Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale 110 CAPITOLO 4 DEFINIZIONE DEL PROGRAMMA SPERIMENTALE 4.1 Il processo produttivo ipotizzato I processi per la produzione di bioetanolo, biodiesel e metano ricavato dal biogas sono da tempo noti, mentre, solo nel corso degli ultimi anni, sono state sperimentate vie di produzione fermentativa di idrogeno da biomasse (Turn et al., 1998, Hallenbeck & Benemann, 2002; Levin et al., 2002). Tra queste, quella che sfrutta le capacità di batteri fermentativi acidogenici di trasformare idrati di carbonio in idrogeno ed acidi grassi volatili appare particolarmente promettente (Levin et al., 2002). L’interesse deriva anche dalla possibilità di impiego come materia prima di rifiuti e scarti lignocellulosici “umidi” come ad esempio la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Tali rifiuti sono largamente disponibili in tutti i paesi industrializzati a costi negativi stimabili, in prima approssimazione, pari a quelli necessari per un loro corretto smaltimento. La cellulosa e l’emicellulosa, che costituiscono le principali componenti dei rifiuti in questione, non sono però facilmente utilizzabili dai batteri acidogenici; si rendono quindi necessari pretrattamenti termo-chimici di idrolisi (Kim et al., 2005). Nei naturali processi di degradazione anaerobica della sostanza organica la fase acidogenica/idrogenogenica precede quella metanogenica in una successione perfettamente integrata di trasformazioni biocatalizzate che possono essere sfruttate per convertire rifiuti lignocellulosici in metano o in idrogeno e metano (Gavala et al., 2005) (Figura 4.1).
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Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale
110
CAPITOLO 4 DEFINIZIONE DEL PROGRAMMA
SPERIMENTALE
4.1 Il processo produttivo ipotizzato I processi per la produzione di bioetanolo, biodiesel e metano ricavato dal biogas sono da
tempo noti, mentre, solo nel corso degli ultimi anni, sono state sperimentate vie di produzione
fermentativa di idrogeno da biomasse (Turn et al., 1998, Hallenbeck & Benemann, 2002;
Levin et al., 2002). Tra queste, quella che sfrutta le capacità di batteri fermentativi
acidogenici di trasformare idrati di carbonio in idrogeno ed acidi grassi volatili appare
particolarmente promettente (Levin et al., 2002).
L’interesse deriva anche dalla possibilità di impiego come materia prima di rifiuti e scarti
lignocellulosici “umidi” come ad esempio la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Tali
rifiuti sono largamente disponibili in tutti i paesi industrializzati a costi negativi stimabili, in
prima approssimazione, pari a quelli necessari per un loro corretto smaltimento.
La cellulosa e l’emicellulosa, che costituiscono le principali componenti dei rifiuti in
questione, non sono però facilmente utilizzabili dai batteri acidogenici; si rendono quindi
necessari pretrattamenti termo-chimici di idrolisi (Kim et al., 2005). Nei naturali processi di
degradazione anaerobica della sostanza organica la fase acidogenica/idrogenogenica precede
quella metanogenica in una successione perfettamente integrata di trasformazioni
biocatalizzate che possono essere sfruttate per convertire rifiuti lignocellulosici in metano o in
idrogeno e metano (Gavala et al., 2005) (Figura 4.1).
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Figura 4.1 Schema concettuale per la produzione biologica di idrogeno e metano da biomassa.
Nel primo stadio del processo, tramite la fermentazione della biomassa si forma l’idrogeno
principalmente mediante degradazione della componente glucidica del substrato organico, e
altri prodotti intermedi (residui fermentescibili non zuccherini) che passano al secondo stadio
metanogenico e rappresentano il substrato utilizzabile dai metanobatteri. L’idrogeno, separato
dalla CO2, può essere usato direttamente nelle fuel cell o in motori a combustione interna, solo
o combinato con il metano prodotto nel secondo step; inoltre quest’ultimo può essere
teoricamente sottoposto a steam reforming e utilizzato anch’esso in fuel cells.
Sulla base delle considerazioni esposte uno schema concettuale di un processo per la
produzione di biocarburanti gassosi (rappresentato in Figura 4.1) può essere il seguente:
1) Pretrattamenti meccanici: un modo di migliorare i rendimenti di conversione è quello di
ridurre la dimensione delle particelle solide attraverso trattamenti meccanici che aumentano la
superficie specifica delle particelle (Hills e Nakano, 1984). I pretrattamenti meccanici
vengono effettuati su un substrato da cui sono stati eliminati inerti e plastiche (cioè le frazioni
a. Riduzione della CO2: O2HCHO4HCO 2422 +→+ (4.1) ca. 30%
b. Decarbossilazione dell’acido acetico: 32423 COHCHOHCOOHCH +→+ (4.2)
c.a. 70% -
6) Trattamento aerobico degli effluenti: si può ipotizzare un trattamento tradizionale a fanghi
attivi con il compito di portare a norma (vedi punto 10) gli effluenti generati dal processo che
potrebbero in parte essere riciclati all’inizio per la preparazione del substrato ed in parte
smaltiti in un corpo idrico recettore. I fanghi di supero potrebbero essere inviati alla
fermentazione metanogenica.
7) Disidratazione dei fanghi: i fanghi dalla digestione anaerobica devono essere sottoposti a
trattamenti che normalmente ne aumentano il contenuto di sostanza secca fino ad un tenore ≥
25% per essere inviati allo smaltimento in discarica.
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Figura 4.2 Schema qualitativo dei diversi cammini metabolici del processo di digestione anaerobica.
8) Residuo solido alla smaltimento: in accordo con i vincoli posti dal D. M. 2003 n° 36.
