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BUONE NOTIZIE PERIODICO ANNUALE DI AVAID, ASSOCIATION DE VOLONTAIRES POUR L’AIDE AU DÉVELOPPEMENT ASSOCIAZIONE VOLONTARI PER L’AIUTO ALLO SVILUPPO - ANNO XVII - DICEMBRE 2012 - www.avaid.ch COSTRUENDO UN BENE PER TUTTI COSTRUENDO UN BENE PER TUTTI SIRIA In aiuto a chi fugge dalla guerra pagina 4 UGANDA Centro educativo nello slum di Kireka pagina 6 KENYA Un futuro con le adozioni a distanza pagina 10 ECUADOR Asili familiari per i bimbi delle Ande pagina 12 ETIOPIA La nuova Università di Addis Abeba pagina 14
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BN_2012

Mar 23, 2016

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Luca Camerini

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BUONENOTIZIEPERIODICO ANNUALE DI AVAID, ASSOCIATION DE VOLONTAIRES POUR L’AIDE AU DÉVELOPPEMENTASSOCIAZIONE VOLONTARI PER L’AIUTO ALLO SVILUPPO - ANNO XVII - DICEMBRE 2012 - www.avaid.ch

COSTRUENDOUN BENE PER TUTTICOSTRUENDOUN BENE PER TUTTI

SIRIAIn aiuto a chi fuggedalla guerrapagina 4

UGANDACentro educativonello slum di Kirekapagina 6

KENYAUn futuro con leadozioni a distanzapagina 10

ECUADORAsili familiari peri bimbi delle Andepagina 12

ETIOPIALa nuova Universitàdi Addis Abeba pagina 14

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Costruendo un bene per tutti

AVAID - Association de Volon-taires pour l’Aide au Dévelop-pement - (www.avaid.ch) è

un’Organizzazione non governativa(Ong) svizzera, senza scopo di lucro,con sede a Lugano e Bellinzona.AVAID si è costituita nel 1995 dapprimaper sostenere alcuni medici ticinesi alloraattivi in Kenya e in Camerun e, in seguito,per realizzare progetti di aiuto allo svilup-po nei Paesi poveri. In particolare AVAIDpromuove il sostegno a distanza per ibambini di Kibera, il più grande slum afri-cano, situato alla periferia di Nairobi, capi-tale del Kenya. Ogni anno AVAID, avva-lendosi del supporto di numerosi volonta-ri, propone una campagna di raccoltafondi denominata Tende di Natale edestinata a vari progetti nel mondo.AVAID è riconosciuta dal Cantone Ticinocome associazione di pubblica utilità ed èmembro della FOSIT, la Federazione cheriunisce le ONG della Svizzera italiana.

AVAID partecipa al network internazio-nale della Fondazione AVSI(www.avsi.org) e usufruisce quindi diuna consolidata ed efficace esperienzanella cooperazione allo sviluppo. AVSI,Ong nata in Italia nel 1972, è infatti attual-mente impegnata con oltre 100 progetti in38 Paesi di Africa, America Latina e Carai-bi, Est Europa, Medio Oriente e Asia. AVSIopera nei settori della sanità, igiene, curadell’infanzia in condizioni di disagio, edu-cazione, formazione professionale, recu-pero delle aree marginali urbane, agricol-tura, am bien te, microimprenditorialità,sicurezza alimentare, emergenza umanita-

Aiuto allo sviluppo

La persona al centro AVAID e FONDAZIONE AVSI: CHI SIAMO E CHE COSA FACCIAMO

ria. Nei progetti in corso è impegnato uncentinaio di cooperanti italiani, (medici,ingegneri, educatori, agronomi) unmigliaio di collaboratori locali qualificati.La Fondazione AVSI è riconosciuta dalMinistero degli Affari Esteri italiano; è regi-strata presso l’Agenzia per lo SviluppoInternazionale degli Stati Uniti (USAID); èaccreditata presso il Consiglio Economicoe Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC),l’Organizzazione delle Na zio ni Unite per loSviluppo dell’Industria di Vienna (UNIDO)e il Fondo delle Na zio ni Unite per l’Infan-zia (UNICEF).

Obiettivo di AVAID e AVSI è promuo-vere la dignità della persona attraver-so attività di cooperazione allo svilup-po con particolare attenzione all’edu-cazione, nel solco dell’insegnamentodella dottrina sociale cattolica. Il dram-ma che molte popolazioni stanno viven-do va combattuto tenendo conto dell’u-nicità dell’uomo con un progetto cheguardi all’educazione come strumentoper far emergere i talenti. Solo in questomodo è possibile consolidare un model-lo di sviluppo che faccia crescere gliuomini e, con loro, la pace.

I valori guida - Centralità delle perso-na: realizzare progetti di sviluppo aven-do come punto centrale la personasignifica condividerne i bisogni, il sensodella vita e commuoversi per il suo desti-no. Senza questo la risposta al bisogno èun gesto di bontà autogratificante o unastrategia politica. La persona è vistacome essere unico nelle sue relazionifondamentali, famiglia e società, irripeti-

bile e irriducibile a qualsiasi categoriasociologica o a un limite contingente(povertà, malattia, handicap, guerra).

Partire dal positivo: ogni persona, ognicomunità, per quanto carente, rappre-senta una ricchezza. Ciò significa valorizzare ciò che le perso-ne hanno costruito. È un punto operativo fondamentale, chenasce da un approccio positivo allarealtà e aiuta la persona a prenderecoscienza del proprio valore e dignità.

Fare con: un progetto di sviluppo “cala-to dall’alto” è violento perché non par-tecipato oppure inefficace e senza futuroin quanto solo assistenziale. La modalitàcon cui AVAID e AVSI attuano un proget-to è quella di fare assieme alle persone,cioè attraverso il rapporto con coloro acui il progetto si rivolge e costruire sullabase dei passi maturati insieme.

Sussidiarietà: fare progetti di svilupposignifica favorire la capacità associativa evalorizzare il costituirsi dei corpi interme-di e di un tessuto sociale ricco di parteci-pazione e di corresponsabilità. Il dirittodi ogni persona alla libertà di intrapresasi rivela, nei fatti, una forza potente disviluppo e di arricchimento della convi-venza civile e democratica.

Partnership: nei progetti di sviluppo èfondamentale creare una reale partner-ship tra tutte le entità presenti sul terre-no, siano esse pubbliche o private, localio internazionali, evitando sovrapposizioni,favorendo sinergie e ottimizzando l’usodelle già scarse risorse a disposizione.

Little Prince Primary School, Kibera-Nairobi Foto Silvia Morara

AVAID

2012-2013

Per contattareAVAID

Sedi, recapiti, orari:

Lugano, Corso Pestalozzi, 14Tel. e fax 091 921 13 93lunedì: 9 - 12 / 13-17.30

Bellinzona, Via Nocca, 4Tel. e fax 091 826 19 29mercoledì: 8.30 - 11.30venerdì: 8.30-11.3013.30-16.30

[email protected]

Il comitato di AVAIDChristof Affolter,Vincenzo Bonetti(presidente), Gabriele Dall'Ac-qua, Gianni Rossi,Valerio Selle(responsabile), Alberto Totisegretaria operativa:Jessica Buloncelli

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Le persone che costruivano le catte-drali, davano una parte di sé perl’edificazione di una cosa grande

che non era una loro proprietà. Quegliuomini davano tempo, denaro e materiali.C’era chi dava solo un bottone o perfinotutto il proprio capitale come contributoper permettere la costruzione della catte-drale. Proprio come le persone chesostengono l’associazione AVAID e laFondazione AVSI promuovendo iniziativeper la Campagna di solidarietà delleTende o facendo una donazione.

Certo erano – e ancora oggi sono –uomini che vivono la dimensione delbisogno di dare qualcosa di sé gratis edi partecipare alla realizzazione di una

cosa grandiosa, come ne ces sa ria allapropria vita.In un contesto di sfaldamento generale,di crisi delle certezze, di chiusura in dife-sa, rilanciamo la sfida: ognuno di noi haun desiderio di bello e di bene che puòmettere a servizio di un grande progetto.

Il grande progetto che le Ong AVAIDe AVSI propongono è costruire unmondo umano, in cui tutti possanoesprimere la propria innata dignità.Nell’orizzonte di questo progetto, inquesti anni migliaia di amici si sonouniti per realizzare “pezzi” piccoli egrandi, in tanti angoli del mondo: scuo-le, asili, centri educativi, università, for-mazione, inserimento al lavoro, cura,

sostegno famigliare. Un grande proget-to, partecipato e vissuto, in cui tantepersone aiutate hanno a loro volta ini-ziato a partecipare attivamente.

