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Milano • Giuffrè Editore GIUSTIZIA CIVILE Anno LXIII Fasc. 5-6 - 2013 ISSN 0017-0631 Giampiero Buonomo L'AUTODICHIA PARLAMENTARE DI NUOVO IN CORTE COSTITUZIONALE Estratto
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Autodichia: nuova rimessione in Corte costituzionale dopo 30 anni

Mar 28, 2023

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Page 1: Autodichia: nuova rimessione in Corte costituzionale dopo 30 anni

Milano • Giuffrè Editore

GIUSTIZIA CIVILEAnno LXIII Fasc. 5-6 - 2013

ISSN 0017-0631

Giampiero Buonomo

L'AUTODICHIA PARLAMENTAREDI NUOVO IN CORTE

COSTITUZIONALE

Estratto

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CORTE DI CASSAZIONE — Sez. un. — 6 maggio 2013 n. 10400 (ord.) — Pres. Preden —Est. D’Alessandro — P.M. Cennicola (concl. conf.) — L. (avv. Cirri Sepe Quarta,Specchio) c. Senato della Repubblica (Avv. gen. St.).(Rimessione degli atti alla Corte costituzionale).

[2044/540] Costituzione della Repubblica italiana - Senato - Dipendenti - Controversie di lavoro -Decisioni del Consiglio di garanzia del Senato in sede di autodichia - Impugnazione con ricorso percassazione - Questione di legittimità costituzionale - Iniziativa officiosa.(Regolamento del Senato, art. 12).

Si auspica la riconsiderazione della sentenza n. 154 del 1985 della Corte costituzionale,giusta opinione prevalente della dottrina che i regolamenti parlamentari costituiscono fonti(fonti-atto) di diritto oggettivo e sono assimilabili alle leggi formali, con le quali versano inrapporto di distribuzione (costituzionale) di competenza normativa a pari livello. Nel rifarsiintegralmente a tale prospettazione, le sezioni unite sottolineano che una cosa è l’esercizio dellefunzioni legislative o politiche delle Camere, altra cosa gli atti con cui le Camere provvedonoalla loro organizzazione (1).

(Omissis). — RITENUTO IN FATTO. — L., dipendente del Senato, propone ricorso percassazione ex art. 111 cost., affidato a due motivi, avverso la decisione 21 luglio-29 settembre2011 n. 141 in grado di appello del Consiglio di garanzia del Senato in un giudizio diottemperanza relativo a causa di lavoro.

Resiste con controricorso il Senato della Repubblica, deducendo l’inammissibilità delricorso.

Nell’imminenza dell’udienza pubblica il L. ha depositato una memoria nonché copia deidisegni di legge n. 1560 e 3342 del Senato e 5472 della Camera dei deputati. A seguito dellaproduzione documentale, effettuata dalla parte personalmente, i suoi difensori hannorinunciato al mandato.

CONSIDERATO IN DIRITTO. — 1. Per effetto del principio della c.d. « perpetuatio » del-l’ufficio di difensore (di cui è espressione l’art. 85 c.p.c.), nessuna efficacia può dispiegare,nell’ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento perimpulso d’ufficio), la sopravvenuta rinuncia al mandato che il difensore del ricorrente abbiacomunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione già fissata (Cass. 9 luglio 2009 n.16121).

2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta che l’autodichia di cui al l’art. 12 delregolamento del Senato 17 febbraio 1971 comporti la violazione dei principi desumibili dagliart. 2, comma 1, 3, 24, 102, comma 2, 108, comma 2, 111, comma 2, e 113 cost.

Recita l’art. 12, cit., per quanto qui interessa — e in parte qua queste sezioni unitedevono dunque deve farne applicazione — che il Consiglio di presidenza, presieduto dalPresidente del Senato, approva « i regolamenti interni dell’amministrazione del Senato eadotta i provvedimenti relativi al personale stesso nei casi ivi previsti ».

Tale norma, assimilata a quella più chiara del regolamento della Camera dei deputati,è stata sempre interpretata nel senso della attribuzione al Senato dell’autodichia, conconseguente esclusione di qualsiasi giudice esterno sulle controversie che attengono allostato e alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti.

Ne conseguirebbe l’inammissibilità del ricorso ex art. 111 cost. spiegato dal L.Ritengono peraltro queste sezioni unite che la questione prospettata dal L. con il primo

motivo sia, oltreché rilevante, per le considerazioni svolte riguardo alla necessaria applica-zione dell’art. 12 del regolamento del Senato 17 febbraio 1971, anche non manifestamenteinfondata, almeno in parte, tanto da giustificare che queste sezioni unite sollevino d’ufficiodinanzi a codesta Corte la questione di legittimità costituzionale.

3. Non ignorano queste sezioni unite che la Corte costituzionale, con la risalente C.cost. n. 154 del 1985, cui hanno fatto seguito le ordinanze di manifesta inammissibilità n. 444e 445 del 1993, ha dichiarato la medesima questione inammissibile alla stregua del tenore

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letterale dell’art. 134 cost., che fa riferimento alle leggi ed agli atti aventi forza di legge, e noncita — come oggetto del giudizio della Corte — i regolamenti parlamentari.

Ritenne all’epoca la Corte costituzionale che i regolamenti parlamentari avrebberopotuto comprendersi nel disposto dell’art. 134 soltanto in via interpretativa e che siffattainterpretazione non era coerente, ed appariva anzi in contrasto, con la natura di democraziaparlamentare propria del nostro ordinamento.

Nell’auspicare la riconsiderazione di tali conclusioni, si osserva che la questione eraaffrontata, nella relativa ordinanza di rimessione dell’11 luglio 1977, in tali termini: « Sulpunto se la norma possa formare oggetto di sindacato di legittimità costituzionale — vale adire se essa sia riconducibile o assimilabile agli atti aventi forza di legge, cui si riferisce l’art.134 cost. — può subito dirsi che il problema dovrebbe essere risolto affermativamente. Èopinione prevalente della dottrina che i regolamenti parlamentari di cui agli art. 64 e 72 cost.(e tale è il regolamento approvato dal Senato il 17 febbraio 1971) — regolamenti cui laCostituzione riserva la disciplina di date materie (l’organizzazione delle Camere e ilprocedimento per l’esame e la approvazione dei disegni di legge) salvo quanto essa stessadirettamente dispone in proposito — costituiscono fonti (fonti-atto) di diritto oggettivo esono assimilabili alle leggi formali, con le quali versano, per la succennata riserva, inrapporto di distribuzione (costituzionale) di competenza normativa a pari livello. Codestanatura dei regolamenti vale poi ad escludere che alla loro denunciabilità davanti alla Cortecostituzionale si opponga il dogma dell’insindacabilità degli interna corporis degli organicostituzionale, dogma peraltro ripudiato dalla Corte costituzionale con C. cost. n. 9 del 1959[...]. L’assimilabilità alle leggi formali appare ancor più evidente per la parte in cui iregolamenti parlamentari, in connessione con la disciplina dell’organizzazione delle Camere,regolino rapporti tra Camere e terzi, ipotesi che è appunto quella in argomento ».

Nel rifarsi integralmente a tale prospettazione, queste sezioni unite sottolineano altresìche una cosa è l’esercizio delle funzioni legislative o politiche delle Camere, altra cosa gli atticon cui le Camere provvedono alla loro organizzazione. Se è assunto di tutta evidenza chealle Camere e agli altri organi costituzionali debba essere garantita una posizione diindipendenza sicché essi, nell’esercizio delle loro attribuzioni, siano liberi da vincoli esternisuscettibili di condizionarne l’azione, cosa del tutto diversa è dire che l’autodichia sui propridipendenti sia una prerogativa necessaria a garantire l’indipendenza delle Camere affinchénon siano condizionate da altri poteri nell’esercizio delle loro funzioni.

Come si è rilevato in dottrina, l’autodichia non è coessenziale alla natura costituzionaledegli organi supremi, perché la Costituzione non tollera la esclusione della tutela giurisdi-zionale di una categoria di cittadini, e l’autonomia spettante al Parlamento non è affattocomprensiva del potere di stabilire norme contrarie alla Costituzione.

4. Venendo quindi alla non manifesta infondatezza della questione, in primo luogol’autodichia del Senato — prevista dunque da un regolamento minore — appare in contrastocon l’art. 3 cost., in quanto una categoria di cittadini è esclusa dalla tutela giurisdizionale inragione di un elemento (l’essere dipendenti del Senato) non significativo ai fini del lorotrattamento differenziato.

5. Vi è conseguentemente violazione dell’art. 24 cost., secondo cui « tutti possonoagire in giudizio per la tutela dei propri diritti », che definisce, al comma 2, la difesa « dirittoinviolabile ».

6. Deve poi evidenziarsi la violazione dell’art. 102, comma 2, cost., essendo gli stessisoggetti sottoposti ad un giudice speciale, quanto alle loro cause di lavoro, istituito dopol’entrata in vigore della Costituzione.

7. Vi è anche violazione dell’art. 111 cost., recentemente novellato, quanto al princi-pio del giusto processo (comma 1), non potendo definirsi « giusto » un processo che si svolgedinanzi ad una delle parti, alla necessità che il contraddittorio si svolga davanti ad un giudiceterzo e imparziale (comma 2), il che evidentemente non è nell’autodichia, ed al fatto checontro le sentenze è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge (comma7).

Proprio riguardo alla sospetta violazione dell’art. 111 cost., appare rilevante il fatto cheCEDU 28 aprile 2009 (c.d. « sentenza Savino ») abbia si affermato che, ai sensi dell’art. 6,

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comma 1, della Convenzione, è « tribunale » non soltanto una giurisdizione di tipo classico,ma una qualsiasi autorità cui competa decidere, sulla base di norme di diritto, con pienezzadi giurisdizione e a conclusione di una procedura organizzata, su una qualsiasi questione disua competenza, adottando una decisione vincolante, non modificabile da un organo nongiurisdizionale, ma in conclusione abbia statuito, quanto ai motivi di ricorso, l’assenza diindipendenza e di imparzialità degli organi giurisdizionali della Camera, e in particolaredell’organo di appello, ritenendo che la sua composizione determini una inammissibilecommistione, in capo agli stessi soggetti, tra l’esercizio di funzioni amministrative e l’eser-cizio di funzioni giurisdizionali: i componenti dell’Ufficio di Presidenza, cui spetta l’adozionedei provvedimenti concernenti il personale, infatti, sono poi chiamati a giudicare sullecontroversie aventi ad oggetto i medesimi atti amministrativi.

Ed in effetti — come rilevato dalla dottrina in sede di commento alla sentenza dellaCEDU — sembra mancare nella specie il carattere di terzietà dell’organo giudicante, che èattributo connaturale all’esercizio della funzione giurisdizionale, considerato ad esempio chele decisioni della Commissione contenziosa, ratificate con il visto del Presidente del Senato,possono riguardare ricorsi contro decreti del Presidente del Senato.

A seguito di tale sentenza è da notare che nel Senato della Repubblica sono staticomunicati alla Presidenza taluni disegni di legge volti a superare il sistema dell’autodichia.

8. È infine violato anche l’art. 113 cost., secondo cui, contro gli atti della pubblicaamministrazione (e tale è, per quanto sin qui detto, l’amministrazione del Senato rispettoagli atti di gestione del personale) è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti edegli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa, inquanto l’autodichia preclude l’accesso agli organi di tutela giurisdizionale.

9. In conclusione, le sezioni unite della Corte di cassazione sollevano d’ufficio que-stione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del regolamento del Senato della Repubblica17 febbraio 1971, come successivamente modificato, nella parte in cui attribuisce al Senatol’autodichia sui propri dipendenti, per contrasto con gli art. 3 e 24, 102, comma 2, 111, commi1, 2 e 7, e 113, comma 1, cost.

P.Q.M., la Corte di cassazione, a sezioni unite civili, dichiara rilevante e non manife-stamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del regolamento delSenato della Repubblica 17 febbraio 1971, e successive modifiche, in riferimento agli art. 3,24, 102, comma 2, 111, commi 1, 2 e 7, e 113, comma 1, cost. (Omissis)

(1) [2044/540] L’autodichia parlamentare di nuovo in Corte costituzionale (*)New Judicial Review on Domestic Parliamentary Jurisdiction

Dopo la questione di costituzionalità sollevata dalla Cassazione sulla norma regolamentare chefonda l’autodichia del Senato, ci si chiede se e in che misura, soddisfatti i requisiti di terzietà eindipendenza, la giurisdizione domestica degli organi costituzionali abbia un futuro.

Following the question of constitutionality on domestic parliamentary jurisdiction raised by theSupreme Court and sent to the Constitutional Court, the question remains whether and to what extent,given that the requirements of impartiality and independence are met, constitutional bodies have anyfuture domestic jurisdiction?

SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Le questioni relative alla verifica dei poteri e dei titoli di ammissionedei parlamentari. — 3. Le questioni relative alle immunità di cui all’art. 68, commi 1, 2 e 3, cost.— 4. La tutela della libertà dell’Istituzione parlamentare (solo nella fissazione del programma,del calendario e dell’ordine del giorno dei suoi lavori e nell’immunità di sede). — 5. La visespansiva della giurisdizione domestica e le sue prospettive future. — 6. La giurisdizione suiconflitti.

(*) Scritto sottoposto a procedura di valutazione scientifica.

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1. Premessa. — Le sezioni unite della Corte di cassazione, con l’ordinanza interlocutoria 6maggio 2013 n. 10400, sollevano la questione di legittimità costituzionale sull’art. 12 del regolamentodel Senato, nella parte in cui funge da « norma sulle fonti » su cui trovano fondamento le pronuncedell’autodichia del Senato della Repubblica.

In passato, adita in sede di regolamento di giurisdizione, la Corte di cassazione avevadirettamente riscontrato se la controversia per cui era causa spettasse alla cognizione dell’organo diautodichia: con Cass., sez. un., ord. 17 marzo 2010 n. 6529, essa effettuò la valutazione sull’indipen-denza e imparzialità del giudice domestico, addivenendo, a favore della Presidenza della Repub-blica, ad un esito positivo sul rispetto dello standard imposto da CEDU 28 aprile 2009 (ric. n. 42113/04,Borgo e a. c. l’Italia, n. 17214/05 Savino c. l’Italia, e n. 20329/05, Persichetti c. l’Italia). In caso di esitonegativo, però, la Cassazione si riservava di disapplicare il « regolamento minore »: ora invece —probabilmente per la molteplicità dei parametri di costituzionalità evocati nella questione sollevatad’ufficio — le sezioni unite civili scelgono di non dare applicazione decentrata alla CEDU, investen-done la Corte costituzionale.

Si possono dare diverse spiegazioni della scelta, a partire da quella secondo cui l’ordinanza del2010 partiva da un presupposto processuale (« non resta sottratta a questa Corte la verifica delfondamento costituzionale per l’esercizio di un potere decisorio [...] trattandosi di accertare se esisteun giudice del rapporto controverso o se quel rapporto debba ricevere una definitiva regolamenta-zione domestica ») che si giova della clausola di salvaguardia di cui all’art. 37, comma 2, l. 11 marzo1953 n. 87 (« Restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione »). Nell’affrontareinvece la tematica — per la prima volta dal 2004 — sub specie di ricorso ex articolo 111 cost., lesezioni unite civili evocano una nozione di « legge » più ampia della sua lettura in senso formale cheinfluenzò la pronuncia di mero rito reso dalla Corte costituzionale con C. cost. 6 maggio 1985 n. 154.Del resto, perché vi sia ricorso per Cassazione occorre invocare la violazione o falsa applicazione di« norme di diritto » (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), che sicuramente è nozione che si presta a unalettura meno restrittiva di quella, sin qui data, delle « leggi e degli atti, aventi forza di legge, delloStato e delle regioni », per le quali l’art. 134 cost. appresta la giurisdizione della Corte costituzionalein caso di controversie relative alla relativa legittimità costituzionale.

