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Basilio Paladin I miei ricordi
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Basilio Paladin. I miei ricordi

Feb 25, 2023

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Basilio Paladin

I miei ricordi

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Perché ricordare?Potrebbe essere questo il senso di scrivere un libro senza che il suo scopo sia la pubblicazione?Potrebbe essere che ricordare serva soltanto a scrivere libri, girare documentari, realizzare un qualcosa che possa essere visto da molti? Oppure la memoria è qualcosa di più profondo, è registrare il passato comune di ciascuno per tramandarlo al prossimo, trasmettere alla carta un ricordo della vita trascorsa perché resti in un scrigno dimenticato da tutti?Forse nessuna di queste domande è giusta.Basilio nella sua testimonianza non vuole rispondere a queste domande, che sono inutili, superflue. Basilio vuole solo “lasciare qualcosa”, lasciare a chi verrà quando lui non ci sarà più di conoscere un pezzo della storia della sua famiglia. È un’operazione che ognuno di noi può e dovrebbe fare; trasmettere al futuro il passato serve per correggere gli errori che potrebbero riproporsi, serve a chi verrà per capire da dove è venuto. È un’esigenza sempre più complessa e necessaria; al giorno d’oggi, l’essere umano schiavo della tecnologia ha dimenticato i valori del passato, fondati sui valori delle persone. Quei valori che hanno formato Basilio e che lui ha voluto trasmettere a figli e nipoti. Valori che oggi sono in costante pericolo.Ecco perché questo scritto è straordinariamente importante: un domani, quando i pronipoti lo leggeranno e conosceranno i sacrifici del loro avo, sono certo si comporteranno seguendo il rispetto che Basilio ha avuto per la vita.

Simone Menegaldo

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La famiglia Paladin

Mi chiamo Basilio Paladin e sono nato a San Polo di Piave in via Campagna. La casa in cui sono nato è ancora esistente.Io nacqui il 4 maggio 1925, in una famiglia povera, dove mio nella famiglia di mio padre c’erano cinque fratelli e noi eravamo sette.Nel 1931 ci siamo spostati qui dove abito oggi, perché le famiglie erano cresciute, non ci si stava più di là. Noi dieci siamo usciti gli anni della grande crisi del 1929, sette fratelli con me, mamma, papà e nonna. Nel 1936 mia nonna morì e vennero a prendermi a scuola i miei genitori, c’era in classe la maestra Ambrosetto che mi mandò a casa.I miei fratelli erano Remo nato nel 1921, Antonia nel 1922, nel 1923 Santo, nel 1925 Basilio che sono io, Mario del 1928, Isaia 1929, la Anna 1933 che è suora a Venezia e papà Giacinto del 1892 e mamma Augusta Marcuzzo del 1901.Mio padre nella guerra del 1915-1918 era in Libia. È andato giù nel 1911 a combattere la guerra di Libia… era del 1892, lo hanno tenuto là fino a guerra finita, poi lo hanno rimandato giù all’inizio della Grande Guerra per

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tenere l’ordine, così diceva.La famiglia aveva 21 campi di terra da lavorare come proprietari, soprattutto grano e viti, tanti cavalieri, bestie in stalla, non a livello di agenzia, ma ogni volta che arrivava il tempo di pagare il debito, con quello che restava si comprava terra ancora, ma con la crisi del 1929 c’è stata la divisione fra i fratelli di papà. Mio padre con la sua parte è venuto a costruire la casetta qua, un fratello con sei campi è andato a Tezze e l’altro poco più su di qua, non fosse stata la crisi le cose sarebbero andate bene. La sorella di papà invece aveva sposato Marchesin e loro con la crisi hanno dovuto vendere tutto a Battistella di Stabiuzzo e sono andati a Conegliano.Mio padre era un buon uomo, soprattutto con me e Remo, che eravamo un po’ scalmanati. Lui andava tanto in chiesa, all’epoca il parroco era Monsignor Chiarelli, che erano tanto uniti loro due, tanto che nel 1940 si è prodigato per trovargli una campagna da Giol. Mio padre non osava chiedere così tanto, anche perché non voleva danneggiare il mezzadro che c’era dentro. Il prete lo ha convinto all’incalzare, così si diceva una volta, cioè mandar fuori uno dalla campagna e metterci un altro, ma mio padre era davvero dubbioso, voleva andare altrove, ma non riusciva a trovare nulla, era un periodo di crisi nera. È andato a Salgareda, Busco, Motta di Livenza, ma erano piccole, distanti e poco redditizie… allora è venuto fuori che il mediatore di Giol, il nonno di Vittorio Andretta, l’attuale Sindaco, lo ha preso dicendo che aveva una buona campagna per lui, ma era distante di qua.