Duemila anni fa un Bambino nascen-do in una grotta ha portato la gra-tuità sulla terra. L’infinito entrava nelfinito con una carezza eterna.Oggi con un piccolo gesto della Cam-pagna di raccolta fondi delle Tende,una donazione, una cena, uno spetta-colo, una partita di calcio, possiamoimitare quella stessa gratuità e portarela stessa carezza a persone che laaspettano dall’altra parte del globo. Erilanciare la tensione al bello e al beneche nessuna crisi riuscirà a seppellire.

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Costruendo un bene per tutti

Le Tende2012-2013

Con il titolo “Co-struendo un bene

per tutti”, la Campa-gna di solidarietà e di

raccolta fondi del-l’Associazione AVAID

e della FondazioneAVSI, quest’anno si

prefigge di sostenerei seguenti progetti:in Siria per le fami-

glie in fuga dallaguerra; in Uganda,

per il Centro educati-vo “High School Luigi

Giussani” nello slumdi Kireka a Kampala;

in Kenya, per il So-stegno a distanza ele scuole nello slumdi Kibera a Nairobi;

in Ecuador, per gli a-sili famigliari di Quito

e in Etiopia, per lanuova Università cat-

tolica di Addis Abeba.La Campagna di soli-

darietà di AVAID eAVSI, denominata

Tende di Natale, è unimportante gesto dicarità, iniziato negli

Anni ’90, a sostegnodell’opera dei volon-tari all’estero, sia at-

traverso donazionisia facendo conosce-

re il loro lavoro. Daallora, a partire dal

periodo natalizio, leTende delle Ong A-

VAID e AVSI sono di-ventate occasione e

strumento di sensibi-lizzazione e di raccol-ta fondi a favore del-

le popolazioni piùfragili e si realizzanoattraverso il coinvol-gimento gratuito di

molte persone. Ognianno viene presenta-to un tema specifico,

con uno slogan chevuol far riflettere sul-la condizione dell’es-sere umano nel mon-

do, e vengono indi-cati i progetti che

hanno particolare ne-cessità di essere so-

stenuti.

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65-731045-7intestato a: AVAID6900 Lugano-CH

Donatori generosi anche nel 2011“Alla radice dello sviluppo: il fat-

tore umano”. Come forse qual-cuno ricorderà, era questo lo

slogan della campagna di solidarietà pro-mossa da AVAID nel 2011, campagna cheha permesso di raccogliere in Svizzera laconsiderevole somma di circa 43'000 fran-chi. I progetti proposti l’anno scorso

riguardavano l’emergenza educativa e lacarestia nel campo profughi di Dadaab inKenya e, sempre in Kenya, il sostegno adistanza e le scuole di AVAID e AVSI aNairobi; inoltre le altre situazioni di biso-gno concernevano le scuole del Patriar-cato in Egitto e la realizzazione di un Cen-tro per giovani e famiglie a Port-au-Prince

ad Haiti. A queste iniziative di aiuto allosviluppo sono stati devoluti e ripartiti ifondi raccolti in Svizzera e quelli ricavatidurante l’analoga colletta effettuata inItalia dalla Fondazione AVSI, Ong di cuiAVAID è partner. I resoconti dettagliatidei differenti progetti sono pubblicati econsultabili sul sito www.avsi.org.

COSTRUENDOUN BENE PER TUTTICOSTRUENDOUN BENE PER TUTTI

Foto Silvia Morara

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In fondo al fiume Janoubi, dove lemontagne del Libano si separanodalle alture della Siria un boato.

“Tal Kalakh” - mormora suor Marita.“Come sempre” - sussurra MariaLuisa. Le cinque trappiste del conven-to di Hazer conoscono bene quellavoce. Da mesi accompagna le loro pre-ghiere. Talvolta si fa fin troppo vicina.Marta Luisa, una comasca 53enne, tispinge verso il tetto, spalanca una portasull’oscurità, indica vampe e boati. “Losenti? È il cannone. Li vedi i baglioridelle esplosioni?” È Tal Kalackh, la cittàalla frontiera, lì ci sono i “musalahin” gliuomini armati, i ribelli.

Questo monastero cistercense sullacollina sopra il villaggio cristiano diHazer è all’incrocio della guerra.“Proprio in mezzo” - sospirano in unfiato Mariangela, 73 anni di Brescia,suor Adriana, una sarda di 66 anni esuor Annunciata, una lodigiana 73enneospite del convento per un breve perio-do. Se per Annunciata il monastero“Beata Maria Fons Pacis” di Hazer èun’esperienza a termine, per le altre èuna scelta di vita. “Quando siamo arri-vate, la Siria era ancora il Paese dellatolleranza. I cristiani maroniti di Hazer egli alawiti del villaggio qui sotto lavora-vano fianco a fianco con i sunniti dell’al-tro villaggio all’incrocio con l’autostra-da per Homs. Poi è arrivata la guerraed è cambiato tutto” - racconta suorMarita mostrando la collezione dischegge e proiettili raccolti all’entrata.“E non sono certo - sorride - tutte quel-le piovute qua attorno.” Un giorno arri-vano anche i musalahin. “Li vedo dopo4

Costruendo un bene per tutti

SIRIA

In fuga dalla guerra Spari e granate anche sul monastero cistercense di Hazer

Dispensarimedici trasformatiin rifugi

Con la CampagnaTende 2012, AVAIDe AVSI vogliono so-stenere le personein fuga dalla guerraaiutandole attraver-so le attività dellaCustodia di TerraSanta e del vicinoLibano, dove il gelodell’inverno stapeggiorando la si-tuazione. I dispensari medicinei conventi france-scani, seguendo latradizione della Cu-stodia di Terra San-ta, sono diventatiluoghi di rifugio eospitalità per tutti,senza distinzione dietnia, religione enazionalità.Il progetto in corsoha finora aiutato agarantire il mante-nimento di quattroCentri di accoglien-za già presenti nel-le città di Damasco,Aleppo, Latakia eKnaye, fornendo ci-bo e beni di primanecessità sia allapopolazione localesia a quella che inqueste città ha cer-cato rifugio.

stero viene colpito è quasi sempreperché i ribelli sparano sulla guarni-gione. Solo una volta siamo stati col-piti per errore dalla granata di unamilizia governativa.”

“Questa è una guerra combattuta acolpi d’inganni, una vera e propriainvasione dissimulata. Noi lo vedia-mo con i nostri occhi. Certo il governoha molte colpe e deve cambiare tantecose, ma i ribelli non sono la soluzione.Andate a vedere come vanno le cose alconfine con il Libano. Lì sunniti e cristia-ni vivevano assieme, poi sono arrivatigli armati e hanno dettato le loro rego-le.” I cattolici si guardano bene dal con-dividere le paure con altri stranieri. In

Finora sono quasi 30mila le vittime del conflitto siriano

la preghiera del mattino. Saranno unatrentina. Si muovono incappucciati.Hanno i kalashnikov e altre armi. Capi-sco subito. Preparano un’imboscataall’esercito e allora incomincio a prega-re, ma i soldati se ne accorgono e arri-vano in forze” - ricorda Marta Luisa.

Quella mattina, due ribelli armatiperdono la vita nel combattimentoche s’intreccia sul terreno sacro delconvento. Nonostante la tragedia,nonostante il dolore, suor Marta Luisae suor Marita non riescono a biasima-re i soldati. “È stata una grandissimatristezza, ma siamo qui per condivide-re e comprendere la realtà di questaterra insanguinata. Quando il mona-

AVAID

2012-2013

Le suore del monastero cistercense di Hazer

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Costruendo un bene per tutti

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Una Clinicamobile

per gli esuli

Molti siriani in fugasi sono rifugiati in

Libano. Insieme,AVSI e CARITAS

hanno perciò predi-sposto una Clinicamobile, subito di-

venuta punto di ri-ferimento per mi-gliaia di persone,specialmente perquei profughi che

non possono o nonvogliono registrarsipresso i canali uffi-ciali. L’idea è sem-

plice quanto effica-ce: un’equipe so-

cio-sanitaria segueun percorso regola-

re e conosciuto e,di villaggio in villag-gio, incontra le per-

sone bisognose.Il progetto di AVSIe CARITAS rispon-de ad un solo indi-catore: il bisogno

della persona. L’in-tervento si è da su-

bito concentratosoprattutto nellazona della Bekaa

perché meno inte-ressata dall’aiuto u-manitario istituzio-

nale. L’assistenzafornita consiste inconsultazioni pe-

diatriche, ginecolo-giche, fornitura di

medicinali, assi-stenza infermieristi-ca. La clinica servespecialmente bam-

bini e donne, che fi-nora hanno potuto

usufruire di centi-naia di cure medi-che e medicinali.

chiesa e nel villaggio si respira unapaura palpabile, concreta.