In realtà, però, il problema processuale è — almeno in parte — il riflesso di un problemasostanziale, di cui la giurisprudenza nazionale inizia, con l’ordinanza in commento, a farsi carico (1):la scelta delle sezioni unite civili appariva necessitata dopo che la Corte europea dei diritti umaniaveva definito il profilo degli organi di autodichia delle Camere, ammettendo che una loro naturagiurisdizionale possa darsi « in natura », ma ad altre condizioni (di terzietà e di imparzialità) rispettoa quelle che tanti dubbi hanno prodotto in dottrina e, nella fattispecie, nella Cassazione conriferimento al Senato.

Come ogni taglio di nodo gordiano, la pronuncia CEDU 28 aprile 2009 ric. n. 42113/04 e17214/05, sui casi Savino e Borgo, cit. aveva semplificato il modo con cui porsi dinanzi al problemadell’autodichia. La sentenza europea dipanava l’intricato groviglio teorico che si era fino ad alloraavviluppato intorno al rango sovraprimario (rectius, intorno all’ambito riservato) rivendicato dagliorgani costituzionali: dando per scontato che l’esistenza di « giudici interni » fosse l’unico ambito dieccentricità della vicenda, i giudici europei riconducevano alla giurisdizionalità (sub specie diobbligo di imparzialità e indipendenza) (2) anche queste « magistrature », offrendo alla Corte di

(1) L’ordinanza in epigrafe fa proprio il rilievo secondo cui « i regolamenti parlamentaricostituiscono fonti-atto di diritto oggettivo assimilabili alle leggi formali, con le quali “versano [...]in rapporto di distribuzione (costituzionale) di competenza normativa a pari livello” »: lo notaMALINCONICO, Ancora sull’autodichia delle Camere e sul sindacato di legittimità dei regolamentiparlamentari, in www.federalismi.it, 4 giugno 2013, p. 3, il quale lo tratta da vero punto centrale delladisputa, tanto da dedicarvi l’unica vera confutazione, quella meramente formalistica secondo cui « iregolamenti parlamentari, [...] quand’anche si considerassero assimilabili alle leggi in senso sostan-ziale, resterebbero pur sempre atti approvati con un procedimento diverso da quello previsto dagliarticoli 70 e seguenti della Carta per la funzione legislativa » (p. 16).

(2) Nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, dall’art. 6 CEDU discendenon soltanto la caratterizzazione sostanziale della funzione giudiziale del tribunale, ma anche lanecessità che l’organo in questione soddisfi tutta una serie di altre condizioni di tipo soggettivo:l’indipendenza dei suoi componenti, la durata della loro permanenza in carica, l’esistenza di unaprotezione da pressioni esterne e un’apparenza di indipendenza (CEDU 22 giugno 1989 ric. n.11179/84, Langborger; CEDU 22 novembre 1995 ric. n. 19178/91, Bryan; e CEDU 22 giugno 2000 ric.n. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e 33210/96, Coëme). CEDU 30 gennaio 2002 ric. n. 38784/97,

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cassazione uno spunto che essa non poteva più rifiutare di raccogliere, dinanzi alla richiesta disottoporre le relative sentenze alla piramide nomofilattica (3).

Dietro il problema del giudice c’è infatti il problema della legge (o della « norma di diritto »,per dirla con il codice di rito), che nella lettura convenzionale europea è declinato diversamente dacome tradizionalmente avviene nell’ordinamento italiano. Un organo giurisdizionale internazionalecome la Corte europea dei diritti umani, forzatamente a contatto con le molteplici diversità esistentitra civil law e common law, richiede — per superare il vaglio preliminare sulla legalità dellaprocedura che governa il caso sottopostole — la sufficiente accessibilità, precisione e prevedibilitàdella norma (CEDU 22 settembre 1994 ric. n. 13616/88, Hentrich, § 42); si tratta di evitare applicazioniincongrue della norma, cioè tali che potrebbero privare i ricorrenti di un’effettiva protezione deiloro diritti per l’arbitrarietà o imprevedibilità dei risultati; uno Stato di diritto passa anche per unelevato standard di qualità della norma giuridica, tale da offrire al cittadino sufficiente chiarezzasulle circostanze e le condizioni in cui un suo diritto potrebbe essere sacrificato (CEDU 25 giugno 1997ric. n. 20605/92, Halford, § 49). Ma, soprattutto, tale standard prevede (in conformità dell’art. 13CEDU) che si assicuri l’effettività della tutela, a prescindere dal fatto che la violazione sia statacompiuta da chi agisca investito di pubblico potere (CEDU 4 maggio 2000 ric. n. 28341/95, Rotaru, §64).

A dire la verità, la trasposizione nell’ordinamento giuridico nostrano del modus procedendistrasburghese — attraverso il parametro dell’art. 117 cost., accordato con le sentenze gemelle del2007 (4) — aveva già portato la Corte costituzionale ad importantissime affermazioni circa la naturasostanziale del principio di legalità: C. cost. 12 ottobre 2012 n. 230 ha concordato con la Corteeuropea sulla considerazione che la nozione di « diritto » (« law »), utilizzata nell’art. 7, § 1, CEDU,è comprensiva tanto del diritto di produzione legislativa che del diritto di formazione giurispruden-

Morris c. United Kingdom, espressamente considerò che — nonostante la presenza di giudicilegalmente qualificati — il rischio di pressioni esterne non può essere escluso su componentidell’organo giudicante che non abbiano formazione legale e restino subordinati agli ordinari mezzidisciplinari dell’amministrazione di appartenenza.

(3) Richiesta il cui accoglimento in rito, nelle parole dell’avvocato generale (riferite nell’e-pigrafe dell’ordinanza come « ammissibilità del ricorso »), già rappresenta un passo da gigante, checapovolge la precedente giurisprudenza di legittimità: la Corte di cassazione (Cass. 11 marzo 1999n. 317 e Cass. 19 novembre 2002 n. 16267) sin qui aveva negato l’ammissibilità del ricorso diretto inCassazione, ai sensi dell’art. 111 cost., sulle decisioni degli organi del contenzioso interno delleCamere, « in quanto precluso dal sistema stesso dell’autodichia, incompatibile per definizione con ilcontrollo giurisdizionale esterno non fondato sulla distinzione tra giudice e parti ». Ma, volendoseguire il ragionamento della Suprema Corte, si creava un corto circuito logico: sarebbe mancato atali organi il requisito della « terzietà » e quindi i relativi provvedimenti non avrebbero avuto naturagiurisdizionale (bensì amministrativa), per cui conseguentemente non avrebbe trovato applicazionel’art. 111 cost. La pronuncia in commento virtualmente conclude l’evoluzione dell’ultimo decennionella giurisprudenza civile della Corte di cassazione, le cui sezioni unite erano passate dal diniego dinatura giurisdizionale degli organi di autodichia (Cass., sez. un., 19 novembre 2002 n. 16267: « ilprecetto di cui all’art. 111 cost., [...] istituendo la regola dell’indeclinabilità del controllo giurisdi-zionale di legittimità su tutte le “sentenze”, sebbene faccia riferimento con tale locuzione aprovvedimenti di contenuto decisorio incidenti su diritti soggettivi ed idonei al giudicato, postula unconnotato comune di siffatti provvedimenti, vale a dire la loro natura giurisdizionale. Questa naturaderiva da un dato minimo indefettibile, che è costituito dalla “terzietà” del giudice, il quale è assenteper definizione in ogni caso di giurisdizione domestica, qual è quella in esame ») al riconoscimentodel fatto che il nuovo testo dell’art. 111, comma 2, cost. non estromette dall’area della « giurisdi-zione » l’autodichia (ma si limita ad ammettere, in rapporto ad essa, « alcune aree di esenzione o didelimitazione del sindacato di legittimità proprio della Cassazione [...] al di fuori delle ipotesi iviespressamente previste delle sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale, pronunziati daorgani giurisdizionali ordinali o speciali, per le quali la ricorribilità in Cassazione è sempre ammessa,con l’unica eccezione delle sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra »: così Cass, sez. un., 10giugno 2004 n. 11019).

(4) C. cost. 24 ottobre 2007 n. 348 e 349, in questa Rivista, 2008, I, 53 ss., con note di DUNI,Indennizzi e risarcimenti da espropriazione. Problemi risolti e questioni in sospeso, di SALVAGO S.,Espropriazioni illegittime e risarcimento del danno dopo la declaratoria di incostituzionalità dell’art.5-bis, comma 7-bis, l. n. 359 del 1992, p. 587 ss., e di SALVAGO M., La dimensione temporale nellesentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale e nella successiva giurisprudenza dilegittimità, p. 1276 ss. Cfr. pure, STELLA RICHTER P., Postilla a DUNI, cit., ivi, II, 519 ss.

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ziale (5): è quanto vale anche in rapporto agli ordinamenti di civil law, alla luce del rilevante apportoche pure in essi la giurisprudenza fornisce all’individuazione dell’esatta portata e all’evoluzione deldiritto.

Pertanto, se persino il diritto pretorio può avere un ruolo assimilabile, nelle conseguenze, allanorma giuridica generale ed astratta, la Corte di cassazione aveva buoni argomenti per richiederealla Corte costituzionale di ripensare la sua giurisprudenza dismissiva, culminata con C. cost. 6maggio 1985 n. 154, cit. La Cassazione non si poteva più sottrarre all’obbligo — necessitato anchedalla revisione dell’art. 111 cost. (6) — di utilizzare come parametro di legittimità anche le normedi diritto applicabili all’interno del micro-ordinamento parlamentare, inclusa almeno parte deiprecetti dettati in conformità dei regolamenti di cui all’art. 64 cost.. La tesi secondo cui, al di fuoridi tali fonti, solo la Costituzione (e la legge costituzionale o di revisione costituzionale) potessedisciplinare profili della vita e dell’autorganizzazione delle Camere, è stata confutata dalla produ-zione de iure condendo più recente (citata in fatto e anche in diritto dalla motivazione dell’ordinanzain epigrafe, § 7). Ma, più efficacemente, è stato rilevato da C. cost. 2 novembre 1996 n. 379, che iregolamenti emanati ai sensi della riserva contenuta nell’art. 64 cost. non ostano all’operatività della« grande regola dello Stato di diritto » e del « conseguente regime giurisdizionale al quale sononormalmente sottoposti, nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti ». Sequindi, dopo la sentenza della Corte europea, per regime giurisdizionale può anche intendersi« giudice interno » (purché dotato delle caratteristiche di indipendenza e imparzialità richieste dallaCEDU), resta però vero che i diritti della persona conservano integro il loro regime di tutela.

È quindi ugualmente sorpassata la tesi secondo cui un’attività, ordinariamente compiuta daqualsiasi altro soggetto istituzionale (o addirittura privato), diviene « guarentigiata » se compiuta nelperimetro delle Camere (e sol per questo sottratta alla disciplina imperativa di legge, nonché allavalutazione giurisdizionale necessaria per sussumerla): pronunce come TAR Lazio, sez. I, 6 giugno2012 n. 5779 — secondo cui « è indubitabile che il servizio di ristorazione, per cui è controversia, siafunzionale principalmente allo svolgimento dell’attività dell’Assemblea » — sono destinate a diven-tare sempre più recessive, nel loro arrestare la tutela (in quel caso giusappaltistica) (7) alla sogliadelle Camere, sotto forma di apodittica presa d’atto della carenza di giurisdizione.

(5) CEDU, grande camera, 17 settembre 2009 ric. n. 10249/03, Scoppola c. Italia, n. 2; CEDU,grande camera, 20 gennaio 2009 ric. n. 75909/01, Sud Fondi s.r.l. e a. c. Italia; CEDU, grande camera,24 aprile 1990 ric. n. 11801/85, Kruslin c. Francia.

(6) Con l. cost. 23 novembre 1999 n. 2 sono stati inseriti nell’art. 111 cost. i seguenti precetti:« La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolgenel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale ». In casodi contraddizione palmare tra una norma costituzionale espressa e una consuetudine derogatoriaanteriore in proposito, già erano state illuminanti le parole di Cass., sez. un., 17 dicembre 1998 n.12614 sull’autodichia della Presidenza della Repubblica: sarebbe « arduo sostenere che, vigendo unaCostituzione scritta, un principio implicito o una norma inespressa possa di per sé porsi in vittoriosocontrasto con un principio costituzionale esplicito ».

(7) Si tratta di un ambito nel quale l’Unione europea ha da tempo esercitato un ruolo nellecrepe che andavano aprendosi nella concezione dell’autodichia. La Corte di giustizia delle Comunitàeuropee ha da tempo sostenuto che « uno Stato membro non può eccepire disposizioni, prassi osituazioni del suo ordinamento giuridico interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi e deitermini imposti da una direttiva » (v., in particolare, C. giust. CE 12 febbraio 1998 in causa C-144/97,Commissione c. Francia, in Raccolta, p. I-613, punto 8). Sin da C. giust. CEE 5 maggio 1970 in causa77/69, questo principio è stato proclamato in rapporto all’esecuzione di normativa comunitaria cheimplichi « l’intervento di uno o più poteri che costituiscono parte integrante della struttura delloStato »: l’avvocato generale affermò che si trattava di « un particolare che dipende dal sistemacostituzionale dello Stato e che non modifica la portata degli obblighi, i quali vanno rispettati tutti[...] Vi è trasgressione quando lo Stato membro non assolve i compiti che gli incombono, indipen-dentemente dall’organo amministrativo cui si possa far risalire la responsabilità dell’inadempienza ».Si tratta di un principio che la Corte di Lussemburgo in quell’occasione affermò dichiarandol’inadempimento dello Stato « indipendentemente dall’organo la cui azione o inazione ha datoorigine alla trasgressione, anche se si tratta di un organo costituzionale indipendente ». Ma ancorapiù esplicita — in rapporto a un organismo di natura schiettamente parlamentare — è stata con C.giust. CE 17 settembre 1998 in causa C-323/96, quando ha ritenuto che il mancato rispetto delleprocedure comunitarie di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici da parte del parlamentofiammingo (il Vlaamse Raad) configurasse inadempimento da parte dello Stato belga: « un organolegislativo quale il Vlaamse Raad dev’essere considerato far parte dello Stato e quindi costituireun’amministrazione aggiudicatrice » ai sensi della normativa comunitaria; né tale constatazione può

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Si tratta di argomentazioni che per decenni hanno portato a ritagliare, al centro delleistituzioni, un vuoto di tutela potenzialmente indeterminato: la sua dilatazione è stata inversamenteproporzionale alla compressione della categoria dell’atto politico, delineata a favore dell’Esecutivodall’art. 31 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 (in forza del quale il ricorso giurisdizionale amministrativo« non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del poterepolitico »). Nel quadro dell’interpretazione restrittiva che ne dà oramai la giurisprudenza (8), ilrequisito oggettivo individuato per gli atti politici (« atti che riguardino la costituzione, la salvaguar-dia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e applicazione, comedisciplinati dalla vigente normativa ») (9) risponde a uno schema funzionale — l’assenza dipredeterminazione del contenuto secondo un modello legale, trattandosi di atti liberi nel fine — chepresuppone il fatto che essi « non ledono diritti soggettivi o interessi legittimi, i quali sono le solesituazioni cui l’ordinamento assicura tutela giurisdizionale » (10).