9) Trattamento terziario: costituisce un’ulteriore sezione dell’impianto, presente quando è
necessario ridurre le concentrazioni di composti azotati e fosforati.
10) Residuo liquido allo smaltimento: in accordo con i vincoli posti dal D.Lgs. 2000 n°258.
52%
24% 28%
72% 20 %
4%
76% SOSTANZA ORGANICA
COMPLESSA
ACIDI ORGANICI
H2
CH4
ACIDO ACETICO
ACETOGENESI IDROLISI
FERMENTAZIONE
METANOGENESI
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Figura 4.3 Fasi della digestione anaerobica1.
1Per digestione anaerobica si intende il processo biologico di trasformazione di un substrato organico in assenza di ossigeno, attraverso idrolisi, acidogenesi e metanogenesi (conversione del carbonio in metano ed anidride carbonica) della frazione biodegradabile del substrato. Nel caso in esame le fasi di idrolisi e di acidogenesi del substrato sono in larga misura già avvenute nello stadio di fermentazione idrogenogenica.
FASI DELLA DIGESTIONE
ANAEROBICA
H2, CO2 ACETATO
ACIDI ORGANICI,
ALCOLI
MONOMERI SOLUBILI
CEPPI BATTERICI
MACRO MOLECOLE ORGANICHE
CH4 CH4, CO2 METANOGENESI
ACETOGENESI
IDROLISI
Clostridium Ruminococcus Butyrivibrio Bacillus
Clostridium Ruminococcus Selonomomas ACIDOGENESI
Eubacterium Clostridium Acerogenium
Metanobacter
Batteri fermentativi 76%
20% 4 %
Batteri acetogeni
Batteri acetoclasti 72% Batteri idrogenofili 28%
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Figura 4.4 Degradazione di substrati organici complessi particolati o solubili.
4.2 Il substrato modello di riferimento e quello reale
Ciascuna delle materie prime rinnovabili potenzialmente utilizzabili per la bioproduzione di
idrogeno ipotizzata renderebbe disponibile un substrato per la “dark fermentation” diverso per
struttura e composizione.
Così ad esempio si avrebbe come fonte di carbonio:
Saccarosio: da melasso di barbabietola o di canna (sottoprodotti dell’agroindustria); da sorgo
zuccherino (pianta energetica per eccellenza);
Fruttosio: dall’idrolisi dell’inulina prodotta dal topinambur (altra pianta proposta per scopi
energetici);
Oligosaccaridi del glucosio: dall’idrolisi di materiali amidacei di scarto;
Lattosio: da siero di latte (sottoprodotto dell’industria casearia);
Glicerina: da liscivi (sottoprodotti dell’industria del sapone e/o della produzione del
biodiesel);
Oligosaccaridi di glucosio e xilosio: dall’idrolisi di scarti lignocellulosici e/o della FORSU.
PROTEINE GRASSI CARBOIDRATI
AMMINOACIDI ACIDI GRASSI MONOSACCARIDI
NH3 ALCOLI, CHETONI
ACIDI GRASSI VOLATILI
H2, CO2
ACIDO ACETICO
CH4
ACIDO FORMICO
CH4 CO2
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È noto dai dati di letteratura che i batteri produttori di idrogeno oggetto del presente lavoro
utilizzano come substrato di elezione il glucosio, il saccarosio o il fruttosio.
Si è quindi programmato di utilizzare come fonte di carbonio e di energia tre tipi di substrati:
• una miscela 1:1 di amido pre-idrolizzato e xilosio in modo da simulare una miscela di
glucidi simile a quella che si otterrebbe idrolizzando materiali lignocellulosici (substrato
• FORSU proveniente da RD (Raccolta Differenziata) (substrato reale 2).
4.2.1 Il substrato modello di riferimento L'amido e la cellulosa (Figura 4.5) sono due polimeri molto simili. Infatti entrambi sono
sintetizzati dallo stesso monomero, il glucosio (Figura 4.6), ed hanno le stesse unità ripetitive
di base. Figura 4.5 Struttura dell’amido.
C'è solo una differenza: nell'amido, tutte le molecole di glucosio sono orientate nella stessa
direzione. Nella cellulosa, invece, ogni unità di glucosio successiva è ruotata di 180 gradi
attorno all'asse della catena principale del polimero rispetto all'unità monomerica che lo
precede.
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Figura 4.6 Struttura del glucosio.
La formula di struttura dello xilosio (pentoso) è rappresentata, invece, nella Figura 4.7. Figura 4.7 Struttura dello xilosio.
La cellulosa è costituita da catene lineari di β-D glucosio uniti con 14 legami, e l’unità
ripetuta è il cellobiosio (Figura 4.8).
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Figura 4.8 Struttura del cellobiosio.
La composizione del medium utilizzato è riportata nella Tabella 4.1. Tabella 4.1 Composizione terreno nutritizio per brodocolture.
g/l
Amido solubile 5,0
Xilosio 5,0
Nitrato d’ammonio 0,34 C/N ~ 40
Sodio tioglicollato 0,5
KH2PO2 0,25
Soluzioni secondo Owen2 ml/l
A 0,5
B 2,0
C 0,2
D 1,2
pH 7,0 prima della sterilizzazione
(121°C per 30 min.)
2 Owen. et al., 1979
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Il rapporto C/N è stato impostato su un valore di 40, intermedio tra quello teorico ottimale per
la crescita (20) e quello sperimentalmente osservato da alcuni autori in corrispondenza di una
massimizzazione delle rese in H2 (47) (Lin C.Y., & Lay C.H., 2004). Il medium di
alimentazione del reattore è stato sterilizzato alla temperatura di 121°C per 30 min., mentre il
serbatoio che lo conteneva è stato stabilmente sottoposto ad un’atmosfera di gas inerte (azoto)
esercitata tramite una camera d’aria a pressione relativa di 3 bar iniziali per mantenerlo
incontaminato.