In questo labirinto di vicoli devastatidai combattimenti, i cecchini conti-nuano a uccidere per il controllo diuna linea del fronte tirata attraversopalazzi e abitazioni, moschee e chie-se. I cristiani tentano, invece, di rimet-tere piede nelle loro case. Carla Bitan,32 anni, madre di tre figli è una di loro.“Guarda come hanno ridotto il nostroluogo di preghiera” - strilla mentre siaffaccia sulla porta di casa, proprio difronte a quel che resta della chiesa cat-tolica. Difficile dire se a sfondarne iltetto, a devastarne la navata, a squar-ciarne banchi e altare siano stati i razzi ei mortai dei ribelli o le cannonate deitank governativi. Di certo però la paurache ha tenuto Carla, il marito George ei tre figli lontani da quella casa l’hannopropagata i ribelli. “Quando hanno oc -cu pa to il quartiere hanno fatto chiuderela scuola; hanno chiesto a tutti noi cri-stiani di chiuderci in casa e non farcivedere in giro. Chi usciva rischiava divenir rapito e la famiglia doveva poi tro-vare i soldi per riaverlo indietro vivo.”

da Hazer - Gian Micalessin

Migliaia di profughi tra freddo e miseria

In Libano, nel campoprofughi di Delha-miya, nel villaggio

di Talabaya, nellavalle della Bekaa, e inquello di Terbol, doveAVSI lavora da anni alfianco della popola-zione, attualmente sitrovano duecento fa -miglie provenientidal la zona di Homs, inSiria. In maggioranza sitratta di donne e bam-bini, tutti musulmani.Sono famiglie che vivo-no in tende di fortunacostruite con stracci eteli. Hanno affittato un ter-reno agricolo ed hannoinstallato le loro tende.Pagano un affitto siaper la terra, sia perl'acqua che per l’elet-tricità. Le condizioniigieniche sono drammatiche. Adesso, l’urgenza più gran-de è capire come affrontare l’inverno e qui, nella Bekaa, èsempre particolarmente freddo.

Per ora i bambini non vanno a scuola. I genitori trova-no lavori saltuari come operai agricoli giornalieri, mauna giornata di lavoro rende circa l’equivalente didodici franchi, insufficienti per far vivere una famigliaper un solo giorno.Il Ministero dell'educazione libanese ha accettato chetutti i bambini rifugiati siriani possano accedere allescuole pubbliche libanesi, ma in realtà, l’iniziativa “Backto school” è assai lenta perché il modello didattico liba-

L’impegno della Fondazione AVSI nei campi rifugiati del Libano

Volontari AVSI nel campo profughi di Delhamia nel villaggio di Talabaya

Campo profughi di Terbol nella valle delle Bekaa

nese e quello siriano sono molto differenti: in Libanomaterie come scienze, matematica, geografia si impara-no in francese o inglese, in Siria invece si studia tutto inarabo, e ciò provocherà difficoltà d’integrazione eapprendimento.AVSI ha lavorato in ventuno scuole del sud del Libano,nelle Caza di Marjayoun, Hasbaya e Bentijbeil, tutte alconfine con Israele. Di queste, ne sono state selezionate tredici che ospitano3.111 bambini, 542 dei quali siriani (18%). Per sostenerli,proponiamo corsi di recupero scolastico, alfabetizzazio-ne, attività socio-educative e psicosociali. Ma occorronoaiuti da parte di tutti.

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approvato, dieci anni dopo la riformadella scuola primaria, la riforma dellascuola secondaria. Nel tentativo digarantire una libera educazione pertutti vi sono tuttavia numerosi problemida superare: le strutture sono inade-guate e insufficienti, mancano i materia-li didattici e gli insegnanti non sono for-mati. Il risultato è un sistema scolasticoincapace di preparare gli adolescentiad affrontare le sfide della vita.

L’introduzione di questa nuova rifor-

ma scolastica rischia di portare il giàfragile e debole sistema ad un ulte-riore impoverimento della qualità deiservizi offerti. Risulta quindi fonda-mentale avere una scuola secondariadove lo studente sia accompagnato inogni aspetto del processo formativo, inmodo che il ragazzo maturi nella capa-cità di giudizio e sia in grado di affron-tare la realtà. È perciò necessario for-mare persone che diventino punti diriferimento e che li seguano nelle loroscelte e decisioni.

L’ONG locale “Meeting Point Inter-national”, in collaborazione con il“Permanent Centre for Education” diKampala, sta realizzando un Centroeducativo d’eccellenza attraverso lascuola secondaria “Luigi GiussaniHigh School” nello slum di Kireka,alle porte della capitale, dove lavoraRose Busingye, direttrice del “MeetingPoint International”. L’iniziativa nascedalla preoccupazione educativa di Rosee di un gruppo di genitori. Obiettivodella scuola: diventare un luogo doveallievi e docenti possano vivere un’e-sperienza di crescita umana, dove lafamiglia e la comunità di appartenenzasiano coprotagonisti del cammino intra-preso dallo studente.

Nel Duemila il progetto del Sostegnoa distanza in Uganda di AVSI intrec-ciò la storia del “Meeting Point Inter-national” con il supporto a un centi-naio di ragazzi figli delle donne amma-late di Aids e sostenute dal “Meeting6

Costruendo un bene per tutti

UGANDA

Verso un futuro migliore Nuovo Centro educativo per centinaia di ragazzi dello slum di Kireka a Kampala

Punto di riferimento

Il desiderio per lanuova scuola di Ki-reka a Kampala èche sia un punto diriferimento, un luo-go in cui gli inse-gnanti insieme congli allievi vivanoun’esperienza edu-cativa e di crescitaumana, dove la fa-miglia e la comu-nità di appartenen-za del ragazzo sia-no co-protagonisti.“È sempre più ur-gente il bisogno didare un’impostazio-ne unitaria alla pro-posta educativa. -afferma JohnMakoha, responsa-bile di AVSI in U-ganda - Ciò risultaancora più evidentea Kireka, quartiereabitato da personeprovenienti da ogniparte dell’Uganda,di tribù diverse,spesso vittime diguerra o dell’emar-ginazione socialegenerata dal diffon-dersi dell’Aids.”“L’idea di costruireuna nuova scuola –sottolineano daKampala ChiaraBroggi e MauroGiacomazzi di AVSI– nasce proprio dalfatto che in Ugandanessuno educa i ra-gazzi a riconoscereil loro valore e la lo-ro dignità. Nellescuole, solitamen-te, questo non suc-cede, i ragazzi sonotrattati male, spes-so picchiati, e altermine del percor-so scolastico sonoperfino peggio diquando hanno ini-ziato.”

Lezione alla “Luigi Giussani High School” di Kireka a Kampala

L’Uganda è una nazione giovane ein fermento. La popolazione haraggiunto quota trenta milioni ed

è suddivisa in una trentina di gruppietnici. Nonostante l’alta mortalitàinfantile e la forte diffusione del-l’Aids, il tasso di crescita medio è del3,5%. Il 40% degli abitanti ha un’etàinferiore ai quindici anni e gli orfani dialmeno uno dei genitori sono un milio-ne e mezzo.

Nel 2007 il Governo ugandese ha

AVAID

2012-2013

Studenti della “Luigi Giussani High School” di Kireka a Kampala

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Costruendo un bene per tutti

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65-731045-7intestato a: AVAID6900 Lugano-CH

“MeetingPoint

International”,aiuti a 5'000

malati di Aids

Il 95% degli studentidella scuola di Ki-reka proviene dal

“Meeting Point In-ternational”, Ong u-gandese. Educazio-ne e frequenza sco-lastica sono assicu-rate da AVSI con il

programma del So-stegno a distanza eda “Support Inter-

national”, il partnertedesco. Le mamme

di questi giovani,quasi tutte affettedal virus dell’HIV,

hanno sempre chie-sto di aiutarle a ga-rantire una forma-

zione per i loro figli.“Chi li aiuterà quan-

do non ci saremopiù? Come divente-ranno persone adul-te se non potranno

andare a scuola?”Detto fatto. “Que-

ste madri sono com-mosse – racconta

Rose Busingye, re-sponsabile del Mee-ting Point – dal fattoche grazie anche al-le loro belle collanedi carta riciclata, in-stancabilmente pro-poste a tutti dai vo-

lontari di AVAID edegli AVSI Point, si

sia costruita unascuola destinata ailoro figli. Sentono

che quest’opera na-sce dalle loro mani e

dall’aiuto di tantepersone in tutto il

mondo.” Attualmen-te il “Meeting Point

International” diKampala

(www.meetingpoint-int.org) sostiene,

con cure mediche,attività generatrici

di reddito e aiuti perle scuole dei bambi-

ni, oltre 5’000 per-sone malate di Aids.