Era oltremodo rimarchevole che — intorno alla nozione di « autodichia » degli organicostituzionali — si registrasse un’evoluzione in senso inverso a quello cui si è addivenuti in sedeamministrativa nei confronti del Governo. Quella che è stata definita la nozione geografica della« guarentigia » ha consentito di coacervare, nella sottrazione al sindacato giurisdizionale, atti efunzioni sicuramente parlamentari con atti e funzioni compiute nel perimetro parlamentare masostanzialmente amministrative (o addirittura atti compiuti iure privatorum): dopo la prospettazionedi diritto sostanziale della Cassazione, hic Rhodus, hic salta. Data una risposta a questa prospetta-zione di tipo « funzionalistico » (11), ad opera della Corte costituzionale, si potrà passare a dipanaretali categorie di atti, per addivenire a una perimetrazione dell’ambito guarentigiato degli organicostituzionali. In via fisiologica, ciò competerebbe al decisore politico, tanto più in un momento incui si sta erigendo un cantiere di possibili riforme istituzionali; ma in via patologica, il contenziosopotrebbe investire uno dei due termini del rapporto instauratosi con l’ordinanza in epigrafe. Qualeche sia l’organo deputato ad effettuare questa ricognizione (se la Suprema Corte in sede diregolamento di giurisdizione, o la Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzione), non potràpiù essere elusa la necessità di valutare se l’ambito materiale individuato dalla « norma sulle fonti »sia stato rispettato: se, cioè, si versi in un ambito riservato (e guarentigiato) dall’esercizio dellefunzioni costituzionali attribuite a quegli organi, o se invece si impatta (anche) su situazionigiuridiche soggettive, tutelate dalla « grande regola dello Stato di diritto ».

Al di là dell’adesione o no alla questione di costituzionalità come pervenutale, alla Cortecostituzionale si richiede perciò una risposta chiara al seguente quesito: in che misura i regolamentirappresentano fonti-atto di diritto oggettivo che, al di fuori della funzione di regolamentazione delprocedimento legislativo, siano assimilabili alle leggi formali.

Orbene, vi sono nelle istituzioni parlamentari atti di organi politici che, da un lato, non sonoriconducibili alle funzioni parlamentari tipiche (legislativa, di indirizzo o ispettiva), e che però,dall’altro lato, non sono qualificabili come di (alta) amministrazione: si tratta delle decisioni inerentialle prerogative costituzionali delle Camere, le quali, pur rispondendo ad uno schema predetermi-nato, sono sottratti da qualsiasi sindacato esterno all’organo politico che le assume. Affinché siconsolidi una giurisprudenza in tal senso, appare necessario operare una disamina delle situazioni difrontiera, quanto meno per come si sono presentate in sede parlamentare (12), al fine di valutarecome e in che misura rientrino nella « grande regola » ovvero nelle sue eccezioni.

essere rimessa in discussione dal fatto che il diritto nazionale non si applica agli organismi legislativi,per cui la Corte respingeva segnatamente l’obiezione secondo cui l’autonomia e la preponderanzadel potere legislativo, disciplinate dalla Costituzione belga, ostano a che le Camere legislative, equindi il Vlaamse Raad, siano soggette alla competenza ministeriale.

(8) Cfr. TAR Abr., sez. L’Aquila, 7 ottobre 2003 n. 839; TAR Ven., Venezia, sez. II, 5 marzo2004 n. 527.

(9) Così Cons. St., sez. IV, 12 marzo 2001 n. 1397.(10) Così TAR Sic., Catania, sez. I, ord. 30 giugno 2005 n. 1029.(11) Così definita nella relazione al disegno di legge A.S. n. 1560 della XVI legislatura,

accolta anche nella proposta di legge A.C. n. 5472 della stessa legislatura.(12) Lo stesso vale, mutatis mutandis, operando la ricognizione per gli altri organi costitu-

zionali: ad esempio, vedansi le pronunce del Consiglio di Stato (da ultimo, Cons. St., sez. IV, 11marzo 2008 n. 1053) che sistematicamente hanno respinto i ricorsi contro i decreti di scioglimentodelle Camere e di convocazione dei comizi elettorali firmati dal Capo dello Stato.

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Si procederà per gradi decrescenti di tipizzazione delle funzioni (e della relativa tutela),nell’oramai esplicito assunto che a fondamento costituzionale minimo corrisponde un minimo didisallineamento tra organi costituzionali e pubbliche amministrazioni.

2. Le questioni relative alla verifica dei poteri e dei titoli di ammissione dei parlamentari. —Secondo una tesi datata, il regolamento poteva persino legittimare « integrazioni secundum ordinemdelle fattispecie positivamente enunciate »: è una metodica con cui, ad esempio, si operò per mezzosecolo la conversione dell’ineleggibilità sopravvenuta in incompatibilità. In questa fattispecie, ledecisioni apparentemente costitutive delle giunte — adottate in conformità dei citati regolamenti, ealla relativa giurisprudenza interna in tema di verifica dei titoli dei deputati e dei senatori — eranopresentate come giustificazioni del fatto che, mentre la legge non prevedeva dette cariche comeincompatibili, il loro cumulo fosse inibito da fonte endoparlamentare (13). Ma si tratta di unargomento che è caduto quando si è invocato proprio il principio di legalità esterno per negare ilprincipio della trasformazione (c.d. « giurisprudenza Cammarata », 2002-2011).

Con la successiva evoluzione della questione, invece, il principio di legalità s’è affermatoproprio nella sua accezione sostanziale, visto che la Corte costituzionale ha scelto la modalità dellasentenza additiva proprio per inserire la previsione della « trasformazione delle cause » nella l. 15febbraio 1953 n. 60 (C. cost. 21 ottobre 2011 n. 277). Pertanto, pur nella permanenza della « giustiziapolitica » (14) delineata dall’art. 66 cost. per la verifica dei poteri delle Camere, è ora riconosciutoche tali organi siano comunque tenuti al rispetto della legge, cui debbono dare ingresso nelle lorodeterminazioni. In tal senso vi sono oramai elementi univoci: già prima C. cost. 21 ottobre 2011 n.277, cit., la giunta delle elezioni aveva valorizzato la lettura della legge data dalla giurisprudenza dilegittimità (15) secondo cui il vano decorso del termine senza l’esercizio dell’opzione induce aconsiderare perenta la possibilità di una sua riapertura (16).

La stessa Corte di cassazione — all’interno della pronuncia che ribadiva la carenza assoluta digiurisdizione di soggetti diversi dalle Camere (17) in tema elettorale (Cass., sez. un., 8 aprile 2008 n.9151) — statuiva che « innegabilmente si tratta di una funzione giurisdizionale », sia pure daintendersi non in senso stretto per il suo essere deferita a organi speciali. Già in precedenza, anzi,era stata riconosciuta persino la possibilità del giudice esterno di conoscere, incidentalmente, ancheil verbale delle operazioni elettorali che aveva dato luogo al cattivo esercizio della giurisdizioneelettorale delle Camere (esercitato in violazione di obblighi CEDU): i cascami esterni della giurisdi-

(13) Cfr. MIDIRI, in Commentario della Costituzione a cura di BRANCA, Le Camere (Art.64-69), Bologna-Roma 1986, sub art. 66, 95.

(14) Contro cui, nella sola XVI legislatura, risultano proposte le seguenti proposte direvisione costituzionale: senatore Sanna, Modifiche degli articoli 66 e 134 della Cost. Introduzionedella facoltà di ricorso alla Corte costituzionale contro le deliberazioni delle Camere in materia dielezioni e cause di ineleggibilità e incompatibilità dei membri del Parlamento (A.S. n. 1971); senatoreZanda, Modifica dell’articolo 66 della Cost. in materia di verifica dei poteri dei parlamentari (A.S. n.1179); senatore D’Alia, Modifica degli articoli 66 e 68 della Cost. in materia di ineleggibilità eincompatibilità dei membri delle Camere (A.S. n. 893); deputato Pisicchio, Modifiche agli articoli 66,68, 105, 107 e 134 della Cost. Attribuzione di funzioni in materia di prerogative parlamentari e diguarentigie della magistratura alla Corte costituzionale (A.C. n. 862); deputato Zaccaria, Modificaall’articolo 66 della Cost. Introduzione della facoltà di ricorso alla Corte costituzionale contro ledeliberazioni delle Camere in materia di verifica dei poteri (A.C. n. 444).

(15) « Una volta accertata la sopravvenienza di una causa di incompatibilità con la carica diconsigliere comunale e la sua mancata rimozione nei termini previsti dalla legge, è del tuttoirrilevante che al momento della decisione giurisdizionale sia venuta meno la causa di incompati-bilità, la quale ha già spiegato i suoi effetti, che non tollerano alcuna rimozione tardiva » (Cass. 9febbraio 1995 n. 1465; Cass. 27 marzo 2000 n. 3684).

(16) Atti Senato, XV legislatura, relazione della giunta sull’incompatibilità del senatore Iorio(doc. III, n. 1).

(17) Semmai, sul caso di specie, l’affermazione suona inopinatamente estensiva, in contrastocon quanto sarebbe poi stato dichiarato dalla Corte costituzionale in ordine agli atti elettoralipreparatori (C. cost. 19 ottobre 2009 n. 259 e sua citazione dell’art. 44, comma 2, lett. d, dellalegge-delega 18 giugno 2009 n. 69, che introduceva la giurisdizione esclusiva del giudice ammini-strativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezionidella Camera dei deputati e del Senato della Repubblica).

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zione domestica sui titoli di ammissione dei parlamentari diedero origine a tutela risarcitoria, sia purmediante una condanna del Ministero dell’interno (18).

3. Le questioni relative alle immunità di cui all’art. 68, commi 1, 2 e 3, cost. — Il riconosci-mento della « condizione di iniziale e paritario concorso di due poteri dello Stato a conoscere delmedesimo fatto » rappresenta l’attuale assetto dei rapporti tra Camere e potere giudiziario riguardoall’applicabilità della prerogativa dell’insindacabilità prevista, per i membri del Parlamento, dall’art.68, comma 1, cost. (19). Con questa statuizione la Corte costituzionale ha chiaramente circoscrittoall’antichissima guarentigia del free speech (20), contenuta nel Bill of Rights e transitata poi nelleCostituzione moderne, l’unica possibile configurazione di un potere giurisdizionale, esterno all’or-dinamento giudiziario, in tema immunitario: la Camera — e solo la Camera di appartenenza — puòasseverare la riconducibilità alla funzione parlamentare di un esercizio della libertà di espressionedel parlamentare; a fronte di tale deferimento di una porzione della causa petendi alla cognizioneesclusiva di altro organo dello Stato, nel nostro ordinamento la magistratura procedente incontra unlimite sormontabile soltanto denunciando alla Corte costituzionale — in sede di conflitto diattribuzioni — il cattivo esercizio del potere di spettanza della Camera.

Dall’altro lato, vi è il meccanismo autorizzatorio (proprio dei restanti due commi dell’art. 68nonché dell’art. 96 cost.), per il quale la Corte costituzionale si è limitata — in C. cost. 12 aprile 2012n. 87 e 88 — a disegnare il concorso parlamentare nei termini di una sorta di contributosubprocedimentale all’esercizio tutto giudiziario delle funzioni di cui all’art. 102 cost., in ossequio al« principio di generale attribuzione all’autorità giudiziaria ordinaria dell’esercizio della giurisdizionepenale, salvo le eccezionali e restrittive deroghe stabilite espressamente dalla fonte superprimaria ».In altri termini, per la Corte costituzionale la « generale competenza delle autorità giudiziarieall’accertamento dei presupposti della responsabilità » (C. cost. 26 maggio 2004 n. 154) si segnala percostituire « la parola ultima, e di regola definitiva, che l’ordinamento giuridico pronuncia a livellonazionale (salve le ipotesi patologiche di conflitti che questa Corte sia competente a conoscere),venendo così a separarsi qualitativamente da ogni diversa attività preliminare di valutazione, chealtri soggetti possono compiere, nell’ambito delle proprie competenze, sui medesimi presuppo-sti » (21).

Le antiche questioni sulla natura della giunta (e dell’Assemblea), in sede di esame dellarichiesta di autorizzazione, sono quindi superate dal dictum della Corte: del resto, la tipologia dicognizione della giunta, in riferimento alle immunità parlamentari, ha registrato una netta cesura nel1993 (22): « dopo il 1993 non si è più alle prese con il fumus persecutionis, né è consentito in questasede fare un “processo al processo”, ma la giunta deve limitarsi a valutare le esigenze cautelari

(18) Trib. Roma 13 giugno 2007 n. 13682.(19) C. cost. 12 aprile 2012 n. 88, cit., § 3.2.(20) La libertà di parola, consacrata nel Bill of Rights del 1689, espressamente proteggeva le

discussioni e gli atti dei membri del Parlamento da qualsivoglia interferenza od obiezione esterna alParlamento stesso. Dalla finalità di tutela dell’indipendenza dell’organo parlamentare — e noninvece del singolo componente dell’Assemblea, che non può farsi scudo della guarentigia perinteressi privati o personali — deriva anche la concezione secondo cui la prerogativa soltantoindirettamente comporta l’accrescimento della sfera di libertà di ciascun membro del Parlamento:tale concezione è stata declinata, nel nostro ordinamento, nel senso dell’irrinunciabilità dellaguarentigia, proclamata in Italia per la prima volta da C. cost. 16 gennaio 1970 n. 9.

(21) C. cost. 12 aprile 2012 n. 88, cit.(22) Prima di quella data, la teoretica del fumus persecutionis aveva implicazioni che

presentavano l’esame delle autorizzazioni a procedere come vera e propria fase paragiurisdizionale:in quella veste, i senatori della giunta per una parte della dottrina erano assoggettati — sia pureimpropriamente, con forzature e limitazioni sui generis — alla disciplina degli appartenenti allamagistratura. Si trattava di una teoretica peraltro smentita dalla prassi prevalente e da diverse presedi posizione di giunta, che, ad esempio, hanno ritenuto inestensibile l’obbligo di rapporto o latrasmissione degli atti all’autorità giudiziaria competente, quando nel corso dei lavori emergesserodall’esame degli atti o dalle audizioni nuove notizie di reato. Persino nella diversa veste di giudicedei titoli di ammissione ai sensi dell’art. 66 cost. (quella della giunta delle elezioni è, in quel caso,sicuramente una funzione giurisdizionale, come s’è visto riconosciuta dalla stessa Cassazione), lagiunta ha sempre ritenuto inestensibile la disciplina della ricusazione del giudice; cfr. in proposito larelazione all’A.S. n. 1971, in Senato della Repubblica, XVI legislatura, disegni di legge e documenti.

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addotte dal magistrato e compararle con l’esigenza di integrità del plenum assembleare » (23). Ciòcomporta che « quella che viene compiuta non è un’attività stricto iure giurisdizionale: si tratta di unavalutazione di un organo appartenente al Parlamento, chiamato a conoscere atti giudiziari per poioperare un giudizio di bilanciamento di interessi » (24).

