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Qualità
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Carne: «Niente allarmismi! I problemi solo con l’abuso»
«Stop agli allarmismi sulle carni rosse». «È un atto di
terrorismo». Così, rispettivamente, la Coldiretti astigiana e
quella alessandrina, in risposta alla notizia di rischio di
neoplasie legate al consumo di carne rossa e insaccati lanciata
dall’International Agency for Reserarch on Cancer (IARC)
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Osm). A parlare sono
Roberto Cabiale presidente di Coldiretti Asti e Roberto Paravidino
di Coldiretti Alessandria con il contributo del nutrizionista
Giorgio Calabrese. «Lo studio dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità sul consumo della carne rossa, letto in maniera distorta,
sta creando un falso allarmismo deleterio per i nostri allevamenti»
cita il comunicato Coldiretti. «Malgrado la comprensibile
preoccupazione per le ripercussioni momentanee sul settore -
afferma Cabiale - è una campagna allarmistica del tutto immotivata,
soprattutto se si considera che la qualità della carne italiana,
dalla stalla allo scaffale, è diversa e migliore e che i cibi sotto
accusa, come hot dog e bacon, non fanno parte della tradizione
nostrana». In linea anche Calabrese: «L’utilizzo moderato della
carne è solo salutista. I problemi insorgono se c’è un abuso, come
per ogni altro tipo di alimento, ma gli italiani di certo non
abusano nei consumi di carne». Le statistiche dicono che gli
italiani consumano mediamente dai 70 ai 100 grammi di carne (sia
rossa sia bianca) due volte a settimana, più 25 grammi di insaccati
a settimana. «Siamo sicuramente al di sotto del limite minimo -
prosegue Calabrese - il problema è degli americani, dei Paesi
anglosassoni in generale, la cui dieta prevede la carne, il bacon e
gli hot dog fin dal mattino e poi - aggiunge il noto nutrizionista
- Ma di cosa stiamo parlando? Piuttosto occupiamoci di come viene
cucinata la carne». «Non dimentichiamo - sottolinea Cabiale - come
in Italia, al contrario di altri Paesi, i controlli sugli
allevamenti vengono disposti dal Ministero della Sanità e non dal
Ministero dell’Agricoltura». Ad ogni buon conto, a rassicurare i
consumatori italiani è lo stesso studio dell’Oms quando afferma
chiaramente che «è necessario capire quali sono i reali margini di
rischio ed entro che dosi e limiti vale la pena di preoccuparsi
davvero». Altrettanto importante è capire esattamente di quali tipi
di carne e di quali sistemi di lavorazione si sta realmente
parlando quando si punta il dito contro la carne. «È un atto di
terrorismo - aggiunge Roberto Parvidino, presidente Coldiretti
Alessandria - le carni Made in Italy sono più sane, perché magre,
non trattate con ormoni e ottenute nel rispetto di rigidi
disciplinari di produzione “Doc” che assicurano il benessere e la
qualità dell’alimentazione degli animali tanto da garantire agli
italiani una longevità da primato con 84,6 anni per le donne e i
79,8 anni per gli uomini». Bisogna tuttavia tenere presente che il
rapporto Oms è stato eseguito su scala globale e su abitudini
alimentari molto diverse tra loro: gli statunitensi consumano il
60% di carne in più degli italiani e, i cibi sotto accusa come hot
dog, bacon e affumicati, non fanno parte della tradizione italiana.
Dal punto di vista qualitativo la carne italiana è meno grassa e la
trasformazione in salumi avviene naturalmente solo con il sale e
senza l’uso dell’affumicatura messa sotto accusa dall’Oms. Questa
vicenda conferma la necessità di accelerare nel percorso
dell’obbligo di etichettatura d’origine per tutti gli alimenti, a
partire dai salumi. «Nessun allarmismo - conclude Piero Ameglio,
presidente provinciale Cia Alessandria e allevatore di Razza
Piemontese ad Altavilla - ma solamente attenzione alle scelte che
effettuiamo a tavola». Chiara Cane
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data 02/11/15
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Chirurghi schiacciati dal contenzioso
Il contenzioso medico legale condiziona lo stato d’animo del 62%
dei chirurghi quando si trovano in sala operatoria, influenza per
il 70% circa sia le scelte terapeutiche sia l’iter diagnostico. È
quanto emerge da un sondaggio commissionato dal Collegio italiano
dei chirurghi (Cic) per testare quanto il rischio di un contenzioso
legale influenzi le scelte. «È chiaro - afferma il presidente del
Cic Nicola Surico - che il contenzioso medico legale rappresenta la
prima preoccupazione dei chirurghi, in molti casi toglie loro
l’indispensabile serenità per svolgere al meglio il proprio lavoro,
ma non solo: incide fortemente sulla qualità delle prestazioni
erogate ai pazienti. Il timore di un’azione
giudiziaria, in mancanza di forti e sicure tutele assicurative,
espone il chirurgo a rischi che esulano dalla propria competenza.
Per questi motivi abbiamo chiesto, per anni, a gran voce
l'approvazione di una legge sul rischio clinico. «La querela
temeraria contro i medici - conclude Surico - sta creando una
situazione molto pericolosa, che fa aumentare i costi della
cosiddetta medicina difensiva, che superano ormai i 13 miliardi,
una cifra spaventosa. Migliaia di azioni civili e penali ogni anno,
nonostante si concludano con il 98% di proscioglimenti in sede
penale e l'80% di assoluzioni in sede civile, causano effetti
devastanti sul sitema sanitario: demotivazione degli operatori
sanitari con spinta a scelte non serene talvolta omissive;
elevatissimi costi in termini di medicina difensiva; lievitazione
abnorme dei premi assicurativi. Di fronte a questa evidenza, è
indispensabile intervenire subito con una legge efficace che fissi
alcuni principi giuridici fondamentali: l’onere della prova deve
essere a carico del paziente; la prescrizione deve essere quella
prevista dall’art. 2947 codice civile, quindi ferma a cinque anni,
a meno che non si voglia un trattamento deteriore del medico
rispetto a tutti gli altri cittadini, e dovrà farsi decorrere
dall’atto medico».
I costi standard sono costi giusti? Dipende Nonostante il
sistema sanitario nazionale abbia i conti in ordine da almeno due
anni e produca anche qualche centinaio di milioni di avanzo
(rapporto Oasi Bocconi 2014) continua il pressing sul tema del
controllo dei costi perché si pensa che il Ssn sia inefficiente.