Manifattura delle “collane di Rose” “L. G. High School”, Kireka, Kampala

Point”. Oggi i ragazzi sostenuti a di -stan za sono diventati novecento, 311dei quali frequentano la “Luigi GiussaniHigh School”.

Ogni giorno molti di questi giovanicamminano quattro ore per andare etornare da Kireka, il quartiere doveha sede l’istituto, spinti solo dallaconsapevolezza dello sforzo compiu-to dai genitori per permettere loro difrequentare le lezioni e le attivitàpromosse dalla scuola. Attualmente ilSostegno a distanza deve far fronte algrosso problema del continuo aumentodel costo della vita che incide anchesulle tasse scolastiche. Se fino a qual-che anno fa si riusciva a coprire intera-mente il costo degli studi, oggi si arrivasoltanto al 30%. Per rafforzare le capa-cità economiche delle famiglie, AVSIaiuta le madri ad avviare piccole attivitàche portino un reddito, come la produ-zione di collane di carta riciclata, borsee altri oggetti.

Una scuola fatta di... collane

Kampala, 3 febbraio 2012. Con una grande festa viene inaugurata lanuova scuola secondaria “Luigi Giussani High School” destinata a quat-trocento ragazzi poveri dello slum di Kireka, le cui madri sieropositive sono

aiutate dal Centro d’accoglienza “Meeting Point International”. L’edificio, trepiani, dodici aule, venti insegnanti, è stato costruito grazie alla vendita promossada AVSI e AVAID di 32'000 collane di carta riciclata realizzate dalle donne delMeeting Point proprio allo scopo di edificare la scuola per i loro figli. “La vulnera-bilità è mancanza di educazione. Questa scuola nasce dal desiderio dellemamme di un futuro migliore per i propri figli.” – spiega Rose Busingye, direttri-ce del “Meeting Point International”. Con Ia campagna Tende di quest’anno,AVSI e AVAID intendono ora costruire un secondo stabile. Esso comprenderà:uffici, aule per la formazione degli insegnanti e per la prevenzione dell’AIDS, unabiblioteca, tre laboratori, l’aula magna e un campo sportivo.

Con la vendita di 32’000 pezzi costruita la “Luigi Giussani High School”

3 febbraio 2012. Inaugurazione della “Luigi Giussani High School” di Kireka a Kampala. Sopra, la targa con i donatori della scuola

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slum di Kibera. Non si tratta di grandisomme, ma è interessante il vedersorgere questa “social responsibility”.

Oltre alle opere educative e socialinello slum di Kibera a Nairobi,AVAID e AVSI sono attive condiversi progetti anche nell’immen-so campo profughi di Dadaab alconfine con la Somalia. Com’è lasituazione?Dadaab è in continuo divenire. Ilcampo profughi non è più consideratoun’emergenza e il sostegno dell’UNH-CR sta calando. Ma la situazione rima-ne la stessa: 470’000 rifugiati che tutti igiorni hanno bisogno di cibo e di assi-stenza. La sicurezza è precaria. Si va damomenti di calma ad altri di tensionecome quello attuale a causa dell’infil-trazione nei campi di terroristi di AlShabab (la falange di Al Qaeda inSomalia). Pur in questo clima AVSI eAVAID, in collaborazione con la MountKenya University, organizzano corsi di

aggiornamento per 210 insegnanti,così come continuano la costruzione ela ristrutturazione di edifici scolastici.

Il Sostegno a distanza di AVAID eAVSI continua a dimostrarsi un fat-tore decisivo nell'aiuto allo svilup-po. Di recente sono infatti nateimportanti collaborazioni...Con nostra grande soddisfazione,anche l’UNICEF ha riconosciuto l’effi-cacia del metodo che utilizziamo nelSostegno a distanza non solo nelcampo educativo ma anche nellacosiddetta “child protection”, cioè laprotezione dei bambini da abusi, delnon rispetto dei loro diritti, di bambi-ni abbandonati ecc. Per cui sta cre-scendo una bella e proficua collabo-razione con questa grande organizza-zione internazionale. Il che ci mostraquanto sia prezioso aiutare questibambini e cercare nuovi sostenitoriper poterne aiutare molti altri.

v.s.

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Costruendo un bene per tutti

KENYA

All’opera, di fronte a tutto AVAID-AVSI: dal campo profughi di Dadaab allo slum di Kibera

AVAID Lugano - AVSI Nairobi.Settemila chilometri di di -stan za eppure si lavora insie-

me, per un’opera comune. I contat-ti sono regolari. Con Leo Capobian-co, responsabile di AVSI in Kenya,facciamo il punto della situazione.Ecco il resoconto di una telefonatarecente.

Le notizie di attentati in Kenya, inparticolare ai cristiani, sono fre-quenti. Perché?Rispetto ai Paesi dell’Africa orientale, ilKenya è sicuramente il più stabile, siadal punto di vista economico che poli-tico. Inoltre c’è in atto un forte incre-mento tecnologico che però non va dipari passo con la crescita delle perso-ne. Quindi si acquisiscono modi d’es-sere occidentali ma che in realtà noncorrispondono alla vera natura delpopolo keniota. Il Kenya, come dicevail cardinal Maurice Otunga, è un Paesereligioso, ma la gente ha poca coscien-za della propria religiosità e dunquenon incide culturalmente. Questadebolezza d’identità apre così le portealla perenne aspirazione di conquistada parte del mondo islamico, che oggiavviene anche tramite l’economia.Molto denaro proveniente dalle “pira-terie” o da ricchi somali viene investitoin Kenya, per cui un po’ alla volta sidiventa succubi dei potenti. E tra que-sti si annidano forze estremiste chemirano a destabilizzare il Paese istigan-do alla “guerra santa” contro i cristiani,e ciò allo scopo di un controllo egemo-nico dell’Africa orientale.

Quali sono le ripercussioni nelvostro lavoro con la gente?A farne le spese tocca sempre ai piùbisognosi e agli indifesi. I luoghi degliattentati sono infatti frequentati dapoveri (chiese molto semplici contanta gente, fermate dei bus, bar oristoranti nelle zone più dimesse).Instabilità e insicurezza scoraggianogli investitori e così diminuiscono leopportunità lavorative. Intanto i pove-ri diventano sempre più poveri. Pernoi che ci viviamo accanto la sfidadiventa ogni giorno più impegnativa.

Una sfida che, pur dentro questecircostanze difficili, dà risultatipositivi... La presenza di AVSI e di AVAID inKenya sta avendo una svolta impor-tante. Dopo tanti anni, diversi impren-ditori, quindi estranei all’ambito delnon profit, si stanno interessando allenostre opere. Così, semplicementeattraverso quel che facciamo, alcuni diloro hanno effettuato piccole donazio-ni a favore della “Little Prince PrimarySchool”, la scuola elementare nello

Dal deserto a New York...

Nelle scuole del campoprofughi di Dadaabmancano insegnantiqualificati. AVSI, in col-laborazione con le uni-versità del Kenya, prepa-ra i docenti scegliendolitra gli stessi rifugiati. Lamaggior parte dei mae-stri kenioti ritiene infattiche quello nei campiprofughi non sia un la-voro stimolante. AVSI eil “Permanent Centerfor Education” di Kam-pala (Uganda), insiemea UNHCR, UNICEF eFAO, hanno organizza-to oltre trenta work-shop a cui hanno parte-cipato più di duemila ri-fugiati. I workshop so-no stati l’occasione persuperare le barriere chea priori avrebbero potu-to dividere. Tutti i so-mali infatti sono musul-mani, mentre molti altririfugiati di Dadaab pro-venienti da Sudan e di-verse regioni del Kenyasono protestanti. Coin-volgendo tutti i parteci-panti in un’avventura e-ducativa comune,a prescindere dalledifferenze culturali e re-ligiose, il progetto si èrivelato un successo,tanto da essere presen-tato come modello dicooperazione interna-zionale nel quartier ge-nerale delle Nazioni U-nite a New York lo scor-so 27 settembre 2012.Nell’ambito dell’assem-blea ONU intitolata “Lasocietà civile e l’educa-zione ai diritti umani co-me strumenti di promo-zione e diffusione dellatolleranza religiosa”,Deogracious AdrawaDroma, del “PermanentCenter for Education”,è stato invitato a rac-contare la sua esperien-za di insegnante a Da-daab.

Leo Capobianco (a sin.) e Richard Floyer Acland, capo UNHCR Dadaab visitano una scuola ristrutturata da AVSI-AVAID

AVAID

2012-2013

Dadaab: la situazione rimane sempre critica

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Costruendo un bene per tutti

KENYA

Un nuovo inizio Medico ticinese con famiglia in missione al St. Matia Mulumba Hospital di Nairobi

Un buon posto di lavoro, gli amici, una rassicuranteroutine nell’agiata Ginevra. Finché un bel giorno, siprende il volo. Destinazione Nairobi, Kenya, bigliet-

to di sola andata. Un viaggio speciale, soprattutto per unafamiglia intera. Eppure può accadere. Come a Tommaso eMaria Leidi e alle loro due figliolette, Maddalena di tre anni eAgnese di un anno e mezzo.

