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1 Attaccamento e Dipendenza L’infanzia cattura l’attenzione di tutti. I bambini ci attraggono emotivamente e noi tutti rimaniamo colpiti dal loro bisogno intrinseco di cure e amore (Emde, Sameroff 1991). Crescita e sviluppo sono molto rapidi. E’ così che se tutto procede bene il bambino e chi si prende cura di lui procedono in una situazione di benessere e soddisfazione condivisi. Tuttavia se le cose non vanno nel verso giusto, l’angoscia e la frustrazione, normali in una ricorrenza a breve termine, possono rivelarsi dannose e comportare problemi depressivi, comportamentali, relazionali sino a concretizzarsi in vere e proprie disarmonie evolutive e gravi disturbi dello sviluppo (ibidem). Le relazioni e in particolare quella tra il piccolo e la madre, sono l’alveo dello sviluppo dell’individuo quale essere intimamente e costituzionalmente relazionale che si sviluppa appunto in una serie di relazioni di interdipendenza affettiva che strutturano la capacità di regolazione e autoregolazione affettiva e interattiva. “There’s nothing such a baby” asseriva correttamente Donald Winnicott nello specificare che non esiste una bambino all’infuori di una relazione diadica di accudimento materno. Aggiungiamo che dunque “non esiste una madre” all’infuori della sua relazione con la figlia o il figlio nel sottolineare la necessaria interdipendenza che si viene a creare nelle relazioni affettive e che le struttura, permettendo ai singoli individui di strutturare una loro identità specifica nelle relazioni, regolarsi affettivamente e regolare le interazioni. Sempre Winnicott (1965) affermava “la madre guarda il piccolo…ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa vede” è possibile immaginare che contemporaneamente la situazione sia anche reversibile, sempre in accordo con l’idea che “le origini interattive del senso degli stati soggettivi del Sé possono spiegare le sostanziali differenze nel modo in cui i bambini interpretano le proprie esperienze soggettive”(Fonagy, Target 2002).
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Attaccamento e Dipendenza

Jan 31, 2023

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Attaccamento e Dipendenza

L’infanzia cattura l’attenzione di tutti. I bambini ci attraggono emotivamente e noi

tutti rimaniamo colpiti dal loro bisogno intrinseco di cure e amore (Emde, Sameroff

1991). Crescita e sviluppo sono molto rapidi. E’ così che se tutto procede bene il

bambino e chi si prende cura di lui procedono in una situazione di benessere e

soddisfazione condivisi. Tuttavia se le cose non vanno nel verso giusto, l’angoscia e

la frustrazione, normali in una ricorrenza a breve termine, possono rivelarsi dannose e

comportare problemi depressivi, comportamentali, relazionali sino a concretizzarsi in

vere e proprie disarmonie evolutive e gravi disturbi dello sviluppo (ibidem). Le

relazioni e in particolare quella tra il piccolo e la madre, sono l’alveo dello sviluppo

dell’individuo quale essere intimamente e costituzionalmente relazionale che si

sviluppa appunto in una serie di relazioni di interdipendenza affettiva che strutturano

la capacità di regolazione e autoregolazione affettiva e interattiva. “There’s nothing

such a baby” asseriva correttamente Donald Winnicott nello specificare che non

esiste una bambino all’infuori di una relazione diadica di accudimento materno.

Aggiungiamo che dunque “non esiste una madre” all’infuori della sua relazione con

la figlia o il figlio nel sottolineare la necessaria interdipendenza che si viene a creare

nelle relazioni affettive e che le struttura, permettendo ai singoli individui di

strutturare una loro identità specifica nelle relazioni, regolarsi affettivamente e

regolare le interazioni. Sempre Winnicott (1965) affermava “la madre guarda il

piccolo…ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa vede” è possibile

immaginare che contemporaneamente la situazione sia anche reversibile, sempre in

accordo con l’idea che “le origini interattive del senso degli stati soggettivi del Sé

possono spiegare le sostanziali differenze nel modo in cui i bambini interpretano le

proprie esperienze soggettive”(Fonagy, Target 2002).

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Dipendenza, Interdipendenza e Relazioni Oggettuali

Nell’evolversi del pensiero psicoanalitico e delle sue applicazioni cliniche diverse

teorie si sono succedute e confrontate in una proficua quanto serrata dialettica. In

seno allo sviluppo del pensiero psicoanalitico il termine dipendenza è stato utilizzato

secondo diverse declinazioni. E’ soprattutto con le teorie delle relazioni oggettuali

(Greenberg e Mitchell 1986; Mitchell 1988) che il termine diviene sempre più

utilizzato in termini di relazione e di dipendenza reciproca, ovvero interdipendenza.

Già Sullivan (1953) nel descrivere la relazione madre\bambino illustra una relazione

che si sviluppa nel tempo come una relazione dove i due partecipanti vivono una

situazione relazionale di interdipendenza affettiva che, seppur con le dovute

differenze di ruoli, è strutturante dell’identità (e o della patologia) di entrambi i

partecipanti e della loro relazione anche patologica (cui entrambi i partecipanti

contribuiscono seppur diversamente, attivamente). La prima infanzia è un periodo

della vita dell’individuo in cui solo la relazione ha un significato psicologico (Emde ,

Sameroff 1991). Le “manifestazioni” (Bruner 1968) di un individuo, sin dalla

gestazione, subiscono una codifica e una significazione da parte dell’ambiente (prima

dalla madre poi dai diversi caregivers e poi dal sociale tutto) che in tal modo

restituisce un significato biunivoco all’individuo, costruito, sulla base di sistemi:

interpersonali, famigliari, transgenerazionali e culturali, condivisi. Le “manifestazioni

(come la mobilità primaria di Winnicott) divengono ora segnali” (Verde 2007). E’

importante specificare che l’indirizzo che seguiremo in questo capitolo è quello che

considera la natura delle relazioni oggettuali o dei modelli di relazione come risultato

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della storia delle relazioni reali e non “fantastiche” (Klein 1969) del bambino con i

caregiver. In tal senso dipendenza non coincide per forza con passività, non coincide

con la rinuncia alla propria autonomia, anzi una dipendenza sana è motore di

sviluppo e autonomia anche in virtù del fatto che è sempre una interdipendenza

rleazionale. Winnicott (1965) afferma tra l’altro, come sia forte la tendenza

“dall’interno” all’integrazione della “personalità e verso l’indipendenza” tali che per

“condizioni sufficientemente buone il bambino progredisce”. E’ sana, dunque, quella

dipendenza affettiva, quella relazione, che promuove, al suo interno, separatezza e

autonomia e “piacere di esplorazione” (Jeammet 1997). Nell’utilizzare questi termini,

è chiaro il rimando al tema della separazione e individuazione, fondamentale nella

teoria clinica e dello sviluppo di Margareth Malher (Mahler 1967; Mahler, Pine,

Bergman 1975;), di cui non accettiamo però come valida la visione teorica che

prevede una fase simbiotica di isolamento “artistico” come comune nello sviluppo

della primissima infanzia, in quanto scientificamente sconfessata dal filone di ricerca

clinica e dello sviluppo dell’Attaccamento e dell’Infant Research (cfr. Stern 1985).

Queste moderne concezioni ci consegnano una immagine del bambino come attivo e

competente nella sua relazione con l’ambiente, con le parole di Daniel Stern (1995)

“competenza interattiva”

Vi è dunque una necessaria relazione individuo\ambiente (Siegel 1999) quale primo e

irrinunciabile corollario di esistenza biologica dell’organismo e dell’individuo, nella

relazione.

Sameroff e Emde (1989) considerano “disadattiva” quella relazione che non favorisca

o interferisca con la possibilità di esplorazione del mondo da parte del piccolo e in

seguito dell’adolescente. In vero è disadattiva anche quella relazione dove la madre si

trova in qualche modo prigioniera della sua relazione con il piccolo al quale può

essere garantita comunque la possibilità esplorativa. E’ dunque necessaria

un’esperienza di sintonia e allineamento genitori-bambino/a perché non si creino

gravi difficoltà nell’interazione. La sintonia nell’interazione, non è una funzione

esclusiva materna ma il bambino stesso promuove, non promuove o interrompe la

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relazione e l’allineamento stesso, influenzando le risposte e le strategie materne e

dunque promuovendo la regolazione affettiva materna nell’interazione. Gia a due

mesi i bambini, nell’interazione faccia a faccia con la madre partecipano con livelli di

desiderio e di controllo delle diverse fasi dell’interazione con la madre, quasi uguali

alla madre stessa (Stern 1995). Questi continui aggiustamenti e accordi relazionali o

“negoziazioni” (Stern 1995) divengono matrice del comportamento e dell’identità di

entrambi i partecipanti alla relazione.

Riteniamo dunque che per dipendenza non si intenda nulla di intrinsecamente

patologico o negativo per lo sviluppo, quanto invece si descriva con dipendenza il

mezzo principale per la crescita e lo sviluppo e in primis per la sopravvivenza. Al

contempo la dipendenza (oltre che l’attaccamento) che il genitore sviluppa verso il

piccolo è portatrice di diverse esperienze relazionali, emozionali e identitaria (alcune

nuove per l’individuo). La sopravvivenza l’educazione e la crescita sana del piccolo

divengono elementi concreti con cui il genitore si confronta e sui quali struttura

aspetti fondamentali della sua identità e della sua biografia. Il piccolo è un individuo

in relazione e in virtù di ciò è variabile influenzante la relazione e l’altro. L’identità e

la funzione genitoriale si strutturano nella relazione con il piccolo (oltre che nella

relazione della coppia) certamente fondandosi su un corredo biologico (più o meno)

facilitante. E’ dunque vero, come sottolineano tutte le teorie psicologiche che il

bambino dipende dall’ambiente e in primis dal caregiver-madre, ma è purtuttavia

inconfutabile che la madre dipende strettamente dal piccolo sia in termini identitari

del Sé che in termini di regolazione affettiva e interattiva. E’ in tal senso che sembra

importante parlare di interdipendenza nella relazione madre bambino più che in

semplici termini di dipendenza infantile verso il genitore. Nella fase di vita che inizia

dal concepimento il primo “ambiente” con cui l’organismo individuale si relaziona è

quello materno, il quale a sua volta è immerso in una complessa rete di relazioni

nell’ambiente circostante e dunque con gli altri individui con i quali ha a sua volta più

o meno intense relazioni di (inter-)dipendenza. La qualità delle diverse relazioni che

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“l’ambiente madre” mantiene con l’esterno influenzerà, in termini più strettamente

biochimici, la prima relazione bambino ambiente e dunque il suo sviluppo. Dalla

nascita in poi il bambino e la bambina si troveranno immersi in una rete di relazioni

dove il principale referente relazionale (filtro e introduttore primario verso il mondo)

è il caregiver, che nelle situazioni più fortunate è la madre naturale sufficientemente

dedita alla prole. Sin dal concepimento è chiara la situazione dipendente del piccolo,

tuttavia è a sua volta chiara l’estrema dipendenza psicologica della madre in tutte le

fasi della crescita del piccolo, prima e dopo la nascita. La presenza di un figlio o di

una figlia regola (o disregola) fortemente e massicciamente l’affettività materna e

l’interazione .La teoria winnicottiana dello sviluppo, che afferma con forza la

dipendenza psicologica del bambino dalle cure materne, sottolinea l’essenza

relazionale dello sviluppo infantile laddove la madre sufficientemente buona (1971)

affetta da una “patologicamente sana” preoccupazione materna primaria (Winnicott

1958) non solo contiene e direziona lo sviluppo del bambino o della bambina ma è al

tempo stesso parte integrante della relazione. Aggiungiamo che la madre è fin da

subito oggetto di forti influenze nella relazione stessa, una relazione dalla

imprescindibile qualità biunivoca.

Insomma ciò che le teorie delle Relazioni Oggettuali e in seguito l’infant research ci

mostrano è un ambiente da cui il bambino dipende necessariamente e primariamente

ma che a sua volta fortemente influenzato dalla relazione con il piccolo. Osserviamo

come l’identità materna si costruisce nella relazione con il bambino e dunque ne

dipende per assunto. Il bambino che ci viene descritto dalla ricerca più recente è un

bambino attivo e competente (Stern 1985) sin dalla nascita se non prima (Mancia

1981; Delassus 2001) e tale attività si costituisce come evidenza della dipendenza

reciproca bambino\a/ambiente. Tale relazione di dipendenza si può ovviamente

declinare secondo molteplici possibilità ivi comprese le relazioni di dipendenza

patologica. L’eccesso di dipendenza o la difficoltà a dipendere affettivamente in

modo sano si palesano come aspetti negativi per lo sviluppo del Sé e del Sé nelle

relazioni. Una relazione primaria bambino/ambiente che si presenti come carente,

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assente, traumatica (Lyons-Ruth 1999), di patologica inversione dei ruoli di

accudimento (Bowlby 1988) o di eccessiva dipendenza non si dispone a favore di uno

sviluppo normale e libero dell’individuo e ostacola o nega l’accesso ad una sana

identità e una positiva affermazione di sé nel mondo e dunque all’interno delle

relazioni interpersonali. La prima relazione bambino\a/caregiver è quella fondante i

meccanismi di autoregolazione e regolazione interattiva e affettiva, meccanismi

psicologici (e biologici) intimamente relazionali che si strutturano in più o meno sane

relazioni di inter-dipendenza affettiva. Consideriamo dunque primaria la relazione di

interdipendenza cargiver-bambino\a, per lo sviluppo delle capacità di autoregolazione

e di regolazione interattiva.

La teoria psicologica che per prima ha osservato scientificamente e codificato tale

relazione primaria è la teorie detta dell’Attaccamento. Il suo ideatore è lo

Psicoanalista Inglese John Bowlby che ispirato dagli studi etologici di Konrad Lorenz

(1949) e influenzato dagli studi di Spitz (1962) e Harlow (Bowlby 1969) ha ideato

una teoria che ha permesso una più rigorosa osservazione dello sviluppo infantile e

aperto alla psicologia clinica e alla psicoanalisi, le porte della ricerca sullo sviluppo

psicologico secondo criteri di osservazione e raccolta dati rigorosi e di facile

comprensione. Illustreremo dunque le vicende e le caratteristiche della teoria

dell’Attaccamento intendendo tale vertice teorico come una chiara visione (non certo

l’unica e non per forza la migliore e la più esaustiva) del concetto di Dipendenza

quale dato teorico che illustra e definisce aspetti fondamentali dello sviluppo

psicologico e biologico degli individui, sin dalla primissima infanzia. In tal senso il

termine Attaccamento contiene e complessizza quello di Dipendenza dando a

quest’ultimo una più chiara definizione non necessariamente patologica.

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Dipendere per crescere: la teoria dell’Attaccamento

John Bowlby (1980), riesaminando la natura del legame madre bambino, cui la

tradizione si riferiva con il termine Dipendenza, ha teorizzato tale legame come la

risultante di un preciso e in parte preprogrammato sistema di schemi comportamentali

che nell’ambiente normale si sviluppa durante i primi mesi di vita e che produce

come effetto il mantenimento della prossimità del bambino alla madre (Bowlby

1969). Il postulato è che il comportamento risultante, ora detto di “Attaccamento”

abbia la funzione biologica di protezione dal pericolo e in particolare dai predatori.