Nello specifico con l’approvazione della legge 42/2009 si passa dal
criterio del costo storico a quello del costo standard. Nella Norma
vengono definiti i due termini nel seguente modo: (cfr sito Sna,
scuola nazionale di amministrazione): - «Costo storico: indica
quanto storicamente si è speso per un determinato servizio. In
passato si è seguito il criterio del costo storico: quanto veniva
trasferito alle varie Regioni sotto forma di trasferimenti
dipendeva da quanto una Regione aveva speso nell’anno precedente. -
Costo standard: indica il costo di un determinato servizio, che
avvenga nelle migliori condizioni di efficienza e appropriatezza,
garantendo i livelli essenziali di prestazione. Secondo quanto
sancito nella legge 42/2009 il costo standard è definito prendendo
a riferimento la Regione più “virtuosa”, vale a dire quella Regione
che presta i servizi ai costi più efficienti». Sembra quindi una
soluzione perfetta che garantisca attraverso un tecnicismo di
portare o riportare il Ssn verso logiche di efficienza; purtroppo
cosi non è e provo a illustrare il perché. Primo: si fa confusione
tra spesa e costo. La spesa e il costo non sono la stessa cosa, la
spesa è quante risorse finanziarie utilizziamo per acquisire un
bene o un servizio mentre il costo è l’utilizzo di fattori
produttivi per la produzione di un bene o servizio. Per capirci la
spesa è acquistare la ricarica di un cellulare ma sostengo un costo
solo quando utilizzo il cellulare. Dal punto di vista contabile la
questione non è di poco
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conto e quindi dal punto di vista manageriale pure. Secondo:
dire che una Regione è virtuosa se presta i servizi ai costi più
bassi è molto pericoloso perché potrebbe indurre le strutture a
occuparsi solo dei pazienti meno complessi e meno costi, dei
farmaci a brevetto scaduto e non quelli contro l’epatite C,
notoriamente molto costosi. Non si vuole certo dire che i criteri
di efficienza non siano necessari ma non sono gli unici e
certamente in sanità non sono i più importanti. È chiaro ed
evidente che per la sanità il vero criterio sia l’efficacia, cioè
la bravura degli operatori, la capacità di curare i malati
ovviamente con il vincolo delle risorse e il corretto utilizzo dei
fattori produttivi (anzi il vero tema dei prossimi anni è la
clinical compentence, cioè se i professionisti producono volumi
tali da poter garantire competenze, si veda ad esempio la
strarodinaria ricchezza del Piano nazionale Esiti in questo senso).
Se passasse la logica che una Regione è virtuosa perché è
efficiente passerebbe un concetto in cui la misurazione delle
performance di un ospedale debba essere solo finanziaria cioè sulla
spesa e penso che non siano molti d’accordo. I costi standard
ammesso che abbiano un senso in sanità porterebbero a una enfasi
economicista derivante dall’errata idea che esista un costo giusto.
Terzo: cosa si intende per costo delle prestazioni? Esiste un modo
oggettivo per calcolare il costo di produzione di un prodotto? La
risposta è no. Alla domanda quanto costa una tac? Quanto costa una
risonanza? La risposta è dipende, dipende da come imputo i costi
indiretti (cioè non direttamente imputabili all’oggetto di costo),
dipende da tanti fattori, dipende da come costruisco il mio sistema
di contabilità analitica. Senza entrare in inutili tecnicismi è
importante sottolineare come non esista un costo giusto e
certamente non lo sia il costo standard. Banalmente il costo di
produzione dipende da tante variabili, dipende dalla logistica del
paziente, dipende dal case mix di quell’ospedale, appunto dipende.
Qualcuno però potrebbe dire che non è possibile che il costo di
gestione di un paziente con frattura di femore debba essere diverso
da ospedale a ospedale: come non è possibile? È ovvio ed evidente
che non può che essere così: basti pensare che ci sono ospedali a
padiglioni e ospedali monoblocco, ospedali in montagna e ospedali
in città, ospedali grandi e ospedali più piccoli, questi avranno
costi di funzionamento diversi. Chi è convinto che se una
prestazione (una risonanza ad esempio) costi meno in una struttura
sia necessariamente meglio? Magari costa meno solo perché ha una
macchina più obsoleta e meno precisa, o ha meno personale (e non è
necessariamente meglio). Gli argomenti mi sembrano quindi
sufficienti per sostenere che i costi standard in sanità siano una
semplificazione di metodo utilizzata solo in parte e per altri con
molti accorgimenti da imprese che fanno bulloni, scarpe, prodotti
in serie cosa molto distante dalla gestione di un anziano non
autosufficiente che vive in una vallata o in una periferia delle
nuove città metropolitane. Questo non vuol dire che non si debbano
tenere i costi sotto controllo anzi, ma che lo si deve fare
riscoprendo le logiche e le tecniche di una economia aziendale che
ha appunto nel concetto di azienda la sua centralità. Da ultimo è
importante evidenziare come, di solito, di fronte a queste
argomentazioni su tema dei costi standard vi sia sempre chi porti
l’esempio della siringa e di come non sia possibile che una siringa
abbia costi cosi diversi nei differenti contesti nazionali.
Verissimo, peccato però che quello che noi attribuiamo alla siringa
non sia un costo ma un prezzo di acquisto. La cosa non è da poco
perchè allora la questione non è di contabilità dei costi ma di
politiche di acquisto che sono tutta un’altra cosa e riguarda a
come si fanno le gare di acquisto dei beni e dei servizi, che ci
impone di riflettere sull’efficacia di Consip e a come si fanno le
gare d’appalto in Italia. Ma questo è un altro tema. Emanuele
Vendramini
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Spese, entra in scena la centrale supplente
Centralizzare gli acquisti per razionalizzare (cioè ridurre) la
spesa. I beni e servizi acquistati dalla Pa sono ancora una volta
nel mirino della legge di stabilità. In un crescendo normativo che
data dall’anno 2000, con il debutto della Consip, per approdare ai
“Soggetti aggregatori” del 2014. Passando per le “Centrali di
committenza” regionali (2006) e le “Stazioni uniche appaltanti”
(2011). Si è stratificato con ciò un quadro regolatorio in tema di
public procurement , in cui, anche per via delle ripetute
reiterazioni normative, è sempre più arduo districarsi. Da ultimo,
con l’istituzione dei “Soggetti aggregatori” il legislatore ha
inteso imprimere una accelerazione al processo di razionalizzazione
della domanda, convogliandola da 35.000 stazioni appaltanti a 34
Soggetti aggregatori. Con drastica riduzione delle procedure e
connessi rischi corruttivi e, sulla carta, ottenimento di prezzi
migliori per aumentata quantità di contratto. Da un lato obbligando
le regioni ancora refrattarie ad organizzare la concentrazione
della domanda di B&S, dall’altro prevedendo la messa in rete
(obiettivo non nuovo, ancorché inattuato) della galassia delle
Centrali di committenza, attive e neofite. Il tutto accompagnato
dal tentativo, sembra, di affrontare con metodo alcune delle
criticità strutturali che condizionano i processi di
razionalizzazione e concentrazione della domanda. Il presupposto
Hta Un segnale in tal senso viene dalla legge di stabilità 2016 ed
è dato dalla previsione del divieto di replicazione in ambito
locale delle attività di Health technology assessment, da
riportarsi a livello regionale o nazionale, in linea con quanto
previsto dal Piano per la salute 2014-2016. La valutazione di Hta
dei dispositivi medici è un presupposto imprescindibile per un
corretta configurazione del bisogno e della conseguente domanda da
posizionare sul mercato. L’assenza di indicatori oggettivi e
validati di appropriatezza, performance e costo di impiego dei
dispositivi medici (la principale voce di spesa tra i B&S),
determina una scarsa qualità dei relativi processi di acquisto,
quanto meno dal punto di vista del rapporto costo-beneficio. Più in
generale, la legge si stabilità 2016 prevede specificamente per gli
enti del Ssn l’obbligo (già peraltro rinvenibile nel previgente
ordinamento) di approvvigionarsi, relativamente alle categorie
merceologiche del settore sanitario, come individuate sulla base
delle analisi del “Tavolo dei soggetti aggregatori”, avvalendosi in
via esclusiva delle centrali regionali di committenza di
riferimento, quali Soggetti aggregatori, ovvero della Consip. Il
riposizionamento della domanda Per le aziende sanitarie è la
conferma di un percorso di revisione e riposizionamento della
domanda da tempo avviato, che può evidenziare best practices a
beneficio dei nuovi soggetti aggregatori. Di innovativo nella legge
di stabilità c’è la funzione di “supplenza” che i soggetti
aggregatori più strutturati devono svolgere a favore di quelli non
disponibili o immediatamente operativi. Infatti, qualora il
soggetto aggregatore territorialmente competente non sia in grado
di far fronte alla richiesta di approvvigionamento di un ente
sanitario, deve cercarsi e individuare un sostituto. Altra novità è
la legittimazione normativa - sia pure indiretta - della “proroga
tecnica” di un contratto in scadenza in attesa dell’operatività del
contratto aggiudicato dalla centrale di committenza. Viene poi
stabilita ex novo una soglia di importo di 1.000 euro relativamente
all’obbligo di approvvigionarsi al mercato elettronico della
pubblica amministrazione (Mepa). Il programma biennale degli
acquisti Tra le misure trasversali vi è l’obbligo per le pubbliche
amministrazioni di approvare e pubblicizzare il programma biennale
(con aggiornamento annuale) degli acquisti di beni e servizi di
importo stimato superiore a 1.000.000 di euro. Tali dati vanno
trasmessi anche al Tavolo tecnico dei Soggetti aggregatori, per le
proprie attività programmatorie. Esso deve elaborare i fabbisogni
di acquisto di beni e servizi delle amministrazioni e favorire la
pianificazione integrata e coordinata delle iniziative dei soggetti
aggregatori. Il Tavolo tecnico è tenuto a individuare, entro il 31
dicembre di ogni anno, una lista delle categorie dei beni e dei
servizi nonché a determinare le soglie di loro valore al
superamento delle quali le Pa devono necessariamente ricorrere a
Consip e/o agli altri Soggetti Aggregatori per lo svolgimento delle
relative procedure d’acquisto. È prevista poi a carico del Mef
un’attività di tipizzazione degli aspetti contenutistici e
prestazionali delle convenzioni Consip e relativi prezzi di
riferimento.