Da qualche mese vivono a Kahawa Sukari, un popolosoquartiere alla periferia nord di Nairobi. Proprio lo stessoquartiere dove hanno sede diverse realtà educative sostenu-te, in varie occasioni, da AVAID e AVSI: l’istituto professionaleSaint Kizito, l’asilo Emanuela Mazzola, le scuole elementariUrafiki e La Carovana, il liceo Cardinal Otunga. Insomma,un’intensa e vivace compagnia attorno, dentro la grande par-rocchia - trentamila abitanti (!) - di Saint Joseph, retta dai Mis-sionari della Fraternità di San Carlo Borromeo. Alla giovanefamiglia ticinese da poco sbarcata in terra africana, abbiamochiesto di raccontarci gli albori di questa loro avventura.

Da Ginevraalla savana...

Il dr. Tommaso Lei-di, medico interni-sta fino a qualche

mese fa in servizioall’Ospedale uni-

versitario di Gine-vra, oggi lavora al“St. Matia Mulum-ba Mission Hospi-

tal” di Thika, a circatrenta chilometri daNairobi. L’ospedalekeniota conta tren-

tacinque letti dimedicina interna, u-na decina di chirur-

gia e quaranta tramaternità-ginecolo-gia e pediatria. Alla

mattina il dr. Leidisi occupa del repar-

to di medicina in-terna mentre nel

pomeriggio seguel’attività in ambula-

torio (una ventinadi pazienti). Le

principali patologieche si riscontranoal “St. Matia Mu-

lumba Mission Ho-spital” sono legate

a complicazioni del-l’HIV, alla tuberco-losi, alla malaria, aproblemi derivantidalla denutrizione

(gravi ipovitamino-si) ma si osserva an-che parecchia “me-dicina occidentale”

come scompensicardiaci, casi onco-logici, spesso dia-gnosticati in stadiavanzati, diabete.

SostieniAVAIDcc postale

65-731045-7intestato a: AVAID6900 Lugano-CH

Siamo arrivati a Nairobi il 24 agosto e l’impatto èstato meno duro di quel che temevamo. Forse perchéeravamo già stati qui per una settimana e quindi ci erava-

mo un po’ preparati all’idea, ma sicuramente anche per graziadi Dio perché ci ha dato di scoprire questa realtà con la suadiversità e difficoltà pian pianino e non come “shock” iniziale.Il Signore ci ha mostrato la sua cura, tramite gli amici che ciha fatto trovare qui e che ci hanno accolto, come pure rega-landoci la compagnia quotidiana di belle persone: l’ammini-stratrice dell’ospedale, una suora domenicana dello Zambia,e le sue consorelle, delle donne con una fede profonda,aperte e grate della nostra presenza qui.

Doctor Vincent, giovane medico dell’ospedale, unicomedico prima del nostro arrivo, che ha accolto Tommasocon stima introducendolo alla realtà africana fuori e dentroall’ospedale. Mary che ci aiuta in casa, attenta, desiderosa diimparare, cordiale e gioiosa. Siamo coscienti che non c’èniente di scontato nell’aver incontrato delle persone così,messe lì per noi nei luoghi della nostra quotidianità.

Siamo grati di questa compagnia nell’ambiente lavorativoe nella vita casalinga, perché entrambe queste realtà si sonopresentate in modo molto diverso da ciò che eravamo abituati.Abitare nella periferia di una metropoli africana non è propriocome abitare a Ginevra. Non c’è la Migros sotto casa o ilparco giochi dietro l’angolo, le case sono recintate e dopomesi non sappiamo ancora chi siano i nostri vicini. Dopo iltramonto la vita sociale si ferma, quindi in settimana è tuttomolto determinato dal lavoro. I mezzi pubblici sono un disa-stro, sono brutti sì, ma anche pericolosi per la guida sperico-lata degli autisti e quindi senza auto non si va lontano.

All’ospedale gli strumenti diagnostici sono molto limitatie quando ci sono non significa che funzionino, le personemolte volte non possono permettersi le analisi e le cure espesso il personale manca di professionalità e di senso diresponsabilità, ad un livello a cui non siamo abituati. Di frontea questa diversità le domande sono tante e soprattutto cichiediamo quale sia il nostro posto e il nostro compito qui.

Noi siamo partiti per l’Africa perché, per una serie d’incon-tri e di amicizie e per una storia ricca di avvenimenti, abbia-mo colto l’invito del Signore a venire con la nostra famigliaa Nairobi. La scoperta più bella è che così come non siamopartiti con l’idea di risolvere un bisogno, così ci stiamo accor-gendo che il Signore non ci sta chiedendo di farlo ora. Quello

che stiamo scoprendo è che ciò che ci sta dando la possibilitàdi stare nel modo più vero con le persone e di vivere intensa-mente questa realtà è partire da ciò che siamo e da ciò che ci famuovere e ci rende lieti. Miracolosamente questo ci rende libe-ri nel rapporto con gli altri, ci libera dal disagio della diversità,perché io come te, per quel che ci è chiesto, stiamo prendendosul serio la nostra vita: siamo in cammino.

Tommaso e Maria Leidi, Nairobi

Maria Leidi con le figlie Maddalena e Agnese

Pranzo in compagnia a Nairobi

Il dr. Vincent Njuguna e il dr.Tommaso Leidi

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Costruendo un bene per tutti

Il sostegno a distanza

Cosa è?È una forma di soli-darietà, un contri-buto economicostabile e continuati-vo destinato ad unbambino ben preci-so, alla sua famiglia,alla sua comunità.

L'impegnoLa quota annuale èdi 600 franchi, l'im-pegno minimo è diun anno. Il versa-mento può esseretrimestrale, seme-strale o annuale. Sirinnova tacitamen-te salvo disdetta.L'importo è fiscal-mente deducibilepoiché AVAID è uf-ficialmente ricono-sciuta come ente dipubblica utilità.

Cosa si riceve?All’adesione unascheda anagraficadel bambino/a, unafotografia, la pre-sentazione del pro-getto. Ulteriori no-tizie due volte al-l'anno.

Il principio baseInsieme agli aiutimateriali, la presen-za di adulti che ac-compagnano ilbambino nel suopercorso educati-vo. In Kenya il pro-getto è condottoda AVSI, ong di cuiAVAID è partner. Icoordinatori re-sponsabili in locosono Romana Koe-ch-Jeptoo e LeoCapobianco.

Costi amministrativiAVAID trattiene intotale il 10% dellaquota per i costi digestione del pro-getto in Svizzera ein Kenya.

AVAID

2012-2013

diceva. “No, non lo sei. E non potrai maiesserlo” le ho risposto. Non ci si può prepa-rare ad andare a Kibera, e rendersi conto dicosa sia veramente la povertà più assoluta.È uno schiaffo violentissimo, che ti fa capireche certe cose non esistono solo in televi-sione, ma che purtroppo sono reali. La quo-tidianità di tanti bambini aiutati da AVAID èquesta. Fa male, molto male, è qualcosache ti entra dentro e non ti lascia più. Manonostante tutto, ha deciso di venire conme. Il giorno prima della visita allo slum, peraiutarla un po’ all’impatto, le ho fatto unamia personale “teoria del bicchiere mezzopieno”, in salsa kenyota. In poche parole, leho detto di concentrarsi esclusivamente suibambini, anche se non è facile. “Non pen-sare alla miseria attorno a te, ma guardail sorriso di questi bambini, la loro alle-gria, la gioia nei loro occhi quando glidarai una caramella. Non pensare a dovevivono, ma alla speranza che stiamodando loro di avere un futuro migliore.”Probabilmente più facile a dirsi che a farsi,ma forse un po’ è servito. Ad ogni modo, haadorato questa esperienza, durante la setti-mana ha cominciato a parlarmi della prossi-ma volta che torneremo in Kenya, e ha deci-so di fare anche lei un’adozione a distanza.Un’altra bambina avrà la possibilità di anda-re scuola, e forse la sua vita sarà un po’meno in salita. Anche solo per questo moti-vo, è valsa la pena di tornare a Nairobi.

