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1 Carlomagno sfida il Colosseo Alessio Innocenti - Anna Paterlini Ci sono giornate di maggio a Roma in cui l’estate sembra aver scaccia- to via la primavera in anticipo. Stiamo aspettando una chiave, all’in- gresso dell’area archeologica del Foro Romano non c’è ombra in cui rifugiarsi, e i minuti scorrono sempre più lenti. D’improvviso un cu- stode si avvicina a un cancelletto laterale, lo apre, e ci invita a scendere la scala. A ogni gradino che calpestiamo si rinnova un miracolo unico, vivibile forse solo a Roma: ci troviamo catapultati indietro nel tempo di secoli, al cospetto delle case altomedievali del Foro di Nerva. Siamo nel bel mezzo di una delle lezioni on-site della masterclass – organizzata dalla The American University of Rome – dal titolo Turning Charlemagne into an asset for Rome, e i suddetti edifici sono tra le poche testimonianze dell’epoca carolingia a Roma. L’obiettivo principale del- la masterclass è imparare a trasformare la storia poco nota della venuta di Carlo Magno a Roma in una risorsa per il turismo della Capitale. Le premesse, tuttavia, non sono né rosee né incoraggianti. Per le case del Foro di Nerva, infatti, non c’è un’indicazione che le segnali ai turisti. In verità non sono neppure aperte al pubblico, e il nostro permesso speciale di visita è valido solo per un quarto d’ora. – Sono andato a Roma alla ricerca dell’alto medioevo. Volevo visitare le case del Foro di Nerva ma non si può entrare. È mai possibile? – Ma chi, oltre a te e pochi altri, le visiterebbe? A Roma si fanno i gran- di numeri al Colosseo: il resto che importa? – Il resto potrebbe interessare un turismo diverso. – Pfui, lo pensi solo tu... – Non ne sarei così sicuro.
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Carlomagno sfida il Colosseo in Archeostorie 2015

Mar 30, 2023

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Lauren Golden
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Carlomagno sfida il Colosseo

Alessio Innocenti - Anna Paterlini

Ci sono giornate di maggio a Roma in cui l’estate sembra aver scaccia-to via la primavera in anticipo. Stiamo aspettando una chiave, all’in-gresso dell’area archeologica del Foro Romano non c’è ombra in cui rifugiarsi, e i minuti scorrono sempre più lenti. D’improvviso un cu-stode si avvicina a un cancelletto laterale, lo apre, e ci invita a scendere la scala. A ogni gradino che calpestiamo si rinnova un miracolo unico, vivibile forse solo a Roma: ci troviamo catapultati indietro nel tempo di secoli, al cospetto delle case altomedievali del Foro di Nerva.

Siamo nel bel mezzo di una delle lezioni on-site della masterclass – organizzata dalla The American University of Rome – dal titolo Turning Charlemagne into an asset for Rome, e i suddetti edifici sono tra le poche testimonianze dell’epoca carolingia a Roma. L’obiettivo principale del-la masterclass è imparare a trasformare la storia poco nota della venuta di Carlo Magno a Roma in una risorsa per il turismo della Capitale. Le premesse, tuttavia, non sono né rosee né incoraggianti.

Per le case del Foro di Nerva, infatti, non c’è un’indicazione che le segnali ai turisti. In verità non sono neppure aperte al pubblico, e il nostro permesso speciale di visita è valido solo per un quarto d’ora.

– Sono andato a Roma alla ricerca dell’alto medioevo. Volevo visitare le case del Foro di Nerva ma non si può entrare. È mai possibile?

– Ma chi, oltre a te e pochi altri, le visiterebbe? A Roma si fanno i gran-di numeri al Colosseo: il resto che importa?

– Il resto potrebbe interessare un turismo diverso.– Pfui, lo pensi solo tu...– Non ne sarei così sicuro.

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Le cose non cambiano di molto quando, trascurando i templi del Foro Romano, ci rechiamo poi in una sorta di timido pellegrinaggio verso la chiesa di Santa Maria Antiqua. È questa una vera galleria d’arte alto-medievale ma è anche luogo capace di raccontare, tra poche mura, la storia della Roma imperiale, di quella tardoantica e di quella bizantina. Anche in questo museo silenzioso possiamo rimanere solo per poco, sorvegliati a vista da custodi che ci sussurrano ripetutamente “no foto e no video”.

Ovviamente questo incendia gli animi del gruppo che si lancia in articolate discussioni sulle tragedie della gestione pubblica dei beni culturali in Italia, e sulle molte soluzioni (im)possibili. Richard Hodges, presidente dell’Università, archeologo nonché leader del programma, percepisce questo bagaglio di frustrazioni e, una volta tornati in classe, decide di raccontare una storia.

Siamo nell’Albania dei primi anni Novanta, un paese ancora in-deciso tra socialismo, democrazia e anarchia. Dopo il 1991 e la fine del regime comunista, il capitalismo occidentale era diventato simbolo della chiusura definitiva di un’era e promessa di una vita migliore: la

Masterclass a Santa Maria Antiqua, Roma (foto di Anna Paterlini).