Le composizioni dei costituenti della Soluzione di Owen utilizzate sono riportate in
Appendice II.
4.2.2 Il substrato reale (1) Nel presente studio è stata utilizzata la F.O.R.S.U. (Frazione Organica dei Rifiuti Solidi
Urbani) proveniente dall’impianto di selezione di rifiuti solidi urbani di Albano, dopo una
prima vagliatura e prima ancora di una completa digestione aerobica.
Tale impianto di preselezione, recupero e riduzione volumetrica degli RSU e trattamento
aerobico della componente organica, è stato progettato in attuazione del D.L. numero 22 del
5/2/97 (Decreto Ronchi) che, nell’articolo 5 al punto 6, specifica come sia necessario avviare
in discarica solamente i residui di lavorazione che derivano dalle operazioni di riciclaggio e
recupero degli RSU.
Il prelievo della FORSU è avvenuto periodicamente con scadenza mensile, per mantenere le
caratteristiche della materia inalterate durante il trasporto è stato previsto l’utilizzo di appositi
contenitori termici, in modo da bloccare ogni possibilità di digestione della sostanza organica
in corso.
Per lo stesso motivo la conservazione della FORSU, per tutto il periodo di analisi in
laboratorio, è avvenuta in camere frigorifero alla temperatura di 4°C.
Le caratteristiche chimico-fisiche di tale materiale sono riportate nella Tabella 4.2 e in Figura
4.9. Tabella 4.2 Sintesi dell'analisi di caratterizzazione della FORSU nel mese di luglio 2006.
Umidità totale (%)
Solidi totali (%)
Solidi volatili (%ST)
Ceneri (%)
Proteine (%ST)
Lipidi (%ST)
Fibra grezza (%ST)
46 54 52 25.7 15.2 4.2 26.2
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Figura 4.9 Analisi della caratterizzazione della FORSU nel mese di luglio 2005.
SV28%
Umidità46%
Ceneri26%
Le caratteristiche appena mostrate sono relative alla FORSU prelevata dall’impianto di
selezione di Albano nel mese di Luglio. Utilizzando tale frazione sono state effettuate la
maggior parte delle prove sperimentali, sia nei microreattori batch che nel reattore CSTR.
La Figura 4.10 e la Figura 4.11 rappresentano l’andamento della % di ST e SV nella FORSU
durante l’anno, da aprile 2005 a dicembre 2005.
Figura 4.10 Andamento della percentuale di SV calcolata sugli ST contenuti nella FORSU nei vari mesi della
sperimentazione.
5350 52
48
58
0
10
20
30
40
50
60
%
Aprile Giugno Luglio Ottobre Dicembre
Dall’analisi di tali grafici si mette in evidenza la variazione stagionale delle caratteristiche del
substrato. Notiamo un contenuto maggiore di umidità nell’approssimarsi dei mesi invernali e
una sensibile variazione del contenuto di materia organica. Ma data l’estrema eterogeneità
della FORSU si ritiene opportuno specificare che si tratta solo di risultati “locali”, relativi cioè
ad una piccola parte del campione esaminato.
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Figura 4.11 Andamento della % di ST contenuti nella FORSU durante i vari prelievi all’impianto di selezione.
62
53 54 52 49
0
10
20
30
40
50
60
70
%
Aprile Giugno Luglio Ottobre Dicembre
4.2.3 Il substrato reale (2) In una seconda fase di sperimentazione su substrato reale è stato deciso di utilizzare la
FORSU proveniente dall’impianto di compostaggio di Maccarese. Nell'impianto vengono
conferiti i rifiuti della raccolta dei mercati gestita da AMA, oltre a residui organici raccolti in
modo differenziato e a rifiuti lignocellulosici, che vengono trasformati in compost.
Nella sperimentazione presente sono stati impiegati solamente i rifiuti mercatali giunti
all’impianto e sottoposti ad una prima triturazione con mulino a coltelli.
Nella Figura 4.12 sono riportate le caratteristiche medie di tali rifiuti (riferite al mese di
maggio 2006) in termini di umidità, ceneri e solidi volatili.
Figura 4.12 Caratterizzazione della FORSU nel mese di maggio 2006.
Umidità83%
Ceneri2%
SV15%
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4.3 I pretrattamenti meccanici ed idrolitici
I pretrattamenti sono una serie di processi a cui viene sottoposta la FORSU per migliorare le
sue caratteristiche in funzione della capacità di fungere da substrato per la produzione di
idrogeno. Uno dei primi obiettivi di questi trattamenti è stato incrementare la concentrazione
di sostanza organica, poiché essa rappresenta il substrato per i microrganismi idrogeno
produttori, e in particolare sono gli zuccheri a svolgere un ruolo fondamentale in questo
processo.
Questi trattamenti mirano a solubilizzare tali sostanze e renderle di immediato utilizzo per i
microrganismi.
Sono state effettuate numerose prove sperimentali in scala di laboratorio al fine di individuare
le condizioni ottimali di pretrattamento; precedentemente, è stato necessario omogeneizzare al
meglio il materiale utilizzato tramite un mulino a sfere o un mulino a coltelli per rendere
significativi i risultati di tali prove.