La valutazione della giunta e dell’Assemblea viene quindi riportata alla natura politicadell’organo, senza indebite assimilazioni alla giurisdizione: si concede o si nega l’autorizzazioneperché il materiale probatorio addotto a sostegno del pericolo di inquinamento o di fuga o direiterazione è dal Senato giudicato prevalente sul valore costituzionale dell’integrità dell’organo, enon altro. I senatori della giunta non sono dei togati, ma restano degli eletti del popolo chiamati adesercitare il loro ruolo in rapporto a una delicatissima garanzia costituzionale: le norme sull’asten-sione o sulla ricusazione dei giudici non possono trovare applicazione ad essi, anche qui perl’elementare ragione che non sono giudici. La stessa disciplina del segreto — che li vincola per gliatti e i documenti pervenuti alla giunta, che ai sensi dell’art. 135, comma 4, reg. Sen., « possonoessere esaminati esclusivamente dai componenti della giunta stessa e nella sede di questa » — èdiversa da quella del segreto processuale, vigente nell’ordinamento generale sui limiti alla pubblicitàdegli atti giudiziari (25).

La magistratura non può intrudersi in nessuno degli ambiti immunitari, se non lamentando ilcattivo uso del potere conferito alle Camere dalla Costituzione: nel primo ambito, però, la spia di unrapporto tra pari è offerta dalla presenza del c.d. « effetto inibente » (26). Nel secondo ambito,

(23) Senato della Repubblica, XVI legislatura, giunta delle elezioni e delle immunità parla-mentari, resoconto sommario, intervento della relatrice Leddi. Cfr. anche XVI legislatura, doc. IV,n. 1-A, che rinvia ai precedenti conformi della XIV legislatura del Senato e della XIII legislaturadella Camera.

(24) Senato della Repubblica, XVI legislatura, giunta delle elezioni e delle immunità parla-mentari, resoconto sommario, 24 febbraio 2010, intervento del senatore Lusi.

(25) Se infatti si interpretasse la trattazione delle immunità come endoprocedimentalerispetto al procedimento giudiziario da cui ha origine la richiesta di autorizzazione (su cui la giuntasi pronuncia), allora occorrerebbe conseguire anche per i verbali di giunta un risultato analogo aquello cui pervengono gli art. 114 e 329 c.p.p. (che operano una distinzione tra segreto e divieto dipubblicazione); ai sensi di tale disciplina, la conoscibilità da parte dell’indagato segna grosso modoil discrimen tra atto non divulgabile o parzialmente divulgabile. Ne dovrebbe derivare anche unaperfetta coincidenza tra ciò che è conoscibile e ciò che è rivelabile, persino a soggetti estranei alprocedimento: al momento della conoscenza legale degli atti di indagine da parte dell’imputato oindagato, verrebbe meno l’obbligo di segreto degli stessi previsto dal codice e dovrebbe esserepossibile, quindi, la conoscenza dei medesimi anche da parte di terzi. Invece, la citata disciplinaregolamentare nulla dice al riguardo, rappresentando un ostacolo potenzialmente insormontabilealla ostensibilità dell’atto anche al termine del procedimento penale da cui la richiesta autorizzatoriaha origine. Invero, l’equiparabilità dell’esame di giunta a una vicenda paragiurisdizionale aveva unsenso in epoca statutaria (il regolamento giudiziario del Senato del Regno costituito in Alta Cortedi giustizia, nel testo adottato nella tornata del 7 maggio 1870, atteneva a una vera e propriagiurisdizione penale speciale, per cui rinviava — per quanto in esso non espressamente disciplinato— alle disposizioni del codice di procedura penale sull’istruzione, l’accusa e il giudizio), e può esseremantenuta nell’ordinamento vigente, in cui è impossibile considerare che l’esame della giuntarappresenti una porzione di esercizio dell’azione di cui all’art. 102 cost. sottratta all’ufficio delpubblico ministero. La disciplina regolamentare, piuttosto, parrebbe volta a garantire il segretofunzionale di un organo politico (cfr. Camera dei deputati, giunta per le autorizzazioni a procedere,resoconto sommario, 2 dicembre 1998), sulla falsariga di quello che C. cost. 22 ottobre 1975 n. 231riconobbe per le commissioni d’inchiesta. La peculiarità dell’istituto del segreto funzionale, sceve-rata nella citata giurisprudenza costituzionale, è peraltro quella secondo cui gli organi parlamentarititolari del segreto funzionale hanno la possibilità di determinare volta a volta « la necessità e i limitidel segreto » (in tal senso, v. le decisioni della giunta del Senato, in tema di pubblicità, assunte insede di esame del documento IV, n. 19, XVI legislatura, in Senato della Repubblica, giunta delleelezioni e delle immunità parlamentari, resoconto sommario, sedute 16, 22, 23, 31 maggio e 12giugno 2012); nel senso invece della necessità di apposita norma di legge che disciplini i limiti delsegreto funzionale delle commissioni d’inchiesta, cfr. art. 31, comma 12, l. 3 agosto 2007 n. 124, chene inibisce l’opposizione al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

(26) Secondo il modello inaugurato da C. cost. 29 dicembre 1988 n. 1150 che, per il comma1 dell’art. 68, statuiva che « le prerogative parlamentari non possono non implicare un poteredell’organo a tutela del quale sono disposte ».

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invece, la cognizione della fattispecie è tutta declinata in ambito giurisdizionale: il ruolo autorizza-torio della Camera non può spingersi fino alla pretesa di fondare, sul principio di leale collabora-zione, un generale obbligo informativo della magistratura nei suoi confronti. Tale richiesta è statarespinta dalla Corte costituzionale, in presenza della generale clausola di competenza dell’autoritàgiudiziaria di cui si è detto: non si può più, in via generale ed astratta, « far scaturire, anche in viameramente potenziale, un’area comune di interferenza fra attribuzioni parlamentari e dell’ordinegiudiziario, essendo a tal fine necessario che le prime siano state in concreto poste in collegamentocon le seconde per iniziativa della Camera competente » (27). Ma ogni rivendicazione parlamentaredi co-decidere (la qualificazione del fatto su cui grava l’istituto immunitario autorizzatorio) ètrasformata — da C. cost. 12 aprile 2012 n. 88, cit. — nella ricerca del miglior modo (28) diapprestare il ricorso dinanzi al giudice dei conflitti.

4. La tutela della libertà dell’Istituzione parlamentare (solo nella fissazione del programma, delcalendario e dell’ordine del giorno dei suoi lavori e nell’immunità di sede). — Riprendendo il poteredel Parlamento inglese di tutelare i suoi componenti nel loro diritto di discutere, in completaautonomia e libertà, senza alcuna interferenza da parte di chicchessia (exclusive cognisance) (29),l’antica affermazione geografica della guarentigia si rifaceva a un’indeterminata esigenza di tuteladei Palazzi e della loro autorganizzazione, traducibile in una sorta di immunità inespressa ma sottesaall’art. 68 cost. Si può tranquillamente concludere che, se quest’esigenza ha sin qui ricevutoriconoscimento dalla Corte costituzionale, ciò è avvenuto esclusivamente in riferimento ad unaproblematica assai limitata, quella dell’interferenza sui lavori parlamentari dell’esercizio dei potericoercitivi propri della giurisdizione. La giurisprudenza costituzionale ha infatti statuito che vaevitato l’ostacolo all’espletamento del mandato parlamentare derivante dalla mancata considera-zione del calendario dei lavori parlamentari come legittimo impedimento alla presenza in udienzagiudiziaria di un parlamentare (30).

(27) Cfr. C. cost. 12 aprile 2012 n. 88, cit., § 5.(28) Anche qui, comunque, a latitare è soprattutto il legislatore: le forme di tale coordina-

mento, ove non ricavabili direttamente dalla Costituzione, sono rimesse alla non irragionevolediscrezionalità del legislatore ordinario, il cui mancato esercizio comporta « la mera applicazionedelle generali disposizioni processuali » (C. cost. 4 maggio 2007 n. 149).

(29) Lo si distingue dal free speech, la cui proclamazione precede di tredici anni, visto che fuaffermato nel 1675, quando alla Camera dei comuni si dichiarò che il privilegio parlamentare esisteaffinché i membri possano « liberamente occuparsi dei pubblici affari della Camera, senza turba-menti o interruzioni » (Journal of the House of Commons, 1667-1687, ed. a cura dell’Università diLondra, IX, London 1802, 342).

(30) Benché avesse affermato l’estraneità delle garanzie di cui all’art. 68 cost. rispetto al casodella mancata presentazione dell’imputato membro del Parlamento di fronte alla giurisdizionepenale, la Corte costituzionale è più volte intervenuta (C. cost. 15 dicembre 2005 n. 451; C. cost. 28luglio 2004 n. 284; C. cost. 22 luglio 2003 n. 263; C. cost. 6 luglio 2001 n. 225) per risolvere conflittidi attribuzione con riferimento al legittimo impedimento di membri del Parlamento. La soluzionecui la Corte è addivenuta, nei fatti, ripercorre proprio i passi segnati dall’antico principio anglosas-sone secondo cui i membri debbono poter « liberamente occuparsi dei pubblici affari della Camera,senza turbamenti o interruzioni ». Sia pur originati dall’allegazione di essere impedito ad intervenireall’udienza giudiziaria da parte dell’imputato — dovendo esercitare il suo diritto-dovere di parte-cipare ai lavori parlamentari — questi ricorsi hanno trovato nella Corte un esito abbastanzasatisfattivo: ciò è avvenuto proprio in ragione del fatto che fra l’esigenza di speditezza dell’attivitàgiurisdizionale e quella di tutela delle attribuzioni parlamentari, aventi entrambe fondamentocostituzionale, si può determinare un’interferenza suscettibile di incidere sulle attribuzioni costitu-zionali di un soggetto estraneo al processo penale e, in particolare, sull’interesse della Camera diappartenenza a che ciascuno dei suoi componenti sia libero di regolare la propria partecipazione ailavori parlamentari nel modo ritenuto più opportuno. Pertanto, il giudice non può limitarsi adapplicare le regole generali del processo in tema di onere della prova del legittimo impedimentodell’imputato, incongruamente coinvolgendo un soggetto costituzionale estraneo al processo stesso,ma ha l’onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giornidi riunione degli organi parlamentari, secondo il principio di leale collaborazione. Orbene, in C. cost.25 gennaio 2011 n. 23, non soltanto la Corte costituzionale ha esteso tale ratio anche all’omologoistituto positivamente regolato con la l. 7 aprile 2010 n. 51 per i componenti del Consiglio deiministri, ma ha anche ribadito che « il principio della separazione dei poteri non è, dunque, violatodalla previsione del potere del giudice di valutare in concreto l’impedimento, ma, eventualmente,

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Al di fuori di quest’ambito — e di quello dell’immunità di sede (31) — non ha più alcun sensoaffermare apoditticamente che l’esigenza di tutela della libertà dell’Istituzione parlamentare com-porta la sottrazione alla disciplina esterna degli atti delle Camere.

A dire il vero, già nel periodo statutario si era posto il problema della giustiziabilità degli attidelle Camere; il Consiglio di Stato, con le sentenze 9 settembre 1898 e 12 agosto 1927, purriconoscendo in linea generale il principio dell’autodichia delle Camere, escluse esplicitamente solol’impugnabilità degli atti amministrativi della Camera lesivi degli interessi legittimi. Per quantoriguarda i diritti soggettivi dei dipendenti parlamentari, Trib. Roma 19 giugno 1925 sostanzialmenteaffermò la loro tutela davanti al giudice ordinario, nella misura in cui dei diritti fossero riscontrabilinel rapporto di impiego dei dipendenti delle Camere, ad esempio in materia di « pagamento dellostipendio e altre indennità ». Addirittura la Corte di cassazione con la sentenza 28 giugno 1904 avevamesso in dubbio il dogma assoluto della insindacabilità, attribuendo all’autorità giudiziaria lacompetenza sull’azione risarcitoria conseguente ad atti iure privatorum della Camera dei deputati.

soltanto dal suo cattivo esercizio, che deve rispondere al canone della leale collaborazione » giàaffermato nei confronti dei membri del Parlamento.

(31) Che, sia pure posto da norme dei regolamenti parlamentari, appare ricognitivo di unprincipio costituzionale: oltre ad averlo espressamente menzionato in C. cost. 23 maggio 1985 n. 154,la Corte costituzionale fin da C. cost. 22 ottobre 1975 n. 231 aveva dichiarato che, in base alla regoladell’immunità della sede, « nessuna estranea autorità potrebbe far eseguire coattivamente propriprovvedimenti rivolti al Parlamento e ai suoi organi » (§ 5). Semmai, il dubbio sulla persistenza diuna copertura costituzionale diretta potrebbe riguardare l’esercizio dei poteri disciplinari verso iparlamentari, se non contemperato con l’art. 24 cost., e quello dei poteri di polizia delle Camerespettanti al Presidente, se non contemperati con l’art. 102 cost. In riferimento a questi ultimi, è statanotata (XIV legislatura, doc. XVI, n. 13, p. 35) la difformità della perimetrazione della guarentigiatra le due Camere: per il Senato, ai sensi dell’art. 69 del regolamento, l’immunità di sede « è costruitacome riferita alla semplice locazione fisica dei palazzi, mentre alla Camera dei deputati si estendeanche a beni che prescindono da tale ubicazione ». Infatti, con la novella regolamentare del 16dicembre 1998, il comma 4 dell’art. 62 del regolamento della Camera recita: « Gli atti e iprovvedimenti di enti e organi estranei alla Camera, la cui esecuzione debba aver luogo all’internodelle sedi o locali della Camera medesima o che comunque abbiano ad oggetto tali sedi o localiovvero documenti, beni o attività di essa, non possono in alcun modo essere eseguiti se non previaautorizzazione del Presidente, che ne valuta gli effetti sulle attività istituzionali della Camera ». Èpoi discusso che tale immunità si estenda alle sedi dei soggetti non parlamentari ospitate all’internodei palazzi: si tratta di una disputa che — stante il rapporto di cassa dell’organo con istituzionifinanziarie ospitate nella sua sede — si confronta con la tesi secondo cui un’azione esecutiva neiconfronti delle Assemblee legislative non potrebbe aver corso a causa del principio dell’immunitàdella sede, sia la tesi secondo cui il terzo contraente, per le obbligazioni assunte dalle Camere,dovrebbe soddisfarsi o grazie alla misura del sequestro dei fondi messi a disposizione delle Camerestesso e giacenti presso il Ministero del tesoro o anche già conferiti all’Ufficio di Presidenza, oppureattraverso il pignoramento dei loro beni mobili e immobili (cfr. ARANGIO-RUIZ G., Istituzioni didiritto costituzionale italiano, Milano-Torino-Roma 1913, 410, nt. 1). In riferimento al singoloparlamentare e non all’Istituzione, poi, si è posto il problema della natura dell’impignorabilitàdell’indennità parlamentare (di cui all’art. 5, comma ult., l. 31 ottobre 1965 n. 1261, secondo cui« l’indennità mensile e la diaria non possono essere sequestrate o pignorate »): si tratta di legge cheadempie all’art. 69 cost. (cfr. art. 1) e, almeno sotto questo profilo, non può ritenersi oggetto dellatutela di cui all’art. 68 cost. La prassi delle Camere ha quindi provveduto a confutare il tentativo diriconduzione dell’istituto a copertura costituzionale diretta (sub specie immunitaria), negando la suanatura di atto disponibile — né da parte del singolo né da parte dell’Istituzione — neppure se fosserichiesta l’autorizzazione parlamentare e questa fosse accordata: cfr. Senato, giunta delle elezioni edelle immunità parlamentari, resoconto sommario, 18 maggio 2004, secondo cui « laddove l’esecu-zione di una misura cautelare reale dovesse richiedere l’accesso della forza pubblica in edifici delSenato (nei quali è ubicata la filiale della Banca nazionale del lavoro presso cui è acceso uno deiconti correnti ...), in carenza di apposito ordine del Presidente del Senato si frapporrebbe l’ulterioreostacolo rappresentato dall’articolo 69, comma 3, del regolamento del Senato. Ma anche in tal casosi verserebbe sempre al di fuori dell’ambito di cui all’art. 68 cost., trattandosi di funzioni di strettacompetenza della Presidenza del Senato ». V. anche le dichiarazioni del relatore sul disegno di leggeA.S. n. 2939-2985, XIII legislatura, secondo cui il testo (che fu poi ripreso nella successiva legislaturaper dar luogo all’art. 4 l. 20 giugno 2003 n. 140) non intaccava il principio della libera sequestrabilitàdi « tutti i conti correnti, le voci di accensioni di crediti, di contratti e di transazioni » deiparlamentari (Camera dei deputati, assemblea, resoconto stenografico, 11 febbraio 1999).