Alla fine del primo anno di vita il comportamento di Attaccamento, si organizza

ciberneticamente ovvero si attiva e cessa secondo diverse circostanze ambientali e

relazionali. Ad esempio il dolore, la fatica e l’eventuale inaccessibilità (vera o

percepita) della madre attivano il comportamento di attaccamento. L’intensità

dell’attivazione comportamentale determina le condizioni che permettono il suo

cessare. Per una bassa attivazione la semplice visibilità o voce materna (elemento

molto efficace) possono essere sufficienti al cessamento del comportamento di

Attaccamento. Per intensità maggiori di attivazione del comportamento stesso sarà

necessario che la bambina tocchi o si aggrappi alla madre. Ad una elevata intensità

saranno necessari prolungati momenti di vicinanza e cura affettuosa perché il

bambino plachi la sua angoscia e il suo tormento. Il comportamento di Attaccamento

si manifesta in entrambi i sessi e a tutte le età e si rivolge alle persone da cui si

attendono o cui si vogliono richiedere le cure e/o la vicinanza. Il comportamento di

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Attaccamento è intimamente legato al tipo di relazioni che l’individuo ha

sperimentato nella famiglia o eventualmente al di fuori di essa nel senso che

precocemente viene a crearsi un modello, detto modello operativo interno, specifico

di un individuo e che dunque ne codifica le manifestazioni comportamentali di

attaccamento nelle diverse relazioni. Appare ovvio che il comportamento genitoriale

sia una variabile fondante del comportamento di attaccamento filiale, nei suoi aspetti

non predeterminati e nell’intensità delle emozioni che vi si associano. Il

comportamento genitoriale anche esso definibile di “Attaccamento”, è fortemente

radicato nella biologia umana e degli altri mammiferi, ma è anche il prodotto di un

apprendimento sociale che l’individuo avuto nel corso delle sue esperienze

relazionali. Dunque tale comportamento genitoriale, come quello di Attaccamento,

quello sessuale, quello di nutrizione, quello di esplorazione e altri, avendo come

target la sopravvivenza individuale, della prole e dunque della specie, sarà in parte

preprogrammato biologicamente.

Il contributo teorico di John Bowlby

In alternativa alla teoria pulsionale di Sigmund Freud, nasce e si sviluppa negli anni

sessanta, la corrente psicoanalitica detta delle "Relazioni Oggetuali". Come fanno

notare Greenberg e Mitchell (1983), dietro all' apparente diversitˆ delle varie teorie si

è potuto intravedere una convergenza di interessi per le relazioni fra le persone

ovvero perle"Relazioni Oggettuali". Lo psicoanalista John Bowlby (1907-1990),

viene usualmente incluso in questa corrente psicoanalitica (cfr. Greenberg e Mitchell

1983).

Lo stesso Bowlby (1969), pur ribadendo la specificità delle sue teorizzazioni, si

riconosce negli interessi precipui della suddetta corrente. Pur aderendo alla teoria

delle relazioni oggettuali e riconoscendo in M. Klein, Fairbairn, Winnicott e Balint

delle importanti figure di riferimento, Bowlby (1969) denuncia una grave lacuna di

questo orientamento, ovvero la mancanza di una teoria dell' istinto alternativa a quella

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freudiana. Similmente a Freud, Bowlby utilizza, come paradigma teorico di

riferimento, le scienze affini e riflettenti il clima scientifico del momento, basando

per˜ le sue teorizzazioni su dati clinici. Egli fa riferimento agli studi etologici di

Konrad Lorenz (1935) e ai modelli di Miller, Galanter e Pribram, ove i concetti

principali al posto di quelli freudiani di "energia” e "scarica", presi in prestito dalla

fisica, sono quelli di: sistemi comportamentali e del loro controllo; informazione;

retroazione negativa e di una forma comportamentale di omeostasi.

Il distacco di Bowlby dalla teoria delle pulsioni non gli impedisce di cogliere l'alta

valenza paradigmatica e dialettica dell'opera freudiana. Egli nella sua accurata ed

omogenea analisi dell'opera dello psicoanalista viennese, da cui comunque si

differenzia, cerca, pur senza scendere a compromessi teorici e/o terrninologici, di

trovare elementi comunque consonanti con la sua nuova ipotesi.

Altresì si propone di dimostrare come la gran parte dei concetti fondamentali del suo

schema teorico si possano ritrovare esplicitamente formulati nella grande opera di

Sigmund Freud (Bowlby 1969 pag.16). Bowlby, non in contrasto con la clinica

freudiana, critica la a-scientificità della teoria, in merito ad alcuni punti che si

rivelano incompatibili con gli assunti della sua teorizzazione. Allo stesso modo però,

riconosce nell'opera di Freud l'unico esempio completo di teoria degli istinti umani .

Bowlby (1969) definisce il modello fereudiano "modello dell' energia psichica",

sottolineando come Freud lo abbia introdotto nella psicoanalisi senza però averlo

derivato dalla pratica psicoanalitica, bensì prendendolo a prestito dalle scienze “forti"

del suo tempo. Diversamente, sostiene Bowlby (1969), i modelli delle relazioni

oggettuali derivano dall' esperienza clinica e dai dati ottenuti durante l' analisi dei

pazienti.

Il concetto di Relazioni Oggettuali (cfr. Greenberg e Mitchell 1983 per un rassegna)

nasce come parte integrante della teoria delle pulsioni di Freud.

L'oggetto in Freud è l' oggetto libidico e più tardi l'oggetto della pulsione aggressiva.

L' oggetto freudiano non è un qualsiasi elemento, ma quell' elemento che costituisce

il bersaglio della pulsione. Inizialmente, per Freud, il bambino è un individuo nel

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quale operano singolarmente pulsioni parziali; la pulsione sessuale quale motivante e

unificata non è ancora presente. L'insieme delle esperienze di soddisfazione

porterebbe il bambino a formarsi una immagine di ciò che corrisponde/è uguale a

soddisfazione.

L’ associazione delle soddisfazioni con le condizioni in cui sono state esperite,

porterebbe alla formazione dell' oggetto (quale indirizzo delle pulsioni) .

Per Freud, la meta essenziale dell' individuo è raggiungere uno stato di quiescenza,

ovvero di libertà dalla pressione di stimolazioni endogene . Altresì la certezza del

ridestarsi del bisogno sarebbe il motivo più immediato che spingerebbe l'individuo a

rivolgere sull' oggetto (sessuale per Freud) un investimento durevole ad amarlo cioè

anche negli intervalli fra la soddisfazione del desiderio e il ridestarsi dello stesso.

In questo modo si osserva come la relazione con l'oggetto sia assolutamente

secondaria alla soddisfazione del desiderio in quanto mezzo per il raggiungimento

dello scopo (la soddisfazione del desiderio con relativa/temporanea assenza dello

stesso).

Vediamo quindi come per Freud l' oggetto debba convenire all' impulso. Di contro

per i teorici del modello relazionale, I'impulso è semplicemente una strada per lo

scopo principale cioè, mettersi in relazione con l' oggetto. La relazione con l’oggetto

avrebbe un significato primario e non sarebbe quindi un mero mezzo per la

soddisfazione pulsionale.

Uno dei problemi piu controversi del pensiero psicoanalitico contemporaneo, rimane

quello inerente la natura dei legami fondamentali che tengono insieme le persone;

con la sua opera teorica John Bowlby ha affrontato direttamente tale importantissima

questione.

La teoria psicoanalitica spiega il funzionamento della personalità in termini

ontogenetici. ll processo psicoanalitico, lavora risalendo dal presente, nell' hic et nunc

terapeutico, cercando di ricostruire l'iter ontogenetico,

le fasi di sviluppo (per Freud e per i freudiani: "sessuali"), il cui peculiare andamento

porterebbe, come risultato delle esperienze individuali, ad una specifica condizione

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attuale.

J. Bowlby si attesta su di una posizione opposta , induttiva (Bowlby 1969). ll

punto di partenza non è più un sintomo o una sindrome da cui cercare di

risalire ad eventi o processi che possono aver contribuito alla loro formazione ed

elicitazione ma, in un' ottica coscientemente presa in prestito dalla fisiologia, si

propone di identificare un agente potenzialmente patogeno per Io sviluppo della

personalità (più avanti vedremo come questo "elemento patogeno" sia per Bowlby un

prolungato distacco del bambino dalla madre, quale interruzione della relazione con

essa).

Bowlby (1969) ritiene che la prospettiva psicoanalitica, il metodo "storico", siano

sempre e comunque fondamentali nella clinica psicoanalitica, mentre per quanto

concerne il piano scientifico, il metodo delle scienze naturali sarebbe invece

risolutivo riguardo i numerosi problemi che incontrerebbe la psicoanalisi nel tentativo

di assurgere a scienza comportamentale; il metodo storico “a scopo di ricerca può e

deve essere completato dal metodo delle ipotesi, dalle previsioni da esse dedotte e

dalla convalida sperimentale" (Bowlby 1969 pg. 28). Quindi per convalidare la teoria

evolutiva psicoanalitica sarebbero necessarie previsioni confermate in seguito dall'

osservazione diretta del fanciullo. Bowlby (1969) fa notare come Freud stesso nei Tre

saggi (1905) raccomandi l' utilizzo dell' osservazione diretta del fanciullo come

elemento complementare delle indagini psicoanalitiche. Anche per quanto riguarda la

teoria etiologica freudiana, Bowlby ne sottolinea punti concordanti con la sua teoria

affermando come nel periodo postulato da Freud, la separazione dalla madre possa

risultare traumatica specialmente se il bambino viene posto in ambiente estraneo e fra

persone estranee; il periodo della vita nel quale questo evento si rivelerebbe come

traumatico, coinciderebbe strettamente con quello indicato da Freud come quello in

cui il bambino risulta più vulnerabile ovvero i primi sei anni.

Il concetto di "Trauma" (cfr Laplanche Pontalis, 1989) occupa una parte non

irrilevante nelle opere dell' ultimo Freud (1915-17; 1932; 1934-38; 1938). Egli

conclude che il trauma sarebbe funzione dell' interazione fra due fattori: I'evento

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stesso e la costituzione dell' individuo che lo sperimenta. Una esperienza che

sottoponga la personalità ad un pressione eccessiva, ovvero ad una quantità di

eccitazione che esuberi dalla capacità dell' individuo di affrontarla, provocherebbe

una reazione patologica insolita. Le differenze individuali fanno si che uno stesso

evento risulti traumatico per alcuni e meno, o addirittura per nulla traumatico per

altri. Ciò nonostante vi è una fase della vita, corrispondente ai primi cinque sei anni,

in cui ogni essere umano tende ad una maggiore vulnerabilità agli eventi avversi, in

virtù di una immaturità e/o scarsa resistenza dell'io. Tale vulnerabilità favorirebbe

soluzioni di compromesso quali la rimozione o la scissione; ed è in virtù di ciò che,

per Freud, le nevrosi si strutturerebbero nella prima infanzia.

Freud comunque non si interessò particolarmente ai primi mesi di vita del bambino,

incerto sulla loro importanza ritiene come "non si possa determinare con sicurezza

quanto tempo dopo la nascita incominci il periodo di ricettività” (Freud 1934-38).

La separazione dalla madre nei primi anni di vita, non si discosta dalla definizione

freudiana di evento traumatico per quanto Freud non l' abbia considerata (tale

separazione) come una particolare classe di eventi traumatici.

Al contrario, dopo Freud, molti studiosi compirono delle osservazioni sui bambini in

condizione di separazione dalla madre. Bowlby ispirato dalle ricerche di Anna Freud,

James Robertson e Dorothy Burlingham, basate sull' osservazione diretta del

fanciullo in circostanze di ospedalizzazione e istituzionalizzazione, propose di

osservare il bambino in determinate situazioni, in cui la variabile principale fosse il

distacco dalla madre. In questo modo ci si proponeva, in primis di ricavare la

descrizione di alcune fasi precoci del funzionamento della personalità e, in secondo

luogo, la possibilità di fare previsioni sull' evoluzione successiva in virtù di quanto

osservato.

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Percorsi teorici

Nei primi anni '40, Dorothy Burlingham e Anna Freud (1942-1943), compirono delle

osservazioni in nidi d'infanzia durante la seconda guerra mondiale, su bambini sani di

età compresa tra la nascita i 4 anni circa, i quali dopo la separazione venivano assistiti

nelle migliori condizioni di cui si poteva disporre in un nido d'infanzia in tempo di

guerra (Bowlby, 1969). In un secondo momento Spitz e Wolf osservarono 100

bambini di madri nubili, allevati in istituzioni carcerarie (Spitz e Wolf, 1946). Più

avanti J. Robertson compì altre ricerche fra il 1948 e il 1952 pubblicando poi nel

1962 vari resoconti genitoriali sul modo in cui i bambini avevano reagito durante e

dopo un periodo di ospedalizzazione in cui la maggior parte di essi erano stati

separati dalla madre (cfr Bowlby 1969 per una rassegna).

Dalle prime pionieristiche ricerche di Anna Freud, l'osservazione infantile divenne

sempre più praticata e numerosissime risultano le ricerche in questo campo.

Nella relazione redatta nel 1951 per l'OMS “Maternal care and mental health”

Bowlby indica gli effetti negativi delle interruzioni del rapporto madre-bambino,

ovvero le conseguenze nocive attribuibili a carenze materne durante l’infanzia. In

questo suo studio Bowlby sottolinea quanto la salute mentale del bambino dipenda in

gran parte dalla possibilità di sperimentare un rapporto intimo, affettuoso e

ininterrotto con la madre, o con un adeguato e stabile sostituto.

In questa fase del lavoro non era ancora chiaro come e perchè le carenze

nell’interazione fra madre e bambino avessero un’influenza cos“ determinante e

negativa sullÕequilibrio psichico del bambino.

La teoria psicoanalitica classica come anche quella comportamentista

dell’apprendimento sociale" pur conferendo grande importanza alla relazione madre-

bambino concepiscono la “motivazione sociale" come "pulsione secondaria" derivata,

e quindi subordinata, alla soddisfazione da parte della figura materna, delle esi-genze

fisiologiche, in particolare di nutrimento e di calore.

Le osservazioni condotte sui bambini istituzionalizzati non trovavano nella "teoria

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della pulsione secondaria" una risposta adeguata, visto che tali bambini, per quanto

regolarmente accuditi e nutriti, presentavano effetti negativi in seguito all'esperienza

di istituzionalizzazione e quindi di separazione dalla figura materna. Bowlby chiarito

come l'ambiente estraneo non fosse la causa principe del disagio verificatosi, ma solo

un ulteriore carico, propose, in base alle sue osservazioni che la vera causa di tale

disagio fosse la separazione dalla madre. Egli ipotizzò l'esistenza di un

"comportamento di attaccamento" avente una sua propria dinamica motivazionale,

distinta dalla gratificazione pulsionale.

Bowlby, nei suoi scritti, non fa riferimento a "bisogni" o "pulsioni" ma intende come

comportamento di attaccamento ciò che si manifesta nell'attivarsi di certi sistemi

comportamentali. Questi ultimi si svilupperebbero nel bambino nell'interazione col

suo ambiente e in particolare con la madre quale figura principale all'interno di

questo.

L'ipotesi di Bowlby, fondantesi sulla "teoria del comportamento istintivo", assume

che il legame del bambino con la madre: “sia il prodotto della attività di diversi

sistemi comportamentali che hanno come risultato prevedibile la vicinanza alla

madre" (Bowlby 1969). In un certo stadio dell'ontogenesi di quei sistemi

comportamentali responsabili dell' attaccamento, la vicinanza alla madre diverrebbe

un fine stabilito.

Nella ricerca di spiegazioni alternative a quelle psicoanalitiche e comportamentiste,

Bowlby mutua i principi metodologici e concettuali di un’allora giovane scienza,

l’etologia. A partire da questo momento l’osservazione diretta diviene per Bowlby il

metodo elettivo di ricerca, nonchè l’attenzione si focalizza anche sull’ importanza,

per lo studio di specifici comportamenti, dell’ osservazione di animali di specie

inferiori in situazioni naturali, metodo principe della ricerca etologica.

In particolare, a sostegno delle sue intuizioni, che lo avevano fatto allontanare dalla

"teoria della pulsione secondaria", Bowlby si riferisce ai ben noti esperimenti di K.

Lorenz sugli uccelli e di Harlow sulle scimmie Rhesus.

In una serie di esperienze divenute celebri, Harlow ha dimostrato sia la necessità di

Page 15: Attaccamento e Dipendenza

15

un legame d'attaccamento tra il piccolo Rhesus e la madre, sia tutte le implicazioni

che questa mancanza di attaccamento comportava.

Delle giovani scimmie Rhesus furono allevate in una condizione di isolamento

sociale più o meno completo fin dalla nascita. Quando si proposero alle piccole

scimmie delle madri artificiali, esse risultarono preferire le madri/fantoccio rivestite

di stracci morbidi alle “madri” di filo metallico. Tale preferenza rimase immutata

anche quando ai fantocci di metallo venne aggiunto un biberon con del latte.

Harlow concluse che il conforto relativo al contatto, o l'attaccamento, costituiva una

variabile di maggiore incidenza nel legame con la madre, superiore anche all'apporto

del nutrimento.

Maggiore risulta essere l'influenza dell'opera di Konrad Lorenz sul lavoro di J.

Bowlby.

Il fenomeno dell'imprinting, descritto per primo da Lorenz risulta essere

un'irrinunciabile base teorica per la teoria scientifica bowlbiana. Lorenz richiamò

l'attenzione sul fatto che in molte specie di uccelli il comportamento di attaccamento

finisce presto col focalizzarsi su un oggetto particolare o su una particolare classe di

oggetti. Egli definì anche l'imprinting come "quella forma di apprendimento che si

svolge in un giovane uccello durante la particolare attività che consta nel seguire un

oggetto in movimento". Lorenz (1949) mostrò come nei piccoli di oche ed anatre, a

poche ore dalla nascita vi fosse una tendenza a seguire qualsiasi oggetto in

movimento, fosse esso la madre, una scatola di cartone o lui stesso. Egli accolse una

piccola oca appena fuoriuscita dall'uovo, con un guanto di pelliccia e subito dopo

rispose ai segnali di saluto dell’animale. Da questo momento il piccolo animale non

smise più di seguirlo: "Le oche reagiscono istintivamente al verso dei genitori o di

altre oche che esprimono l'intenzione di spostarsi di luogo. La persona che si prende

cura delle oche può imitare assai bene questo verso, inducendole cosi a seguirla"

(Lorenz, 1949 pag 102).

Per certi determinati aspetti il processo di imprinting si differenzierebbe in maniera

fondamentale da un normale processo di apprendimento. Quattro sono le principali

Page 16: Attaccamento e Dipendenza

16

caratteristiche dell’ imprinting: a) si verifica solo in una breve fase iniziale del ciclo

di vita; b) è irreversibile; c) è una forma di apprendimento sovraindividuale; d)

influenza quei modelli comportamentali che ancora non si sono sviluppati, come per

esempio la scelta del partner sessuale.

Bowlby segue e analizza la teoria di Konrad Lorenz sull'imprinting e ne accetta,

quale utile riferimento teorico, la versione più elastica nonchè arricchita da posteriori

contributi e speculazioni di altri studiosi come: Thorpe, Sluckin, Bateson e Hinde

(cfr. Bowlby 1969 per una rassegna). In questo senso si attribuisce al termine

imprinting un significato più generico: "Qualunque processo contribuente a far

volgere il comportamento di attaccamento filiale di un giovane uccello o mammifero,

preferibilmente e stabilmente, verso una o più figure discriminate" e per estensione

anche altre forme comportamentali verso oggetti particolari: per esempio il

comportamento materno verso particolari piccoli o quello sessuale verso particolari

partner (Bowlby 1969 pp. 211-212).

Bateson intende come imprinting quel processo di restrizione delle preferenze sociali

ad una specifica classe di oggetti.

Incostante accordo con la teoria evoluzionistica darwiniana, Bowlby (1969; 1982 )

ritiene, che il modo in cui l'attaccamento nel piccolo umano si sviluppa e si focalizza

su una figura discriminata, sia abbastanza simile a quello di altri mammiferi e uccelli,

cos“ da poterlo includere nella categoria dell'imprinting, ferme restando le differenze

nei tempi e nelle fasi dell'ontogenesi.

Lo sviluppo e il persistere del comportamento di attaccamento, in assenza delle

tradizionali ricomcompense e addirittura in presenza di trattamenti punitivi, sono per

Bowlby (ibidem) ulteriore prova della inadeguatezza euristica della teoria pulsionale

riguardo all'attaccamento del bambino alla madre.

Il piccolo dell'uomo gode della compagnia umana, reagisce agli stimoli sociali e

prontamente li ricerca; l’approvazione sociale di un adulto verso un bambino agisce

come rinforzo su quest’ultimo fino a favorire un rilevante aumento nelle abilitˆ

specifiche.

Page 17: Attaccamento e Dipendenza

17

L'attaccamento verso figure che non abbiano soddisfatto esigenze fisiologiche, come i

coetanei, costituisce un ulteriore elemento a favore dell'ipotesi bowlbiana di un

comportamento di attaccamento indipendente da soddisfazioni pulsionali.

Comportamento di attaccamento e sistemi di controllo

Dall'osservazione dei piccoli di specie "inferiori", risulta che in assenza dell'oggetto

preferito il piccolo attiva sequenze comportamentali di richiamo e, se può , di ricerca

di un individuo, preferibilmente un adulto della stessa specie. A contatto ristabilito

smette di richiamarlo e di cercalo, proprio in virtù del contatto fisico con esso o

comunque della sufficiente vicinanza di questo.

Il modello della scarica pulsionale risulta a Bowlby inadeguato a spiegare tale

sequenza nella quale il rifornimento di cibo, quale abbassatore di tensione, svolge una

parte secondaria nei mammiferi come nell' uomo.

Verificando tale sequenza nei bambini di oltre sei mesi, egli propone di spiegare tale

"comportamento di attaccamento" basandosi sul concetto dei "sistemi di controllo" e

utilizzando, per comprendere le basi del comportamento istintivo, principi e concetti

della teoria del controllo, teoria nata nell'industria meccanica e giˆ applicata alla

fisiologia.

In fisiologia la teoria del controllo spiega come i processi omeostatici di un

organismo vivente, come per esempio quelli inerenti l'equilibrio temperico, quello

acido basico o ancora i processi omeostatici che regolano l’equilibrio della

concentrazione ematica, attraverso continui aggiustamenti resi possibili da

informazioni di ritorno -feedback-, controllino continuamente i più o meno normali

squilibri che si verificano nell’organismo stesso.

Da un punto di vista comportamentale una sequenza di comportamenti può essere

attivata dal variare di alcuni parametri e successivamente essere fatta cessare da

appositi segnali. Tutto questo avviene tramite quei processi di valutazione consci e

inconsci (centrali nella teoria del comportamento istintuale), che compiono un

Page 18: Attaccamento e Dipendenza

18

continuo monitoraggio sulle variazioni interne e quelle esterne, ambientali.

La possibilità di un continuo controllo dei parametri vitali, fondamentalmente la

lontananza del pericolo in senso lato, aumenta quella che in biologia va sotto il nome

di fitness, cioè la capacità/possibilià adattiva di un individuo o di una specie tutta di

sopravvivere (e di riprodursi) in un determinato milieu . Ed è proprio la possibilità di

mantenere entro limiti stabiliti tali parametri vitali nonostante le variazioni

ambienltali, che garantisce una maggiore possibilità di sopravvivenza.

Nello specifico del "comportamento di attaccamento", si osserva l'evidente tendenza

del bambino a mantenere la vicinanza/contatto con la propria madre (e in seguito con

altre figure significative) tramite sequenze comportamentali di richiamo come di

avvicinamento.

Bowlby (1969; 1988), in chiara ottica evoluzionistica, darwiniana, individua e

propone per il comportamento di attaccamento, una funzione biologica. Tale funzione

biologica sarebbe la "protezione dai predatori". Sancendo questo legame tra

comportamento di attaccamento e sopravvivenza, valido a partire dalle specie

inferiori fino ad arrivare all'uomo, egli spiega il perchè del persistere di tale

comportamento nei tempi e nelle linee dell'evoluzione biologica della specie. Il

comportamento di attaccamento come quello riproduttivo o alimentare, è uno schema

comportamentale iscritto nel patrimonio genetico umano, ed ha quindi specifiche

radici biologiche.

Il comportamento di attaccamento, le sequenze comportamentali che lo

compongono, è, quale comportamento istintuale, attivato da alcuni segnali/stimoli, in

particolare quelli che comunicano la rischiosità di una situazione. Alcune situazioni

non sono di per se stesse pericolose, ad esempio, il buio, movimenti bruschi, luoghi o

persone estranei, ma hanno comunque per il sistema di ricezione, geneticamente

determinato, una valenza allarmante indiscriminata, tale da poter attivare il

comportamento di attaccamento.

Coerentemente, come per tutti i sistemi di controllo, anche quello che organizza il

comportamento di attaccamento, deve essere sempre attivo e sensibile agli eventi

Page 19: Attaccamento e Dipendenza

19

rilevanti.

I sistemi di controllo del comportamento di attaccamento tengono in osservazione

due principali classi di eventi: eventi indicanti la presenza di un potenziale pericolo

stress esterno come interno, oppure riguardanti la "accessibilità" della figura di

attaccamento (spostamenti, lontananza, visibilità, disponibilità e possibilità/capacità

di risposta ai segnali del bambino).

Nell'uomo il comportamento di attaccamento risulta mediato da molti e diversi tipi di

comportamenti. Come già riportato, in un certo stadio dell'ontogenesi dei sistemi

comportamentali responsabili dell'attacamento, la vicinanza alla madre diviene un

fine prestabilito.

Bowlby (1969; 1982) descrive cinque modelli comportamentali: succhiare,

aggrapparsi, seguire, piangere e sorridere, che contribuirebbero all'attaccamento. Tali

modelli comportamentali inizialmente si eliciterebbero secondo uno schema fisso

senza che durante l’esecuzione vi siano modificazioni relative ad un fine

precipuo.

Più avanti, fra i 9 e i 18 mesi circa, con l’ accrescersi delle competenze del bambino,

questi cinque modelli verrebbero incorporati in più elaborati sistemi comportamentali

"corretti secondo lo scopo" (Bowlby 1969). Con questa ultima definizione si

intendono comportamenti aventi uno scopo stabilito, da ricercare, strutturati quindi in

modo tale da tenere sempre conto delle discrepanze tra lo scopo suddetto e la

prestazione/risultato.

A quattro mesi (circa) il sorriso ,mostrato dal bambino in seguito alla assenza della

madre costituisce un’azione a schema fisso che termina solo in braccio alla madre,

ma non è regolata a seconda della vicinanza o della responsività maggiore o minori

della figura di attaccamento. Un tale comportamento si dice “non corretto secondo lo

scopo” (ibidem).

Dagli 8-12 mesi in poi, invece, il comportamento di attaccamento è mediato da

sistemi più elaborati, corretti secondo lo scopo, che tengono conto delle variabili

quali la vicinanza o accessibilità della madre. Ad esempio, il comportamento di

Page 20: Attaccamento e Dipendenza

20

avvicinamento è portato avanti con continue correzioni, finchè la madre non è di

nuovo in contatto o anche solo visibile e/o ad una distanza accettabile.

Spesso diverse sequenze comportamentali corrette secondo lo scopo si succedono fra

loro come quando, ad avvicinamento avvenuto, succede alla locomozione il

tentativo/invito di essere presi in braccio o abbracciati. Tale successione di

comportamenti è evidentemente organizzata.

Per quanto il comportamento di attaccamento non scompaia mai del tutto, dopo i 3

anni, nella maggior parte dei bambini, tale comportamento si manifesta con minore

intensitàˆ e frequenza.

Questi cambiamenti sarebbero dovuti al fatto che da quest’età in poi il

comportamento di attaccamento stesso venga meno facilmente attivato e talvolta lo

sia con minore intensità. Al pari le condizioni per la cessazione tenderanno ad una

maggiore elasticità. Infatti con l'età il comportamento di attaccamento può essere

fatto cessare da una gamma sempre più ampia di fattori, di cui molti essenzialmente

simbolici come fotografie lettere o conversazioni telefoniche (ibidem).

Con Piaget (1950) potremmo affermare che questo avvenga nel momento del

raggiungimento dello stadio delle operazioni formali, normalmente in quel periodo

che va dalla pubertà all'adolescenza.

Ontogenesi del comportamento di attaccamento

Già alla nascita, il bambino è provvisto di diversi sistemi comportamentali, la cui

attivazione e cessazione sono subordinate a stimoli precipui rientranti in pi� o meno

ampie gamme. Alcuni di questi sistemi comportamentali, quali i sistemi primitivi che

mediano il pianto, la suzione, la prensione e l'orientamento del neonato, forniscono le

basi per il successivo svilupparsi dell'attaccamento.

Per quanto si parli di "primitività" vi è sempre, fin dall'inizio, un'evidente

Page 21: Attaccamento e Dipendenza

21

predilezione verso certi stimoli che normalmente dovrebbero provenire da un essere

umano.

In prima istanza possiamo attuare una distinzione fra comportamenti di segnalazione

(quali pianto, sorriso, vocalizzi) e comportamenti di avvicinamento.

Per quanto riguarda i primi, la loro valenza di "segnale" è tale nella misura in cui vi

sia un altro essere umano (possibilmente la madre) che risponde a questi. In questo

senso i comportamenti di segnalazione svolgono il loro ruolo adattivo, garantendo la

sopravvivenza, tramite il richiamo dell'altro.

Per quanto riguarda il comportamento di avvicinamento/mantenimento della

vicinanza, risulta necessaria una certa abilità motoria che permetta un livello anche

primitivo di locomozione e di mantenimento del contatto fisico. In questa seconda

classe troviamo comportamenti quale il seguire

e l'aggrapparsi.

Bowlby (1969) distingue e indica quattro fasi nello sviluppo del comportamento di

attaccamento.

Nella prima fase, di "orientamento e segnali senza discriminazione della persona"

(Bowlby 1969) la proposta interattiva del bambino, è tale in virtù della risposta

dell'ambiente. Il piccolo in questa fase, che va dalla nascita fino a circa 8 settimane,

non discriminerebbe se non uditivamente, le fonti delle stimolazioni, pur mostrando

una preferenza, specie-specifica, per gli esseri umani.

La seconda fase, "orientamento e segnali diretti verso una o più� persone

discriminate" (ibidem), durerebbe fino a circa 6 mesi. In questo spazio di tempo si

nota una preferenza verso la figura materna.

Solo verso la terza fase del "mantenimento della vicinanza a una persona discriminata

mediante la locomozione e mediante i segnali", possiamo parlare di attaccamento alla

figura umana. Infatti, dal 6¡ mese in poi, cioè dall'inizio di questa fase, alcuni dei

sistemi che mediano il comportamento di attaccamento di un bambino alla madre si

organizzano in modo “corretto secondo lo scopo”.

La quarta fase di "formazione di un rapporto reciproco, corretto secondo lo scopo", si

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22

attesterebbe, come inizi, tra i 2 e i 3 anni di età. In questa fase dello sviluppo, che

Bowlby stesso non riesce a circoscrivere cronologicamente in maniera precisa, il

bambino progredisce nel suo sviluppo , allarga la sua conoscenza del mondo e, cosa

fondamentale, comincia ad instaurare con la madre un rapporto di reciprocità. Egli

inizia ad intuire sentimenti e motivazioni materni e quindi anche a regolare, in base a

questi, il suo comportamento, ne tiene cioè conto.

La relazione di attaccamento: paradigmi e prospettive

Nello sviluppo del comportamento di attaccamento, così come nello sviluppo di ogni

tratto biologico, natura e ambiente si influenzano costantemente in modo reciproco.

La relazione madre-bambino non si sottrae a questo principio.

Secondo la Teoria dell’Attaccamento, la prontezza materna nel rendere "relazionali"

le primitive forme espressive del bambino , è retroattivamente un essenziale mezzo

per il progresso del bambino nelle sue abilità; le risposte dell'ambiente, fungono da

rinforzo sul piccolo. Oggi possiamo estendere questo importante concetto nei termini

di una interdipendenza più complessa e completa osservando come il piccolo sia un

attore di primo piano nella relazione non poi così “dipendente” dalle intenzioni

materne.

L’accrescersi e il perfezionarsi dell'abilità del bambino, connessi alla sua predilezione

verso la figura materna, sono un fondamentale incentivo per quest’ultima ad

impegnarsi ed implicarsi sempre più nella sua relazione col piccolo.

A questo proposito, viene da più parti indicata l'utilità e la funzione estremamente

positiva, di illustrare alla mamma come il suo piccolo sia già un concentrato di

incredibili abilità discriminatorie, per esempio quella di distinguere l'odore della

madre o anche la sua voce (Mac Farlane 1975 in: Stern 1987)

Da quanto detto, si può inferire come carenze nell'interazione madre-bambino siano

pericolosamente inficianti lo sviluppo dell'attaccamento reciproco come lo sviluppo

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23

psichico e socio-affettivo del bambino; ugualmente anche la psiche materna risulterà

profondamente investita dalle caratteristiche della relazione con il suo piccolo.

La figura materna di gran lunga la fonte principale di ogni stimolazione che un

bambino riceve e non ultimo, fornisce occasioni per un'esplorazione attiva del mondo

circostante. E' da aggiungersi che il ruolo di figura principale di attaccamento, può

essere svolto anche da persone che non siano la madre naturale.

Bowlby parla di "comportamento materno", intendendo una affettuosa e vivace

interazione con il bambino, insieme ad una pronta ed efficace reazione ai suoi segnali

e approcci.

Nel secondo anno di vita, la maggior parte dei bambini dirige il comportamento di

attaccamento verso più di una figura discriminata.

Non sono le cure fisiche offerte ai bambini a rendere un individuo oggetto di

attaccamento, ma la capacità/disponibilità degli adulti a dare a questi delle adeguate

"risposte sociali". Secondo i teorici dell’attaccamento, l’approvazione sociale di un

adulto, agisce come elemento di rinforzo sul bambino e favorisce un incremento nelle

abilità specifiche. E’ tuttavia comune esperienza clinica osservare come si possa

asserire l’inequivocabilità del meccanismo inverso ovvero come le diverse forme di

“approvazione” (anche indirette a.e. buoni ritmi fisiologici o generale serenità) dei

piccoli agiscano come rinforzo sui genitori. Cosa importante da sottolineare, è come

l'esistenza di più figure di attaccamento non rappresenti un segnale di debolezza e/o

affievolimento dell'attaccamento verso la figura principale. Si verifica piuttosto il

contrario: più è intenso l'attaccamento del bambino verso la figura principe, più

tenderà a dirigere tale comportamento verso altre figure.

L'attaccamento può poi essere diretto verso alcuni oggetti (per Winnicott

(1974) "Transizionali", per Bowlby (1969) "Sostitutivi"), senza per questo inficiare

la possibilità di rapporti soddisfacenti con le persone.

In assenza dell'oggetto naturale di attaccamento, uno inanimato potrà essere di esso

"sostitutivo", e per questo viene ricercato dal piccolo nei momenti di stanchezza,

malattia, disagio, sofferenza, ecc..

Page 24: Attaccamento e Dipendenza

24

Un eccessivo prolungamento nel tempo dell'attaccamento ad un oggetto

inanimato o la preferenza di questo alle relazioni con esseri umani, può invece

destare una lecita preoccupazione. Per quanto riguarda lo sviluppo del primo

attaccamento, Bowlby (1969) indica il secondo trimestre del primo anno, quale

periodo di sensibilità e prontezza del bambino a stabilire un attaccamento

discriminato.

In questo periodo D.Stern (1995) indica la svolta della prima interazione faccia a

facciaove il piccolo si mostra particolarmente attivo e competente interattivamente.

Per quanto dopo i 6 mesi le condizioni per sviluppare l'attaccamento non scompaiano

del tutto, esse tendono comunque a divenire più complicate, anche in stretta

corrispondenza con la comparsa dell’angoscia dell’estraneo descritta da Spitz (1962)

Già dopo 12 mesi di "reciproca conoscenza" tante madri e bambini hanno raggiunto

un grande adattamento reciproco. La relazione è biunivoca, i due si sono plasmati a

vicenda.

Il modo in cui ogni singola madre tratta il suo bambino, è il risultato complesso del

modo in cui le tendenze iniziali della madre sono state confermate, modificate o

incrementate dalla sua esperienza di realtà con il bambino.

Nella misura in cui rispondono alle iniziative del figlio, le madri differiscono fra loro

assai più che i bambini stessi. Si ritiene così che verso la fine del primo anno, le

mamme contribuiscano più dei loro figli, a determinare l'entità dell'interazione.

Un'interazione insufficiente può condurre ad un grave ritardo nello sviluppo

dell'attaccamento. Deficienze nello scambio e nell'attaccamento possono

probabilmente portare a certe forme di autismo, causate dal fatto che il bambino trova

troppo difficile prevedere le risposte sociali della figura materna (Bowlby 1969: con

riferimento a David e Appell 1966; Bettelheim, 1967; e Mahlerm 1965).

Vi è una stretta relazione tra la sensibilità materna nei primi mesi del bambino e i

modelli di attaccamento riscontrabili a 12 mesi (Bowlby 1969).

Bowlby specifica comunque, che il fatto che dopo i primi 12 mesi, la coppia abbia

stabilito una precisa modalità interattiva, non ha un eccessivo valore prognostico

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sulla stabilità dei pattern di attaccamento, fermo restando che l'organizzazione

esistente diviene col passare del tempo più difficilmente alterabile.

Nel concludere il primo volume "Attachment and Loss", Bowlby (1969) traccia la

quella che dovrebbe essere la probabile linea di sviluppo della personalità in accordo

con le sue osservazioni e deduzioni.

Dei genitori incoraggianti e collaborativi conferirebbero al piccolo il senso di essere

importante e di poter aver fiducia negli altri. Mettendolo in condizione di esplorare

l'ambiente senza timori, si promuoverà nel bambino, il giusto senso di competenza.

"Perciò se i rapporti all'interno della famiglia continuano a favorirle, non solo queste

modalità precoci di pensiero, sentimento e comportamento persistono, ma la

personalità diventa sempre più strutturata per operare in modi moderatamente

controllati e flessibili, ed è sempre più in grado di mantenersi tale anche in

circostanze avverse" (Bowlby 1969). Se l'iter di sviluppo ha un diverso svolgimento,

diversi saranno gli esiti, per esempio, strutture di personalità poco elastiche,

scarsamente controllate, vulnerabili, anch'esse permanenti. La struttura definitiva

della personalità influirà sul modo di reagire ai successivi eventi sfavorevoli tra cui i

più significativi risultano essere: rifiuti, separazioni e perdite.

E’ tuttavia importante dire come la soggettività del piccolo abbia una forte influenza

sui medesimi sistemi motivazionali dei genitori e sulla loro competenza e fiducia in

se stessi. Se un bimbo si mostra particolarmente difficile nella regolazione delle

funzioni fisiologiche principali o non ben sincronizzato con le comuni tappe

evolutive (fisiologiche o psicologico comportamentali)i genitori si potranno sentire

colpevoli e/o inadeguati e su questo impostare la loro relazione con la prole. Tale

circuito e contrattazione relazionale agirà nei termini di un continuo riaggiustamento

dove l’eventuale patologia o disarmonia relazionale sarà ascrivibile alle

caratteristiche complesse della relazione interpersonale di interdipendenza genitori-

figli.

Alcuni studiosi, fra cui Sroufe, Erickson, Egeland (1985) hanno tenuto vivo il

dibattito sulle implicazioni che il tipo di attaccamento madre- bambino avrebbe sullo

Page 26: Attaccamento e Dipendenza

26

sviluppo futuro della personalità, evidenziando come non si possa parlare di una

causalità lineare, deterministica fra attacamento nella prima infanzia e successivo

sviluppo e assestamento della personalità, senza tenere da conto le mutazioni

ambientali del sistema con cui l'individuo è in interrelazione anche dopo la prima

infanzia. D'altronde anche Bowlby (1969), come sopra riportato, descrive e qualifica

la continuità delle condizioni ambientali quale elemento favorente lo sviluppo di

auspicabili modalità di pensiero, affettive e comportamentali.

Mary Ainsworth e i modelli di attaccamento

I primi ampliamenti e le prime conferme a livello sperimentale , della teoria

dell’attaccamento, vennero dagli studi transculturali della ricercatrice americana

Mary Ainsworth, incentrati sulla osservazione di alcuni bambini nel corso del loro

primo anno di vita. Obbiettivo primo di tali ricerche era di verificare la presenza o

meno del comportamento di attaccamento nei bambini presi in esame.

Una prima ricerca fu condotta dalla Ainsworth in Africa, nella prima metˆ degli anni

sessanta, su 28 diadi madre/bambino di un villaggio dell’Uganda.

Similmente alle ricerche etologiche sugli animali, queste 28 diadi furono osservate

nel loro contesto naturale e familiare e non in un contesto pre-stabilito.

Successivamente le ricerche africane vennero sistematicamente replicate negli USA,

più precisamente nell’ area di Baltimora, su 26 diadi madre/bambino. Il

comportamento interattivo di ogni diade fu osservato nell’abituale luogo di

interazione ovvero in casa .

I risultati di queste ricerche condotte in casa vennero messi a confronto con quelli

ottenuti in laboratorio, tramite una procedura, la Strange Situation (Ainsworth et al.

1978), che consente di evidenziare e classificare, dettagliatamente, le differenze

individuali nel comportamento di attaccamento dei bambini di 12 mesi nei confronti

delle loro madri .

Dagli studi della Ainsworth, condotti su una popolazione normale, risultò come il

Page 27: Attaccamento e Dipendenza

27

modello prevalente, successivamente denominato B, fosse quello secondo il quale il

bambino riusciva ad equilibrare, in entrambi le situazioni a casa e in laboratorio, il

comportamento esplorativo con quello di attaccamento.

Questi bambini, chiamati dalla Ainsworth: “attaccati in modo sicuro”, se sottoposti ad

una situazione stressante, ricercavano il contatto fisico con la madre. Ciò accadeva

soprattutto se erano stati da poco separati dalla stessa. Allo stesso modo,una volta

consolati, tornavano tranquillamente ad occuparsi dei loro giochi ed ad esplorare

l’ambiente circostante.

Il comportamento elicitato dai bambini B risulterebbe così essere il più corretto

adattivamente, nel suo utilizzo della figura materna come “base sicura” (Bowlby

1988) e, allo stesso tempo in caso di pericolo/stress, quale target del comportamento

di attaccamento. Adattivo in quanto il bambino può trarre tutti i benefici

dall’esplorazione di un ambiente ricco di stimoli e allo stesso tempo, può assicurarsi

la difesa dagli stress ambientali tramite il ricorso alla vicinanza e il contatto materni.

In misura minore, circa il 20%, la Ainsworh classificò alcuni bambini come “A”.

Questi bambini mostravano un più o meno evidente evitamento della madre,

soprattutto al momento del suo ritorno,e furono descritti come ‘attaccati in modo

ansioso-evitante’.

Infine i bambini C (10 %) dimostratisi come i più collerici, o altresì “ più passivi,

evidenziarono una marcata ambivalenza tra la ricerca di vicinanza e contatto con la

madre e una contemporanea resistenza ad essa. Questi bambini furono a loro volta

descritti come: ‘attaccati in modo ansioso-resistente’.

Nel 1978, a 15 anni dall’inizio delle ricerche di Mary Ainsworth, viene pubblicato:

‘Patterns of Attachment’ (Ainsworth et al. 1978) ove sono presentati i risultati

provenienti dalla somministrazione della strange situation ad un ampio campione.

Già dalle sue prime osservazioni sui bambini Ganda Mary Ainsworth isolò, quali

indici qualitativi della relazione madre bambino, tre sistemi comportamentali:

l’utilizzo della madre come ‘base sicura’, dalla quale partire per esplorare l’ambiente;

l’angoscia per le quotidiane separazioni dalla madre e infine, la paura suscitata dall’

Page 28: Attaccamento e Dipendenza

28

incontro con “l’estraneo” (Spitz 1965).

La strange situation è stata strutturata in modo da poter osservare le seguenti classi di

eventi: il comportamento esploratorio sia in presenza che in assenza della madre; le

reazioni al suo andare e venire dalla stanza di laboratorio; ed infine la risposta del

bambino alla presenza dell’osservatore/estraneo. Tale procedura di laboratorio è volta

a stimolare, a diversi livelli di intensità, comportamenti in grado di mettere in luce la

capacità del bambino di spostarsi lungo un continuum esplorazione-attaccamento.

La strange situation è una metodologia di osservazione standardizzata il cui

obbiettivo precipuo la misurazione della qualità della attaccamento.

Il modello comportamentale del bambino verso un genitore, durante la strange

situation, rifletterebbe ampiamente la storia delle interazioni con la madre e la qualità

dell’attaccamento ad essa.

Dall'analisi dei dati sperimentali emerse come i bambini classificati come B in

seguito la strange situation, differivano notevolmente, rispetto alle variabili prese in

considerazione, dai bambini classificati rispettivamente come A o C.

Riguardo al comportamento in casa, alla età di un anno, i bambini del gruppo B si

distinguevano per alcune caratteristiche peculiari: difficilmente si mostravano

arrabbiati; piangevano poco; difficilmente si mostravano afflitti in seguito a

separazioni dalla madre e la salutavano apertamente al suo ritorno; frequentemente

intraprendevano azioni per avvicinarsi alla madre; rispondevano positivamente al

contatto materno e non reagivano negativamente al momento di interromperlo. Inoltre

i bambini del gruppoB, diversamente dai "non-B", risultarono aver strutturato

modelli comunicativi meglio sviluppati, nonché si mostrarono più accondiscendenti

verso le direttive materne.

Contrariamente, i bambini di entrambi i gruppi A e C (attaccati in modo ansioso) si

distinguevano per: un maggiore ricorso al pianto; una maggiore sofferenza per le

separazioni nonché per una maggiore frequenza di espressioni di rabbia. Nei bambini

Page 29: Attaccamento e Dipendenza

29

dei gruppi A e C si rilevò inoltre una certa inquietudine/irrequietezza nei momenti in

cui si trovavano a stretto contatto con la madre.

Mary Ainsworth ha supposto che la fonte delle alterazioni comportamentali nei

bambini di entrambi i gruppi A e C, potesse essere differente.

Laddove nei bambini classificati come C l'origine dei disturbi risiederebbe nella

mancata corrispondenza fra ciò che questi bambini desiderano e ciò che essi stessi si

aspettano di ricevere dal genitore nei bambini classificati come A sembrerebbe ci sia

un fondamentale conflitto fra: la volontà e il desiderio di cure e rassicurazioni

materne e la paura, con conseguente evitamento, del contatto fisico con la madre. Vi

sarebbe nei bambini A la necessità di gestire un conflitto tra avvicinamento al

caregiver e contemporaneo evitamento dello stesso.

Vediamo quindi come, per quanto sia i bambini A che i C vengano classificati come

"attaccati in modo ansioso", il pattern A sia la espressione comportamentale di un

sottostante e fondamentale conflitto.

Le ipotesi della Ainsworth furono confermate dal fatto che nel 66% dei bambini

venne riscontrato il modello di attaccamento B/sicuro.Vediamo ora nello specifico le

caratteristiche che accomunano, dal punto di vista comportamentale, i bambini del

gruppo B/attaccati in modo sicuro, secondo le indicazioni di M.Ainsworth e coll.

(1978).

Il comportamento dei bambini del gruppo B rispetto alle loro madri è nell' insieme

più positivo di quello manifestato dai bambini dei gruppi A e C. L'interazione con la

madre è più armoniosa; tali bambini si mostrano più cooperativi e, come già detto,

più accondiscendenti riguardo alle richieste materne. La loro ricerca della madre

sarebbe più positiva e meno ambivalente e conflittuale. In merito a ciò è utile

sottolineare come i bambini del gruppo B siano positivi e a-conflittuali nelle reazioni

al contatto fisico stretto con le loro madri, a casa come in laboratorio durante la

strange situation (ibidem). In laboratorio i bambini B utilizzano la loro madre quale

"base sicura" (Bowlby 1988) dalla quale intraprendere l'esplorazione dell’ambiente

Page 30: Attaccamento e Dipendenza

30

(non familiare); come in casa

Anche in laboratorio questi bambini passano la maggior parte del tempo

nel gioco e nell'esplorazione.

Nell’ esplorazione i bambini "sicuri" sono più abili e competenti. Essi si concentrano

sulle caratteristiche salienti del nuovo milieu e sono meno vulnerabili alla

frustrazione quando impegnati in operazioni di problem solving. In casa i bambini B

normalmente non piangono se la madre esce dalla stanza; nella situazione

sperimentale l'eccessiva durata delle separazioni (soprattutto negli episodi 6¡ e 7¡),

combinata con la estraneità dell'ambiente, fa sì che anche i bambini "sicuri" possano

piangere e cercare di seguire la madre. Questi bambini, comunque si calmano

facilmente tramite il contatto stretto con la madre. Passati due minuti scarsi si

lasciano mettere già senza protestare; al contrario si oppongono ad un rilascio

prematuro (ibidem).

Come già riferito, in laboratorio, i bambini sicuri tendono ad essere più

particolarmente cooperativi e obbedienti con il caregiver, in questo senso il

comportamento del bambino si adatta ad un nuovo ambiente che include però un

caregiver responsivo riguardo le sue necessità, le sue comunicazioni e i suoi segnali.

Il bambino risulta così predisposto a collaborare con gli sforzi che la madre compie

per tenere la situazione sotto controllo, rendendo così effettiva la funzione di

protezione (Bowlby 1969) della figura materna (Ainsworth et al. 1978 pg. 313).

Fondamentalmente, i bambini del gruppo B, risultano avere delle aspettative positive

riguardo alla responsività e alla accessibilità materna.

I comportamenti di evitamento e resistenza non sono peculiarità di questo gruppo

(B), sebbene nei sottogruppi B se ne possano evidenziare alcune tracce.

I bambini del Gruppo C a casa, come in laboratorio, piangono molto di più di quelli

appartenenti al gruppo B manifestando inoltre una maggiore ansia di separazione.

Questi bambini non sembrano avere fiduciose aspettative rispetto alla accessibilità e

alla responsività della loro madre. Conseguentemente risultano incapaci di utilizzare

quest'ultima come base sicura per l'esplorazione di un ambiente non familiare o,

Page 31: Attaccamento e Dipendenza

31

comunque, lo fanno meno efficacemente dei bambini "sicuri".

La presenza dell' estraneo per questi bambini è un evento altamente stressante che li

induce a ricercare la vicinanza materna. La paura dell’estraneo combinata con l'ansia

relativa all'accessibilità e alla responsività materne danno luogo ad un situazione a

più livelli disagevole. L'ansia che caratterizza il loro rapporto con la madre fa sì che

questi bambini (C) tendano a reagire alle separazioni da questa con un intenso ed

immediato disagio; il comportamento di attaccamento in questi bambini ha una soglia

molto bassa per l' attivazione ad alta intensità (Ainnsworth et al. 1978).

Come abbiamo visto la prontezza delle madri dei bambini B/sicuri nel consolare i

loro figli e la loro capacità di valutare il tempo necessario acchè possano staccarsi

nuovamente da lei, fan sì che l'esperienza dei bambini sicuri riguardo il contatto

fisico stretto con le loro madri, risulti utile e positiva. Il fallimento materno rispetto a

queste variabili renderebbe negativa l'esperienza dei bambini del gruppo C, riguardo

allo stretto contatto fisico con la madre. Conseguentemente, a casa come in

laboratorio, questi bambini si mostrano, rispetto al contatto fisico molto più

ambivalenti dei bambini B. Tale ambivalenza rifletterebbe un sottostante conflitto

diverso per natura da quello che caratterizza i bambini del gruppo A. I bambini del

gruppo C protestano rabbiosamente se la madre non si dimostra pronta a prenderli in

braccio o se vengono messi già anzitempo. Elevati livelli di disagio sono espressi,

durante l'intera procedura (Strange Situation), dai bambini del gruppo C, attaccati in

modo ansioso-resistente. Questi falliscono nell'utilizzo della madre come "base sicura" (Bowlby 1988) per le esplorazioni ambientali. La loro attenzione �

concentrata, per tutto il tempo della strange situation, sulla madre, dato il grande

spavento provocato dalla situazione e dalla presenza dell'estraneo. Per quanto

chiaramente angosciati dalle separazioni, questi bambini risultano fortemente

ambivalenti verso le madri al loro ritorno, ricercandone il contatto e

contemporaneamente resistendovi. E’ da sottolineare il fatto che nessun tipo di

comportamento materno, nessun suo tentativo è in grado di tranquillizzarli e di

placare la loro evidente collera.

Page 32: Attaccamento e Dipendenza

32

L’ ansia concernente la separazione dalla madre impedisce ai bambini C di

impegnarsi nell'esplorazione dell’ambiente circostante e di imparare tramite

l'esplorazione stessa. ciò si ripercuote ovviamente sullo sviluppo cognitivo ancor più

di quanto succeda nei bambini del gruppo A.

L'incapacità delle madri dei bambini C a rispondere ai segnali dei loro figli sarebbe

alla base dell’aggressività e della passività riscontrabili nei bambini C e in particolare

nel sottogruppo C2. Un bambino la cui madre si distingua per scarsa ricettività-

considerazione riguardo i suoi segnali svilupperà una profonda insicurezza rispetto

alla sua capacita di effettivo controllo su ciò che gli accade.

Nel sottogruppo C1 ritroviamo molto accentuata l'ambivalenza/ resistenza

caratteristica del gruppo C.

Una profonda collera può caratterizzare questi bambini fin dall'episodio precedente la

separazione. A prova di ciò vi è la contemporanea ricerca e resistenza al contatto e

all’interazione espressa tramite un rifiuto aggressivo. Collera e resistenza poi,

possono essere dirette anche verso l'estraneo. L'ambivalenza di cui sopra risulta

evidente negli episodi di riunione. Questi ultimi frequentemente preceduti da elevati

livelli di ansia e disagio dati dalla precedente separazione .

La sottocategoria C2 invece caratterizzata da una marcata passività sia nella ricerca

di prossimità/contatto materni che nell'esplorazione dell'ambiente. Dopo le

separazioni, per farsi consolare dalle madri, utilizzano comportamenti di

segnalazione, protestando se messi già da una posizione "in braccio". Tuttavia non

mostrano alcun segno di resistenza attiva a ciò. In aggiunta, confrontati ai bambini

della sottocategoria C1, i bambini della sottocategoria C2 risultano meno collerici.

Il modello di attaccamento A, ansioso-evitante, si presenta nel campione analizzato

da Ainsworth (1978) con una frequenza del 20% circa e si caratterizza in primis per

l'evidente evitamento della vicinanza e dell' interazione con la figura materna

nell'episodio di riunione della strange situation, infatti al suo ritorno non la salutano

se non casualmente; presi in braccio si mostrano passivi, non si aggrappano nè si

oppongono al rilascio. Il raro disagio provato durante le separazioni pare dovuto più

Page 33: Attaccamento e Dipendenza

33

al fatto di essere soli che dall'effettivo allontanarsi della madre. Questi bambini

risultano essere maggiormente interessati all'ambiente circostante ed ai giochi che

all'interazione con la madre, tendendo inoltre a trattare l'estraneo come la madre e a

volte mostrandosi meno evitanti col primo.

Nei bambini del gruppo A, il contrasto fra il comportamento in casa e il

comportamento durante la strange situation presenta un apparente paradosso. Nella

strange situation si registrano a livello comportamentale delle differenze sostanziali

fra i bambini del gruppo A e quelli del gruppo C. Di contro il comportamento in casa

degli stessi bambini dei due gruppi A e C risulta simile per molti aspetti, in

particolare per l'alta frequenza dei pianti e ancor più per il fatto che i bambini di

entrambi i due gruppi spesso manifestano ansia di separazione con una frequenza

maggiore dei bambini del gruppo B.

ciò che appare paradossale nel comportamento dei bambini A è che, a dispetto delle

frequenti reazioni negative alle separazioni in casa, questi bambini piangono poco o

addirittura non piangono in seguito alle separazioni in laboratorio nel 4° e nel 7°

episodio della strange situation.

L'aspetto centrale del comportamento di questi bambini risulta essere (Ainsworth et

al. 1978) l'evitamento della madre negli episodi di riunione della strange situation nei

quali il comportamento di attaccamento degli altri bambini (B e C) viene attivato ad

alta intensità.

L'evitamento della madre dopo gli episodi di separazione come anche la

disattivazione del comportamento di attaccamento durante e dopo lunghi periodi di

separazione (Bowlby 1969) assolverebbero ad una funzione difensiva (Ainsworth et

al. 1978). Particolarmente importante rispetto a questo aspetto è l'evidente rifiuto

verso i figli espresso dalle madri dei bambini del gruppo A, soprattutto se in

riferimento alle madri dei bambini degli altri due gruppi B e C. Tale rifiuto si

manifesta soprattutto attraverso il respingimento del contatto corporeo stretto con il

bambino. Conseguentemente le esperienze dei bambini del gruppo A inerenti il

contatto fisico risultano essere spiacevoli e insoddisfacenti. Si viene così a creare nel

Page 34: Attaccamento e Dipendenza

34

bambino un conflitto fra i due comportamenti di ricerca ed evitamento del contatto

fisico materno, caratteristico dei bambini A. Il comportamento materno di prendere in

braccio e stringere a sè il proprio figlio risulta essere il fattore determinante acchè il

comportamento di attaccamento del bambino abbia termine.

Il comportamento di attaccamento dei bambini A verrebbe ripetutamente frustrato

dalle esperienze negative con la madre la quale, fornendo un' esperienza

deficitaria,relativamente al contatto corporeo, non creerebbe i presupposti per il

termine del comportamento di attaccamento del figlio. In questo senso allora il

comportamento evitante

assume un significato difensivo nei riguardi di una probabile frustrazione del

desiderio del bambino di uno stretto contatto fisico con la madre.

Tale frustrazione giustificherebbe poi la caratteristica collericità dei bambini A

(Ainsworth 1978 in riferimento a Main 1977a).

Nella strange situation il più evidente segno di evitamento è il costante ignoramento

della madre, a dispetto degli sforzi che questa compie acchè il figlio le si avvicini.

Con riferimento a comportamenti evitanti, nella strange situation, si registra spesso da

parte del bambino l'evitamento dello sguardo della madre. Fatto importante è che ciò

si verifica con più evidenza nel 3° episodio della strange situation quando l'estraneo

entra nella stanza e si avvicina al bambino. Non Ž tanto il comportamento di

evitamento dello sguardo in sè ad essere insolito ma ciò che è degno di nota é il fatto

che tale comportamento si manifesti in un momento in cui la risposta, di norma più

auspicabile, sarebbe la ricerca del contatto materno e/o il tentativo di reintraprendere

l'interazione con lei.

Anche il comportamento di evitamento dello sguardo ("gaze aversion") ha comunque

una sua funzione precipua in quanto verrebbe intrapreso dal bambino al fine di

modulare il suo stesso livello di arousal/attivazione quando si trova vis a vis con il

caregiver.

Il comportamento di evitamento riduce il livello di attivazione generata dal conflitto

avvicinamento-evitamento (approach-avoidance) e contemporaneamente rende

Page 35: Attaccamento e Dipendenza

35

possibile al bambino di rimanere comunque in prossimità della madre. Tale

possibilità assicura al bambino non solo che la funzione biologica dell’attaccamento,

ovvero la protezione dai pericoli, sia in ogni modo operativa ma assicura altresì che la

situazione rimanga in ogni modo aperta alla possibilità di una successiva positiva

interazione.

Il paradosso comportamentale nei bambini del gruppo A è rintracciabile nel fatto che

il loro comportamento di attaccamento viene attivato sia negli episodi di separazione

(indipendentemente dal fatto che il disagio non venga manifestato apertamente) sia

negli episodi di riunione (indipendentemente dal fatto che evitino la madre).

Per quanto il comportamento evitante sia il principale elemento di distinzione del

modello A dagli altri due modelli di attaccamento (B e C), i bambini A sono

comunque classificati anche come attaccati in modo ansioso (oltre che evitante).

Come già accennato mostrano un disagio maggiore dei bambini B nelle normali

separazioni di tutti i giorni e in generale piangono di più. In base all'esperienza

diretta, come i bambini del gruppo C, i bambini del gruppo A hanno poca fiducia

nelle capacità materne di responsività ai loro segnali (ulteriormente inficiata dalla

rabbia soppressa che caratterizza le madri dei bambini C). Il comportamento di

attaccamento di un bambino ansioso tenderà ad essere più facilmente attivabile ad alti

livelli di intensità. Inoltre come gia indicato da Bowlby (1969) il rifiuto intensifica il

comportamento di attaccamento.

L'evitamento manifestato dai bambini A è fondamentalmente un modo per far fronte

e risolvere il conflitto avvicinamento-evitamento che si viene a creare in virtù di due

opposte necessita: una è quella di contatto fisico con la madre (che come gi detto

viene incrementata dall' ansia e dal atteggiamento di rifiuto materno) l'altra è la

necessita di proteggersi dal riesperire il rifiuto espressogli dalla madre quando ne

ricerca il contatto fisico stretto.

.

All' età di un anno i bambini classificati nei tre gruppi A B o C, relativamente ai

pattern comportamentali registrati nella strange situation, sono altresì“ ugualmente

Page 36: Attaccamento e Dipendenza

36

distinguibili nei termini dei comportamenti di interazione in casa con le loro madri.

ciò non significa che vi sia una corrispondenza precisa e diretta fra i comportamenti

attivati nella strange situation e quelli in casa. La situazione di laboratorio, essendo

strutturata proprio per istigare a più riprese diversi comportamenti lungo il continuum

esplorazione-attaccamento, elicita tali comportamenti a diversi livelli di intensità

rispetto alla situazione domestica.

Nella ricerca di Mary Ainsworth e coll. (1978) le correlazioni fra il comportamento

dei bambini a casa e quello degli stessi in laboratorio, risultarono significative.

Breve descrizione del concetto di Modello Operativo Interno

Con la formulazione da parte di Bowlby (1969) del concetto di “modello operativo

interno” si è verificato, all’ interno della teoria dell’attaccamento, il passaggio da un

approccio comportamentale ad uno rappresentazionale, in grado di far luce sulla

realtà interna del bambino durante il suo sviluppo cognitivo e affettivo.

Bowlby (1973), come molti altri psicoanalisti, fu particolarmente interessato alle

relazioni fra la realtà esterna e il mondo interno dell’individuo. Secondo lo

psicoanalista inglese, tutte le informazioni che raggiungono l’individuo sono

selezionate e concepite secondo modelli di rappresentazione del mondo e di sé, che

lo stesso individuo possiede. Egli pose la sua attenzione sul termine “Internal

Working Model” (Craik 1943) in quanto caratterizzato da quella funzionalità e

dinamicità mancanti in altri termini, simili, come “rappresentazione” o “immagine”.

Craik (1943 in: Bretherton, Ridgeway, Cassidy 1990), psicologo interessato alla

costruzione di un sistema cibernetico intelligente ,descrive i modelli operativi interni

come “modello in scala” della realtà esterna e delle possibili azioni attuabili in essa,

creato dall’organismo per: riuscire a trovare la più valida tra le alternative; per

prefigurare situazioni future; nonchè per utilizzare le esperienze del passato e

soprattutto reagire nel modo più adatto a situazioni di emergenza.

Page 37: Attaccamento e Dipendenza

37

Secondo Bowlby (1969, 1973), il modello operativo interno è una componente

integrale del sistema comportamentale dell’attaccamento ed agisce come modello

guida per la valutazione degli eventi e per il successivo comportamento. Bowlby non

ha mai sostenuto la stabilità assoluta dei modelli di attaccamento, ma ha previsto che

questi possono essere modificati dalle esperienze, seppure in modo sempre minore

man mano che si va avanti nella crescita e nella maturazione.

Il concetto di modello operativo interno è un valido aiuto per un’ accurata analisi

dell’organizzazione psicologica dell’ individuo inerente non solo al comportamento

di attaccamento del bambino, a 12 mesi, ma anche alle successive acquisizioni

cognitive, affettive, nonchè comportamentali, cui il bambino arriverà, nelle varie fasi

dell’ ontogenesi.

Egli propose che all’interno del modello operativo interno di un individuo, il

modello operativo di sé e della principale figura di attaccamento avessero un

significato e un ruolo speciali.

Sono questi modelli, che includono componenti affettive come cognitive, che

permettono ad un individuo di interpretare e predire il comportamento della figura di

attaccamento e di pianificare immediati e/o futuri comportamenti di risposta.

Siccome i modelli operativi di sé e degli altri all’interno della relazione di

attaccamento, traggono origine dalle transazioni interpersonali presi insieme,

rappresenteranno entrambe le facce della relazione (Sroufe & Fleeson 1986; in

Bretherton, Cassidy e Ridgeway 1990).

I dati con i quali sono strutturati i modelli operativi interni vengono rilevati da più

fonti, quali l’esperienza diretta nel quotidiano, ciò che i genitori dicono al oro

bambino nonchè input provenienti dall’ ambiente e da altre persone. Tali dati secondo

Bowlby (1973) dovrebbero poi essere ragionevolmente concordanti fra loro. Se così

avviene tal modelli operativi interni potranno rappresentar, con discreta

approssimazione, come sono i genitori del bambino, come essi lo considerano e quale

possa essere il loro più probabile comportamento verso il loro figlio. In questo modo,

Page 38: Attaccamento e Dipendenza

38

indipendentemente dalla qualità più o meno buona del rapporto, il bambino sarà in

possesso di un quadro informativo ed orientativo che gli permetterà di prevedere con

relativa certezza il tipo di comportamenti che saranno intrapresi nei suoi confronti.

In questo modo, per esempio un bambino che esperisca le figure di attaccamento

come fondamentalmente evitanti, probabilmente si formerà un,complementare,

modello operativo interno di sé come immeritevole di attenzioni da parte delle figure

di attaccamento come da tutti. Allo stesso modo, un bambino che esperisca tali figure

come supportive e emozionalmente accessibili costruirà, più facilmente, un modello

interno di sé come individuo meritevole e competente.

Bowlby (1973) ritiene che la costruzione dei modelli operativi interni di sé e della

figura di attaccamento, sia una naturale conseguenza della abilità dell’uomo di

costruire rappresentazioni del mondo, e che questi due modelli (di sé e dell’altro) si

sviluppino in modo da essere complementari e da confermarsi vicendevolmente.

I modelli operativi interni avrebbero la funzione di provvedere ad una adeguata

rappresentazione di sé, delle figure di attaccamento e delle condizioni ambientali.

Lo sviluppo di una sana relazione di attaccamento risulterebbe quindi basata su di un

continuo aggiornamento ed una valida sintonizzazione dei modelli operativi interni

riguardo ai necessari cambiamenti che si impongono al bambino durante le fasi

evolutive.

Mary Main (1985) definisce “modello operativo interno” quell’“insieme di regole

conscie e/o inconscie per l’organizzazione delle informazioni rilevanti per

l’attaccamento e per ottenere o per limitare l’accesso ad informazioni inerenti

esperienze sentimenti ed idee riguardo l’attaccamento”.

Come il concetto piagetiano di “oggetto”,anche i modelli operativi interni non sono

mere immagini o introiezioni passive,di oggetti e/o passate esperienze, ma sono

costrutti attivi che possono inoltre essere modificati e ristrutturati. I modelli operativi interni tendono alla stabilità. Tale stabilità è imputabile a due

probabili motivi:da una parte i modelli, operando al di fuori della coscienza,

tenderanno a ricreare attivamente esperienze coerenti con l’esperienza relazionale

dell’individuo; dall’ altra la probabile stabilità nel tempo, dell’esperienza

Page 39: Attaccamento e Dipendenza

39

generalizzata, (per esempio la disponibilità della figura di attaccamento) permetterà

di mantenere, appunto, stabile il modello operativo interno.

I modelli operativi interni di sé e delle figure di attaccamento sono dunque costruiti

in base alla esperienza relazionale dell’ individuo con tali figure. Tali modelli non

sono delle fedeli e obbiettive rappresentazioni dei genitori, piuttosto rappresentano

uno schema della storia relazionale del bambino e dei suoi genitori inerente

soprattutto la disponibilità e la responsività fisica e affettiva di questi ultimi. Tramite

questo schema il bambino potrà fare delle previsioni sul modo in cui le sue figure di

attaccamento si comporteranno nei suoi confronti.

Corollario indispensabile per lo sviluppo di modelli operativi, congruenti e flessibili,

è la fluidità e facilità della comunicazione tra i membri della relazione.

entro la fine del primo anno di vita del bambino, entrambi i partners siano

direttamente responsabili nel mantenere e sostenere la stabilità dei pattern di

interazione poiché a questo punto dello sviluppo, il bambino ha già iniziato a

costruire i modelli operativi interni di sé e della madre., il modo in cui i genitori

rispondono o meno alle comunicazioni dei loro figli determina i pattern, ed influenza

la qualità di espressione emozionale-affettiva, all’interno della relazione figli-

genitori, di conse-guenza tale modo di rispondere, ha una determinante influenza

sulla strutturazione dei modelli operativi di sé e degli altri che il bambino compie fin

dal primo anno di vita.

Se il modello operativo interno del genitore come caregiver non risulta essere in

sintonia con le aspettative di risposta del figlio, né il comportamento di attaccamento

né i suoi atti esploratori, saranno compresi e rispettati, così come i suoi segnali

saranno male interpretati o addirittura ignorati. Tutto questo ovviamente avrà una

notevole influenza sulla strutturazione dei modelli operativi di sé e delle figure di

attaccamento. All’interno di relazioni ove i segnali di attaccamento non sono presi in

considerazione o comunque rimangono incompresi o distorti, i modelli operativi

interni di ciascun partner tenderanno a diventare e a rimanere inadeguati in virtù

dell’impossibilità di aggiornare e modificare il materiale difensivamente escluso. Una

Page 40: Attaccamento e Dipendenza

40

mutua e soddisfacente comunicazione risulterà essere impossibile in mancanza di

modelli operativi interni condivisi o in mancanza di una visione condivisa della

relazione. Di contro in relazioni dove i segnali di attaccamento sono mutuevolmente

riconosciuti e compresi come tali, i modelli operativi interni di entrambi i partner

della relazione saranno probabilmente più adeguati e in secondo luogo risulteranno

più efficaci nella sintonizzazione reciproca come nella,conseguente, capacità di

aggiornamento. Di conseguenza nelle diadi sicure, ci si potrà aspettare di vedere

continui sforzi a costruire e ricostruire un visione condivisa della relazione al passo

con lo sviluppo concettuale, affettivo e comunicativo del bambino.

Corrispettivi materni

Il modello di Bowlby ha reso possibili studi transgenerazionali che hanno permesso

di verificare la forte associazione (Fonagy 2001) tra gli specifici stili di attaccamento

infantile e diversi modelli operativi interni genitoriali.

In base alle correlazioni, rilevate dalla Ainsworth, tra il comportamento materno a

casa e la dimensione "sicurezza-insicurezza" della relazione madre/ bambino, tale

comportamento materno fu indagato ( Ainsworth, Bell Stayton 1971 in Bowlby 1969)

secondo quattro scale di riferimento: sensibilità -insensibilità; accettazione-rifiuto;

cooperazione-interferenza; accessibilità -inaccessibilità .

Di queste quattro scale, la prima, che si riferisce alla sensibilità o meno della madre

ai segnali e alle comunicazioni del suo piccolo, è risultata essere quella col pi� alto

valore euristico.

Infatti oltre a permettere di separare le madri dei bambini B da quelle degli altri due

gruppi A e C, questa scala è comprensiva di quei requisiti che, anche se in misura

minore , appartengono alle altre scale.

Una madre sensibile è sintonizzata adeguatamente con il suo bambino, riuscendo

così a cogliere il significato dei suoi segnali /richiami, potendo inoltre inferire lo stato

Page 41: Attaccamento e Dipendenza

41

d'animo del suo piccolo non in base alle proprie personali disposizioni d'animo ma da

un punto di vista il più possibile vicino a quello del bambino. Questa ricettività,

questa sensibilità, avviano ad una relazione profonda, chiara, serena,

fondamentalmente sicura, tale da essere per il bambino fonte di supporto per il suo

senso di sicurezza, per la stima di sè-self esteem quindi, per l'organizzazione

presente e futura delle esperienze affettive.

Una madre altamente rifiutante è frequentemente risentita verso il figlio; sovente si

lamenta che il bambino interferisce eccessivamente con la sua esistenza; altresì“

manifesta il proprio rifiuto verso il figlio con una costante opposizione ai suoi

desideri, con una continua azione di rimprovero verso di lui o anche mostrandosi

sempre infastidita e di umore negativo.

Se una madre molto interferente non rispetterà l' autonomia del suo bambino né i

necessari momenti-spazi di separazione-lontananza di cui il bambino necessita.

Piuttosto cercherà di controllare e condizionare il comportamento del figlio,

parimenti asseconderà unicamente le proprie necessita, senza prendere in

considerazione ciò che il bambino desidera fare o ciò che egli sta già facendo. In

maniera diametralmente opposta una madre cooperativa rispetta il suo bambino e lo

considera come individuo, come persona separata, così cercherà di non interferire

con i suoi piani e azioni sforzandosi inoltre di dosare il controllo diretto su di lui.

Una madre inaccessibile o che ignori il suo bambino è spesso presa dai propri

pensieri e dalle proprie attività così da non prendere in considerazione il proprio

figlio e i suoi segnali; sembra accorgersi del suo bambino solo quando

deliberatamente ritiene di voler intraprendere una azione con lui o per lui. Al

contrario una madre che sia accessibile per il suo bambino, risulterà abile nel prestare

attenzione e nell' interpretare i segnali che le manda il figlio, anche quando si trovi

occupata in altre attività.

La tesi della Ainsworth e coll. riguardante l'importanza della sensibilità e responsività

materne ai segnali del bambino, ha ricevuto un ulteriore supporto da alcune ricerche

transculturali svolte in Germania da Grossmann e coll. (Grossman e coll. 1983; 1985;

Page 42: Attaccamento e Dipendenza

42

1990). Da questi studi emerge come nelle diadi sicure si sviluppino una relazione ed

una comunicazione basate su scambi affettivi fluidi e indipendenti dagli stati

d'animo dei partner della diane. A loro volta i genitori dei bambini "sicuri"

risulterebbero essere più tempestivi e meglio sintonizzati rispetto alle necessità dei

loro piccoli, intervenendo nelle loro attività solo quando ciò si mostrasse adeguato e

necessario quindi, fondamentalmente, senza interferire .

In relazione a quanto detto, nelle madri dei bambini classificati come B si riscontra la

sopraccitata sensibilità ai segnali con conseguente adeguatezza delle risposte. Queste

mamme sono inoltre, per i loro piccoli: accessibili psicologicamente; accettanti più

che rifiutanti; cooperative piuttosto che interferenti riguardo ai programmi del

bambino, mostrando inoltre più comportamenti affettuosi diretti verso quest'ultimo di

quanto non facciano le madri dei bambini "non-B".

Mary Main (1990; su Ammaniti, Stern 1992) suggerisce come, poiché in circostanze

diverse e precedenti l'osservazione in laboratorio (tramite strange situation) le madri

dei bambini attaccati in modo sicuro, B, hanno adeguatamente risposto ai segnali e

alle comunicazioni dei loro figli, il problema che si porrebbe ai bambini sicuri

durante la Strange Situation sarebbe inerente essenzialmente, la localizzazione della

figura di attaccamento. In base a ciò si presume che l'attenzione ed il comportamento

del bambino sicuro possano essere organizzati come un riflesso, relativamente

semplice, dei cambiamenti ambientali. Non a caso l'esplorazione di un ambiente

nuovo, estraneo, ma ugualmente piacevole, è possibile fintantoché la madre sia

presente; diminuisce a favore del comportamento di attaccamento in mancanza della

madre e si ripresenta una volta che il bambino abbia ristabilito la vicinanza o il

contatto con la madre,

Un basso punteggio relativo alla scala della sensibilità accomuna invece le madri dei

bambini insicuri A e C .

Tali madri, al contrario di quelle dei bambini B, intervengono , quando lo fanno, in

maniera inadeguata ed intempestiva in quanto sintonizzate sui propri bisogni e

desideri, e rispetto alle loro stesse paure, così da distorcere il significato dei segnali

Page 43: Attaccamento e Dipendenza

43

dei loro bambini .

Nello specifico, le madri dei bambini A risulterebbero marcatamente rifiutanti nei

confronti del figlio e in particolare si sottrarrebbero al contatto fisico con questo.

Queste mamme si caratterizzano per una notevole interferenza con l’autonomia del

figlio, parallelamente ad una rigida regolazione dei suoi ritmi e delle sue abitudini. In

alternativa a quanto appena detto, le madri dei bambini classificati come A, possono

risultare semplicemente poco o per nulla accessibili in quanto impegnate in altre

attività e scontente del loro ruolo materno, con una conseguentemente scarsa

ricettività rispetto alle comunicazioni filiali.

Sempre in queste madri, viene rilevata una sorta si rabbia sommersa, correlabile ai

punteggi molto alti, delle stesse, nella scala del rifiuto. L’atteggiamento rifiutante

esercita, ovviamente, una forte influenza sullo sviluppo emotivo e sulla sicurezza del

bambino.

Con riferimento a quanto afferma Bretherton (Bretherton 1987; 1991) possiamo

concludere come il modo in cui i genitori rispondono o meno ai loro piccoli,

modifichi i pattern nonché la qualità dell’ espressione affettiva all’ interno della

relazione che va sviluppandosi fra bambino e caregiver. In particolare si osserva

come una continua disponibilità affettiva e una fluida comunicazione possano

verificarsi nella misura in cui, da parte dei genitori non vi sia un’Õ esclusione

selettiva dei segnali del bambino.

Durante il primo anno di vita, una adeguata responsività materna ai segnali del

bambino indicanti stress e/o volontà di esplorazione creerebbe gli effettivi

presupposti per lo sviluppo di una relazione e dei pattern espressivi, favorenti

l'equilibrio fra comportamento di attaccamento e comportamento esploratorio, nel

secondo anno di vita del bambino (Bretherton 1987; 1992).

Page 44: Attaccamento e Dipendenza

44

Limiti del modello tripartito

In seguito alla pubblicazione dei lavori di M. Ainsworth (Ainsworth et al. 1978),

numerose furono le ricerche sugli stili di attaccamento in cui vennero utilizzati la

procedura e gli indici elaborati dall' Autrice, allo scopo di replicare i risultati emersi

in contesti culturalmente e socio-economicamente diversi nonché per validare la

procedura di classificazione.

Le molte ricerche svolte con l'utilizzo della strange situation, riportano tutte un certo

numero di difficoltà nell' inquadrare l' intera popolazione di volta in volta presa in

esame, all' interno delle tre categorie A B e C.

Tali difficoltà vengono riportate sia in campioni a basso rischio che in campioni ad

alto rischio e/o con episodi di maltrattamento.

In uno studio condotto secondo le indicazioni procedurali classiche di M. Ainsworth,

Main e Weston (1981) riferiscono come il 12,5% dei bambini osservati fu giudicato

inclassificabile secondo il metodo classico.

Fra le principali motivazioni di questa inclassificabilità venne riportato che questi

(19) bambini mostravano si, un comportamento sicuro negli episodi di riunione col

caregiver, ma si comportavano in maniera altrettanto sicura con l’estraneo; inoltre

venne rilevato un estremo evitamento combinato con un marcato disagio durante

l’intera procedura. Per quanto quasi il 70% (13) di questi bambini fosse stato

classificato come sicuro (B), i ricercatori erano comunque dell'idea che questi

bambini fossero insicuri. A supporto di questa convinzione vi erano i risultati di un

ulteriore, separata osservazione, tramite la “clown session” (Main Weston 1981,

Main e Solomon 1990) dove i bambini mostrarono comportamenti particolarmente

conflittuali e disorganizzati (Main e Solomon 1990).

Sempre nel 1981 Egeland e Sroufe, in seguito ad una ricerca su un campione ad alto

rischio /con episodi di maltrattamento, riportarono delle considerevoli incongruenze

di carattere concettuale nella misura in cui le storie delle diadi esaminate,

caratterizzate da episodi di trascuratezza e di maltrattamento, risultarono

Page 45: Attaccamento e Dipendenza

45

incongruenti con la classificazione, come "sicuri", del 47% dei bambini osservati

tramite strange situation. Così“, nell’accettazione del presupposto che nella strange

situation il pattern di risposta “sicuro” sia il riflesso della sensibilità, responsività e

adeguatezza del caregiver (escludibili per caregivers maltrattanti e trascuranti), si

pose ovviamente il problema di eventuali limiti, nel tradizionale sistema tripartito di

classificazione dell’attaccamento. In seguito al riesame del campione, Egeland e

Sroufe riferiscono di una nuova “informale” categoria D /insicura composta di

bambini si ansiosamente attaccati, ma nè evitanti nè resistenti.

Successivamente anche la Crittenden (1988; 1989; 1994)) ha rilevato un numero

significativo di bambini trascurati e maltrattati assegnati però alla categoria B /sicuri.

Nel riesaminare il campione ad alto rischio da lei studiato la Crittenden ha anch’essa

delineato una nuova categoria da lei denominata A-C o: “evitante-ambivalente”;

composta di bambini estremamente ansiosi.

Gli approfonditi e rigorosi studi della Main hanno permesso di individuare un

sempre maggior numero di elementi per la caratterizzazione e la sicura

identificazione di un quarto modello di attaccamento, il modello D/disorganizzato-

disorientato.

Il modello di attaccamento D

Il tema più ricorrente nella lista dei comportamenti registrati da M. Main (1986) fu

la “disorganizzazione2 ovvero una evidente contraddizione nei pattern motori,

corrispondente ad una altrettanto probabile contraddizione nelle intenzioni ovvero nei

piani di azione.

Nella strange situation, dopo l’episodio di separazione, i bambini classificati come

“disorganizzati”, per quanto sofferenti dell’ avvenuta separazione, non riescono ad

organizzare un comportamento diretto al fine di avvicinarsi alla madre e goderne

della vicinanza e del contatto. Più che rassomigliarsi in modo coerente, questi

Page 46: Attaccamento e Dipendenza

46

bambini, sono accomunati da episodi o sequenze comportamentali che appaiono

come prive di uno scopo, prive di un obiettivo, ed è in questo senso e per questo

motivo che i bambini che mostrano un tale comportamento nella strange situation

vengono classificati come D /disorganizzati-disorientati.

Crittenden (Crittenden e Ainsworth 1989) suggerisce come, diversamente dallo stato

di attaccamento D, il comportamento infantile A-C possa riflettere un modello

organizzato. Benchè a livello comportamentale, queste manifestazioni, in rapida

sequenza o simultanee, appaiano marcatamente disorganizzate, le risposte A e C per

quanto insicure e riflettenti modelli contrastanti, prese separatamente risultano di

per se stesse organizzate .

A livello comportamentale le manifestazioni disorganizzate A-C sono inevitabili, a

meno che uno dei due modelli non prenda il sopravvento (Main e Hesse 1992).

Da un punto di vista adattivo il modello comportamentale e di attaccamento D risulta,

in un confronto con gli altri due modelli insicuri A e C, particolarmente inefficace .

Nella strange situation, i bambini classificati come D, sembrano fallire

nell’impostazione delle “strategie di attaccamento” (Main e Hesse1990; Main

Weston 1986), ovvero quelle strategie comportamentali messe in atto al fine di

ottenere la massima vicinanza e disponibilità possibili con il caregiver.

Contrariamente al modello D, i modelli A e C, per quanto insicuri, sono comunque

caratterizzati da strategie organizzate per raggiungere i già citati obiettivi relativi al

caregiver. Queste strategie sono costruite o in risposta ad un caregiver rifiutante verso

il comportamento di attaccamento del figlio (categoria A) o in rapporto ad un

comportamento imprevedibile e poco responsivo dello stesso (categoria C); nel

tentativo di adattarsi nel modo più adeguato e con minore sofferenza, a determinate

condizioni esterne.

In questa ottica il comportamento dei bambini classificati come A è interpretabile

come una minimizzazione delle manifestazioni di attaccamento attuata al fine di

rendere minimo il rischio di rifiuto da parte del caregiver. Similmente il patern C è

osservabile come una strategia di massimizzazione/amplificazione delle suddette

Page 47: Attaccamento e Dipendenza

47

manifestazioni, nel tentativo di adattarsi nella maniera più congrua ad un caregiver

che per quanto non si dimostri rifiutante, rimane comunque imprevedibile e

scarsamente sensibile .

Vediamo quindi come nella loro “insicurezza” i pattern A e C risultino comunque

leggibili quali strategie organizzate e dirette ad uno scopo ovvero la prossimità al

caregiver .

Main e coll. (1986; 1990; 1992) indicano alcune caratteristiche manifestazioni

comportamentali rilevabili nei bambini disorganizzati/ disorientati durante la strange

situation (cfr. Main e Solomon 1990 per una completa rassegna).

Nel primo gruppo di indici di disorganizzazione/disorientamento troviamo

manifestazioni simultanee o in sequenza di pattern comportamentali fra loro

contraddittori, come ad esempio: una forte ricerca di vicinanza al caregiver seguita

poi da un altrettanto forte evitamento; una reazione moderata e calma alle separazioni

con conseguente disagio e/o rabbia al momento della riunione col caregiver;

evitamento del genitore anche nella posizione in braccio; un generale evitamento

accompagnato da rabbia. Per quanto riguarda la manifestazione simultanea di pattern

contraddittori, Main e Solomon (1990) suggeriscono come si abbia l’impressione che

i movimenti di “approach” vengano parzialmente, ma senza successo, inibiti

attraverso la simultanea attivazione di comportamenti evitanti che però non riescono

a contrastare e a far invertire completamente i tentativi di avvicinamento (approach).

Nel secondo raggruppamento di indici sono elencate le seguenti manifestazioni

comportamentali: espressioni e movimenti incompleti, non-diretti, maldiretti e

interrotti; movimenti asimmetrici, sterotipati, confusi e posture anomale; movimenti

ed espressioni congelati (“freezed”) rallentati e troncati nella loro

esecuzione/manifestazione. Citiamo come esempi di questi indici quei movimenti di

allontanamento dal genitore in situazioni di paura; pianto al momento dell’uscita

dell’estraneo; comportamenti e gestualità aggressivi repressi, indirizzati al viso del

genitore; approcci al genitore interrotti da pianti o espressioni di rabbia; posture

sconnesse.

Page 48: Attaccamento e Dipendenza

48

Nel terzo ed ultimo raggruppamento sono compresi indici diretti di apprensione

riguardo al caregiver e indici diretti di disorganizzazione/ disorientamento come ad

esempio: espressioni di paura al ritorno del genitore; comportamento vigilante

quando il genitore è vicino; comportamenti come salutare l’estraneo al posto del

genitore, portare le mani alla bocca o sopra la testa al momento della riunione col

genitore (5° e 8° episodio della strange situation); tenere braccia e spalle tese o

ritirate all’ avvicinarsi del genitore; vagare per la stanza con espressione disorientata.

Viene inoltre indicata dalla Main (Main e Solomon 1990) una scala di riferimento per

l’assegnazione o meno della categoria D, secondo un punteggio crescente, da 1

(assenza di manifestazioni di disorganizzazione) a 9 ( frequente ed estrema

disorganizzazione comportamentale durante la strange situation ) .

Coerentemente a queste nuove sistemazioni M. Ainsworth ha rivisto gli indici del

sottogruppo B4 quali da lei presentati in “Patterns of Attachment”(Ainsworth et al.

1978). Stereotipie, evitamento del genitore anche quando a diretto contatto (in

braccio), non sarebbero più da considerarsi come criteri per l'assegnazione della

categoria B4 bensì“, se intensi, marcati e frequenti indicherebbero con più

probabilità la appartenenza del bambino alla categoria D (M.Ainsworth 1985;

comunicazione personale a M.Main in Main e Solomon 1990) .

Alcuni comportamenti considerati quali indici di disorganizzazione/ disorientamento,

per esempio le stereotipie, non sono rari fra quei bambini affetti da anomalie

neurologiche. ciò nonostante il modello di attaccamento D non è il riflesso di stati

mentali o patologie neurologiche, ma si riferisce a manifestazioni comportamentali

che riflettono una determinata storia relazionale con il caregiver; in altre parole la

disorganizzazione è qui intesa come una caratteristica comportamentale e relazionale

ma non è da considerarsi quale caratteristica della personalità del bambino. Tale

modello non riflette una disposizione personale indiscriminata ma è il risultato di una

determinata storia relazionale col caregiver.

Un’ulteriore differenziazione fra i bambini classificati come D rispetto ad un

genitore, e i bambini classificati come A B o C, appare giustificata alla luce di uno

Page 49: Attaccamento e Dipendenza

49

studio longitudinale (Main, Cassidy 1988) in cui un gruppo di bambini venne

osservato, tramite strange situation, all’età di un anno e successivamente a 6 anni. I

risultati riportati mostrano due peculiari tendenze dei bambini D. Giunti all’età di 6

anni alcuni mostrano un comportamento di controllo nei riguardi dei genitori,

manifestandosi altamente punitivi verso di essi; altri invece, in una sorta di

inversione di ruolo, si mostrano particolarmente protetttivi assumendo un

comportamento di cura e attenzione verso il caregiver.

In un’ulteriore ricerca Lyons-Ruth e coll. (Lyons-Ruth, Alpern, Repacholi 1993)

hanno rilevato che il 71% di un gruppo di bambini di 5 anni di età, che manifestavano

comportamenti ostili-aggressivi in classe, era stato precedentemente classificato come

disorganizzato nel comportamento di attaccamento a 18 mesi di età.

Conseguentemente la classificazione come D/disorganizzato risulterebbe essere un

valido elemento predittore del comportamento ostile-aggressivo in classe all’ età di 5

anni.

Nonostante i numerosi studi e ricerche, alcuni problemi inerenti alla classificazione

dei comportamenti infantili durante la strange situation permangono. Ancora oggi

sono presenti infatti, dei casi non classificabili .

L’attaccamento disorganizzato/disorientato nuovi sviluppi e ipotesi

eziopatogenetiche

La relazione madre bambino risulta dunque predittiva nei confronti di diverse aree

del funzionamento individuale in età prescolare, quali la competenza sociale verso i

coetanei, la curiosità, l’empatia e l’autostima. Contesti di relazione madre bambino

strutturati su relazioni caotiche e o incongruenti, trascuratezza e/o rifiuto o inversione

dei ruoli portano allo sviluppo di relazioni di attaccamento non sicure.

Comportamenti di ricerca e contemporaneo allontanamento dal caregiver sarebbero

da collegarsi ad una poco costante responsività del caregiver stesso.; altrove il

comportamento non si attiva in seguito ad una protratta esperienza di rifiuto da parte

Page 50: Attaccamento e Dipendenza

50

del caregiver verso il piccolo. Entrambe i patterns A e C, come confermano numerose

ricerche longitudinali, introduce la forte probabilità che si sviluppino nel corso della

crescita difficoltà nella regolazione affettiva e veri e propri disturbi affettivi.

L’attaccamento ansioso resistente facilmente si declina in disturbi d’ansia mentre

modalità aggressive del comportamento sono da ascriversi ad una storia di

attaccamento evitante. I bambini con una storia di attaccamento evitante conservano e

manifestano scarsa autostima, isolamento e rifiuto rabbioso (Sameroff Emde 1991).

Contrariamente ai bambini “sicuri” i bambini “evitanti” non ricercano il contatto in

situazioni dolorose o di malessere né mostrano la capacità di iniziare o inserirsi in

relazioni affettivamente positive. Spesso la situazione scolastica permette di

osservare queste e altre manifestazioni comportamentali e dunque di poter osservare

manifestazioni relative a strutturati Modelli Operativi Interni. Tuttavia anche i

modelli insicuri condividono con il B sicuro una fondamentale “organizzazione” che

invece non si riscontra nel modello D disorganizzato/disorientato” la cui caratteristica

mancanza di una organizzazione coerente si declina invece in un crescente rischio di

psicopatologia.. Come già detto il pattern D si manifesta nella Strange Situation come

un mix incoerente di azioni discontinue di cui è difficile intendere finalità e relazioni

tra le stesse. La disorganizzazione consiste di evidenti incoerenze nei movimenti e

nelle espressioni facciali che sarebbero in palese relazione con un conflitto ideativo,

intenzionale e dei piani comportamentali. Il disorientamento si evidenzia inoltre come

qualità del rapporto con l’ambiente circostante. Con l’utilizzo dell’Adult Attachment

Interview si è potuto constatare nella maggior parte dei casi che i genitori dei bambini

“D” fossero impegnati nella risoluzione di eventi traumatici che avessero segnato la

loro storia (violenze, maltrattamenti, lutti ecc.). Genitori “spaventati” che a loro volta

diverrebbero a loro volta “spaventanti” per la piccola, disorientata dall’incongruenza

tra mimica genitoriale e situazione ambientale. Il dilemma per la piccola diviene

irrisolvibile e di conseguenza disorganizzante e disorientante per l’elaborazione di un

comportamento di attaccamento e di un modello operativo interno. In una siffatta

situazione aumenterebbero le probabilità di sintomi dissociativi (come in seguito ad

Page 51: Attaccamento e Dipendenza

51

un forte trauma) e di sottostanti dissociazioni rappresentative. Lo sviluppo di sintomi

dissociativi sarebbe da collegare a multiple rappresentazioni di sé e del caregiver

quale contemporaneamente accudente e spaventato/spaventante. Tale mancata

integrazione delle diverse rappresentazioni relazionali porterebbe in momenti

successivi alla elicitazione di sintomi dissociativi laddove si riattivasse il sistema di

attaccamento. Come per precoci traumi la rappresentazione non integrata (anche a

livello cerebrale) di sé e dell’altro nella relazione, impedisce una adeguata codifica

delle informazioni in situazioni relazionali e introduce comportamenti o sintomi

psicopatologici. Ad esempio la dipendenza da sostanze, anche in età evolutiva, si

associa ad un tentativo di eludere la dipendenza e l’interdipendenza nelle relazioni,

quale portatrice di sofferenza in quanto collegata ad un sistema relazionale di

attaccamento disorganizzato/disorientante gravato da aspetti traumatici. Gli aspetti

traumatici irrisolti dai genitori (classificati nella AAI con la U di “Unresolved”)

avrebbero dunque una loro diretta risonanza traumatica nella prole accudita. I dati di

Van Ijzendoorn et al. (1999) mostrano come il 53% dei bambini “D” ha genitori

classificati “Unresolved” riguardo a traumi o lutti. Secondo Lyons-Ruth il pattern

infantile D non sarebbe invece diretta conseguenza di interazioni con un genitore

“irrisolto” rispetto a lutti e traumi ma andrebbe messo in relazione con uno stato

mentale genitoriale caratterizzato da ostilità e impotenza. Tali caregiver sarebbero

accudenti solo quando il piccolo non manifesta comportamenti di attaccamento,

altrimenti a comportamento di attaccamento attivato si mostrerebbero ostili, rifiutanti

o in alternativa esitanti e incoerenti e appunto spaventate. La capacità o l’attitudine

genitoriale ad elaborare il trauma sarebbe poi da collegarsi alle cure che il caregiver

“irrisolto” avrebbe ricevuto dalle sue figure di attaccamento prima e dopo il trauma.

Il contributo della teoria dell’attaccamento e dei suoi sviluppi più recenti pone

sempre più l’attenzione sullo sviluppo relazionale dei processi individuali e sulla

centralità dei processi relazionali (e dunque sulle relazioni di dipendenza e

interdipendenza tra gli individui) nell’elaborazione delle esperienze, nella regolazione

affettiva e nella costruzione dell’identità. Dunque l’identità come costrutto

Page 52: Attaccamento e Dipendenza

52

intimamente relazionale che si struttura in situazioni di dipendenza e di

interdipendenza emozionale sia nella declinazione identitaria psicopatologica che in

quella normale.

Attaccamento, sviluppo affettivo e psicopatologia

Bowlby (1980) avanzò per primo l’ipotesi che i processi di elaborazione

dell’informazione emotiva e quelli di autoregolazione potessero essere distorti a

causa di Modelli Operativi Interni insicuri. Tali distorsioni inficerebbero le modalità

di espressione emotiva e la gestione delle relazioni interpersonali ostacolando

l’adattamento all’ambiente (cfr. Sroufe 1995). Per quanto sia ipotizzato di associare i

modelli insicuri con specifiche psicopatologie ciò che si è trovato è che uno specifico

modello di attaccamento si trova correlato “a diverse tipologie di disturbi che, pur

condividendo alcuni tratti psicopatologici, differiscono tra loro per importanti aspetti”

(Williams 2005). Ad esempio la categoria di attaccamento “Distanziante” dell’Adult

Attachment Interview, appare “correlata ai disturbi del comportamento alimentare

(soprattutto anoressia del sottotipo restrittivo) ai disturbi da abuso di sostanze, al

disturbo antisociale di personalità e ai disturbi psicosomatici” (Williams 2005).

Tuttavia è apparso ai ricercatori come, nonostante una certa organizzazione

dell’attaccamento possa rendere conto di taluni processi, essenziali in certe

condizioni psicopatologiche, tali processi non coincidono necessariamente con una

condizione psicopatologica o disturbo psichiatrico.

Attaccamento evitante e disturbo del comportamento in latenza: il caso di Diego

La rabbia è, non solo, una risposta naturale del bambino quando la sua aspettativa di

sicurezza vicino alla sua figura di attaccamento, viene delusa (Winnicott (1984), dice

anche che “l’aggressività d’altra parte può essere anche un sintomo di paura”), ma si

evidenzia anche in risposta ad un ostacolamento del raggiungimento “dell’autonomia

e dell’indipendenza” (Stern 1985), della separazione e dell’individuazione ( Mahler,

Pine e Bergman 1975). In tal senso: l’attacco al Sé, all’altro e l’attacco al legame,

Page 53: Attaccamento e Dipendenza

53

esprimerebbero tutti un cortocircuito tra angoscia di separazione e rifiuto della

dipendenza affettiva. Separarsi e dipendere divengono entrambi motivo di profonda

angoscia e di una declinazione aggressiva distruttiva. Sappiamo che in età prescolare

impulsività e aggressività si legano a modelli di attaccamento ansiosi, in particolare

l’aggressività e il comportamento antisociale con il modello di attaccamento ansioso-

evitante (Sroufe 1991). I modelli di attaccamento ansioso non favoriscono autonomia,

competenze sociali, curiosità, fiducia e esplorazione. In tal senso non favoriscono

relazioni autonome e di interdipendenza ma nel favorire un comportamento

aggressivo ed evitante esternalizzano una forma di pseudo-autonomia di “falso Sé”

che si rivela quale copertura di un “vero Sé” spaventato e insicuro e di un modello di

attaccamento insicuro. Tale configurazione si collega ad una diminuzione della

fiducia e della stima di sé sin dall’età prescolare. Il piccolo si trova così in uno stato

di ansia e depressione (Sroufe 1991) dove l’affermazione di sé risulta raggiungibile

con estrema difficoltà, lasciando così aperta la possibilità di esprimersi

prevalentemente con atti ostili. Sroufe (1995) suggerisce il termine “aggressività

ostile” per identificare quell’aggressività che insieme all’empatia e all’altruismo

implica il sapere, il comprendre ,che anche l’altro sperimenta sensazioni e desideri,

ovvero implica una teoria della mente propria e altrui. In tal senso Aggressività,

empatia e altruismo, dipendono dagli stessi processi cognitivi che si sviluppano

procedendo insieme alle emozioni (cfr. anche Lichtenmberg 1989). Tali acquisizioni

evolutive necessitano di un’esperienza di sintonia e allineamento genitori-bambino/a

che si basi sulla sensibilità dei caregivers riguardo gli stati mentali del figlio e della

figlia. Quando questo allineamento viene a mancare le strategie relazionali cessano di

funzionare e divengono patologiche evidenziando gravi difficoltà nell’interazione

bambino-madre e poi Sè-altro da sé. L’allineamento si crea poi nell’interazione, non

è una funzione esclusiva materna ma il bambino stesso promuove, non promuove o

interrompe la relazione e l’allineamento stesso, influenzando le risposte e le strategie

materne e dunque promuovendo la regolazione affettiva materna nell’interazione.

Page 54: Attaccamento e Dipendenza

54

Questi continui aggiustamenti e accordi relazionali divengono matrice del

comportamento e dell’identità dei partecipanti alla relazione.

A tal proposito il caso di Diego, un bambino che ho avuto in trattamento

psicoterapeutico-psicoanalitico per sei anni, si inserisce sensatamente nel discorso in

oggetto

Diego, che oggi ha 13aa, mi è stato inviato per cospicui problemi legati al

comportamento aggressivo e alla conseguente implicazione dei processi sociali e

cognitivi che la forte aggressività espressa generava. Diego veniva da difficili

esperienze famigliari di maltrattamenti e violente separazioni. I genitori di D sin dalla

sua nascita, mostravano una limitata capacità di comprensione degli stati mentali e

affettivi del figlio attribuendo ad ogni manifestazione sua attiva, una qualità

altamente incontrollabile ed aggressiva di chiara matrice persecutoria. Crescendo

anche la forte curiosità e l’effettiva irrequietezza del bambino vennero interpretate

come un chiaro segnale di ingestibilità e di persecutorietà. In tal senso “L’orrore per

l’aggressività infantile” (Meotti 2006) espresso dall’ambiente, si palesava anche

come negazione dell’aggressività ambientale stessa. Nel tempo si era strutturata una

situazione intrapsichica e relazionale dove (come nel caso di David: Fonagy 2001)

l’aggressività rappresentava una difesa verso gli stessi pensieri, desideri e stati

mentali-affettivi, suoi e dei genitori, che D sentiva come minacciosi. L’aggressività

dunque, come attacco ai pensieri propri e a quelli altrui. Un attacco alla propria e alla

altrui mente la cui separatezza evoca fantasmi violenti e persecutori ovvero altamente

aggressivi ed ostili. Il corpo, sempre in movimento (e in subbuglio), rifletteva

l’esperienza psichica al posto della mente “per riempirsi di pensieri e sentimenti”

(Fonagy 2001). Il corpo e il comportamento aggressivo si ponevano come i

rappresentanti di pensieri e desideri sentiti come minacciosi e altresì rappresentanti di

un mondo interno popolato di oggetti scissi e persecutori, in continua lotta tra loro.

Sentiti tali, anche in quanto ab initio interpretati e riconsegnati a D come minacciosi e

chiaramente aggressivi. Si direbbe un vero e proprio fallimento della funzione di

Page 55: Attaccamento e Dipendenza

55

sintonizzazione e rispecchiamento (vedi anche il concetto di Attunement di

D.J.Siegel 2007). I comportamenti instabili e aggressivi (in un quadro diagnosticabile

come una DDAi, disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività; cfr Panksepp

1998) assumevano un ruolo di integrazione per il Sé, proprio in assenza di una valida

relazione che significasse, adeguatamente, i contenuti intrapsichici e i comportamenti

di Diego. La reazione ambientale spesso negativa fungeva da rinforzo dei

comportamenti aggressivi e della visione di una realtà persecutoria. Una conferma

insomma dei fantasmi persecutori stessi. Il mondo interno di D diveniva allora teatro

di feroci battaglie drammatizzate in seduta attraverso il gioco. Come David (ibidem)

Diego aveva reso l’atteggiamento aggressivo non scudo e strumento di protezione

“utilizzabile” ma parte integrante dell’esperienza e dell’espressione di sé, forma

prima di autonomia e tentativo di controllo dell’ambiente e delle relazioni. Un

ambiente incontrollabile e imprevedibile, sentito come minaccioso, persecutorio e

prevaricante. L’aggressività diviene allora un passepartout psichico, di ordine

narcisistico, che gestisce arbitrariamente la dinamica di separazione e individuazione

e il conflitto di dipendenza oggettuale. La mente dell’altro, terapeuta compreso,

diviene controllata nell’immediato della relazione, dall’aggressività espressa in modo

virulento che impedisce di affrancarsi da un regime di relazione dove il pericolo, la

sensazione di pericolo, sono costanti. Questa attitudine, certo difensiva, di Diego si

poneva nei termini di una forte influenza dell’interazione con gli altri che si

disponevano verso di lui anche in virtù delle sue specifiche attitudini. In tal senso il

comportamento di questo bambino faceva crescere in chi vi si relazionava forti

sentimenti di rabbia e frustrazione. L’impossibilità di distinguere e mediare tra

espressione di sé e aggressione/aggressività, ostacolava Diego nell’entrare in

relazione con gli altri senza appunto, porsi come effettivamente distruttivo e

prevaricatore. Diego agiva e impersonava i suoi stessi fantasmi persecutori. Un

percorso, di sei anni di terapia ha permesso a Diego di affrancarsi da questo unico

registro affettivo e relazionale, attraverso un lavoro di holding, di condivisione delle

regole della relazione, di significazione e risignificazione degli affetti e delle

Page 56: Attaccamento e Dipendenza

56

intenzioni. Permettere a Diego di dipendere e interdipendere in una relazione che gli

consegni strumenti di regolazione e autoregolazione affettiva e interattiva.

Identificazioni reciproche, “cross identifications” ,“mettersi nei panni dell’altro” per

D.W. Winnicott, (Winnicott 1971; Rayner 1995), hanno permesso a D, di ampliare la

gamma di rappresentazione dei suoi e altrui stati mentali ed affettivi, sino ad allora

dominio della non mediata espressione corporea: aggressiva e irrequieta. Un percorso

che ha permesso a D di sperimentarsi come facente parte di una processo di

costruzione di significati e di costruzione di una relazione di dipendenza positiva e

non della loro distruzione a scopo difensivo. Oggi D si affaccia alla pubertà con

strumenti più adeguati per affrontare, nuovamente, la sfida tra il mantenimento di

solidi legami affettivi, valide relazioni oggettuali, e la necessaria autonomia e

soggettivazione (R.Cahn 1998) in una dimensione intrapsichica e relazionale libera da

fantasmi aggressori e persecutori con cui identificarsi per sopravvivere. La mente di

Diego può “riempirsi di pensieri e sentimenti” (Fonagy 2001) e non svuotarsi.

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