4.3.1 Pretrattamenti meccanici L’efficienza del processo di digestione anaerobica di rifiuti solidi dipende dalle dimensioni
delle particelle che costituiscono il substrato. Hills e Nakano (1984), lavorando su rifiuti di
pomodoro ridotti a particelle di dimensioni da 1,3 a 20 mm, hanno dimostrato che il tasso di
produzione di biogas ed il consumo di solidi sono inversamente proporzionali al diametro
medio delle particelle del substrato. Risultati simili sono stati ottenuti da Sharma et al. (1988)
con residui forestali ed agroindustriali. Quindi, la riduzione dimensionale delle particelle, e
l’aumento conseguente della superficie specifica disponibile, rappresenta un metodo per
incrementare i rendimenti di degradazione e accelerare il processo di digestione.
Una vasta gamma di processi di riduzione dimensionale, dalla comminuzione alla
disintegrazione della cellula, sono stati sperimentati come pretrattamenti per aumentare la
biodegradazione dei materiali solidi.
L’effetto della comminuzione di materiali organici, utilizzando diversi macchinari, sulla
biodegradabilità anaerobica è stato esaminato da Palmowsky e Müller (1999).
I risultati dimostrano che sia la produzione di biogas che la riduzione del tempo tecnico di
digestione vengono incrementati dalla comminuzione, per tutti i substrati, in particolare per
quelli a bassa biodegradabilità come foglie, semi e gambi di fieno.
La riduzione meccanica delle particelle si è dimostrata efficace anche per l’aumento della
produzione potenziale di biogas da rifiuti ricchi di fibre come il concime. Hartmann et al.
Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale
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(1999) hanno comparato l’effetto sulla produzione di biogas, della macerazione delle fibre del
concime in cinque differenti impianti di digestione anaerobica. I maceratori installati tra il
serbatoio di stoccaggio e il digestore avevano le stesse caratteristiche. E’ stato dimostrato che
la macerazione dell’intera alimentazione ha l’effetto di incrementare il rendimento del biogas
dell’ordine del 5-25%. Secondo gli autori, i bassi costi della macerazione (l’energia richiesta è
di 0,1-1,3 kWh/m3 di concime) rendono questo metodo conveniente per incrementare la
produzione di biogas da concime e probabilmente anche da altri tipi di rifiuto con un alto
contenuto di materiale particolato.
La disintegrazione meccanica della cellula è un processo ben noto usato in molte applicazioni
biotecnologiche per ottenere prodotti intracellulari, come proteine o enzimi (Schwedes e
Bunge, 1992). Alcuni autori hanno proposto di applicare tale trattamento meccanico come
pretrattamento a monte del processo biologico anaerobico del fango (Kopp et al., 1997, Müller
et al., 1998, Müller e Pelletier, 1998). L’obbiettivo di tale pretrattamento è di accelerare la
digestione del fango e incrementare il grado di degradazione al fine di minimizzare la quantità
finale da smaltire. La frazione principale del fango è costituita da materiali cellulari che spesso
limitano direttamente la degradazione anaerobica perché agiscono come barriere fisiche per i
microrganismi idrolitici. La disponibilità di tale materiale organico intracellulare potrebbe
essere incrementato attraverso i processi di distruzione meccanica della cellula. Inoltre,
l’obbiettivo di un processo di questo tipo è di distruggere la struttura compatta e di
frammentarla in piccole particelle che risultano più facilmente biodegradabili.
Numerosi processi di distruzione della cellula sono stati testati su acque reflue per migliorarne
la biodegradabilità anaerobica (Müller et al., 1998, Müller e Pelletier, 1998; Baier e
Schmidheiny, 1997; Engelhart et al., 1999). In questo campo, risultati comparativi sono
riportati da Müller et al. (1998) che hanno sperimentato in scala di laboratorio quattro metodi
di disintegrazione meccanica della cellula usando fanghi di acque reflue con una
concentrazione di SS pari a 1-4% e di SSV pari al 70% dei SS. I processi meccanici analizzati
sono stati:
• macinazione tramite un mulino a sfere. In questo processo la distruzione delle cellule
avviene attraverso forze di taglio e carichi di compressione tra gli agenti macinanti. Il
mulino testato operava in continuo con una portata di 10 l/h ed una velocità di agitazione
tangenziale da 2 a 10 m/s.
• trattamento tramite un omogeneizzatore ad alta pressione nel quale il componente chiave è
la valvola omogeneizzante attraverso cui la sospensione di cellule è forzata ad alta
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pressione (400-900 bar). In questo processo la distruzione delle cellule ha luogo attraverso
meccanismi di cavitazione e turbolenza indotti dal decremento di pressione.
• Trattamento tramite un omogeneizzatore ultrasonico dove l’energia necessaria per la
distruzione è trasferita dentro la sospensione di cellule da un sistema oscillante sotto forma
di onde acustiche. L’elevata energia dei vortici proviene dai meccanismi di cavitazione
creati da forze di taglio che distruggono la struttura di cellule.
• Trattamento tramite un omogeneizzatore “shear gap” nel quale un rotore cilindrico gira con
un alta velocità di rotazione (nel campo da 5000-24000 rpm) concentricamente ad uno
statore. Le forze di taglio risultanti conducono alla distruzione delle cellule.
Usando il tasso di domanda di ossigeno e il COD solubilizzato come parametri per misurare il
grado di distruzione delle cellule, è stato mostrato come un tasso di disintegrazione vicino al
90% è stato ottenuto in condizioni operative ottimali con tutti i metodi testati eccetto con
l’omogeneizzatore “shear gap”. Considerando il consumo di energia specifica,
l’omogeneizzatore ad alta pressione e il mulino a sfere rappresentano i processi più economici.
Inoltre, il grado di digestione del fango disintegrato è risultato superiore a quello di un fango
non trattato per una percentuale compresa tra il 10 e il 20% (Müller et al., 1998).