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L’elaborazione dottrinaria più attenta a questi sviluppi provenne da Santi Romano (32); ma ciònondimeno nulla si frappose, al momento della rinascita delle istituzioni democratiche, all’afferma-zione della tesi dell’assoluta sottrazione a sindacato esterno degli atti delle Camere, con unadeferenza che non si era mai conosciuta in epoca liberale.

Nel periodo repubblicano, sino alla IX legislatura restò assiomatico che l’autorità giudiziaria,ordinaria e amministrativa, non potesse essere investita del giudizio sull’impugnazione di alcun attodelle Camere, in nome dell’autonomia costituzionale delle Assemblee parlamentari; né eranoprevisti all’interno di ciascuna assemblea legislativa diversi meccanismi di natura giurisdizionaledeputati al giudizio su impugnative proposte contro taluno di questi atti. Lo snodo più delicato eraquello del trattamento dei dipendenti sia del Senato che della Camera dei deputati, privi di tutelagiurisdizionale in ordine agli atti incidenti sul loro rapporto di impiego (33). Tale situazione avevadato luogo, nel tempo, a un sempre più avvertito disagio, sino a che negli anni Ottanta le pronuncedella Corte costituzionale (C. cost. 6 maggio 1985 n. 154, cit.) e della Corte di cassazione (Cass. 10aprile 1986 n. 2546) — pur totalmente adesive alla tesi della sottrazione alla giurisdizione —ispirarono l’introduzione di meccanismi idonei ad assicurare l’autonomia dell’organo costituzionalee, parimenti, a garantire la tutela giurisdizionale dei diritti dei dipendenti, in armonia con gli art. 113e 24 cost.

Di conseguenza, i due rami del Parlamento, con distinte deliberazioni del Consiglio diPresidenza del Senato e dell’Ufficio di Presidenza della Camera, dettarono una nuova disciplinadella materia prevedendo forme e tempi per i singoli atti del processo, istituendo garanzie di difesae soprattutto introducendo una norma di riconoscimento, a valenza generale, di diritti e di interessilegittimi. La cognizione dei ricorsi avverso gli atti amministrativi ritenuti illegittimi fu demandata adue collegi (34), situati in posizione che si assumeva essere di indipendenza rispetto agli organi di

(32) Cfr. ROMANO Santi, Gli atti di un ramo del Parlamento e la loro pretesa impugnabilitàdinanzi alla IV Sezione del Consiglio di Stato, in Circolo giuridico, 1899, 77-86; v. anche ID., Sullanatura dei regolamenti delle Camere parlamentari, in Arch. giur. Filippo Serafini, 1905, 4-58.

(33) La ricaduta sostanzialistica di tale situazione era tratta da Cons. St. sez. VI, 29 ottobre1996 n. 1427, secondo cui gli impiegati delle assemblee legislative non possono essere considerati« dipendenti statali », sia pure ai limitati effetti dei d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1032 e d.P.R. 29dicembre 1973 n. 1092.

(34) In Senato la commissione contenziosa è nominata all’inizio di ogni legislatura condecreto del Presidente del Senato ed è composta di tre senatori, un consigliere parlamentare e undipendente scelto dal Presidente del Senato su una terna eletta da tutti i dipendenti di ruolo. Lacommissione elegge il presidente e il vicepresidente, scegliendoli tra i senatori. All’inizio di ognilegislatura, il Presidente del Senato, sentito il Consiglio di Presidenza, nomina anche il Consiglio digaranzia, organo di appello composto di cinque membri scelti tra senatori esperti in materiegiuridiche, amministrative e del lavoro. Congiuntamente ai membri effettivi sono nominati cinquemembri supplenti che sostituiscono i titolari in caso di assenza o di impedimento, seguendo l’ordinedella maggiore anzianità nella carica di senatore o, in caso di parità, della maggiore anzianitàanagrafica. La composizione del collegio deve rimanere identica nel corso delle sedute dedicateall’esame e alla decisione di uno stesso ricorso. Con delibera del Consiglio di Presidenza, nel 1990,la tutela per i dipendenti è stata estesa anche ai candidati a prove selettive e a concorsi perl’ammissione nei ruoli del Senato. Nell’altro ramo del Parlamento, l’Ufficio di Presidenza dellaCamera dei deputati approvò il regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti nellariunione del 29 aprile 1988. Tale regolamento istituiva una commissione giurisdizionale per ilpersonale o per i candidati ai concorsi con il compito di decidere, in primo grado, dei ricorsi. Lacommissione giurisdizionale è nominata all’inizio della legislatura con decreto del Presidente dellaCamera ed è composta di tre membri designati tra i deputati in carica (uno scelto mediante sorteggioda un elenco formato dal Presidente della Camera; uno scelto mediante sorteggio da un elencoformato dal segretario generale; uno scelto mediante sorteggio da un elenco formato dalle organiz-zazioni sindacali di intesa tra loro, ovvero, in mancanza di intesa, mediante sorteggio da un elencodi nominativi designati in ragione di tre da ciascuna delle stesse organizzazioni sindacali). Ilpresidente della commissione è designato dal Presidente della Camera tra i componenti dellacommissione stessa. Le decisioni di tale commissione erano impugnabili dinanzi alla sezionegiurisdizionale dell’Ufficio di Presidenza, prima della revisione regolamentare resa necessaria dallasentenza strasburghese del 2009 (CEDU 28 aprile 2009 ric. n. 42113/04, Borgo e a. c. l’Italia, n.17214/05, Savino c. l’Italia, e n. 20329/05, Persichetti c. l’Italia, cit.); per il sistema successivo, cfr.decreto del Presidente della Camera 15 ottobre 2009 n. 781, che ha istituito il collegio d’appello,composto da cinque deputati nominati dal Presidente della Camera.

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amministrazione attiva. L’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale, quiin commento, riapre la questione secondo cui in tali organi « sembra mancare nella specie ilcarattere di terzietà dell’organo giudicante, che è attributo connaturale all’esercizio della funzionegiurisdizionale » (§ 7 della parte in diritto).

5. La vis espansiva della giurisdizione domestica e le sue prospettive future. — Quella dellacreazione dei giudici interni fu una soluzione che provocò un’estensione dell’ambito sottratto allagiurisdizione di diritto comune; lungi dall’incentivare il self-restraint, l’esistenza di peculiarità,proprie del contenzioso con gli organi costituzionali, poté essere meglio argomentata grazieall’esistenza di un giudice (sia pur domestico). Appena la Camera dei deputati si trovò alle prese conil primo caso di ricorso al TAR contro una sua decisione in materia di aggiudicazioni, la Presidenzacolse l’occasione di una novella regolamentare assai rilevante per includere all’art. 12 del regola-mento maggiore la previsione del potere di disciplinare i ricorsi dei terzi contro gli atti diamministrazione. Di conseguenza per la tutela giurisdizionale relativa agli atti dell’amministrazionedella Camera non concernenti lo stato giuridico, economico e disciplinare dei dipendenti, il decretodel Presidente della Camera 22 giugno 1999 (di recepimento della delibera dell’Ufficio di Presidenzan. 155/1999) (35) istituì un Consiglio di giurisdizione composto da tre deputati scelti tra avvocati,magistrati, docenti universitari in materia giuridica, avvocati o procuratori dello Stato (costoroanche a riposo). La giurisdizione amministrativa ne prese atto, esibendosi in assai deferentipronunciamenti di non liquet nei confronti dei ricorsi dei terzi (36).

Il più sfumato riparto tra giurisdizione ordinaria e speciale, derivante dalle modifiche ordina-mentali di fine anni Novanta, rendeva meno scontato decidere a priori se questa sottrazione dicompetenza depauperava solo il giudice amministrativo o anche quello ordinario. Forse anche perquesto il Senato mantenne per oltre un lustro una linea di prudenza, non seguendo la linea dell’altroramo del Parlamento: ma dopo che TAR Lazio, sez. I, ord. 1º settembre 2005 n. 4761 aveva ritenutola sua giurisdizione, su di un ricorso contro l’aggiudicazione di una gara, « in considerazionedell’assenza di specifica normazione del Senato nell’esercizio della propria potestà di rango costi-tuzionale » (considerazione ulteriormente esplicitata da TAR Lazio, sez. I, 11 febbraio 2006 n. 1030,§ 1 della parte in diritto), anche il Senato decise di intraprendere la strada già battuta dallaCamera (37).

Il Consiglio di Presidenza, con deliberazione 5 dicembre 2005 n. 180 (38), approvò quindi ilregolamento del Senato della Repubblica sulla tutela giurisdizionale relativa ad atti e provvedimentiamministrativi non concernenti i dipendenti o le procedure di reclutamento (39). Rispetto allaprecedente formulazione, volta a disciplinare la competenza degli organi di autodichia nei confrontidei dipendenti e dei partecipanti a concorsi, l’ambito di applicazione delineato nell’art. 1 delladeliberazione opera un’inversione di approccio: essa è inclusiva, nel senso che attiene a tutti i ricorsi« presentati avverso gli atti e i provvedimenti amministrativi adottati dal Senato », quando nonconcernenti i dipendenti o le procedure di reclutamento del personale; analoga formulazione si

(35) In G.U. 25 giugno 1999 n. 147.(36) Cfr. TAR Lazio, sez. I, 21 dicembre 1999 n. 3863; TAR Lazio, sez. I, 4 febbraio 2000 n. 698.(37) La linea prescelta, sotto il profilo della composizione degli organi, è stata parzialmente

diversa da quella della Camera, essendosi deciso di radicare la giurisdizione sui ricorsi dei terzidirettamente in capo agli esistenti organi di autodichia: solo per quanto riguarda quello di primogrado si prevede un’apposita composizione, che si affianca a quella già vigente per i dipendenti ma— mantenendo intatta la presenza dei tre senatori — sostituisce ai due membri dell’amministrazionecon due esperti esterni scelti dal Presidente del Senato (scelti tra magistrati a riposo delle suprememagistrature ordinaria e amministrative, professori ordinari di università in materie giuridiche,anche a riposo, e avvocati dopo venti anni d’esercizio).

(38) In G.U., sr. gen., 19 dicembre 2005 n. 294, e modificata dal d.P.R. 1º marzo 2006 n. 10741,in G.U., sr. gen., 9 marzo 2006 n. 57.

(39) Prescegliendo un diverso titolo in virtù del quale sono stati emanati i relativi attinormativi, rispetto alla Camera dei deputati. Il regolamento per la tutela giurisdizionale nonconcernente i dipendenti è stato emanato dalla Camera dei deputati « ai sensi dell’art. 12, comma 3,lett. f, del regolamento » maggiore di quel ramo del Parlamento (come novellato nel 1998); alcontrario, il regolamento sulla tutela giurisdizionale relativa ad atti e provvedimenti amministrativinon concernenti i dipendenti o le procedure di reclutamento, di cui alla deliberazione del Consigliodi Presidenza del Senato della Repubblica 5 dicembre 2005 n. 180, è stato emanato « Visto l’art. 12,comma 1, del regolamento del Senato ».

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rinviene all’art. 1 del relativo regolamento della Camera dei deputati, con l’ulteriore specificazioneche l’impugnativa può essere « anche presentata da soggetti estranei alla Camera ».

Pertanto, in luogo della precedente enucleazione (dal novero del possibile contenzioso con leCamere) di un ambito sottratto alla giurisdizione di diritto comune (ordinaria o amministrativa), siè prescelta la diversa tecnica redazionale di ricomprendere tutto ciò che non è espressamenteescluso; l’esclusione, poi, è effettuata non a garanzia della giurisdizione di diritto comune, ma di unadiversa competenza di autodichia già vigente (quella per il personale e i partecipanti a concorsi).

È ben vero che la delimitazione effettuata sotto il profilo oggettivo (« atti e provvedimentiamministrativi » al Senato, « atti di amministrazione » alla Camera), garantisce a priori dal rischio diassoggettare a sindacato: a) atti che esprimono la funzione legislativa attribuita alle Camere dallaCostituzione; b) gli atti che esprimono la funzione di indirizzo politico o che sono di pertinenza delrapporto fiduciario tra Camere e Governo; c) gli atti di sindacato ispettivo. Ma è altrettanto vero chesotto il profilo soggettivo la competenza di tali organi è radicata nei confronti dell’Istituzione(Senato ovvero Camera), senza delimitarla alla verticale amministrativa (40) e perciò, virtualmente,potendosi rivolgere anche ad atti emanati da organi (collegiali o no) a composizione politica.

Si è andata quindi diffondendo la pratica di chi — esterno alle amministrazioni delle Camere— si rivolge agli organi di autodichia quando non trovi altra sede giurisdizionale, dinanzi alla qualeportare doglianze riferite a situazioni giuridiche soggettive, di cui si assume la lesione per atti delSenato o della Camera. È quanto è avvenuto, a leggere le notizie di stampa (41), in riferimento allanuova disciplina del vitalizio (42), impugnata da ventisei deputati dinanzi all’organo di autodichiadella Camera, che ha respinto i relativi ricorsi il 7 maggio 2012. Ma la pratica si presta ad ulterioriproblematiche dilatazioni, in corrispondenza con la proliferazione di fonti normative che istituiscononuove competenze sostanzialmente amministrative in capo alle Camere o a loro organi.

Ad esempio, la l. 6 luglio 2012 n. 96 — pur avendo rappresentato un primo importante passonella trasformazione delle premesse giuridiche con cui opera il finanziamento pubblico dei partiti nelnostro Paese (43) — ha lasciato indeterminato il sistema con cui apprestare mezzi di tutela per i

(40) Cosa che, peraltro, non avrebbe comunque garantito da iniziative emulatorie contro ilruolo istituzionale del Parlamento. Difatti, la struttura servente dell’attività politica spesso trasfondein atti amministrativi la proiezione di attività politiche, per cui si dà il caso non infrequente in cui peresempio il segretario generale provveda con suo atto a dare esecuzione (anche sotto forma di meracomunicazione o trasmissione) a determinazioni politiche della Presidenza o dell’Assemblea.Contemplare la possibilità di impugnare davanti agli organi di autodichia tali atti sarebbe, anch’essa,una modalità surrettizia di attribuire un sindacato giurisdizionale su atti espressione dell’indirizzopolitico e, pertanto, liberi nel fine.