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società̀ stessa, l’economia e la politica del paese potevano finalmente respirare un’aria diversa. L’Albania si è trovata dunque ad affrontare i problemi tipici dei paesi con economia in transizione: sfide che sono complesse e molteplici di per sé, e che aumentano quando si aggiun-gono le pressioni dall’esterno. Dopo una fase di crescita esponenziale e incontrollata, ci si è presto resi conto che il fiume di denaro, di mo-delli e idee introdotti dall’Occidente, erano in realtà un non-sistema pronto a crollare rovinosamente al primo problema. Nel febbraio del 1997 il primo ministro Aleksander Meksi ammise senza mezzi termini davanti al parlamento che il paese era “sull’orlo del caos macroecono-mico”.

È in questo panorama, critico dal punto di vista socio-politico-eco-nomico e culturale, che un’équipe di archeologi inglesi guidati dal pro-fessor Richard Hodges, ha ripreso le ricerche archeologiche all’interno dell’antica città di Butrinto e nel vicino suburbio di Vrina. Gli scavi han-no riportato alla luce i resti di una residenza privata, l’area capitolina e forense, una torre tardoantica riusata nel periodo altomedievale come residenza, numerosi cimiteri urbani e molte altre strutture. Mentre le

Masterclass ai Santi Quattro Coronati (foto di Anna Paterlini).

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indagini nella pianura di Vrina hanno dimostrato l’esistenza di una colonia romana di età augustea, attraversata da un imponente acque-dotto che riforniva la città. L’intero progetto archeologico è stato finan-ziato e sostenuto dalla Butrint Foundation e dal Packard Humanities Institute, in collaborazione con l’Istituto di archeologia di Tirana e la British School at Rome. Gli obiettivi di questo enorme progetto sono stati ad ampio raggio: dall’indagine archeologica di un insediamento urbano con varie fasi di occupazione, alla creazione di nuovi posti di lavoro nell’industria del turismo e della gestione dei beni culturali.

Ed è proprio su questo ultimo punto che Hodges insiste: allo scavo hanno preso parte specialisti da ogni parte del mondo e studenti alba-nesi che hanno avuto accesso a un programma di apprendimento sul campo senza precedenti. E i risultati sono stati tangibili. Con il suppor-to del governo democratico, nel 1992 il sito di Butrinto è entrato a far parte della lista del Patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Superato poi il periodo di ulteriore crisi del 1997, nel 2000 il governo albanese ha istituito il Parco nazionale di Butrinto che nel 2005 è entrato anch’esso a far parte dell’elenco dei Patrimoni dell’umanità. E se nel 1994 solo un

I partecipanti alla masterclass con i docenti (foto di A. Cavallini).

a.paterlini
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migliaio di persone l’anno visitava il sito, in pochi anni sono diventate centomila: numero rimasto costante nonostante la crisi economica e la recessione che ha colpito l’Occidente negli ultimi sei anni. Butrinto infatti non è diventata solo la principale destinazione turistica albane-se, ma anche un importante punto di riferimento per chi trascorre le vacanze nella vicina isola greca di Corfù. Piano piano l’équipe britan-nica ha abbandonato l’area fino a cedere la gestione totale del parco alle autorità locali, cioè a quella nuova generazione di decision-maker che è stata formata sul campo e che ancora oggi mantiene Butrinto un esempio di buona pratica a livello internazionale.

Pare una storia semplice, quasi una favola, ma Hodges rimarca più volte quanto il lavoro di trasformare un luogo semisconosciuto come Butrinto in un brand sia stato lungo, paziente e costante. Insiste so-prattutto sulla pazienza, sul non scoraggiarsi mai ma attendere che le cose maturino. E sulla necessità di procedere per gradi, mantenendo però sempre fermo l’obiettivo da raggiungere. Il primo passo è stato far diventare Butrinto una destinazione turistica nota in tutto il mon-do. A tal fine già nel 1996 sono stati installati i primi pannelli informa-

Il teatro romano di Butrinto, Albania, sede abituale di celebrazioni e spettacoli (foto di Anna Paterlini).

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tivi e sono stati invitati a visitare il luogo giornalisti da tutto il mondo. Con l’afflusso di turisti, però, crescevano anche gli appetiti albanesi che contavano di speculare sul miracolo costruendo alberghi tutt’in-torno. Ma bisognava evitare imposizioni e far sì che gli albanesi stessi impedissero la speculazione. Dovevano capire loro stessi che il valore di Butrinto risiedeva non tanto nelle rovine ma piuttosto nello “spirito del luogo”, in quella foresta che circonda la città antica e la immerge in un’atmosfera magica. E non andava assolutamente deturpata. Così è stato ed è nato il Parco, ma non è stata impresa facile. Come pure non è stato facile far entrare Butrinto nel cuore degli albanesi, dopo che lo era già in quello dei turisti. E a tal fine si è usato ogni mezzo, dalla visita del Patriarca di Costantinopoli all’organizzazione nel teatro dello spettacolo di Miss Albania. Pare un’eresia ma ha funzionato, e tuttora le coppie vogliono sposarsi a Butrinto nella magica location di Miss Albania. Così Butrinto è entrata a far parte di diritto del patrimonio identitario del popolo albanese.