Gli effetti positivi della disintegrazione meccanica delle cellule sulla digestione anaerobica dei
fanghi è stata illustrata anche da altri autori. Thiem et al. (1997) hanno studiato l’effetto del
pretrattamento ad ultrasuoni sulla biodegradabilità del fango usando ultrasuoni ad una
frequenza di 31 kHz ed alte intensità acustiche. Gli autori hanno mostrato, in digestori operanti
con un identico tempo di residenza di 22 giorni, che la riduzione di solidi volatili era del
45,8% per un fango non trattato e del 50,3% per un fango disintegrato. Inoltre, la riduzione di
solidi volatili era del 44,3% in un digestore operante con un fango disintegrato ed un tempo di
residenza di 8 giorni. Engelhart et al. (1999) hanno mostrato che il pretrattamento meccanico
del fango usando un omogeneizzatore ad alta pressione conduce ad un accelerazione nella
riduzione di solidi volatili nei digestori a film fissato. La riduzione di solidi volatili di circa il
40% è stata raggiunta con tempi di residenza idraulici più bassi di 5 giorni senza processi
falliti.
Chiu et al. (1997) hanno studiato l’effetto di un trattamento ad ultrasuoni ed alcalino del fango
prima della fermentazione anaerobica con produzione di acidi grassi volatili. E’ stato mostrato
che la combinazione del trattamento alcalino con quello ad ultrasuoni consente una massima
solubilizzazione del COD totale pari all’89% contro il 36% ottenuto con il solo trattamento
alcalino. Inoltre, il pretrattamento combinato alcalino - ultrasuoni aumenta la produzione di
Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale
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acidi grassi volatili: valori del rapporto VFA:COD compresi tra il 66% e l’84% sono stati
ottenuti in queste condizioni laddove tali rapporti risultavano pari al 10% e al 30%
rispettivamente con il fango grezzo e con il fango pretrattato col solo metodo alcalino.
Rivard e Nagle (1996) hanno testato una combinazione di pretrattamento termico e meccanico
basato sulla sinergia tra l’azione meccanica e quella termica, per distruggere la macrostruttura
del fango disidratato e successivamente per incrementare la sua biodegradabilità. Le
condizioni ottimali di pretrattamento (rilascio di COD solubile dell’ordine dell’80-83%) sono
state ottenute con un contenuto di solidi dell’1%, tempi di trattamento tra 4 e 8 minuti, e una
temperatura di 55°C. In secondo luogo, gli autori hanno proposto una combinazione di
pretrattamento termico e di taglio usando un Ultra-Turrax; il pretrattamento di taglio ottimale
(rilascio di COD solubile dell’ordine dell’88-90%) è avvenuto con un contenuto di solidi
dell’1-2%, tempi di trattamento di 6-10 minuti e una temperatura di 87°C.
Dohanyos et al. (1997) hanno proposto la distruzione meccanica delle cellule contenute nei
fanghi attivi tramite una speciale centrifuga adatta per l’ispessimento. Lo scopo di questo
metodo è la parziale distruzione delle cellule durante l’ispessimento con la centrifuga,
sfruttando l’energia cinetica generata dalla centrifuga stessa. Di conseguenza, non è richiesta
alcuna energia aggiuntiva. Uno speciale ingranaggio impattante è stato incorporato nella
centrifuga e posizionato nel punto in cui il fango ispessito esce. Gli autori riportano che
l’incremento del rendimento della produzione di metano da fanghi attivati ispessiti è stato
dell’84,6%.
4.3.2 Idrolisi L’idrolisi consente la degradazione di substrati organici complessi particolati o solubili, quali
proteine, grassi e carboidrati, con la formazione di composti semplici, quali aminoacidi, acidi
grassi e monosaccaridi in forma solubile.
Il fenomeno dell’idrolisi è un caso particolare del fenomeno generale della solvòlisi, nome
con il quale si indica la reazione di un soluto con il solvente in cui è disciolto; se il solvente è
l’acqua si parla di idrolisi.
L’idrolisi salina è a sua volta il caso di idrolisi in cui si ha reazione tra il solvente acqua ed un
sale in essa disciolto, ma il fenomeno dell’idrolisi non è limitato soltanto ai sali: qualsiasi
reazione in cui una specie chimica che in soluzione acquosa reagisce con H2O formando
nuove specie chimiche rappresenta una reazione di idrolisi, così ad esempio può formarsi
perossido di idrogeno (acqua ossigenata) per idrolisi dell’acido perossidisolforico:
22422822 OHSO2HO2HOSH +→+ (4.3)
Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale
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Anche in chimica organica si incontrano frequentemente reazioni di idrolisi: ad esempio il
formiato di metile (H-COOCH3) si idrolizza e forma alcool metilico (CH3OH) ed acido
formico (HCOOH):
OHCHHCOOHOHCOOCHH 323 −+→+− (4.4)
Nel caso della FORSU che è composta da residui organici di varia natura, si verifica l’idrolisi
contemporanea dei suoi vari costituenti: lipidi, carboidrati, fibre, proteine
Trattamenti di idrolisi
L’idrolisi può essere di tipo:
• chimico (alcalina o acida)
• termico
• termo-chimico (utilizzata nel nostro studio)
I trattamenti con agenti chimici sono stati ampiamente utilizzati per la produzione di
biocombustibili da substrati lignocellulosici (Millet et al., 1975; Datta 1981; Pavlostathis &
Gosset, 1985). Sono stati investigati pretrattamenti chimici a temperatura ambiente a base di
acidi o basi.
