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Flavescenza dorata e altri giallumi della vite in Toscana e in Italia Quaderno ARSIA 3/2005
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Arsia Q. 3-2005 Flavescenza

Apr 23, 2023

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Khang Minh
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Flavescenza dorata e altri giallumi della vitein Toscana e in Italia

• Quaderno ARSIA 3/2005

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• Quaderno ARSIA 3/2005

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ARSIA - Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestaleVia Pietrapiana, 30 - 50121 Firenzetel. 055 27551 - fax 055 2755216/2755231www.arsia.toscana.itemail: [email protected]

Coordinamento: Piero Braccini, ARSIA

RingraziamentiSi ringraziano gli Autori e tutti coloro che hanno gentilmente collaborato alla raccolta delle informazioninecessarie per la stesura di questo Quaderno ARSIA, in particolare il dott. Francesco Pavan e il dott. Roberto Bandinelli.

Cura redazionale, grafica e impaginazione:

LCD srl, Firenze

Stampa: Press Service srl, Sesto Fiorentino (FI)

ISBN 88-8295-070-0

© Copyright 2005 ARSIA Regione Toscana

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Flavescenza dorata e altri giallumi della vite in Toscana e in Italia

a cura di

Assunta Bertaccini, Piero Braccini

ARSIA • Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazionenel settore Agricolo-forestale, Firenze

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Presentazione

Questo Quaderno ARSIA affronta problematichefitosanitarie della vite di rilevanza nazionale, cioè laFlavescenza dorata e gli altri giallumi della vite. Gliagenti patogeni di tali malattie sono organismi chia-mati fitoplasmi. La viticoltura regionale è una risor-sa economica importante per la Toscana: da qui lanecessità di divulgare le attuali conoscenze tecnichesu quella che nei prossimi anni potrebbe rivelarsiuna seria minaccia per i nostri vigneti.

La flavescenza dorata è, tra le malattie dei gial-lumi della vite, quella che ha provocato gravissimidanni alla produzione viticola di diverse regioni delNord Italia. Negli ultimi anni si sta accentuando ilrischio di una diffusione della malattia nelle areeviticole dell’Italia centro-meridionale, visto che inalcune di queste regioni ci sono stati rinvenimentidell’insetto vettore e casi isolati di flavescenza do-rata. È quindi importante avere una buona cono-scenza della diffusione della malattia e degli aspet-ti tecnici che la diversificano negli ambienti vitico-li italiani.

Questo Quaderno è stato realizzato grazie alcontributo di numerosi e qualificati esperti di tuttaItalia, coordinati da Assunta Bertaccini e Piero Brac-cini; in esso sono state affrontate e approfonditetutte le tematiche legate sia agli aspetti generali dei

fitoplasmi e dei loro insetti vettori, sia agli aspettitecnici specifici riguardanti le due principali malattie,la flavescenza dorata e il legno nero della vite.

Il Quaderno ARSIA 3/2005 si pone l’obiettivodi fornire un approfondito aggiornamento tecnicosulla flavescenza dorata e sugli altri giallumi dellavite, in modo da conoscerne le caratteristichescientifiche, avere gli strumenti per riconoscerli epoter quindi adottare tutte le necessarie misurepreventive, sia agronomiche che fitoiatriche.

La pubblicazione contiene la normativa nazio-nale di lotta obbligatoria alla flavescenza doratadella vite ed è corredata da illustrazioni che riporta-no anche i sintomi della malattia in diversi vitignicoltivati in Italia. Nel Quaderno, inoltre, è riporta-ta la descrizione particolareggiata di un Progetto diricerca sulla flavescenza dorata della vite, denomi-nato “I giallumi della vite: un fattore limitante leproduzioni vitivinicole”, attualmente in corso direalizzazione da parte di diversi centri di ricercanazionali.

Ci auguriamo che questa pubblicazione possaessere utile in particolare ai tecnici, ai viticoltori e aquanti operano nel settore fitosanitario; ringrazia-mo tutti gli Autori che, numerosi e con tanta de-dizione, hanno contribuito alla sua realizzazione.

Maria Grazia MammucciniAmministratore ARSIA

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Sommario

PARTE PRIMA - LE MALATTIE

1. Storia e diffusione dei giallumi della vite in ItaliaGiuseppe Belli, Piero Attilio Bianco 11

2. Presenza e diffusione dei giallumi della vite in ToscanaMichele Borgo 15

3. Sintomi di fitoplasmosi e differenze con alterazioni imputabili ad altre causeMichele Borgo 17

3.1 Premessa 173.2 Sintomatologia 183.3 Alterazioni imputabili ad altre cause 303.4 Conclusioni 37

4. Attività svolta e programma di monitoraggio dei giallumi e dei loro vettori in Toscana

Piero Braccini, Alessandro Paoli, Giovanni Vettori 394.1 Premessa 394.2 Attività svolta in Toscana di monitoraggio dei giallumi della vite

e dei potenziali insetti vettori 394.3 Linee di intervento del programma di monitoraggio della flavescenza dorata

e dell’insetto vettore Scaphoideus titanus 42

PARTE SECONDA - I PATOGENI E I LORO VETTORI

5. Fitoplasmi: classificazione e diagnosi Simona Botti, Assunta Bertaccini 47

5.1 Premessa 475.2 Filogenesi, tassonomia e classificazione 475.3 Metodi diagnostici 49

6. Cicaline dell’agroecosistema vigneto e loro interazioni con la vite nella trasmissione di fitoplasmi

Valerio Mazzoni, Alberto Alma, Andrea Lucchi 556.1 Premessa 556.2 Note di morfologia e di sistematica 56

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6.3 Biologia e danni 596.4 Riconoscimento, biologia e diffusione dei vettori o potenziali vettori

di agenti fitopatogeni su vite 616.5 Appendice 72

7. Flavescenza dorata 757.1 Caratteristiche generali ed eziologia della flavescenza dorata

Piero Attilio Bianco, Nazia Loi, Marta Martini, Paola Casati 757.2 Diagnosi - Piero Attilio Bianco, Nazia Loi, Marta Martini, Paola Casati 767.3 Epidemiologia della flavescenza dorata della vite - Luigi Carraro 817.4 Misure di controllo - Ruggero Osler 83

7.4.1 Prevenzione e contenimento della flavescenza dorata - Carlo Frausin 847.4.2 Controllo della flavescenza dorata attraverso la lotta contro il vettore

Scaphoideus titanus Ball - Francesco Pavan, Giorgio Stefanelli, Alberto Villani, Nicola Mori, Gabriele Posenato, Alberto Bressan, Vincenzo Girolami 91

7.5 Conclusioni e prospettive - Ruggero Osler 108

8. Legno nero della vite8.1 Caratteristiche generali ed eziologia del legno nero - Maurizio Conti 1178.2 Epidemiologia - Alberto Alma, Piero Braccini, Maurizio Conti 1218.3 Diagnosi di legno nero - Luciana Galetto, Cristina Marzachì 1238.4 Interventi di lotta - Maurizio Conti, Alberto Alma 1278.5 Considerazioni conclusive - Alberto Alma, Maurizio Conti 129

9. La lotta obbligatoria alla flavescenza dorata e al suo vettore Scaphoideus titanus

Marina Barba 1359.1 Modalità di applicazione del Decreto n. 32442/2000 1359.2 Caratterizzazione del fitoplasma flavescenza dorata 1369.3 Monitoraggio di Scaphoideus titanus Ball 1379.4 La difesa dell’attività vivaistica 1379.5 Alcune considerazioni di carattere generale 138

10. PROGETTO DI RICERCA

“I giallumi della vite: un fattore limitante le produzioni vitivinicole”Marina Barba, Graziella Pasquini 139

10.1 Il problema 13910.2 Gli interventi 13910.3 Il progetto di ricerca 14110.4 Alcune considerazioni 142

ATLANTE - Sintomi di fitoplasmosi nei vari vitigni 145• Sintomi di fitoplasmosi in Sangiovese 147• Sintomi di fitoplasmosi in Chardonnay 149• Sintomi fogliari di fitoplasmosi in altri vitigni 151

Gli Autori 167

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PARTE PRIMA - Le Malattie

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Sotto la denominazione di giallumi della vite(GY, dall’inglese Grapevine yellows) vengono rag-gruppate quelle ampelopatie che sono causate dafitoplasmi e che si manifestano tipicamente coningiallimenti o arrossamenti fogliari, scarsa lignifi-cazione dei tralci e disseccamento parziale o totaledei grappoli. La prima forma di giallume della vitea essere osservata e segnalata in campo internazio-nale fu la flavescenza dorata (FD), che a tutt’oggiè ancora la forma più temuta sia per i danni chepuò provocare, sia per la rapidità con cui puòdiffondersi. Essa si manifestò a metà degli anni cin-quanta nella Francia sud-occidentale, e precisa-mente in Guascogna, dove colpì soprattutto vitidell’ibrido “Baco 22 A” determinandovi danni allaproduzione, deperimento vegetativo e vistosi in-giallimenti fogliari con riflessi metallici; da qui ilnome di “Flavescence dorée” datole da Caudwell(1957) che per primo la descrisse.

Qualche anno più tardi Gärtel (1959) segnalònei vigneti della valle della Mosella, in Germania,una malattia simile a FD, indicandola con la deno-minazione di “Vergilbungskrankheit” (VK). Pocodopo Schwester et al. (1961) dimostrarono cheFD può essere trasmessa dalla cicalina Scaphoideustitanus (allora nota come S. littoralis) e Caudwell(1961) segnalò la presenza nella Francia nord-orientale di una forma di giallume simile a FD, manon trasmessa da S. titanus, chiamandola “Boisnoir” (BN).

Va notato che tutte e tre le suddette malattie aquel tempo erano considerate di natura virale, inquanto non si era ancora a conoscenza dell’esi-stenza dei fitoplasmi (descritti per la prima voltacome MLO, ossia come “Mycoplasma like organi-sms”, da Doi et al. nel 1967) e le fitopatie infetti-ve, non associate a funghi o a batteri, venivanousualmente annoverate fra le virosi. Oggi sappiamo

che FD, VK e BN sono fitoplasmosi e che le ulti-me due sono da considerare manifestazioni, inambienti diversi, della medesima malattia, notaattualmente in Italia sotto il nome di “legno nero”(LN).

Anche in Italia, come in Francia, la prima formadi giallume a essere formalmente segnalata fu FD(Belli et al., 1973), dopo che era stata osservata ametà degli anni sessanta in vigneti dell’Oltrepòpavese. Questa prima segnalazione italiana, benchéeffettuata senza il supporto delle tecniche diagno-stiche di cui oggi disponiamo, è senz’altro da rife-rire a FD per i seguenti motivi:1) la malattia comparve improvvisamente, su nu-

merose viti, in vigneti sperimentali clonati,virus-esenti e sottoposti annualmente a detta-gliati controlli a scopo di selezione (si trattavapertanto di una forma epidemica);

2) il terreno dei suddetti vigneti veniva costante-mente lavorato; il che impediva o ostacolavafortemente il possibile insediamento di cicalinenon strettamente ampelofaghe, come sonoquelle vettrici di altri giallumi;

3) in un piccolo vigneto adiacente, non più coltiva-to e e non più sottoposto a trattamenti antipa-rassitari, venne successivamente riscontrataun’apprezzabile popolazione di S. titanus (Osleret al., 1975), probabilmente la stessa che avevadeterminato la piccola epidemia, poi prontamen-te bloccata con opportuni interventi insetticidi.Negli anni successivi manifestazioni sporadiche

di giallume, che interessavano soprattutto la cvBarbera furono osservate in Valtidone (provincia diPiacenza) e in varie province del Piemonte (Belli etal., 1978), sempre in zone nelle quali era in usomantenere il terreno lavorato ed effettuare uno odue trattamenti contro le tignole: il che spiega lacomparsa di piccoli focolai di FD che poi si spe-

1. Storia e diffusione dei giallumi della vite in Italia

Giuseppe Belli, Piero Attilio Bianco

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gnevano in seguito sia all’eliminazione del vettoredovuta ai suddetti trattamenti insetticidi, sia alverificarsi di frequenti casi di “recovery”, ossia diapparente guarigione (Belli et al., 1978).

Questi primi casi di giallume, verificatisi in Ita-lia fra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli annisettanta, sono quasi sicuramente ascrivibili a FDper i motivi già detti e fanno pensare che ci siastato un graduale avanzamento dell’infezioneverso est a partire dalla Francia meridionale, deter-minato da analogo lento ma progressivo avanza-mento di piccole popolazioni del vettore.

In effetti S. titanus, ormai ben noto come vet-tore di FD nella Francia meridionale (Schwester etal., 1961), fu rinvenuto da Vidano nel 1964 invigneti della Liguria occidentale e un decennio piùtardi da Osler et al. (1975) in vigneti della zona diVoghera (PV). Poiché in quegli anni i nuovi vigne-ti del Piemonte meridionale e dell’Oltrepò pavesevenivano costituiti pressoché esclusivamente conmateriale vivaistico italiano, è da pensare che i pic-coli focolai di FD fossero determinati da popola-zioni del vettore che, benché contrastate dai trat-tamenti anti-tignola, si andavano lentamente pro-pagando verso est.

Origine diversa sembrano avere le frequenti edestese manifestazioni di FD e di altri giallumi verifi-catesi in varie province del Veneto all’inizio deglianni ottanta (Belli et al., 1983; Egger e Borgo,1983). In quelle zone infatti risultavano inizialmen-te interessati i vigneti di Chardonnay, spesso costitui-ti con barbatelle provenienti direttamente dalla Fran-cia e spacciate per Pinot bianco (la cv Chardonnaynon era prevista in molti disciplinari di quel tempo).È probabile che attraverso le barbatelle siano arriva-te anche le infezioni di FD e le uova del vettore, ilquale, ha poi beneficiato di una situazione ambienta-le estremamente favorevole, creata anche da praticheconsolidate di lotta integrata, che prevedevano l’a-bolizione di ogni trattamento insetticida. Analogaorigine potrebbero avere avuto anche le infezioni diLN, benché non si possa escludere che fossero giàpresenti in forma sporadica, come farebbe pensareuna segnalazione di presunta FD fatta da Zelger(1964) in vigneti dell’Alto Adige.