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RASSEGNA STAMPA WEB 02/11/2015
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Il capitolo Ict È prevista anche la razionalizzazione dei
processi di approvvigionamento di beni e servizi relativi
all’information e communication technology delle pubbliche
amministrazioni, le quali sono tenute a redigere un piano triennale
soggetto a validazione da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale,
così come devono sottoporre all’Agenzia medesima gli acquisti gli
schemi di contratti, qualora il loro valore lordo sia superiore a
euro 500.000 nel caso di procedura negoziata e a euro 1.500.000 nel
caso di procedura ristretta o di procedura aperta. Dispone ancora
la legge di stabilità che le Pa assegnino ai singoli centri di
costo obiettivi annuali di ricorso agli strumenti Consip o dei
Soggetti aggregatori. Con il 2016 i Soggetti aggregatori sono
attesi alla prova dei fatti. Alle prese con quelle complessità che
hanno sin’ora condizionato i processi di razionalizzazione della
domanda e che rendono credibili obiettivi di sostanza - economie di
spesa significative comprese - solo se proiettati nel medio
periodo. I rischi di velleitarismo e di flop sono dietro l’angolo.
Al di là degli annunci, l’efficienza della «centralizzazione di
sistema» dipenderà dalla quota di spesa pubblica per beni e servizi
che verrà unificata e transata dai Soggetti aggregatori. Un
percorso inpervio. Basti considerare che in sanità, nella rincorsa
al perseguimento di risultati anche di facciata, si sono già
compattati su base di area vasta o regionale la più parte dei
fabbisogni di B&S ad alto impatto economico standardizzati, o
standardizzabili a processi produttivi invariati (farmaci, ecc.).
Si fanno rientrare nel fatturato esibito anche procedure
centralizzate che mascherano fabbisogni non accorpati (lotti
“aziendali”), o acquisti non soggetti a concorrenza, quindi neutri
sotto il profilo della centralizzazione. La scommessa,
ragionevolmente per il medio periodo, è aggredire quel rimanente
50% e oltre di spesa per beni e servizi che non si è ancora
riusciti a «revisionare». Marco Boni
Acquisti centralizzati, Assobiomedica: «Innovazione a rischio e
derive monopolistiche»
«Se con la centralizzazione degli acquisti prevista dalla legge
di Stabilità si pensa di ottenere risparmi smisurati dalla Sanità
il rischio di impoverire ulteriormente il nostro Servizio sanitario
diventa enorme. Ci auguriamo piuttosto che non si continui a
percorrere la strada degli ultimi anni, ovvero quella delle gare al
massimo ribasso che guardano principalmente al prezzo, considerando
solo in secondo luogo il livello d'innovazione e qualità delle
prestazioni e dei servizi offerti. I dispositivi medici non sono
commodities, ma prodotti ad alta tecnologia, frutto di ricerca
qualificata e orientati alla personalizzazione sulle specifiche
esigenze del paziente. Non sono quindi per natura
standardizzabili». Questo il commento del Presidente di
Assobiomedica, Luigi Boggio, sulle misure previste per gli acquisti
nella Legge di Stabilità 2016. «Le centralizzazioni spinte – ha
dichiarato il presidente di Assobiomedica – non fanno che agevolare
i monopoli su scala nazionale, abbassare la qualità dei servizi e
limitare l'accesso dell'innovazione che caratterizza il nostro
settore. Un nuovo dispositivo, magari appena lanciato sul mercato
da una start-up, non entrerà mai in una struttura ospedaliera se si
continueranno a fare meri calcoli volti al risparmio e ad
acquistare massificando i prodotti. Anche il mondo
medico-scientifico deve essere messo in condizione di poter
scegliere e sperimentare nuove tecnologie altrimenti la nostra
Sanità pubblica non si rinnova. Per garantire appropriatezza negli
acquisti e combattere gli sprechi andrebbero piuttosto fatte gare
che siano specifiche per ogni settore merceologico e considerino le
caratteristiche tecniche di determinati dispositivi, oltre a molti
altri aspetti che accompagnano la fornitura di una specifica
tecnologia: l'assistenza tecnica, la formazione del personale
medico-sanitario, la fornitura di strumenti e servizi accessori.
Introdurre politiche di acquisto poco idonee al settore non aiuta
ad affrontare il problema della spesa sanitaria in modo serio nè
appropriato».
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RASSEGNA STAMPA WEB 02/11/2015
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http://www.regione.piemonte.it/cms/index.php 02/11/15 Pagina
Web
Una strategia organica contro la povertà L’assessore regionale
alle Politiche sociali, Augusto Ferrari, intervendo il 30 ottobre a
Torino conferenza stampa organizzata da Raggruppamento regionale
del Piemonte dell'Alleanza contro la Povertà in collaborazione con
il Forum regionale del Terzo Settore sul tema del reddito per
l'inclusione sociale e gli investimenti per il welfare”, si è
soffermato su uno dei temi cardine del Patto per il sociale della
Regione Piemonte: le politiche di contrasto alla povertà.
“L'ampliamento della fascia di povertà e di vulnerabilità sociale,
esploso negli ultimi anni - ha affermato l'assessore - richiede che
si vada oltre la logica emergenziale. La Regione deve assumere il
ruolo primario di costruire una strategia organica e complessiva
tramite la cooperazione con tutte le risorse presenti e operanti
nelle comunità locali. Le azioni mirano ad integrare linee di
intervento riguardanti: sostegno al reddito e accompagnamento al
reinserimento socio-lavorativo, politiche di sostegno al diritto
dell'abitare, interventi di sostegno alimentare”. Secondo Ferrari
“l'obiettivo primario è costruire un piano regionale contro la
povertà e per l'inclusione sociale che abbia una valenza biennale
2016-2017 e si inserisca, coerentemente, all'interno di una più
complessiva progettualità nazionale orientata a introdurre nel
nostro Paese uno strumento di contrasto alla povertà assoluta. Per
questo vogliamo definire una modalità di azione integrata con
l'Assessorato al Lavoro e alla Formazione professionale attraverso
l'istituzione di un laboratorio partecipato dagli enti gestori
delle funzioni socio-assistenziali, dai sindacati e dalle
organizzazioni del volontariato e del terzo settore. Tuttavia, per
riuscire ad essere incisivi e a dare risposte concrete ad un
fenomeno che si sta estendendo e richiede un nostro intervento
tempestivo, è fondamentale che tutti gli attori del mondo sociale
escano dal proprio individualismo e si impegnino a collaborare, al
di là dei singoli interessi” . Infine, l’assessore ha ricordato che
“anche a livello nazionale, nel luglio scorso, è iniziato un
confronto con il ministro Poletti sul tema della lotta alla
povertà, che sta proseguendo e che vede impegnati Regioni e
Ministero. Sicuramente ci sono delle criticità, quali, per esempio,
quelle rappresentate dallo stanziamento di risorse economiche
certe, ma credo che questo tavolo possa essere un primo importante
passo nella direzione giusta per creare una sinergia tra tutti i
soggetti coinvolti”.