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Difatti la campagna era davvero ottima, ma era a Zoppola, tra Casarsa e Pordenone; la campagna era ottima ma distante dal paese due chilometri e mezzo, senza case tra paese e campagna e il paese era senza luce. Mio padre prima di decidere ha voluto sapere il parere della mamma, ma c’era il debito da pagare… allora alla fine abbiamo combinato: qua da noi sono venuti i Bonacin, che ci avevano detto che se lasciavamo loro per quattro anni la terra, ci davano i soldi per pagare il debito e dopo saremmo rientrati.La cosa più conveniente era andare affittuari e pagare il debito, così coi soldi dell’affitto il debito è stato pagato e noi siamo andati nella campagna di Zoppola, con cavalieri, bestie e tutto come qua il giorno di San Pietro. A San Pietro facevi la stima di ciò che era in stalla, perché noi dovevamo pagare la nostra metà di capitale; Remo viene chiamato via in guerra, era da pagare il padre eterno con il fascimo!Remo era un po’ per aria e io gli andavo un po’ dietro… Remo andando a fare il premilitare si è messo volontario di marina perché i volontari prendevano tanti soldi… in quattro qua da San Polo hanno fatto questa scelta e tutti e quattro morirono in annegati, ma mio fratello a casa, non in guerra. Quando mio papà ha saputo che Remo si era iscritto in marina, è andato da Chiarelli, che aveva un fratello deputato fascista a Roma… Chiarelli ha detto ci penso io, lo faccio cambiare di corpo, che non vada in marina. Mio padre temeva finisse annegato, Chiarelli riuscì a farlo

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spostare in artiglieria. Andato via lui noi dovevamo lavorare la terra… c’era il periodo della fiera della Caminada a San Polo a settembre, grossa, come giro d’affari arrivava gente da tutte le parti. Noi eravamo già a Zoppola e stavamo lavorando attorno al trattore, poi avremmo pranzato e saremmo andati alla fiera con delle biciclette che avevamo prese in affitto. Io mi sono fatto male una mano e mio papà mi ha mandato a chiamare Remo, che era a casa in licenza. Remo era andato nel Meduna che voleva farsi il bagno, mi ha dato la roba che tornassi a casa per prendergli il cambio. A l’una ancora non era a casa, siamo andati a cercarlo… morto, annegato… essendo caldo è entrato nel buco d’acqua per fare il sotobot, cioè il sommergibile… si è crepata la vena del collo ed è morto.Mentre noi lavoravamo tanto per dimenticarci di Remo e della sua disgrazia, questa padrona, che aveva il figlio deputato fascista anche lui… insomma mentre eravamo a fare il fieno a Tavoliano, che bisognava portarsi dietro una botte d’acqua e una tenda per dormire là, perché il lavoro durava una settimana… voleva mandarci via ma con quella settimana di fieno abbiamo pagato la nostra metà alla padrona Maria Cimatti, che abitava in una villa fuori Zoppola, vedova con quattro figli, che nel 1942 vende tutto all’ingegner Cini di Motta, che aveva una filanda dove lavorava tanta gente.L’ingegner Cini era una bravissima persona, ma nel 1944 ha venduto di nuovo anche lui; aveva i figli nell’esercito, ma sia lui che la Cimatti non hanno mai controllato la

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produzione, si fidavano, dovevamo portare il latte alla latteria sociale che distava due chilometri e mezzo. Nel 1943 Santo va sotto le armi il 5 gennaio… a settembre con l’armistizio è stato preso e portato prigioniero in Germania, a lavorare la campagna restava solo Basilio con i fratelli più piccoli.