(41) Cfr. www.ilsole24ore.com.(42) Anche qui, peraltro, con un problema di interferenza con l’ambito legislativo esterno:

infatti le questioni attinenti alla corresponsione delle competenze economiche dei parlamentari,tradizionalmente, si giudicavano attratte nella riserva di legge statuita dall’art. 69 cost. in ordineall’indennità parlamentare, unitamente al relativo trattamento tributario e previdenziale. Per questomotivo, in dottrina si riteneva che « la riserva di legge fissata nell’articolo in commento risultavasostanzialmente svuotata dal potere riconosciuto agli uffici di presidenza delle Camere di determi-nare, senza un tetto massimo fissato dalla legge, l’ammontare dei rimborsi delle spese a titolo didiaria » (cfr. Commento alla Costituzione italiana a cura di PERLINGIERI, Napoli 2001, sub art. 69, § 1).

(43) Nonostante il suo esito sfavorevole, queste premesse erano evidenziate appieno nellanarrativa della questione sospensiva n. 1, votata nella seduta dell’Assemblea del Senato del 5 luglio2012. Nel suo testo si ricordava la diffusa lettura, secondo cui la nostra Costituzione, all’art. 49,esclude ogni possibilità di ingerenza, da parte dei pubblici poteri, nel pluralismo partitico: « lareazione del Costituente fu perciò volta ad escludere qualsiasi disciplina legislativa che, in cambiodella personalità giuridica, consentisse a una qualche amministrazione (dipendente dall’Esecutivo)di ingerirsi nei fini o nella vita interna delle associazioni politiche. Ne è riprova il fatto che i bilancidei partiti — pur essendo rendicontati e presentati al Parlamento — sono oggetto di esame da partedi revisori nominati apposta che però « non possono accorgersi di bilanci non veritieri, perché fannoun controllo solo formale » (così SCHIANCHI, La certificazione dei rendiconti? Solo una formalità, inLa Stampa, 4 aprile 2012). La questione sospensiva, presentata dai senatori Perduca e altri,proseguiva ricordando che « il diverso modello di partito che si è prescelto in Germania rende ipartiti politici organismi di diritto pubblico, destinatari da decenni di un finanziamento pubblico; sitratta di una scelta della Legge fondamentale tedesca, cui dà attuazione il Gesetz über die politischenParteien-Parteiengesetz del 31 gennaio 1994. Per tale legge, l’ammontare del finanziamento èrapportato ai suffragi conseguiti, ma anche ad elementi della vita interna di partito (quota di

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soggetti illegittimamente penalizzati in sede di riparto del finanziamento pubblico dei partiti. È benvero che dalla legge viene appositamente creata una sede di controllo per i c.d. « rimborsielettorali »: una Commissione composta da cinque magistrati, di cui tre designati dal Presidente diquesta Corte, uno dal Presidente della Corte di cassazione e uno dal Presidente del Consiglio diStato (44). Ma è altrettanto vero che l’art. 9, comma 5, della legge (45) non dissipa i dubbi in ordine

tesseramento o regolare donazione: art. 10, comma 3, cpv. 3), che vengono poi sottoposti adintrusivo controllo con obbligo di rendicontazione pubblica. La stessa legge — oltre alle attivitàaventi rilevanza anche economica — disciplina puntualmente la vita dei partiti: l’art. 4 regola ilnome, l’art. 5 la parità di trattamento nei rapporti con gli organi pubblici, l’art. 10 i diritti degliiscritti, l’art. 15 la formazione della volontà in seno agli organi del partito, l’art. 17 la scelta deicandidati ». La questione, volta a « non passare all’esame del disegno di legge, fino a quando nonsarà modificato l’art. 49 cost. », come s’è detto, è stata respinta dal Senato. Eppure, proprio la suareiezione offre una preziosa traccia interpretativa circa il contenuto della legge e, più ancora, inordine alle ricadute ordinamentali del sistema di finanziamento pubblico dei partiti. Si può infattiinferire, da quel voto, che non sia vero che « i due diversi modelli di partito contrapposti riposanosu diverse scelte del Costituente: quello tedesco per il partito-articolazione pubblica, quello italianoper il partito-associazione di diritto privato. Le coerenti conclusioni, per i due modelli, sono che ilprimo può fondarsi (anche) su risorse pubbliche oculatamente controllate, il secondo soltanto surisorse private volontariamente fatte confluire dagli iscritti e dai simpatizzanti » (come sostenutonella narrativa citata). In altri termini, il modello con cui il legislatore italiano del 2012 configura ilpartito politico è misto: senza spingersi a prevedere ingerenze statali sugli statuti — sulla falsarigadi quanto pure è consentito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai fini del controllo dellalegalità dei mezzi utilizzati dai partiti, nonché del rispetto del principio democratico (cfr. CEDU 13febbraio 2003 ric. n. 41340/98, 41342/98, 41343/98 e 41344/98, Refah Partisi c. Turchia; e CEDU 30giugno 2009 ric. n. 25803/04 e 25817/04, Herri Batasuna c. Spagna) — la l. 6 luglio 2012 n. 96 imponeperò un controllo della regolarità contabile e della fedeltà delle rendicontazioni alle spese realmentesostenute, del tipo di quello che si riteneva che fosse inibito a Costituzione vigente (cfr. SCHIANCHI,lc. cit.: « Io partito tal dei tali non faccio manifestazioni ma finanzio i miei candidati; lei altro partitofa invece manifesti 6x3 e spot televisivi: entrambe sono scelte legittime, come si fa a dire questo sì,questo no? Ogni partito deve essere libero, senza il controllo di altri partiti »). È quindi vero che, seun partito si assoggetta a questa legge mediante la scelta di richiedere il « rimborso elettorale »,l’onere corrispettivamente impostogli è quello di rendere ostensibili ai controlli intrusivi dell’appa-rato pubblico ciò che — per un’associazione di diritto privato — sarebbe sindacabile soltanto dagliiscritti, mediante le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori.

(44) L’evidente difformità tra la composizione di tale organo e il collegio di magistraticontabili che esamina le dichiarazioni di cui all’art. 12, comma 2, l. 10 dicembre 1993 n. 515 (ai finidel rispetto dei limiti di cui agli art. 7, comma 2, e 10 l. 10 dicembre 1993 n. 515) alimenta laprosecuzione dell’aporia ordinamentale precedente, in cui il finanziamento pubblico dei partiti eratotalmente slegato dalla verticale dei controlli sui rendiconti delle spese sostenuti nelle competizionielettorali disciplinati dalla legge del 1993, in guisa che i rendiconti elettorali e i rendiconti dei partiti« non si parlassero ». Una discutibile giurisprudenza — che risale a Cass. 18 febbraio 1999 n. 1352,la quale atteneva a un caso del 1994 — aveva avallato tale ricostruzione, in modo che dalla funzionedi controllo delle spese elettorali il collegio di controllo delle spese elettorali (incardinato presso laCorte dei conti) non si potesse risalire alle fattispecie di autofinanziamento, fino a valutare lacongruità delle spese dichiarate a fini elettorali nei rendiconti e nei bilanci dei partiti destinatari —nominalmente solo per questo motivo — dei c.d. « rimborsi elettorali ». In molteplici relazioni alParlamento (Corte dei conti, collegio controllo spese elettorali, referto ai presidenti delle Cameresui consuntivi delle spese e sui relativi finanziamenti riguardanti le formazioni politiche che hannosostenuto la campagna per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica 9-10aprile 2006, p. 77; v. anche Corte dei conti, collegio controllo spese elettorali, referto ai presidentidelle Camere sui consuntivi delle spese e sui relativi finanziamenti riguardanti le formazionipolitiche che hanno sostenuto la campagna per le elezioni della Camera dei deputati e del Senatodella Repubblica 13-14 aprile 2008, p. 14), il citato Collegio ha contestato tale giurisprudenza, ma —al di là delle indubbie ragioni a sostegno di tale contestazione — occorre tener presente che lasentenza del 1999 si fondava sull’assunto secondo cui « l’uso da parte di un partito per unadeterminata campagna elettorale del proprio patrimonio o di fondi del proprio bilancio, di certo nonpuò incidere sull’autonomia e sulla trasparenza delle scelte parlamentari di quel gruppo che quindinon deve necessariamente riportarle nel consuntivo dell’art. 12 l. n. 515 del 1993 ».

(45) « Nello svolgimento della propria attività, la commissione effettua il controllo ancheverificando la conformità delle spese effettivamente sostenute e delle entrate percepite alla docu-

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alla serietà dei mezzi di controllo (46) e di tutela, alimentati da decenni di silenzio normativo inordine all’impugnabilità delle determinazioni del Presidente della Camera, che quel riparto consacrain un apposito atto (47).

Se resta insormontabile C. cost. 10 luglio 1981 n. 129 sulla sottrazione degli agenti contabilidelle Camere (e degli altri organi costituzionali) dal giudizio della Corte dei conti, sarebbeveramente eccessivo inferirne l’assenza di impugnabilità anche sotto il profilo civilistico stante ilcarattere politico-parlamentare dell’organo (48): che il partito sanzionato con una decurtazione, intutto o in parte, del finanziamento possa fare ricorso al giudice come per qualsiasi sanzioneamministrativa, del resto, è statuito al comma 19 del medesimo art. 9 l. n. 96, cit. (49); sarebbe quindialquanto eccentrico che il controinteressato non potesse dolersi dell’inclusione illegittima di un altropartito nel riparto, soprattutto quando il « piatto » è a somma zero (e il locupletare illegittimamenteuno significa togliere all’altro parte del dovuto).

L’inciso « nonché ai fini della tutela giurisdizionale » potrebbe rivelarsi un sintagma idoneo adintrodurre la giustizia nell’amministrazione anche in questo snodo delicatissimo dell’ordinamentocostituzionale (50): se ad apprestare questa tutela dovesse essere il giudice dell’autodichia — ungiudice che (nel pronunciare nei confronti dei soggetti lesi da atti delle Camere) non desse adito aidubbi di terzietà affacciati dall’ordinanza in commento — è evidente che la ricorribilità per

mentazione prodotta a prova delle stesse. A tal fine, entro il 15 febbraio dell’anno successivo aquello di presentazione del rendiconto, invita i partiti e i movimenti politici interessati a sanare,entro e non oltre il 31 marzo seguente, eventuali irregolarità contabili da essa riscontrate. Entro enon oltre il 30 aprile dello stesso anno la commissione approva una relazione in cui esprime ilgiudizio di regolarità e di conformità alla legge, di cui al primo periodo del comma 4. La relazioneè trasmessa ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, che ne curano lapubblicazione nei siti internet delle rispettive Assemblee ».

(46) In Germania, ad esempio, spetta alla Corte dei conti federale (Bundesrechnungshof) ilcompito di verificare che il Presidente del Bundestag, nella sua qualità di amministratore dei fondierogati dallo Stato, abbia provveduto correttamente al rimborso delle spese elettorali. Quanto adeventuali violazioni, da parte di organi statali, della normativa attinente al finanziamento pubblicodei partiti, è competente (BVerfGE 11, 239-241 ff.) il Bundesverfassungsgericht (cioè la Cortecostituzionale federale).

(47) Ancora Cass., sez. un., ord. 23 aprile 2012 n. 6331 si è trovata a decidere un’eccezioneper difetto di giurisdizione, avanzata dalla Camera dei deputati nei confronti del Tribunale di Roma:era un’eccezione che sosteneva che la ripartizione e l’erogazione dei rimborsi elettorali perl’elezione del Parlamento europeo non sarebbe stata assoggettabile al controllo dell’autoritàgiudiziaria. Si tratta di un assunto che la Cassazione ha respinto, conformemente ai precedenti (Cass.26 luglio 2000 n. 9797), disapplicando l’art. 1, commi 2 e 3, del regolamento di attuazione della l. 10dicembre 1993 n. 515 (in G.U. 27 luglio 1994 n. 174), cui, relativamente all’organo decidente, allaprocedura e ai termini dei ricorsi, le deliberazioni dell’Ufficio di Presidenza regolarmente rinviavanoper radicare la giurisdizione in autodichia, fino al punto di applicare anche la sospensione feriale deitermini prevista dall’art. 9, comma 1, del regolamento per la tutela giurisdizionale relativa agli attidi amministrazione della Camera dei deputati non concernenti i dipendenti (in G.U. 25 giugno 1999n. 147), come modificato dal decreto del Presidente della Camera dei deputati 18 aprile 2001 (direcepimento della deliberazione dell’Ufficio di Presidenza n. 302, in G.U. 23 aprile 2001 n. 94): v.,a tal proposito, la deliberazione del Presidente 26 luglio 2006 (di recepimento della deliberazionedell’Ufficio di Presidenza n. 24, recante rimborso per le spese sostenute dal Comitato promotore delreferendum popolare ex art. 138, comma 2, cost., sul testo della legge costituzionale concernente« Modifiche alla parte II della Costituzione », svoltosi il 25 e 26 giugno 2006) riportata in G.U. 28luglio 2006 n. 174.

(48) Ad oltre un secolo dalla statuizione di Cass. Roma, sez. un., 28 giugno 1904 (est.Lodovico Mortara), in Giur. it., 1904, I, p. 889 ss., secondo cui gli atti giuridici delle Camere « hannofondamento oggettivo nella disponibilità dei fondi assegnati alle rispettive dotazioni interne, e nonpossono raggiungere perfezione legale quando abbiano per oggetto la disposizione di fondi non peranco regolarmente stanziati dal potere legislativo ».

(49) « Ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presentearticolo, nonché ai fini della tutela giurisdizionale, si applicano le disposizioni generali contenutenelle sezioni I e II del capo I della l. 24 novembre 1981 n. 689, e successive modificazioni, salvoquanto diversamente disposto nel presente articolo ».

(50) Per il quale, cfr. MEZZANOTTE, Le garanzie dell’autonomia delle Camere nello Statocostituzionale di diritto, in Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza eopposizione a cura di GIANFRANCESCO e N. LUPO, Roma 2007, 225-229.

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cassazione delle relative sentenze rappresenterebbe una garanzia di ultima istanza che dà uniformitàal diritto proclamato « all’interno delle mura » (51).