Christian Grignola, Losanna

KENYA

Come uno di famiglia... I racconti di chi sostiene a distanza con AVAID i giovani dello slum di Kibera a Nairobi

La mia seconda volta in Kenya, dopo ilmio primo soggiorno durante l’esta-te 2010, è durata solo una settimana,

ma ancora una volta è stata un’esperien-za indimenticabile. Ho potuto vedere l’e-voluzione di alcuni progetti, e scoprirnealtri che non conoscevo. Ho rivisto tantiamici, conosciuto nuove persone decise afare di tutto per aiutare questi bambini,e soprattutto ho rivisto Martin e Mary, i“miei” bambini (anche se ormai Martin ha16 anni ed è più alto di me…). Ho avuto lafortuna di passare una giornata intera con

loro, con tanto di visita al National Park diNairobi. Una splendida gita, abbiamo vistotantissimi animali e, per una volta, ho fattoun po’ il turista. Quelle poche ore passateassieme non le dimenticherò mai.Ma se per me era la seconda volta a Nai-robi, per Laura, la mia ragazza, era unaprima assoluta. Abbiamo iniziato a parla-re di questo viaggio alcuni mesi fa, e nonè stato facile convincerla a seguirmi.Come è normale che sia, all’inizio era un po’spaventata all’idea di ritrovarsi in unabidonville. “Non so se sono pronta”, mi

aiutando. Forza Martin! Siamo con te esiamo sicuri che con l’esperienza acquisi-ta e l’educazione ricevuta, saprai com-battere e trovare la giusta via.

Claudia e Giorgio Calderari, Rancate

Penso che sia molto importante egratificante aiutare qualcuno,vederlo crescere e realizzare il

suo sogno pur essendo distanti.Come figli, per noi Martin è come unfratello.Ricordo che eravamo contenti quandoricevevamo le sue prime lettere, ci rac-contava di come si viveva giù in Africa edi quanti fratelli avesse. Martin è sem-pre stato nella nostra vita, perché,come noi, lui cresceva e superava iprimi ostacoli della vita nonostantefosse in un altro paese. Adesso ci scriveancora e siamo felici che lui stiaseguendo il suo sogno, anche se, comenoi, attraversa un periodo di incertezze,che gli insegneranno ad essere unuomo e ad affrontare la vita. L’ultimacosa che aggiungo è: non conta ladistanza, ma il sogno e la speranza chesi avverino.

Giovanna Calderari, Rancate

Ricordi del 2003. Giovanna e Josèsono grandicelli: lei otto anni,lui undici. Si lavora insieme, la

scuola è faticosa ma molto utile. Lo sidice spesso a casa nostra, nei pome-riggi che si dedicano ai compiti e airipassi. Fuori splende il sole. Sarebbebello uscire ma ci sono le ultime tabelli-ne, l’analisi logica, le prime frasi di fran-cese da imparare. La scuola è importan-te, bisogna dare ai bambini uno stru-mento necessario per il futuro. Da queste parole, tante volte ripetute,nasce il desiderio, dei nostri figli enostro, di regalare un’opportunità anchea chi, lontano da noi, non è così fortuna-to da dare per scontata un’educazionescolastica sufficiente per migliorare leprospettive sul proprio avvenire. Daquel lontano 2003 abbiamo così ini-ziato con AVAID un sostegno adistanza. Martin ha un anno in più diGiovanna, è nato a Nairobi nel 1994.Ogni anno ci invia una lettera nella qualeci racconta le sue novità famigliari, scola-stiche e, ultimamente, anche politiche.Dalla fotografia allegata vediamo il suoviso e il suo corpo cambiare: cresce ediventa adulto proprio come i nostriragazzi. Tra poco finirà il suo percorso

scolastico. Sta frequentando il quartoanno alla Secondary School CardinalOtunga. Siamo felici per lui, anche sesappiamo che purtroppo attualmentesta attraversando un momento difficile.A volte gli amici possono confonderci,l’età è sicuramente tormentata, masiamo contenti nel vedere che l’assisten-te sociale lo segue, gli sta vicino e lo sta

Christian Grignola con Mary e Martin

«Per noi sei come un fratello. Forza Martin!»

Martin

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Kibera, Nairobi

Kibera è una dellebaraccopoli più

grandi dell’Africa.Ci vivono circa

800mila persone,tutte in case fattedi niente. Fango,legno, pezzetti di

legno come muri elamiera ondulata

come tetto.A Kibera non ci so-no servizi, non c’è

acqua potabile,non c’è corrente e-lettrica, la spazza-

tura è ovunque.Quando piove ilfango si trascina

dietro un mondo. Ibambini nascono evivono in un climadi estrema violen-

za. Poter frequentareuna scuola, se poicosì bella come la

Little Prince, è unagrandissima oppor-tunità di crescita e

sviluppo.

A Joseph piace molto andare a scuola,è allegro e in salute. Ci racconta dellasua classe, dei suoi compagni (55 allie-vi), della maestra Mrs. Onikunji e delsuo amico Kabwea. Ci scrive che haun'uniforme e che pranza a scuola.Possiede un gatto di nome J.B. e gioca ascacchi con gli amici. Termina sempre lesue lettere ringraziandoci tanto, auguran-doci buone feste e che Dio ci benedica.Nelle foto che ci invia cerchiamo ogniparticolare - l'abito, le scarpe, lo sfondo -per conoscere lo sua quotidianità, forseinimmaginabile. Leo Capobianco,responsabile di AVSI in Kenya, una voltaha scritto: "Cosa è l'Africa? Cosa è ilKenya? Uomini e donne come noi che sisvegliano al mattino con il desiderio chesia un giornata diversa, che ci sia qualcu-no che ti ama ancora". Speriamo un gior-no di intraprendere il viaggio per Nairobie condividere con Joseph e la sua fami-glia i ricordi di questi anni di conoscenza"intercontinentale".

Antonietta e Vincenzo Iovanna,Giubiasco

Nel 2005 abbiamo aderito congioia al Sostegno a distanzadopo aver conosciuto AVAID

attraverso don Carlo Scorti, parrocoa Bellinzona. Ci è così “stato affida-to” il piccolo Joseph di Nairobi cheoggi ha dodici anni. Joseph abita nellabaraccopoli di Kibera, una delle piùgrandi dell'Africa. Per guadagnarsi davivere, sua madre vende pomodori instrada mentre il padre è senza lavoro.Joseph, che allora frequentava l’asilo,ha una sorella più grande. Due volte l’anno riceviamo regolar-mente notizie di Joseph: disegni, let-tere, fotografie e informazioni dal-l'assistente sociale che lo segue. Inmodo chiaro e profondo ci descrivonola situazione e le condizioni di vita lì.Questi racconti ci fanno capire unavolta di più quanto noi qui siamo fortu-nati. Ogni lettera, attesa con impazien-za, ci avvicina a Joseph facendoci in un

certo senso partecipare alla sua vita,quindi alla sua crescita, al suo impegnoscolastico, al matrimonio della sorella,alla sua "casa" con il tetto di lamiera ele pareti di fango secco.

«La foto di Ryan accanto alle nostre»

Natale 2009 se gna l’inizio per noidel padrinato di Ryan, un bellissi-mo bimbo di nove anni che abita

nello slum di Kibera a Nairobi. A casanostra abbiamo diverse sue fotografiesparse un po’ ovunque accanto a quelledegli altri nostri cari. Si può dire cheRyan fa parte della nostra famiglia e,anche se non lo abbiamo mai incontra-to, ci siamo affezionati a lui e a coloroche concorrono al suo benessere.Quando lo scorso anno siamo venuti asapere che il bambino aveva seri proble-mi di salute, ci siamo allarmati e ci siamopreoccupati di conoscerne l’entità e lepossibilità di aiuto diretto. Grazie al coordinamento degli amici diAVAID e alle notizie del team operativo inloco, abbiamo appreso che in effetti ilbambino doveva ricorrere con una certafrequenza a cure mediche specialistichepresso l’ospedale di Nairobi al fine di combattere delle gravi

infezioni batteriche alla testa; inoltre lacura si prospettava difficile anche per lamancanza di condizioni igieniche adatte.La nostra risposta è stata immediata nel-l’offrire tutto l’aiuto necessario: Ryan èstato opportunamente curato ed è statopossibile adottare misure adeguate dalpunto di vista igienico.Le ultime notizie ci indicano un bambinoristabilito e in piena forma (le fotografieche ci ha inviato ci mostrano un bellissimobambino sorridente). Siamo evidentemen-te contenti che abbiamo potuto contribui-re al suo recupero. È difficile da spiegare –chi ha un padrinato a distanza ci capirà –ma il fatto di poter aiutare un bambino adistanza è sì un atto di solidarietà verso chiè nel bisogno, ma anche una preziosaoccasione di arricchimento umano: perquesto siamo noi a dire grazie a Ryan e alteam di AVAID.

