliche (precipitazioni < 200 mm)Accumulo di sabbie eoliche (precipitazioni < 200 mm)

Condizioni ambientali simili alle attuali (precipitazioni < 200-250 mm)Condizioni ambientali simili alle attuali (precipitazioni < 200-250 mm)

Accumulo di sedimenti alluvionali (precipitazioni > 25%)Accumulo di sedimenti alluvionali (precipitazioni > 25%)

Condizioni ambientali e precipitazioni simili alle attualiCondizioni ambientali e precipitazioni simili alle attualiCondizioni ambientali simili alle attuali. Clima mediterraneoCondizioni ambientali simili alle attuali. Clima mediterraneo

A Nord Africa (Area costiera) 31° NB Nord Africa- Sud Italia (Sicilia, Puglia) 35° NC Sud Italia 40-41,5° ND Nord Italia > 45° N

7. sabbie eoliche accumulatesi tra il 350 d.C. circa e il 150 d.C. circa; 8. superficie antropizzata dal 150 d.C. circa al 350-400 a.C. circa; 9. sedimenti alluvionali di spessore variabile da qualche metro a circa 10 metri accumulatisi

tra il 350 a.C. circa e il 500 a.C. circa; 10. superficie del suolo antropizzata tra il 500 a.C. circa e il 700 a.C. circa (Figure 2-4).

Figura 4. Stratigrafia geoarcheologica dell’area mediterranea correlazione tra Sud (Nord Africa 31° N) e Nord (Fiume Po, pianura alluvionale, 45° N)

Dune costiere con sabbie bioclastiche e silicoclastiche ubicate a latitudine compresa tra 31° e 42°

Al di sotto dell’attuale superficie del suolo stabilizzata da suolo (con spessore variabile in relazione alla latitudine) e macchia mediterranea sviluppatisi a partire dal 1300-1500 d.C., si trovano:

1. sabbie eoliche autoctone accumulatesi tra il 1000 e 1300 d.C. circa; 2. suolo sviluppatosi, tra il 1000 e 350 d.C. circa, su sedimenti eolici alloctoni costituiti da

“polvere” proveniente dai deserti Africani e del Vicino Oriente; 3. sabbie eoliche autoctone accumulatesi tra il 350 e 150 d.C. circa;

Page 54: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

48

4. suolo sviluppatosi tra il 150 d.C. circa e il 700 a.C. circa su sedimenti eolici alloctoni costituiti da “polvere” proveniente dai deserti Africani e del Vicino Oriente.

La ricostruzione dell’evoluzione dei litorali sabbiosi effettuata in aree in cui vi sono insediamenti urbani antichi costieri, evidenzia che le spiagge con sabbie silicoclastiche sono state interessate da progradazione durante i periodi in cui si è avuta aggradazione delle pianure alluvionali e da erosione quando si è avuto accumulo di sabbie eoliche lungo le dune costiere.

I litorali con sabbie bioclastiche, invece, sono state interessate da progradazione durante i periodi in cui le dune sono state caratterizzate da accumulo di sabbie eoliche e da erosione quando sulle dune si sono sviluppati i suoli (Figure 2, 3).

Indicatori paleoclimatici

I più significativi indicatori geoambientali dell’area mediterranea, strettamente connessi alle condizioni climatiche di tipo caldo-arido, sono rappresentati dalle sabbie eoliche delle dune costiere. È noto dalla bibliografia ed è stato verificato con ricerche dirette che nell’Area Mediterranea le sabbie eoliche costiere possono invadere l’entroterra formando accumuli mobilizzabili dal vento, in aree distanti dal mare, solo in condizioni di spinta aridità (precipitazioni inferiori a 200 mm tipiche delle aree desertiche) che provochino la scomparsa della copertura vegetale.

Il sedimento più tipico che caratterizza le zone umide è costituito dal suolo (di differente tipo in relazione alla latitudine, alle locali condizioni climatiche, morfologiche e della litologia del substrato) che consente lo sviluppo della vegetazione, presente sia sulla superficie delle dune sabbiose costiere (che risultano pertanto stabilizzate) che dei sedimenti alluvionali delle pianure e del substrato alterato delle rocce dei versanti collinari e montuosi.

I sedimenti più significativi di drastiche modificazioni climatico-ambientali avvenute nel passato nell’area mediterranea, osservabili nelle sezioni geoarcheologiche ubicate nelle aree dunari costiere della parte meridionale caratterizzata da condizioni climatiche attuali aride e semiaride sono rappresentati dai suoli sepolti, intercalati nelle sabbie eoliche, molto spesso databili in base al contenuto di manufatti archeologici e per la posizione stratigrafica laddove ricoprono aree archeologiche datate. I suoli sepolti, infatti, indicano che le precipitazioni piovose sono aumentate sensibilmente per un periodo di tempo sufficientemente lungo per consentire lo sviluppo del suolo, per cui le condizioni climatiche dell’area si sono modificate da desertiche a umide.

I sedimenti che evidenziano notevoli e differenti modificazioni climatiche nelle aree attualmente umide sono rappresentati dalle sabbie eoliche e dai depositi clastici prevalentemente alluvionali (Figure 2, 3, 4). Le sabbie eoliche, spesso ricoprenti siti archeologici costieri o suoli antropizzati lungo le aree costiere fino alla latitudine di circa 41-42° N, indicano che le precipitazioni piovose sono drasticamente diminuite fino a determinare la desertificazione (precipitazioni inferiori a circa 200 mm) con scomparsa della vegetazione. Si sottolinea che l’accumulo di consistenti spessori di sabbie eoliche in aree attualmente stabilizzate dalla presenza di suolo e vegetazione (precipitazioni piovose attuali superiori a circa 500 mm nell’Italia meridionale), fino a distanza di oltre 1 km dalla linea di costa e fino ad alcune decine di metri di altezza, costituisce un evento che nelle condizioni climatiche attuali non si può verificare.

Le analisi chimiche e mineralogiche dei suoli sepolti intercalati nelle sabbie eoliche nell’Italia meridionale e nel Nord Africa, in posizioni morfologiche non influenzabili dalle acque di ruscellamento superficiale, mettono in evidenza che essi si sono sviluppati prevalentemente su polvere eolica alloctona, proveniente dai deserti dell’Africa e del Vicino Oriente, che aveva ricoperto la superficie delle dune costiere dopo l’accumulo delle sabbie

Page 55: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

49

eoliche autoctone. Tali dati testimoniano variazioni sensibili del regime dei venti, avvenute tra il periodo di desertificazione e il successivo periodo caratterizzato dal ripristino delle condizioni climatiche umide, che hanno determinato un afflusso di polvere desertica di entità nettamente superiore a quanto accade attualmente.

Alcuni paleosuoli rinvenuti a Velia (Italia meridionale) a 40°N e datati archeologicamente (VI secolo a.C.) sono connessi alle condizioni climatiche attualmente presenti nella Germania Settentrionale, cioè in aree ubicate circa 7-8 di latitudine più a Nord; tali indicatori evidenziano che nel VI secolo a.C. le fasce climatiche erano traslate verso Sud di alcuni gradi determinando differenti condizioni ambientali nell’Area Mediterranea.

I sedimenti clastici che ricoprono le superfici antropizzate e le aree urbane delle ampie pianure alluvionali, stabili per molti secoli, indicano che in intervalli di tempo di circa 100-200 anni di durata, l’ambiente è stato caratterizzato da una marcata instabilità geomorfologica che ha determinato intensi fenomeni erosivi e dissesti lungo i versanti e il trasporto e accumulo di ingenti volumi di sedimenti nelle pianure alluvionali e lungo le coste. In tal modo si è determinata l’aggradazione rapida della superficie del suolo delle pianure e una marcata progradazione dei litorali sabbioso-ghiaiosi.

È evidente che l’accumulo generalizzato di ingenti volumi di sedimenti, per uno o due secoli, nelle grandi pianure alluvionali costiere (dalle aree pedemontane alla linea di costa) al di sopra di superfici antropizzate e stabili geomorfologicamente per molti secoli, costituisce un evento eccezionale.

Le sezioni geoarcheologiche studiate hanno evidenziato che i diversi cambiamenti ambientali sono avvenuti contemporaneamente nella parte arida e umida della zona mediterranea e che essi si sono verificati durante brevi intervalli di tempo di durata variabile da circa 100 a circa 200 anni (Figure 2-4). Si è evidenziato, inoltre, che lo stesso tipo di variazione ambientale si è manifestata ogni 1000 anni circa; si è accertato anche che l’impatto ambientale è stato differente in relazione alla latitudine.

Quali sono le cause di tali marcati e contemporanei cambiamenti ambientali? Va detto che, in assenza di moderni studi sull’evoluzione geoambientale, le discontinuità

fisiche sono state attribuite alle azioni antropiche (es. eccessivi disboscamenti) esercitate nel passato. Sicuramente l’attività dell’uomo ha modificato la superficie del suolo e quindi ha contribuito a determinare una variazione degli equilibri naturali più delicati. Certamente non può avere influito sulla modificazione climatica nei millenni passati facendo variare le precipitazioni e la temperatura; né può avere modificato la pedogenesi nelle aree non coltivate o la direzione dei venti.

Interpretazione dei dati geoarcheologici

Per comprendere le cause delle modificazioni ambientali che si sono verificate ciclicamente nel Mediterraneo negli ultimi 2500 anni, oltre alle ricerche sul rapporto esistente attualmente tra condizioni climatiche e assetto pedologico, vegetazionale e idrologico della superficie del suolo nelle zone ubicate a differenti latitudini, è stata effettuata la correlazione delle stratigrafie geoarcheologiche con i dati climatici strumentali e quelli paleoclimatici e paleoambientali (Figura 5).

La correlazione ha consentito di precisare quantitativamente l’entità e la durata delle variazioni ambientali e di acquisire elementi di concreta valutazione e previsione delle prossime modificazioni fisiche. Com’è noto in letteratura, il più recente periodo freddo (Figure 2, 3, 4) è chiamato Piccola Età Glaciale (1500-1850 circa). L’Area Mediterranea, in tale periodo, è stata interessata da più abbondanti precipitazioni piovose (circa il 20-25% in più) distribuite durante tutte le stagioni e da una temperatura media inferiore di 1-2 °C (Figura 5).