Ma la statuizione della Suprema Corte — sollevando la questione di costituzionalità — s’èfermata in limine, dinanzi alla precondizione di qualsiasi giudizio, cioè l’esistenza di un giudice terzoe imparziale. Quando questa problematica sarà risolta, della soluzione potrebbero giovarsi anchequestioni precedentemente già affrontate, come quella dei dipendenti dei gruppi parlamentari e ilc.d. « precariato parlamentare ». Per Cass., sez. un., 19 febbraio 2004 n. 3335, ad esempio, vannodistinte attività « squisitamente parlamentari del gruppo » (costituite dalla partecipazione necessariaa tutte le attività, in genere, della Camera di appartenenza, culminanti in quella di formazione delleleggi o comunque in « atti e procedure specificamente previste dai regolamenti parlamentari ») eattività tecnico-professionali svolte nei confronti del partito di appartenenza di quel gruppo (per laquale « non è possibile [...] un’automatica estensione dell’autodichia », il cui presupposto non puòessere la « mera riferibilità o attribuibilità dell’attività al gruppo »). Se dunque queste ultimerifluiscono nella giurisdizione di diritto comune (quella del giudice ordinario, già positivamenteaffermata dalla Corte di cassazione fin da Cass., sez. un., 26 maggio 1998 n. 5234, per la controversiarelativa al rapporto tra un deputato e il suo collaboratore esterno) (52), gli atti che regolano le primepotrebbero non restar più privi di sindacato: se sulla natura del gruppo parlamentare vi sono ampisquarci giurisprudenziali atti a giustificarne un « ruolo istituzionale » (53), non appare arbitrariodesumere che atti esterni al profilo del rapporto di lavoro possano determinare richieste di tutelagiurisdizionale, alla quale nuovi organi di autodichia — veramente terzi per metodo di selezione eguarentigie di indipendenza — debbano corrispondere. Invero, nello stesso rapporto tra i gruppiparlamentari e l’amministrazione parlamentare — per la dotazione delle risorse logistiche, finan-ziarie e di personale — dopo le recenti modifiche regolamentari (nuovi art. 14, 15, 15-bis e 15-ter delregolamento della Camera e nuovi art. 16 e 16-bis del regolamento del Senato, come approvati altermine della XVI legislatura) potrebbero insorgere contenziosi: anche qui, potrebbe rivelarsi piùprudente deferirne la cognizione ad una sede giurisdizionale, domestica sì, ma realmente indipen-dente (piuttosto che alla logica dei rapporti di forza interni al Consiglio di Presidenza o all’Ufficiodi Presidenza). Ovviamente, purché su tutto vigili la garanzia rappresentata dal ruolo nomofilatticodel giudice di ultima istanza, la Corte di cassazione.

6. La giurisdizione sui conflitti. — In una fase ulteriore — successiva a quella in cui ilsindacato giurisdizionale dovesse essere affermato anche nei confronti degli organi costituzionali —occorrerà poi comprendere come esso sarà declinato nella sua fase patologica: quando, cioè, gliorgani della giurisdizione si trovassero a dissentire con le Camere sul confine tra ambito guarenti-giato e ambito estraneo alla funzione.

Lo strumento con cui fissare il confine è, in questo ambito, non meno importante del confinestesso. Lo dimostrano le vicende che, già in epoca statutaria, contrapposero le Camere all’autoritàgiurisdizionale sul punto dell’inviolabilità del parlamentare. Nell’interpretazione dell’art. 45 dello

(51) In astratto, si potrebbero ipotizzare anche ulteriori adempimenti, sotto il profilo orga-nizzativo e procedimentale, idonei a sancire anche icasticamente l’appartenenza alla giurisdizione diquelli, tra gli « organi di giustizia domestica », che superino il vaglio di indipendenza e imparzialitàimposto dallo standard CEDU. Ad esempio, essi andrebbero considerati parte del « dominio giusti-zia » ai fini del Sistema informatico civile (SICI) come definito nel d.P.R. 13 febbraio 2001 n. 123, iviinclusi i profili di cui all’art. 18, comma 2, del medesimo decreto; ciò consentirebbe di parificare ilsistema delle notificazioni con quello vigente dinanzi a tutti gli organi giudiziari nazionali.

(52) In tal senso, appare meramente ricognitivo del diritto giurisprudenziale l’art. 2, comma4, del disegno di legge sulla disciplina del rapporto di lavoro tra i membri del Parlamento e i lorocollaboratori (A.S. n. 3508, XVI legislatura, approvato dalla Camera dei deputati), secondo cui « perle controversie relative ai rapporti di lavoro di cui alla presente legge è competente l’autoritàgiudiziaria ordinaria ». Eppure, è stato commentato (in www.osservatoriosullefonti.it) che « dalpunto di vista delle fonti del diritto, è parimenti significativo notare che si ritenga (necessario e)sufficiente un intervento legislativo a tal fine, e non invece una modifica dei regolamenti parlamen-tari (o, eventualmente, una decisione degli organi di amministrazione interna) ».

(53) Cfr. C. cost. 12 marzo 1998 n. 49 e C. cost. 29 settembre 2004 n. 298, secondo cui« comunque, infatti, si vogliano definire i gruppi parlamentari, non si può dubitare che essicostituiscano uno dei modi, se non il principale, di organizzazione delle forze politiche in seno alParlamento, sicché questa Corte li ha indicati come il riflesso istituzionale del pluralismo politico ».

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statuto albertino (54), Trib. Firenze 15 dicembre 1869 ritenne la propria competenza a conoscere

(54) Che recitava: « Nessun deputato può essere arrestato, fuori del caso di flagrante delitto,nel tempo della sessione né tradotto in giudizio in materia criminale, senza il previo consenso dellaCamera ». La fonte comparatistica cui guardare era ovviamente la Francia, dove per la prima voltala necessità di salvaguardare la non responsabilità in sede giurisdizionale dei rappresentanti elettialle Assemblee rivoluzionari francesi (pure consacrata nel decreto 23 giugno 1789, approvato suproposta di Mirabeau, il quale coniò il termine « inviolabilità » nel discorso che portò all’approva-zione dello storico decreto) fu affiancata dal diverso privilegio parlamentare secondo cui i compo-nenti dell’Assemblea non potevano essere processati né arrestati senza autorizzazione dell’Assem-blea stessa (decreto 26 giugno 1790). Sia la Charte di Luigi XVIII del 1814 che quella di Luigi Filippodel 1830, erano state interpretate in senso estensivo sotto il profilo temporale e sotto quellooggettivo. Ciò partendo proprio dal decreto 26 giugno 1790, il cui testo recitava: « L’AssembleaNazionale sancisce l’inviolabilità della persona di ciascun deputato. Chiunque — singoli individui,organizzazioni, tribunali, magistrature o commissioni — osi, durante o dopo l’attuale sessioneparlamentare, perseguire, ricercare, arrestare o far arrestare, detenere o far detenere un deputato acausa di proposte, pareri, opinioni o discorsi manifestati o pronunciati agli stati generali, edegualmente chiunque presti la sua collaborazione ai suddetti attentati, da qualunque autorità sianostati ordinati, sia considerato infame e traditore nei confronti della nazione e responsabile di dirittocapitale. L’Assemblea Nazionale stabilisce che nei casi predetti prenderà tutte le misure necessarieper ricercare, perseguire e punire i responsabili, istigatori ed esecutori ». Va notato come ilmedesimo problema si sia riproposto nel Novecento, in ordine, da un lato, agli art. 8, 9 e 10 delProtocollo sui privilegi e sulle immunità del Parlamento europeo 8 aprile 1965 e, dall’altro, agli art.14 e 15 dell’Accordo generale sui privilegi e sulle immunità del Consiglio d’Europa (approvato nel1949): sono testi identici, per cui la giurisprudenza parlamentare ed internazionale sedimentatasi sudi essi è generalmente considerata estensibile, in via interpretativa, anche al sistema delle immunitàdell’altra organizzazione internazionale (in tal senso, cfr. risoluzione dell’Assemblea parlamentaredel Consiglio d’Europa n. 1325 (2003), § 48). Il più autorevole caso di divergenza ha visto la Cortecostituzionale italiana interpretare riduttivamente il case law europeo. In via interpretativa, ilParlamento europeo s’era già da lungo tempo valso della giurisprudenza della Corte di giustizia delleComunità europee (C. giust. CEE 12 maggio 1964 in causa 101/63, Wagner c. Fohrmann e Krier,devoluta dal Granducato del Lussemburgo) per estendere la nozione di « sessione » all’intero annoparlamentare. C. cost. 28 dicembre 1984 n. 300 volle però leggere questa sentenza comunitaria comelimitantesi « a stabilire che l’Assemblea va considerata in sessione, anche quando non è riunita, finoalla chiusura di ciascuna sessione, salvo eventuali sessioni straordinarie che debbono, però, essererichieste dalla maggioranza [...] Il che comporta, dunque, che fra il 1º luglio e il terzo martedì diottobre l’Assemblea non è in sessione (salvo l’eventualità delle sessioni straordinarie) e che,pertanto, durante quell’intervallo — escluso il tempo necessario per rientrare in sede o perraggiungere l’Assemblea — i parlamentari non sono coperti da immunità ». Ma una secondasentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (10 luglio 1986 in causa 149/85, Wybot c.Faure) fece giustizia anche di questa delimitazione, specificamente dichiarando che la locuzione« durante le sessioni » va interpretato esclusivamente alla luce della legge comunitaria e non anchein relazione alla legislazione nazionale. Quanto al profilo oggettivo, va ricordato che a lato deldivieto di arresto, i testi costituzionali rivoluzionari francesi prevedevano che « nessuna costrizionecorporale può essere esercitata contro un membro della Camera ». È ben vero che tale previsionenon era contenuta nella Costituzione del 1848 né nella legge costituzionale 16 luglio 1875 della TerzaRepubblica francese (e nei testi dell’epoca sopravvissuti fino ad oggi essa si rinviene solo nellaCostituzione belga del 1831): ma nulla può far pensare ad un regresso delle guarentigie parlamen-tari, perché l’interpretazione assolutamente dominante nelle Camere francesi era sicuramente nelsenso di far rientrare nell’inviolabilità anche qualsiasi provvedimento da cui scaturisse una coerci-zione nei confronti del parlamentare, equiparata quindi a una restrizione della libertà personale. Lacosa era resa particolarmente ovvia alla luce dell’art. 121 del codice penale francese che, sin dalSecondo Impero, puniva con la degradazione civica tutti gli ufficiali di polizia giudiziaria, tutti iprocuratori e tutti i giudici che provocassero, emettessero o sottoscrivessero una sentenza, un’or-dinanza od un mandato, tendenti a un procedimento personale o ad un’accusa — tra l’altro — di unmembro del Senato o del Corpo legislativo, senza le autorizzazioni prescritte dalle Costituzioni, « oche, fuori dei casi di flagrante delitto o di danno pubblico, avranno senza le stesse autorizzazioni datoo sottoscritto l’ordine o il mandato di trattenere o arrestare » uno dei predetti membri. In Italia,nonostante i voti della relazione Mancini, non ci si spinse mai oltre la proposta di un’aggravante perla fattispecie di arresto illegale.

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dell’applicabilità della prerogativa accordata al deputato Lobbia (55), di fatto frustrando l’istruttoriache la Camera stava conducendo in sede di autorizzazione a procedere; la Camera reagì nominandouna giunta di sette membri, la cui relazione conclusiva fu presentata dall’onorevole Mancini.Nell’immediato, la relazione Mancini avallò l’interpretazione estensiva sotto il profilo temporaledella « copertura immunitaria » (che non si poté più ritenere conchiusa nel solo periodo dellasessione); ma, soprattutto, essa consacrava l’affermazione secondo cui « è riservata a ciascunaAssemblea la decisione sulle controversie che insorgono sulla ricognizione dei limiti, dell’estensionee dell’applicabilità delle prerogative d’inviolabilità dei propri membri » (56). Ne consegue che —piegando lentamente il conflitto interpretativo con la magistratura penale, ricorrente ancora perqualche anno (57) — la Camera da allora non accettò più che l’azione penale nei confronti dei suoicomponenti seguisse un percorso ermeneutico dettato dal potere giudiziario. L’autoproclamazionedella sovranità parlamentare sulle immunità trovò nella Camera dei deputati del Regno sabaudo unesplicito riconoscimento nella successiva disamina dell’ambito di estensione dell’immunità, sia puresprimendo al suo interno indirizzi assai prudenti (58) sull’esercizio di tale sovranità.

La relazione Mancini fotografava il sistema costituzionale inglese dell’epoca, nel quale lacentralità del Parlamento passava anche per la possibilità di sanzionare direttamente il contempt neisuoi confronti (59). In un’elaborazione costituzionalistica avanzata, questa sarebbe una palmare

(55) V., anche per il seguito, nota a voto della Corte di cassazione di Firenze sul quesitoproposto dal Governo, 18 gennaio 1870, in Annali della giurisprudenza italiana, 1870, III, 3-9.

(56) Relazione alla Camera dei deputati « Sull’interpretazione dell’art. 45 dello Statutocostituzionale del Regno », redatta dalla Commissione presieduta da Pasquale Stanislao Mancini epresentata alla Camera nella seduta del 30 luglio 1870.

(57) Anche dopo la relazione Mancini, la Corte di cassazione di Firenze (Cass. Firenze 6dicembre 1873) proseguì con il ritenere la competenza della giurisdizione di legittimità a pronun-ciarsi nei confronti di un deputato senza richiedere l’autorizzazione, negando l’argomento diCadorna e Mancini secondo cui anche la Cassazione è un giudizio e come tale ha conseguenzesull’imputato che richiedono la previa autorizzazione parlamentare; si dovettero attendere leconclusioni del Procuratore del Re dinanzi alla Corte di cassazione di Roma (Cass. Roma, ord. 15gennaio 1886) per vedere in questo grado di giudizio applicata la norma statutaria sulla necessità dirichiedere l’autorizzazione a procedere. Per una disamina più esaustiva dell’intera controversiainterpretativa tra Camera e giurisdizione sull’art. 45 dello statuto albertino, cfr. ARANGIO-RUIZ,Intorno all’art. 45 dello Statuto, in Arch. dir. pubbl. amm. it., 1903, 130 ss.

(58) L’onorevole Broglio, nella tornata del 21 dicembre 1872 della Camera, avvertiva che« queste sono armi che i Parlamenti devono conservare, ma delle quali debbono saper fare un usoprudentissimo »; nella medesima seduta, l’onorevole Pisanelli aveva comunque ribadito quantoaffermato nella relazione Mancini, dichiarando che « Io so che a questi giorni non sia facile uno diquesti abusi del potere esecutivo che sono avvenuti in epoche più tristi della storia, ma so che noinon siamo arbitri delle garanzie costituzionali; so che, se oggi siamo liberi da ogni sospetto, nessunopuò assicurarci che non spunti un giorno procelloso. È dunque un dovere per noi di mantenereinviolata la garanzia sancita dall’art. 45 » (conclusione, peraltro, con cui conveniva lo stesso Broglio).La stessa relazione alla Camera dei deputati del 30 luglio 1870, del resto, ritenne di non suggerirel’estensione all’Italia (pur dandone conto) della disciplina, esistente in Francia, con cui l’art. 121 delcodice penale puniva con la degradazione civica tutti gli ufficiali di polizia giudiziaria, tutti iprocuratori e tutti i giudici che avessero provocato, emesso o sottoscritto una sentenza, un’ordinanzaod un mandato, tendenti ad un procedimento personale o a un’accusa — tra l’altro — di un membrodel Senato o del Corpo legislativo, senza le autorizzazioni prescritte dalle Costituzioni, « o che, fuoridei casi di flagrante delitto o di clamore pubblico, avranno — in assenza delle medesime autoriz-zazioni — dato o sottoscritto l’ordine o il mandato di trattenere o arrestare » uno dei predettimembri.

(59) Nell’ambito del sistema di common law non era dato di individuare preventivamente untipo di condotta astrattamente assoggettabile alla prerogativa, ma era la Camera dei comuni chevolta per volta « legge » in una determinata azione (riconducibile a qualsiasi altro potere, pubblicoo privato) una potenziale lesione dell’autorità e della dignità del Parlamento: « è necessariodistinguere tra il potere di punire un’offesa, che è un potere giudiziario, e il potere di rimuovereun’ostruzione alle deliberazioni o alle altre azioni proprie di un corpo legislativo durante la suaseduta, che invece rappresenta un potere necessario per l’autopreservazione » (sentenza Doyle v.Falconer, 1866, LR 1 PC 328; in precedenza, con la sentenza Stockdale v. Hansard del 1839, la Houseof Lords affermò che la House of Commons aveva una giurisdizione separata ed era l’unico organocompetente a decidere sull’estensione dei propri privilegi). Si tratta di un approccio tradizionale che

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fattispecie di conflitto tra poteri dello Stato, la cui risoluzione sarebbe stata deferita dalla Costitu-zione ad un organo terzo, il « potere neutro » di tipo kelseniano. Nel Regno Unito, invece, si èrepentinamente passati da un estremo all’altro nel primo caso di guarentigia parlamentare decisodalla neo-istituita Corte suprema: il giudizio Chaytor (60). In esso, non soltanto l’ambito dell’insin-dacabilità — legato al « proceeding in Parliament » dall’art. 9 del Bill of Rights — è stato definito,escludendo ogni possibile dilatazione, che fosse tale da includervi anche la consegna e l’esame deirimborsi spesa richiesti dai parlamentari; non soltanto si è ritenuto che la giurisdizione esclusiva inmateria amministrativa fosse diritto disponibile da parte del Parlamento (61): la Corte suprema haaffermato — soprattutto — che le Corti non sono vincolate da quel che viene affermato dallecommissioni parlamentari, dallo Speaker o dalla stessa Camera dei comuni, perché il potere digiudicare su ciò che possa essere considerato coperto da guarentigia spetta, in ultima istanza, alleCorti stesse.

Nella fattispecie, quindi, ci si spinge addirittura oltre il traguardo degli ordinamenti kelseniani:non soltanto la qualificazione di « proceeding in Parliament » è il frutto di una ricognizione in ultimaistanza operata dal giudice (62); in più, l’assenza di un « giudice dei conflitti » fa sì che, nelladivergenza tra la valutazione della Camera e delle Corti, siano queste ultime (nel caso concreto, laCorte di ultima istanza), a prevalere (63).

è stato per lo più abbandonato in sede di revisione del privilegio parlamentare (proposta delGoverno britannico accolta il 31 luglio 1997, con la conseguente creazione del Comitato misto, cheportò il 9 aprile 1999 al Primo rapporto del Comitato misto sul privilegio parlamentare, c.d.« Rapporto Nicholls »): nel capitolo V si proclama che, ad eccezione dell’insindacabilità, si puòessere tradotti dinanzi ai tribunali civili e penali anche per condotte svolte all’interno del Palazzo diWestminster; il Rapporto rilevò che, con l’eccezione descritta, i tribunali hanno giurisdizione perconcedere un’ingiunzione nei confronti di individui anche se rivolta all’interno del Parlamento (adesempio, per l’esibizione di un atto); resta in proposito necessario operare una distinzione tra leattività della Camera che possono rivendicare la protezione perché « affari interni » e quelle che nonpossono essere ritenute attività privilegiate, perché non strettamente e direttamente connesse con iprocedimenti in Parlamento.

(60) Corte suprema del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord 10 novembre-1ºdicembre 2010, R. v. Chaytor and others [Michaelmas Term, 2010] UKSC 52. Per un commento, cfr.SAITTO, Regno Unito. Oltre gli interna corporis. La Corte suprema nega l’invocabilità dell’art. 9 delBill of Rights e la giurisdizione esclusiva della House of Commons, in DPCE online, 2011, 1. Per TEW,No Longer a Privileged Few: Expense Claims, Prosecution and Parliamentary Privilege, in TheCambridge Law Journal, July 2011, 282 ss., « the unanimous decision of the nine Justices is anunsurprising development, given the way that judicial scrutiny of parliamentary privilege has evolved.Judicial and parliamentary views have moved from a Blackstonian absolutist concept of privilegetowards a democratic model — see CHAFETZ J., Democracy’s Privileged Few (2007) — a movement inparallel with increasing challenges to the doctrine of undiluted parliamentary sovereignty ».

(61) Nel caso di specie, secondo la Corte, era stato abbandonato dalla Camera dei comuni,che si era limitata ad invocare una giurisdizione disciplinare, rinunciando ad accampare la sussi-stenza di una giurisdizione esclusiva. La peculiare natura dell’attività giudiziaria di ricognizione dellaconsuetudine, quindi, s’è tradotta — dinanzi alle acquiescenze processuali, alla mancata costituzionedegli organi di governo della Camera nel giudizio, al sostanziale via libera da essi espresso (sentenzaChaytor, cit., § 15) — in attestazione della desuetudine.

(62) Benché le Corti non ne debbano abusare: la Corte suprema stessa, pur avendo giuri-sdizione per quanto detto, dichiara di sentirsi vincolata a tenere in particolare considerazione leragioni del Parlamento, quando viene chiamata a sindacare questioni concernenti l’applicazionedell’art. 9 del Bill of Rights.

(63) Pur trattandosi di un esito pienamente giurisdizionale, anche qui è rimarchevole notarecome lo strumento della ricognizione della portata della consuetudine abbia consentito un esitocondiviso: decisiva, in giudizio, è stata non solo l’acquiescenza della Camera dei comuni (che halasciato soli, in giudizio, i parlamentari ricorrenti), ma anche l’approvazione del Committee forPrivileges alla lettera che il 4 marzo 2010 il Clerk of the Parliament scrisse alla difesa di uno degliinquisiti, dichiarando che « la decisione di che cosa costituisca un proceeding in Parliament [...] inultima istanza è questione della Corte, non della Camera ». La cooperazione tra poteri, quindi, passaall’interno dei meccanismi processuali (e di individuazione della diuturnitas e dell’opinio iuris deldiritto consuetudinario, per quanto riguarda l’exclusive cognisance) e non attraverso i veti reciproci:anche perché va considerato che la Corte suprema oramai non è più necessariamente composta daappartenenti al Parlamento, e che i suoi meccanismi di selezione sono quanto meno pari — quanto

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Il passaggio dal dominio della Camera al dominio delle Corti, nel sistema anglosassone, èavvenuto in guisa di adeguamento all’evoluzione della consuetudine, in regime di Costituzioneflessibile. Ci si chiede, invece, dove si collochi, nel nostro ordinamento, il punto di equilibrio: cheesso — nell’ordinamento costituzionale successivo al 1948 — riposi su un organo terzo, appareabbastanza scontato; ma, in presenza di almeno due possibili tipi di conflitto, occorre chiarire qualesia il giudice competente ad affermare la linea di confine.

Lo strumento individuato dalla giurisprudenza costituzionale per garantire la tutela dellesituazioni giuridiche lese sotto la vigenza del diritto parlamentare, se meritevoli, prescindevatotalmente dalla possibilità di un sindacato interno all’organo parlamentare (ad opera di una suaarticolazione): pur sotto la vigenza dei regolamenti emanati ai sensi della riserva contenuta nell’art.64 cost., se esiste « alcun elemento del fatto che si sottragga alla capacità qualificatoria delregolamento » rivive il « regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti, nel nostrosistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti » (C. cost. 2 novembre 1996 n. 379). Diconseguenza, il potere dello Stato — competente a presidiare quel regime — era in grado di farsiriconoscere la relativa attribuzione, mediante il ricorso alla Corte costituzionale per conflitto controla menomazione che gli sarebbe derivata dal cattivo esercizio del « peculiare regime di insindaca-bilità degli atti o dei comportamenti interni » alle Camere (64). Ma ora? Parrebbe che le frontiereda presidiare, ora, siano diventate tre.

Il primo insieme è quello in cui si realizza al massimo grado la tipizzazione delle funzioni afondamento costituzionale espresso (delineato supra, § 2, 3 e 4). Se in tale ambito si dovesseverificare un contrasto tra giurisdizione e organo costituzionale in ordine all’estensione dellaguarentigia, resta vero che la delimitazione della sfera di attribuzioni — determinata per i vari poteridello Stato da norme costituzionali — spetta indubitabilmente alla Corte costituzionale in sede digiudizio sul conflitto tra poteri: la soluzione è quindi esterna al processo, sia pur ad esso pertinenziale(perché il ricorso ai giudici di palazzo della Consulta nasce assai spesso dalla decisione delmagistrato procedente di non prestare acquiescenza a una presa di posizione delle Camere, talvoltaveicolata nel giudizio dalla difesa dell’imputato). Come ribadito da ultimo in C. cost. 25 gennaio2011 n. 23, la parola finale sull’ambito immunitario, da noi, è della Corte costituzionale: il potere chein via di principio compete alla giurisdizione, quindi, in via di fatto può essere male esercitato — cioèesercitato in violazione delle attribuzioni costituzionali dell’altro potere inciso, quello della Cameradi appartenenza del parlamentare interessato dal giudizio — e ciò giustifica l’intervento di palazzodella Consulta a definire i giusti confini.

Sono state necessarie le sentenze della Corte costituzionale (12 aprile 2012 n. 87 e 88, cit.) perfar calare definitivamente il sipario sulla configurazione tradizionale di tipo anglosassone, conse-gnando alla storia il retaggio di una procedimentalizzazione della guarentigia oramai superata. Inesse, la Corte individua nel giudizio per conflitto di attribuzioni la sede propria per dirimere lacontroversia in tema di configurazione del fatto come reato ministeriale: un ricorso così motivato,quindi, non soffrirebbe di inammissibilità, perché attiene a competenze che trovano il loro fonda-mento in norme di rango costituzionale (il che prevale sul fatto che si tratti anche di un mezzo diimpugnazione della giurisdizione improprio, rispetto a quelli interni al giudizio). Se è vero chel’insindacabilità si attiene oramai a parametri consolidati (di tipicità dell’atto e della sua proiezioneesterna), c’è da attendersi che anche la conflittistica sulle autorizzazioni (all’arresto o alle intercet-tazioni (65) o sulla ministerialità del reato) si arricchirà di una giurisprudenza dettata a palazzo dellaConsulta, alla quale i due poteri in contrasto andranno via via adeguandosi.

Il secondo insieme è quello in cui non si giustifica alcun disallineamento sostanziale perchétrovano applicazione i criteri dettati dalla Corte nel 1996, secondo cui il diritto parlamentare nonpotrebbe mai dare copertura ad attività in violazione dei diritti della persona, « le quali conservanointegro il loro regime e postulano il sindacato del giudice civile, o anche penale quando la loro tutelasia rafforzata dalla legge con norme incriminatrici ». Qui la pronuncia CEDU sul caso Savino, cit.

a garanzia di indipendenza — a quelli prescritti per numerose Corti costituzionali continentali: nederiva che la soluzione del conflitto rimane nell’alveo dei rimedi interni al processo, e non passa peril deferimento a un organo esterno al giudice che domina la regiudicanda.

(64) In tal senso, BUONOMO G., L’ultima tappa della giurisprudenza sugli interna corporis: lasentenza Calderoli, in Gazzetta giuridica Giuffrè-ItaliaOggi, 1998, n. 44, p. 1-5; e ID., Contrastantiindirizzi sull’insindacabilità degli interna corporis, in Studi parlamentari e di politica costituzionale,1999, n. 125-126, p. 61-70.

(65) V., in proposito, C. cost. 12 aprile 2013 n. 74.

GIUSTIZIA CIVILE: 2013952

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prefigurava un ambito di espressione dell’autonomia costituzionale delle Camere, di tipo meramenteprocessuale, suscettibile sia di credibile difesa dinanzi a futuri conflitti da parte di poteri che siassumano lesi, sia di convinta rivendicazione dinanzi ad iniziative lesive da parte di altri poteri delloStato: si tratta dell’istituzione del vero giudice speciale in autodichia, quello senz’altro terzo eimparziale e, per ciò stesso, sottoposto alla piramide nomofilattica grazie alla riconduzione agiurisdizionalità pretesa dalla CEDU.

Infine, il terzo insieme è quello in cui la Cassazione si ritaglia meramente la funzione di Corteregolatrice. Già nel giudizio sulla verifica dei poteri la Cassazione — Cass., sez. un., 8 aprile 2008 n.9151 — affermò che sul conflitto negativo con le giunte parlamentari sugli atti elettorali preparatorinon sarebbe « configurabile un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ma semmai un meroconflitto di giurisdizione — come già ricordato da C. cost. n. 117 del 2006, cit. — alla risoluzione delquale solo il legislatore potrebbe por mano (a tale ultimo riguardo v. anche C. cost. n. 512 del2000) ».

A fronte di futuri tentativi di attrarre in autodichia atti e comportamenti estranei a talegiurisdizione speciale rettamente intesa, quindi, potrebbe calare nello specifico il presidio fattosalvo dall’art. 37, comma 2, l. 11 marzo 1953 n. 87: sarebbero così sottratti al sindacatogiurisdizionale del giudice domestico sia gli atti della rispettiva Camera di appartenenza cherientrino nell’ambito guarentigiato (primo insieme, per i quali la Cassazione dovrebbe quindipronunciare il difetto assoluto di giurisdizione), sia quelli indebitamente ricondotti alla funzionecostituzionale/amministrativa e invece compiuti iure privatorum (per i quali il giudice naturale vaindividuato dalla Cassazione, nell’esercizio della funzione regolatoria della giurisdizione).

In tutti i casi, la possibilità di sbloccare l’esercizio dei poteri regolatori della Cassazione passaper una credibile decisione della Corte costituzionale in ordine alla prospettazione operata dallesezioni unite: la perimetrazione di tipo funzionalistico della fonte-atto interna giustifica l’assogget-tamento del giudice domestico al sindacato della Suprema Corte per violazione di legge. Scioltoquesto dubbio di sistema (e impregiudicata ogni diversa scelta rientrante nella « discrezionalitàlata » del legislatore, nel senso prospettato dai disegni di legge citati nell’ordinanza), l’autodichia siridurrebbe a un mero giudice speciale (di origine pre-repubblicana), in riferimento al quale laCassazione è chiamata a salvaguardare la compatibilità convenzionale: ciò non può che avvenirecompiendo finalmente quel sindacato — in ordine al rispetto in concreto dei requisiti di indipen-denza, terzietà e imparzialità — che rappresenta un decisivo banco di prova nei rapporti tragiurisdizione e organi costituzionali.

GIAMPIERO BUONOMO

CORTE DI CASSAZIONE — Sez. II — 26 aprile 2013 n. 10082 — Pres. Triola — Est. SanGiorgio — P.M. Pratis (concl. conf.) — F. (avv. Feluca) c. Cond. Via Netti-Napoli.(Conferma App. Napoli 9 marzo 2006 n. 743).

[1576/240] Comunione e condominio - Condominio negli edifici - Sopraelevazione - Limiti - Viola-zione delle norme antisismiche - Illiceità - Condanna alla demolizione del manufatto - Ammissi-bilità - Concessione in sanatoria - Rilievo - Esclusione.(C.c., art. 1127).

La sopraelevazione realizzata dal proprietario dell’ultimo piano di edificio condomi-niale, in violazione delle prescrizioni e cautele tecniche fissate dalle norme speciali antisismi-che, è riconducibile nell’ambito della previsione dell’art. 1127, comma 2, c.c., in tema disopraelevazioni non consentite dalle condizioni statiche del fabbricato, con conseguentefacoltà del condominio di ottenere una condanna alla demolizione del manufatto. Nessunrilievo riveste, peraltro, ai fini della valutazione di illegittimità delle costruzioni sotto il profilodel pregiudizio per la statica dell’edificio, l’eventuale conseguimento della concessione insanatoria, in relazione a corpi di fabbrica realizzati sul terrazzo dell’edificio condominiale, inquanto tale provvedimento amministrativo non ha riguardo ad un giudizio tecnico diconformità alle regole di costruzione (1).

PARTE PRIMA - GIURISPRUDENZA 953