Hodges si ferma giusto il tempo per farci metabolizzare questa sto-ria che a molti di noi sembra ancora irreale. E continua: era l’Albania dell’anarchia e dell’emigrazione di massa verso l’Italia e lì, proprio lì, tutto questo è stato possibile. I fondi erano pochi, le conoscenze anco-ra meno e le strutture amministrative inesistenti quando non corrotte. Eppure, è stato attuato un modello di gestione sostenibile che ha avuto effetti positivi di sviluppo sulle zone circostanti, e ha visto il coinvolgi-mento diretto delle comunità locali. Perché la stessa cosa non potreb-be funzionare in Italia? Perché non in una grande città turistica come Roma, che però non sfrutta ancora appieno tutte le sue potenzialità? Proviamoci. Proviamo a promuovere i luoghi spesso oscuri o abban-donati, ma splendidi e ricchi di fascino, della Roma di Carlo Magno. Ecco spiegata l’origine di questa masterclass organizzata in maniera “bizzarra” secondo molti di noi, abituati a parlare solo di archeologia e restauro. Per cinque giorni siamo stati immersi in lezioni frontali e sul campo sulla Roma carolingia ma anche sul marketing culturale, la comunicazione, i social media e lo studio dei visitatori, così da avere tutti gli strumenti necessari per trovare il modo migliore per “spiegare” Carlo Magno al pubblico e ottenerne al contempo un profitto econo-mico. Noi siamo i futuri decision-maker ed è la nostra occasione per cambiare le cose.

Non ce la siamo lasciata scappare. Il concept nato da questo giornate di studio e confronto, è quello di una organizzazione non-profit con lo

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scopo di promuovere la Roma carolingia presso il grande pubblico e la comunità locale. Attraverso una campagna di comunicazione e marke-ting intensa, e l’organizzazione di visite guidate, si potrebbe far sì che nessun turista passi più ignaro di fronte a meraviglie come il Museo della Crypta Balbi. Ma perché fermarsi a questo, perché non creare un’app che permetta ai turisti di muoversi in maniera indipendente lungo un percorso che informi sull’epoca carolingia ma permetta an-che di godere delle destinazioni classiche del turismo romano? Le im-prese locali potrebbero usufruire di spazi pubblicitari nella campagna di comunicazione, e quindi ottenere maggiore visibilità e beneficio, oltre che giovarsi dell’aumentato numero di turisti nelle zone circo-stanti i luoghi carolingi della città. Una situazione vantaggiosa anche per l’organizzazione che otterrebbe profitto dalla vendita degli spazi pubblicitari e dai ricavi delle visite guidate. E poi, perché limitarsi a Carlo Magno, quando la Roma barocca non aspetta altro? O la Roma del cinema, o quella di Mussolini o di Augusto? E perché non espan-dersi poi in altre città?

Sembra il delirio di un folle: pensare di mettersi in proprio nel non-profit nel campo dei beni culturali in un momento di forte crisi econo-mica. Ma più ne parliamo e ci confrontiamo, più ci rendiamo conto che è possibile, è fattibile. Presentiamo il progetto alla fine del masterclass e riceviamo ottimi feedback, e persino i complimenti di un delegato del sindaco. Il morale è alle stelle e il progetto è ufficialmente concluso. Siamo soli, ora, con le nostre idee e la nostra voglia di fare: successo o fallimento hanno strade ancora tutte da scrivere, ma d’altronde, se non ora quando?

Per saPerne di Più

D. Buhalis, Marketing the competitive destination of the future, in “Tourism Management”, 21 (2000), pp. 97-116.

R.W. Butler, Mature Tourists Destinations: Can we recapture and retain the ma-gic?, in Seminario Internacional sobre Renovación y Reestructuración de Destinos Turísticos Consolidados de Litoral, Alicante, 2011.

P. Drucker, Managing the Nonprofit Organization, New York, Harper Collins Publishers, 1990.

L. Fusco Girard, P. Nijkamp, Cultural Tourism and Sustainable Local Development, Aldershot, Ashgate, 1990.

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R. Hodges, A. Paterlini, A Short History of the Butrint Foundation’s Conservation Programme at Butrint, Albania: 1994-2012, in “Conservation and Management of Archaeological Sites”, 15, 3-5 (2013), pp. 254-280.

M. Rispoli, G. Brunetti, Economia e Management delle Aziende di Produzione Culturale, il Mulino, Bologna, 2009.

J. Stanziola, Some more unequal than others: alternative financing for museums, libraries and archives in England, in “Cultural Trends”, 20/2 (2011), pp. 113-140.