Page 56: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

50

5. EVOLUZIONE DELLA TEMPERATURA E DELLE PRECIPITAZIONI

Periodi caldo-aridi:

1. STRATIGRAFIA GEOARCHEOLOGICA 2. NUMERO DI MACCHIE SOLARI

3. PALEOTEMPERATURE a: Bermuda b: Oceano Atlantico, 38° N c: Danimarca d: Mare di Norvegia

4. EVOLUZIONE DELLA MICROFAUNA PLANCTONICA DEL MARE TIRRENO (40,5° N)

E= Piccola Età Glaciale;C= Piccola Età Glaciale AltomedievaleA= Piccola Età Glaciale Arcaica

D= Periodo caldo medievaleB= Periodo caldo romano

F= transizione da freddo-umido a caldo-aridoG= transizione da caldo-arido a freddo-umido

Periodi freddo-umidi:

Condizioni climatico-ambientali simili a quelle attuali

Caldo Freddo

5. EVOLUZIONE DELLA TEMPERATURA E DELLE PRECIPITAZIONI

Periodi caldo-aridi:

1. STRATIGRAFIA GEOARCHEOLOGICA 2. NUMERO DI MACCHIE SOLARI

3. PALEOTEMPERATURE a: Bermuda b: Oceano Atlantico, 38° N c: Danimarca d: Mare di Norvegia

4. EVOLUZIONE DELLA MICROFAUNA PLANCTONICA DEL MARE TIRRENO (40,5° N)

E= Piccola Età Glaciale;C= Piccola Età Glaciale AltomedievaleA= Piccola Età Glaciale Arcaica

D= Periodo caldo medievaleB= Periodo caldo romano

F= transizione da freddo-umido a caldo-aridoG= transizione da caldo-arido a freddo-umido

Periodi freddo-umidi:

Condizioni climatico-ambientali simili a quelle attuali5. EVOLUZIONE DELLA TEMPERATURA

E DELLE PRECIPITAZIONI

Periodi caldo-aridi:

1. STRATIGRAFIA GEOARCHEOLOGICA 2. NUMERO DI MACCHIE SOLARI

3. PALEOTEMPERATURE a: Bermuda b: Oceano Atlantico, 38° N c: Danimarca d: Mare di Norvegia

4. EVOLUZIONE DELLA MICROFAUNA PLANCTONICA DEL MARE TIRRENO (40,5° N)

E= Piccola Età Glaciale;C= Piccola Età Glaciale AltomedievaleA= Piccola Età Glaciale Arcaica

D= Periodo caldo medievaleB= Periodo caldo romano

F= transizione da freddo-umido a caldo-aridoG= transizione da caldo-arido a freddo-umido

Periodi freddo-umidi:

Condizioni climatico-ambientali simili a quelle attuali5. EVOLUZIONE DELLA TEMPERATURA

E DELLE PRECIPITAZIONI

Periodi caldo-aridi:

1. STRATIGRAFIA GEOARCHEOLOGICA 2. NUMERO DI MACCHIE SOLARI

3. PALEOTEMPERATURE a: Bermuda b: Oceano Atlantico, 38° N c: Danimarca d: Mare di Norvegia

4. EVOLUZIONE DELLA MICROFAUNA PLANCTONICA DEL MARE TIRRENO (40,5° N)

E= Piccola Età Glaciale;C= Piccola Età Glaciale AltomedievaleA= Piccola Età Glaciale Arcaica

D= Periodo caldo medievaleB= Periodo caldo romano

F= transizione da freddo-umido a caldo-aridoG= transizione da caldo-arido a freddo-umido

Periodi freddo-umidi:

Condizioni climatico-ambientali simili a quelle attuali5. EVOLUZIONE DELLA TEMPERATURA

E DELLE PRECIPITAZIONI

Periodi caldo-aridi:

1. STRATIGRAFIA GEOARCHEOLOGICA 2. NUMERO DI MACCHIE SOLARI

3. PALEOTEMPERATURE a: Bermuda b: Oceano Atlantico, 38° N c: Danimarca d: Mare di Norvegia

4. EVOLUZIONE DELLA MICROFAUNA PLANCTONICA DEL MARE TIRRENO (40,5° N)

E= Piccola Età Glaciale;C= Piccola Età Glaciale AltomedievaleA= Piccola Età Glaciale Arcaica

D= Periodo caldo medievaleB= Periodo caldo romano

F= transizione da freddo-umido a caldo-aridoG= transizione da caldo-arido a freddo-umido

Periodi freddo-umidi:

Condizioni climatico-ambientali simili a quelle attuali

Caldo Freddo

Figura 5. Evoluzione geoambientale dell’Area Mediterranea compresa tra 35° e 41° N durante gli ultimi 2500 anni

Alcune ricostruzioni delle paleotemperature mettono in evidenza che nel periodo storico si sono avuti altri periodi caratterizzati da abbassamento della temperatura media e che essi coincidono con i periodi in cui si sono accumulati ingenti volumi di sedimenti alluvionali nelle grandi pianure costiere del Mediterraneo. I precedenti periodi freddo-umidi, caratterizzati da condizioni climatico-ambientali simili a quelle della Piccola Età Glaciale, sono stati definiti “Piccola Età Glaciale Alto medievale” (500-700 d.C. circa) e “Piccola Età Glaciale Arcaica” (520-350 a.C. circa) (Figure 2-4).

Secondo le stratigrafie geoarcheologiche sono stati individuati due periodi caldo-aridi caratterizzati da desertificazione delle aree costiere del Mediterraneo (fino a circa 42°N), con

Page 57: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

51

SITUAZIONE ATTUALE PERIODI CALDI PERIODI FREDDI

MC clima mediterraneoMCD area con clima mediterraneo interessata da desertificazione lungo le zone costiereAW area con precipitazione piovose comprese tra 500 e 2000 mm/anno concentrate tra autunno, inverno, primaveraAY area con precipitazioni piovose comprese tra circa 500 e 2000 mm/anno distribuite in tutte le stagioniI area con prevalenza delle precipitazioni nevoseD area calda desertica con precipitazioni inferiori a 200 mm/annoS area calda con precipitazioni piovose comprese tra circa 500 e oltre 2000 mm/anno concentrate nel periodo estivoS area con precipitazioni piovose comprese tra circa 500 e oltre 2000 mm/anno concentrate nel periodo invernaleSD venti caldi e poco umidi da SW con polvere dei deserti Sahariani, prevalenti tra giugno e settembreASID venti caldi e secchi da SE con polvere dei deserti siriano-iracheni, prevalenti tra giugno e settembreNW venti freddi e molto umidi da NW, prevalenti tra l’autunno e la primaveraNE venti molto freddi e secchi da NE, prevalenti tra dicembre e marzo

SITUAZIONE ATTUALE PERIODI CALDI PERIODI FREDDISITUAZIONE ATTUALESITUAZIONE ATTUALE PERIODI CALDIPERIODI CALDI PERIODI FREDDIPERIODI FREDDI

MC clima mediterraneoMCD area con clima mediterraneo interessata da desertificazione lungo le zone costiereAW area con precipitazione piovose comprese tra 500 e 2000 mm/anno concentrate tra autunno, inverno, primaveraAY area con precipitazioni piovose comprese tra circa 500 e 2000 mm/anno distribuite in tutte le stagioniI area con prevalenza delle precipitazioni nevoseD area calda desertica con precipitazioni inferiori a 200 mm/annoS area calda con precipitazioni piovose comprese tra circa 500 e oltre 2000 mm/anno concentrate nel periodo estivoS area con precipitazioni piovose comprese tra circa 500 e oltre 2000 mm/anno concentrate nel periodo invernaleSD venti caldi e poco umidi da SW con polvere dei deserti Sahariani, prevalenti tra giugno e settembreASID venti caldi e secchi da SE con polvere dei deserti siriano-iracheni, prevalenti tra giugno e settembreNW venti freddi e molto umidi da NW, prevalenti tra l’autunno e la primaveraNE venti molto freddi e secchi da NE, prevalenti tra dicembre e marzo

accumulo di notevoli volumi di sabbie eoliche che hanno invaso le zone costiere ricoprendo suoli antropizzati e aree urbane. Essi sono relativi al Medioevo (1000-1300 circa) e all’Età Romana (tra il 100-150 e il 350 d.C. circa).

Recenti ricostruzioni delle paleotemperature (Figura 6) evidenziano che durante tali periodi si è registrato un incremento della temperatura media di circa 1-2 °C. È stato messo in evidenza che il periodo caldo medievale è connesso ad una intensa attività solare durata dal 1100 circa al 1270 circa che in 40 anni circa (dal 1040 al 1080) ha determinato un incremento della temperatura media di circa 0,8 °C.

Figura 6. Ricostruzione della modificazione delle fasce climatiche durante i periodi caldi e freddi alternatisi ciclicamente negli ultimi 2500 anni

Dopo il 1270, alla fine del periodo con intensa attività solare la temperatura media si è abbassata ritornando ai valori precedenti. L’ampia documentazione storica mette in evidenza che durante il periodo caldo medievale l’Europa centrosettentrionale è stata interessata da un sensibile miglioramento delle condizioni climatiche testimoniate dalla coltivazione della vite in Norvegia e dai dati dendrocronologici relativi alle aree ubicate a 60° di latitudine.

Durante tale periodo l’Area Mediterranea è stata caratterizzata da una drastica riduzione delle piogge fino a circa l’80% rispetto all’attuale, nelle fasce costiere fino a circa 41-42° N, testimoniata dall’accumulo di sabbie eoliche; le spiagge con sabbia bioclastica hanno registrato una marcata progradazione in seguito all’accumulo di ingenti volumi di gusci calcarei riforniti dalla fauna marina.

Page 58: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

52

Le modificazioni ambientali sopra descritte, avvenute tra il 1000 e 1300 circa, contribuiscono ad inquadrare gli avvenimenti storici che caratterizzarono l’Europa e il vicino Oriente in tale periodo. È noto che le descritte condizioni ambientali, eccezionalmente favorevoli per l’Europa centrosettentrionale, favorirono lo sviluppo demografico, politico, culturale e militare.

I risultati conseguiti evidenziano che l’impatto ambientale dei periodi caldi romano e medievale è molto simile a quello che vari ricercatori prevedono in relazione all’accentuazione della modificazione climatica in atto il cui aggravamento è attribuito esclusivamente all’incremento dell’effetto serra provocato dall’immissione in atmosfera di gas antropogenici.

In base ai dati geoarcheologici si può affermare che modificazioni ambientali, con una durata di circa 150-200 anni, verificatesi sulla superficie terrestre in condizioni climatiche “Tipo Effetto Serra” sono già state registrate ciclicamente e naturalmente nell’Area Mediterranea ogni mille anni circa.

Durante tali periodi caldi si sono determinate differenti condizioni ambientali, favorevoli o sfavorevoli alle attività antropiche, in relazione alla latitudine, conseguenti allo spostamento delle fasce climatiche verso Nord lungo i meridiani (nell’Emisfero settentrionale) di alcuni gradi (Figura 6).

Modificazione climatico-ambientale degli ultimi 150 anni

I dati climatico-ambientali forniti dagli archivi naturali e dalle registrazioni strumentali mettono in evidenza che il periodo compreso tra il 1850 circa e l’inizio del terzo millennio rappresenta un periodo di transizione climatica tra la Piccola Età Glaciale e il prossimo periodo caldo, che si sta instaurando naturalmente secondo la ciclicità millenaria e che possiamo definire Effetto Serra del Terzo Millennio.

I dati strumentali evidenziano che in Italia, come a scala globale, negli ultimi 150 anni sta avvenendo una variazione del clima sottolineata dall’incremento della temperatura dell’aria e dalla diminuzione delle precipitazioni piovose e nevose nella fascia mediterranea. Anche l’ambiente fisico sta registrando sensibili modificazioni quali la generale e accentuata erosione dei litorali sabbiosi, l’incremento dell’attività pedogenetica e la diminuzione dell’erosione del suolo.

L’analisi dei dati strumentali evidenzia che nel periodo 1916-1920 e intorno al 1945 si è verificata una sensibile modificazione marcata dall’incremento della temperatura e dalla diminuzione delle precipitazioni piovose. Rispetto alla seconda metà del 1800 la temperatura mediamente è incrementata di circa 1°C e le precipitazioni sono diminuite di circa il 30%. Un dato significativo è rappresentato dalla variazione della distribuzione delle piogge nell’anno che è andata concentrandosi nel periodo autunno-primavera (tipicamente mediterraneo) rispetto al 1800 caratterizzato da precipitazioni distribuite in quasi tutto l’anno (tipicamente oceanico).

I dati strumentali consentono di mettere in evidenza che contemporaneamente a queste modificazioni ambientali e climatiche stanno avvenendo altre variazioni globali come l’incremento dell’anidride carbonica nell’atmosfera e l’aumento dell’attività solare marcato dal crescente numero di macchie solari e dall’accentuazione dell’irradianza.

Effettuando una correlazione tra questi dati si nota che all’aumentare dell’attività solare corrisponde l’incremento dell’anidride carbonica nell’atmosfera, della temperatura dell’aria e la diminuzione delle precipitazioni piovose e nevose nell’area mediterranea. È universalmente riconosciuto che contemporaneamente è incrementata la produzione antropogenica di gas ad effetto serra.