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I miei anni a scuola

Prima però torniamo un po’ indietro, alla scuola.Io la scuola l’ho fatta fino alla quarta, le scuole vecchie però le hanno demolite, erano nella piazzetta del bar Castello.La scuola all’epoca era molto valida, tanto che i maestri erano riusciti a mettere in riga anche me e mio fratello Remo.Quando c’era il fascismo esisteva il contributo per le famiglie numerose, dal quarto figlio maschio in avanti; questo significava che con quel contributo riuscivamo ad andare a scuola.I voti erano insufficiente, sufficiente e medio. Io ho ripetuto la seconda elementare e due volte la quinta, ma dopo la guerra, da privatista. Era la maestra Ambrosetto che mi faceva scuola, se volevamo continuare con le medie bisognava andare a Oderzo. Mio padre ci teneva e volle comprare la bici per andare a Oderzo, ma nessuno di noi fratelli voleva. Noi avevamo diritto ad andarci gratis in quanto famiglia numerosa, ma passione di studiare non ce n’era molta.La maestra era una bonacciona, parlava molto in dialetto, diceva sempre che le facevo perdere la pazienza. Poi c’erano i maestri Ciani e Salvadori, prima uno e poi l’altro,

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grandi fascisti, che arrivavano a scuola con gli stivaloni e signorsì! Maestri cattivi, erano 27 o 28 in classe, maschi e femmine tutti assieme… immaginare le classi, quattro righe di banchi, che era un banco lungo un pochi di metri, tipo panchina con la scrivania inclinata per scrivere e il buco per il pennino. La seconda classe eravamo 28, in un banco si stava in due, due righe maschi e due righe femmine e ce n’erano di tutti, con gli intelligenti a metà… chiamiamoli così quelli bravi, quelli come me un po’ duri o senza voglia di studiare come il sottoscritto davanti, allora venivamo chiamati per primi sempre noi davanti, sempre interrogati, io e uno di Crestani.Erano gli anni del fascismo, che dovevamo andare al sabato a fare il premilitare nel pomeriggio. Tieni presente tutto a piedi, due chilometri e mezzo era andare in centro a far scuola e sabato fascista, dalle 14.00 alle 17.00 le esercitazioni militari, le marce, era il maestro Ciani che lo conduceva. Si partiva Figli della Lupa, poi Balilla e infine Avanguardista e Giovane Fascista. Arrivato Avanguardista facevi i percorsi militari e le esercitazioni di tiro, diventati in età ci hanno dato a tutti il fucile di legno. I maestri erano Ciani e Salvadori a turno, che erano anche i nostri maestri di educazione fisica, che all’epoca era una materia molto importante.Trasferiti a Zoppola essendoci anche lì queste storie, mio papà ha chiesto il permesso di tenermi a casa, perché gli altri figli erano piccoli e gli altri via in guerra, così chi restava a lavorare nei campi? Allora il Comune gli ha dato

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permesso di tenermi a casa alcuni sabato.Altro aspetto importante era la chiesa. Io sono molto credente, all’epoca alle otto di mattina c’era la messa del fanciullo e mio fratello Remo che era bello spavaldo, una mattina è stato preso dal Monsignor Chiarelli che gli ha tirato due sberle e gli ha strappato i bottoni della divisa;lo fece venendo giù dal pulpito durante la messa, perché mio fratello disturbava, era un vero e proprio fascista Chiarelli, aveva un fratello deputato fascista a Roma… anche io di tirate d’orecchie ne ho prese parecchie da lui. Un prete cattivo, molto cattivo.Alle cerimonie grandi le persone erano tutte assieme e i ragazzi! Mi ricordo e lo odio ancora: i ragazzi avevano un banchetto di legno dove dovevano stare e quando ci si doveva inginocchiare, all’epoca non c’erano le braghe lunghe, avevi un paio buono ed estate e inverno usavi quello, con le braghe corte. Ci inginocchiavamo sul cemento, che d’inverno era gelido, i ginocchi diventavano rossi e bruciavano dal freddo e oltre a questo, se parlavamo tra di noi arrivava da dietro qualcuno a darci di quelle sberle terribili! Ne abbiamo prese di botte noi alla nostra età!In quegli anni ricordo che c’era la Guerra d’Africa e le donne dovevano dare la fede nuziale al duce. Mia madre aveva una collana e ha dato ai fascisti quella di rame, non voleva dare quella d’oro, ma alla fine è stata costretta, collana, vera e un altro oggetto, obbligata a portarlo alla casa del fascio di San Polo. E non c’era solo quello, c’era anche l’ammasso: tu eri