Paola e Giorgio Noseda, Vacallo

«Ti vediamo crescere»

Gli allievi della scuola elementa-re La Caravella di Bellinzonahanno un compagno un po’

speciale che abita piuttosto lontano.Si chiama Emmanuel Oloo, ha noveanni e vive in povertà nello slum diKibera a Nairobi. Emmanuel però èfortunato: può andare a scuola, nutrir-si, vestirsi e avere qualcuno che gli èvicino. Tutto questo è possibile per-ché i suoi piccoli amici bellinzonesihanno sottoscritto un’adozione a distanza con AVAID. Maper aiutare concretamente Emmanuel occorre trovare ildenaro necessario. E così, negli scorsi mesi, alcuni alunnidella scuola elementare hanno allestito al mercato cittadi-no di Bellinzona una bancarella dove hanno vendutobiscotti e “lavoretti” da loro confezionati per sostenereEmmanuel, il loro amico africano.

Biscotti per Emmanuel, il compagno africano

Ryan Mudaki con la sorella maggiore

Joseph, 12 anni e il suo gatto J.B.

La bancarella degli allievi de’ La Caravella” al mercato di Bellinzona

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Costruendo un bene per tutti

ECUADOR

La famiglia che diventa asilo A Pisulli, quartiere povero di Quito, luoghi sicuri per i bimbi di genitori che lavorano

Era il maggio del 2005 quando aQuito avevamo da poco iniziatoil programma “Prescolar en la

casa” (Pelca). Ancora non esisteva“Ojos de Cielo”, l’asilo poi apertocon la campagna Tende 2005. Tutti igiorni, dei gruppetti di madri, e a voltedi nonne o di zie, insieme ai loro picco-li, partecipavano alle riunioni con leeducatrici per imparare a fare lamamma. Qui ricevevano nozioni sull’e-ducazione, il nutrimento, il gioco. Lelezioni continuavano anche a casa“facendo i compiti con i figli”, ossiaproponendo loro attività didattiche eludiche tramite l’ausilio di un quadernoe del materiale consegnatogli. Tra lepartecipanti v’era anche Josefa (adessoin cielo, morta per un tumore quattroanni fa). Josefa era una buona nonna, diquelle sagge e che amano tanto, conparecchi figli e figlie e nipoti a carico.Dell’educazione dei nipoti si occupavalei poiché i loro genitori erano via tuttoil giorno al lavoro.

Josefa veniva alle riunioni al nostroCentro educativo di Pisulli, cometutte le altre mamme, ogni quindicigiorni, dopo aver fatto una cammina-ta in salita di mezz’ora. Pisulli è unagrande collina con terreni di proprietàdi alcuni latifondisti. Vent’anni fa questiterreni furono occupati da gruppi difamiglie alla ricerca di un luogo dovecostruire una casa e di un lavoro nellagrande metropoli. Oggi il quartiere di

Josefa. Poi, con il progetto di AVSI eAVAID, diverse donne volontarie e lenostre educatrici hanno iniziato ad aiu-tare numerose famiglie come questa,andando regolarmente a casa loro eportando del materiale didattico. Erasempre una sorpresa visitare questecase così spoglie e piccole eppurecosì colorate e piene della festosa

Il cuore e l’orizzonte

Amparito Espinoza, e-ducatrice ecuadore-gna e direttrice esecu-tiva della “FundacionSembrar”, partner diAVSI a Quito, osservache: “Gli asili familiarisono l’attività dovepiù si gioca la libertà eil coinvolgimento dellapersona, perchè lemadri educatrici si ri-trovano nella loro casanelle attività quotidia-ne, curando i piccolicome se fossero figliloro. Quando sentoche mi sto dimentican-do il senso del lavoroche faccio, vado a visi-tare un asilo familiare.Vedere la dedizionecon la quale si pren-dono cura dei bambinie vedere l’affetto ri-flesso nel volto diquesti piccoli, mi fatornare a ciò che dàsenso alla grande o-pera che stiamo svol-gendo. Nessuno di noisarà la stessa persona,perché qualcuno hacreduto in noi, nellenostre capacità. Nonsiamo cose, ma perso-ne capaci di servire lapropria comunità e diessere parte dell’ope-ra di Dio nel mondo. Ilnostro cuore stava so-lo aspettando la possi-bilità di svegliarsi. Ilnostro sguardo è cam-biato e l’orizzonte è o-gni volta più grande.Questo è tutto quelloche penso ogni voltache visito un asilo fa-miliare. È come torna-re a sentire il palpitodel cuore.”

Stefania Famlonga e Amparito Espinoza

L’asilo «Ojos de Cielo» a Quito

Pisulli conta circa ventimila abitanti.Josefa arrivava sempre molto stanca(per lei il bus era troppo caro) con“aggrappati attorno” i cinque nipoti dicui si occupava. Anche a costo di unagrande fatica, la nonna aveva preferitoeducarli personalmente e non iscriverliai fatiscenti asili statali del quartiere.

È stato un gran pomeriggio quello incui, guardandola arrivare, mi sonorivolta all’amica Amparito Espinoza ele ho detto: “Ma perché non andia-mo noi a casa sua e l’aiutiamo adeducare i suoi nipoti senza chedebba fare tutta questa fatica?” Ilgiorno dopo eravamo lì, a vedere lasua casa e che cosa si poteva fare.Sono nati così gli asili familiari. Daallora ne abbiamo aperti in media cin-que all’anno, alcuni diventati ormai“storici” e stabili. Gli asili familiari sonouna forma agile e originale per rispon-dere al bisogno di un luogo sicurodove lasciare i bambini per i genitoriche lavorano e, allo stesso tempo, unmodo per valorizzare i talenti dellagente del posto e, in particolare, dellafamiglia e della famiglia allargata. Sitratta di luoghi il più possibile simili auna casa (anche vicino alla propriacasa), animati da persone di fiducia,capaci di dare tutto l’affetto possibile.

All’inizio chi si occupava dell’educa-zione di questi piccoli erano solo iparenti dei bambini come nonna

AVAID

2012-2013

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allegria dei bambini. Nel quartiere diPisulli, le case che hanno un tavolosono poche. Di solito le famiglie man-giano sedute sul bordo del letto, inmolti casi il solo mobilio, oltre ad unaminuscola cucina.

La spontaneità di questa iniziativanon poteva però durare molto. Dopoun anno, notando la precarietà dovutaprincipalmente alle difficoltà economi-che delle famiglie delle donne checuravano i bambini (da un giorno all’al-tro eravamo spesso costretti a chiuderel’asilo), nel progetto abbiamo introdot-to un contributo mensile e siamo statiaiutati dagli amici del Sostegno adistanza. Successivamente abbiamo poidestinato delle quote fisse per l’alimen-tazione dei bambini e abbiamo coinvol-to i genitori chiedendo loro una piccolasomma, facendoli così diventare piùresponsabili del progetto.

In tutti questi anni lo spirito di que-sta iniziativa non solo non è cambia-to, ma ha dato tanti frutti. Dall’iniziodella nostra presenza è sempre stataevidente la necessità di ricreare un tes-suto sociale di fiducia tra la gente pove-ra di questi quartieri. Perché la povertàpiú grande è proprio quella di esseresoli e con la paura di chi ti vive accanto.Questi quartieri sono nati sotto il segnodella violenza, tra scontri per occuparele terre e continui flussi migratori dipersone provenienti da tutte le partidell’Ecuador, senza una storia comunee alla ricerca di espedienti per sopravvi-vere.

Dopo una prima diffidenza e tantedifficoltà abbiamo infine deciso dirischiare. Abbiamo lottato e abbiamoimparato, abbiamo fatto errori eabbiamo avuto anche delusioni. Ma irapporti creatisi attorno a questi asilisono speciali. Penso sia ai rapporti trale donne che conducono gli asili fami-liari sia alla fiducia dei genitori. Oggi lerichieste delle mamme che chiedono dilasciare i figli in un asilo familiare sonosuperiori alle disponibilità. I genitorisono coinvolti ogni giorno. Dalle sette emezzo del mattino quando accompa-

gnano i bimbi all’asilo (dopo aver impa-rato a far colazione insieme prima diuscire di casa), alle tre e mezzo delpomeriggio quando passano a pren-derli e, se i genitori non possono, ven-gono i fratelli più grandi. Una volta almese poi, il sabato mattina, le educatri-ci si incontrano con i genitori per ricor-

Nelle “Invasiones”

di Quito

Quito, capitale del-l’Ecuador, è situataa 2’800 metri sul li-

vello del mare edha una popolazionedi circa due milioni

di abitanti. I bambi-ni e le famiglie be-neficiarie del pro-

getto di AVSI e AVAID vivono nelle

“Invasiones”, iquartieri marginalidella capitale, cin-

que aree caratteriz-zate da alti livelli dipovertà, carenza di

servizi di base,scarsa sicurezza e

bassa qualità di vi-ta. Molti abitantihanno un lavoro

precario e le loroproprietà non sono

regolari e appar-tengono a diversi

proprietari illegali.In queste famiglie,

normalmente lemadri si dedicanoalle faccende do-

mestiche e alla curadei figli mentre i

padri trovano im-piego come operai,soprattutto nel set-tore edile. Il reddi-to medio delle fa-

miglie è di circa170 dollari, insuffi-

ciente per soddi-sfare le necessità

fondamentali, con-siderato che il co-

sto urbano della vi-ta è piuttosto ele-

vato. Molti deibambini aiutati so-no figli di ragazze

madri, normalmen-te ancora adole-

scenti e abbando-nate dal futuro

papà all’inizio dellagravidanza.