notizie tratte dal giornale-radio
pagina web
Al via la campagna di vaccinazione antinfluenzale. Ecco gli
orari degli ambulatori della provincia
Parte questo lunedì 2 novembre la campagna di vaccinazione
contro l'influenza. Il virus, lo scorso anno, tra metà ottobre e
fine aprile, ha colpito oltre 600.000 piemontesi, con aumento di
accessi al Pronto Soccorso e di ricoveri in ospedale. Come ogni
anno, il Servizio sanitario offre gratis il vaccino ai piemontesi
con più di 64 anni e che soffrono di malattie croniche. Info sul
sito della Regione o da medici di base, pediatri di famiglia o ai
servizi vaccinali delle Asl.
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Di seguito indirizzi e orari degli ambulatori della provincia
dove è possibile vaccinarsi
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data 02/11/15
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Eternit Bis: aggiunti altri 116 casi di morti d'amianto
Novantanove riguardano le vittime degli stablilimenti italiani,
altri diciassette gli ex lavoratori in Svizzera Altri 116 casi di
morti d'amianto sono stati inseriti dalla procura di Torino nel
processo Eternit Bis, attualmente sospeso e al vaglio della Corte
Costituzionale. Si tratta prevalentemente di ex lavoratori dei
quattro stabilimenti italiani dell'Eternit (Casale Monferrato,
Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli) e di 17 italiani (in prevalenza
veneti e pugliesi, ma anche piemontesi) che prestarono servizio in
due filiali in Svizzera e che morirono per malattie amianto
correlate sul suolo italiano. Questi casi si aggiungono ai 258 già
contestati al magnate svizzero Stephan Schmidheiny, accusato di
omicidio volontario, alla cui posizione (anche se un numero di casi
assai minore) sarà unita quella del fratello Thomas. Inoltre il pm
Raffaele Guariniello e i suoi collaboratori stanno analizzando casi
tra gli ex lavoratori di filiali della multinazionale a Siracusa e
in Brasile, che potrebbero essere a loro volta inseriti nel
fascicolo. Redazione On Line
Afeva, l'11 novembre il presidio a Roma per protestare contro la
disparità di trattamento fra malati d'amianto
La lettera indirizzata dall'Associazione al ministro del Lavoro
Giuliano Poletti Si svolgerà mercoledì 11 novembre, dalle 10 alle
16, il presidio di Afeva, sindacati e Anmil a Roma, davanti alla
sede del ministero del Lavoro per protestare, soprattutto, contro
la disparità di trattamento per l'accesso al Fondo Vittime
dell'Amianto dei malati civili di mesotelioma (cioé chi ha
contratto la malattia per esposizione ambientale o familiare)
rispetto a chi invece si è ammalato per aver lavorato direttamente
la micidiale fibra. Questa la lettera indirizzata al ministro
Giuliano Poletti, firmata da Cgil, Cisl, Uil, Afeva, Aiea
(Associazione Italiana Esposti Amianto) e Anmil: “Signor Ministro,
con la presente, le scriventi Organizzazioni Sindacali, l’Anmil e
le Associazioni Vittime Amianto, La informano che nella giornata di
mercoledì 11 Novembre 2015, effettueranno un presidio presso la
sede del suo Ministero in Via Veneto per manifestare il dissenso
verso il Decreto da lei emanato sull’accesso al Fondo vittime
dell’amianto dei malati civili di mesotelioma”. “Il Decreto da Lei
emanato – proseguono sindacati e associazioni – disattende le
attese delle persone malate di mesotelioma e non coglie lo spirito
e il senso delle lotte portate avanti dal movimento sindacale che
hanno ispirato la nascita della Legge che ha istituito il Fondo a
favore delle vittime di mesotelioma”. “Evidenziamo il fatto che
Ella abbia ignorato quanto la sua stessa amministrazione aveva
predisposto e regolamentato circa la consultazione degli Organi
Amministrativi del Fondo”. “Con questo Decreto non vengono colte le
nostre osservazioni e proposte, dobbiamo rimarcare inoltre che le
risorse dedicate non sono sufficienti per riconoscere adeguate
risposte alle Vittime civili e non sono chiare inoltre le modalità
con cui sono stati ricostruiti i dati dei malati di Mesotelioma
attuali e futuri”. “Con la nostra manifestazione vogliamo quindi
esprimere il nostro dissenso e Le chiediamo un incontro urgente al
fine di sanare le incongruenze contenute nel Decreto in
oggetto”.
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RASSEGNA STAMPA WEB 02/11/2015
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“Crediamo sia necessario rendere più dignitosa l’applicazione di
una Legge che dovrebbe rendere orgoglioso il nostro Paese in quanto
lo Stato riconosce un indennizzo per la mancata tutela della salute
e della sicurezza dei cittadini rispetto all’amianto”. Redazione On
Line
data 02/11/15
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Colpa medica, Ddl al rush finale: più tutele a chi segue linee
guida ma resta discrezionalità giudici
Accelera alla Camera il disegno di legge sulla responsabilità
sanitaria: un testo da approvare auspicabilmente entro l'anno che
agli articoli 6 e 7 introduce una distinzione ai sensi del diritto
penale (ma anche con conseguenze civilistiche, sui risarcimenti)
tra colpa grave, colpa lieve e non-incolpabilità del sanitario.