Il trattamento alcalino generalmente è più compatibile con i processi fermentativi anaerobici
che sono più efficaci a pH basici (Pavlostathis & Gosset, 1985) perché provoca una
saponificazione di esteri di acido ironico associata a catene di xilano (Datta, 1981) che ha
come effetto un incremento marcato nella capacità di rigonfiamento e nelle dimensione dei
pori. Ciò non solo consente una diffusività maggiore per gli enzimi idrolitici ma facilita anche
le interazioni tra il substrato e gli enzimi. Per questi motivi i batteri acidogenici possono
fermentare la lignocellulosa pretrattata anche senza che sia avvenuta una delignificazione o
l’idrolisi della cellulosa durante il pretrattamento.
L’agente alcalino più comunemente utilizzato è l’idrossido di sodio. Impiegando tale reagente
a temperatura ambiente si riporta un miglioramento della biodegradabilità di paglia di grano.
La più alta efficienza di conversione anaerobica riportata è stata dell’80% per il substrato
pretrattato a 7.5% di ST, con 50 g NaOH/100 g ST per 24 ore; mentre per il substrato non
trattato l’efficienza di conversione è stata del 34.3%. Il pretrattamento alcalino basato
sull’aggiunta di NaOH può essere applicato ad altri substrati organici più complessi, come i
fanghi civili (Rajan et al,1989); infatti studiando la solubilizzazione a bassi livelli alcalini di
fanghi di depurazione a temperatura ambiente e si trova una solubilizzazione di circa il 45%
del COD particolato. Anche la concentrazione di NaOH e dei solidi nei fanghi influenzano
Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale
127
significativamente il tasso di idrolisi. Con fanghi di alimentazione con l’1% ST, l’idrolisi del
particolato solido dopo 12 ore a 20°C è stata incrementata dal 13 al 45% quando la
concentrazione di NaOH passa da 10 a 40 meq/l. con un livello costante di 4 g NaOH/100 g
ST, il tasso di idrolisi si incrementava dal 13 al 31% quando la concentrazione dei solidi di
alimentazione passa da 0.5 al 3%.
In ogni caso nei pretrattamenti chimici di rifiuti devono essere tenuti in considerazione i
problemi di potenziale tossicità dei substrati, in particolare l’inibizione o la tossicità dovuta
all’alta concentrazione di ioni. Il catione sodio infatti ha un’attività inibente nei confronti
della flora metanogenica (Kugelman & McCarty, 1965; Feijoo et al., 1995). La soglia di
tossicità dello ione Na è considerata 0.3 M che raramente si raggiunge con pretrattamenti a
modesti livelli alcalini. La scarsa biodegradabilità di substrati pretrattati a pH basici sembra
essere quindi dovuta alla formazione di composti refrattari sotto condizioni di alto pH, come
ad esempio le sostanze aromatiche che derivano dalla degradazione della lignina che
costituisce i substrati lignocellulosici.
Il trattamento termico viene impiegato solitamente per migliorare la disidratabilità di fanghi
di depurazione grezzi o digeriti. Naturalmente, l’incremento di biodegradabilità deriva sia
dalla frazione solubile che da quella insolubile. Infatti il trattamento ad alta temperatura altera
la struttura della frazione insolubile e la rende più facilmente biodegradabile.
I principali svantaggi dei pretrattamenti termici sono: produzione di odori molesti, corrosione
e contaminazione organica dei tubi di scambio termico, l’elevata richiesta energetica,
l’esigenza frequente di alcune forme di trattamento prima di riciclare la sostanza liquida
all’impianto di trattamento.
I potenziali vantaggi sono invece una migliore disidratabilità, un incremento della
biodegradabilità, una riduzione nella forza dei flussi liquidi, una riduzione degli odori durante
la fase di digestione, la sterilizzazione del substrato ed un migliore bilancio energetico. Alcuni
studi (Haug et al. 1978) hanno verificato che il pretrattamento termico di fanghi primari a
175°C non ha effetti significativi sulla produzione di biogas. Al contrario, il trattamento di
fanghi attivi comporta un incremento del 60% nel tasso di metano con una riduzione del 36%
di VSS nell’effluente della digestione anaerobica. Gli stessi autori hanno valutato i bilanci
energetici dei sistemi convenzionali di digestione anaerobica dove il trattamento termico
segue la fase di digestione e di quelli dove il trattamento termico si esegue prima, e hanno
concluso che questi ultimi presentano un incremento dell’energia netta prodotta in relazione
Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale
128
alla maggiore biodegradabilità del substrato e alle ridotte richieste energetiche per riscaldare il
digestore.
Il tempo di ritenzione per la digestione anaerobica di fanghi attivi pretrattati a 170°C per
un’ora può essere ridotto a 5 giorni (Li & Noike, 1992). In queste condizioni il tasso di
rimozione del COD era del 60%, con una produzione di biogas di 223 ml/g COD, circa
doppia di quella registrata con il controllo. Secondo questi autori l’effetto positivo del
pretrattamento termico sulla biodegradabilità anaerobica dei fanghi attivi è dovuta all’idrolisi
della maggior parte della frazione particolata dei fanghi attivi, alla produzione di acidi grassi
volatili che sono più facilmente convertibili in biogas durante la successiva fase di digestione,
al fatto che la rimanente frazione particolata contenuta nel fango attivo pretrattato
termicamente risulta più facilmente idrolizzabile dal consortium anaerobico. La fluidità del
rifiuto dipende dalle condizioni di trattamento (temperatura, tempo operativo).