Silvia, madre coraggio

Silvia è una mamma di cinque bambini che lavoranella scuola materna della comunità “Ojos deCielo” della Fondazione Avsi a Quito. Questa è la

sua storia. “Sono entrata nella Fondazione nel 2006 comemadre partecipante alle riunioni quindicinali. Da due annisono separata. Mio marito faceva uso di droghe e alcool,maltrattava i nostri figli e me, in particolar modo mio figlioByron che ha iniziato anche lui a far uso di droghe. Successi-vamente sono rimasta sola, senza marito e senza mio figlio,ma grazie a Dio, mi sono ritrovata in un ambiente lavorativocon persone di valore con le quali ho potuto condividere lamia situazione. Le mie colleghe mi hanno sostenuto e misono sempre state vicine. Sentivo la presenza di Qualcunodi più grande al mio fianco, che non mi avrebbe mai abban-donata. Così ho capito che i miei figli avevano bisogno dime e che mi guardavano con orgoglio.”Ora Silvia sorride alla vita. Grazie alla fede e alle colleghe èriuscita ad affrontare anche le più difficili sfide. Suo figlio

Byron ha frequentato un gruppo di sostegno, ora sta benee vive con la famiglia e lavora per aiutare i fratelli più picco-li. Wendy e Mabel vanno già al collegio e Andrés e Stalin ascuola grazie al progetto del Sostegno a distanza.

Bambini delle «Invasiones» a Quito

dare loro che noi di AVSI, secondo ilnostro metodo di lavoro, siamo deisemplici accompagnatori e che i veriprotagonisti della crescita dei bambinisono loro, i genitori.

Stefania Famlongaresponsabile AVSI Ecuador

Educatrici e mamme collaborano al progetto educativo di AVSI e AVAID a Quito

Allievi del Centro educativo nel quartiere di Pisulli

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Costruendo un bene per tutti

AVAID

2012-2013

la solidarietà della Chiesa universale tra-sforma i sogni in realizzazioni concrete.Il Governo ha dato sessanta acri di terre-no in una zona di Addis Abeba in pienosviluppo per costruire il nuovo campusuniversitario e la costruzione dei primiedifici è partita. Attualmente dei corsisono proposti in un edificio messo adisposizione dall’arcidiocesi. L’obiettivoè di rispondere alle necessità prioritariedel Paese. Adesso la grande sfida è rea-lizzare il campus per accogliere i ragazzie ospitare i corsi di laurea in scienzedella salute e tecnologia con classi,laboratori tecnici, biblioteche e uffici.Garantire una formazione superiore diqualità per la futura classe dirigente èfondamentale, sia per lo sviluppo e lastabilità dell’Etiopia che per l’interoCorno d’Africa come pure per le relazio-ni con l’Islam in tutto il continente. L’ini-ziativa dell’Università è stata accoltafavorevolmente da tutti, come un inve-stimento per i suoi giovani e per il futurodella nazione. Il sogno sta diventandorealtà, ma la solidarietà internazionale èindispensabile per la trasformazione diquesto Paese culturalmente e politica-mente strategico. Il sostegno offerto perla costruzione, le borse di studio, glistrumenti di ricerca, nel nostro mondoglobalizzato, rappresenta un beneficioper tutti.”

Elisabetta Ponzone

ETIOPIA

Università, un bene per tuttiNuovo ateneo ad Addis Abeba: investimento per i giovani e il Paese

Emergenza educazione in Africa. LaCampagna delle Tende di AVAID eAVSI vuole sostenere anche la

nascente Università cattolica in Etio-pia. Un Paese e una realtà che monsi-gnor Silvano Tomasi, osservatore perla Santa Sede all’ONU di Ginevra cono-sce bene. Già segretario del Pontificioconsiglio della pastorale per i migranti,dal 1996 mons. Tomasi è Nunzio apo-stolico in Etiopia ed Eritrea.

L’Etiopia è il più antico stato dell’A-frica e uno dei più ricchi per diversitàdi popoli. Oggi, che Paese è?

“L’Etiopia si trova in una fase di risve-glio economico grazie alla tenacia dellagente e all’aiuto della Cooperazioneinternazionale che molto investe.Mondo complesso, dinamico, l’Etiopiacerca la via per includere gruppi etinicicome Amara, Oromo, Tigrini, Afar,Somali, Guraghe in un sistema demo-cratico federale che rispetti la varietà dietnie e religioni. I giovani desideranouno stato moderno e aspirano ad un’e-ducazione che apra loro un futuro sere-no in un Paese che lasci ormai dietro asé carestie periodiche, povertà e disoc-cupazione, scontri tribali ed esclusionepolitica. L’Etiopia ha il potenziale perdiventare un modello anche per gli altriStati africani, se il cammino intrapresoverso una maggiore democrazia esostenibilità economica terrà il passodando segni concreti che confermino aigiovani fiducia e speranza.”

L’educazione come strumento per ildialogo e lo sviluppo dei popoli. Èdavvero possibile?

“La strada sicura per un futuro miglioreè certamente quella dell’educazione.Negli anni che ho speso nel Corno d’A-frica ho toccato con mano come unapiccola scuola potesse cambiare unintero villaggio impegnando famiglie alavorare assieme, cambiando mentalità,dando una visione più fiduciosa per ilfuturo. Le persone prendono coscienzadella loro dignità e sono incoraggiate amettere i loro talenti a servizio di tutti

Studenti etiopi al “Graduation Day”

attraverso un’educazione che trasmettetecnica e valori insieme. La piccola Chie-sa cattolica in Etiopia gestisce oltre 360scuole elementari e superiori perchécrede, e l’esperienza lo dimostra, che losviluppo del Paese ha la sua via maestranell’educazione. Il Governo sta allargan-do la rete educativa in ogni regione,anche nelle più remote. Ed è per questaconvinzione che il Primo ministro MelesZenawi, da poco scomparso, nella suavisita a Giovanni Paolo II domandò chela Chiesa potesse contribuire con un’U-niversità di qualità. Non si tratta solo disviluppare competenze, ma nel conte-sto multietnico etiope l’educazione avvi-cina le persone e facilita incontri cherendono la convivenza più pacifica ecreativa. Basti pensare che la maggio-ranza degli studenti in tutte le scuolecattoliche in Etiopia è costituita da orto-dossi e musulmani. L’apporto alla pacesociale e al rispetto reciproco diventa labase per lo sviluppo.”

Su richiesta della popolazione e delGoverno, la Chiesa cattolica in Etio-pia sta avviando un’Università catto-lica ad Addis Abeba, la San Tommasod’Aquino. A che punto è?

“L’iniziativa dell’Università cattolica del-l’Etiopia è una sfida enorme per la pic-cola comunità cattolica del Paese. Però

Terra antica e misteriosa

Con i suoi tremilaanni di storia, l’E-tiopia è un puntochiave dell’Africa.Mantiene una suachiara identità,un’arte originale, u-na tradizione lette-raria unica nellaparte sub-saharianadel continente, unaliturgia cristiana af-fascinante e unaconvivenza con l’I-slam rispettosa. Èla sede dell’UnioneAfricana. Paese mi-sterioso di antichimonasteri e monta-gne quasi impene-trabili, una scritturacon alfabeto semi-ta, un calendario ditredici mesi, miti didinastie salomoni-che e resistenza e-roica all’Islam.Oggi l’Etiopia ha u-na popolazione dicirca novanta milio-ni di abitanti, l’85%dei quali vive in zo-ne rurali. Metà del-la popolazione hameno di vent’anni.Paese povero, macon una crescita e-conomica del 7,5%nel 2011. Nel Cor-no d’Africa, l’Etio-pia è il potere poli-tico che mantienela stabilità della re-gione. Il 44% deglietiopi - una sessan-tina di gruppi etnicidiversi - è cristianaortodossa, il 34% èmusulmana. I catto-lici, pur non rag-giungendo l’1%della popolazione,sono molto attivi afavore dello svilup-po del Paese conscuole, ospedali,progetti agricoli.

Il progetto del nuovo campus universitario di Addis Abeba Mons. Silvano Tomasi

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Costruendo un bene per tutti

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Redazione:Valerio Selle

Elisabetta PonzoneEditore:

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