All'articolo 6 la proposta del deputato Pd Federico Gelli afferma:
«Le prestazioni di diagnosi cura riabilitazione e prevenzione
eseguite con il consenso informato del paziente non costituiscono
offese all'integrità psicofisica se si sono seguite le buone
pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle
linee guida». Dette linee guida andranno fissate da società
scientifiche iscritte ad apposito elenco del Ministero della
Salute, con decreto attuativo ad hoc: finché non esce quest'ultimo
valgono le sole previsioni dell'articolo 3 della legge Balduzzi
secondo cui nell'accertamento della colpa lieve il giudice, per
valutare se il sanitario è stato diligente nell'adempimento
(articolo 1176), tiene conto in particolare dell'osservanza, nel
caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate
dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Il secondo
capoverso introduce nel codice penale la distinzione tra colpa
grave e colpa lieve. In caso "infausto" il sanitario risponde di
omicidio o lesioni colpose solo se si evidenzia che li ha provocati
per imperizia e la sua colpa è stata "grave", ma non c'è mai colpa
grave se si seguono le raccomandazioni previste da linee guida e le
buone pratiche assistenziali. Mai o quasi: il giudice può valutare
se nel caso concreto, sebbene si siano seguite raccomandazioni e
buone pratiche clinico assistenziali, vi siano eccezioni dovute a
"rilevanti specificità". L'articolo 7 investe profili civilistici
ed obbliga ad assicurarsi non solo le strutture pubbliche per fatti
dei loro dipendenti, ma anche le private per fatti di sanitari che
non sono loro dipendenti. La responsabilità del libero
professionista tuttavia resta contrattuale, a differenza di quella
del medico dipendente o convenzionato: l'onere di provare che il
danno non l'ha fatto lui resta a suo carico e la prescrizione per
le denunce dei pazienti rimane decennale e non scende a 5 anni. Le
citate norme sulla responsabilità si applicano anche alle
prestazioni di telemedicina. L'approvazione della legge appare
propedeutica ad altri importanti passaggi; è in arrivo un decreto
governativo che impone l'obbligo di assicurare la responsabilità
civile a tutti gli iscritti a ordini professionali e ricomprende le
professioni sanitarie. Ma a monte occorre che ci siano polizze per
tutti: dal 2014 un regolamento istituisce un fondo ad hoc
finanziato dalle compagnie per aiutare le coperture di medici
giovani o con particolare sinistrosità. Enpam e Fnom hanno
istituito una commissione per facilitare l'accesso di tutti i
medici alle polizze; ma, come ha dichiarato a DoctorNews il
vicesegretario Fimmg Silvestro Scotti, «finché non c'è la nuova
legge, le trattative medici-compagnie non decollano. Se il governo
pensa a norme che attenuano la nostra responsabilità, è
autolesionistico affrettarsi a certificare condizioni assicurative
basate su una normativa vecchia e meno conveniente». Mauro
Miserendino
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Rassegna Stampa Aziendale a cura Ufficio Comunicazione e
Qualità
Cassazione, l'Asl può influire nella composizione della
delegazione medica
Un sindacato medico si presenta in delegazione dall'Asl
controparte per parlare di convenzione. L'Asl obietta che nella
delegazione ci dev'essere il medico Tizio che è sempre venuto. Il
sindacato controbatte che Tizio è in rotta, ha altre idee e quindi
va rimpiazzato. L'Asl nega che questo si possa fare. Il datore di
lavoro si sta ingerendo degli affari dei medici che stipendia?
Secondo la Cassazione no, per un semplice motivo: l'Asl non è un
datore di lavoro per i convenzionati para-subordinati. La
cosiddetta condotta antisindacale ci sarebbe se la delegazione
rappresentasse dei medici dipendenti; i convenzionati, pur
"ingaggiati" dall'Asl, non sono dipendenti. Imporre una diversa
composizione al sindacato, o non trattare con la delegazione di
convenzionati nella combinazione da quella voluta non equivale a
falsare un'assemblea di dipendenti. Ergo, non si applica l'articolo
28 dello statuto dei lavoratori. L'esempio che abbiamo fatto è solo
di scuola, ma rappresenta uno dei casi che oggi dividono Asl e
medici. Con la sentenza 18975 del 24 settembre 2015 la sezione
lavoro della Cassazione ha deliberato su un braccio di ferro tra il
sindacato degli specialisti ambulatoriali Sumai e l'Asl 8 Cagliari.
La contesa era sulla composizione del comitato zonale che decide su
questioni disciplinari ed è composto dal direttore generale
dell'azienda, 5 rappresentanti dell'Asl e altri 6 dei medici, di
cui tre eletti con procedura ad hoc dall'insieme dei convenzionati
dell'Asl ed altri tre nominati dai principali sindacati. Ma proprio
per questi tre, se c'è un sindacato egemone che succede? L'articolo
24 dell'accordo del 2005, rinnovato nel 2009-2010 e ora quest'anno
recita: «Qualora uno o più sindacati non abbiano la possibilità di
designare un proprio rappresentante i membri mancanti sono
designati dal sindacato con maggiore consistenza associativa
professionale». «A questo punto si pone il problema; uno analogo lo
abbiamo affrontato in un'Asl laziale - spiega il Segretario
nazionale Sumai Roberto Lala - per litigio interno un componente
del comitato zonale ha cambiato casacca, l'Asl ha detto "lo avete
nominato e rimane lui", noi abbiamo risposto che non è membro
elettivo ma designato a rappresentare le idee dell'organizzazione».
Mentre a Cagliari si è finiti in tribunale, «in Lazio ci siamo
appellati alla Sisac che ci ha detto che il collega può essere
ricusato, il Direttore generale non ha voluto saperne, alla fine è
stato necessario che la Regione desse indicazioni all'azienda». Ma
la battaglia non è finita, per Sumai la parasubordinazione è un
concetto che può mutare a seconda dei contenuti dei contratti come
attesta l'ultima convenzione firmata il 30 luglio scorso, che ha
recepito le modifiche della legge 165 per la composizione delle
commissioni disciplinari uniformandola ai criteri adottati per la
dipendenza. «Si sono aggiunti ulteriori elementi per giudicare in
Cassazione, magari a sezioni unite» sottolinea Lala. «Alla
subordinazione di fatto (lavoriamo nei locali messi a disposizione
dall'Asl) si aggiungono standard procedurali della subordinazione
di diritto. Difficilmente questa sentenza potrà fare più danni di
quanti se ne sono verificati, quando un'Asl disapplica un accordo
si può alzare il livello della trattativa in sede regionale, i
margini per affrontare la situazione ci sono; ma più che altro va
trovato il livello di dialogo atto a recuperarla».
Professioni sanitarie: igienista dentale e audioprotesista tra
le più ambite
«Negli ultimi 5 anni si è registrato un progressivo
miglioramento nella stima del fabbisogno formativo da parte delle
Regioni e del Ministero della Salute, grazie ad un confronto
diretto e serrato che si è venuto sviluppando con le Categorie
tramite le rispettive 3 Federazioni e le 25 Associazioni
professionali. Sono stati gradualmente ridotti gli esuberi per
alcune professioni: come Tecnici di Radiologia, di Laboratorio e
della Prevenzione, mentre al contrario resterebbe ancora
sottostimato da parte di qualche Regione il fabbisogno per
Logopedista, Podologo e Audioprotesista con relativa insufficiente
offerta formativa delle Università». Angelo Mastrillo, segretario
della Conferenza nazionale Corsi di Laurea delle Professioni
Sanitarie, tratteggia, nel suo report 2015, l'andamento delle
professioni sanitarie in tempi di crisi. Si parla di ripresa, ma
non ancora abbastanza. In prospettiva, per l'AA 2016-17 si auspica
un ulteriore riequilibrio dell'offerta formativa delle Università,
rispetto ai fabbisogni determinati tramite le consultazioni fra
Ministero della Salute, Regioni, Commissione Salute della
Conferenza Stato-Regioni e le 22 Categorie.
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Secondo le cifre, al primo posto si trova ancora Fisioterapista
con rapporto D/P che sale da 12,5 a 13,3; al secondo Logopedista da
9,0 a 9,9; al terzo Dietista da 6,7 a 8,3. Seguono al quarto posto
Ostetrica; quindi Tecnico Radiologia e Terapista
Neuropsicomotricità Età Evolutiva quasi stabile. Sale Tecnico di
Neurofisiopatologia, mentre sono quasi stabili Igienista Dentale e
Tecnico Riabilitazione Psichiatrica; Infermiere Pediatrico;
Podologo; Tecnico Laboratorio; Tecnico Fisiopatologia
Cardiocircolatoria; Ortottista; Tecnico Ortopedico; Educatore
Professionale. Infine, nelle ultime posizioni ci sono le altre 5
professioni su cui si registra un calo, anche se lieve: Infermiere;
Tecnico Prevenzione; Audioprotesista; Tecnico Audiometrista;
Terapista Occupazionale e Assistente Sanitario. «Il dato più
interessante - spiega Mastrillo - è che avanzano professioni che
hanno maggiori sbocchi nel privato, come audioprotesista e
igienista dentale, e questo succede a causa del blocco delle
assunzioni nel Ssn. Sostanzialmente la sanità pubblica indietreggia
a favore di quella privata». Ma se dal punto di vista dell'offerta
formativa non si registrano dunque forti contrazioni, da quello
occupazionale non si vedono grandi segnali. «Più che parlare di una
diminuzione dell'occupazione - a aggiunge Mastrillo - direi che si
è fermato il trend in discesa, siamo fermi al 64% di disoccupazione
come lo scorso anno per tutti i 22 profili professionali. Non si
po' parlare di ripresa, ma di stabilità che, spero permanga per poi
evolvere verso il meglio». Un elemento nuovo, che non viene fuori
dal report ma che Mastrillo tiene a precisare, è la fuga degli
infermieri all'estero e, nello specifico, verso l'Inghilterra. «Ci
sono delle vere e proprie agenzie di reclutamento che, in accordo
con l'Ipasvi, vengono ad arruolare i nostri infermieri in Italia.