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obbligato a dare un tanto al fascismo. Per modo di dire, se compravi il maiale, quando lo uccidevi un quarto lo dovevi dare al fascismo, il pane lo compravi coi bollini e non potevi comprare quello che volevi, era razionato, era razionato il fumare, chi se la cavava era il contadino che aveva le sue cose prodotte in casa, ma la vita era dura, tutta a mano, niente macchine.L’abbiamo vista la differenza a diventar mezzadri! Lassù a Zoppola comunque la gente e la vita era diversa, anche perché lì i paesi erano tutti raggruppati e fuori i campi, qui invece le case sono sparse. Nel 1943 ricordo che siamo stati costretti a dare due buoi al fascismo, siamo rimasti senza noi, che ci servivano per arare la terra. Ne dovevi tirare su altri due e lo sfalcio erba per i buoi tutto a mano e lo sfalcio era una volta l’anno e come la tagliavi dovevi subito fare i covoni altrimenti si seccava ed era tutta da buttar via, rimanevi senza fieno.Andato via mio fratello del 1923, in aprile 1943 io vado alla visita di leva e a settembre mi è arrivata la cartolina di presentarmi al distretto di Sacile, nonostante fossi della classe del 1925.

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Scampato alla guerra?

Arriva la cartolina che il 17 settembre 1943 mi devo presentare, ma fortuna l’8 settembre c’è stato l’armistizio. Mio papà mi ha assolutamente proibito di presentarmi e io sono dovuto scappare di casa. In due mesi cinque cartoline di precetto per la RSI, che dovevo presentarmi a far servizio a Trento… allora mio papà ha detto: “Vorrà dire che ci organizzeremo per scappare!”. Tantissime notti fuori, io e mio papà, si scappava prima dei rastrellamenti grazie all’aiuto degli amici e dei cugini di Prata di Pordenone, che siamo andati a rifugiarci là per tre mesi, fino a quando non è uscito il decreto che chi aveva la campagna e nessuno la lavorava, un figlio aveva l’esenzione da militare e poteva lavorare a casa. Io avevo 18 anni e mio padre ha chiesto il permesso per me, ma risultava solo per lavorare la campagna, non potevo farmi vedere in giro, altrimenti potevo sembrare un partigiano e due sere alla settimana io e altri due dovevamo fare la ronda territoriale: dalle 20.00 di sera alla mezzanotte dovevamo andare alla casa del fascio, vestirci da fascisti e andare a far la ronda… pensa se ci beccavano i partigiani! Io invece i partigiani spesso li ho aiutati, perché nelle case abbandonate vicino a noi si rifugiavano gli sbandati,

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che avevano lasciato là molti moschetti e hanno ricevuto abiti civili dai contadini. Così io senza che lo sapesse mio padre, ho raccolto tutti i moschetti e li ho nascosti in una siepe. Mio padre quando lo ha scoperto gli è preso un colpo… “’ndeo in zerca che i ne cope?”. Io invece sapevo cosa fare, perché i partigiani della Osoppo venivano giù lungo i fiumi la notte e passavano anche per casa mia, già avevo idea di darle a loro. Così è successo una notte, sono venuti per casa e mio padre è stato svegliato… li ha portati dalla siepe e ha detto loro di portarsi via tutto.“Bon, adess vien via anca ti cò noialtri!” mi ha detto il capo partigiano… “E a tera chi che la lavora?” ho fatto io a loro… moschetti, bombe a mano, di tutto gli ho dato. Loro hanno insistito, dovevo andar via con loro, anche perché dormivano in una casa vicino alla mia, guardati ogni notte dalle loro guardie.Non è che fossi per l’uno o per l’altro, ma le bombe e i fucili meglio a loro che ai fascisti! Anche a noi hanno portato via roba, hanno macellato i vitelli, fatto le parti e portate su in montagna, macelli del genere; perciò abbiamo deciso di tornare a casa, lì era molto pericoloso, nel 1944 siamo tornati a San Polo in questa casa qua.Nel 1944, il giorno in cui siamo arrivati, non c’erano camion o trattori, perciò siamo arrivati qui coi carioti di San Michele, che abbiamo chiesto venissero su a prenderci. Avevano due carri trainati dai cavalli, che per averli abbiamo pagato un bel po’, ma la strada era tanta e tutta strada bianca. Allora abbiamo fatto la Pontebbana che era asfaltata, l’avevano asfaltata nel 1936.