Page 59: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

53

Periodo più freddo degli ultimi 500 anni

Periodo più umido degli ultimi 500 anni

PICCOLA ETÀ GLACIALE (A)

Attivitàsolare attuale

PERIODO DI TRANSIZIONE (B)

attività solare variabile attività solare regolare

1: instabilità2: stabilità1a: Instabilità

di tipo Mediterraneo

1a: instabilitàmediterranea tipica della parte fredda della Piccola Età Glaciale

2a: stabilità mediterranea tipica della seconda parte piovosa della Piccola Età Glaciale

1b: instabilitàmediterranea-nordafricana tipica del periodo di transizione dalla Piccola Età Glaciale al prossimo periodo caldo.

ER: Espansione e RitiroME: Massima espansioneR: Ritiro

Periodo più freddo degli ultimi 500 anni

Periodo più umido degli ultimi 500 anni

PICCOLA ETÀ GLACIALE (A)

Attivitàsolare attuale

PERIODO DI TRANSIZIONE (B)

attività solare variabile attività solare regolare

1: instabilità2: stabilità1a: Instabilità

di tipo Mediterraneo

1a: instabilitàmediterranea tipica della parte fredda della Piccola Età Glaciale

2a: stabilità mediterranea tipica della seconda parte piovosa della Piccola Età Glaciale

1b: instabilitàmediterranea-nordafricana tipica del periodo di transizione dalla Piccola Età Glaciale al prossimo periodo caldo.

ER: Espansione e RitiroME: Massima espansioneR: Ritiro

Modificazione climatico-ambientale degli ultimi 500 anni

I dati strumentali relativi a temperatura, precipitazioni e irradianza solare iniziano dalla seconda metà del 1800 mentre quelli relativi alla concentrazione dell’anidride carbonica si riferiscono agli ultimi 250 anni; le osservazioni sul numero delle macchie solari sono relative agli ultimi 5 secoli; per ricostruire l’andamento della temperatura degli ultimi 500 anni (Figura 7) si sono utilizzati i dati ricavati con studi dendrocronologici.

Figura 7. 1: evoluzione dell’attività solare negli ultimi 500 anni (n. macchie solari 1500-1990); 2: evoluzione della temperatura e delle precipitazioni negli ultimi 500 anni e suddivisione

climatica della Piccola Età Glaciale. 3: evoluzione idrologica dell’Europa Centrale (A), dell’Area Mediterranea (B) e dei ghiacciai alpini svizzeri (C)

Page 60: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

54

La ricostruzione delle precipitazioni piovose è stata effettuata elaborando i dati relativi alle portate del fiume Rodano; queste ultime sono state correlate e tarate con i dati strumentali di piovosità disponibili dal 1867 ad oggi.

La Figura 7 evidenzia che il numero di macchie solari, come è noto, ha subito sensibili variazioni. Sono stati riconosciuti i minimi di Sporer (1420-1530), di Maunder (1645-1715) e di Dalton. Bradley e Jones hanno evidenziato che il periodo 1570-1730 è stato il più freddo degli ultimi 500 anni.

Le paleotemperature risultano strettamente correlate con l’attività solare. Un dato significativo è rappresentato dalla forte correlazione tra incremento delle macchie solari e della temperatura e diminuzione delle precipitazioni piovose a partire dal 1900 circa.

La ricostruzione delle precipitazioni evidenzia che esse a partire dal 1500 sono aumentate raggiungendo i valori massimi per un lungo periodo compreso tra il 1750 circa e l’inizio del 1900. Il citato periodo più freddo degli ultimi 500 anni, invece, non è stato caratterizzato da notevoli precipitazioni piovose.

La ricostruzione dell’andamento delle precipitazioni e della temperatura in Europa può consentire di ricostruire la provenienza dei venti più significativi durante alcuni periodi particolari.

Come è noto, l’area mediterranea, oltre che dai venti di origine meridionale è interessata dai venti provenienti da NW che apportano aria umida che determina le principali precipitazioni piovose e dai venti freddi provenienti da NE che apportano scarsa umidità e provocano sensibili diminuzioni della temperatura.

Il periodo più freddo degli ultimi 500 anni, coincidente con un sensibile minimo di attività solare, corrisponde all’acme della Piccola Età Glaciale. Nell’area Mediterranea sembra che esso sia stato caratterizzato da una prevalenza di venti freddi provenienti da NE che avrebbero determinato un abbassamento della temperatura. Il secolo XIX, corrispondente al periodo più piovoso degli ultimi 500 anni, caratterizzato da temperature nettamente inferiori alle attuali ma più miti rispetto all’acme della Piccola Età Glaciale, dovrebbe essere stato caratterizzato da una netta prevalenza di venti atlantici umidi provenienti da NW (Figura 6).

Modificazione climatico-ambientale degli ultimi 1000 anni

La ricostruzione della modificazione climatica degli ultimi 1000 anni (Figura 8) viene effettuata, oltre che in base ai dati già illustrati, sulla scorta della ricostruzione dell’attività solare effettuata da alcuni autori in base alla variazione di 14C e 10Be.

La ricostruzione della paleotemperatura è stata effettuata per il periodo 1050-1300 su basi dendrocronologiche; il periodo 1300-1400 è poco studiato.

La ricostruzione delle paleoprecipitazioni relative al periodo 1050-1300 in base ai dati stratigrafico-climatici dell’area mediterranea.

Come si osserva nella Figura 8, l’inizio del secondo millennio è caratterizzato da un evento climatico di eccezionale importanza (periodo caldo medievale) corrispondente ad un prolungato massimo di attività solare (Medieval Solar Maximum). La ricostruzione della paleotemperatura evidenzia che dal 1050 al 1090 circa essa è aumentata di circa 1° e che si è mantenuta elevata fino a circa il 1270 per poi decrescere rapidamente in coincidenza con la fine del massimo di attività solare.

Tale periodo nell’area mediterranea è stato caratterizzato da desertificazione delle fasce costiere fino a circa 42° N di latitudine in conseguenza di una marcata diminuzione delle precipitazioni piovose di entità variabile da circa il 50% a circa l’80% rispetto ai valori attuali.

Page 61: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

55

ATTIVITÀ SOLARE

PRECIPITAZIONI E TEMPERATURE

STRATIGRAFIAGEOARCHEOLOGICA

14C

Periodi freddo-umidi: E= Piccola Età Glaciale; C= Piccola Età Glaciale Altomedievale.

Periodo caldo-arido: D= Periodo caldo medievale. Condizioni climatico-ambientali simili a quelle attuali:

F= transizione da freddo-umido a caldo-arido; G= transizione da caldo-arido a freddo-umido.

ATTIVITÀ SOLARE

PRECIPITAZIONI E TEMPERATURE

STRATIGRAFIAGEOARCHEOLOGICA

14C

Periodi freddo-umidi: E= Piccola Età Glaciale; C= Piccola Età Glaciale Altomedievale.

Periodo caldo-arido: D= Periodo caldo medievale. Condizioni climatico-ambientali simili a quelle attuali:

F= transizione da freddo-umido a caldo-arido; G= transizione da caldo-arido a freddo-umido.

Figura 8. Correlazione tra stratigrafia geoarcheologica, attività solare ed evoluzione della temperatura e precipitazioni negli ultimi 1500 anni

La ricostruzione dell’attività solare di Figura 8 evidenzia che la seconda metà del primo millennio è stata caratterizzata da un altro significativo evento costituito dal minimo di attività solare avvenuto tra il 660 e 740 d.C. che coincide con un’altra significativa modificazione ambientale, denominata Piccola Età Glaciale Altomedievale, avvenuta circa 1000 anni prima della Piccola Età Glaciale.

Page 62: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

56

Modificazioni climatico-ambientali del periodo storico

I dati finora descritti mettono in risalto che esiste uno stretto collegamento tra variazione dell’attività solare significativa, variazione marcata della temperatura e delle precipitazioni piovose.

Come è stato evidenziato per il periodo caldo medievale e per l’acme della Piccola Età Glaciale, l’attività solare, in assenza di azioni antropiche significative, ha determinato un controllo determinante sulla modificazione climatica plurisecolare.

La stratigrafia geoarcheologica riferita al periodo storico illustrata precedentemente mette in evidenza che si sono verificate sensibili modificazioni ambientali, particolarmente evidenti e marcate nell’area mediterranea, e tali da determinare significative modificazioni dell’ambiente fisico e in particolare delle precipitazioni piovose e della temperatura, che hanno fortemente condizionato le attività antropiche sulla superficie terrestre specialmente dove i drastici mutamenti delle risorse ambientali disponibili determinavano vere e proprie crisi ambientali.

Numerosi dati paleoambientali (paleotemperature, microfauna planctonica, dendrocronologia, variazioni paleomagnetiche) relativi ad aree ubicate a latitudini diverse (Figura 6) attestano che si sono succeduti periodi più caldi a periodi più freddi con ciclicità millenaria e che contemporaneamente si sono registrate variazioni significative dell’attività solare e variazioni paleomagnetiche.

I dati paleoambientali sottolineano che le variazioni di temperatura e precipitazioni piovose hanno controllato significativamente l’evoluzione dei ghiacciai alpini e quella dei litorali sabbiosi. I ghiacciai alpini rappresentano un significativo “geotermometro” naturale in quanto la loro posizione geografica li rende sensibili agli effetti prolungati dei venti umidi e freddi di provenienza settentrionale che determinano una espansione dei ghiacci e dei venti più caldi e meno umidi di provenienza meridionale che provocano una riduzione (Figura 9).

I litorali dell’area mediterranea sono costituiti da sabbia silicoclastica rifornita dai fiumi nella parte settentrionale. La variazione plurisecolare delle precipitazioni piovose, conseguentemente, ha controllato la loro evoluzione determinando progradazione costiera in concomitanza con i periodi più piovosi ed erosione durante i periodi meno ricchi di piogge (Figura 9).

Nella parte centro-meridionale del Mediterraneo, lungo i tratti costieri poco riforniti di sabbia fluviale, esistono litorali con sabbia bioclastica costituita da gusci di organismi marini che si sviluppano con abbondanza grazie alle condizioni climatiche. Tali litorali sono stati caratterizzati da marcata progradazione solo durante i periodi caldo-aridi e da erosione durante i periodi con clima simile all’attuale o più freddo.

Durante i periodi caldo-aridi si è registrato un sensibile incremento dei sedimenti carbonatici lungo le fasce costiere che ha interessato un’area marina più estesa verso Nord di circa 8-10° rispetto all’attuale. Questo dato, evidente lungo le aree costiere dell’Italia meridionale e dell’Africa settentrionale, mette in evidenza il ruolo determinante che ha assunto l’area marina nel ciclo dell’anidride carbonica come regolatrice della sua percentuale nell’atmosfera. È evidente, infatti, che l’incremento di produzione di organismi a guscio carbonatico ha determinato la sottrazione di ingenti quantitativi di anidride carbonica dall’atmosfera. È evidente, altresì, che esistono delle soglie ambientali naturali che determinano l’innesco di fenomeni che in poco tempo contribuiscono a modificare sostanzialmente l’ambiente fisico.

Alla luce dei dati disponibili si evidenzia che nelle ultime migliaia di anni vi è stata, con una ciclicità millenaria, una variabilità naturale caratterizzata, alternativamente da un riscaldamento e un raffreddamento maggiore (rispetto ai valori attuali) con una conseguente riorganizzazione delle condizioni climatico-ambientali della superficie terrestre.

Page 63: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

57

Figura 9. Correlazione tra l’evoluzione geoambientale e climatica dell’Area Mediterranea compresa tra 35° e 41° N e l’evoluzione dei ghiacciai alpini durante gli ultimi 2500 anni

La correlazione della stratigrafia geoarcheologica con la ricostruzione dell’attività solare plurisecolare (Figure 8, 9) evidenzia che le modificazioni ambientali si sono verificate sempre in concomitanza con le significative modificazioni plurisecolari dell’attività solare.

1. Stratigrafia geoarcheologica: Periodi freddo-umidi;

E= Piccola Età Glaciale; C= Piccola Età Glaciale Altomedievale; A= Piccola Età Glaciale Arcaica.

Periodi caldo-aridi: D= Periodo caldo medievale; B= Periodo caldo romano.

Condizioni climatico-ambientali simili a quelle attuali: F= transizione da freddo-umido a caldo-arido; G= transizione da caldo-arido a freddo-umido

2. Evoluzione dei litorali con sabbia bioclastica (a) e silicoclastica (b) 3. Evoluzione della temperatura e delle precipitazioni 4. Evoluzione dei ghiacciai alpini svizzeri.

Page 64: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

58

I dati geoarcheologici evidenziano che l’area mediterranea è stata interessata da drastiche e cicliche variazioni ambientali nei periodi in cui i dati paleoclimatici globali indicano che si sono verificate variazioni cicliche della temperatura. I dati strumentali relativi agli ultimi 500 anni indicano che nei periodi in cui si è abbassata la temperatura (Piccola Età Glaciale) si è avuto un sensibile incremento delle precipitazioni.

I dati paleoambientali, paleoclimatici e geoarcheologici evidenziano che l’Area Mediterranea è stata interessata in prevalenza da condizioni ambientali simili alle attuali; tali condizioni sono mutate improvvisamente durante brevi periodi di tempo in cui si sono determinate sensibili variazioni delle condizioni climatiche e fisiche della superficie del suolo.

Durante i periodi in cui la temperatura è aumentata di 1-2° C le zone costiere sono state interessate da desertificazione fino a circa 42° N di latitudine; in corrispondenza delle diminuzioni della temperatura le superfici antropizzate e urbanizzate delle pianure alluvionali sono state interessate da accumulo di ingenti volumi di sedimenti con conseguente aggradazione e progradazione delle linee di costa nella parte settentrionale del Mediterraneo mentre si è avuta pedogenesi e formazione di suolo sulla superficie delle dune costiere nella parte meridionale e in quella settentrionale.

Le variazioni ambientali si sono verificate in corrispondenza del picco delle modificazioni climatiche di tipo caldo-arido, in coincidenza con massimi dell’attività solare; durante tali condizioni si sono instaurate condizioni ambientali di “Tipo Effetto Serra”, simili, cioè, a quelle attese nel prossimo futuro. Altre significative modificazioni ambientali si sono verificate all’inizio delle variazioni climatiche freddo-umide, in coincidenza con il marcato incremento delle precipitazioni piovose, che si è manifestato dopo i periodi caldi.

In corrispondenza dei picchi delle modificazioni climatiche, la superficie terrestre (suolo, copertura vegetale, erosione, ecc.) dell’Area Mediterranea è stata rapidamente modificata dalle nuove condizioni ambientali connesse a brevi spostamenti, alternativamente verso Sud durante i periodi di scarsa attività solare e abbassamento della temperatura media e verso Nord durante i periodi di notevole attività solare e innalzamento della temperatura media, delle fasce climatiche attuali.

Le ricerche effettuate sui sedimenti olocenici evidenziano che la ciclicità, con cui si sono alternate diverse condizioni climatico-ambientali nell’area mediterranea con periodo di circa 1000 anni, è persistita almeno negli ultimi 8000-9000 anni.

Relazioni tra modificazioni climatico-ambientali e attività solare e previsione dell’evoluzione della variazione climatica

Sulla base dei dati strumentali relativi agli ultimi 150 anni, molti scienziati ritengono che la causa della variazione climatica in atto sia l’incremento dei gas ad effetto serra di origine antropogenica; questi dati non contemplano l’attività del sole in quanto si da per scontato che l’attività solare sia insignificante nel determinare una variazione climatica globale.

Ne consegue che un ulteriore incremento di tali gas nell’atmosfera aggraverebbe la modificazione climatica; l’unico rimedio, pertanto, è rappresentato dalla riduzione degli scarichi gassosi globali. Il protocollo di Kioto rappresenta lo strumento internazionale con il quale si dovrebbe tentare di controllare l’incremento dei gas ad effetto serra e conseguentemente attenuare la variazione climatica.

Gli studi degli archivi naturali finora svolti evidenziano che negli ultimi 2500 anni l’area mediterranea è stata sensibilmente interessata da cicliche significative variazioni fisiche e che queste sono avvenute in concomitanza con modificazioni climatiche globali caratterizzate da escursioni delle temperature di circa 1,5 °C in più (Periodi Caldi) e in meno (Piccole Età Glaciali) rispetto ai valori attuali.

Page 65: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

59

Le ricostruzioni dell’attività solare finora effettuate da vari autori, in prevalenza sulla base di osservazioni dirette e sulla base delle variazioni di 14C nei tronchi degli alberi e di 10Be nei ghiacci delle calotte polari, consentono di riconoscere una stretta relazione tra minimi significativi e prolungati di attività e periodi più freddi (Piccole Età Glaciali) e tra massimi significativi e prolungati di attività e periodi più caldi (Periodi Caldi Romano e Medievale).

I dati multidisciplinari disponibili consentono di sottolineare la significativa variazione dell’attività solare avvenuta negli ultimi 1000 anni.

Il numero di macchie solari, come è noto, ha subito sensibili escursioni; dalla fine del massimo di attività solare medievale (1100-1250 circa), infatti, sono stati riconosciuti i minimi di Wolf (1280-1340), Sporer (1420-1530), Maunder (1645-1715) e di Dalton (1800-1830). Dai primi decenni del 1900 il numero di macchie solari è sostanzialmente in progressivo aumento.

Le temperature e le precipitazioni risultano strettamente correlate con l’attività solare. Bradley e Jones hanno evidenziato che il periodo 1570-1730 è stato il più freddo degli ultimi 500 anni. Un dato significativo, registrato anche strumentalmente, è rappresentato dalla forte correlazione tra incremento delle macchie solari e della temperatura e diminuzione delle precipitazioni piovose a partire dal 1900 circa.

La ricostruzione delle precipitazioni evidenzia che esse a partire dal 1500 sono aumentate raggiungendo i valori massimi per un lungo periodo compreso tra il 1750 circa e l’inizio del 1900. Il citato periodo più freddo degli ultimi 500 anni, invece, non è stato caratterizzato da notevoli precipitazioni piovose.

La ricostruzione delle temperature e dell’acidità (effettuata sulle carote di ghiaccio di Crete, Groenlandia), correlata con le principali esplosioni vulcaniche degli ultimi 600 anni, evidenzia che esse possono avere influito accentuando i picchi degli abbassamenti della temperatura qualora si siano verificate in concomitanza con minimi di attività solare.

. Le evidenze stratigrafiche indicano che nei periodi caldi si sono accumulati ingenti volumi di sedimenti eolici (fino ad alcune decine di cm in 100-200 anni di pulviscolo proveniente dalle zone desertiche, che si sedimenta in mare e sulla superficie del suolo); tale dato consente di sottolineare la correlazione tra periodi caldi storici e incremento dei venti di origine meridionale e quindi l’importanza della provenienza dei venti più significativi, per periodi secolari, nel determinare e accentuare le modificazioni climatiche e ambientali nell’area mediterranea.

I dati disponibili evidenziano che le crisi ambientali sono avvenute in concomitanza con drastiche variazioni dell’attività solare. È evidente che esse sono connesse, nella naturale e lenta variabilità ambientale, a delle vere e proprie soglie evolutive, superate le quali si innescano fenomeni che determinano rapide e drastiche modificazioni climatico-ambientali, non comparibili con l’evoluzione precedente. In particolare si osserva che il periodo freddo denominato Piccola Età Glaciale si inquadra in un periodo caratterizzato da una scarsa attività solare, di circa 335 anni (dal 1280 al 1715), incominciato alla fine del massimo di attività medievale. In tale intervallo si sono succeduti tre minimi (Wolf, Sporer e Maunder) della durata complessiva di circa 220 anni. È evidente, quindi, che il raffreddamento massimo del periodo 1570-1740 che rappresenta l’acme della Piccola Età Glaciale, risulta essere l’effetto ambientale connesso al prolungato periodo di scarsa attività del sole.

Si sottolinea ancora che pure il periodo caldo medievale, avutosi in concomitanza con una fase di notevole attività solare, si inquadra alla fine di un lungo periodo caratterizzato da crescente attività, dal 920 circa al 1250 circa, della durata di 330 anni. Durante tale periodo, escluso il minimo di Oort di circa 40 anni, si sono avuti circa 290 anni con considerevole attività solare.

I dati sinteticamente esposti mettono in evidenza che le variazioni ambientali globali significative, con vere e proprie crisi in particolari fasce di latitudine, non sono da mettere in

Page 66: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

60

relazione solo con singoli periodi di minima o massima attività solare ma con periodi di prolungata variazione dell’attività del sole.

Alla luce di queste considerazioni è di fondamentale importanza lo studio dell’attività solare recente e attuale per cercare di comprendere se l’incremento dell’attività solare che ha caratterizzato il XX secolo rappresenta una transizione verso un nuovo massimo di attività come quello che ha determinato il periodo caldo medievale.

L’andamento dell’attività solare può consentire, sulla base dei dati relativi agli ultimi 2500 anni, di fare previsioni circa l’impatto sulle condizioni climatico-ambientali del prossimo futuro alle diverse latitudini.

Alla luce dei dati esposti si evidenzia che l’incremento della temperatura e dei gas ad effetto serra nell’atmosfera non si sta verificando con condizioni di stabilità dell’attività del sole.

Alla luce dei dati ambientali disponibili si individua una variabilità naturale dell’attività solare che con ciclicità millenaria determina alternativamente un riscaldamento e un raffreddamento maggiore della terra con una conseguente riorganizzazione delle condizioni climatico-ambientali della superficie terrestre.

La modificazione climatica in atto, pertanto, rappresenterebbe la naturale evoluzione delle condizioni ambientali tra l’acme del minimo di attività solare (Piccola Età Glaciale) e il previsto acme di attività solare che dovrebbe accentuarsi entro il 2100, secondo la naturale ciclicità, determinando una nuova condizione ambientale (Effetto Serra del Terzo Millennio) nell’Area Mediterranea.

È evidente e innegabile che negli ultimi 150 anni le attività antropiche hanno provocato la maggiore immissione in atmosfera di gas ad effetto serra (anidride carbonica, metano etc.) contribuendo ad inquinarla. È logico che si debba ridurre tale inquinamento e che vadano perseguite azioni internazionali tese a salvaguardare l’atmosfera.

È evidente che durante un naturale periodo di maggiore attività solare l’incremento dell’effetto serra (connesso ai gas antropogenici) potrebbe contribuire a modificare gli effetti dell’incremento della temperatura sulla superficie terrestre.

Nell’ipotesi che la modificazione climatica ricalchi l’andamento ricostruito durante il periodo caldo medievale, si prevede che l’ulteriore incremento della temperatura determinerà il superamento di una soglia ambientale che innescherà una abbondante sedimentazione carbonatica nelle acque marine poco profonde. Tale ipotizzato fenomeno, come accaduto durante il periodo caldo medievale, potrebbe provocare una sensibile influenza sulla concentrazione dell’Anidride Carbonica nell’atmosfera sottraendone notevoli percentuali. Il naturale riequilibrio ambientale avverrebbe alla conclusione dell’ipotizzato nuovo periodo di notevole attività solare; l’andamento della percentuale di anidride carbonica, riducendo le emissioni antropogeniche, è simile a quello previsto secondo la naturale evoluzione della variazione climatica.

Previsione dell’impatto sulle risorse idriche dell’Italia meridionale

Alla luce dei dati sopra sintetizzati, di seguito si illustrano le previsioni delle modificazioni climatiche e in particolare della variazione delle risorse idriche disponibili per l’Italia meridionale, ricavate applicando una metodologia innovativa.

Il metodo si basa su: 1. ricostruzione delle modificazioni ambientali avvenute nelle diverse condizioni

morfologiche e geoambientali durante i periodi storici caratterizzati da condizioni climatiche di tipo effetto serra;

2. individuazione della ciclicità millenaria delle variazioni climatiche;

Page 67: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

61

3. serie storiche dei dati strumentali climatici relativi agli ultimi 150 anni circa, distinti per fasce climatiche (zona costiera, zona centrale appenninica, zona orientale appenninica);

4. modificazioni dell’attività pedogenetica in relazione alle attuali condizioni climatiche e a quelle previste;

5. assetto geologico tridimensionale degli acquiferi. Correlando i dati climatici di alcune significative serie storiche dell’Italia meridionale, è stata

ricostruita la disponibilità delle risorse idriche dal 1884 ad oggi relativamente agli acquiferi carbonatici che rappresentano i serbatoi idrici strategici dell’Italia meridionale, agli acquiferi terrigeni della parte orientale dell’Appennino e agli acquiferi alluvionali e vulcanici delle grandi pianure costiere tirreniche; sono state stimate le risorse idriche rinnovabili (S) dell’area campana tenendo presente che:

S = P (precipitazioni) - ETR (evapotraspirazione reale). ETR (funzione delle precipitazioni e temperatura e dipendente da vari altri parametri quali

distribuzione temporale delle piogge, vento, vegetazione, insolazione ecc.) viene stimata con buona e accettabile approssimazione mediante la formula di Turc.

Questi dati sono correlati con la ricostruzione dell’attività pedogenetica e dell’erosione del suolo e con l’evoluzione dei litorali silicoclastici.

Viene proposta la previsione delle modificazioni di temperatura e precipitazioni per i prossimi 100 anni (relativamente alle aree interne appenniniche e alle aree costiere tirreniche) sulla base dell’andamento degli ultimi 130 anni e della ricostruzione della ciclicità millenaria della variazione climatica. Secondo questi ultimi dati, il ciclo climatico dovrebbe manifestarsi con una drastica ulteriore modificazione (incremento della temperatura di circa 1°C e drastica riduzione delle precipitazioni piovose) intorno al 2050. Si sottolinea che tale data potrebbe variare in relazione alla non esatta determinazione della durata del ciclo naturale e in conseguenza dell’inquinamento atmosferico antropogenico; si evidenzia, altresì, che idonee ricerche multidisciplinari potrebbero consentire di monitorare il rapporto tra attività solare e variazione climatica e di prevedere la variazione climatica a breve scadenza.

Il superamento della soglia ambientale determinerebbe l’instaurarsi ciclico delle nuove condizioni ambientali connesse all’Effetto Serra del Terzo Millennio.

Nella Figura 10 sono illustrate le principali caratteristiche idrogeologiche della Campania, le attuali disponibilità idriche e gli interventi principali effettuati per l’uso delle acque sorgive e superficiali e la situazione idrogeologica prevista per i prossimi 100 anni.

Come esempio di applicazione della previsione delle modificazioni delle risorse idriche, in relazione alla variazione climatica, di seguito vengono illustrati i risultati ottenuti per un’area significativa e rappresentativa della Regione Campania; in particolare l’esempio si riferisce a grandi acquiferi della fascia costiera tirrenica; nella Figura 11 è schematizzata la situazione dell’acquifero alluvionale quasi completamente isolato idrogeologicamente dagli acquiferi carbonatici.

Nella Figura 12 è rappresentata la situazione idrogeologica attuale e futura di un acquifero alluvionale della fascia interna dell’Appennino, completamente isolato e confinato, essenzialmente alimentato dalle precipitazioni piovose zenitali.

Al fine di evidenziare i diversi impatti della variazione climatica sulle disponibilità idriche degli acquiferi ubicati in zone geografiche diversificate e in relazione al loro assetto geologico tridimensionale, sono stati elaborati gli schemi di seguito descritti.

Page 68: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

62

Valutazione delle risorse idriche strategiche disponibili (in milioni di metri cubi)Attuale Futura

acquiferi alluvionali e vulcanici circa 600 circa 250 sorgenti sottomarine circa 500 circa 200 sorgenti non captate circa 750 (compresi circa 300 di acqua mineralizzata) circa 350 (compresi circa 130 di acqua mineralizzata)sorgenti captate circa 800 circa 350 bacini artificiali circa 30 circa 30bacini che riforniscono la Puglia circa 100 circa 100bacini incompleti circa 100 circa 100

1= sorgenti captate;2= sorgenti non captate;3= sorgenti minerali; 4= sorgenti sottomarine; 5= bacini artificiali; 6= bacini incompleti;

7= traverse; 8= acquiferi sabbiosi costieri interessati da intrusione di acqua salata; 9= acquiferi alluvionali e vulcanici alimentati anche dagli acquiferi confinanti; 10= acquiferi alluvionali e vulcanici alimentati solo dall’infiltrazione zenitale; 11= acquiferi cartonatici; 12= rocce impermeabili.

Valutazione delle risorse idriche strategiche disponibili (in milioni di metri cubi)Attuale Futura

acquiferi alluvionali e vulcanici circa 600 circa 250 sorgenti sottomarine circa 500 circa 200 sorgenti non captate circa 750 (compresi circa 300 di acqua mineralizzata) circa 350 (compresi circa 130 di acqua mineralizzata)sorgenti captate circa 800 circa 350 bacini artificiali circa 30 circa 30bacini che riforniscono la Puglia circa 100 circa 100bacini incompleti circa 100 circa 100

1= sorgenti captate;2= sorgenti non captate;3= sorgenti minerali; 4= sorgenti sottomarine; 5= bacini artificiali; 6= bacini incompleti;

7= traverse; 8= acquiferi sabbiosi costieri interessati da intrusione di acqua salata; 9= acquiferi alluvionali e vulcanici alimentati anche dagli acquiferi confinanti; 10= acquiferi alluvionali e vulcanici alimentati solo dall’infiltrazione zenitale; 11= acquiferi cartonatici; 12= rocce impermeabili.

1= sorgenti captate;2= sorgenti non captate;3= sorgenti minerali; 4= sorgenti sottomarine; 5= bacini artificiali; 6= bacini incompleti;

7= traverse; 8= acquiferi sabbiosi costieri interessati da intrusione di acqua salata; 9= acquiferi alluvionali e vulcanici alimentati anche dagli acquiferi confinanti; 10= acquiferi alluvionali e vulcanici alimentati solo dall’infiltrazione zenitale; 11= acquiferi cartonatici; 12= rocce impermeabili.

1= sorgenti captate;2= sorgenti non captate;3= sorgenti minerali; 4= sorgenti sottomarine; 5= bacini artificiali; 6= bacini incompleti;

7= traverse; 8= acquiferi sabbiosi costieri interessati da intrusione di acqua salata; 9= acquiferi alluvionali e vulcanici alimentati anche dagli acquiferi confinanti; 10= acquiferi alluvionali e vulcanici alimentati solo dall’infiltrazione zenitale; 11= acquiferi cartonatici; 12= rocce impermeabili.

Figura 10. Campania: assetto idrogeologico e valutazione delle risorse idriche attuali e quelle previste per i prossimi 100 anni

Page 69: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

63

Figura 11. Pianura del fiume Sele: schema attuale dell’assetto idrogeologico e della disponibilità di risorse idriche nella pianura e situazione prevista per i prossimi 100 anni

La Figura 11 evidenzia l’assetto idrogeologico dell’area circostante la pianura alluvionale del fiume Sele e l’attuale disponibilità idrica. L’acquifero alluvionale costiero, dello spessore complessivo di oltre 1000 m, è quasi completamente isolato dalle rocce argillose che lo delimitano alla base e lateralmente. Solo nella parte centrale della pianura l’acquifero viene alimentato anche dalle acque sotterranee provenienti dagli acquiferi carbonatici. L’acquifero alluvionale attualmente è utilizzato per scopi idropotabili, irrigui e industriali e i prelievi ammontano ad alcune decine di milioni di m3/anno. Verso mare l’acquifero è delimitato da un prisma di sabbie oloceniche dello spessore di circa 20-25 m. La Figura 13 mette in evidenza il consistente impatto sull’assetto

Page 70: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

64

idrogeologico e sulle disponibilità idriche previsto con la diminuzione delle precipitazioni piovose e i problemi connessi con la probabile abbondante intrusione di acqua marina.

Figura 12. Schema dell’assetto idrogeologico e previsione delle modificazioni attese nel prossimo futuro in un acquifero alluvionale della fascia interna dell’Appennino

Page 71: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

65

L’alimentazione idrica zenitale dell’acquifero alluvionale tenderà ad annullarsi (Figura 21); il probabile incremento dei prelievi idrici provocherà la crisi dell’acquifero facilitando l’intrusione di acqua marina. I sistemi irrigui alimentati dalle acque erogate dalle sorgenti (traverse del Fiume Tusciano e del Fiume Sele) potranno disporre di risorse idriche nettamente inferiori.

La Figura 13 si riferisce ad un acquifero alluvionale completamente delimitato da rocce impermeabili. La sezione 1 mette in evidenza l’assetto geologico dell’acquifero mentre la sezione 2 illustra schematicamente l’assetto idrogeologico. Nella sezione 3 viene sottolineata la netta diminuzione di risorsa che si prevede per i prossimi 100 anni.

La diminuzione dell’alimentazione delle falde degli acquiferi costieri, come si è già accennato, determinerà una prevedibile modificazione dell’assetto idrogeologico nella parte più depressa delle pianure che costituiscono le aree agricole più intensamente utilizzate; in relazione all’assetto geologico tridimensionale degli acquiferi, sono prevedibili intrusioni di acqua marina di diversa entità.

La temperatura e le precipitazioni esercitano uno stretto controllo sulle modificazioni della superficie del suolo e in particolare sulle attività pedogenetiche e sull’erosione nonché sulla vegetazione spontanea. Le principali modificazioni geoambientali che interessano la superficie del suolo di aree caratterizzate da un substrato costituito prevalentemente da rocce argillose in relazione al variare delle condizioni climatiche possono essere così schematizzate:

– Situazione durante un periodo freddo-umido tipo Piccola Età Glaciale 1. precipitazioni piovose più abbondanti del 30-50% delle attuali e distribuite durante

tutte le stagioni, 2. temperature medie inferiori a quelle attuali e abbondanti nevicate, 3. attività pedogenetica attiva solo nei mesi più caldi 4. notevole erosione del suolo tale da provocare l’asportazione continua del suolo di

nuova formazione e il trasporto costante dei sedimenti fino al mare. In tali condizioni lo spessore del suolo e del substrato alterato è esiguo, la falda freatica è generalmente superficiale e subaffiorante e i dissesti superficiali e profondi hanno un ruolo notevole nell’evoluzione geomorfologica dei versanti. In Italia tale situazione si è verificata durante il XVIII e XIX secolo. La ricostruzione dell’evoluzione costiera della bassa pianura del Fiume Volturno ha evidenziato che in circa 80 anni, tra l’inizio e la fine del XIX secolo, il corso d’acqua ha trasportato un enorme volume di sedimenti sabbiosi, valutato intorno ai 200 milioni di m3 (a cui va aggiunto un volume almeno simile di sedimenti a grana fine), che ha provocato una sensibile aggradazione del fondale marino e una conseguente progradazione costiera variabile da alcune centinaia di metri ad oltre 1 km.

– Situazione in condizioni climatiche simili a quelle attuali instauratesi dall’inizio del XX secolo 1. incremento progressivo delle temperature, 2. diminuzione di precipitazioni nevose 3. alternanza di una stagione umida e di una secca Queste condizioni rendono più attivi i processi pedogenetici che determinano un progressivo ispessimento della parte alterata del substrato e del suolo. In tal modo la superficie del suolo è caratterizzata da uno strato (suolo e substrato alterato) di spessore via via crescente che riesce ad assorbire notevoli quantità di acqua di precipitazione. Tale assetto fa si che aumenti la percentuale di acqua che si infiltra nei primi metri di sottosuolo dei versanti argillosi provocando una drastica riduzione del ruscellamento superficiale, dell’erosione del suolo e del trasporto dei sedimenti. In base ai dati climatici strumentali e alla ricostruzione dell’evoluzione dei litorali si evidenzia che in Italia tale

Page 72: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

66

situazione si è andata sensibilmente accentuando dal 1915-1920 quando si è registrata una significativa modificazione climatica connessa ad un incremento dell’attività solare. Le evidenze sperimentali consentono di affermare che attualmente i processi pedogenetici sono particolarmente attivi; come conferma di tale affermazione si sottolinea che lungo i ripidi versanti denudati dalle disastrose frane del sarnese del 5 e 6 maggio 1998, al di sopra dei sedimenti piroclastici si è già ricostituito un suolo di spessore variabile da circa 10 a circa 20 cm.

Queste considerazioni mettono in luce la sensibile modificazione fisica che sta interessando

la superficie del suolo (suoli, versanti, corsi d’acqua, litorali) in relazione a piccole modificazioni delle condizioni climatiche.

L’incrementata possibilità di assorbire e trattenere l’acqua da parte dei suoli rappresenta una favorevole condizione per la vegetazione spontanea e per le pratiche agricole. Tale situazione persisterà fino a quando le precipitazioni piovose non diminuiranno ulteriormente.

Per il prossimo futuro, quando la scarsità di precipitazioni non consentirà più la continua attività pedogenetica e lo sviluppo della copertura vegetale, il suolo sarà progressivamente eroso fino a scomparire nelle aree in cui le precipitazioni piovose risulteranno inferiori a circa 200-250 mm/anno.

Problemi previsti per l’agricoltura

In base alle conoscenze acquisite sulle modificazioni della superficie del suolo e sull’evoluzione delle risorse idriche nel prossimo futuro, sintetizzate nella Figura 10 è possibile delineare i principali problemi che interesseranno le attività agricole in relazione alla differente posizione geografica, alla morfologia e all’assetto geologico tridimensionale.

Le variazioni ambientali più significative si verificheranno nella fascia costiera tirrenica (Fascia C) e in quella appenninica orientale (Fascia B).

La Fascia B, costituita da un substrato prevalentemente argilloso, costituisce l’area in cui si concentra la principale coltivazione di grano duro che rappresenta la base per la produzione della pasta che, come è noto, ha un ruolo importante dell’economia italiana. Il ciclo del grano (autunnale-primaverile) è controllato dall’umidità del suolo e dalla temperatura che caratterizza tale periodo vegetativo. La modificazione prevista, nel prossimo futuro, delle precipitazioni evidenzia che in gran parte del territorio agricolo della Fascia B non si avrà più l’umidità del suolo necessaria per tutto il ciclo vegetativo del grano duro. Dal momento che la morfologia variabile non consente l’accumulo di acqua di ruscellamento in bacini artificiali a quote superiori rispetto al fondovalle e l’irrigazione, è facile prevedere una crisi produttiva che interesserà dapprima le aree agricole ubicate alle quote più basse.

Le considerazioni sinteticamente esposte evidenziano l’importanza di effettuare studi e controlli sulle modificazioni fisiche di tali aree.

Nella Fascia B sono ubicati i bacini artificiali funzionanti che accumulano le acque nelle regioni Molise, Campania e Basilicata per l’alimentazione irrigua e idropotabile della Regione Puglia. L’accentuata diminuzione delle precipitazioni provocherà sempre più scarsi deflussi superficiali e quindi l’impossibilità di accumulare nei bacini i volumi idrici attuali. Tale previsione aggraverà le carenze irrigue e idropotabili della Regione Puglia e provocherà dispute sempre più accese con le Regioni che riforniscono l’acqua.

La Fascia C sarà interessata dai più gravi impatti e, in assenza di interventi irrigui, tenderà alla desertificazione naturale. In tale fascia si concentra quasi tutta la popolazione, gran parte delle attività industriali e delle aree irrigue. Essa, pertanto, continuerà a richiedere la maggior parte delle risorse idriche a scapito delle aree A e B.

Page 73: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

67

Le attività agricole a maggiore reddito che si svolgono nella ampie pianure costiere continueranno ad esigere consistenti volumi di acqua per l’irrigazione.

Se le Istituzioni Pubbliche non avranno la capacità di regolare gli usi idrici si verificherà un progressivo sovrasfruttamento delle acque sotterranee che sono più facilmente utilizzabili anche senza le necessarie autorizzazioni.

L’immediata conseguenza per l’agricoltura della fascia costiera può essere individuata nella salinizzazione delle falde e del suolo e il conseguente abbandono di diverse migliaia di ettari attualmente al elevata produttività agricola.

La Fascia A, secondo le previsioni, subirà gli impatti ambientali meno gravi in quanto l’entità delle precipitazioni piovose consentirà l’attività pedogenetica e lo sviluppo della vegetazione. Tale fascia è costituita dai rilievi topograficamente più elevati e rappresenta una importante barriera morfologica per l’aria umida proveniente dai quadranti occidentali. Il sensibile decremento delle precipitazioni piovose influirà immediatamente sulla portata delle sorgenti strategiche alimentate dagli acquiferi carbonatici. Si prevede che saranno captate le sorgenti potabili ancora allo stato naturale e che tali interventi aggraveranno l’assetto idrologico dei corsi d’acqua che sono privi di ruscellamento superficiale durante i mesi non piovosi.

I sistemi irrigui principali della Campania sono alimentati dall’acqua sorgiva proveniente dagli acquiferi carbonatici ubicati nella Fascia B; è evidente che vi sarà un conflitto sempre più cruento tra uso idropotabile e uso irriguo e che quest’ultimo è destinato ad una progressiva diminuzione delle disponibilità idriche.

Si sottolinea l’importanza di mettere a punto un piano strategico per la individuazione, valutazione e gestione per usi multipli di tutte le acque, per il controllo delle modificazioni climatiche, ambientali e delle risorse idriche e per la realizzazione di bacini di accumulo idrico che entro 20 anni circa sia in grado di incrementare la disponibilità per scopi irrigui.

Conclusioni

I dati strumentali evidenziano che negli ultimi 150 anni è avvenuta una variazione del clima a scala globale, particolarmente evidente nell’Italia meridionale (incremento della temperatura media dell’aria di circa 1°C, diminuzione delle precipitazioni piovose di circa il 30% e nevose di circa 2m al di sopra dei 1000 m di quota).

Tappe significative sono individuabili nel periodo 1916-1920, intorno al 1945 e il 1980. Come è noto, contemporaneamente a queste modificazioni stanno avvenendo altre variazioni

globali come l’incremento dell’anidride carbonica (di origine antropogenica) nell’atmosfera e dell’attività solare.

Come si può prevedere la variazione del clima delle prossime decine di anni? La soluzione generalmente adottata consiste nell’inserire in vari modelli i dati ottenuti

prolungando verso il futuro l’andamento climatico delle ultime decine di anni, assumendo che tale andamento, nel passato e nel futuro, non sia significativamente interessato da discontinuità.

Ritenendo che una corretta previsione si debba necessariamente basare sulla conoscenza della “storia del clima” degli ultimi millenni al fine di inquadrare i dati strumentali degli ultimi 150 anni, è stata effettuata la ricostruzione dell’evoluzione climatico-ambientale degli ultimi millenni in base allo studio degli archivi naturali dell’area mediterranea, integrati con i vari dati paleoclimatici globali.

La ricostruzione della temperatura degli ultimi 500 anni, oltre che mediante i dati strumentali degli ultimi 150-200 anni, è stata effettuata, da vari ricercatori, in base ai dati dendrocronologici. Si evidenzia un periodo più freddo dell’attuale compreso tra il 1500 e il 1740 circa e un progressivo e costante riscaldamento globale a partire dalla seconda metà del

Page 74: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

68

XVIII secolo. Si individuano, pertanto, due significative soglie climatiche; una intorno al 1640 (improvvisa diminuzione della temperatura media) e una intorno al 1750 (improvviso incremento della temperatura). Le paleotemperature risultano strettamente correlate con l’attività solare. Il periodo più freddo degli ultimi 500 anni, tra il 1570 circa e il 1740 circa, coincidente con un sensibile minimo di attività solare, corrisponde all’acme della Piccola Età Glaciale che nell’area Mediterranea è stato caratterizzato da una prevalenza di venti freddi provenienti da NE.

La ricostruzione delle precipitazioni piovose, oltre che mediante i dati strumentali a partire dall’inizio del 1800 circa, è stata effettuata elaborando, tarando e correlando i dati delle portate del fiume Rodano e del fiume Tevere relative agli ultimi 500 anni. Le precipitazioni piovose a partire dal 1500 sono progressivamente aumentate raggiungendo i valori massimi per un lungo periodo compreso tra il 1750 circa e l’inizio del 1900. Il citato periodo più freddo degli ultimi 500 anni, invece, non è stato caratterizzato da notevoli precipitazioni piovose. Il secolo XIX, corrispondente al periodo più piovoso degli ultimi 500 anni, caratterizzato da temperature nettamente inferiori alle attuali ma più miti rispetto all’acme della Piccola Età Glaciale, è stato caratterizzato da una netta prevalenza di venti atlantici umidi provenienti da NW.

La ricostruzione della modificazione climatica degli ultimi 1000 anni evidenzia che l’inizio del secondo millennio è stato caratterizzato da un evento climatico di eccezionale importanza (periodo caldo medievale) corrispondente ad un prolungato massimo di attività solare. La ricostruzione della paleotemperatura evidenzia che dal 1050 al 1090 circa essa è aumentata di circa 1°C e che si è mantenuta elevata fino a circa il 1270 per poi decrescere rapidamente in coincidenza con la fine del massimo di attività solare. Tale periodo nell’area mediterranea è stato caratterizzato da desertificazione delle fasce costiere fino a circa 42° N di latitudine in seguito ad una marcata diminuzione delle precipitazioni piovose (circa il 50% - l’80% rispetto ai valori attuali).

I dati finora descritti mettono in risalto che esiste uno stretto collegamento tra variazione pluridecennale dell’attività solare e variazione marcata della temperatura e delle precipitazioni piovose. L’attività solare, in assenza di azioni antropiche, durante il Periodo Caldo Medievale (massimo prolungato) e l’acme della Piccola Età Glaciale (minimo prolungato), ha esercitato un controllo determinante sull’andamento plurisecolare (caratterizzato da un clima simile a quello instauratosi tra il 1800 e l’attuale), determinando l’instaurazione improvvisa di periodi della durata di circa 150-200 anni rispettivamente più caldi e più freddi in relazione alla naturale ciclicità millenaria.

Alla luce dei dati sopra sintetizzati, si deduce che l’evoluzione della variazione climatica in atto può provocare una situazione (da noi definita “Effetto Serra del Terzo Millennio”), simile a quella già sperimentata ciclicamente 1000 (“Effetto Serra Medievale”) e 2000 (“Effetto Serra Romano”) anni fa, determinata dal progressivo incremento dell’attività solare (l’incremento dei gas antropogenici ad effetto serra, pertanto, potrebbe modificare la naturale evoluzione) con aumento dei venti di origine occidentale, sudoccidentale e sudorientale.

I risultati ottenuti indicano che vi sono delle “soglie climatiche” che ciclicamente determinano rapide modificazioni delle temperature e precipitazioni piovose. Le previsioni climatiche, quindi, devono tenere conto di tali modificazioni cicliche plurisecolari; non è scientificamente corretto prevedere il futuro solo in base ai dati strumentali delle ultime decine di anni. In base a quanto accaduto all’inizio del secondo millennio, prima del Periodo Caldo Medievale (tra il 1010 e il 1035 circa), le previsioni del clima delle prossime decine di anni devono tenere conto di due scenari:

1. L’attività solare continua ad aumentare ulteriormente fino a dare origine, entro alcune decine di anni, ad un nuovo massimo prolungato come accaduto tra il 1050 e il 1090 d.C. circa. Ciò determinerebbe l’accentuazione dell’andamento climatico registrato nelle

Page 75: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

69

ultime decine di anni con una drastica riduzione delle precipitazioni piovose e un incremento della temperatura. Tale andamento sarebbe più precoce e accentuato nelle regioni meridionali (Puglia, Sicilia, Calabria, Basilicata e Sardegna) e interesserebbe gravemente i serbatoi idrogeologici carbonatici appenninici. Nelle aree costiere le nuove condizioni climatiche instaurerebbero una vera e propria desertificazione fino a circa 41-42° N.

2. L’incremento dell’attività solare viene interrotto da un periodo di alcune decine di anni di minima attività (come accadde con il minimo di Oort tra il 1010 e il 1035 circa) con conseguente marcato incremento delle precipitazioni piovose alimentate anche da venti umidi di origine nordoccidentale e occidentale anche nel periodo estivo e conseguenti diffusi catastrofici eventi alluvionali come quelli che hanno interessato l’Europa Centrale nell’agosto 2002. Successivamente l’attività solare subisce un rapido incremento fino a determinare un massimo prolungato della durata di oltre 1 secolo, come accaduto all’inizio del secondo millennio, determinando l’instaurazione di condizioni climatico-ambientali simili a quelle medievali (Effetto Serra del Terzo Millennio).

I dati relativi alle variazioni climatiche globali, acquisiti con le ricerche glaciologiche

effettuate con carotaggi profondi nelle calotte polari, evidenziano che nelle ultime centinaia di migliaia di anni vi sono stati numerosi periodi “caldi” simili all’Olocene, con una durata media compresa tra 10.000-12.000 anni circa, intercalati a lunghi periodi complessivamente freddi (glaciazioni).

Ne discende che gli ultimi millenni, a partire da 4000 anni a.C. circa, potrebbero già costituire la transizione verso il prossimo periodo freddo di lungo termine.

I dati paleoclimatici hanno consentito di ricostruire la seguente evoluzione:

– da 9000 a 4000-3800 a.C. circa Il Mediterraneo è stato caratterizzato da un periodo caldo complessivamente umido (precipitazioni piovose concentrate nel periodo estivo e rifornite da venti umidi di provenienza occidentale, alimentati dalla fascia tropicale oceanica, temperatura media più elevata dell’attuale di circa 2-4 gradi) interrotto ciclicamente da periodi caldo-aridi; tale periodo è stato caratterizzato dalla traslazione verso Nord di circa 8-10° di latitudine delle attuali fasce climatiche e è stato definito Mediterraneo Monsonico. Gli indicatori geoambientali più significativi sono rappresentati da croste carbonatiche intercalate ai suoli sepolti e da sabbie bioclastiche marine, diffuse dal Marocco, alla Libia e all’Italia.

– da 3800 a.C. a oggi In prevalenza si sono avute condizioni climatico-ambientali simili a quelle che hanno interessato l’Area Mediterranea dal 1850 ad oggi, interrotte da brevi intervalli (della durata di circa 100-150 anni) caratterizzati da condizioni sfavorevoli e da vere e proprie crisi ambientali (di tipo caldo-arido con desertificazione fino a 41-42°N e di tipo freddo-umido), che si sono succedute ciclicamente ogni 1000 anni circa; tale caratteristica è quella tipica del Clima Mediterraneo. I sedimenti che testimoniano vere e proprie desertificazioni, nelle aree attualmente umide, sono le sabbie eoliche ricoprenti suoli e siti archeologici costieri fino alla latitudine di circa 41-42° N. I suoli sepolti mettono in evidenza che essi si sono sviluppati prevalentemente su polvere eolica alloctona di alcuni decimetri di spessore, trasportata dai venti provenienti dai deserti dell’Africa (da SW) e del Vicino Oriente (da SE) durante brevi periodi caldi instauratisi in condizioni molto simili a quelle previste nel prossimo futuro in relazione all’accentuazione dell’effetto serra (attribuita da una parte all’incremento dei gas ad effetto serra di origine antropica).

Page 76: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

70

Il periodo compreso tra il XIX e XXI secolo, secondo la naturale ciclicità, rappresenterebbe la transizione verso il prossimo periodo caldo.

La durata dei picchi freddi denominati Piccola Età Glaciale Arcaica (500-350 a.C. circa),

Piccola Età Glaciale Altomedievale (500-750 a.C. circa) e Piccola Età Glaciale (1500-1850 circa) è progressivamente aumentata. La durata dei periodi caldi, denominati Effetto Serra Romano o Effetto Serra del Primo Millennio (100-300 d.C.) ed Effetto Serra Medievale o Effetto Serra del Secondo Millennio (1100-1270 d.C.) si è progressivamente ridotta. Almeno negli ultimi 2500 anni, quindi, si sarebbe manifestato un progressivo raffreddamento globale; tale dato potrebbe indicare che siamo vicini alla conclusione del periodo caldo olocenico.

I minimi significativi e prolungati di attività solare hanno determinato i periodi freddi (Piccole Età Glaciali) mentre i massimi significativi e prolungati hanno dato origine ai periodi più caldi (Periodi Caldo Romano e Medievale caratterizzati da desertificazione fino a 41-42° N). L’ultimo periodo freddo denominato Piccola Età Glaciale (raffreddamento massimo tra il 1570 e il 1740) si inquadra in una fase di 290 anni di scarsa attività solare (circa 180 anni di minimo) tra il 1420 (inizio del minimo di Sporer) e il 1715 circa (fine del minimo di Maunder). Il periodo caldo medievale, si è avuto in concomitanza con una fase di notevole attività solare tra il 1100 e 1270 circa, alla fine di un lungo periodo iniziato intorno al 920 d.C. (della durata complessiva di 330 anni), caratterizzato da crescente attività. Il periodo più freddo degli ultimi 500 anni è stato caratterizzato da una prevalenza di venti provenienti da NE. La seconda metà del secolo XVIII e il XIX secolo, corrispondenti al periodo più piovoso degli ultimi 500 anni, sono stati caratterizzati da una netta prevalenza di venti atlantici umidi provenienti da NW. Nel prossimo futuro si prevede l’intensificazione dei venti provenienti da SW, SE e W, come accaduto in passato durante i periodi caldi.

La prevista traslazione verso Nord di alcuni gradi delle condizioni climatiche mediterranee provocherà una sensibile una stagionalizzazione delle precipitazioni con conseguenti periodi di piene fluviali concentrate e di entità nettamente superiore a quelle attuali, anche nell’Europa centro-settentrionale, che dal 1750 circa (seconda metà della Piccola Età Glaciale) è stata caratterizzata da una distribuzione quasi omogenea delle piogge nei vari mesi dell’anno con conseguente costante regime idrologico fluviale. In base alla ciclicità millenaria, si prevede che la disastrosa alluvione dell’agosto 2002 sarà seguita da ripetuti eventi catastrofici che determineranno seri danni al consolidato assetto socio-economico dell’Europa centro-settentrionale.

Lo studio dell’attività solare recente e attuale può fare comprendere se l’incremento che ha caratterizzato il XX secolo (contemporaneamente all’inquinamento atmosferico antropogenico) rappresenti una transizione verso un nuovo massimo di attività, come quello che ha determinato il periodo caldo medievale, che in base alla variabilità ambientale naturale ciclica dovrebbe accentuarsi durante il XXI secolo.

Nel prossimo futuro (entro 100 anni) nell’Area Mediterranea dovrebbero instaurarsi condizioni climatico ambientali simili a quelle dell’Effetto Serra Medievale per cui le zone costiere dovrebbero essere interessate da desertificazione fino a circa 42° N di latitudine e da un sensibile ulteriore incremento della temperatura dell’acqua marina. Tale condizione dovrebbe determinare l’incremento della fauna con guscio e scheletro calcareo con conseguente sottrazione di ingenti volumi di bicarbonato dall’acqua del mare, come accaduto nei precedenti periodi caldi instauratisi negli ultimi millenni.

Il volume di sedimenti bioclastici accumulati lungo le fasce costiere del Mediterraneo durante il Periodo Caldo Medievale (“Effetto Serra Medievale” tra il 1100 circa e 1270 circa) è di circa un miliardo di m3 equivalenti a mille miliardi di kg di Carbonato di Calcio “prodotto ex novo” dalle acque marine costiere in circa 170 anni.

Page 77: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

71

Tale fenomeno, finora ignorato dalla letteratura scientifica, potrebbe innescarsi nuovamente con il progredire del riscaldamento connesso alla variazione climatica. L’enorme volume di sedimenti carbonatici accumulatisi in passato fornisce un interessante riferimento per valutare il ruolo che, a scala globale, anche le acque marine potrebbero giocare nel riequilibrare il ciclo della CO2.

Riteniamo che sia un grave errore attribuire le modificazioni climatiche attuali esclusivamente alla produzione di gas nocivi connessi alle attività umane; appare chiaro che le attività antropiche si sono intensificate, casualmente, proprio nel periodo di transizione climatica naturale. Tale contemporaneità può indurre in errore coloro che non comprendono l’articolazione, complessità e ciclicità dell’evoluzione climatico-ambientale.

Non si dimentichi che la variazione climatica ciclica, come accaduto nel passato, determinerà nuove condizioni ambientali lungo le fasce di confine tra le zone climatiche attuali instaurando condizioni ambientali che a volte saranno migliori e a volte saranno peggiori rispetto a quelle stabilizzatesi con la Piccola Età Glaciale.

In particolare trasformerà in terre umide una consistente porzione delle aree attualmente desertiche subtropicali.

La limitazione scientifica in cui si sviluppa il dibattito relativo alla variazione climatica e la conseguente inadeguatezza delle azioni internazionali determina un sostanziale ritardo nell’assumere responsabili azioni tese a “preparare” l’ambiente dell’Area Mediterranea (es. eliminazione degli sprechi idrici, depurazione e riutilizzazione delle acque di scarico, accumulo in bacini grandi e piccoli delle acque di ruscellamento, restauro geoambientale dei litorali, ecc.) in modo da attenuare i “danni ambientali” prevedibili per il prossimo futuro quando, specialmente nell’Italia centromeridionale, si accentuerà gravemente la diminuzione delle precipitazioni idriche e la conseguente disponibilità di acque dolci su cui si basano gran parte delle attività socio-economiche nazionali.

La storia dell’uomo e dell’ambiente degli ultimi millenni mette in evidenza una progressiva e ciclica modificazione climatico-ambientale che si manifesta con coerenza in periodi plurisecolari.

Alla luce di queste considerazioni è di fondamentale importanza lo studio dell’attività solare recente e attuale per cercare di comprendere se l’incremento dell’attività solare che ha caratterizzato il XX secolo rappresenta una transizione verso un nuovo massimo di attività come quello che ha determinato il periodo caldo medievale.

L’andamento dell’attività solare può consentire, sulla base dei dati relativi agli ultimi 2500 anni, di fare previsioni circa l’impatto sulle condizioni climatico-ambientali del prossimo futuro alle diverse latitudini.

Vanno avviate responsabili azioni, tese a prevenire e ridurre i danni, comprendenti: 1. adeguate leggi per l’uso sociale delle risorse idriche e il riequilibrio ambientale

mediante definizione di una “Royalty”, da investire nelle zone dalle quali viene sottratta la risorsa, sull’acqua prelevata e trasportata altrove;

2. interventi di difesa e tutela vera degli acquiferi; 3. captazione delle sorgenti sottomarine; 4. ricerca e individuazione delle risorse sotterranee strategiche; 5. ricerca per ricarica artificiale degli acquiferi; 6. piani per valorizzazione delle microrisorse per usi plurimi; 7. depurazione e uso delle acque di scarico; 8. interventi strategici per eliminare le perdite degli acquedotti; 9. ricerca sulla dissalazione;

10. ricerca sulla inseminazione delle nubi.

Page 78: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

72

Bibliografia di riferimento

Allocca F, Amato V, Coppola D, Giaccio B, Ortolani F, Pagliuca S. Cyclical Climatic-Environmental Variations during the Holocene in Campania and Apulia: Geoarcheological and Paleoethnological Evidence. Mem Soc Geol It 2000;55:345-52.

Alverson K, Oldfield F. Abrupt Climate Change. PAGES Newslett 2000;8:1.

Bard E, Labeyrie LD, Pichon JJ, Labracherie M, Arnold M, Duprat J, Moyes J, Duplessy JC. The last deglaciation in the southern and northern hemispheres: a comparison based on oxygen isotope, sea surface temperature estimates and accelerator 14C dating from deep-sea sediments. In: Bleil U, Thiede J (Ed.). Geological history of the polar oceans: Arctic versus Antarctic. Dordrecht: Kluwer Academic Pyblishers; 1990. p. 405-15.

Barker G, Hunt C. The role of climate and human settlement in the evolution of the Biferno Valley (Molise, Southern Italy). In: Livadie CA, Ortolani F (Ed.). Variazioni climatico-ambientali e impatto sull’uomo nell’area circum-mediterrabea durante l’Olocene. Atti del convegno CUEBC Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali “L’evoluzione dell’ambiente fisico nel periodo storico nell’area circum-mediterranea”. Ravello, giugno 1993. Bari: EDIPuglia; 2003. p. 17.

Bradley SR Jones PD. Little Ice Age summer temperature variations: their nature and relevance to recent global warming trends. The Holocene 1993; 3(4): 367-76.

Briffa K. Analysis of Dendrochronological variability and associated natural climates in Eurasia - the last 10.000 years (ADVANCE-10K). PAGES Newslett 1999;(7):1.

Brunetti M, Buffoni L, Mangianti F, Maugeri M, Nanni T. Climate variations in Italy in the last 130 years. In: Atti Convegno “Conoscenza e salvaguardia delle aree di pianura”. Ferrara, 8-11 novembre 1999. Bologna: Regione Emilia-Romagna; 2000.

Caiazza D, Guadagno G, Ortolani F, Pagliuca S. Variazioni climatico-ambientali e riflessi socio-economici nell’Alta Terra di Lavoro tra Antichità ed età di Mezzo. In: D’Amico C, Livadie CA (Ed.). Atti IV Giornata di Studio “Le Scienze della terra e l’Archeometria”. Napoli 20-21 febbraio 1996. Napoli: CUEN; 1997.

Cambi C, Dragoni W. Effetti delle variazioni climatiche sulle risorse idriche delle zone interne della regione italiana. In: Frega G (Ed.). Atti 18° Corso di aggiornamento Tecniche per la difesa dall’inquinamento. Cosenza, settembre 1997. Cosenza: Editoriale BIOS; 1998.

Camuffo D, Mazzoran A. Il clima in Valpadana nella Piccola età Glaciale dedotto dalle fonti scritte. Atti Convegno “Conoscenza e salvaguardia delle aree di pianura”. Ferrara 8-11 novembre 1999. Regione Emilia-Romagna, 1999.

Moller J, Langway CC. One thousand centuries of climatic record from Camp Century on the Greenland ice sheet. Science 1969; 166: 377

Dansgaard W, Johnsen SJ, Clausen HB, Dahl-Jensen D, Gundestrup NS, Hammer CU, Hvidbjerg CS, Steffensen JP, Sveinbj°rnsdottir AE, et al Evidence for general instability of past climate from a 250-Kyr ice-core record. Nature 1993; 364: 218-20.

Diodato N. Inquinamento atmosferico di fondo e clima dell’Appennino. AER Serv Met Reg Emilia Romagna 1997;10:11-4.

Jansen E, Koc N. Century to decadal scale records of Norwegian Sea surface temperature variations of the past 2 Millennia. PAGES Newslett 2000; 5: 1-15.

Jirikovic JL, Damon PE. The Medieval solar activity maximum. Clim Change 1994; 26: 309-16.

Jouzel J, Lorius C, Johnsen S, Grootes P. Climate instabilities: Greenland and Antarctic records. C R Acad Sci Paris 1994;t.319 (serie II):65-77.

Hodell DA, Curtis JH, Brenner M. Possible role of climate in the collapse of Classic Maya civilization. Nature 1995;375:391-4.

Page 79: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

73

Knox JC. Large increases in flood magnitude in response to modest changes in climate. Nature 1993;361:430-2.

Lamb HH. Climate, history and the modern world. London: Routledge; 1982.

Larsen E, Sejrup HP, Johnsen SJ, Knudsen KL. Do Greenland ice cores reflecte NW European interglacial climate variations? Quaternary Research 1994;43:125-32.

Le Roy Ladure E. Histoire du climat depuis l’an mil. Paris: Flammarion; 1983.

Mack GH, James WC. Paleoclimate and the global distribution of paleosols. J Geol 1994;102:360-6.

Magny M. Une histoire du climat. Paris: Editions Errance; 1995.

Maley J. Commentaires sur la note de D. Schwartz “Mise es evidence d’une péjoration climatique entre ca. 2500 et 2000 ans B.P. en Afrique tropicale humide”. Bull Soc Geo Fr 1992;163(3):363-5.

Ortolani F. Dal danno al restauro geoambientale. Aspetti tecnici e prospettive socio-economiche. In: Agenzia Regionale Protezione Ambiente Campania (Ed.). Il danno ambientale prevenzione responsabilità risarcimento. Napoli: ARPAC; 2000.

Ortolani F, Pagliuca S, Toccaceli RM. Osservazioni sull’evoluzione geomorfologica olocenica della piana costiera di Velia (Cilento, Campania) sulla base di nuovi rinvenimenti archeologici. Geogr Fis Dinam Quat 1991;14:163-9.

Ortolani F, Pagliuca S. Climatic variations and crises in the anthropized environment in the Mediterranean Region. Proc Geosciences & Archaelogy Seminar 1993;70:113-26.

Ortolani F, Pagliuca S. Variazioni climatiche e crisi dell’ambiente antropizzato. Il Quaternario 1994;7(1).

Ortolani F, Pagliuca S. Indicatori geologici di modificazioni climatiche e crisi ambientali cicliche nell’area mediterranea durante il periodo storico. In: Atti del 77° Congr Soc Geol It Bari, 23 settembre-1 ottobre 1994. Bari: Società Geologica Italiana; 1995.

Ortolani F, Pagliuca S. Evidenze geoarcheologiche di desertificazione ciclica nella zona di Selinunte (Sicilia sud-occidentale) in relazione alle variazioni climatiche dell’area mediterranea. In: Atti 1° Convegno del Gruppo Naz di Geol Appl “La città fragile in Italia”. Giardini Naxos, 11-15 giugno 1995. Geol Appl e Idrog 1995.

Ortolani F, Pagliuca S. Variazioni climatico-ambientali nel periodo storico nell’area Mediterranea: evidenze geoarcheologiche di cicliche crisi ambientali tipo “Effetto Serra”. In: Convegno “Il ruolo della geomorfologia nella geologia del Quaternario”, Napoli, 27-29 febbraio 1996. Napoli: Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti; 1996.

Ortolani F, Pagliuca S. Historical climatic-environmental variations in the Mediterranean area: geoarchaeological evidences of cyclic warm-arid environmental crysis (“Hozone Hole” type?). Workshop IGBP PAGES, CNR Roma, 25-26 marzo 1996.

Ortolani F, Pagliuca S. Evidenze geologiche di cicliche variazioni climatiche e modificazioni dell’ambiente fisico “tipo effetto serra” durante il periodo storico nell’area mediterranea. In: 1° Forum Italiano di Scienze della Terra. Bellaria, 5-9 ottobre 1997. Belluria: Geoitalia; 1997.

Ortolani F, Pagliuca S. Variazioni climatiche cicliche e modificazioni dell’ambiente fisico “tipo effetto serra” durante il periodo storico nell’area mediterranea. Previsioni per il prossimo futuro. Atti 18° Corso di aggiornamento “tecniche per la difesa dall’inquinamento”. Settembre 1998. Cosenza: Editoriale Bios; 1998.

Ortolani F, Pagliuca S. Modificazioni geoambientali cicliche verificatesi negli ultimi millenni nell’Area Mediterranea e previsione dell’impatto sull’ambiente antropizzato del prossimo “Effetto Serra”. Atti Workshop su Global Change IGBP 2000. Roma: CNR; 2000.

Ortolani F, Pagliuca S. Evoluzione ed erosione dei litorali della Campania. Linee guida per ilo restauro geoambientale e la valorizzazione e tutela delle aree costiere. “L’area costiera Mediterranea”. Napoli: Giannini; 2000.

Page 80: cause - Istituto Superiore di Sanità

Rapporti ISTISAN 05/10

74

Oslisly R, Dechamp R. Découvert d’une zone d’incendie dans la foret ombrophile du Gabon ca 1500 B.P. Essai d’explication anthropique et implications paléoclimatique. C R Acad Sci Paris 1994; 318(2):555-60.

Pagliuca S. Evoluzione geologica olocenica della bassa pianura del fiume Volturno. In: 1° Forum Italiano di Scienze della Terra. Bellaria, 5-9 ottobre 1997. Bellaria; Geoitalia: 1997.

Panessa G. Fonti greche e latine per la storia dell’ambiente e del clima nel mondo greco. Pisa: Scuola Normale Superiore; 1991.

Paskoff R, Trousset P. Transformations de l’environnement physique sur le littorale de la Tunisie depuis l’Antiquitè. Atti Conv CUEBC 1993

Pinna M. Climatologia. Torino: UTET; 1977.

Pichard G. Les crues sur le bas Rhone de 1500 à nos jours. Pour une histoire hydro-clymatique. Mediterranée 1995;3-4:105-16.

Shaopeng H, Pollack HN. (1999) - Global database of borehole temperatures and climate reconstructions. PAGES Newsletter 1999;7(2).

Schonwiese CD, Ullrich R, Beck F, Rapp J. Solar signals in global climatic change. Climatic Change 1994;27:259-81.

Schwartz D. Assechement climatique vers 3000 B.P. et expansion bantu en Afrique centrale atlantique: quelques réflexions. Bull Soc Geol Fr 1992;163 (3):353-61.

Stuiver M, Braziunas TF. Athmosferic 14C and century-scale solar oscillations. Nature 1989; 338: 405-7.

Stuiver M, Braziunas TF, Becker B, Kromer B. Climatic, solar, oceanic, and geomagnetic influences on late glacial and holocene atmospheric

14C/

12C change. Quatern Resear 1991;35:1-24.

Stuiver M, Quay PD. Changes in atmospheric Carbon-14 attributed to a variable sun. Science 1980;207:11.

Stuiver M, Pearson GW. High-Precision Calibration of the Radiocarbon Time Scale A.D. 1950-500 BC. Radiocarbon 1986;28 (2B):805.

Thouveny N, Williamson D. Palaeomagnetic secular variations as a chronological tool for the Holocene. Palaeoclimate Research 1991;6:15-27.

Tyson PD, Lindesy JA. The climate of the last 2000 years in southern Africa. The Holocene 1992;2:271-8.

Veggiani A. I deterioramenti climatici dell’età del ferro e dell’alto medioevo. Torricelliana Boll Soc Sci e Lett 1995;45.

Vidal-Naquet P. Il nuovo atlante storico. 2a ed. Bologna; Zanichelli: 1993.

Vita Finzi C. The mediterranean valleys: geological changes in historical times. Cambridge; Cambridge Univ. Press: 1969.

Zicheng Y, Emi I. Historical Solar Variability and Mid-continent Drought. PAGES Newsletter 2000;8:2.

Page 81: cause - Istituto Superiore di Sanità

La riproduzione parziale o totale dei Rapporti e Congressi ISTISAN deve essere preventivamente autorizzata.

Le richieste possono essere inviate a: [email protected].

Stampato da Tipografia Facciotti srl Vicolo Pian Due Torri 74, 00146 Roma

Roma, giugno 2005 (n. 2) 10° Suppl.