La federazione ne stima circa 30mila in attesa di lavoro». Rossella
Gemma
Ddl Concorrenza, Assogenerici: preveda abolizione patent
linkage, Antitrust d'accordo
«Se con il Ddl Concorrenza il Governo vuole giustamente mettersi
al passo dell'Unione Europea in tema di liberalizzazioni, mi sembra
evidente che il disegno di legge non può non tenere conto anche di
un aspetto della normativa italiana più volte denunciato dalla
Commissione europea: il patent linkage, cioè l'impossibilità di
classificare in fascia A un generico prima della scadenza del
brevetto del farmaco di marca corrispondente». A ribadirlo è
Enrique Hausermann, presidente di AssoGenerici all'indomani
dell'audizione in Commissione Industria al Senato dove ai richiami
della Commissione stessa sul tema, si è unito anche quello del
Garante della Concorrenza e del mercato, professor Giuseppe
Pitruzzella. «E non è la prima volta» sottolinea Häusermann «è
venuto il momento di sanare questa contraddizione. In nessun paese
dell'Unione esiste questo meccanismo, che ha il solo effetto di
rallentare l'arrivo degli equivalenti sul mercato, ragion per cui
si verifica un mancato risparmio rispetto a quello che il Ssn
potrebbe realizzare se i generici, avendo già superato l'iter di
registrazione, potessero essere rimborsati dal Ssn, senza dover
attendere la definizione di eventuali contenziosi di natura
brevettuale. Solo l'anno scorso il Ssn ha sopportato 18 milioni di
euro di maggiore spesa. Oltretutto» prosegue il presidente di
AssoGenerici «l'Italia sconta, qui al pari di altri paesi, una
certa vaghezza sulle date in cui vengono a scadere i Certificati di
protezione, e anche questo è un aspetto sul quale la Commissione
Europea è intervenuta pochi giorni fa con il suo nuovo documento
strategico sul mercato interno». Sulla questione del patent linkage
si segnala l'impegno della Senatrice Paola Taverna del M5S a
presentare un emendamento al Ddl concorrenza che cancelli questa
norma. La senatrice ha ricordato che «già nel 2013 l'Antitrust
aveva auspicato l'abrogazione di questa normativa e il M5S aveva
presentato un'interrogazione proprio per chiedere al governo di
intervenire, eppure a oggi» ha dichiarato Taverna «siamo ancora
indietro rispetto agli altri Paesi europei». Assogenerici ha
espresso «viva soddisfazione» per tale impegno auspicando che «la
Commissione Industria lo accolga e che tutte le forze politiche che
hanno a cuore realmente la modernizzazione del paese lo sostengano,
al di là delle logiche di schieramento: ne va anche della
credibilità del paese». Simona Zazzetta
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Spesa per malattie lavoratori fuori controllo nel pubblico, urge
polo unico Ci si ammala di più negli enti pubblici ma lo stato
potrebbe risparmiare 1 miliardo e mezzo di euro l'anno -un decimale
di punto di Pil - se istituisse il Polo unico della medicina
fiscale, uniformando i controlli sui lavoratori in malattia e
riconducendo i comportamenti del comparto pubblico a quelli del
privato. Ne sono convinti i medici di controllo Inps della Fimmg
che commentano per DoctorNews i dati diffusi da Inps sulle assenze
2014, anno in cui i certificati di malattia sono diminuiti nel
privato ma cresciuti nella Pa. Nel privato si è ammalato il 40% dei
circa 10 milioni di lavoratori: si registrano 4 milioni di malati e
8,4 milioni di casi di malattia, ma i certificati sono scesi di 450
mila unità, da 11,86 milioni a 11,41. Nel pubblico invece i
certificati sono aumentati di 410 mila unità, da 5,47 a 5,98
milioni: si sono ammalati 1,7 milioni su circa 3 milioni di
lavoratori, per un totale di 4,8 milioni (più casi che dipendenti).
Altro dato chiave: nel pubblico la spesa per le visite appare fuori
controllo. L'aumento delle malattie brevi, da 1 a 3 costringerà
l'Amministrazione a disporre un maggior numero di visite fiscali.
Ai sensi della norma vigente bisognerebbe inviare tra l'altro il
medico Asl fin dal primo giorno per assenze del lunedì o del
venerdì. «Senza correttivi, la spesa è destinata a crescere. Solo
considerando i circa 2,3 milioni di eventi di tutte le durate che
iniziano venerdì, sabato, domenica e lunedì, al costo medio di 42
euro a visita secondo le tariffe delle Asl, per ottemperare alla
Legge sulla carta sarebbero stati necessari 95 milioni di euro per
eseguire i controlli nel solo settore pubblico cui vanno aggiunte
le spese amministrative e i rimborsi chilometrici», spiega Silvio
Trabalza, vicesegretario nazionale vicario del Settore Inps Fimmg.
«In questo modo si sarebbero superati abbondantemente i 100 milioni
di costo solo per i controlli pubblici. Ed infatti, da una nostra
indagine, è emerso che Le Asl in passato salvo qualche eccezione,
non hanno effettuato che un 40 % delle visite richieste dalla Pa».
C'è da dire che 150 milioni citati sono oltre il doppio dei 70
milioni che Inps vorrebbe farsi bastare per mandare a regime i
controlli del Polo Unico. Ma Alfredo Petrone segretario nazionale
del Settore Inps Fimmg invita a riflettere: «Con l'attuazione del
polo unico si potranno ottenere una razionalizzazione della spesa
(nel complesso inferiore ai 150 milioni che Pa ed Inps spendevano
in passato), più efficacia nella lotta agli abusi, all' assenteismo
ed alla truffe, il tutto con rigore metodologico, con una regia
univoca, immediatezza di risposta e di output, oltre che la
certezza di esecuzione dei controlli. Per rendere attuabile tutto
ciò è necessario che il decreto legislativo attuativo in via di
definizione preveda una convenzione che contempli un rapporto di
lavoro orario tendente al tempo pieno in grado di garantire con le
stesse risorse umane attuali il necessario numero di visite di
controllo previste dalla riforma».