Il fango di acque reflue può essere liquidizzato (Dote et al., 1993) a temperature comprese tra
150 e 175°C. La viscosità del fango diminuisce con l’incremento della temperatura e del
tempo di trattamento. Naturalmente, condizioni troppo severe sembrano avere un effetto
negativo sulla successiva fase di digestione. Si è osservato (Pinnekamp, 1989) un effetto
contrario sopra la temperatura di 180°C. A dispetto dell’incremento della dissoluzione
termica, la produzione di gas ottenuta da un fango trattato termicamente decresce nettamente,
in alcuni casi a valori più bassi del fango non trattato. Allo stesso modo, si è osservato
(Stuckey & McCarty, 1978) che incrementando la temperatura di trattamento veniva
incrementata la solubilizzazione fino ad un massimo del 51% a 225°C. A temperature
maggiori la quantità di materia organica solubile diminuisce suggerendo la formazione di
molecole più grandi attraverso la polimerizzazione. Tale fenomeno è stato associato alle
reazioni di zuccheri semplici contenuti nel fango con aminoacidi che provocano la formazione
di composti difficili da degradare. A temperature superiori a 175°C, essi osservarono una
diminuzione della biodegradabilità anaerobica che potrebbe essere dovuta o alla formazione
di composti refrattari durante il trattamento termico o all’inibizione dei microrganismi
anaerobici dal fango trattato. L’acclimatazione biologica sia a 225 che a 250°C di trattamento
si registra solo dopo 8 giorni di incubazione, questo suggerisce che i materiali refrattari siano
la principale causa della più bassa biodegradabilità alle temperature più alte. Allo stesso
modo, la temperatura alla quale il pretrattamento termico viene condotto ha un effetto
pronunciato sulla biodegradabilità. Con il fango attivo, la biodegradabilità è stata
incrementata con la temperatura con un ottimo vicino a 175°C, oltre tale temperatura la
produzione di gas diminuisce.
Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale
129
L’idrolisi termo-chimica della sostanza organica solida è comunemente effettuata con agenti
alcalini, sebbene sono riportati in letteratura dati sulla idrolisi termo-acida di rifiuti (Bouthilet
& Dean, 1970; Barlindhaug & Odegaard, 1996; Rocher et al., 1999). In questo campo
l’effetto del pretrattamento combinato termico ed alcalino sulla biodegradabilità anaerobica di
fanghi attivi è stato studiato da Stuckey & McCarty (1978) e da Haug et al. (1978). Stuckey &
McCarty, lavorando con fanghi attivi, hanno riportato che, sotto un pretrattamento termo-
chimico, il fango attivo è soggetto alle seguenti reazioni: i lipidi sono idrolizzati in condizioni
acide o alcaline a glicerolo e acidi grassi; i carboidrati, e più in particolare i polisaccaridi
batterici, sono idrolizzati a polisaccaridi più semplici o zuccheri; le proteine sono idrolizzate
da soluzioni acide in monomeri di aminoacidi (alcuni legami peptidici – quelli di valina,
isoleucina e leucina per esempio – sono più stabili degli altri e richiedono tempi di idrolisi
maggiori e acidi più forti. La rottura del legame peptidico è notoriamente più veloce con acido
cloridrico che con acido solforico). Gli aminoacidi possono essere inoltre degradati ad
ammoniaca e acidi organici, le proteine possono anche essere idrolizzate in condizioni
alcaline; naturalmente la velocità e il grado sono generalmente minori rispetto alle condizioni
acide. Gli acidi nucleici RNA e DNA sono idrolizzati per produrre costituenti basici, zuccheri
e ortofosfati. Possono avvenire varie reazioni intermolecolari come le reazioni che
coinvolgono la polimerizzazione di gruppi carbossili con gruppi amminici per formare
polimeri marroni a base di azoto e co-polimeri chiamati melanoidi. Temperature elevate e
valori estremi di pH aumentano la velocità di questa polimerizzazione. Tali composti
notoriamente sono difficili da degradare. Molti autori (Stuckey & McCarty, 1978; Tanaka et
al., 1997; Penaud et al., 1998) hanno confrontato l’efficienza dei pretrattamenti termici,
chimici o termo-chimici e hanno osservato che le migliori performance in termini di
solubilizzazione di COD e biodegradabilità anaerobica erano ottenuti con i pretrattamenti
termo-chimici. Le condizioni ottimali definite dipendono ovviamente dal tipo di substrato
impiegato (Tabella 4.3).
Tanaka et al. (1997) hanno utilizzato fanghi attivi di reflui civili e una combinazione di fanghi
civili e industriali. Impiegando i primi il rapporto di solubilizzazione dei VSS è stato del 70-
80% con un incremento della produzione di CH4 di circa il 30%. Con la combinazione di
fanghi il rapporto di solubilizzazione dei VSS è stato del 40-50% e la produzione di CH4
superiore al 200% rispetto al controllo. Patel et al. (1993), utilizzando giacinti d’acqua,
associarono l’effetto del pretrattamento alcalino alla solubilizzazione della lignina. Ciò
costituisce un vantaggio nel senso che viene liberata la parte solida rimanente di carboidrati
ed incrementa la porosità.
Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale
130
Tabella 4.3 Effetto dei pretrattamenti termo-chimici sulla solubilizzazione e la biodegradabilità anaerobica di vari tipi di rifiuti (Mata-Alvarez, 2003).
Riferimento
Substrato
Condizioni
ottimali definite
Efficienza di solubilizzazione
Effetto sulla biodegradabilità
Stuckey & McCarty, 1978 Fango attivo
175°C, 30 meq NaOH/l,
1 ora 55% COD
78% conversione COD
in CH4
Haug et al. (1978) Fango organico 175°C, pH 12,
30 min 68% COD
Aumento del 57% nella
produzione di CH4
Patel et al. (1993) Giacinto d’acqua 121°C, pH 11, 1 ora 58,5% COD
Aumento della
produzione di CH4
Tanaka et al. (1997)
Combinazione di fanghi
130°C, 0.3 g
NaOH/g VSS, 5 min
45% VSS
Aumento del 220% nella produzione di
CH4
Penaud et al. (1998) Fango industriale
140°C, pH 12,
30 minuti 75% COD
40% biodegradabilità
Penaud et al. (1998) hanno osservato che il pretrattamento alcalino di un fango industriale
conduce ad un incremento della solubilizzazione del COD pari al 75-80% utilizzando 5 g
NaOH/l a 140°C per 30 minuti invece del 65% a temperatura ambiente. Mentre aumentando
la concentrazione di idrossido di sodio non si registravano incrementi significativi del COD
solubile.