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Partiamo alle sei e mezza di mattina e arriviamo al ponte del Meduna a Pordenone, ma il carico era troppo pesante per i cavalli, non ce la facevano ad andare su per il ponte, sono dovuto andare a prendere i buoi per tirarli ma… è partito un rastrellamento… fa Berna, che era questo nostro carioto di San Michele che era venuto a prenderci: “Tu stai qua Mario e tu Basilio via con me!” arrivavano i Tedeschi con le bestie della X° Mas. Avevamo due maiali… mi sono nascosto dentro la gabbia dei maiali e siamo partiti per Pordenone… spiavo dai buchi del telo e vedevo i militari passare. A Sacile c’era la dogana del ponte della Muda, dove ci dovevano perquisire. Dove andate, dove venite… mio papà aveva preparato tutte le carte con la nota di carico e loro si sono insospettiti dei due maiali. Ne volevano uno i maledetti… allora Berna ha aperto la credenza e ha offerto loro salame e formaggio, ma in cambio di tutta quella roba dovevano lasciarci passare… e allora abbiamo lasciato là tutto, pane, formaggio, salame, una damigiana da cinque litri e io dentro la gabbia dei maiali con la pancia che brontolava e i militari fascisti fuori che controllavano il carico. Berna ha scaricato tutti i viveri e li ha convinti a lasciarci andare, ma c’era da passare anche Conegliano. Arriviamo alle Quattro Strade di San Vendemiano e Berna mi ha fatto scendere con un badile e mi ha ordinato di andare a casa per i campi. Dovevo attraversare il Monticano e mi sono fermato in una famiglia che mi ha spiegato come attraversare. Senza di me sul carro

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Berna e mio papà erano sicuri di passare senza problemi i controlli di Conegliano, ma quello stesso giorno che io sono scappato, a Udine hanno impiccato cinque partigiani, che io conoscevo, erano i ragazzi a cui avevo dato le armi. Due avevano la mia età… pochi giorni prima mi avevano raccontato di aver ricevuto un lancio di armi dagli Americani e che lo avevano nascosto a Gemona, è per quello che è partito il rastrellamento.Qua a San Polo tutta un’altra cosa, perché qui c’era la Todt, che faceva fare i lavori nelle Grave della Piave. Il comando era a Cimadolmo, nella villa di Vecellio. Con la tessera della Todt potevi andare dove volevi, presi il posto di un mio zio, Marcuzzo Antonio, fratello di mia mamma. Con quella era più tranquilla la situazione, c’erano partigiani anche qua ma lassù era peggio, perché venuti via noi Zoppola divenne città partigiana, avevano messo giù due blocchi di cemento e fatto un posto di blocco che impediva l’ingresso al paese.Qua appena arrivati siamo tornati proprietari della nostra terra, ma io mangiavo e dormivo qua, ma la Todt ogni settimana pagava il lavoro nelle Grave e sono comparsi i primi soldi, tutti rossi erano. Quei soldi sono serviti molto per pagare i debiti, anche perché Santo era in Germania prigioniero… lo avevano preso a Mantova i Tedeschi, era un bersagliere.Anche qua c’erano i partigiani, ma meno… conoscevo Zamuner che era il capo, poi c’erano i Perin, Trevisan di via Callarghe, erano diversi e stavano dentro alla Todt per vedere quanti erano i Tedeschi e di notte agivano, ma

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anche la Todt era più tenere occupata la gente che non andasse coi partigiani che altro… le requisizioni sono aumentate, salami, galline, tutto venivano a prendere i fascisti! E in castello Giol c’era il comando dei Tedeschi!L’ultimo anno di guerra a casa è stato discreto grazie a Giol, che aveva la filanda e molta gente lavorava dentro, cosa che faceva avere una base di moneta alle famiglie, lo stesso le famiglie dei mezzadri di Giol, che come padrone era il migliore di tutti gli altri, poi in tempo di guerra le partizioni erano saltate, il padrone non controllava più il 50 e 50.Fortunatamente non abbiamo avuto bombardamenti, ma quando passavano le fortezze volanti il cielo si oscurava! Ricordo che un giorno venivo a casa da messa a piedi e abbiamo assistito a un combattimento aereo tra un caccia americano e uno tedesco, quello americano è stato abbattuto ed è caduto a trecento metri da casa nostra, le pallottole che fischiavano!Il 1945 è cominciato che ci hanno chiesto di venire ad abitare a casa nostra in cambio di lavorargli i loro quattro campi di terra, senza nessun affitto da pagare, qua è venuto a stare Virginio Paladin. Abbiamo accettato e siamo tornati a vivere verso Tezze, perché quei campi ci servivano per districarci meglio con la vita… nel 1950 siamo tornati qua. Nel frattempo mia sorella Antonia ha avuto un ascesso, era il 1944 e a ottobre è deceduta. Poi nel 1948 è mancata la mamma e nel 1952 il papà.

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Vivere dopo la guerra

Fine guerra torna Santo dalla prigionia, dal 1945 al 1951 siamo rimasti fermi dove eravamo. Nel 1952 siamo tornati tutti in casa perché era morto il papà, ma a casa non c’èra più posto, così siamo tornati a fare i mezzadri sotto i Giacomini della Guizza. Ci siamo rimasti per sei anni, dal 1952 al 1958, che sono uscito io, perché tutti i fratelli ci siamo sposati e in due mesi sono nati quattro figli, non ci stavamo neanche là e allora sono tornato qui in casa. Nel 1953 io mi sono sposato e nel 1954, purtroppo, è morto il nostro primo figlio.Da mezzadro di Giacomini stavo dentro a una stradina davanti alla vetreria di Ormelle, sei anni io e undici i fratelli, io sono uscito per primo. Avevamo 24 campi di terra a vite, frumento e pannocchie con stalla. Ma buon uomo Giacomini, non possiamo lamentarci, tre paroni e tuti e tre da levarghe el cappello! Avevamo la facoltà di fare quel che volevamo; per esempio, con Giacomini raccoglievamo le pannocchie e portavamo tutto in soer, un carro lo portavamo in agenzia che era dove stanno i Camerin di via Orti, che pesavano le merci portate e poi entravano in agenzia. A marzo veniva il fattore e chiedeva quanto avevamo consumato, la pesavamo e si facevano le parti, che finivano sempre a vantaggio nostro.

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Sotto Giol invece per esempio non potevi allevare i conigli, noi sì, tenevamo i pellancora, quel tipo di conigli dal pelo pregiato che vendevamo ai mercanti e loro lo usavano per fare non so cosa, era pagato benino, le prime scarpe le ho comprate con quella scusa lì.Nel 1958 vengo fuori che avevo il figlio di otto mesi. Per tre anni ho lavorato la terra e una parte uso affitto la davo ai fratelli, ma finiti i tre anni ci siamo divisi le parti: due fratelli a Faè e io e Mario qui con due campi di terra a testa. Nel 1961 ci siamo divisi… mia moglie purtroppo si è sentita male… mettere a posto la casa con grandi sacrifici, fortunatamente ho trovato lavoro alle Tezze, 24 anni nella tessitura di Giacomini. Sono stato fortunato, un vecchio di Tezze aveva un genero capo in fabbrica. I fratelli Giacomini si sono divisi, ma molti sono andati a Spresiano e sono rimasti senza operai qua a Tezze. Da questo anziano ho saputo che cercavano operai e mi sono presentato. Come ci siamo divisi tutti il nostro pezzo nel 1961 comunque, chi è andato a Faè si è fatto la casa, io e Mario qua abbiamo continuato la vita dura di prima, per pagare i debiti… noi due li abbiamo pagati i debiti, avevamo 900.000 lire di debito da Zanchetton… in tre anni sotto Giacomini li ho pagati, ho fatto i conti coi figli e cosa mi conveniva fare e… ho pensato di andare a fare l’operaio, in parte si arrangiava la moglie con la roba a casa e via così. I telai avevano le attrezzature che facevano tin tun tin

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tun… otto ore là ho perso tantissimo udito e mi hanno riconosciuto invalido sul lavoro… che è la fortuna perché altrimenti con la pensione che ho… i primi anni i contributi non li versavano mica! Ma disgrazia ha voluto che a mia moglie siano capitati brutti malanni…E ci sono stati anche tanti battibecchi politici… me le ricordo bene le votazioni del 18 aprile del 1948, perché aveva fatto una propaganda la Chiesa contro le sinistre, il popolo era ancora agitato, le urne erano presidiate da esercito e carabinieri. La Dc andava a prendere anche i vecchi, gli invalidi e gli insulsi per vincere le elezioni e c’è stato il primo Sindaco. Adesso mi viene in mente il dottor Gritti, qua comandavano Giol, prete e dottor, erano loro tre a decidere sotto il fascismo, la fine della guerra aveva cambiato tutto… comunque meno male che a San Polo c’era Giol, perché come uomo il commendatore era un brav’uomo, c’era la filanda, gli altri paesi erano poverissimi rispetto a San Polo e per me questo grazie a tutto il lavoro che dava Giol… 500 persone lavoravano in filanda, erano famiglie che mangiavano quelle! Il fascismo mi sento movimento di stomaco a parlarne… ricordo che appena tornati a casa nel 1944 avevamo tre bestie in casa ed entrò un Tedesco bestemmiando che la macchina non andava e sono stato costretto a spingerla, io e mio fratello… come ringraziamento un pie in tel cul e se ne sono andati via! E a lavorare nei bunker per la Todt sotto il capitano Josep… dovevano fare il collaudo al bunker e io a Papa,

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che era il caposquadra ho fatto: “Capiòt rebaltate che el martorèl l’è rento!” cioè Josep e altri due graduati che erano dentro… vien fuori uno degli operai: “Chi che lo ha dita? Se i lo ha sentio i ne copa tuti!” in realtà non è successo nulla, ma qualche Tedesco che capiva il dialetto c’era, si chiamava Basilio anche lui, anzianotto e una buona persona.Qua comunque il paese è cambiato molto: sono nate le fabbriche anche in paese, non soltanto la Zoppas di Conegliano. In agricoltura sono arrivati i trattori, hanno cominciato a scomparire le bestie, piano piano sono scomparsi i mezzadri, si cominciava a stare benino, ma se posso dire una cosa… prima in bicicletta, poi mi sono preso il motorino e riuscivo anche a tornare a casa prima per segare i cigli delle strade per dar da mangiare alle bestie e ai cavalieri, nel 1965 ho comprato il motorino… nel 1968 poi, la maestra Ambrosetto mi ha venduto per 400 lire una cinquecento, perché le avevano ritirato la patente, che nel 1970 l’ho data dentro e ho comprato una Ford… all’epoca costava 1000 lire!!! Adesso al 2011 ho fatto conti: quanto di più costano le cose?Altri tempi… La vita mi ha dato anche le gioie dei figli; il primo purtroppo è morto dopo pochi mesi, ma gli altri mi hanno reso molto orgoglioso:Loretta è nata nel 1955 vive a San Michele e ha sposato un agricoltore, Enzo nato nel 1958 fa il falegname, Cinzia é nata nel 1966 e vive a Padova. Si sono sposati anche loro

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e hanno avuto figli.Io poi sono bisnonno, perché mia nipote Francesca, figlia di Loretta ha avuto una bambina che si chiama Veronica e un altro sta arrivando. Poi Loretta ha avuto anche Stefania, Enzo ha avuto Sergio e Cinzia Debora… e in casa ora sono solo con mia moglie, che purtroppo è invalida.

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Simone MenegaldoMadorbo 19/a31010 Cimadolmo (TV)3772327868 - fax. 0422851260

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Dottore in Storia della Società Europea