Appropriatezza cure e lotta a sprechi al centro del 14°
Congresso nazionale Ame
Refertazione omogenea delle ecografie della tiroide, cura del
diabete tramite chirurgia bariatrica, endocrinologia di genere:
sono tre dei temi più rilevanti che saranno affrontati nel corso
del 14° Congresso nazionale dell'Associazione medici endocrinologi
(Ame) che si svolgerà a Rimini dal 5 all'8 novembre. A Milano,
nell'incontro di presentazione dell'evento, Rinaldo Guglielmi,
Presidente Ame, dopo aver sottolineato come l'endocrinologo
assicuri la gestione clinica di tre tra le malattie più diffuse (il
diabete, le malattie della tiroide e l'osteoporosi, che insieme
colpiscono circa 15 milioni di italiani e assorbono ben oltre il
10% della spesa sanitaria globale) ha preannunciato - in relazione
ai frequenti problemi interpretativi delle ecografie tiroidee - la
presentazione del progetto per la "Certificazione per ecografisti
della patologia endocrina del collo" (Epec), che sarà operativo da
gennaio 2016 e che si ispira al progetto già in corso negli Stati
Uniti dall'Aace (American association of clinical
endocrinologists).«Questa certificazione ha il compito di rendere
omogenea l'esecuzione dell'esame e soprattutto la sua refertazione»
rappresentando «un ausilio anche per il medico che a volte fatica a
confrontare i referti ottenuti da operatori diversi». Obiettivo: il
miglioramento della comunicazione medica e, quindi, del livello di
assistenza al paziente, oltre all'evitamento di sprechi come la
ripetizione di ecografie il cui risultato risulta non chiaro.
Un'iniziativa che rientra nella volontà di limitare il fenomeno,
sempre più diffuso, del sovrautilizzo di esami diagnostici e di
trattamenti. Tanto che, ha detto Rinaldi, «basandoci su risultati
di studi e metanalisi, abbiamo selezionato 5 pratiche cliniche a
rischio di inappropriatezza, cioè impiegate usualmente ma non
supportate da prove di
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efficacia, convinti che 'fare di più non significa fare meglio',
secondo l'iniziativa varata da Slow medicine - rete di
professionisti e cittadini per una medicina sobria, rispettosa e
giusta - alla quale abbiamo aderito».«Un altro tema rilevante al
Congresso di Rimini sarà la chirurgia bariatrica» ha continuato
Giorgio Borretta, S.C. Endocrinologia e Malattie del Ricambio,
Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle, Cuneo. «Oggi sono noti i
meccanismi fisiopatologici con cui il tessuto adiposo, vero e
proprio organo endocrino, se in eccesso invia all'organismo
messaggi che determinano lo sviluppo di diabete, possono promuovere
l'ipertensione e incidere sul metabolismo lipidico. Inoltre adesso
si hanno prove convincenti che nei grandi obesi diabetici la
chirurgia bariatrica possa risolvere non solo problemi estetici ma
anche la stessa patologia diabetica». A Rimini saranno presentate e
discusse le linee guida sulla chirurgia bariatrica messe a punto
negli Stati Uniti dall'Aace e tradotte da esperti dell'Ame.
«L'incontro» precisa Borretta «sarà focalizzato a fare tesoro
dell'ampia casistica ed esperienza Usa, valutando le differenze tra
realtà geografiche e politiche diverse, con il fine di
contestualizzare le raccomandazioni degli specialisti americani e
renderle applicabili al nostro sistema sanitario». «Un'importante
sfida è la medicina di genere» ha aggiunto Roberto Castello, past
president Ame, «che ha ricadute specifiche in endocrinologia» dove
le diverse modalità di sviluppo delle patologie tra uomo e donna
sono ancora più marcate per la diversa quantità delle increzioni
ormonali e la diversità molecolare degli ormoni sessuali. «Le
malattie endocrinologiche sono segnate da importantissime
differenze biologiche e cliniche: per esempio le patologie
ipofisarie, alcuni disordini metabolici e le tireopatie colpiscono
di più la donna oppure si manifestano e hanno un decorso diverso
rispetto alle stesse malattie nell'uomo». Un caso eclatante è
offerto dall'osteoporosi «che colpisce oltre 4.000.000 di donne e
570.000 uomini, secondo i dati Istat 2014» ed è dovuta alla cessata
produzione estrogenica post-menopausale nelle donne e, si ritiene,
a una ridotta produzione di testosterone con l'avanzare dell'età
nell'uomo. Arturo Zenorini
data 02/11/15
pagina web
A Trento i cittadini “scrivono” il Piano per la salute
Il Dipartimento Salute e solidarietà sociale ha concluso
l’analisi dei commenti e delle proposte formulate dai cittadini
nella consultazione pubblica sul Piano per la salute del Trentino e
si prepara a presentare al pubblico il rinnovato documento. “Il
risultato – spiega la Giunta in una nota - è un documento di Piano
che rafforza l’impianto strategico complessivo – linee guida, macro
obiettivi, salute al centro delle politiche – integra circa due
terzi dei contributi pervenuti e richiama l’interesse dell’OMS come
buona pratica di implementazione locale della strategia Health
2020”. Il Piano per la salute del Trentino, che ora proseguirà
l’iter previsto dalla normativa fino all’approvazione, “è il
risultato di un processo partecipativo che ha visto coinvolti
tecnici, esperti, referenti di enti, associazioni che lavorano sui
temi della salute oltre a molti cittadini. Ciò – ricorda la Giunta
- è avvenuto con una consultazione pubblica, in collaborazione con
l’Unità di missione strategica trasparenza e partecipazione della
Provincia”. Alla consultazione online, strutturata in due fasi,
hanno partecipato sia gli addetti ai lavori (dicembre 2014 –
gennaio 2015) che la cittadinanza (aprile – giugno 2015), in modo
da arrivare ad un documento completo e condiviso. In particolare,
nella seconda fase di consultazione hanno partecipato persone di
tutte le fasce d’età (dai 19 ai 71 anni), in prevalenza con un
elevato livello di istruzione, in egual misura maschi e femmine. A
metà agosto, per raccogliere le opinioni dei cittadini stranieri e
ampliare ulteriormente i punti di vista è stato organizzato un
incontro specifico a cui hanno aderito 20 mediatori culturali
provenienti da diversi paesi e impegnati sul territorio. Tra luglio
e settembre tutti i contributi sono stati analizzati e valutati da
un gruppo di lavoro interno al Dipartimento Salute e solidarietà
sociale che ha elaborato la proposta finale di Piano integrando
circa due terzi delle proposte pervenute.
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“Il documento, che sarà presentato il 19 novembre presso
l’Auditorium Centro servizi sanitari – ribadisce la Giunta -,
risulta modificato e arricchito in modo significativo dando valore
alla partecipazione su un tema di interesse pubblico”.
Protocollo Lorenzin-Pinotti per donazione organi da militari
Spicca il volo la collaborazione tra i ministeri della Salute e
della Difesa per promuovere la cultura della donazione di organi,
tessuti e cellule tra il personale delle Forze Armate. Il primo
step risale al 2007, quando fu firmato un protocollo di intesa
successivamente implementato con attività di pianificazione e
programmazione. "Negli ultimi messi sono stati poi promossi
seminari e convegni tra i militari, registrando 4700 adesioni nelle
varie strutture ed evidenziando un trend maggior rispetto quanto
registrato tra gli altri cittadini. Nel complesso in Italia vengono
realizzati circa 3mila trapianti l’anno", osserva Alessandro Nanni
Costa, direttore del Centro Nazionale Trapianti. “Si tratta di un
segnale di enorme importanza – dice Beatrice Lorenzin, illustrando
l’iniziativa presso l’Auditorium del Ministero – La disponibilità a
donare di uomini e donne in divisa assume un valore doppiamente
positivo, in quanto si tratta di persone che costituiscono un
esempio e che fungono da veri e propri opinion leader, configurando
così un impegno civico e sociale di enorme portata”. L’auspicio è
che le adesioni esercitino un effetto traino verso gli altri
cittadini in quanto il numero di donatori da cadavere è stabile,
mentre i trapianti da vivente stanno segnando un aumento rispetto
allo scorso anno. “Sono quindi necessarie nuove campagne de
sensibilizzazione – sottolinea Lorenzin – e su questo terreno le
Forze Armate possono fornire un contributo determinante”. L’apporto
delle Forze Armate rappresenta già uno pilastri che garantiscono la
fase logistica ogni qualvolta un paziente viene spostato per essere
sottoposto a trapianto. Il buon esito della procedura è infatti
assicurato dall’intervento delle Prefetture, del 31° Stormo e della
Polizia. “La collaborazione tra i due ministeri proseguirà a pieno
regime, abbiamo in cantiere un altro progetto – spiega Roberta
Pinotti – Mettiamo in campo un lavoro congiunto che rappresenta un
esempio di civiltà poiché consegna una speranza di vita a persone
che altrimenti non l’avrebbero mai potuta coltivare. Fino a qualche
anno fa era un tema poco conosciuto che fortunatamente si sta
affermando. La sfida è ora promuovere massicciamente la cultura
della donazione anche ai giovani che si avvicinano alle Forze
Armate e che sono in fase di reclutamento, ma anche valorizzare a
pieno regime tutte le strutture tecniche di cui possiamo
disporre".