I pretrattamenti termo-chimici consentono di incrementare significativamente la
solubilizzazione della sostanza organica ma presentano alcuni inconvenienti come:
• possibilità di formazione di molecole inibenti;
• solubilizzazione di molecole che formano polimeri difficili da degradare;
• utilizzo di reagenti chimici che possono indurre problemi di tossicità.
Per quanto riguarda la formazione di composti inibenti, Haug et al. (1978), trattando fanghi
organici a 175°C a pH 12, osservarono la produzione di tali composti che compromettevano
le prestazioni della digestione anaerobica subito dopo la loro alimentazione al reattore.
Nessuna acclimatazione si registrava dopo 43 giorni dall’alimentazione. In un altro studio,
Patel et al. (1993) sottolinearono i derivati della lignina solubile ottenuti da un trattamento
termo-alcalino esercitano effetti tossici (principalmente come conseguenza delle sostanze
aromatiche prodotte dalla degradazione della lignina). Allo stesso modo Penaud et al. (1998)
Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale
131
non osservarono alcuna acclimatazione dei batteri anaerobici alla biomassa industriale
pretrattata termo-chimicamente, indicando la possibile presenza di materiali inibenti.
Stuckey & McCarty (1978) hanno riportato che la minore biodegradabilità era dovuta
principalmente alla formazione di composti refrattari, sia solubili che insolubili. Come ipotesi
per spiegare la natura refrattaria delle molecole formate è stata avanzata quella della
formazione di reazioni intramolecolari tra i composti solubili che portano alla produzione di
sostanze complesse. Tali reazioni, comunemente definite reazioni di Maillard, si osservano
frequentemente nell’industria alimentare. I composti colorati che si formano sono complessi e
molto difficili da degradare, perfino da i batteri del rumine (Marounek et al., 1995). Penaud et
al. (2000) hanno caratterizzato le molecole solubili generate durante il pretrattamento termo-
chimico di un fango industriale (aggiunta di NaOH fino ad un pH 12, 140°C). Essi
dimostrarono che i composti ad elevato peso molecolare erano responsabili della scarsa
biodegradabilità anaerobica e della biotossicità registrata.
Per quanto riguarda infine la possibile tossicità degli agenti alcalini, nessun autore ha
dimostrato tale ipotesi. Pavlostathis & Gosset (1985) che trattarono paglia di grano con 10 g
NaOH/100 g TS con sistema a flusso continuo, dimostrarono che per una concentrazione del
5% di solidi influente al digestore, la concentrazione di sodio nel digestore allo stato
stazionario dovrebbe essere approssimativamente 0.125 M, che è più basso di 0.3 M
considerata la soglia di tossicità dello ione sodio (Kugelman & McCarty, 1965; McCarty &
McKinney, 1971). In un altro studio, Penaud et al. (1998) non rilevarono alcuna sostanziale
differenza nelle caratteristiche di biodegradabilità ottenute con pretrattamento alcalino a
140°C utilizzando diversi reagenti (NaOH, KOH, Mg(OH)2 e Ca(OH)2). Ciò indica che la
bassa biodegradabilità non è legata alla concentrazione dello ione sodio. Questo è stato
confermato dai test di biodegradabilità condotti a concentrazioni crescenti di sodio.
Capitolo 4 – Definizione del programma sperimentale
132
Figura 4.13 Idrolisi chimica di esosi, pentosi e lignina.
4.4 I meccanismi e le rese dell’Idrogenogenesi
Molte specie di batteri anaerobi sviluppati al buio possono degradare substrati ricchi di
carboidrati producendo un biogas misto costituito principalmente da idrogeno ed anidride
carbonica, ma anche piccole quantità di metano, monossido di carbonio e/o acido solfidrico.
Le reazioni di fermentazione possono avvenire a temperature mesofiliche (25-40°C),
termofiliche (40-65°C), estremamente termofiliche (65-80°C) o ipertermofiliche (> 80°C). I
principali ceppi batterici produttori di idrogeno includono specie di Enterobacter, Bacillus e
Clostridium. I microrganismi appartenenti ai ceppi Clostridium e Bacillus sono caratterizzati
dalla capacità di formare le spore in condizioni ambientali sfavorevoli (stress metabolico),
come scarsità di nutrienti o temperature non elettive, etc. I Clostridi possono essere selezionati
da consorzi naturali come fanghi anaerobici o fanghi attivi utilizzando trattamenti termici.
I Clostridi garantiscono maggiori rese di produzione di idrogeno rispetto ai microrganismi del
ceppo Enterobacter; Clostridium pasteurianum, C. butyricum e C. beijerinkii sono alti
produttori di idrogeno, mentre C. propionicum è un modesto produttore di idrogeno (Levin et
al., 2002).
Il glucosio, i suoi isomeri, o i polimeri (amido o cellulosa), vengono convertiti in quantità
differenti di idrogeno a seconda del percorso di fermentazione e dei prodotti finali. È possibile
ottenere una quantità teorica massima di 4 moli di H2 per mole di glucosio (pari a circa 0,5
l/g) quando il prodotto finale è rappresentato da acido acetico: