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artéin questo numero “Curare a regola d’arte”:
processi biologici, processi creativi, processi terapeutici
Betweenness: il teatro e l’arte della cura
Musicoterapia in RosaLaboratorio di Musicoterapia indirizzato ad
un gruppo di donne
Tra Arte e TerapiaRiflessioni sull’utilizzo terapeutico
dell’autoritratto fotografico
L’ospite inattesoIncantesimi e trasformazioni nella relazione
terapeutica in un contestodi danzaterapia
La Danza Terapeutica al CDD Archimede di InzagoIl limite come
risorsa e possibilità: il caso di Margherita
La musicoterapia in una esperienza di formazioneper operatori di
una comunità alloggio
Il valore della musica:esperienze e riflessioni
sull’applicazione della musicoterapia nella demenza
Aiutare chi aiuta:musicoterapia e prevenzione del burnout
A CURA DI ASSOCIAZIONE MUSICA E TERAPIA
COOPERATIVA SOCIALE LA LINEA DELL’ARCOCOOP. SOC. CENTRO STUDI
DANZA ANIMAZIONE ARTE TERAPIA
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ISSN 1971-811X ANNO_05_NUM_07_APRILE_2010
QUADERNI ITALIANI DELLE ARTITERAPIE
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COSMOPOLIS SNCCorso Peschiera, 320 - 10139 Torino - tel/fax 011
71 02 09
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A CURA DI■ ASSOCIAZIONE MUSICA E TERAPIA
■ COOPERATIVA SOCIALE LA LINEA DELL’ARCO■ COOP. SOC. CENTRO
STUDI DANZA ANIMAZIONE ARTE TERAPIA
DIRETTORE EDITORIALEGerardo Manarolo
COMITATO DI REDAZIONEClaudio Bonanomi - Coop. Soc. La Linea
dell’ArcoFerruccio Demaestri - Ass. Musica e TerapiaLaura Panza -
Coop. Soc. Centro Studi Danza Animazione Arte Terapia
COMITATO SCIENTIFICOGiorgio Bedoni - Psichiatra, Psicoterapeuta,
Docente scuola di arteterapia di LeccoRoberto Boccalon - Direttore
Istituto di Psicoterapia Espressiva,ATI Bologna; Professore a
contratto di Psicologia Clinica e Psicoterapia, Università di
Ferrara
Claudio Bonanomi - Psicologo, Musicoterapista,Direttore Centro
di Formazione nelle Artiterapie, Lecco
Roberto Caterina - Professore Associato, Cattedra di Psicologia
della Musica, Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna
Giovanni Del Puente - Dipartimento di Neuroscienze Oftalmologia
e Genetica,Scienze di Psichiatria, Università di Genova
Daniela Di Mauro - Psicologa, DMT, PalermoGiovanna Ferrandes -
Psicologa, Psicoterapeuta, Azienda Ospedaliera-UniversitariaSan
Martino, Genova
Luigi Ferranini - Direttore Dsm Asl 3 Genovese, Professore a
contrattoall’Università degli Studi, Dipartimento di Neuroscienze
Oftalmologia e Genetica,Sezione di Psichiatria, Università di
Genova
Pier Maria Furlan - Professore Ordinario di Psichiatria e
Direttore del DipartimentoInteraziendale di salute Mentale ASO San
Luigi Gonzaga - Asl 5 di Collegno - Università di Torino
Maria Elena Garcia - Danzamovimentoterapeuta, Docente corso di
musicoterapia di AssisiGiovanni Giusto - Direttore Scientifico
Gruppo Redancia, GenovaDaniele La Barbera - Direttore Cattedra di
Psichiatria e Riabilitazione Psichiatrica,Università di Palermo
Claudio Lugo - Musicista, Compositore, Docente Conservatorio di
AlessandriaAndrea Masotti - Musicista, musicoterapista, Casa della
Musica, GenovaDonatella Mondino - Arteterapeuta, docente
art-therapy, TorinoDeborah Nogaretti - Arteterapeuta, Coordinatrice
Coop. Soc. CIMASLaura Panza - Psicologa, Danzamovimentoterapeuta
DMT, APID, MilanoMaurizio Peciccia - Psichiatra, Psicoterapeuta,
Università di Perugia, Presidente ApiartFausto Petrella -
Professore Ordinario di Psichiatria, Università di Pavia,Membro
ordinario con funzioni di training della Società psicoanalitica
italiana
Salvo Petruzzella - Drammaterapeuta, Psicodrammista,Overseas
Member della BADTh (British Association of Dramatherapy)
Rosa Porasso - Psicologa, Arteterapeuta, Docente scuola di
arteterapia di LeccoPier Luigi Postacchini - Psichiatra,
Neuropsichiatra,Coordinatore Corso quadriennale di musicoterapia di
Assisi
Vincenzo Puxeddu - Medico fisiatra, Danzamovimentoterapeuta,
Presidente Apid, CagliariPio Enrico Ricci Bitti - Professore
Ordinario di Psicologia Generale,Dipartimento di Psicologia,
Università di Bologna
Alessandro Tamino - Psichiatra, Psicoterapeuta, Presidente
Associazione Scuoladi Artiterapie e Psicoterapie Espressive,
Roma
Laura Tonani - Arteterapeuta, Docente Accademia di Brera
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ditoriaIl primo numero del 2010 si apre con il contributo
pre-sentato da Roberto Boccalon in occasione del VIICongresso
Confiam (28, 29, 30 Maggio, Genova).L’articolo di Boccalon
approfondisce le peculiaritàdei linguaggi espressivo-artistici e le
loro potenzialitàterapeutico-riabilitative, prima fra tutte la
possibilitàdi “offrire ...strutture pre-logiche per sviluppare
ca-pacità simboliche e lingue adatte a comunicare espe-rienze
interiori”.Salvo Petruzzella nel suo scritto (presentato alla
10°European Arts Therapies Conference, 16-19 settem-bre 2009,
Londra) illustra due importanti concetti pro-pri della
Drammaterapia, il concetto di “Betweennes”(lo spazio invisibile tra
le persone che le separa e leconnette) e quello di “relazione
persona-ruolo”.Rientrano fra i contributi teorici anche lo scritto
di Fa-bio Piccini e quello di Marialena Tamino.Fabio Piccini
introduce nell’ambito delle terapie espres-sive un nuovo medium,
quello fotografico, e presentale opportunità insite
nell’autoritratto fotografico.Marilena Tamino sottolinea il
potenziale evolutivo del-la Danzaterapia, “ponte per accedere ad
una cono-scenza intuitiva, corporea”.
Di taglio esperienziale ed applicativo risultano i restan-ti
contributi.Le opportunità formative proprie dell’approccio
musi-coterapico sono presentate da Alberto Alchieri (che de-scrive
un’esperienza formativa rivolta ad operatori so-cio-sanitari) e da
Giuseppe D’Erba e Raul Quinzi(impegnati nella prevenzione del
burnout); interessantiaspetti clinici emergono nell’intervento di
FrancescaPrestia (caratterizzato da finalità preventive) e in
quellodi Silvia Ragni dedicato al trattamento musicoterapicodella
Demenza Senile nei suoi vari livelli di gravità.
Gerardo Manarolo
Errata Corrige: nel numero precedente (n. 6) nell’arti-colo di
Michele Daghero “Arteterapia con la disabilitàpsicofisica grave. Un
approccio centrato sulla persona” èstata erroneamente inserita la
parola “Molto” nel titolodella 3° colonna (tabella di pag. 56)
anziché nella 4°.Ce ne scusiamo con l’Autore dell’articolo e con i
lettori.
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mariosomm
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m somm04 “Curare a regola d’arte”: processi biologici, processi
creativi, processi terapeutici
ROBERTO BOCCALON
15 Betweenness: il teatro e l’arte della curaSALVO
PITRUZZELLA
24 Musicoterapia in Rosa. Laboratorio di Musicoterapia
indirizzato ad un gruppo di donneFRANCESCA PRESTIA
29 Tra Arte e Terapia. Riflessioni sull’utilizzo terapeutico
dell’autoritratto fotograficoFABIO PICCINI
33 L’ospite inattesoIncantesimi e trasformazioni nella relazione
terapeutica in un contesto di danzaterapiaMARIALENA TAMINO
36 La Danza Terapeutica al CDD Archimede di InzagoIl limite come
risorsa e possibilità: il caso di MargheritaTANIA CRISTIANI
42 La musicoterapia in una esperienza di formazione per
operatori di una comunità alloggioALBERTO ALCHIERI
47 Il valore della musica: esperienze e riflessioni
sull’applicazione della musicoterapia nella demenzaSILVIA RAGNI
52 Aiutare chi aiuta: musicoterapia e prevenzione del
burnoutRAUL QUINZI, GIUSEPPE D’ERBA
60 Recensioni ar-té62 Notiziario ar-té 07
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“Curare a regola d’arte”processi biologici, processi creativi,
processi terapeutici*ROBERTO BOCCALON Psichiatra, psicoterapeuta,
direttore Istituto di Psicoterapia Espressiva, Art Therapy
Italiana, Bologna“Lei vede, ma non osserva”, è il rimprovero
diScherlok Holmes al fedele Watson (Conan Doy-le, 1991). Ogni
esperienza conoscitiva per evita-re distorsioni confusive deve,
infatti, essere inte-grata da una rif lessione, da un dialogo.
IlCorpus della scienza medica, come c’insegnaM. Foucault (Focault,
1969), si è storicamentestrutturato attorno ad uno sguardo
oggettivanteche trae le proprie radici dal teatro anatomico.Tale
prospettiva può ridurre lo spessore dell’in-tersoggettività, in
un’illusione di osservare rassi-curante, ma incapace di generare un
dialogo vi-tale. L’arte del curare, nella sua concretadeclinazione,
nonostante gli straordinari svilup-pi della tecnologia, non può
eludere la relazionetra i diversi attori coinvolti, si deve
misurare conle emozioni dei pazienti e dei terapeuti, con
ledifficoltà di tale incontro, memore del monitodi W. Shakespeare:
“Siamo fatti della stessa so-stanza dei sogni” (Shakespeare, 1964),
“Date pa-role al dolore: il dolore che non parla bisbiglia alcuore
sovraccarico e gli ordina di spezzarsi” (Sha-kespeare, 1964). Le
parole sono pietre miliari
dell’avventura umana. La prospettiva psicoana-litica si misura
con la sofferenza psichica ricono-scendone una valenza dinamica,
una potenziali-tà narrativa ed assegnando alla parola un ruolodi
portavoce. Freud stesso riconosce ben prestole difficoltà della
parola a farsi strada nella me-moria e a trarre ricordi
dall’Inconscio e si inter-roga su tale dinamica: “Come è possibile
che leimpressioni più importanti per il nostro futuro(prima
infanzia) non lascino alcuna immaginemnesica?” (1899); “Per
particolari situazioni... re-mote dell’infanzia... non è possibile
suscitare il ri-cordo” (1914).Per Freud il lavoro analitico,
nonostante i limitidella parola, si può e si deve, comunque,
avven-turare nell’area dell’esperienza psichica senza ri-cordo:
“Sbagliavamo nel credere che il dimenticarepresupponesse una
distruzione delle tracce mnemo-niche... per la nostra psiche... il
passato sopravvi-ve nel presente” (1930); “Il lavoro
(dell’analista) dicostruzione o, se si preferisce, di ricostruzione
rivelaun ampia concordanza con quello dell’archeologoche
dissotterra una città distrutta” (1937), (Freud,
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1977). Le acquisizioni nel campo delle neuro-scienze ci hanno
permesso, via via, di compren-dere meglio il senso e la natura di
tali “divieti diaccesso”. È stata infatti evidenziata,
nell’organiz-zazione strutturale della memoria, una
valenzaimplicita, inconscia e non verbalizzabile accantoa quella
esplicita, cosciente, narrativa. Le espe-rienze psichiche arcai-che
del bambino, riferitealle ultime settimane digestazione e al
periododa zero a due anni, sono,naturalmente, non verbalizzabili in
quanto maipensate, ma le loro tracce sono, comunque, “in-cise” come
memoria implicita a livello dellestruttute ippocampali. Anche
esperienze succes-sive, se particolarmente intense e
traumatiche,possono seguire questa via. Talora la parola of-ferta
non è, comunque, raccolta, come la vocinadi Pinocchio-pezzo di
legno non è presa in consi-derazione da Mastro Ciliegia, tutto
intento arealizzare il suo progetto: la gamba di un tavolo(Collodi,
1995). Talora la parola stessa è unasponda troppo lontana, incapace
di dare imme-diatamente “senso” e “pensabilità” all’esperien-za
umana, nelle sue diverse tappe e vicissitudini,come ben ci segnala
Dante: “Trasumanar signi-ficar per verba non si poria, però
l’essemplo basticui esperienza grazia serba” (Alighieri,
1937).Quando le parole, da sole, non bastano a conte-nere e
comunicare l’emozione, si deve ricorreread altri codici espressivi,
la mente umana si puòappoggiare a forme primitive di conoscenza e
dicomunicazione, può utilizzare le “metafore mu-te” della
produzione estetica come veri e proprioggetti di transizione
(Edelman, 1993). La pro-duzione estetica, dalle grotte del
neolitico agli
odierni graffiti metropolitani, ha garantito unponte tra
l’esperienza del mondo (esterno ed in-terno) e la sua
rappresentabilità/pensabilità. Leespressioni artistiche, infatti,
possono offrire atutti strutture pre-logiche per sviluppare
capaci-tà simboliche e lingue adatte a comunicare espe-rienze
interiori. L’opera d’arte è stimolo di co-
noscenza tramite labellezza. La conoscenzaestetica, per S.K.
Lan-ger, ha carattere antici-patorio: “L’opera d’arte è
un simbolo non discorsivo che riesce ad articolareciò che
risulta ineffabile in termini verbali, essaesprime consapevolezza
diretta, emozione, identità,la matrice del mentale” (Langer, 1957).
Profili ri-gidi, automatici e opachi, a livello delle
funzionisomatiche e/o psichiche, sono talora
l’unicatraccia/testimonianza recuperabile dalla “scato-la nera”
della memoria implicita. Essi “canta-no” qualcosa di profondamente
importante, si-curamente avvenuto nella mente, ma di cui nonsi ha
un ricordo comunicabile, né recuperabiledirettamente in forma di
parola.La conoscenza estetica è conoscenza poetica delprofondo e ci
mette in contatto con la trama piùinterna, nascosta della mente,
come sembra al-ludere il poeta S. Quasimodo: “E un sepolto inme
canta che la pietraia forza come radice e mo-stra i segni
dell’opposto cammino.” (Quasimodo,1970). Il pittore P. Klee sembra
condividere taleprospettiva: “L’arte gioca con le cose ultime
ungioco inconsapevole” (Klee, 1959). Nella prospet-tiva di D.W.
Winnicott, pediatra e psicoanalista,la creatività, più di ogni
altra cosa, fa sì che l’in-dividuo abbia l’impressione che la vita
valga lapena di essere vissuta e un gioco di specchi, suf-
*
QUANDO LE PAROLE, DA SOLE, NON BASTANOA CONTENERE E COMUNICARE
L’EMOZIONE,SI DEVE RICORRERE AD ALTRI CODICI ESPRESSIVI
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ROBERTO BOCCALON
ficientemente “a regola d’arte”, è all’origine del-la vita
psichica. È l’esperienza del lattante di es-sere tenuto/sorretto e
manipolato e poi quella diguardare il viso della madre e di vedervi
se stes-so: “E ciò che essa appare è in rapporto con ciò cheessa
scorge”. Il viso della madre è come unospecchio e questo
rispecchiamento: “È l’inizio diuno scambio significativo con il
mondo, un pro-cesso a due vie, in cui l’arricchimento di sé si
al-terna con la scoperta di un significato nel mondodelle cose
viste” (Winnicott, 1971).Per J. Lacan, il riconoscere come propria
l’im-magine allo specchio significa per il bambino po-ter diventare
spettatore di se stesso e accorgersid’essere visibile, sia per sé,
sia per gli altri. Lafunzione speculare, mentre rende possibile la
co-noscenza del Sé, può rendere possibili ancheprocessi di
costruzione di un’immagine idealedel Sé, da cui si può essere
captati. L’immaginespeculare è, infatti, la: “Matrice simbolica in
cuil’Io si precipita in una forma primordiale prima dioggettivarsi
nella dialetti-ca dell’identificazione conl’altro” (Lacan, 1974)
edapprodare pienamenteall’esame di realtà. L’in-contro con l’altro
da sé èanche immagine, metafo-ra della memoria comealterità. Se non
si riesce a costruire dentro di séuna memoria dell’esperienza, che
sia un “suffi-cientemente altro” con cui dialogare, nel corsodella
vita si sarà in balia della contingenza deisingoli eventi e del
rischio di un’alienazione.La recente scoperta dei neuroni specchio
(Rizzo-latti, Craighero, 2004), sembra suggerire il possi-bile
meccanismo biologico che sottende a tale
dialogo/rispecchiamento primario, conferman-do un profilo
incarnato delle funzioni psichicheed il ruolo dei codici espressivi
pre-verbali nellaregolazione dell’esperienza emotiva e dei
proces-si di adattamento. La soggettività umana prendeforma
attraverso meccanismi cerebrali di rispec-chiamento che sostengono
una comunicazionediretta, non linguistica, fra i cervelli. La
simula-zione incarnata costituisce un meccanismo cru-ciale
nell’intersoggettività. Attraverso uno statofunzionale condiviso da
due corpi diversi chetuttavia ubbidiscono alle stesse regole
funzionali,“l’altro oggettuale” diventa “un altro se stesso”.Trova
così conferma la lungimirante prospettivafenomenologica tracciata
da M. Merleau-Ponty:“La comunicazione o la comprensione dei gesti
av-viene attraverso la reciprocità delle mie intenzioni edei gesti
degli altri, dei miei gesti e delle mie inten-zioni comprensibili
nel contesto di altre persone. Ècome se l’intenzione dell’altro
abitasse nel mio cor-po e la mia nel suo” (Merleau-Ponty, 1982).
Lo
sviluppo psichico e lacreazione di un mondointerno e
parallelamentel’instaurazione dell’esa-me di realtà, sia nella
pro-spettiva psicoanalitica, siain quella delle neuro-scienze, si
fondano su un
intreccio di sguardi, tra il soggetto e il ritratto delsuo
desiderio. Giocare con la produzione di im-magini può, quindi,
aiutare a riprendere il filo diun discorso, talora sospeso o
spezzato.La ricchezza, la complessità e l’intensità dei co-dici
espressivi non verbali facilita l’accesso, insenso trasformativo,
dalla dimensione del signi-ficante a quella dei suoi possibili
significati. La
“Curare a regola d’arte”processi biologici, processi creativi,
processi terapeutici
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LA RICCHEZZA, LA COMPLESSITÀE L’INTENSITÀ DEI CODICI
ESPRESSIVINON VERBALI FACILITA L’ACCESSO,IN SENSO
TRASFORMATIVO,DALLA DIMENSIONE DEL SIGNIFICANTEA QUELLA DEI SUOI
POSSIBILI SIGNIFICATI
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prospettiva psicoterapeutica espressiva “mette ingioco” e
valorizza l’intero universo comunicati-vo che è stato del bambino
nelle diverse fasi del-la sua crescita, per favorire, anche ad
adolescen-ti e adulti, un contattocon contenuti mentaliprimari,
incandescenti,ed un loro accesso alpensiero ed al linguag-gio, non
distorto darappresentazioni ste-reotipate. L’isola di Stromboli,
vista da Panarea,appare in alcune foto un luogo del sogno,
senzatempo e senza drammi. Il profilo del vulcano,con un candido
pennacchio di fumo, sembra in-nocuo ed ispira simpatia. Ma è
un’immagine“da cartolina”, esente dal magma pulsionale elontana dal
ricordo di una catastrofe antica, co-me quella che troppo spesso,
purtroppo, è datadell’adolescenza.Un’immagine senza i tracciati
dell’incertezza,che può orientare il conflitto ed i suoi rimandi,
èuna mappa che allontana dalla “materia men-tale” dell’adolescenza
e dai problemi che essacontiene. Una tale mappa non può dare un
sen-so agli interrogativi che l’adolescente solleva, al-la fatica
di crescere che sperimenta, e non aprela strada a risposte
possibili ed adeguate. Alcuniacquerelli di un pescatore isolano,
pittore dilet-tante, ci permettono di vedere Stromboli in unmodo
diverso, da un punto di vista più interno,vissuto. Ecco allora che
riusciamo a scorgere latraccia, la memoria dell’attracco difficile
quan-do il mare è turbato, esperienza questa che cipuò far
scontrare con gli scogli della rinuncia epuò richiamare per
analogia la difficoltà dell’av-vicinarsi alla comprensione di un
adolescente.
Possiamo anche scoprire che l’isola, vissuta davicino, si
presenta con i suoi potenziali d’ener-gia, incandescente e
pericolosa, e al contemposeducente richiamo. Anche la lettura delle
rifles-
sioni degli allievi di unaScuola Superiore, inmargine alle
proprieproduzioni pittoriche,realizzate in un labora-torio di arte
terapia, èquanto mai interessan-
te e ci apre spiragli di conoscenza sul “pensare”adolescente. In
un incontro, per esplorare i pro-fili del desiderio e della realtà,
è proposto un la-voro individuale sul tema: “Rappresentate conun
disegno da un lato quello che siete e il luogodove state e
dall’altro come vorreste e dove desidere-reste essere”.Un’allieva
disegna una palla arancione ed unastella gialla bordata di rosso e
le commenta così:“La prima è una palla che sembra voglia chiuder-si
sempre più in se stessa e nello stesso tempo uscireper liberarsi.
Casualmente il disegno si è rotto.Questo mi ha fatto pensare che
forse la palla aran-cione aveva voglia di andarsene dal cerchio.
Lastella cerca di rappresentare quello che vorrei esse-re, essa
tenta d’essere luminosa ma non vi riescecompletamente perché
anch’essa è circondata.Sembra quasi una stella senza volontà,
infatti toc-ca la palla e questo significa che non è ancorachiaro
quello che vorrei essere. È difficile spiegareciò che vedo, ma è
come se la stella fosse in fondouno stare male della palla; un male
con le punte equindi punge anche le persone intorno”. La
stessaallieva rivedendo il suo disegno dopo due annilo commenta
così: “Riguardo la foto del mio dise-gno e ciò che avevo scritto
dopo molto tempo, dopo
UN’IMMAGINE SENZA I TRACCIATI DELL’INCERTEZZA,CHE PUÒ ORIENTARE
IL CONFLITTO EDI SUOI RIMANDI, È UNA MAPPA CHE ALLONTANADALLA
“MATERIA MENTALE” DELL’ADOLESCENZAE DAI PROBLEMI CHE ESSA
CONTIENE
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ROBERTO BOCCALON
che fortunatamente sono cambiate molte cose. Nonmi piace
rivedere questa foto perché non ho dei beiricordi e nello stesso
tempo è un sollievo sentirmicosì diversa da allora. Ma devo
ammettere che,anche se mi disturba tanto, qualcosa forse è rima-sto
che mi fa paura. Non fa niente, in fondo il di-segno mi piace”.
Nello stesso laboratorio un’altraragazza ha così commenta la sua
produzione:“Il disegno come vorrei che fossi è dominato dalgiallo,
un colore caldo che non sta mai fermo è al-legro e vivace, ma nello
stesso tempo nelle strisce enei buchi blu scuro posso rifugiarmi
per riflettere.Nel disegno di sinistra,com’è in realtà, le
grossestrisce d’azzurro diritte ecurve mi indicano quelloche devo
fare ma sono an-cora presenti alcuni colorivivi come il giallo, il
verdee il rosso che danno un po’ di brio e un po’ di mo-vimento.
Pur essendo separati piuttosto nettamen-te i due disegni sono quasi
parte integrante l’unodell’altro; si completano a vicenda. Ed è
così an-che nella realtà, so molto bene dov’è il sogno, il
de-siderio e dove invece inizia la realtà”.In un altro incontro è
proposto a coppie d’allievidi rappresentare le traiettorie della
crescita, deli-neando: “Una storia in tre momenti”. Una cop-pia
disegna un cucciolo verde, una gabbia ed uncane che sembra
scodinzolare in allegria. Cosìcommenta il lavoro: “I protagonisti
di questa sto-ria, alcuni cani, sono prima accuditi e trattati
be-ne, poi rinchiusi in un canile e, infine, liberati.La storia
rispecchia le sensazioni di un adolescen-te: dapprima il bambino è
accudito, su di lui sonoriposte mille attenzioni e sta bene
nell’ambiente incui si trova, non ha problemi di alcun tipo.
Poi,
diventa adolescente e si sente intrappolato, costret-to entro
limiti che non accetta, che non gli sonoconsoni. Infine la libertà,
dopo questo periodo dicrisi e di costrizioni. Abbiamo avuto
esitazioni ri-spetto alla porta della gabbia: aperta o chiusa?Alla
fine abbiamo deciso di farla aperta, di lascia-re la strada libera.
In questo periodo il problema cicoinvolge molto: pensiamo entrambe
di avere qua-si completamente superato lo stadio della gabbia,pur
essendo soltanto diciassettenni. Ma la libertàesiste veramente?”.
Un’altra coppia disegna duebambini di color giallo, su fondo blu,
dal sapore
vagamente primitivo; uncuneo, color bronzo, chesovrasta una
testa rossa;un uomo color giallo, incoppia con una figura didonna,
tratteggiata a ma-tita. Entrambi i profili so-
no ben differenziati. Gli autori narrano così il lo-ro
“trittico”: “I due bambini, maschio e femmina,rappresentano
l’infanzia, sorridono perché sono fe-lici, sono in un periodo
abbastanza tranquillo, so-no sereni. L’alone giallo simboleggia la
gioia, il so-le che li illumina.” ... “Siamo travolti da
tanteinnumerevoli emozioni, siamo travolti da noi stes-si, ne siamo
in parte prigionieri. Stiamo crescendo,è faticoso” ... “Ci stiamo
abituando a noi stessi, alnostro corpo, al mondo esterno. Le forti
emozionirallentano, il cuore batte più lentamente, siamo vi-cini ai
rapidi pensieri ma riusciamo a controllarlicon meno fatica”.Alla
fine di un altro incontro, dove era propostoun lavoro di gruppo sul
tema: “Costruire unascatola che vi rappresenti”, un’allieva
commen-tava così la sua esperienza: “Oggi mi sono vera-mente
divertita e ho potuto esprimere tutta la mia
“Curare a regola d’arte”processi biologici, processi creativi,
processi terapeutici
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...ABBIAMO AVUTO ESITAZIONI RISPETTO ALLAPORTA DELLA GABBIA:
APERTA O CHIUSA?ALLA FINE ABBIAMO DECISO DI FARLA APERTA,DI
LASCIARE LA STRADA LIBERA...
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fantasia e creatività. Ho fatto una scatola che mirappresenta, è
rettangolare ed ai bordi ha dellesbarre, un telefono, un pezzo di
stoffa rossa, unpezzo di carta stagnola come ad indicare uno
spec-chio. All’interno si ritrova la carta stagnola e unpapero
giallo morbido e piccolo. Vi è anche unascritta ‘sale e pepe’. Ho
unito la mia scatola conquelle di Maria e Sonia mediante fili
colorati, filitelefonici. C’è una grande strada che collega le
trescatole. Essendo ormai diventate esperte della co-municazione
infine abbiamo collegato il nostrovillaggio con gli altri villaggi.
L’iniziativa è statanostra senza che nessuno ci venisse incontro. È
unfatto strano che il nostro villaggio non aveva mu-ra, è bello
pensare ad un villaggio senza mura, èun villaggio di mentalità
aperta che sente il biso-gno di comunicare con gli altri. Sarebbe
un pecca-to se non si potesse comunicare”.L’esperienza densa ma
gioiosa della messa in re-te di diversi linguaggi e dimensioni
dell’intelli-
genza apre, così, la strada ad una rappresenta-zione più ricca e
decisa del bisogno così umanodi comunità a livello dei villaggi
interni ed ester-ni. In prossimità dell’esame di maturità, in
unSeminario residenziale, l’intera classe si è impe-gnata in un
lavoro di gruppo che doveva rap-presentare la sintesi di
un’esperienza quinquen-nale. Gli allievi si sono messi tutt’intorno
ad unfoglio di carta largo un metro e lungo oltre dieci.In un
girotondo di colori e di mani, attraversol’integrazione e la
condivisione d’oggetti parzia-li, concreti e simbolici, ha preso
forma un’operache presentava un’evidente, quanto
imprevista,direttrice evolutiva. Ad un estremo, infatti, c’erail
massimo di frammentazione ed un uso preva-lente della tecnica del
collage che via via lascia-va il passo ad un uso sempre più deciso
del colo-re e a profili più articolati ed unitari.Il Cartellone,
una volta portato in aula, appari-va come una “seconda lavagna”, a
colori, non
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ROBERTO BOCCALON
“Curare a regola d’arte”processi biologici, processi creativi,
processi terapeutici
12in bianco e nero come quella tradizionale, doveanche
l’intelligenza emotiva può trovare alimen-to e possibilità
d’espressione. Un’allieva dà que-sta descrizione del prodotto
estetico e del pro-cesso che lo sottende: “Un cartellone: questo
èstato il nostro prodotto; un cartellone che racchiu-de tutti i
nostri ricordi, desideri, attese, delusioni enovità ma soprattutto
un po’ della nostra vita unpo’ degli anni vissuti assieme... Chi
entrando inclasse vede appeso allaparete quello striscione,che per
la varietà dei co-lori potrebbe sembrare unmanifesto
pubblicitario,non immaginerà mai illavoro che vi è dietro; ve-derlo
appeso là in alto era come vederci in unospecchio che rimandava la
nostra immagine, lanostra storia”. Difficilmente avremmo
potutoavvicinare e conoscere in modo cosi ricco i pro-fili dei
vissuti adolescenziali, se le immagini nonavessero svolto un ruolo
preliminare di rispec-chiamento e mediazione.Anche nell’ambito
della clinica psichiatrica sipuò rilevare come i vissuti profondi,
pur rima-nendo inizialmente lontani dall’essere consape-voli, si
possono esprimere nell’atto creativo stes-so trovando, in
alternativa al sintomo, unproprio campo di elaborazione. La
riflessionesulla propria produzione pittorica effettuata daun
paziente adulto, ricoverato in un reparto dipsichiatria d’urgenza
per un serio disturbo psi-cotico, apre una finestra sulla materia
dellamente e indica al tempo stesso una traiettoria,necessaria e
possibile, dalla contenzione allacomprensione: “Sulla destra c’è il
pittore, sono iocon il cappello; e quello non è un bastone è il
pen-
nello. Al centro c’è una grotta con dentro un fan-tasma che va a
zig zag tra le cose vive (tre alberel-li) e le cose morte (il
numero 1382); il fantasmal’ho colorato di giallo, ma non lo si può
vedere enon lo si può acchiappare, perchè dentro la grottac’è buio;
ad un certo punto il fantasma si spiacci-ca sulla parete della
grotta e così lo possiamo rico-noscere”. Sulla parete sinistra
della grotta si pote-va osservare una composizione di tipo
astratto
che per le forme ed i co-lori utilizzati ricordavaun quadro di
Mirò. Ilpaziente aveva frequen-tato solo le scuole ele-mentari, non
conosceva“consapevolmente” il
mito della caverna di Platone, né l’arte moder-na, ma nella sua
produzione erano comunque“testimoniate” e la riflessione su di essa
potevafar tesoro di tali risorse simboliche. In un labo-ratorio
espressivo, attivato all’interno di un Cen-tro Diurno, è stato
proposto il tema: “Viaggiointorno alla casa”. La produzione di
immaginiha permesso anche a pazienti psichiatrici parti-colarmente
impoveriti, sia da nodi psichici irri-solti, sia da una
consuetudine assistenziale mo-notona e medicalizzata, di
re-incontrare ecomunicare vissuti antichi legati al
“contenitoredomestico”, nel suo versante interno ed esterno.Una
paziente, utilizzando i pastelli, con un trat-to leggero e i colori
sfumati di una possibile au-rora, disegna il mondo esterno visto
dalla fine-stra e poi lo descrive con le parole: “Dallafinestra
della mia stanza vedo alberi... A volte misoffermo con una matita e
un foglio a riprodurrequesto paesaggio. Quando c’è bel tempo si
vedonole rondini volare, invece se c’è brutto tempo guar-
DIFFICILMENTE AVREMMO POTUTO AVVICINAREE CONOSCERE IN MODO COSI
RICCO I PROFILIDEI VISSUTI ADOLESCENZIALI, SE LE IMMAGININON
AVESSERO SVOLTO UN RUOLO PRELIMINAREDI RISPECCHIAMENTO E
MEDIAZIONE
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do le nubi e attraverso loro vedo delle forme che iointerpreto
come oggetti, cose o animali.”Un’altra paziente, con colori a cera
ben distintie con tratto deciso, rappresenta il suo mondo in-terno
(spazi, relazioni, emozioni) nel periodoantecedente all’esordio
psicotico e, successiva-mente, può recuperare e narrare ricordi
conparticolare freschezza: “Ho disegnato l’internodi una casa... mi
sono ricordata di quando abita-vo a Bologna. Era una casa
piccolissima doveabitavamo in quattro ragazze. Allora avevo
ven-t’anni e studiavo da assistente sociale. Facevo iltirocinio
nelle vecchie carceri di San Giovanni inMonte. La casa, oltre che a
viverci, serve anche aricevere gli amici. Mi ricordo di una
festa... Avevoriempito la sala da pranzo. Avevo preparato tantecose
da mangiare: tartine, dolci, aranciata, cocacola, pompelmo e un po’
di spumante... Avevocomperato un mangianastri e le canzoni che
eranoin voga negli anni sessan-ta. C’era chi sapeva fare aballare e
chi no, ma tuttici siamo divertiti. Gliospiti portarono tutti
unregalino... (quello) che ho più di tutti gradito èstato un
carillon con la forma di un pianoforteche suonava una musica
delicata. A notte tardase ne andarono tutti lasciando tutta la casa
indisordine e la mattina dopo feci le pulizie”.Un paziente, rimasto
precocemente orfano dimadre, sviluppa la tematica della casa in
modoapparentemente distaccato e scolastico: “Ho fat-to il mio
disegno in modo che facesse venire l’ideadi un igloo con l’antenna
parabolica, per studiarele telecomunicazioni, radiocomunicazioni
sullaTerra e nell’Atmosfera. Vicino all’antenna c’è unradiocomando
interno portatile. Gli occupanti di
questo posto si alternano per la guardia e per le ri-cerche ed
una volta al mese arrivano i viveri.Questa è la casa tecnologica
degli Esquimesi delfuturo”. Disegnando un igloo ideale,
supertec-nologico e scrivendo delle dinamiche domesti-che degli
Eschimesi del futuro egli sembra evi-denziare, però, le
vicissitudini del suo passato, iltrauma della sua prima infanzia e
le “glaciazio-ni interne” sviluppate in termini difensivi. Colo-ri,
immagini, parole e storie! Dopo aver “viag-giato” attorno alla casa
si è proposto ai pazientidel Centro Diurno d’andare a frugare
ovunqueci fossero storie, nelle opere liriche e nelle canzo-ni, nel
cinema, nei giornali e nei libri e nei re-perti del museo. Il
modello dell’anfora antica èstato proposto, ad un certo punto, come
conte-nitore estetico capace di accogliere storie.La visita al
Museo Archeologico, ricchissimogiacimento di antiche storie ad alto
potenziale
emotivo raccontate perimmagini, ha offerto unostimolo a lavorare
su as-sociazioni e ricorsi alle“epoche antiche della
mente”. Anche la fruizione dei prodotti esteticisi è confermata
capace di dare voce e possibilitàdi elaborazione al vissuto. Erano
stati scelte an-fore con raffigurazioni relative al ciclo
omerico.Le spiegazioni della direttrice del museo hannocatalizzato
l’interesse del gruppo dei pazienti,che ha fissato nella mente le
vicende raccontatedalle immagini e ne ha recuperato, in un secon-do
tempo, significati e risonanze latenti. Unapaziente, dopo la visita
ha scritto: “La guerra diTroia è come la storia tra me e mio
marito, che conmio padre si discuteva sempre...”. Un altro
pa-ziente, riflettendo sull’amore di Elena di Troia
ANCHE LA FRUIZIONE DEI PRODOTTI ESTETICISI È CONFERMATA CAPACE
DI DARE VOCEE POSSIBILITÀ DI ELABORAZIONE AL VISSUTO
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ROBERTO BOCCALON
“Curare a regola d’arte”processi biologici, processi creativi,
processi terapeutici
14con Paride, ha scritto: “Dalla loro unione nacqueun figlio
esaurito, che fu portato dal neurologo,ma invece del medico trovò
un drago” ... “quandoero bambino mio padre mi portava a spasso
perBologna, perché temevadi incontrare a Ferraradei colleghi di
lavoro aiquali non voleva mostra-re il figlio ammalato”.Parole
espresse in sem-plicità, ma limpide nel loro significato e
deten-trici di una sofferenza che si trascina nel tempoe accompagna
una vita intera. La visita al mu-seo fa riaffiorare in una paziente
un’emozione,una parte di sé seppellita e suggerisce la modali-tà
per raccontarla. Disegna 2 anfore, una gran-de e una piccola e dopo
aver eseguito questo di-segno si accascia sul banco, sfinita. In
seguitoconfida, a voce, alla conduttrice del laboratorioespressivo:
“Sa perché ho disegnato 2 vasi? Perchéuna è la mia urna e la
piccola è quella dei miei 2bambini abortiti...”Suoni, segni e gesti
sono un alfabeto arcaico el’esperienza creativa è fin dall’inizio,
o fin danuovi inizi, resi necessari dalle vicissitudini deldisagio
psichico, un dialogo possibile: “Quandoil dolore è così intenso da
non avere più accesso al-la coscienza, quando i pensieri sono così
dispersida non essere più comprensibili ai propri simili,quando i
contatti più vitali con il mondo sono re-cisi, neppure allora lo
spirito dell’uomo soccombe eil bisogno di creare può persistere”
(Arieti, 1974).L’attività espressiva, che nella vecchia
psichia-tria era soprattutto psicopatologia dell’espressio-ne,
diventa arte là dove diventa espressione del-la psicoterapia,
perché tanto il paziente che ilsuo terapeuta possono esperire nelle
immagini e
nei gesti delle fasi del comune percorso del pro-cesso interiore
(Benedetti, 1971).Il ventaglio dei linguaggi può offrire dappri-ma
uno schermo su cui è possibile proiettare
in modo immediato iprofili del proprio mon-do interno;
successiva-mente può funzionareda specchio che rendepossibile
un’interioriz-
zazione consapevole di contenuti mentali an-che incandescenti
che possono così accedereal pensiero ed al linguaggio (Belfiore,
1998). Illinguaggio delle arti può accogliere trasforma-re e
rendere intellegibile l’esperienza sorgiva,il caos emotivo
originario e inconsapevole dacui sorge ogni volta un ordine
affettivo/cogni-tivo che può essere sempre più articolatamen-te
strutturato.I linguaggi ordinari talora perdono di vista que-sto
livello costituente o addirittura l’occludono.L’esperienza clinica
ha portato ad un ribalta-mento di prospettiva nel rapporto tra
psicoana-lisi ed arte. Da una radice dialettica originariache
vedeva una scienza psicologica applicata al-l’arte, vista quasi
come un paziente da sottopor-re a trattamento, si sono sviluppate
esperienze eriflessioni che disegnano una scienza psicologicaed una
pratica clinica ispirate dall’arte e capacidi comprendere meglio i
potenziali creativi, laproduzione estetica e il loro possibile
ruolo nelprocesso psicoterapeutico.Arte e percezione estetica si
confermano, in alcu-ni sviluppi della prospettiva psicoanalitica,
prero-gative della capacità di pensiero. Per D. Meltzerla
percezione e la produzione estetica non sonoevento secondario,
modalità riparativa, ma even-
L’ATTIVITÀ ESPRESSIVA, CHE NELLA VECCHIAPSICHIATRIA ERA
SOPRATTUTTO PSICOPATOLOGIADELL’ESPRESSIONE, DIVENTA ARTE LÀ
DOVEDIVENTA ESPRESSIONE DELLA PSICOTERAPIA...
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to primario della vita psichica; il conflitto esteticomodella
gli inizi della nostra immaginazione efantasia, così come dei
disturbi della nostra vitamentale. “La qualità evocativa del
rapporto traopera d’arte ed interprete, tra interprete e
fruitorepuò essere accostata al modello dell’intimità
madre-bambino, al loro reciproco donarsi ed interrogarsi,tanto che
possiamo immaginare una madre chenarra la bellezza del suo bambino
ed un bambinoche s’interroga sulla bellezza della madre come
pro-totipo dell’interazione infinita” (Meltzer, 1981).Si può far
risuonare l’inconscio (Di Benedetto,2000) anche giocando con la
produzione d’imma-gini e di gesti, per riprendere il filo di un
discorso,talora sospeso o spezzato, senza perdersi nellacomplessità
ed intensità dei codici espressivi.Nella prospettiva della
Psicoterapia Espressival’atto del creare un’immagine o una danza,
non èallontanamento dal compito, attacco al processoconoscitivo e
al setting che lo sostiene, ma è parteintegrante del processo
terapeutico (Rob-bins,1986; Belfiore, Colli, 1998; Govoni,
2007).Nel corso del lavoro i vissuti profondi, pur rima-nendo
inizialmente lontani dall’essere consapevo-li, si possono
esprimerenell’atto creativo stesso,trovando, in alternativaal
sintomo, un propriocampo di elaborazione(Boccalon, 2007; Pecic-cia,
Benedetti, 2006). Laproduzione estetica, in termini di segno
graficoo motorio, si colloca come terzo polo, vertice emediatore di
comunicazione tra psicoterapeutae paziente, permettendo
l’articolazione di nuovedirettrici di interazione. Esse comprendono
ilrapporto tra paziente e prodotto, nel quale il pa-
ziente stesso progressivamente impara a ricono-scersi e vede
rispecchiate parti di sé, difficoltà,difese inconsce, fantasie o
bisogni; il rapportotra paziente e terapeuta attraverso il
prodotto, incui si articolano e prendono forma dinamichetransferali
e controtransferali, dando corpo alcampo della relazione; ed infine
l’interazione di-retta tra paziente e terapeuta che consente
l’in-tervento terapeutico e lo scambio, verbale enon, nell’area
transizionale, in luogo e/o insiemeal campo transferale (Luzzato,
2009). La com-presenza di queste tre dimensioni
comunicativepermette al lavoro di procedere a più livelli inquanto
la presenza dell’oggetto viene iscritta inun contesto di
significazione simbolica.Potenziali creativi e potenziali
distruttivi sono,comunque, aspetti compresenti della
condizioneumana, due facce della stessa medaglia. G. Bra-que, che,
nella ricerca pittorica, coniuga il co-raggio e la passione con un
particolare rigorecartesiano, mette in guardia sia dalle rigidità
edai conformismi difensivi di tutte le accademie,sia dalle
seduzioni di un’emozione tumultuosa esenza limiti, dal pericolo di
divenire degli ap-
prendisti stregoni chenon riescono a conte-nere i propri passi
al-l’interno di un armoni-co processo espressivo.“Amo la regola che
cor-regge l’emozione e l’emo-
zione che corregge la regola” (Braque, 1982), af-fermava,
testimoniando la necessità di associarel’ardimento della creazione
innovativa con lapazienza, la precisione, la misura
indispensabilialla vera armonia. W. Bion, sembra condividerela
stessa ricerca appassionata e la stessa preoccu-
SI PUÒ FAR RISUONARE L’INCONSCIO ANCHEGIOCANDO CON LA PRODUZIONE
D’IMMAGINIE DI GESTI, PER RIPRENDERE IL FILODI UN DISCORSO, TALORA
SOSPESO O SPEZZATO,SENZA PERDERSI NELLA COMPLESSITÀED INTENSITÀ DEI
CODICI ESPRESSIVI
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ROBERTO BOCCALON
“Curare a regola d’arte”processi biologici, processi creativi,
processi terapeutici
16pazione di dare un setting possibile e vitale alleesperienze
primarie: “I meccanismi psicotici ri-chiedono un genio per
manipolarli in modo ade-guato a promuovere la crescita” (Bion,
1973).Anticamente gli artisti suscitavano un sacro ti-more, erano
sottoposti ad un rito che sembra vo-lerne esorcizzare la potenza
destabilizzante: “Seun tale uomo viene da noi per mostrarci la
suaarte, ci metteremo in ginocchio da lui, come da-vanti ad un
essere raro. L’ungeremo con la mirra,gli porremo un serto di lana
sulla testa e lo man-deremo via, in un’altra città” (Platone,
1973).Anche ai nostri tempi chi cerca di declinarel’arte del curare
attraverso l’arcobaleno deicodici espressivi (musicali, pittorici,
coreici e
teatrali) può essere oggetto di simili ambiva-lenze, attivate
proprio dalla valenza vitale eperturbante del processo creativo.
Solo coniu-gando tenacemente la passione ed il rigore,nel nostro
lavoro terapeutico, possiamo con-tribuire ad attenuare tali
ambivalenze e a fa-vororirne l’elaborazione. ■
* Relazione presentata alVII Congresso Nazionale Confiam28/29/30
maggio 2010, Genova
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BIBLIOGRAFIA
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Betweenness:il teatro e l’arte della cura
Drammaterapeuta, Psicodrammatista SALVO PITRUZZELLA 17Le arti
terapie occupano una posizione alquan-to singolare. Esse
rivendicano un’istanza di cu-ra, che tuttavia non deriva, come nel
caso dellepsicoterapie, da una tradizione medica, ma dal-la
ricomposizione di frammenti, intuizioni, pra-tiche sparse delle
arti che, nel corso dei secoli,hanno suggerito il potenziale
trasformativo del-l’esperienza artistica. Tale ricomposizione
haprodotto, man mano che le sperimentazionidelle diverse arti
terapie maturavano, la creazio-ne di quadri teorici e metodologici
che ne giusti-ficano l’efficacia, e che descrivono paradigmidella
persona umana e del suo farsi in un mon-do di relazioni, attraverso
concetti, analogie emetafore tratti dall’universo artistico.La
drammaterapia, in particolare, ebbe inizio al-l’interno di forme di
sperimentazione teatrale,nelle quali i primi maestri riconobbero il
poteredell’azione drammatica nell’attivare cambiamen-ti psichici,
riconnettendosi a quel fil rouge chedalla tragedia greca attraversa
tutta la tradizioneteatrale, proclamando per il teatro, al di là
delmero intrattenimento, una funzione di rinnova-mento sia
dell’individuo che del corpo sociale.Lungo il processo di sviluppo
della drammate-rapia, la ricerca dei fattori terapeutici del
dram-ma si è dapprima concentrata sui benefici piùevidenti del
lavoro drammatico in chi lo pratica:la consapevolezza del corpo e
delle emozioni, ilpotenziamento delle competenze
comunicativecollegato alla collaborazione di gruppo, la cre-scita
delle facoltà creative e la scoperta del pote-re di esprimersi. Ma
il dramma è organismocomplesso, e molti altri dei sottili aspetti
che locompongono sono stati indagati a fondo daglistudiosi della
drammaterapia, e sintetizzati inconcetti-chiave che hanno
indirizzato vari mo-
delli interpretativi e metodi di intervento. Quelliche prenderò
in considerazione sono i concettidi “Betweenness” e di “relazione
persona-ruo-lo”, in autori molto diversi: l’inglese RogerGrainger
(1995) per il primo, e gli americaniRobert Landy (1993) e David
Read Johnson(1981) per il secondo. Cercherò di dimostrarecome tali
concetti, lungi dal suggerire percorsidivergenti, siano invece
complementari, e comela loro integrazione possa raccontarci
qualcosadell’intima struttura del dramma stesso.
1. Betweenness ■Racconta Schopenhauer:“Una compagnia di
porcospini, in una fredda gior-nata d’inverno, si strinsero vicini,
vicini, per pro-teggersi, col calore reciproco, dal rimanere
assidera-ti. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche;
ildolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’unodall’altro.
Quando poi il bisogno di scaldarsi li por-tò di nuovo a stare
insieme, si ripeté quell’altro ma-lanno; di modo che venivano
sballottati avanti eindietro tra due mali, finché non ebbero
trovatouna moderata distanza reciproca, che rappresenta-va per loro
la migliore posizione” (1851).
La vita relazionale degli umani è un processo di-namico. Essa
cambia col cambiare degli indivi-dui nel tempo; assume forme
diverse in mutatecircostanze; sfugge tendenzialmente a
qualsivo-glia rigida definizione. Nella favola di Schope-nauer, la
ricerca del giusto mezzo fra due eccessi(di intimità e di
separazione), accade attraversoun incessante aggiustamento e
calibrazione del-la distanza. Le due spinte contrapposte di
avvi-cinamento e allontanamento corrispondonosimbolicamente ai
bisogni evolutivi primari di
*
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SALVO PITRUZZELLA
fusione e di individuazione, sui quali è modella-to l’intero
percorso esistenziale della persona.Metafora vivente di essi è il
trauma della nasci-ta. Nessuno di noi lo ricorda, ma se diciamo
chevenire al mondo è un brusco passaggio fra unacondizione di dolce
passività, protetta e confor-tevole, felici come un’ostrica nel
guscio, e la geli-da consapevolezza di essere un’entità
separata,nuda al mondo e vulnerabile, in bilico su unabisso di
rischi certi e incerte opportunità che sispalanca, ognuno capirà
ciò che intendiamo.Queste polarità dominano l’evoluzione della
vi-ta psichica individuale, e dei modi in cui ciascu-no entra in
relazione con gli altri.La formazione dell’identità personale segue
unpattern paradossale. Se il primo atto è la nascita,l’espulsione
del suddetto esserino indifeso, merogrumo di possibilità in un
mondo inospitale, purtuttavia eroicamente differenziato, e già
padronein fieri della propria vita, quest’essere separato co-mincia
ad essere veramente se stesso in virtù dellesue identificazioni
mimetiche con gli altri. La sin-tonizzazione affettiva trail
neonato e la madre(Stern, 1985) è un deli-cato gioco di
rispecchia-mento reciproco. Quan-to il sorriso del neonatosia
un’involontaria smorfia di soddisfazione opiuttosto una primordiale
forma di riconoscimen-to dell’altro, non è dato saperlo. Certo è
che daquel primo tanto atteso sorriso si dipana una retemimetica
che crea relazione. Le straordinarie sco-perte sui neuroni specchio
(Iacoboni, 2008) ci sug-geriscono che questo processo ha una
corrispon-denza nei disegni che la nostra mente elabora percapire
il mondo, e un preciso correlato neurologi-
co. Guardando l’altro, noi costruiamo dentro ilnostro cervello,
attraverso i neuroni specchio, unasimulazione della sua performance
(per esempio,l’espressione facciale di un’emozione), come
sestessimo effettivamente eseguendola in prima per-sona. Una mimesi
interiore è quindi attivata nellacorteccia cerebrale, ed essa evoca
emozioni, inquanto connessa con il talamo e il sistema libico,le
aree cerebrali che comandano il nostro mondoemozionale. Nel
rispecchiare l’altro ne assumomimeticamente dentro di me
l’espressione, e di ta-le espressione intuisco la fonte. Esperisco
l’altro inme stesso, e me stesso nell’altro.Il processo mimetico
che conduce alla mia uni-ca, per quanto provvisoria, identità
preleva in-cessantemente parti dell’altro e le aggiunge
al-l’orizzonte della mia esperienza e alla miarappresentazione di
me stesso, fino a un puntoin cui l’ingolfamento mimetico diventa
intollera-bile, ed è necessario articolarlo (Wilshire, 1982).Questa
articolazione impone una distanza: an-cora una volta, come il
porcospino di Schopen-
hauer, mi allontano perstabilire nuovi confini.Secondo la
filosofia dia-logica di Martin Buber,nell’incontro con l’altronoi
operiamo un pri-
mo, immediato e originario atto di identificazio-ne. Questo
primo movimento è rischioso: fron-teggiamo il pericolo di perdere
la nostra identità,di fonderci interamente con l’altro, mettendo
arepentaglio quei confini che abbiamo faticosa-mente costruito. La
nostra coscienza allora si ri-tira di nuovo in se stessa, e inizia
a considerarel’altro in modo più oggettivo: pronuncia, secon-do
Buber, la parola fondamentale “Io-Esso”.
Betweenness:il teatro e l’arte della cura
18
LA SINTONIZZAZIONE AFFETTIVA TRAIL NEONATO E LA MADRE È UN
DELICATO GIOCODI RISPECCHIAMENTO RECIPROCO
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Ma questa posizione segna la mia esperienzadell’altro, non
ancora la relazione: “relazione èreciprocità” (Buber, 1925). Questa
sussiste quan-do mi volgo ancora una volta verso l’altro e
pro-nuncio la parola fondamentale “Io-Tu”, che è ilcuore
dell’incontro. Nell’avvicendarsi delle dueparole fondamentali
“Io-Tu” e “Io-Esso” coesi-stono la fusione e la separazione,
armonizzate inuna danza dell’essere che è l’analogo
dell’alter-narsi sistole-diastole del battito cardiaco, chepermette
il nostro continuo scambio col mondoesterno (l’aria che riempie i
nostri polmoni e rin-nova costantemente il nostro sangue).Questa
danza descrive uno spazio: lo spazio invisi-bile tra le persone che
le separa e le connette. Ro-ger Grainger lo chiama Betweenness, la
distanzache permette la relazione. Per lui, essa è una fun-zione
psichica transper-sonale, che possiedeuna profondo significa-to
spirituale, perché èquella che ci guida ver-so il riconoscere
l’altrocome soggetto, “e quando questo accade, Dio ètra noi” (in
Pitruzzella, 2009). Ma aggiunge ancheche recuperare ed esercitare
tale funzione è unconcreto obiettivo terapeutico, in quanto essa è
al-la radice della nostra capacità di interagire positi-vamente con
gli altri. Il processo drammatico ri-sveglia la nostra
consapevolezza di questo spazio,e ci consente di governarlo e
articolarlo.Vediamo come.
2. Relazione persona-ruolo ■Il dramma istituisce una cornice
speciale, che miautorizza ad essere l’altro, seppure
momenta-neamente e in modo incompleto. Nell’azione
drammatica, gli attori assumono e giocano ruoli,che possono
somigliare ai ruoli che essi interpre-tano nella vita quotidiana, o
essere completa-mente differenti. Possono confermare,
approfon-dire, amplificare ciò che noi sappiamo di noistessi, o
condurci verso luoghi sconosciuti, conce-dendoci la possibilità di
scoprire nuove prospetti-ve e nuovi significati.Un ruolo è un
costrutto comportamentale chefunziona come una metonimia della
persona in-tera. Nei rapporti sociali, e in particolare
nelleinterazioni faccia-a-faccia (Goffman, 1959), iruoli che
mettiamo in gioco possono svelarequella che noi riteniamo essere la
nostra verapersonalità, oppure nasconderla.Così Amleto, nella
tragedia di Shakespeare, è divolta in volta figlio, amante, matto,
vendicatore,
codardo; anima nobilee canaglia. E qual è traquesti il vero
Amleto?È un’essenza impren-dibile, le cui manifesta-zioni visibili
altro non
sono che dissimulazioni, ed è pertanto destinataa rimanere
sconosciuta? O è la somma di tuttiquesti ruoli in conflitto, e di
molti altri inespres-si, che noi spettatori evochiamo nell’atto
stessodel testimoniare, sicché la grandezza dell’operadel Bardo sta
nella possente ambiguità del fattoche l’anima più autentica di
Amleto è il conflittostesso, specchio di quel desolato campo di
batta-glia che è la corte di Elsinore?Per manifestarsi, per passare
dalla potenza al-l’atto, un ruolo ha bisogno di un contesto in
cuiinteragire con altri ruoli, che lo legittimano elo convalidano,
ma possono anche negarlo odemolirlo.
NEI RAPPORTI SOCIALI, E IN PARTICOLARENELLE INTERAZIONI
FACCIA-A-FACCIA,I RUOLI CHE METTIAMO IN GIOCO POSSONO SVELAREQUELLA
CHE NOI RITENIAMO ESSERE LA NOSTRAVERA PERSONALITÀ, OPPURE
NASCONDERLA
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SALVO PITRUZZELLA
La nostra vita con gli altri è un’incessante ricercadi
autorizzazione; una ricerca a volte affannosa,perché non sempre
l’autorizzazione è reciproca.Nell’adolescenza, ad esempio, è tutto
un continuorincorrere sempre nuove fonti di autorizzazione,in
quanto quelle vec-chie sono percepite co-me soffocanti o perlo-meno
non più adeguatealla mutata situazione.Un ruolo si manifesta seha
almeno un contro-ruolo con cui dialogare. Per di più, come
scriveRobert Landy, “ciascun ruolo assunto o giocatospesso implica
la possibilità del ruolo non assunto.Quindi, ogni volta che una
persona sceglie (o vienescelta per) il ruolo di vittima, esiste la
possibilità chepossa trasformarsi in vincitore (sopravvissuto) o
invittimizzatore” (Landy, 1995). E se andiamo anco-ra una volta con
la mente ad Amleto, vedremocome i ruoli che egli gioca nelle tre
ore della tra-gedia si concretano variamente secondo
l’inter-locutore (ad esempio il ruolo del matto con Polo-nio, con
il re e con Ofelia). E ciascun ruolo ècontrobilanciato e spesso
depotenziato dal con-troruolo implicito; di qui la proverbiale
indeci-sione, che culmina nel dilemma esistenziale piùfrequentato
nell’orizzonte culturale del Moder-no: essere o non essere.Nel
teatro, e non solo nei testi ma nel funziona-mento stesso dell’atto
drammatico, questo feno-meno è visibile in tutta la sua
complessità. L’attorein scena incarna il ruolo e lo mette in
relazionecon gli altri ruoli; al contempo riceve dal pubblicola
legittimazione del suo ruolo di attore. Il ruolo diattore è il
mediatore tra la persona (mettiamoCarmelo Bene) e il personaggio
(il giovane Amle-
to, principe di Danimarca). Nell’atto stesso di le-gittimare
l’incarnazione, il pubblico proietta partidi sé tanto sul
personaggio quanto sull’attore stes-so. Nelle parole del filosofo
Bruce Wilshire:Lo scintillante personaggio teatrale è il locus
at-
traverso il quale l’attoreè restituito a se stessoper tramite
del pubblico,e i membri del pubblicosono restituiti a se stessiper
tramite dell’attore.É un gioco di reciproco
rispecchiamento. Il pubblico fornisce le parti del-l’attore che
sono costituite comunitariamente.L’attore è autorizzato dal
pubblico, il pubblico dal-l’attore (Wilshire, 1982).
In drammaterapia questo gioco di rispecchia-mento e di
autorizzazione è preso in considera-zione nella sua molteplice
articolazione. Secon-do David Read Johnson, nella più semplicedelle
improvvisazioni (Mario fa finta di essereun negoziante, Giovanna
una cliente), sono pre-senti almeno quattro livelli di interazione:
a) Impersonale: la relazione tra ruolo e ruolo
(es. negoziante e cliente)b) Intrapersonale: la relazione tra
una persona e
il proprio ruolo (es. Mario come negoziante e Giovanna come
cliente)
c) Extrapersonale: la relazione tra una personae il ruolo di
un’altra (es. Mario e il cliente;Giovanna e il negoziante)
d) Interpersonale: la relazione tra persona epersona (es. Mario
e Giovanna).
(Johnson,1981)Johnson raffigura questa molteplicità di
intera-zioni con un’elegante struttura, che utilizzere-
Betweenness:il teatro e l’arte della cura
20
LA NOSTRA VITA CON GLI ALTRIÈ UN’INCESSANTE RICERCA DI
AUTORIZZAZIONE;UNA RICERCA A VOLTE AFFANNOSA, PERCHÉNON SEMPRE
L’AUTORIZZAZIONE È RECIPROCA
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-
mo, opportunamente adattata, come spuntoper discutere come nel
processo drammaticol’articolazione delle relazioni persona-ruolo
siconnetta con il recupero della funzione che ab-biamo chiamato
Betweenness, che consente laricerca di un appropriato spazio di
relazionepersona-persona (vedi fig.1). A1 e A2 (Attore 1 e 2) sono
i nostri Mario e Gio-vanna; supponiamo che essi siano due utenti
diun centro diurno psichiatrico, che stanno com-piendo un faticoso
(e a volte doloroso) viaggioverso la ricostruzione di quei legami
col mondoche sono stati spezzati dalla malattia e dall’isola-
mento conseguente. All’inizio del loro percorsodi cura, essi non
possono che riportare nell’inte-razione con i compagni di viaggio
le matrici re-lazionali che hanno sviluppato al tempo del
ma-lessere più intenso; quasi sempre sono formeestreme, di totale
lontananza e chiusura, o diadesività e dipendenza. A volte
oscillano tra l’u-no e l’altro polo. Ma al contempo sono
consape-voli del fatto che il progetto del centro guarda algruppo
come ad una palestra relazionale, dovesi può re-imparare, in un
luogo protetto ma ric-co di stimoli verso l’esterno, a fidarsi
degli altri edella propria capacità di comprenderli e di en-
LIVELLO IMPERSONALE
LIVELLO EXTRAPERSONALE(IDENTIFICAZIONE)
LIVELLO IMPERSONALE
SOGLIA
Realtà Drammatica
Realtà Quotidiana
A 1 A 2
R 1 R 2
LIVELLO INTRAPERSONALE(IMMEDESIMAZIONE)
LIVELLO INTRAPERSONALE(IMMEDESIMAZIONE)
Figura 1: Livelli d’interazione nel processo drammatico
(elaborazione da Johnson, 1982).
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-
trare in contatto con loro. Supponiamo cheMario sia sulla
quarantina, ossessionato dalla fi-gura del padre carabiniere,
ucciso in un’azionequando lui aveva tredici anni, lasciandolo
conuna madre e una sorella che dapprima avevanoinvestito su di lui
come l’uomo di famiglia, e nonmolto tempo dopo, disilluse nelle
loro aspettati-ve, hanno iniziato a considerarlo poco più di
unpovero disabile da compatire (Mario ha in effet-ti un consistente
deficituditivo, solo di recentecorretto). E supponia-mo che
Giovanna siauna signora di cinquan-t’anni, che tanto tempofa ebbe
un marito e un bambino. Il primo la la-sciò quando Giovanna ebbe
una profonda de-pressione puerperale; il secondo le fu tolto
quan-do la depressione si trasformò in un acutodisturbo della
personalità con spunti deliranti.Adesso sta cercando di ricostruire
una relazionecol figlio ventenne.Nel gruppo di drammaterapia, Mario
e Giovan-na hanno giocato una gran varietà di ruoli: apartire dai
più semplici (come la coppia nego-ziante-cliente dell’esempio),
fino a ruoli comples-si e impegnativi, che mettevano a dura prova
leloro ritrovate risorse espressive.Immaginiamo che un giorno,
durante un’esplo-razione di gruppo della Tempesta, i due si
ritro-vino ad interpretare i ruoli di Prospero e Miran-da (R1 e
R2). Prospero, duca di Milano, piùattento ai suoi libri di magia
che agli affari di go-verno, è spodestato dal malvagio fratello
Anto-nio, che lo esilia con la figlia bambina in unafragile
barchetta, destinata di sicuro al naufra-gio. Sappiamo che se la
caveranno, ma si decide
lo stesso di mettere in scena l’avventuroso viag-gio di Prospero
e Miranda, che Shakespearenon racconta se non per pochi accenni.
Mario,per la parte di Prospero, ha un progetto: vuol es-sere un
padre forte e rassicurante, ma ancheprotettivo, e decide di tenere
la bambina all’o-scuro della loro disgrazia, fingendo che il
lorospaventevole viaggio non sia altro che un gioco(come il
personaggio interpretato da Roberto
Benigni nel film “La vi-ta è bella”). Giovannanon è così
precisa, sa so-lo che vuole fare la bam-bina-bambina (e com’è?Mah,
non lo so... inge-
nua, curiosa... ma pure paurosa!, conclude conuna risatina per
la rima involontaria). Nell’im-provvisazione, come spesso accade, i
ruoli simodificano man mano che si va avanti nella sto-ria. Così
Prospero decide di mollare un po’ dellasua ostentata sicurezza, e
di esporre la sua fragi-lità alla figlia, confessandole le sue
paure; e que-sta, dopo un pianto sulle ginocchia del
padre,abbandona la sua aria imbambolata per diven-tare aiutante e
marinaio. Ed è lei che esclamerà:“Terra in vista!”I livelli
dell’interazione drammatica sono com-presenti nell’azione scenica.
Mario colloca buo-na parte del suo divinizzato padre nel
personag-gio di Prospero: autoritario e risoluto anche neimomenti
più difficili, parzialmente addolcitodal riferimento a Benigni
(Mario è appassionatodi cinema, e da quando ha l’apparecchio
acusti-co ha rivisto tutti i film di Benigni. Gli piace per-ché è
un “toscanaccio”. E com’è un toscanac-cio? È sincero... insomma,
dice le cose in faccia.Ma stavolta racconta una specie di bugia,
no?
SALVO PITRUZZELLA
Betweenness:il teatro e l’arte della cura
22
NELL’IMPROVVISAZIONE, COME SPESSO ACCADE,I RUOLI SI MODIFICANO
MAN MANO CHE SI VAAVANTI NELLA STORIA
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Sì, ma lo fa a fin di bene... per amore del figlio).Quando Mario
entra in scena, varcando la so-glia tra realtà quotidiana e realtà
drammatica,il progetto si modifica, dal momento stesso incui
Mario-Prospero accoglie Giovanna-Miran-da tra le braccia, e ne
intuisce la paura e l’ab-bandono, che sono di Miranda, ma anche e
so-prattutto di Giovanna. La relazione attore-ruolo è modificata da
quella attore-attrice, chea sua volta rispecchia la relazione tra
persona epersona. L’improvvisazione di Giovanna crescearmonicamente
complementare: una volta cheil padre abbandona la maschera per
svelare lapropria vulnerabilità, la bambina stilizzata ce-de il
posto ad una creatura viva e pulsante ca-pace di comprendere e di
offrire sostegno. Gio-vanna ha visto Mariocome persona, e que-sto
le ha cambiato lapercezione del pro-prio ruolo, che erastato un
vago “esserefiglia” fino ad allora.Sul piano della realtà
drammatica (il “livelloimpersonale”), abbiamo assistito ad un bel
pez-zo di teatro, emozionante ancorché ironico, diritmo fluente e
intenso, con i personaggi che sitrasformano a vicenda nell’azione
condivisa.Questo genera soddisfazione negli attori rispet-to alla
propria performance, e gratitudine nelpubblico che si è lasciato
coinvolgere.Ma è agli altri livelli che avvengono le cose
piùinteressanti. Ho chiamato Immedesimazione il
movimentodell’attore verso il ruolo (quello che Johnson de-finisce
“livello intrapersonale”). Questo terminesuggerisce la tendenza a
diventare come l’altro,
che evoca la mimesi primaria di cui si discutevasopra,
attraverso la quale prendiamo l’altro innoi. Vengono in mente le
ore di camminateclaudicanti cui si sottoponeva Lawrence Olivierper
farsi possedere dallo spirito di Riccardo III,o la sconcertante
trasformazione fisica di Ro-bert de Niro per diventare Toro
Scatenato. Maanche nei casi estremi, l’operazione non è maitotale:
nell’attore, il processo mimetico è sempresotto controllo. L’attore
è in grado di regolare ladistanza; spesso questa è la sua
grandezza: quel-lo scarto, ancorché minimo, che svela la tensio-ne
tra il volto e la maschera. In drammaterapia,il processo di
regolazione della distanza nell’im-medesimazione è a carico del
ruolo di attoreche la persona assume nel momento in cui var-
ca la soglia della real-tà drammatica. Ma-rio, come attore,
puòsentirsi libero di allen-tare la rigidità del ruo-lo di padre, e
per farquesto trova il corag-
gio di distanziarsene. Se ciò provoca variazioninel copione
previsto, beh, si può anche cambia-re. In fondo non è che teatro, e
in teatro chi co-manda sono gli attori (almeno questo è ciò chegli
ha insegnato il regista).Un ulteriore flusso mimetico si mette in
movi-mento nella relazione tra la persona e il ruolodell’altro, al
“livello extrapersonale”. Ho chia-mato questo processo
Identificazione. Mario,interagendo con Giovanna, è anche
testimonedelle sue azioni oltre la soglia: in questo senso
èinvestito del ruolo di spettatore, che partecipavicariamente alle
vicende del personaggio. Pos-siamo immaginare che la dimensione
filiale in
IN DRAMMATERAPIA, IL PROCESSO DI REGOLAZIONEDELLA DISTANZA
NELL’IMMEDESIMAZIONEÈ A CARICO DEL RUOLO DI ATTORE CHE LA
PERSONAASSUME NEL MOMENTO IN CUI VARCA LA SOGLIADELLA REALTÀ
DRAMMATICA
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-
lui sia risvegliata mimeticamente nell’identificar-si, come
spettatore, in Miranda. Ma il personag-gio osservato da Mario non è
una Miranda qua-lunque, ma quella unica e irripetibile
Miranda,derivante dal processo di immedesimazione diGiovanna, che
nella sua originalità porta un’ecodi nuove possibilità.Lo
spettatore-attoreautorizza l’attore-spet-tatore, che autorizzalo
spettatore-attore:un cerchio di recipro-cità, che nel nostro ca-so
implica un reciproco ascolto tra i compagni digioco, e un’attenta
osservazione dell’altro.Il lavoro drammatico funziona per mezzo
diuna continua articolazione e regolazione deiflussi mimetici.
Quando il “paziente” diventa“attore”, entra in un processo di
ricerca dellegiuste distanze, senza le quali l’evento dramma-tico
non esiste, o se esiste oscilla tra un minac-
cioso inestricabile groviglio di immagini edemozioni e una
fredda e inanimata copia delmondo. La giusta distanza è quello che
indrammaterapia chiamamo “distanza estetica”:essa non è fissata una
volta per tutte e valida intutte le interazioni persona /ruolo; è
differente
da persona a personae da ruolo a ruolo, epuò variare in
funzio-ne del contesto. Quel-lo che cresce è la ca-pacità di
riconoscerla.Man mano che le ca-
pacità drammatiche dei partecipanti vannomaturando, cresce la
tendenza a creare mo-menti scenici significativi, si crea
un’estetica digruppo che esprime una sua idea di bellezza,fatta di
forme, di emozioni, di ritmi, di equili-bri, e soprattutto fondata
sul riconoscere le po-tenzialità dell’altro anche quando sono
ine-spresse. Quando questa bellezza è sfiorata - e
SALVO PITRUZZELLA
Betweenness:il teatro e l’arte della cura
24
QUANDO IL “PAZIENTE” DIVENTA “ATTORE”, ENTRA INUN PROCESSO DI
RICERCA DELLE GIUSTE DISTANZE,SENZA LE QUALI L’EVENTO DRAMMATICO
NON ESISTE,O SE ESISTE OSCILLA TRA UN MINACCIOSOINESTRICABILE
GROVIGLIO DI IMMAGINI ED EMOZIONIE UNA FREDDA E INANIMATA COPIA DEL
MONDO
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quella barchetta tra le onde del Mediterraneo èun caso di questi
- l’immagine di una Between-ness restaurata si dispiega davanti ai
nostri oc-chi (Pitruzzella, 2002). In questo processo di
sperimentazione deif lussi mimetici, le persone acquisiscono
lacapacità di governarli; al contempo il piace-re di creare diventa
una motivazione forte, econsente di avventurarsi in territori
inesplo-rati. Nel corso del tempo, Mario e Giovan-na hanno messo
alla prova la loro relazionesulla barca di Prospero e in altri
cento luo-ghi, imparando a tenere sotto controllo lemaggiori
interferenze mimetiche: usarlequando serve nella realtà drammatica,
e te-nerle fuori quando sono di disturbo al “li-vello
interpersonale”, nella realtà quotidia-na del centro che
frequentano. Non so seabbiano avuto la percezione di Dio che
facapolino in mezzo a loro, ma sicuramentehanno trovato una
particolare forma di soli-
darietà che li ha portati a diventare esempioper gli altri, e
soprattutto per i nuovi arriva-ti. Giovanna sarà dimessa tra breve,
e spe-riamo che si porti con sé un po’ del suo ruo-lo di attrice.
Mario ne avrà forse ancora perun pezzo, ma è disposto a lavorarci
su. ■
* Relazione presentata alla10a European Arts Therapies
Conference,16-19 settembre 2009, Londra
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_ _ g
-
Musicoterapia in RosaLaboratorio di Musicoterapia indirizzato ad
un gruppo di donne
FRANCESCA PRESTIA Musicoterapista, Musicista, Docente e
Coordinatrice didattica c/o Associazione musicale “S. Cecilia” di
Lamezia Terme (Cz)Premessa ■Il progetto “Musicoterapia in Rosa” è
nato suproposta dell’Associazione Assoformac e pervolontà
dell’Assessore alle Pari Opportunitàdel Comune di Catanzaro
dott.ssa TommasinaLucchetti. Per la città di Catanzaro è
stataun’esperienza nuova, rivolta ad una fascia del-la popolazione
molto delicata e, a volte, pococonsiderata. La proposta ha voluto
essere unarisposta ad alcuni bisogni del mondo femmini-le, offrendo
uno spazio/tempo nel quale ledonne over 60 hanno potuto ri-trovarsi
e ri-scoprirsi, hanno potuto lenire il proprio doloree trasformarlo
in forza nuova.È stato un percorso che, attraverso la
creativitàsonora e motoria, ha cercato di aprire impor-tanti canali
di espressione e comunicazione, perfavorire un percorso di ricerca
d’identità, di sco-perta di peculiarità proprie ed uniche, di
ri-co-struzione di uno spazio femminile tutto ancorada colmare.
Gli obiettivi di questo laboratorio sono stati: - la promozione
del benessere delle donne par-
tecipanti;- il miglioramento del loro stato di umore;- la
promozione, la ricerca e la riscoperta delle
proprie risorse e potenzialità;- il riconoscimento dei propri
bisogni affettivi;- lo sviluppo delle capacità comunicative e
la
libera espressione di Sé attraverso l’espressio-ne musicale,
vocale e corporea;
- la costruzione di relazioni positive all’internodel gruppo di
musicoterapia.
Il processo d’intervento si è articolato in tre fasi:a) Per
l’osservazione e la presa in carico sono
stati organizzati alcuni incontri d’èquipe tramusicoterapisti,
operatori socio-sanitari terri-toriali e familiari.
b) Il trattamento si è sviluppato in 18 incontri.c) Per la
valutazione intermedia e finale sono
stati organizzati incontri d’èquipe ed il Con-vegno pubblico
finale.
Le destinatarie sono state 10 donne (dai 60 agli85 anni),
interessate a questo percorso e/o se-gnalate dagli operatori
sociali territoriali.
Lo Staff del Laboratorio di Musicoterapia è sta-to composto da:-
n. 1 coordinatore che ha curato gli aspetti or-
ganizzativi e amministrativi;- n. 1 musicoterapista responsabile
e condutto-
re delle sedute;- n. 3 tirocinanti in Mt.
Il Progetto ha avuto la durata di sei mesi, è iniziatoin
dicembre 2009 e si è concluso in maggio 2010.
Gli incontri si sono svolti sempre nello stessospazio, in
un’aula (spoglia e ben riscaldata) mes-sa a disposizione dal
dirigente di un istitutocomprensivo della zona sud della città
(zonaconsiderata ad alto rischio). Il locale era lontanoda rumori
disturbanti. In ogni incontro sono stati utilizzati:- strumenti
musicali appartenenti allo stru-
mentario Orff (tamburelli, sonagli, triangoli,maracas, jambèè,
piattini, glockenpliels, ecc.)per la produzione strumentale;
- per il canto (espressione vocale) e il ballo(espressione
corporea), il lettore cd, l’amplifi-catore, il microfono e cd
musicali;
26
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-
- per le verbalizzazioni scritte fogli e penne;- per conservare
qualche testimonianza visiva
ed uditiva la fotocamera e la videocamera.
Ogni incontro ha sempre tenuto conto delleproposte delle
partecipanti e in linea di massimaha avuto questo tipo di
strutturazione:- Momento d’accoglienza,- Attività espressiva
(musicale, strumentale, vo-
cale e corporea) - Verbalizzazione dell’esperienza,- Saluto e
congedo.
Le parole delle pazienti ■“Per me la musica dà energia al fisico
e alla salute;dà felicità, rilassamento ed allegria. La canzone
del-la mia giovinezza è Il Pullover” (Carolina, anni 65)
“La musica è gioia di vivere; è la cosa più bellache ci sia; non
si può stare senza musica. La can-zone preferita della mia
giovinezza è La più belladel mondo di Tony Dallara, me la dedicava
sem-pre mio marito” (Francesca, anni 70)
“Mia madre non mi cantava mai niente. Mio pa-dre è morto quando
io avevo pochi anni e mia ma-dre era sempre molto affaticata. Poi
sono andata incollegio dalle suore e lì era proibito ascoltare la
ra-dio, ballare nella stanza e gli unici canti che si pote-vano
imparare erano quelli della messa. A me nonpiace né cantare e né
ballare.” (Angela, anni 74)
“La musica per me è la gioia della vita. Nella miacasa c’è
sempre, in quanto mio figlio ha iniziato astudiare a sei anni. Un
giorno in una piazza aTorino, dove abbiamo vissuto per tanti anni
permotivi di lavoro, ha suonato con la fisarmonica
la Calabrisella: è stata un’esperienza unica! Lacanzone
preferita della mia giovinezza è Ogni vol-ta di Paul Anka”
(Antonia, anni 60)
Queste sono state alcune frasi scritte da alcunedelle dieci
donne frequentanti il laboratorio;frasi scritte durante la
compilazione della sche-da di musicoterapia, proposta loro
all’inizio delpercorso.Ciascuna ha iniziato a parlare di una parte
di Séfinora considerata poco importante, marginale,e che
inaspettatamente acquistava una centrali-tà inizialmente non
comprensibile.Il loro ISO musicale era chiamato all’appello eloro
non capivano il perché e cosa fosse.Un po’ sbalordite hanno
iniziato a raccontaredel loro rapporto con la musica
nell’infanzia,nella giovinezza e nella maturità. C’è stata chiha
accennato a qualche antica ninna nanna ca-labrese, chi ha danzato
“Una marcia in Fa” diMascheroni e Panzeri, 1959, chi ha voluto
ascol-tare l’Ave Maria di F. Schubert e chi ha condivi-so la
durezza dei suoi tempi passati, nei quali lamusica era stata
estromessa, perché trascorsi trale mura di un collegio femminile
troppo silen-zioso e mortificante.
Il percorso ■Il gruppo era eterogeneo: alcune di loro aveva-no
tenuto vivo quel f lusso di energie sonore,acustiche e di movimento
(Benenzon, 1997) nel-le loro mura domestiche e nei centri sociali
chedi tanto in tanto frequentavano; altre invecequel flusso lo
avevano lasciato scaricarsi e spe-gnere senza accorgersene.In
quegli incontri questa parte di Sé riemerge-va, si manifestava
sotto una luce nuova.
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-
FRANCESCA PRESTIA
In questo contesto protetto ognuna di loro po-teva sperimentare
un tempo/spazio di espres-sione libera, di ascolto di sé e delle
altre che sitrasformava lentamente in scambio energetico.Arrivate,
ad ogni incontro, cariche di preoccu-pazioni, di dolori articolari
ed ossei, di cattiviumori, di desiderio di morte si accorgevanoche
attraverso:- il canto di gruppo di “Papà Pacifico” (Sanre-
mo 1953);- la danza di “Maramao” di Consiglio e Pan-
zeri, strutturata su otto battiti con semplicimovimenti in
avanti e dietro, verso lato dx,poi lato sx e la rotazione su se
stesse;
- l’accompagnamento ritmico con gli strumen-ti idiofoni di “El
negro Zumbon” e il movi-mento del proprio bacino e delle
propriespalle ricordando il famoso ballo di SilvanaMangano nel suo
celebre film “Anna”;
- il canto individuale, con il microfono che am-
plificava la propria voce liberamente stonatae/o fuori ritmo,
del brano “Zingara”di Alber-telli e Riccardi, 1969;
qualcosa dentro di loro cambiava! Una gran-de serenità e calma
sopraggiungeva; la musi-ca permetteva loro di riprendere fiato,
anchese solo per un’ora, in quel loro quotidiano dif-ficile e
doloroso. Anche la signora, affetta dademenza senile avanzata,
avvertiva ed assapo-rava quel benessere; non ricordava ormai giàda
tempo il suo nome, né quello dei suoi figli,ma quel pomeriggio alla
settimana appena sa-liva in automobile, dopo qualche incontro,
ca-piva qual era la sua destinazione ed iniziava acantare,
sorridente, le melodie ascoltate neiprecedenti incontri ed
accennava a movimentidi danza.Non erano stati i farmaci a
migliorare il suoumore, i suoi livelli di attenzione e il suo
orienta-mento spazio-temporale; il cambiamento era av-
Musicoterapia in RosaLaboratorio di Musicoterapia indirizzato ad
un gruppo di donne
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venuto attraverso le espressioni, le comunicazio-ni e le
relazioni positive che la musica era riuscitaa stimolare, a
suscitare, a risvegliare (Wigram,Saperston, West, 1997).Per il
gruppo non era stato facile accettare lapresenza di una demente;
spesso interrompevale verbalizzazioni scritte ed orali perché si
scoc-ciava, rallentava le danze perché non seguiva ledirezioni del
gruppo, cantava i suoi “leit motiv”ossessivi durante il canto di
“Rose Rosse”, si rat-tristava e dava segni di insofferenza se i
braniscelti erano troppo tristi e lenti.La sua presenza
condizionava ogni incontro,ma il gruppo spontaneamente ha scelto di
ac-cogliere anche lei nel percorso, variandolo asecondo dei
bisogni, modificando le modalitàdi espressione e comunicazione per
farle me-glio calzare alle nature umane presenti lì inquel
momento.Il gruppo non si era formato con finalità scienti-fiche;
non voleva essere un campo di sperimen-tazione di qualsivoglia
teoria. Era nato sulla ba-se di esigenze di una popolazione in età
avanzatadi un certo territorio. Viveva tutte le difficoltàdel
vivere quotidiano della gente normale.Quante volte per il mal tempo
e per paura diraffreddarsi alcune di loro non avevano parteci-pato?
Quante volte un marito o una figlia non leavevano accompagnate
all’incontro di musico-terapia? Quante volte qualcuna di loro era
ca-duta nel giardino, o dalle scale, o sul tappetinodella cucina e
per un paio di incontri non erapotuta essere presente?Tante e varie
le difficoltà vissute in questi seimesi, ma tutte sapevano e
volevano che quelpercorso di musicoterapia avesse come princi-pale
finalità la ricerca del bene delle persone e
che bisognava cercare una “buona prassi” utilea loro, donne in
quel preciso gruppo (Postac-chini, Spaccazzocchi, 2010).La
continuità, nella discontinuità delle presenze,la dava la memoria
piacevole e gratificante delleesperienze vissute. Come era
possibile dimentica-re il calore di un abbraccio percepito durante
ladanza su “Tango to Evora” di Loreena Mc Ken-nitt? (Starks
Whitehouse, Adler, Chodorow, 1999).Quante volte rifacendo il letto
o girando il sugo
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FRANCESCA PRESTIA
per la pasta era riaffiorato quel ricordo, provo-cando una
sensazione piacevole di sentirsi anco-ra viva ed emozionabile?Non
era proprio vero quel detto: “Il cane cheinvecchia nessuno lo
accarezza”!In questo laboratorio, loro erano state accarez-zate dai
suoni e dai ritmi, dalle voci e dagli ab-bracci. Ognuna di loro era
testimone di unamodalità alternativa di vivere l’età avanzata,
lavecchiaia, la senilità, la demenza.Restare tra le proprie quattro
mura, scavandosicon le proprie mani la fossa della propria
solitu-dine era un percorso fallimentare.La carezza dei suoni e
l’energia dei ritmi avevaalleggerito un tempo della loro vita, un
lasso ditempo di questo capitolo finale, facilitando l’e-spressione
e la comunicazione dei loro vissutidolorosi, l’elaborazione delle
difficoltà nellequali si trovavano, l’accettazione di uno statonon
modificabile, il risveglio di energie sopite edimenticate.Perché
innervosirsi e frustrarsi per tutto ciò cheormai non si riusciva a
fare?
Perché immalinconirsi e rattristarsi al pensierodella morte
sempre lì in agguato?Il presente era lì, tutto da vivere e la
musicote-rapia aveva dato la possibilità ad ognuna di lo-ro di
togliere il velo del pianto dagli occhi e diaffrontare la vita con
un nuovo sguardo e nuo-ve energie. ■
Musicoterapia in RosaLaboratorio di Musicoterapia indirizzato ad
un gruppo di donne
30
Benenzon R., La Nuova Musicoterapia, PHOENIX Editrice, 1997.
Postacchini P.L., Spaccazzocchi M., Musicoterapia scientifica o
umana?, Musica et Terapia n. 21/2010, edizioni Cosmopolis, Torino,
2010.
Starks Whitehouse M., Adler J., Chodorow J., Movimento
autentico, “Il Tao del corpo” di Starks Whitehouse M., edizioni
Cosmopolis, Torino, 1999.
Wigram T., Saperston B., West R., Manuale di Arte e Scienza
della Musicoterapia, capitolo 21, “La Musica come aiuto ai pazienti
ed a coloro che li assistono per ilrecupero delle perdite causate
dal morbo di Alzheimer” di Hanser S.B., Clair A.A., ISMEZ Editore
Gli Archetti, 1997.
BIBLIOGRAFIA
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Da molti anni è noto che la fotografia può essereimpiegata come
strumento terapeutico.Il primo manuale sugli utilizzi terapeutici
dellefotografie personali risale a più di quindici annior sono,
porta infatti la data del 1993 (Weiser J.,1993). Quest’opera di
Judy Weiser, che da allo-ra è stato ristampata e rieditata (e
addiritturaplagiata) più volte, ha segnato la nascita di unanuova
tecnica, la fototerapia.La fotografia è entrata così, lentamente,
nell’ar-mamentario e nel know-how degli psicoterapeutimentre gli
arteterapeuti se ne sono sempre tenu-ti un po’ a
distanza.Probabilmente questo fenomeno di adesione edistanza, da un
lato e dall’altro dello spettro delleprofessioni terapeutiche,
risente del fatto che lafotografia non è consi-derata dai più
un’arte,quanto piuttosto unmetodo di documen-tazione della
realtà.Quando si pensa adun’opera d’arte, infatti, la maggior parte
di noiimmagina un dipinto, o una scultura, non certouna
fotografia.Chiunque sia un frequentatore abituale dellegrandi
mostre di arte contemporanea si dovreb-be ormai essere abituato
alla presenza costantedella fotografia eppure questo pregiudizio
conti-nua a serpeggiare nella mente (Cotton, 2006).Chiedersi se una
fotografia sia da considerarsiun’opera d’arte porta indirettamente
a chiedersise una fotocamera sia da considerarsi materialeartistico
oppure no. Il fatto che i negozi di bellearti si rifiutino
ostinatamente di venderne nonaiuta a riavvicinare gli oppositori
più rigidi.Io appartengo alla categoria di coloro che riten-
gono la fotografia una forma d’arte, ma questonon fa grande
differenza.Sono uno psicoanalista junghiano e questo si-gnifica che
provengo da una scuola che ha sem-pre guardato con interesse e
curiosità ai contri-buti che le arti, le filosofie e le religioni
possonodare alla psicoterapia. Ho cominciato ad usarela fotografia
alcuni anni or sono, all’interno diun servizio di riabilitazione
per pazienti affettida disturbi del comportamento alimentare,
cheall’epoca dirigevo, allo scopo di indagare in chemodo pazienti
affetti da questo tipo di disturbiimmaginassero il proprio
corpo.Per tentativi ed errori arrivai a tracciare le rego-le
generali di un metodo essenzialmente empiri-co ed oggi, dopo quasi
dieci anni, comincio a
vedere una confermadi alcune delle mieipotesi di partenza.Una
delle prime coseche si imparano lavo-rando con la fotogra-
fia è che si tratta di un metodo espressivo facileda proporsi
proprio perché la maggior partedelle persone non la considera
un’arte, quindinon si spaventa di fronte ad essa.Chiunque può
scattare una fotografia; dipinge-re o lavorare la creta sono invece
occupazioni“da artisti”.La fotografia è la più popolare delle arti
ancheperché chiunque possiede i materiali necessarialla sua
realizzazione (una fotocamera digitale,o un telefono cellulare
dotato di fotocamera),ma soprattutto è abituato a scattare e a
scattarsifotografie.Con la fotografia si può trasformare
l’immagi-nazione in immagine senza bisogno di compli-
Tra Arte e TerapiaRiflessioni sull’utilizzo terapeutico
dell’autoritratto fotografico
Medico, Psicoanalista, Membro ordinario della Società
Internazionale di analisi Junghiana (IAAP, Zurigo, CH) FABIO
PICCINI 1 31
HO COMINCIATO AD USARE LA FOTOGRAFIAALCUNI ANNI OR SONO,
ALL’INTERNO DI UN SERVIZIODI RIABILITAZIONE PER PAZIENTI AFFETTI
DADISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE,CHE ALL’EPOCA
DIRIGEVO...
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FABIO PICCINI
cate tecniche o strumenti; è economica e pocoimpegnativa,
insomma sembra proprio l’artete-rapia ideale.La facilità di
utilizzo dello strumento permettedi differenziarne due possibili
impieghi a secon-da che questo venga usato spontaneamente, ascopo
di ricerca o esplorazione interiore, o vice-versa sotto la
supervisione di un terapeuta all’in-terno di un setting
strutturato.Nel primo caso parleremo di fotografia terapeu-tica,
nel secondo di fototerapia.Come si vede, nelle due definizioni è
presente unriferimento alla terapia (terapeutico) a dimostrareche,
sebbene usata in completa autonomia, la fo-tografia può diventare
strumento terapeutico an-che quando la finalità psicoterapeutica
non è di-chiarata né prioritaria.Un esempio di questo tipo di
approccio sono iworkshop di Anna Fabroni, ex-modella e
oggifotografa di moda, che da sempre sostiene diessersi auto-curata
per tutta la vita grazie agliautoritratti che non ha mai smesso di
scattarsi(Fabroni, 2004). Do-po il successo del suoprimo progetto
“Co-stol