Rapporto Crea 2015 L' 11a edizione del Rapporto Crea Sanità è
stata presentata il 29 ottobre 2015 a Roma presso la Camera dei
Deputati. La struttura del Rapporto si è ormai consolidata negli
anni, e prevede prima un’analisi statistica del contesto in cui
muove la Sanità, seguono i dati di performance (spesa,
finanziamento ed equità) e quindi gli spaccati per singolo settore
assistenziale, chiudendo poi con l’aspetto industriale. Non si è
però rinunciato all’originalità dei contributi (che ogni anno
riguardano aspetti nuovi delle politiche sanitarie) e ad alcune
estensioni rispetto alle scorse edizioni, che quest’anno riguardano
l’assistenza domiciliare, l’attività di prevenzione e l’analisi di
particolari patologie. Anche in questa edizione, ciascun capitolo
viene affiancato da una sintesi in lingua inglese. La 11a edizione
del Rapporto Sanità è a cura del Consorzio Universitario per la
Ricerca Economica Applicata in Sanità (C.R.E.A. Sanità), con la
partnership di alcune Aziende risultate sensibili a sostenere la
ricerca e il dibattito sulle politiche sanitarie. La spesa
sanitaria italiana è del 28,7% più bassa rispetto ai Paesi EU14,
con una forbice, anche in percentuale del PIL, che si allarga anno
dopo anno. Ed è inutile farsi aspettative su ulteriori risparmi: il
sistema attuale non riesce ad annullare le disuguaglianze. Per
questo serve una ‘moratoria’ a medio termine per impedire ulteriori
tagli al comparto”. Ma si deve pure cambiare perché “quello sin qui
realizzato è un
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Universalismo non omogeneo, crescentemente diseguale, e che dopo
oltre 30 anni è forse doveroso chiedersi se non dipenda anche da
qualche elemento di obsolescenza del disegno originario”. “Il
titolo scelto per l’11° Rapporto Sanità è appunto “L’Universalismo
diseguale” – scrive il presidente di Crea Sanità Federico
Spandonaro, nasce da un tentativo di lettura quantitativa
dell’evoluzione del sistema sanitario italiano; evidentemente la
scelta del titolo tradisce il tentativo di segnalare che osserviamo
fenomeni che, alcuni in modo strisciante, altri in modo più
prorompente, risultano incoerenti con la linea politica che ha
portato all’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale
universalistico in Italia”.
Il territorio verso la "community care" Che non si possa più
rispondere alla domanda di salute essenzialmente attraverso le
strutture di ricovero è evidente. Di più: occorre operare un cambio
di paradigma che costruisca una vera Community Care, che esprima il
concetto di comunità come rete di relazioni sociali significative,
un sistema complesso cui concorrono i professionisti della sanità
in team, l’intera realtà locale amministrativa e sanitaria e gli
stessi pazienti in una logica di co-gestione della propria
condizione di salute. Una rete di servizi, diffusi sul territorio,
capace di prendere in carico i pazienti lì dove essi vivono, in
condizioni di prossimità e di continuità. Nella Community Care uno
dei principali settori è rappresentato dalle cure primarie.
Nonostante questo, però, come evidenzia anche il rapporto HEN
(Health Evidence Network), ancora oggi l’allocazione delle risorse
è nettamente a favore delle cure ospedaliere. Ciò spiegherebbe
perché, a fronte di una spesa sanitaria crescente, l’equità,
l’accesso e la risposta ai bisogni sanitari non siano cresciuti in
modo proporzionale. Per equilibrare il sistema, occorre passare dal
paradigma dell’attesa (tipico delle malattie acute) a quelli
dell’iniziativa e della proattività. Il ruolo degli specialisti
ambulatoriali. Il concetto di cure primarie, come quello di
Community Care, ruota attorno a due diversi assi di integrazione:
una dimensione verticale (piramidale), nella quale strutture e
professionisti (dal mmg, allo specialista territoriale e
all’ospedale) intervengono su differenti livelli di cura,
attraverso i quali il paziente è costretto a muoversi, spesso con
gravi difficoltà, e una dimensione orizzontale, in cui si
realizzano forme di cooperazione/specializzazione tra strutture e
professionisti posti sullo stesso livello di cura, dove è la rete
che di volta in volta si fa carico dei bisogni individuali del
paziente e collettivi di un determinato territorio. L’obiettivo
delle cure primarie nella Community Care non è più la tradizionale
funzione di filtro, bensì la capacità d’integrazione tra cure
primarie e cure secondarie: si opera così un’epocale svolta
qualitativa, nella quale viene facilitata e implementata
l’integrazione dell’assistenza verticale (gestione di specifiche
malattie dell'assistenza primaria e terziaria) e di quella
orizzontale (integrazione dell’assistenza vicino ai bisogni
dell’individuo e strategia che dà priorità ai bisogni più ampi
della comunità). È in questa rete che gli specialisti territoriali
rappresentano un punto di riferimento ben preciso, essendo capaci
di offrire le competenze indispensabili in una dimensione
articolata, con le nuove modalità organizzative che possono
modularsi sulle diverse necessità locali. La ricerca di Ca’
Foscari. Rinnovando la collaborazione con l’Università Ca’ Foscari,
quest’anno abbiamo realizzato uno studio approfondito su come la
medicina specialistica italiana si possa inserire nella Community
Care. La ricerca mette in luce molte criticità. La prima riguarda i
colleghi - soprattutto i più giovani e in misura maggiore le donne
e le Regioni del Centro Sud - che ancora oggi inizialmente svolgono
la loro attività con rapporto a tempo determinato e, spesso, con
attività suddivisa in diverse aziende. Altra grande criticità è che
oltre il 50% della categoria ha più di 55 anni e solo l’8% è al di
sotto dei 40. In mancanza di un regolare turnover il rischio è che
si creino, soprattutto in alcune Regioni, dei vuoti in
corrispondenza del punto più alto della curva dei pensionamenti.
Inoltre, le condizioni di non piena stabilizzazione contrattuale in
cui si trova oggi parte dei colleghi più giovani impediscono quella
naturale trasmissione del sapere da parte dei più anziani. Infine,
la ricerca Ca’ Foscari evidenzia come la specialistica
ambulatoriale territoriale, attiva da oltre 50 anni, sia una
ricchezza strategica del sistema sanitario italiano. Eppure, solo
in un caso su tre gli specialisti ambulatoriali hanno contatti e
scambio continuo di informazioni con il mmg e il pediatra di
famiglia! Una difficoltà di comunicazione che deve assolutamente
essere superata, a tutto vantaggio dei pazienti, un’opportunità che
le nuove forme organizzative previste dal Patto della Salute e
normate dal nuovo Acn (Aft e Uccp), se applicate, potranno
agevolare.