A partire dall’inizio degli anni ottanta le segna-lazioni di giallumi della vite in Italia si susseguiro-no con ritmo incalzante, interessando molte regio-ni viticole. Infatti, oltre a quelle già citate e riguar-danti prevalentemente la Lombardia, il Piemonte eil Veneto, vanno ricordate le segnalazioni riguar-danti la Sicilia (Granata, 1982), l’Emilia-Romagna(Credi e Babini, 1984), il Friuli-Venezia Giulia(Carraro et al., 1986), il Trentino-Alto Adige (Me-

scalchin et al., 1986), la Toscana (Egger e Grassel-li, 1988), la Liguria (Minucci et al., 1994), laPuglia (Di Terlizzi et al., 1994).

Ovviamente, gran parte delle citate segnalazio-ni riferivano di malattie “simili a FD” o, più gene-ricamente, di “giallumi” in quanto non si dispone-va ancora di test diagnostici in grado di distingue-re i diversi fitoplasmi che vi erano associati. Tutta-via il ritrovamento di popolazioni più o meno con-sistenti del cicadellide S. titanus in varie aree viti-cole dell’Italia settentrionale (Osler et al., 1975;Belli et al., 1984; Carraro et al., 1986; Pavan et al.,1987; Vidano et al., 1987) e il mancato ritrova-mento del medesimo insetto nell’Italia centro-meridionale facevano intravedere l’assenza di FDin questa parte del Paese.

Nel corso degli anni novanta le conoscenze sullasituazione dei giallumi della vite in Italia andaronoman mano chiarendosi e ciò sia grazie all’utilizzo diaffinate tecniche sierologiche (Caudwell e Kuszala,1992), sia – e soprattutto – grazie all’introduzio-ne dei metodi molecolari per lo studio del DNA deipatogeni coinvolti (Davis et al., 1992; Prince et al.,1993; Bianco et al., 1993). In particolare, di note-vole aiuto sono state dapprima l’ibridazione mole-colare e in seguito la PCR (Polymerase Chain Reac-tion), seguita dal saggio RFLP (Restriction Frag-ment Lengh Polymorphism): applicando queste ulti-me metodologie si potè non solo accertare consicurezza la presenza o meno di fitoplasmi nei tes-suti delle viti in esame, ma si potè anche individua-re la specie di fitoplasma infettante, pervenendocosì a una chiara distinzione fra casi da attribuire aFD (perché associati a fitoplasmi del gruppo ribo-somico 16SrV) e casi da attribuire invece a LN (inquanto associati a fitoplasmi del gruppo 16SrXII) oad altre fitoplasmosi.

Negli ultimi anni la diagnostica molecolare èstata ampiamente utilizzata dalla gran parte dei la-boratori italiani che si occupano di fitoplasmosidella vite, per cui, oggi, abbiamo un quadro abba-stanza attendibile della situazione dei giallumi nelnostro Paese. Si può dire che infezioni più o menodiffuse di LN sono state ormai riscontrate in tuttele principali regioni viticole della penisola, nonchéin Sicilia (Albanese et al., 1996) e in Sardegna (Ga-rau et al., 2002). FD sembra essere ancora limitataalle regioni dell’Italia settentrionale, salvo alcunicasi isolati ancora in studio riscontrati nelle Marche(Credi et al., 2002), in Toscana (Bertaccini et al.,2003) e in Umbria (Natalini et al., 2005).

Occorre ricordare inoltre che fitoplasmi appar-tenenti ad altri gruppi tassonomici sono stati se-gnalati saltuariamente in alcune aree viticole italia-

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ne (Marzachì e Galetto, 2004). Si tratta per lo piùdi infezioni miste nelle quali, accanto ai fitoplasmiagenti di FD oppure di LN, ne sono stati riscon-trati altri, come quelli appartenenti al gruppo16SrI (in diverse regioni italiane) o quelli apparte-nenti ai gruppi 16SrIII e 16SrX (molto meno fre-quenti). È plausibile ritenere che si tratti prevalen-temente di infezioni sporadiche e casuali, che rive-stono un’importanza nettamente inferiore rispettoa quella da attribuire a FD e LN.

In particolare, per quanto riguarda FD, recen-temente si è riscontrata una sensibile diminuzionenella frequenza della malattia in quelle regioni del-l’Italia settentrionale che avevano subito gravidanni nel corso degli anni novanta; vale a dire, inordine cronologico: Veneto (Belli et al., 1997;Sancassani et al. 1997), Piemonte (Morone et al.,2000) e Lombardia (Belli et al., 2000). Questoimportante risultato è dovuto principalmente alfatto che sono stati avviati, nell’ultimo quinquen-nio, programmi di monitoraggio e contenimentodella malattia basati sul controllo del vettore, sul-

l’eliminazione dei focolai e sull’impiego di mate-riale certificato per l’impianto di nuovi vigneti;programmi e interventi che sono stati messi in attoin seguito all’emanazione del decreto di lottaobbligatoria da parte del Ministero per le PoliticheAgricole e Forestali, avvenuta il 31 maggio 2000(D.M. 32442/2000, pubblicato nella GazzettaUfficiale n. 159 del 10 luglio 2000). Tuttavia èbene tener presente che FD è una malattia subdo-la, pronta a ripresentarsi e diffondersi rapidamenteanche in quelle aree nelle quali è considerata ormaisotto controllo: basta per questo che venga abbas-sata la guardia e che si vengano a creare condizio-ni favorevoli al suo vettore.

Va anche detto che le conoscenze e gli stru-menti utili per l’attuazione delle norme di preven-zione e difesa sopracitate sono stati ulteriormentesviluppati negli ultimi anni ed è pertanto auspica-bile che, in futuro, essi vengano utilizzati al fine dicontenere la diffusione della malattia in nuove areeviticole e ridurre gli effetti di possibili recrude-scenze dove essa è ormai ritenuta endemica.

13F L A V E S C E N Z A D O R A T A E A LT R I G I A L L U M I D E L L A V I T E

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Casi sporadici di deperimenti delle viti per lacomparsa dei giallumi (Grapevine yellows: GY)erano stati osservati in Toscana nel 1986 sullavarietà Chardonnay, in vigneti piantati nella zonadi Manzano-Cortona (Arezzo). In seguito, susegnalazione del professor M. Conti del CNR - Isti-tuto di Virologia Vegetale di Torino, veniva cosìdescritto un grave fenomeno di giallume, compar-so in un vigneto di sei anni in provincia di Pistoia(Conti, 1986):

“improvvise e gravi epidemie da micoplasmi (vec-chia terminologia per definire i fitoplasmi) posso-no verificarsi in seguito a massicce migrazioni diinsetti vettori… Nell’anno in corso, ci è statasegnalata una grave epidemia di ‘Flavescenzadorata’ della vite su vitigni Chardonnay coltivatiin Toscana. I rilievi effettuati hanno accertato chela malattia era stata introdotta, in seguito a inne-sto di marze infette, in altra parte del vigneto.Questa era costituita da cultivar tolleranti, nellequali il patogeno si era diffuso, senza attrarre l’at-tenzione dei proprietari del vigneto. Nell’estate1986, l’appezzamento contaminato da ‘Flave-scenza’ era stato trattato con disseccanti, provo-cando la migrazione dei vettori, evidentementeinfettivi, verso l’area coltivata a Chardonnay, che ècultivar estremamente suscettibile”.

Nel vigneto in questione la malattia interessavacirca il 25% delle piante sulla varietà Chardonnay,mentre in misura meno accentuata era presente suCabernet Sauvignon. Le ipotesi sulle cause scate-nanti questo emblematico caso di giallumi prende-vano in considerazione sia l’impiego di marze dainnesto raccolte da viti probabilmente infette, sep-pure prive di sintomi, sia la conseguenza delle pra-tiche agronomiche adottate nel vigneto per il con-

tenimento delle malerbe: l’impiego di erbicidiavrebbe favorito la migrazione, dalle piante erba-cee alle viti, di eventuali insetti vettori di fitopla-smi, comunque non di Scaphoideus titanus, cheall’epoca non risultava ancora presente in Toscana.

Altri casi con sospette manifestazioni di GYvenivano individuati in altri vigneti delle collinepisane e nella zona a DOC di Montecarlo (Lucca)sulle varietà Sangiovese e Canaiolo. In un lavoro diindagine, condotto nel biennio 1986-87 e riferitoad alcune aree viticole, emergeva che su Chardon-nay, vitigno di recente introduzione in Toscana, lapresenza di GY era stata individuata sul 5,33% deivigneti monitorati (Egger e Grasselli, 1988). L’in-cidenza della malattia risultava comunque moltobassa e interessava solo poche piante; solo su unvigneto di sei anni, individuato a Pitigliano (Gros-seto), il danno risultava molto elevato, in quanto il21,2% di piante erano sintomatiche. Nello stessoperiodo la fitopatia veniva segnalata anche in altrivigneti coltivati a Chardonnay in località Carmi-gnano (Prato) e, in misura minore, sulle cultivarSangiovese e Trebbiano toscano in alcune aree viti-cole delle province di Firenze e di Siena.

Casi di GY erano comunque accertati in vigne-ti dell’Emilia-Romagna e, occasionalmente, delLazio; non si registrava invece alcuna segnalazioneper l’Umbria e le Marche. Le epidemie del tipolegno nero (LN), presenti un po’ ovunque, si pre-sentavano con intensità variabile in funzione dellezone viticole e, ancor più, in relazione ai vitigni ealla loro sensibilità a manifestare i sintomi dellamalattia.

L’esatta eziologia del legno nero venne confer-mata molto tempo dopo, ricorrendo ai test diagno-stici di laboratorio. Nel 1998 campioni di Char-donnay sintomatici, raccolti in vigneti della Toscanae sottoposti ad analisi biomolecolare, risultarono

2. Presenza e diffusione dei giallumi della vite in Toscana

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affetti solo dal fitoplasma appartenente al grupporibosomico 16SrXII-A, specifico per il legno nero(Osti e Triolo, 1999; Sfalanga et al., 1999). Anchele successive indagini e le diagnosi biomolecolari,condotte fino al 2001 su materiali viticoli colpiti dagiallumi e provenienti da vari vigneti toscani, por-tavano quindi a concludere che nelle varie zoneindagate nel territorio viticolo della Toscana esiste-va unicamente la fitoplasmosi del legno nero.

Per gli ambienti viticoli a sud degli Appennini,la flavescenza dorata (FD) ha una storia molto piùrecente, che merita attenzione per conoscere l’ori-gine dei primi focolai infettivi in Toscana. L’arrivodi FD si ricollega alla presenza di S. titanus, cheper la prima volta nel 1998 venne individuato invigneti della provincia di Massa Carrara, anche sein questi casi non erano evidenti sintomi di giallu-mi (Santini e Lucchi, 1998).

Limitatamente ad altre regioni del Centro Italia,la prima segnalazione di viti affette da GY risale al2001, allorché in un vigneto di età avanzata e pian-tato con le varietà Montepulciano e Sangiovese,localizzato nel comune di Montalto Marche (AP),vennero individuate alcune viti con sintomi di gial-lumi e che risultarono poi affette dal fitoplasma delgruppo 16SrV, tipo FD-C. In tale situazione nonvenne però dimostrata la presenza del vettore S.titanus (Credi et al., 2002). Il fitoplasma identifica-to è risultato essere simile a quello che, a partire daiprimi anni novanta, era presente in provincia di Tre-viso e che, successivamente, era stato trovato anchein vigneti del Piemonte, della Lombardia e di alcu-ni comuni occidentali della provincia di Pordenone.Il caso segnalato per il vigneto delle Marche meritauna particolare attenzione, in quanto, trattandosi diun vecchio impianto, veniva escluso il rischio di pos-sibili introduzioni del patogeno mediante l’uso dimateriali di propagazione viticola contaminati.

Qualche anno dopo anche in Toscana venneroindividuati i primi casi di flavescenza dorata; infat-ti nel corso del 2002 i test molecolari portarono aidentificare la presenza del fitoplasma associato aFD in alcuni campioni provenienti da viti ammala-te e raccolti in vigneti del comprensorio di Candia,in provincia di Massa Carrara (Bertaccini et al.,2003), ove qualche anno prima era stato trovato ilsuo vettore S. titanus.

A seguito di questo primo rinvenimento di vitiaffette da flavescenza e della concomitante presen-za del vettore, tutta la zona venne sottoposta amonitoraggio per la ricerca di S. titanus e per indi-viduare eventuali altri focolai infettivi. Nuovi cam-pioni di viti sintomatiche, raccolti negli anni suc-cessivi, confermarono la presenza di FD attornoall’area di primo insediamento della provincia diMassa Carrara. La malattia tuttora risulta presentein maniera puntiforme e non manifesta un com-portamento di tipo epidemico, anche in relazionealla circoscritta diffusione di S. titanus.

La presenza di fitoplasmi diversi responsabilidei deperimenti e dei giallumi della vite in Toscananon è più storia, ma attualità. La pericolosità diquesti patogeni è dovuta alla presenza nel territo-rio di insetti vettori. La continua espansione di S.titanus può favorire il processo di diffusione dellaflavescenza dorata in ambienti ancora indenni daquesta malattia. Pur considerando che attualmenteFD si trova ancora in fase endemica, il rischio con-nesso alla formazione di nuovi focolai infettivi è incontinuo aumento e coinvolge maggiormente lezone viticole della Toscana e del Centro Italia, ovefitoplasma e specifico vettore sono entrambi pre-senti. Tale rischio sarà tanto più prossimo quantopiù deboli saranno le misure di prevenzione, cheverranno messe in atto su tutto il territorio circo-stante le aree “focolaio”.

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Bibliografia

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3.1 Premessa

La comparsa di una nuova malattia viene sem-pre contraddistinta dalla presenza di specifici sinto-mi che le piante ammalate riescono a mettere inevidenza. Essa risulta maggiormente percepibileall’occhio dell’osservatore quanto più intensa emarcata è la reazione che la pianta è in grado dimanifestare. I sintomi sono quindi l’immediata ri-sposta che l’individuo mette in atto attraversoun’azione di causa/effetto e che si esprime conalterazioni di tipo fisiologico. Queste si possonomanifestare direttamente sugli organi attaccati edanneggiati dal parassita o anche indirettamente suquelle parti della pianta che subiscono i danni piùvistosi, in quanto dotate di maggiore suscettibilità.

La presenza dei giallumi della vite (Grapevineyellows = GY) risulta, in genere, di facile percezio-ne, grazie alla peculiarità dei sintomi, che si con-traddistinguono chiaramente da quelli causati daaltre avversità di tipo biotico e abiotico. Le malat-tie da fitoplasmi si estrinsecano attraverso varieforme, che vanno dai deperimenti gravi ed estesi atutta la pianta, alle alterazioni attenuate e circo-scritte solo alle foglie di qualche tralcio.

La manifestazione dei sintomi di giallume, osser-vati su viti dell’ibrido produttore diretto Baco 22 A(foto 1), permise nel 1924 a Ravaz e Verge di attri-buire il nome di “flavescence” alla nuova malattia checomparve per la prima volta in vigneti del Sud-Ovest della Francia. La definizione di “flavescencedorée” (FD) venne attribuita da Levadoux nel 1955per meglio specificare l’ampelopatia che si stava allo-ra diffondendo in alcuni vigneti francesi, compresinella zona del Bas Armagnac. La malattia si caratte-rizzava per la comparsa di particolari giallumi suvarietà a uva bianca, oppure di anomali arrossamen-ti sulle varietà a bacca nera. Le alterazioni presenti

sulle foglie erano considerate molto tipiche e spicca-vano per la loro brillantezza, potendosi distinguerechiaramente da altre anomalie causate dalle avversitàparassitarie conosciute in quel tempo.

Analogamente, la definizione di “bois noir” olegno nero (LN) si ricollegava alla formazione diimbrunimenti del legno, che comparivano durantel’inverno sui tralci delle viti precedentemente col-piti da deperimenti e da giallumi. Anche questotipo di alterazione, dovuto alla mancata e irregola-re lignificazione dei tralci era stato osservato per laprima volta a metà degli anni cinquanta in vignetidella Francia settentrionale (Bourgogne, Jura eChampagne) principalmente su viti della cultivarChardonnay.

La distinzione tra FD e LN era stata quindi uti-lizzata per indicare le due malattie, che stavanocolonizzando due diversi territori viticoli della Fran-cia e che presentavano sintomi pressoché simili. Taledistinzione venne ripresa anche in Italia, nel tentati-vo di contraddistinguere le epidemie di giallumeche, a partire dagli anni sessanta, si stavano diffon-dendo in diversi ambienti viticoli del Settentrione.

L’esame dei soli sintomi non è sufficiente a rico-noscere le diverse fitoplasmosi, che nel corso deglianni sono state identificate e che progressivamentehanno colonizzato i vigneti di molti Paesi dell’Eu-ropa e di altri continenti. Una diagnosi sicura, chepermetta di accertare l’esatta eziologia dei giallumi,oppure che porti a escludere la presenza di altremalattie causate da virus o di avversità biotiche oabiotiche, va eseguita mediante il ricorso ai saggi dilaboratorio. Tuttavia alcune differenze sintomato-logiche, se osservate con attenzione, possono con-sentire di diagnosticare, con buona affidabilità, lapresenza di flavescenza dorata rispetto ad altre fito-plasmosi, in particolare legno nero.

Importanti differenze dei sintomi sono invece

3. Sintomi di fitoplasmosi e differenze con alterazioni imputabili ad altre cause

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legate alla componente genetica dei vitigni, in quan-to si possono avere comportamenti molto differentinell’ambito sia delle varietà da uva che dei portinne-sti. Analogamente, le combinazioni di innesto, l’etàdelle piante, il periodo stagionale, le condizioni col-turali, pedologiche e climatiche, lo stato vegetativoe gli stress fisiologici possono portare a diversificarela tipologia e l’intensità dei sintomi.

3.2 Sintomatologia

L’osservazione diretta dei sintomi, che compaio-no sulle piante ammalate, rappresenta quindi unostrumento di diagnosi immediato e di facile applica-zione, mentre l’identificazione degli agenti patoge-ni è demandata alle analisi di laboratorio. Bisognaanche considerare che, abbastanza frequentemente,

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1. Giallume in ibridi Baco 22 A

2. Forma grave di deperimento da GY in Chardonnay

3. Sezione di tralcio affetto da fitoplasmi: disgregazionevascolare del floema con inizio svuotamento del midollo

4. Foglie di Chardonnay con aspetto “flavescente”

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sulla stessa vite possono coesistere infezioni miste,per cui due o più fitoplasmi diversi possono essereidentificati sullo stesso campione, quando viene sot-toposto a saggio molecolare.

Le ispezioni di campo, necessarie per indivi-duare le viti ammalate, devono essere fatte inmomenti diversi del periodo vegetativo e vannoripetute per più anni. Per prima cosa, è importan-te sapere che i sintomi delle fitoplasmosi vannoosservati controllando contemporaneamente lefoglie, i tralci e, qualora presenti, i grappoli. In viaprevalente essi si manifestano a partire dalla fase diallegagione, progressivamente aumentano con l’a-vanzare della stagione vegetativa e culminanoverso la fase di maturazione dell’uva.

La sintomatologia può ulteriormente compli-carsi in relazione al fatto che ogni pianta costitui-sce un individuo a sé stante. Ogni vite può presen-tare anomalie che assumono aspetti particolari pereffetto della diretta conseguenza dell’interazionetra vari fattori: tipo di fitoplasmi, altre avversitàdovute a fattori biotici e abiotici, reazione fisiolo-gica delle piante colpita dai patogeni.

In alcuni casi i sintomi possono essere di debo-le intensità, rimanendo localizzati su alcune fogliee su qualche tralcio poco sviluppato, il quale rima-ne spesso coperto dal resto della vegetazione: tuttociò rende quindi difficoltosa l’individuazione dellapianta ammalata. All’opposto l’intensità dei sinto-mi può essere molto forte e può portare al com-pleto deperimento della pianta, fino a provocarnela morte (foto 2).

Sintomi generici dei giallumiLe cause che portano alla comparsa dei giallu-

mi sono da attribuire alle risposte fisiologiche, chevengono attivate sugli organi suscettibili, allorchéla pianta viene attaccata dai fitoplasmi. I sintomisono la conseguenza dei danni subiti dal floema edal cambio dei tralci e del tronco; ciò dipende dalfatto che i fitoplasmi intervengono sull’equilibrioormonale della pianta, privilegiando la fase vegeta-tiva su quella riproduttiva.

L’agente patogeno invade i tessuti conduttorifloematici (quali le nervature, i piccioli fogliari, itralci), generando la disgregazione del sistemavascolare discendente e interrompendo la conti-nuità dei tubi linfatici e dei tessuti midollari (foto3). L’alterazione del floema provoca l’accumulo diamidi nelle foglie, blocca la migrazione delle so-stanze elaborate e progressivamente impedisce ilnutrimento dell’uva, dei tralci e del fusto.

Sintomi su foglieLa presenza delle fitoplasmosi si rende eviden-

te, osservando l’apparato fogliare: sulle viti amma-late i sintomi compaiono generalmente verso l’ini-zio dell’estate e tendono gradatamente ad accen-tuarsi con l’avanzare della stagione vegetativa,risultando inconfondibili in settembre e ottobre.

Le foglie presentano un’intensa e disformecolorazione della lamina, che diventa giallo-vivoper le varietà a uva bianca e rosso-intenso e vivacenelle varietà a bacca nera. In entrambi i casi si evi-denzia una particolare lucentezza con riflessimetallici sulla pagina superiore, favorendo il tipico

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5. Arrossamenti diffusi in foglie di Sangiovese

Foto M. D’Arcangelo6. Alterazioni cromatiche settoriali in Tocai rosso

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aspetto “flavescente” (foto 4). Il viraggio del colo-re può interessare tutta la foglia, oppure può rima-nere limitato ad alcune zone o a settori di variaestensione, che restano definiti dalle nervature pri-marie o secondarie, le quali si colorano intensa-mente e con varia tonalità in funzione del vitigno(foto 5, 6, 7). A volte il cromatismo della laminafogliare rimane limitato ad aree o a macchie circo-scritte, che si sviluppano prevalentemente in corri-spondenza delle nervature; molto spesso si estendeprogressivamente all’intero organo e a tutte le fo-glie dello stesso tralcio (foto 8).

Limitatamente alle varietà più suscettibili, lealterazioni cromatiche investono l’intera pianta(foto 9). Con il passare del tempo, le foglie dan-neggiate subiscono un precoce invecchiamento,che ne favorisce la caduta anticipata. Infatti, in cor-rispondenza delle aree clorotiche o arrossate, comepure sulle nervature principali e marginalmente suquelle secondarie, si formano vistose necrosi eimbrunimenti nervali, che anticipano il processo disuberizzazione nel punto di inserzione della lami-na fogliare con il picciolo (foto 10). In tali situazio-ni si verifica una precoce filloptosi su gran partedella vegetazione: la lamina si stacca dal picciolo,che rimane invece attaccato al tralcio.

Su molte varietà, tra cui Chardonnay, Pinot,Cabernet franc, Merlot etc., la malattia causa unaccentuato arrotolamento del lembo fogliare, chepiega vistosamente verso il basso, facendo assume-re alla foglia una tipica forma geometrica triango-lare o poligonale (foto 11); la lamina diventa bollo-sa, spessa, coriacea, fragile e scricchiolante al tatto.In altri vitigni, quali Cabernet Sauvignon, Manzo-ni bianco (Incrocio Manzoni 6.0.13), Prosecco,Sauvignon b, Trebbiano toscano etc., le fogliemantengono forme abbastanza normali, pur pre-sentandosi di maggiore consistenza rispetto allanorma (foto 12).

Nell’ambito della stessa varietà, come pure nel-lo stesso vigneto, si possono però osservare com-portamenti differenti tra le viti ammalate: gli arro-tolamenti dei bordi fogliari e le alterazioni croma-tiche della lamina diventano più intensi e marcatisu piante già affette dalla virosi dell’accartoccia-mento fogliare, malattia che da sola causa accen-tuate alterazioni cromatiche e il ripiegamento deibordi fogliari. Per evitare possibili confusioni tra ledue malattie, fin d’ora si specifica che nel caso dellavirosi sono le foglie più vecchie quelle che presen-tano sintomi di rossori o di ingiallimenti, mentre lenervature rimangono sempre verdi (foto 13, 14).

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8. Alterazioni maculari in foglie di Riesling italico7. Giallumi nervali da GY in foglie di Riesling italico

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Sintomi su tralciI tralci ammalati assumono una colorazione

verde sbiadito, tendente al grigio-verdastro. Neicasi gravi rimangono erbacei, di consistenza spu-gnosa e gommosa; presentano uno sviluppo ridot-to accompagnato a volte da andamento a zig-zag.Per effetto della ridotta lignificazione diventano

molli e flessuosi con comportamento ricadente,seguito da un contorcimento dei meritalli basali.In tali situazioni si formano spaccature longitudi-nali con suberificazioni abbastanza estese lungo imeritalli (foto 15, 16).

In alcune varietà il parenchima corticale deitralci colpiti risulta ricoperto da piccole e numero-

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9. Alterazioni fogliari in Chardonnay 11. Pinot nero con fitoplasmosi

10. Necrosi nervali e arrotolamento dei bordi fogliari in Chardonnay

12. Trebbiano toscano affetto da giallumi

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17. Pustole in tralcio erbaceo di Chardonnay

13. Fitoplasmosi e accartocciamento fogliare in Pinot grigio

16. Tralci erbacei con sfogliature in Manzoni bianco(Incrocio Manzoni 6.0.13)

15. Spaccature longitudinali nei meritalli per ripiegamento di tralcio erbaceo

14. Fitoplasmosi e accartocciamento fogliare in Cabernet franc

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se pustole dall’aspetto oleoso, che emergono visto-samente dall’epidermide. Inizialmente esse si pre-sentano di colore verde intenso, mentre in seguitoassumono una tonalità bruna e poi necrotizzano(foto 17). Talvolta anche la parte apicale dei ger-mogli necrotizza e si atrofizza; durante l’estate sisecca, arrestandone la crescita. In presenza di sin-tomi molto precoci e di forte intensità si ha il com-pleto arresto dello sviluppo del germoglio.

I tralci colpiti, a seguito del mancato agosta-mento, maturano in modo irregolare, con parzialelignificazione dei meritalli e dei nodi. Quandosopraggiunge l’inverno, essi imbruniscono a causadel freddo, dando luogo al fenomeno conosciutocome “legno nero”. La parte corticale si presentasecca, rivestita di piccole pustole biancastre (foto18). Nei casi più gravi tutti i tralci manifestano alte-razioni anomale e il portamento vegetativo dellapianta appare fortemente compromesso. Durante lapotatura invernale risulta difficile trovare tralci ido-nei alla costituzione di nuovi capi a frutto, in quan-to il legno risulta morto (di colore nerastro), oppu-re si presenta completamente secco.

Sintomi su grappoliI grappoli possono manifestare una variabilità di

sintomi, che vanno dall’appassimento delle in-

fiorescenze, all’aborto fiorale, al disseccamento deiraspi e all’avvizzimento dell’uva. L’intensità dei sin-tomi e la gravità del danno variano in relazione all’e-poca di comparsa dei sintomi e alla fenologia dellavite; essi sono inoltre collegati all’intensità delle ano-malie presenti sulle foglie e sui tralci (foto 19).

In presenza di sintomi precoci, la malattia provo-ca un grave deperimento su tutta la vegetazione,danneggiando gravemente anche le infiorescenze.Queste si atrofizzano rapidamente, senza però mani-festare la presenza di muffa grigia; poco dopo cado-no unitamente alla parte terminale del germoglio.

Nel caso in cui la malattia manifesti i primi sin-tomi a partire dalla fioritura, si può avere l’abortodei fiori: il raspo, denudato degli acini, si seccainteramente e può rimanere attaccato al tralcio perun breve periodo, oppure si stacca quando non cisono più acini allegati. Se invece la malattia comin-cia a manifestarsi dopo l’avvenuta allegagione, igrappoli colpiti rimangono attaccati al tralcio: ilrachide appare disteso, in alcuni casi può apparirelievemente contorto e di colore violaceo e può pre-sentare mutilazione di alcune sue parti. A volte igrappoli portano solo pochi acini sparsi sulle ali,mentre tutta la rimanente parte si presenta dissec-cata, conservando i residui fiorali e gli abbozzi diacini. Le bacche tendono in genere a raggrinzire

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18. “Legno nero” in tralci di Chardonnay colpiti da giallumi

19. Danni in grappoli e tralci di Prosecco

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oppure, con il passare del tempo, seccano e cado-no in maniera graduale e con intensità variabile,iniziando spesso dalle porzioni più distali del grap-polo (foto 20, 21). L’uva, che si mantiene fino all’e-poca di vendemmia, si presenta acerba e non è ido-nea alla vinificazione, giacché il succo è aspro eprivo di zuccheri. In tal modo gran parte della pro-duzione di uva viene compromessa.

Deperimento generale della piantaSolitamente è sufficiente constatare la presenza

dei sintomi sulle foglie, sui tralci e sui grappoli perdiagnosticare se la vite ammalata è affetta da fito-plasmosi (foto 22). Esistono però casi molto graviin cui la sintomatologia riguarda l’intera pianta, inconsiderazione del fatto che l’ampelopatia, presen-te già da alcuni anni, sta generando un progressivodeperimento del fusto, compromettendo la possi-bilità di guarigione (foto 23, 24, 25). Questo com-

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20. Grappoli danneggiati da fitoplasmosi in Chardonnay

23. Intera vite affetta da giallumi22. Sintomi di GY in Negro amaro

21. Danni in grappolo in fase di maturazione

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portamento, che in genere si verifica su varietà divite molto sensibili, quali per esempio Chardon-nay, Riesling italico, Manzoni bianco, Tocai rosso,può provocare la morte anticipata della pianta. Lamoria si può verificare anche su vitigni meno su-scettibili, qualora concorrano altri deperimentidovuti a stress biotici e abiotici. Infatti, il perdura-re dei sintomi delle fitoplasmosi per più anni con-secutivi provoca un progressivo indebolimentodella pianta a causa del mancato accumulo dellesostanze di riserva nei tralci, nel fusto e nelle radi-ci. In condizioni colturali più favorevoli e in vitigniconsiderati tolleranti ai giallumi, si può avere laremissione dei sintomi: le viti dotate di buonavigoria e che presentano sintomi localizzati solo sualcuni tralci, possono manifestare la “guarigione”,che può essere definitiva o solo temporanea.

Il declino generale delle viti ammalate risultatanto più rapido quanto più intensi sono i sintomiche colpiscono le foglie e i tralci. Nelle forme diallevamento espanse, che portano branche perma-nenti alquanto lunghe (potature a Sylvoz, a Casar-sa, cortine speronate etc.), il danno risulta evidentein quanto mancano capi a frutto di rinnovo, i qualivengono soppressi con le potature invernali, poichési presentano secchi e bruni. Il degrado della pian-ta diviene progressivo; il recupero del ceppo richie-de particolari interventi di dendrochirurgia, checomportano l’asportazione delle parti secche o lacapitozzatura del tronco al di sopra di eventualiricacci basali, apparentemente sani (foto 26).

Il problema assume dimensioni gravi nei casi incui la malattia colpisca viti ancora giovani, di unoo più anni (foto 27). In queste situazioni il deperi-mento della pianta appare molto accentuato inquanto si ha un danno irreversibile sul legno, indi-pendentemente dalla varietà. Anche su vitigni co-

munemente ritenuti tolleranti ai giallumi, le giova-ni piante colpite presentano gravi e irreparabilialterazioni istologiche del legno quando la malat-tia colpisce anche l’astone principale, che era desti-nato a costituire il tronco permanente.

La parte danneggiata, che si trova ancora allostadio di tralcio, subisce la disgregazione del sistemavascolare ancora in fase di differenziazione. L’accre-scimento del giovane fusto, quando porta tralci anti-cipati con foglie sintomatiche, viene impedito e siarresta nel corso dell’estate, per cui gli organi diriserva risultano privi delle sostanze che le foglieavrebbero dovuto elaborare e cedere. Il legno per-tanto non matura in maniera adeguata e uniforme;presenta sintomi abbastanza evidenti sulla parte cor-ticale, rappresentati da alterazioni cromatiche piùbrune con tacche coriacee ed estese necrosi cortica-li (foto 28, 29). In tali situazioni il legno del troncodelle viti, ancora in età giovanile, invecchia precoce-mente e arresta la propria crescita; il ritidoma non sirinnova e tende a rimanere coriaceo e bruno.

Gli effetti della malattia si rendono evidenti allasuccessiva ripresa vegetativa a causa del mancatogermogliamento delle gemme sia sui capi a frutto,sia lungo l’astone o il giovane fusto. Il fenomenocompare nonostante i tubi risultino irrorati di linfae le gemme sembrino apparentemente ancora vive;queste comunque potrebbero schiudere, ma conritardo e dando origine a esili e fragili germogli.

In presenza di simili deperimenti, che provoca-no irreparabili danni sugli organi strutturali dellavite, l’unico rimedio è l’eliminazione delle parti col-pite. Qualora però sia colpita una pianta di pochianni la soluzione migliore e più immediata è l’estir-po del ceppo malato. Questa operazione va esegui-ta fin dalla prima manifestazione dei sintomi, inquanto ogni tentativo di recupero e di ricostruzio-

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24. Giallumi in Molinara 25. Cabernet Sauvignon affetto da giallumi

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ne del ceppo sarebbe inutile, dato che il floema deltronco risulta danneggiato in maniera irreversibile,anche in considerazione che la pianta non riesce adaccumulare sufficienti sostanze di riserva.

Sintomi particolariVengono di seguito descritti alcuni aspetti me-

ritevoli di una trattazione specifica, utile a meglioillustrare la comparsa di sintomi precoci sulle vitiammalate, come pure a valutare il diverso compor-tamento epidemico relativo ad alcuni vitigni e chela letteratura ha preso come guida per descrivere lesintomatologie dei giallumi.

Sintomi precociLe alterazioni cromatiche e morfologiche che

compaiono sulle piante colpite da giallumi risultanoin genere più o meno simili. Dopo anni di valutazio-ni e controlli di campo, è stato possibile evidenziarealcuni aspetti particolari, cioè che le piante ammalatepotevano presentare differenti tipologie di sintomicome pure assumere differenti comportamenti.

Le classiche descrizioni dei sintomi e gli schemifinora illustrati (Egger e Borgo, 1983; Borgo 2002)indicano che la malattia comincia a manifestarsi apartire dalla fase post-fiorale, epoca in cui le pian-

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26. Viti capitozzate per interventi di risanamento 27. Vite di un anno affetta da giallumi

28. Giovane astone di vite affetta da giallumi

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te colpite mostrano, di norma, le prime alterazionicromatiche sulle foglie, spesso accompagnate daaccartocciamento dei bordi, la formazione di pul-stole oleose sui tralci e qualche primo sintomo suigrappolini appena allegati.

Dopo l’arrivo della flavescenza dorata neivigneti del Settentrione, è stato invece possibileriscontrare che i primi sintomi della malattia pote-vano manifestarsi alla ripresa vegetativa.

Le piante colpite presentano un germogliamen-to irregolare, caratterizzato dalla presenza di moltegemme cieche sui capi a frutto lasciati dopo lapotatura (foto 30); ciò si rende evidente anche se itralci sono ben formati, di diametro consistente edi colore normale (foto 31). I germogli, originatida qualche gemma schiusa, arrestano quasiimprovvisamente la loro crescita e rimangono didimensioni più ridotte rispetto alla norma (foto32), presentano pochi internodi, a volte disposti azig-zag. Inoltre mostrano un aspetto vitrescentecon striature imbrunite, sono di consistenza fragi-le e si rompono facilmente quando vengono sotto-posti a lieve piegatura con le dita. La parte apicalesi atrofizza e dissecca dopo poco tempo.

Le foglie sono di dimensioni più ridotte rispettoalla norma e si sviluppano irregolarmente con scarsadistensione delle nervature e con formazione di pie-ghe sulla lamina. Presentano punti di rottura, arro-tolamento dei bordi, disseccamenti localizzati, a-spetto luccicante (foto 33); al tatto risultano turgide,scricchiolanti e molto fragili. Le prime foglioline delcercine seccano e cadono con anticipo.

Le infiorescenze rimangono allo stadio di ab-bozzi e non si distendono; presentano imbruni-menti con necrosi e seccumi a iniziare dalle partidistali, per proseguire sull’intero organo, che poi sistacca dal germoglio.

La particolarità di questa tipologia di sintomi èla loro tempestiva manifestazione, che risulta pale-se a distanza di soli 20-30 giorni dall’inizio delgermogliamento della vite.

I saggi molecolari per la ricerca degli agentipatogeni, eseguiti su campioni di foglie raccolte dapiante che mostravano sintomi precoci, hannodato risposte positive per il fitoplasma della flave-scenza dorata.

Sulla base dei sintomi e dei risultati dei test dilaboratorio si può quindi affermare che FD è ingrado di rendersi manifesta subito dopo il germo-gliamento, cioè con molto anticipo rispetto aquanto si verifica invece nel caso in cui le pianterisultino affette da legno nero, i cui sintomi com-paiono generalmente a partire dalla fine fioritura oin post allegagione dell’uva.

Il fatto di porre adeguata attenzione all’epoca

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29. Viti giovani affette da giallumi

31. Sintomi precoci in Cabernet Sauvignon

30. Irregolare germogliamento in vite di Chardonnayaffetta da flavescenza dorata

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di comparsa dei primi sintomi può tornare utile performulare una prima e sommaria diagnosi sul tipodi malattia presente, anche se il preciso responsodovrà sempre essere confermato dai risultati deisaggi di laboratorio. I controlli di campo, se ese-guiti precocemente, permettono solo di individua-re le piante affette da giallumi e di favorire l’iden-tificazione di nuovi focolai di flavescenza dorata.

Evoluzione della malattia in vitigni diversiFin dai primi anni in cui le fitoplasmosi aveva-

no cominciato a diffondersi in Francia, erano statiosservati comportamenti differenti, variabili infunzione dei vitigni ammalati (Caudwell, 1981).Sono quindi state descritte alcune tipologie di sin-tomi, che non tengono però conto dell’esatta ezio-logia della malattia:

• Evoluzione tipo Baco 22 A e Trebbiano toscanoIn queste varietà e in gran parte dei vitigni col-tivati, la malattia si manifesta inizialmente informa grave. Dopo il primo anno di crisi, lapianta colpita si ristabilisce nel corso di una odue annate. La guarigione risulta definitiva senon si verificano successive reinoculazioni daparte dei vettori di fitoplasmi; qualora ciò si

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32. Germogli atrofizzati da attacco precoce di flavescenza dorata

33. Infiorescenze necrotizzate per attacco precoce di flavescenza dorata in Cabernet Sauvignon

34. Vite di Sangiovese affetta da GY

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avveri, i sintomi restano limitati a qualche tral-cio vicino al punto di inoculazione.

• Evoluzione tipo Nielluccio o SangioveseLe piante infette si ammalano improvvisamentee presentano sintomi evidenti su tutto il ceppo.La malattia permane per più anni fino a provo-care la morte delle viti, che soccombono senzaandare incontro a fenomeni di guarigione. Questo tipo di evoluzione interessa i vitigni chenormalmente sono classificati molto sensibili,tra cui Chardonnay, Riesling italico, Sangiovese(foto 34).

Altri vitigni invece possono assumere un com-portamento intermedio, tipo quello descritto perAlicante Bouschet. I sintomi della malattia posso-no manifestarsi per 2-3 anni consecutivi; in segui-to la pianta colpita può morire oppure può ristabi-lirsi a seguito di interventi di potatura volti a eli-minare le parti di legno più deperite o di capitoz-zatura per la ricostruzione del tronco. Evoluzionidi questo tipo sono frequenti in molti vitigni, tracui si possono citare Prosecco, Cabernet Sauvi-gnon, Barbera.

È stato comunque notato che i suddetti compor-

tamenti si possono manifestare sulle viti ammalateindipendentemente dal fatto che i giallumi siano cau-sati da flavescenza dorata piuttosto che da legno neroe/o altri fitoplasmi. Eventuali differenze tra le malat-tie potrebbero essere di tipo epidemiologico, in con-siderazione che FD si caratterizza per uno sviluppodelle epidemie molto più rapido e per la sua virulen-za su un numero superiore di piante rispetto a LN.

L’esame dei sintomi di GY sulle viti americanepuò risultare più difficile rispetto alle varietà dauva. Le forme di allevamento adottate negli im-pianti di piante-madri portinnesto (tipo strisciante,a tendone, a spalliera, a pergoletta), come pure ilforte sviluppo vegetativo e l’intricata disposizionedei lunghi tralci, rendendo difficoltose le operazio-ni di rilievo e di controllo. Tuttavia, osservandoattentamente la base dei nuovi tralci, è possibileindividuare la presenza della malattia. I sintomipossono comparire solo su alcuni tralci, che risul-tano poco lignificati, ricoperti da necrosi longitu-dinali, sottili ed elastici. Le foglie colpite mostranoevidenti sintomi di accartocciamento, colorazioni“flavescenti” con necrosi nervali; sono di consi-stenza coriacea e risultano ben evidenti rispetto alrestante apparato fogliare, che ha un portamentodel tutto normale (foto 35, 36).

29F L A V E S C E N Z A D O R A T A E A LT R I G I A L L U M I D E L L A V I T E

35. Sintomi di fitoplasmosi nel portinnesto 140 Ru 36. Vite di portinnesto 101.14 affetta da GY

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3.3 Alterazioni imputabili ad altre cause

In questo capitolo vengono illustrate altreavversità della vite che possono manifestare sinto-mi, i quali, a un sommario esame, potrebbero esse-re confusi con quelli imputabili alle fitoplasmosi.Spesso, vedendo per la prima volta piante affette dagiallumi o da rossori molto vistosi, capita che si siaindotti a fare diagnosi non esatte, in quanto non siconoscono perfettamente i sintomi causati da altremalattie della vite.

Alterazioni per presenza di malattie viraliAlcune ampelopatie virali possono presentare

sintomi che in parte assomigliano a quelli causatidai fitoplasmi. Vengono di seguito sintetizzate lesintomatologie di alcune virosi della vite e che inparte possono essere confusi con quelli dei GY:accartocciamento fogliare, degenerazione infettiva,suberosi corticale.

• La virosi della degenerazione infettiva, notaanche con i nomi di giallume infettivo o arriccia-mento della vite, è data da un complesso virale assaidiffuso in tutto il mondo. Essa si caratterizza per la

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37. Giallumi infettivi dovuti a virosi 38. Giallume e malformazione infettivi

39. Malformazioni infettive nel tralcio

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comparsa di sintomi di tipo cromogeneo e defor-manti, in quanto a livello di foglie, grappoli e tral-ci si possono avere alterazioni chiaramente diffe-renti da quelle provocate dai fitoplasmi.

Le foglie delle piante ammalate presentanogiallumi nervali e/o perinervali sia su varietà a uvabianca, sia su quelle a bacca nera (foto 37). Le fo-glie mostrano vistose deformazioni con seni pezio-lari aperti, nervature primarie ravvicinate (prezze-molatura), bordi arricciati con denti molto pro-nunciati (foto 38). Il danno sui grappoli si manife-sta con acinellatura a volte molto forte e con irre-golare crescita delle bacche (millerandage). I tral-ci possono presentare fasciazioni, biforcazioni,nodi doppi, internodi irregolari, appiattimento deimeritalli, andamento a zig-zag, spostamento deiviticci etc. (foto 39). Questo complesso virale, tra-smissibile mediante propagazione di materiale viti-colo infetto o mediante nematodi vettori di viruspresenti nel terreno, risulta assai diffuso nei vecchivigneti delle zone di collina; dovrebbe invece esse-re assente sui nuovi impianti costituti con materia-le di categoria “certificato”. Le piante ammalatenon hanno alcuna possibilità di guarigione; da unanno all’altro può variare l’intensità dei sintomi edei danni.

• La virosi dell’accartocciamento fogliare, consi-derata una delle più importanti malattie da virusdella vite e ampiamente diffusa in tutti gli ambien-ti viticoli del mondo, si caratterizza per la presenzadi sintomi che manifestano arrossamenti o giallumidella lamina fogliare (foto 40, 41). La malattia, cau-sata da un complesso virale comprendente vari clo-sterovirus associati alla vite (Grapevine Leafroll asso-ciated Virus: GLRaV), è di tipo permanente ed ètrasmissibile mediante l’uso di materiali di moltipli-cazione viticola infetti o tramite attacchi di insettivettori, prevalentemente le cocciniglie.

Sulle piante ammalate i sintomi dell’accartoccia-mento si presentano ogni anno e possono essereosservati fin dal primo anno di impianto, comepure in vivaio. L’intensità dei sintomi e l’epoca dicomparsa variano in funzione dei vitigni e degliambienti di coltivazione della vite. Le differenzesintomatologiche tra fitoplasmosi e accartoccia-mento fogliare vengono sintetizzate nel Prospetto 1.Nel caso della virosi dell’accartocciamento, limita-tamente agli ambienti e alle annate fresche, i sinto-mi sulle foglie si rendono evidenti in prossimitàdella fase di invaiatura dell’uva e si accentuano pro-gressivamente con l’avanzare della stagione vegeta-tiva. Le piante virosate si identificano chiaramente

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40. Sintomi di accartocciamento fogliare in Pinot nero 41. Accartocciamento fogliare in Malvasia gialla

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in tarda estate e in fase di pre-caduta delle foglie, inquanto queste assumono colorazioni intense, accar-tocciano e cadono con ritardo rispetto a quelledelle viti esenti dalla virosi.

A differenza di quanto si verifica in piante affet-te da GY, le foglie sintomatiche presentano le ner-vature e gli spazi perinervali sempre verdi (foto 42),i tralci raggiungono una maturazione normale, igrappoli non risultano danneggiati, mentre l’uvatarda a maturare con gran parte degli acini cherimangono ancora verdi (foto 43a-b).

• La disaffinità d’innesto è un’altra malattia davirus, scoperta recentemente, in grado di provocaresintomi assimilabili a quelli delle fitoplasmosi. È cau-sata dalla presenza di un closterovirus (GLRaV2),entità patogena che, oltre a provocare sintomi diaccartocciamento fogliare, risulta coinvolta anchenella complessa sindrome del legno riccio della vite.Il danno può diventare molto grave, in quanto inne-stando marze di piante virosate su portinnesti sensi-bili, quali per esempio Kober 5BB, 5C, 3309C, si

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Prospetto 1 - Principali caratteristiche distintive tra fitoplasmosi e accartocciamento fogliare della vite

Parametri di valutazione Fitoplasmosi Accartocciamento

SINTOMI SU FOGLIA

Riflessi metallici presenti assenti

Tacche cromatiche circoscritte presenti assenti

Cromatismo della lamina presente presente

Colorazione settoriale presente assente

Alterazione cromatica delle nervature presente assente

Ripiegamento dei bordi fogliari varia intensità accentuato

Consistenza papiracea presente assente

Fragilità presente assente

Caduta anticipata posticipata

Diffusioneda parziale a totale

su tutte le foglie adultecomprese le foglie giovani

SINTOMI SU TRALCIO

Palesi sì no

Internodi a zig-zag regolari

Consistenza erbacea, semilegnosa legnosa

Fragilità accentuata assente

Fenditure longitudinali presenti assenti

Colorazione del tralcio maturo bruna normale

Germogliamento delle gemme posticipato*, assente normale

Portamento piangente normale

SINTOMI SU GRAPPOLI

Infiorescenze possibili danni normali

Disseccamento presente assente

* Casi rari, irregolare sul cordone o tralcio, dipende dalle cultivar.

42. Tipici sintomi di accartocciamento fogliare in Cabernet franc

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può assistere alla improvvisa comparsa di alterazionicromatiche su tutto il fogliame, a cui si accompagnaun progressivo deperimento dell’intera pianta fino aprovocarne la morte nei casi fitopatologici più gravi.Il fenomeno si rende evidente sia in vivaio (foto 44)che in vigneto. Il deperimento è causato da una irre-golare unione e saldatura dei due bionti: al punto diinnesto si ha la formazione di un diaframma tra i tes-suti di cicatrizzazione, tale da impedire la perfettaunione tra portinnesto e marza, provocando l’inter-ruzione dei tessuti vascolari, accompagnata da una

ridotta tenuta del punto d’innesto. L’osservazionedei tessuti interni mostra la netta separazione tracallo della marza e del portinnesto.

• La suberosi corticale o “corky bark” è un’altramalttia virale che, qualora sia presente su varietàsensibili (ad esempio, la varietà indicatrice ibridoLN 33), può causare sintomi in parte simili a quel-li descritti per le fitoplasmosi. Le piante ammalatemostrano una ridotta ripresa vegetativa, accompa-gnata da forte ritardo di germogliamento; le foglie

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43. Danni causati da accartocciamento fogliare in uva in fase di maturazione: confronto tra vite infetta (a) e vite sana (b)

44. Deperimenti e arrossamenti fogliari in barbatelle affette da disaffinità di innesto

45. Sintomi di suberosi corticale in indicatore LN 33

a) b)

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dei tralci colpiti manifestano colorazioni anomale,caratterizzate da ingiallimenti su varietà a uva bian-ca e da arrossamenti su quelle a uva nera e da uninizio di arrotolamento del lembo verso le pagineinferiori (foto 45).

I sintomi si possono estendere a tutta la foglia,comprese le nervature, oppure si possono limitarea qualche settore. Nei casi più gravi le foglie dan-neggiate tendono a staccarsi con anticipo rispettoa quelle sane. La malattia colpisce anche i tralci,che rimangono erbacei o poco lignificati, elastici econ portamento cadente. I meritalli basali mostra-no caratteristici rigonfiamenti con fenditure longi-tudinali, spaccature e piccole neoplasie corticali. Lavigoria vegetativa risulta ridotta, comportando unascarsa produzione di uva, che matura irregolar-mente. Si precisa comunque che la suberosi corti-cale è una virosi poco diffusa e difficilmente si pos-sono verificare comportamenti epidemici gravi neivigneti italiani.

Alterazioni per malattie da batteriIn viticoltura esistono due malattie batteriche

che possono indurre sintomi assimilabili a quellidei GY: mal nero e malattia di Pierce, entrambi

considerate pericolose in quanto provocate daorganismi sottoposti a regimi di “quarantena”.

• Il mal nero, causato da Xylophilus ampelinus,è stato individuato per la prima volta in Italia nel1879. La malattia è di tipo endemico e, occasional-mente, può comparire in qualche vigneto. I sinto-mi possono manifestarsi a carico di gemme, di ger-mogli, di foglie e di grappoli; compaiono a partiredalla ripresa vegetativa e progrediscono fino a metàestate. I germogli colpiti sono deboli e seccano nelgiro di poche settimane; quelli più sviluppati pre-sentano aree necrotiche scure, longitudinali e spac-cature in corrispondenza dei meritalli basali (foto46). Le necrosi si possono estendere anche allefoglie, che colorano più intensamente e seccanoimprovvisamente. Le branche delle viti ammalate,con il passare del tempo, deperiscono progressiva-mente fino a causare anche la morte della pianta.

• La malattia di Pierce (Pierce’s disease), provo-cata da infezioni causate dal batterio Xylella fasti-diosa, si manifesta con alterazioni fogliari di tipoprogressivo e con presenza di vistose macchie clo-rotiche o rossastre di colore verde chiaro, che siespandono a partire dai bordi (foto 47). Le foglie si

34

46. Tralci affetti da “mal nero” causato da Xylophilus ampelinus

47. Foglia affetta dalla malattia di Pierce

Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

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colorano a seconda del vitigno, seccano e poi sistaccano dal picciolo, che rimane attaccato al tral-cio. I grappoli vanno soggetti a colature fiorali, airregolare maturazione dell’uva, seguita da avvizzi-mento e da disseccamento degli acini. I tralci ma-turano con irregolarità, rimanendo ancora verdi inprossimità dei nodi. Le viti colpite in maniera mol-to forte deperiscono gradatamente fino a morire, aseguito del mancato accumulo delle sostanze diriserva per la scarsa funzionalità del sistema vascola-re dei tralci. La malattia è presente prevalentemen-te nell’America del Nord e in quella Centrale;recentemente è stata segnalata in Kosovo, facendoquindi aumentare il rischio che possa arrivare anchein Italia mediante la commercializzazione di mate-riale di moltiplicazione viticolo infetto.

Danni da Rincoti Per gli addetti ai lavori può sembrare pleonasti-

co proporre confronti tra sintomi causati da fito-plasmi e alcuni danni provocati dagli attacchi dicicaline. In alcuni casi però si è avuto modo di con-statare che, nelle zone di primo insediamento dellefitoplasmosi della vite, veniva a volte enfatizzataogni alterazione cromatica delle foglie, senza porreadeguata attenzione alle caratteristiche generali dei

sintomi presenti sulla pianta in osservazione.Alcune varietà di vite, considerate molto sensi-

bili per la peculiarità di possedere tessuti fogliarisottili, manifestano vistose alterazioni cromatiche aseguito di massicci attacchi della cicalina verde(Empoasca vitis), la quale punge le nervature dellefoglie provocando un lieve accartocciamento e unacolorazione della lamina più o meno intensa infunzione della varietà (foto 48). Le parti con ingial-limenti o con arrossamenti sono sempre delimitatedalle nervature di ordine superiore, al punto diassumere una forma a mosaico. I danni si rendonopiù evidenti a fine stagione vegetativa con effettipiù marcati lungo i bordi delle foglie più giovani.

A fine estate risultano bene evidenti anche idanni causati dalla presenza nei vigneti della cicali-na bufalo americana (Stictocephala bisonia), resimaggiormente evidenti nelle varietà a bacca nera,anche se non sfuggono neppure quelle a uva bian-ca. L’insetto provoca incisioni anulari sulla parteterminale dei tralci ancora allo stato erbaceo; lestrozzature ostacolano la circolazione della linfaelaborata per l’interruzione dei tubi floematici. Lefoglie poste verso le punte si colorano di giallo o dirosso, mentre la restante porzione del tralcio rima-ne regolare, foglie e uva comprese (foto 49).

35F L A V E S C E N Z A D O R A T A E A LT R I G I A L L U M I D E L L A V I T E

48. Arrossamento fogliare da attacchi di cicalina verde 49. Arrossamenti fogliari indotti per incisione anulare del tralcio provocati da Stictocephala bisonia

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Alterazioni abioticheNei sistemi colturali della vite si possono a volte

verificare danni sulle viti dovuti a interventi mec-canici o a squilibri fisiologici, che possono dare ori-gine a sintomi in parte simili a quelli provocatidalle fitoplasmosi.

Non sono rari i casi in cui le viti portano stroz-zature o lesioni corticali a livello dei tralci e delfusto per traumi meccanici. Il fenomeno è più fre-quente su viti ancora in giovane età, nelle quali èpiù ricorrente la formazione di incisioni anularilungo il tronco, sulle branche e sui capi a frutto piùvigorosi per effetto di legature troppo strette o perattorcigliamento di viticci. Altri danni possonoessere provocati da forti colpi di vento e sono piùricorrenti alla base dei tralci e in prossimità dibiforcazioni e dei nodi.

In corrispondenza degli organi lesionati sigenerano modificazioni morfologiche nel sistemavascolare, con conseguente alterazione del sopra-stante apparato vegetativo, il quale può portarefoglie con arrossamenti o ingiallimenti, arrotola-mento del lembo, scarsa e irregolare lignificazionedei tralci, anomalie della maturazione dell’uva (foto50). Trattandosi in genere di singole viti, poste inprevalenza sulle testate dei filari, si rende opportu-na un’attenta ispezione dell’intera pianta per indi-viduare l’eventuale presenza di ferite. Tali control-li servono per escludere cause di tipo patologico, lacui diagnosi va comunque accertata mediante ilricorso a saggi di laboratorio.

Altre manifestazioni di tipo anomalo possonoinsorgere a seguito di carenze nutrizionali, indotteper effetto di assenza o di scarsa disponibilità deglielementi nutritivi necessari per la vite. È noto comela componente eco-pedologica risulti di estremaimportanza per assicurare il mantenimento degliequilibri nutrizionali delle piante; tuttavia si posso-no verificare alcune condizioni estreme, in cui nelvigneto sono presenti zone con scarsa e ridottadisponibilità di elementi nutritivi, quali acqua esostanze minerali.

Tra i fenomeni di carenza, in grado di indurresintomi assimilabili a quelli dei giallumi, si cita lacarenza di potassio. Questa fisiopatia provoca unrallentato sviluppo della vite e una scarsa lignifica-zione dei tralci; nei casi più gravi causa alterazionicromatiche sulle foglie, che corrispondono a ingial-limenti o arrossamenti più accentuati lungo i bordi,che poi finiscono per necrotizzare e seccare (foto51). Il danno, di tipo reversibile, risulta ben evi-dente in quanto appare generalizzata su aree delvigneto ben definite e presenta maggiore intensitàin corrispondenza di terreno più costipato e coneccesso di umidità.

Ben più grave è la situazione che si presenta invigneti ancora giovani, piantati su terreni di colli-na, sottoposti a drastici interventi di sistemazionee di livellamento del suolo. I danni risultano accen-tuati e irreparabili nei casi in cui le asportazionidella parte superficiale del terreno abbiano provo-cato un accentuato impoverimento dello strato

36 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

50. Alterazioni fogliari in tralcio con lesione basale 51. Sintomi fogliari da carenza di potassio

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attivo, su cui affondano le radici della vite. In talisituazioni il danno si manifesta fin dall’inizio e siaccentua nel corso dei primi anni di coltivazionedella vite, che va incontro a un progressivo deperi-mento dell’intera vegetazione, che presenta scarsavigoria, irregolare lignificazione dei tralci, perditadi produzione, manifestazione di anomali sintomifogliari. La diagnosi risulta facile in considerazionedel fatto che la fisiopatia si distribuisce a macchie epresenta contorni che sfumano gradatamente dallazona centrale più danneggiata. In ambienti già col-piti da fitoplasmosi, è più ricorrente trovare piantecon sintomi di GY; un saggio di laboratorio sirende comunque opportuno per accertare l’even-tuale presenza di fitoplasmi.

3.4 Conclusioni

La corretta diagnosi visiva dei sintomi dellemalattie causate da fitoplasmi richiede sempre unaadeguata preparazione tecnica del personale, alfine di evitare possibili confusioni con altre malat-tie e fisiopatie della vite. In primo luogo essa com-porta la necessità di ispezionare con attenzionetutta la pianta ammalata e di mettere a confronto isintomi osservati sulle piante colpite da ampelopa-tie con il comportamento vegetativo di quelle sanedella stessa varietà e nello stesso vigneto, al fine diescludere fenomeni generici e che non hanno alcu-na attinenza con le fitoplasmosi.

L’ispezione di poche foglie, come spesso capitadi esaminare in laboratorio, non è sufficiente per

eseguire una corretta diagnosi delle fitoplasmosi.Ogni campionamento deve essere accompagnatodalla raccolta di dati e informazioni utili a valutaree a riconoscere, anche a distanza, il tipo di malat-tia. Per tale scopo si rende opportuno registrare ilcomportamento delle piante ammalate, l’anda-mento epidemico della fitopatia, i principali fattoriagronomici, pedologici, eco-climatici, nonché gliinterventi colturali e di difesa fitosanitaria realizza-ti nelle ultime annate.

Per zone e vigneti in cui le malattie da fitopla-smi possono ancora rappresentare una novità, èimportante eseguire attenti e scrupolosi sopralluo-ghi nei vigneti in cui sono palesi i sintomi ascrivi-bili ai giallumi, provvedendo alla raccolta di cam-pioni di foglie da esaminare con saggi molecolari.Anche in questo caso bisogna usare alcune parti-colari attenzioni per effettuare un corretto cam-pionamento, scegliendo le foglie con sintomi beneevidenti e in buono stato di conservazione, evitan-do di raccogliere quelle che presentano nervaturegià necrotizzate, come pure impedendo il deterio-ramento del campione per esposizione al sole o alcongelamento prima di arrivare al laboratorio.

Nelle aree definite di nuovo insediamento e inquelle di espansione della fitoplasmosi, si rendononecessarie accurate ispezioni in vigneto e sistemati-ci monitoraggi per individuare la presenza di vitisintomatiche e per seguire l’evoluzione delle epi-demie. In contemporanea deve essere monitoratala presenza di insetti vettori di fitoplasmi, in parti-colare di S. titanus, cicalina vettrice della flavescen-za dorata.

37F L A V E S C E N Z A D O R A T A E A LT R I G I A L L U M I D E L L A V I T E

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Bibliografia

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4.1 Premessa

In Toscana le prime segnalazioni di giallumirisalgono a metà degli anni ottanta (Conti, 1986;Egger e Grasselli, 1988), principalmente sulla cul-tivar Chardonnay e in misura molto minore suPinot Bianco, Sangiovese e Trebbiano. Nel 1995risultò positivo al fitoplasma appartenente al grup-po del giallume dell’olmo (16SrV) un campionedi Chardonnay, proveniente da un vigneto in pro-vincia di Siena (Bianco et al., 1996).

A partire dalla seconda metà degli anni novan-ta l’ARSIA iniziò a occuparsi di giallumi della vite,a causa del crescente numero di segnalazioni dipiante sospette da parte di tecnici e agricoltori. Inquesti anni l’Agenzia iniziò nei vigneti dellaregione i monitoraggi sia delle piante sintomati-che, sia dei potenziali vettori. Nel 2000, con l’e-manazione del Decreto Ministeriale 32442 di lot-ta obbligatoria alla flavescenza dorata della vite, lacompetenza dei controlli e delle direttive tecni-che di intervento è stata acquisita dall’ARPAT -Servizio Fitosanitario Regionale. Nell’ultimoperiodo l’ARSIA ha svolto, principalmente, attivitàdi divulgazione, supporto tecnico e diagnosticamolecolare per i fitoplasmi della vite, con la con-sulenza specialistica dell’Università di Bologna.L’Agenzia ha anche fornito la propria collabora-zione all’attività dell’ARPAT e ha monitorato alcu-ni vigneti campione.

Dal 2003 la Regione Toscana - Direzione Gene-rale dello Sviluppo Economico, Settore Produzioniagricole ha finanziato i programmi di monitoraggiodella flavescenza dorata e del suo vettore S. titanus,realizzati dall’ARPAT - Servizio Fitosanitario Regio-nale, in collaborazione con l’ARSIA.

4.2 Attività svolta in Toscana di monitoraggio dei giallumi della vite e dei potenziali insetti vettori

Attività di monitoraggio della flavescenzadorata e degli altri giallumi della viteNel biennio 1998-99 sono state effettuate in-

dagini di diagnostica molecolare su campioni sin-tomatici di Chardonnay, Trebbiano toscano, Cilie-giolo, Albarola e Vermentino provenienti da diver-se località delle province di Firenze, Prato, Siena,Arezzo, Grosseto, Massa-Carrara e Lucca. Questaattività ha visto coinvolte l’ARSIA, l’Università diBologna e l’Università di Pisa. Dal monitoraggio èemersa, sui suddetti vitigni, la presenza del fitopla-sma associato alla malattia del legno nero (gruppo16SrXII-A) (Sfalanga et al., 1999; Osti e Triolo,1999; Braccini et al., 2000). L’attività promossadall’ARSIA ha consentito per la prima volta di veri-ficare che i sintomi di giallumi della vite presenti inToscana fino ad allora erano dovuti, con moltaprobabilità, solo alla malattia del legno nero e nonalla ben più temuta fitoplasmosi della flavescenzadorata. Nel 2000 l’indagine di diagnostica mole-colare su campioni sintomatici ha visto il coin-volgimento anche dell’Istituto Sperimentale di Vi-ticoltura - Sezione di Arezzo e dell’ARPAT - Servi-zio Fitosanitario Regionale. Il risultati del monito-raggio hanno confermato la presenza del solo fito-plasma associato al legno nero sulle principali cul-tivar dei più importanti ambiti viticoli regionali(Sfalanga et al., 2001). Quest’ultima indagine haincluso anche il Canaiolo tra i vitigni positivi allegno nero e ha rilevato, per la prima volta su vititoscane, la presenza del fitoplasma del gruppo delgiallume dell’astro (16SrI-B).

A partire dal 2001 si è assistito a un progressi-vo aumento dell’attività di monitoraggio dei vi-

4. Attività svolta e programma di monitoraggio dei giallumie dei loro vettori in Toscana

Piero Braccini, Alessandro Paoli, Giovanni Vettori

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gneti in tutta la Toscana. Nel 2001 i campioni divite sintomatici analizzati con diagnostica moleco-lare sono stati 52, mentre nel 2002 sono stati 79.In quest’ultimo anno è stato trovato il primovigneto con presenza di flavescenza dorata inToscana (Bertaccini et al., 2003). Il campione furaccolto in un impianto situato nel comune diMontignoso, nell’ambito di un sopralluogo effet-tuato dall’ARPAT - Servizio Fitosanitario Regiona-le, insieme all’ARSIA. Si trattava di una cultivar abacca rossa non identificata, dato che era unimpianto molto vecchio. Furono prelevati trecampioni, tutti e tre risultati positivi. Il monito-raggio di quest’ultimo biennio interessò anche laprovincia di Pistoia, fino ad allora non coinvolta, efurono trovati positivi al legno nero anche altrivitigni, di diffusione locale, come la Pollera, o diprovenienza estera, come il Cabernet Sauvignon,o di una certa importanza economica, come ilMontepulciano e varie cultivar da colore.

Nel 2003 sono stati analizzati con diagnosticamolecolare 181 campioni di vite sintomatici, men-tre nel 2004 ne sono stati esaminati 314. I risulta-ti di questi due ultimi anni hanno evidenziato lapresenza di flavescenza dorata in nuovi impiantiviticoli della regione. In particolare nel 2003 que-sta malattia è stata rinvenuta in impianti di San-giovese situati nel comune di Fosdinovo, in pro-vincia di Massa-Carrara. Nel 2004 è stata trovataflavescenza dorata, oltre che negli stessi impiantidell’anno precedente, anche in altri vigneti delcomune di Fosdinovo, in cultivar Albarola, Cilie-giolo, Vermentino e Sangiovese e in impianti diuva a bacca rossa e bianca nei comuni di Aulla,Licciana Nardi e Podenzana. Sono state ancherilevate infezioni miste di FD/LN in Albarola,Ciliegiolo, Vermentino e in un vitigno rosso nonidentificato. In questi comuni la situazione puòdiventare estremamente critica e si rende quindinecessario un accurato monitoraggio, perché pos-sano essere adottati gli opportuni provvedimentidall’ARPAT per evitare l’espandersi della malattia. Isuddetti campioni sono stati prelevati per la mag-gior parte dall’ARPAT - Servizio FitosanitarioRegionale. Questa stessa struttura ha rinvenuto laflavescenza dorata in un campione proveniente daun vigneto, probabilmente di Merlot, situato nelcomune di San Casciano, in provincia di Firenze.Questo rinvenimento è avvenuto in un impiantogiovane, dove non è stata osservata presenza delvettore Scaphoideus titanus.

Le analisi molecolari dei campioni sono stateeffettuate presso i laboratori dell’ARPAT - ServizioFitosanitario Regionale, dell’ARSIA e del Laborato-

rio di Fitoplasmologia dell’Università di Bologna,diretto dalla prof.ssa Assunta Bertaccini, che haanche assicurato il supporto scientifico all’attivitàdi diagnostica molecolare svolta nei vari laboratori.

L’ARSIA, a partire dal 2000, ha iniziato un’atti-vità di monitoraggio delle piante sintomatiche inalcuni vigneti situati nelle province di Siena, Firen-ze, Prato, Pistoia (Braccini et al., 2002). L’indagi-ne è arrivata a coinvolgere nel 2004 oltre 15.700piante di diversa età d’impianto e delle cultivarChardonnay (oltre 4.100 piante), Sangiovese(oltre 8.900 piante), Cabernet Sauvignon e Merlot(oltre 2.600 piante). Gli ambienti dei vari vignetidifferiscono fra loro anche per le tecniche coltura-li adottate, per la posizione altimetrica e per la dif-ferente vegetazione erbacea e arbustiva presentenelle aree limitrofe. In tutti gli impianti esaminatiogni anno è stata riscontrata la presenza del fito-plasma associato al legno nero della vite. I risultatiancora parziali stanno evidenziando un’elevataincidenza annuale di piante sintomatiche sul viti-gno Chardonnay, con valori percentuali, riferiti altotale delle piante presenti, sempre superiori al15% e livelli di oltre il 30%. I sintomi rilevati eranoa livello fogliare e si registrava la presenza di unprogressivo disseccamento dei grappoli. L’inciden-za annuale del legno nero sul vitigno Sangioveseha raggiunto una punta massima (sopra l’8%) inuna situazione particolarmente critica e valori chefrequentemente oscillano tra l’1 e il 3%.

Attività di monitoraggio dei potenzialiinsetti vettori del legno nero della viteNel quinquennio 1995-99 è stato svolto in To-

scana, su iniziativa dell’ARSIA, un monitoraggiosugli Auchenorrinchi presenti in 13 vigneti, situatiin località diverse, che presentavano sintomi digiallumi; in particolare era stata rilevata la presen-za del legno nero della vite (Braccini, Pavan,2000a, 2000b). L’indagine ha permesso di identi-ficare 51 specie. Inoltre Hyalesthes obsoletus, fino aoggi riconosciuto come unico vettore del legnonero della vite, era stato rinvenuto solo in sei deitredici vigneti monitorati. Questo dato tendeva adavvalorare l’ipotesi che nella trasmissione di questafitoplasmosi potessero essere coinvolti altri vettori.Negli ultimi anni è stata segnalata nell’ecosistemadel vigneto toscano la presenza anche di specie delgenere Reptalus spp. della famiglia dei Cixiidi(Mazzoni et al., 2001). In particolare Reptalusquinquecostatus è stato rinvenuto dall’ARSIA anchein alcuni vigneti situati in provincia di Prato ePistoia (identificati dal dr. Francesco Pavan dell’U-

40 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

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niversità di Udine). Questa specie è molto interes-sante come potenziale vettore del legno nero, inquanto l’adulto si cattura facilmente sulle foglie divite già da fine giugno e fino ad agosto. Inoltre,esemplari di Reptalus spp., raccolti su piante di ol-mo campestre limitrofe a un vigneto, sono statitrovati positivi al fitoplasma del legno nero (P.Braccini e A. Bertaccini, dati non pubblicati).

Attività di monitoraggio di Scaphoideus titanus, insetto vettoredella flavescenza dorata Scaphoideus titanus è stato rinvenuto per la

prima volta in Toscana nel 1998 da Santini e Luc-chi in due vigneti situati in provincia di MassaCarrara (Santini e Lucchi, 1998). Nello stessoanno l’ARSIA rilevò la presenza del vettore inun’azienda viticola ubicata nel comune di Massa,nella zona viticola del Candia (Braccini e Pavan,2000a, 2000b). Nel 1999 questa cicalina è statatrovata anche in vigneti della provincia di Lucca,nella località Strettoia (al confine con la provinciadi Massa-Carrara) e nella zona della Val Freddana(Osti et al., 2000; Lucchi et al., 2000). Monito-raggi effettuati dall’ARSIA nel 2000, in provinciadi Lucca, non hanno rilevato la presenza delloscafoideo in vigneti situati nel comune di Monte-carlo e nelle località Cappella (Lucca) e San Pan-crazio (Capannori). Nel corso degli anni èaumentata la superficie viticola interessata dalmonitoraggio, che ha cercato di coprire prima ditutto i vivai viticoli e gli impianti di vite madremarze e portinnesto. Quest’attività è stata svoltadall’ARPAT nell’ambito delle sue competenze isti-tuzionali. L’ARSIA ha collaborato con tale struttu-ra nel monitoraggio degli impianti ritenuti più arischio e situati nelle diverse aree viticole dellaregione. Con un progressivo impegno economicoe di risorse umane si è arrivati al 2003, anno cheha visto il ritrovamento del vettore in nuove areeviticole regionali. L’ARPAT - Servizio FitosanitarioRegionale ha individuato S. titanus in due vigne-ti situati in provincia di Siena, uno in un vignetonel comune di San Gimignano e l’altro in unimpianto biologico, nel comune di Radda inChianti. Nella provincia di Massa-Carrara si arri-vava alla constatazione di una quasi generalizzatapresenza del vettore nelle varie zone viticole. Loscafoideo è stato rinvenuto dall’ARPAT anche inun vigneto situato nel comune di Fucecchio. Peril momento si è constatata l’assenza della cicalinanell’area vivaistica di Cenaia, in provincia di Pisa.Nel 2003 partiva l’attività promossa dall’ARSIA,

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3. Sintomi fogliari di fitoplasmosi

1. Adulto di Scaphoideus titanus

2. Adulto di Hyalesthes obsoletus

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che prevede la collaborazione dei tecnici delleOrganizzazioni Professionali Agricole per ilmonitoraggio del vettore in tutte le aree viticoledella regione. In questo modo si sono raggiuntecirca 200 aziende, significative per la viticolturaregionale. Questa iniziativa è continuata nel 2004e ha permesso il rinvenimento di S. titanus invigneti ubicati in località Gragnano nel comune diCapannori (LU) e in località Panzano, nel comu-ne di Greve in Chianti (FI). Nel corso del 2004l’attività di monitoraggio dell’ARPAT - Servizio Fi-tosanitario Regionale ha consentito di trovare lacicalina in nuovi impianti situati nei comuni diCastellina in Chianti (1 vigneto), Gaiole inChianti (2 vigneti), San Gimignano (1 vigneto),Radda in Chianti (2 vigneti) e Barberino Val d’El-sa (3 vigneti), nelle province di Siena e Firenze.L’Istituto Sperimentale per la Viticoltura - Sezio-ne di Arezzo ha rinvenuto il vettore in un impian-to situato nel comune di Cavriglia, in provincia diArezzo. Le aziende viticole monitorate nei varicomuni sono poche rispetto al loro numero tota-le e la cicalina è stata trovata, generalmente, soloin alcune delle trappole installate e con un nume-ro di individui non molto elevato. Alcune delleaziende dove l’insetto è stato rinvenuto adottanometodi di coltivazione biologici e i vigneti, gene-ralmente, sono giovani con alcuni casi di vitigni diprovenienza estera. Queste note portano ad affer-mare che è necessario incrementare notevolmenteil monitoraggio per cercare di valutare l’effettivadiffusione di S. titanus.

4.3 Linee di intervento del programma di monitoraggio della flavescenzadorata e dell’insetto vettore Scaphoideus titanus

I risultati dell’attività di monitoraggio di questiultimi anni hanno evidenziato una situazione poten-zialmente pericolosa per la viticoltura in provincia diMassa-Carrara, considerando i nuovi impianti viti-coli trovati positivi al fitoplasma associato alla flave-scenza dorata. Nella restante parte della regione idati indicano una situazione di incertezza, conside-rando i nuovi rinvenimenti di Scaphoideus titanusnelle aree interne della regione. Inoltre ci sono alcu-ne province in cui l’attività di monitoraggio è statainsufficiente e quindi non si è in grado di valutare,con una certa sicurezza, la reale presenza dellamalattia e del suo vettore in tali realtà viticole. Inquesto elenco delle province dove dovrà essereaumentata l’attività di monitoraggio ci sono senz’al-tro Pisa, Livorno, Pistoia, Lucca e Grosseto.

L’ARPAT - Servizio Fitosanitario Regionale haemanato le misure di attuazione per la lotta obbli-gatoria alla flavescenza dorata e all’insetto vettore S.titanus. Tali direttive indicano la provincia diMassa-Carrara come zona focolaio, imponendol’immediata estirpazione delle piante sintomatiche,senza la necessità di analisi di conferma. Inoltre neicomuni dove è stato rinvenuto lo scafoideo è obbli-gatorio il trattamento insetticida preventivo pertutti i viticoltori e tutti i vivaisti viticoli. Questesono disposizioni transitorie, limitate al 2005, a

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4. Sintomi fogliari in Sangiovese

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forte impatto ambientale, ma di carattere preventi-vo, per evitare pericolose epidemie di flavescenzadorata nei nostri vigneti. Da questo si evince l’indi-scutibile necessità di aumentare oggi e nei prossimianni l’attività di monitoraggio della malattia e delsuo vettore, per limitare ad ambiti territoriali piùristretti gli interventi obbligatori di contenimento.Il monitoraggio, sia delle piante sintomatiche perl’esame di diagnostica molecolare, sia della presen-za dell’insetto vettore S. titanus, deve consentireun’attività minima in tutte le province toscane.Inoltre sarebbe opportuno adottare i seguenti cri-teri di priorità nella scelta degli impianti da moni-torare: vivai viticoli e vigneti di piante madre marzee portinnesto, vigneti biologici, impianti viticolisotto i 15 anni, soprattutto in presenza di cultivar

di origine estera e vigneti abbandonati.Sarà importante garantire un’adeguata infor-

mazione agli agricoltori e ai tecnici per coinvolger-li nell’individuazione di piante sintomatiche e nelmonitoraggio dell’insetto vettore. L’informazionedovrà anche indicare i momenti più opportuni peril campionamento, il monitoraggio del vettore, l’e-poca e i principi attivi più opportuni da utilizzarein un possibile trattamento. Inoltre dovrà esseregarantito un qualificato supporto scientifico ai tec-nici che lo richiedano.

Tutti gli interventi indicati dovranno essere rea-lizzati o promossi dall’ARPAT - Servizio Fitosanita-rio Regionale, in collaborazione con l’ARSIA e altrestrutture tecnico-scientifiche o amministrazionilocali operanti sul territorio.

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Bibliografia

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PARTE SECONDA - I Patogeni e i loro vettori

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5.1 Premessa

Gli MLO (“Mycoplasma-like organisms”), oradenominati fitoplasmi, sono agenti fitopatogeni noncoltivabili in vitro, associati a centinaia di malattiediffuse nelle aree temperate e tropicali di tutto ilmondo la cui importanza economica è notevole, dalmomento che colpiscono una grande varietà dipiante ornamentali, orticole, arboree, forestali e dafrutto (McCoy, 1979; Marwitz, 1990). Le malattieassociate alla presenza di fitoplasmi sono tanto deva-stanti da eliminare in alcuni casi la produzione dellepiante ospiti nelle regioni in cui sono endemiche oin cui vengono introdotte. L’incapacità di coltivarequesti patogeni su substrati artificiali ha rallentatomolto i progressi conoscitivi delle loro caratteristi-che biologiche e dei processi patogenetici che por-tano all’insorgere della malattia, pertanto le cono-scenze che si hanno sul loro rapporto con la piantaospite, derivano principalmente da osservazionicondotte al microscopio elettronico. Sezioni ultra-sottili di materiale infetto mostrano i fitoplasmicome corpi unicellulari e pleomorfi, sprovvisti diparete cellulare e con un diametro compreso tra 0,1e 1,2 micrometri, patogeni obbligati nei tubi floe-matici e, con buona probabilità, nelle cellule com-pagne. L’alto contenuto in soluti (soprattutto sacca-rosio e altri carboidrati), cationi (Mg++ e K+), anioniinorganici (Cl- e PO43-) e amminoacidi liberi(soprattutto acido aspartico e acido glutammico)rende il floema un ambiente ad alta osmolarità,requisito fondamentale per la sopravvivenza dei fito-plasmi che sono privi di parete cellulare. La loro pre-senza all’interno dei tubi cribrosi comporta parzialenecrosi dei tessuti floematici, conseguente iperatti-vità dei tessuti cambiali e parenchimatici, deposizio-ne di callosio e coagulazione di proteine floematicheche causano un intasamento dei tubi cribrosi ridu-cendo il passaggio della linfa elaborata dalle foglie aidiversi distretti della pianta.

Studi recenti hanno inoltre dimostrato che lepiante infette da fitoplasmi subiscono una marcatavariazione nel contenuto endogeno di sostanzeregolatrici della crescita (soprattutto auxine e cito-chinine) e di metaboliti secondari delle piante comepolifenoli e alcaloidi (Musetti et al., 2000); taliaccentuati squilibri del metabolismo dei principaliregolatori della crescita potrebbero rappresentare lareale causa delle manifestazioni sintomatologichepiù marcate quali giallumi, nanismo degli organivegetativi, proliferazione dei germogli ascellari(scopazzi) a seguito della soppressione della domi-nanza apicale, virescenza, ossia inverdimento dellestrutture fiorali e loro frequente regressione a foglie(fillodia). Queste manifestazioni sintomatologichesono a volte accompagnate da gigantismo o nani-smo fiorale, necrosi radicale, allungamento o accor-ciamento dei segmenti internodali e arrotolamentofogliare, fasciazioni, sfasamento dei cicli vegetativicon fioriture invernali e anticipi nella ripresa vege-tativa (Bertaccini e Calzolari, 1983).

L’alterazione dell’equilibrio ormonale potreb-be essere dovuta alla produzione di ormoni analo-ghi a quelli della pianta da parte dei fitoplasmi op-pure questi potrebbero metabolizzare i regolatoridi crescita mutandone i livelli normali. Gli studifisiopatologici a riguardo sono appena iniziati enon sono al momento escluse altre possibilità diinterazione fitoplasma-pianta quali quella di unaregolazione diretta a livello genetico da parte dimolecole prodotte ad hoc dai fitoplasmi.

5.2 Filogenesi, tassonomia e classificazione

L’incapacità di coltivare in vitro i fitoplasmirende impossibile applicare a essi i convenzionalicriteri di tassonomia basati su caratteristiche feno-tipiche e biochimiche quali richieste nutrizionali,

5. Fitoplasmi: classificazione e diagnosi

Simona Botti, Assunta Bertaccini

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sensibilità all’ossigeno, morfotipo dell’organismo.Una prima classificazione biologica si è basata

sulla sintomatologia e sui rapporti patogeno-vetto-re e distingueva i fitoplasmi in agenti di virescenzae fillodia e in agenti di deperimenti e nanismo; unaulteriore differenziazione, inoltre, discriminava ifitoplasmi in base a valutazioni delle specie di inset-ti vettori e alle caratteristiche di trasmissibilità delpatogeno. Grazie agli apporti delle tecniche di bio-logia molecolare si è costruito un sistema di inqua-dramento tassonomico e filogenetico basato sullecaratteristiche molecolari e genetiche salienti diquesti patogeni.

A causa dell’assenza di parete cellulare i fitopla-smi sono stati classificati, fin dai tempi della loroprima scoperta nel 1967, come appartenenti allaclasse dei Mollicutes, organismi con cui condivido-no, oltre al pleomorfismo, anche un genoma dipiccole dimensioni (600-1200 kb), portato da unsingolo cromosoma con un basso contenuto in G-C (20-30%). Studi condotti tramite sonde a DNA

hanno dimostrato che in quasi tutti gli isolati difitoplasmi è presente anche DNA extracromosomi-co con struttura simile a quella dei plasmidi batte-rici le cui sequenze manifestano però in alcuni casianche somiglianze con virus fitopatogeni (Kuboya-ma et al., 1998; Oshima et al., 2001; Nishigawa etal., 2001, 2002a, 2002b). La sequenza completadel genoma del fitoplasma associato al giallumedella cipolla (Onion yellows phytoplasma = OY) èrecentemente stata pubblicata da un gruppo diricercatori giapponesi (Oshima et al., 2004) cosìcome circa il 50% delle sequenze del cromosomadel fitoplasma WX (Western X disease) (Liefting eKirkpatrick, 2003).

Dall’analisi delle sequenze del genoma del fito-plasma OY sono emerse conoscenze biochimiche efisiologiche: sembra infatti che questi patogenimanchino di geni prima considerati essenziali perorganismi in grado di replicarsi autonomamente,mentre hanno un potenziato sistema di trasporta-tori di substrati specifici dall’ambiente esterno,ricco di nutrienti, verso il loro citoplasma. Il se-quenziamento effettuato fa ritenere che durantel’evoluzione i fitoplasmi abbiano perso quei geniche avrebbero permesso loro di crescere in vitro aseguito di una interazione divenuta definitiva con iloro ospiti vegetali o animali. Infatti il genoma di860 kb di questo fitoplasma codifica un numeroinferiore di funzioni metaboliche rispetto a quellecodificate dal genoma di micoplasmi. Si ritiene chei fitoplasmi abbiano perso la capacità di biosintesidi amminoacidi e acidi grassi, del ciclo dell’acidotricarbossilico e della fosforilazione ossidativa. Di-

versamente dai micoplasmi hanno anche perso igeni per il sistema di fosfotransferasi e per la meta-bolizzazione del galattosio-UDP a glucosio 1-fosfato e delle subunità ATP-sintetasi considerateessenziali per la vita. Probabilmente questo è ilrisultato di un’evoluzione riduttiva come conse-guenza di una vita parassitaria intracellulare in unambiente ricco di nutrienti (Oshima et al., 2004).In seguito al sequenziamento di questo fitoplasmasono state rintracciate porzioni genomiche codifi-canti diverse categorie di proteine fra cui alcunecon attività catalitica (timidilato chinasi: TMK)(Miyata et al., 2003), altre con attività traslocasica(sistema Sec) e altre ancora con attività antigenicadi membrana (Amp) (Kakizawa et al., 2004).

Lavori di omologia genica hanno rivelato anchela presenza di due pseudogeni della biosintesi delfolato nel fitoplasma CPh (Clover Phyllody). Glipseudogeni sono omologhi dei geni folP e folK, iquali codificano rispettivamente una sintasi e unapirofosforochinasi, in alcuni batteri. Durante l’evo-luzione i fitoplasmi avrebbero perso molte funzio-ni, attraverso la formazione di questi pseudogeni,con la conseguente perdita della via di biosintesidel folato, acquisendo un sistema di trasporto delcomposto, per assorbimento di quello preformatonella cellula ospite (Davis et al., 2003).

Un ruolo fondamentale nella costruzione degliinquadramenti filogenetici e tassonomici dei fito-plasmi ha l’analisi comparativa di sequenze geno-miche particolarmente conservate durante l’evolu-zione come, ad esempio, quella codificante l’RNA

ribosomico 16S (Lee et al., 1993; Namba et al.,1993a, 1993b; Schneider et al., 1995). L’organiz-zazione complessiva dell’operone rRNA dei fitopla-smi è uguale a quella degli altri procarioti in quan-to contiene le tre molecole di rRNA nell’ordine16S-23S-5S; nei fitoplasmi però tra le sequenzedegli rRNA 16S e 23S, si trova una regione spazia-trice (spacer region) di circa 300 nucleotidi, cheviene parzialmente trascritta. Dal confronto tra lesequenze 16S di organismi diversi tutti apparte-nenti alla classe dei Mollicuti e di procarioti tipici,è scaturita l’ipotesi secondo cui i Mollicuti potreb-bero derivare da un progenitore ancestrale batteri-co Gram positivo e clostridio-simile, appartenentealla linea evolutiva dei Lattobacilli, che si supponeabbia perso, nel corso dell’evoluzione, la capacitàdi sintetizzare la parete cellulare per un fenomenodi degenerazione evolutiva (Weisburg et al., 1989;Maniloff, 1992).

L’analisi RFLP (Restriction Fragment Lenght Po-lymorphism), condotta sul gene codificante l’rRNA

16S ha consentito di costruire una suddivisione dei

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fitoplasmi conosciuti in 15 gruppi ribosomici (grup-pi 16Sr) e di individuare al loro interno un numerocomplessivo di circa 40 sottogruppi (Lee et al.,1998; Montano et al., 2001) (tab. 1).

Questo approccio tecnico ha portato a ottene-re un semplice e attendibile sistema di differenzia-zione e di classificazione di molti ceppi di fitopla-smi realizzabile in tempi molto brevi e con risulta-ti che, nella maggior parte dei casi, sono consi-stenti con quelli ottenuti dalla parallela indaginefilogenetica condotta con i più complessi e com-pleti metodi molecolari (Lee et al., 1992).

Il gene 16S a causa della sua bassa variabilitàrisulta insufficiente per distinguere più finemente ifitoplasmi. L’analisi di altre sequenze quali quellecodificanti proteine ribosomiche (rpS3, rpL22),fattori di allungamento (EF-tu) oltre allo spaziointergenico 16S/23S rRNA sono stati utilizzati co-me strumento supplementare per la differenziazio-ne dei fitoplasmi e confermano che l’analisi delsolo gene 16S risulta insufficiente per distinguereceppi di fitoplasmi strettamente correlati genetica-mente (Gundersen et al., 1996; Guo et al., 1998;Kirkpatrick et al., 1994; Schneider et al., 1997;Botti e Bertaccini, 2000, 2003; Bertaccini et al.,2002; Bertaccini, 2002).

Occorre inoltre sottolineare che a causa dellamancanza di sufficienti caratteristiche fenotipicheper questi patogeni non è prevista la distinzione ingenere e specie ma si può parlare di Candidatus; si

introduce un nuovo “Candidatus Phytoplasma”quando esso condivide una omologia inferiore al97,5% sul gene 16S (1500 nulceotidi) rispetto afitoplasmi già descritti; tale limite è stato fissato inquanto al di sotto di esso è improbabile che gliorganismi comparati condividano più del 60-70%di omologia a livello genomico e si tratta quindi diorganismi correlati solo a livello di specie (Stacke-brandt e Goebel, 1994). È comunque possibileche fitoplasmi che mostrano sul 16S una omologiache supera o eguaglia la soglia sopra citata abbianocaratteristiche molto differenti a livello biologico(vettori), fitopatologico (gamma di ospiti vegetali,sintomatologia indotta) ed ecologico. Si è quindiconvenuto che è possibile definire nuovi Candida-ti per distinguere casi particolarmente importanti,in cui risultino coinvolti patogeni da quarantenacome, ad esempio, i fitoplasmi dei fruttiferi e quel-li della vite (IRPCM, 2004). A oggi sono stati pub-blicati 26 Candidatus genere-specie con caratteri-stiche molecolari definite. Rimangono comunqueda definire le caratteristiche biologiche di questifitoplasmi prima di arrivare a una classificazioneufficialmente riconosciuta a livello tassonomicocon genere e specie.

5.3 Metodi diagnostici

Fino a circa 15-20 anni fa la differenziazione ela classificazione dei fitoplasmi si basavano fonda-mentalmente su alcune loro proprietà biologichequali la morfologia, l’habitat, la specificità di inset-ti vettori e di piante ospiti e sulla sintomatologia daessi indotta. La maggior parte delle indagini eracondotta al microscopio elettronico o al microsco-pio a fluorescenza (colorazione del DNA con il fluo-rocromo DAPI), ma entrambe queste tecniche, oltrea essere molto laboriose, si sono nel tempo rivelatedi scarsa attendibilità a fini diagnostici (i fitoplasmisono spesso presenti nei tubi cribrosi infetti in con-centrazioni talmente esigue da non potere essererilevati) e praticamente inutilizzabili anche da unpunto di vista tassonomico. Analogamente i feno-meni di convergenza sintomatologica e di condivi-sione del medesimo insetto vettore da parte di fito-plasmi presumibilmente diversi, rendevano di scar-sa attendibilità anche le osservazioni condotte sullepiante infette e sui vettori.

Con l’introduzione di tecniche molecolari, lasintomatologia non è risultata più conveniente perla differenziazione dei fitoplasmi in quanto i rag-gruppamenti, ottenuti mediante profili di ibrida-

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Tab. 1 - Schema riassuntivo

della classificazione dei fitoplasmi*

Gruppo Denominazione del ceppo di riferimento

16SrI Aster yellows 16SrII Peanut witches’ broom16SrIII X-disease16SrIV Coconut lethal yellows16SrV Elm yellows 16SrVI Clover proliferation16SrVII Ash yellows16SrVIII Loofah witches’ broom 16SrIX Pigeon pea witches’ broom16SrX Apple proliferation 16SrXI Rice yellow dwarf 16SrXII Stolbur16SrXIII Mexican periwinkle virescence16SrXIV Bermuda grass white leaf16SrXV Hibiscus witches’ broom

* Secondo Lee et al., 1998 e Montano et al., 2001.

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zione o studi sui DNA ribosomici, erano poco cor-relati ai sintomi indotti dai diversi ceppi: fitoplasmilontanamente correlati causavano sintomi notevol-mente simili in ospiti comuni, mentre fitoplasmicorrelati strettamente potevano indurre sintomi traloro molto diversi (Lee et al., 1992). L’applicazio-ne delle tecniche molecolari allo studio delle fito-plasmosi, ha completamente rivoluzionato la ricer-ca su questi patogeni accorciando sensibilmente itempi di lavoro e aumentando il grado di affidabi-lità dei risultati ottenuti ai fini di indagini diagno-stiche, epidemiologiche e anche di inquadramentotassonomico.

L’uso di sonde molecolari fitoplasma-specifi-che, ottenute per clonazione “random” da estrattidi piante infette (Kirkpatrick et al., 1987), la pro-duzione di anticorpi mono- e policlonali (Sinha,1979; Sinha e Benhamou, 1983; Clark et al.,1983, 1989; Lin e Chen, 1985; Fos et al., 1992)impiegati in indagini sierologiche tramite ELISA, egli esperimenti di ibridazione per valutare il gradodi omologia tra le sonde sopra citate e gli isolati difitoplasmi, hanno consentito di chiarire, almeno inparte, alcune delle relazioni tassonomiche tra fito-plasmi diversi (Lee e Davis, 1988; Bertaccini et al.,1990; Kuske et al., 1991; Deng e Hiruki, 1991;Lee et al., 1991, 1992, 1993b; Davis et al., 1992).In ogni caso, il grado di sensibilità di tali metodo-logie molecolari è risultato ancora troppo scarsoper le infezioni da fitoplasmi specialmente in pian-te arboree ove la concentrazione di patogeno puòessere estremamente bassa; ciò ha stimolato laricerca di tecniche diagnostiche più sensibili, speci-fiche, rapide e di basso costo.

L’avvento della tecnica PCR (Polymerase ChainReaction), in grado di amplificare selettivamentesequenze genomiche del fitoplasma sfruttandooligonucleotidi specifici che non ibridano con ilDNA della pianta ospite (sempre presente come“background”), ma esclusivamente con quello delpatogeno, ha aperto nuovi e ampi orizzonti di stu-dio. L’uso di PCR diretta e nested sono infatti imetodi di individuazione selettiva di sequenzegeniche più sensibili dal momento che permetto-no di evidenziare la presenza di fitoplasmi anchequando questi si trovano nel floema in concentra-zioni molto basse. La reazione a catena della poli-merasi si basa sull’attività di un enzima termosta-bile, chiamato Taq polimerasi, isolato dal batterioTermophylus aquaticus che vive nelle sorgenti diacqua calda, in grado di sintetizzare numerosecopie di una porzione di DNA che funge da stam-po (template). Perché tale reazione di sintesi av-venga, l’enzima deve avere a disposizione una mi-

scela contenente DNA denaturato, cioè a singolaelica, ottenuto per riscaldamento, un appositoinnesco della reazione rappresentato da una cop-pia di oligonucleotidi sintetici detti “primers”, iquattro nucleotidi trifosfati d-ATP, d-GTP, d-CTP, d-TTP, e infine opportune condizioni chi-mico-fisiche determinate in funzione della com-posizione in basi azotate dei primers utilizzati edel tipo di acido nucleico da amplificare. L’ampli-ficazione di un determinato segmento genico sirealizza grazie alla ripetizione ciclica delle fasi didenaturazione del DNA stampo, di annealing o at-tacco degli oligonucleotidi al template e, infine, diallungamento o sintesi della catena nucleotidicaoperata dalla polimerasi.

Il protocollo diagnostico comunemente utiliz-zato nella diagnosi per l’identificazione dei fitopla-smi prevede, come prima fase operativa, l’estrazio-ne del DNA totale dal materiale vegetale sintomati-co; la scelta del protocollo di estrazione più op-portuno risulta una fase estremamente importantedalla quale può dipendere l’esito dell’intero proce-dimento diagnostico. In genere la scelta di unaprocedura di estrazione dipende dal tipo di mate-riale di partenza (pianta erbacea o legnosa, mate-riale fresco o congelato, insetti); si alternano quin-di protocolli laboriosi e pericolosi per l’operatore,dal momento che prevedono l’impiego di reagentitossici come cloroformio e fenolo, ma il cui pro-dotto risulta privo di inibitori e duraturo neltempo (Prince et al., 1993) e protocolli più rapidied economici che permettono di ottenere però unDNA meno puro e più facilmente degradabile neltempo (Pasquini et al., 2001).

Sul DNA così ottenuto la procedura diagnosticadi routine prevede l’applicazione della tecnica PCR

sopra descritta utilizzando coppie di oligonucleoti-di universali (in grado di amplificare porzioni delgenoma di tutti i fitoplasmi conosciuti) o specifici(in grado di amplificare regioni genomiche solo dialcuni gruppi di fitoplasmi). Dal momento che,come già detto, i fitoplasmi sono in genere in basseconcentrazioni all’interno del floema delle piantearboree infette, raramente una sola reazione di PCR

risulta sufficiente per rilevare un fitoplasma in unestratto vegetale; al fine di aumentare la sensibilitàdel saggio diagnostico si ricorre molto frequente-mente alla reazione di PCR-nested ovvero a unanormale reazione di PCR che però viene effettuatautilizzando primers che si legano a regioni interneal prodotto di una prima amplificazione genica(PCR diretta) che funge da stampo.

Il risultato di ogni reazione di amplificazionegenica viene visualizzato mediante corsa elettrofo-

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retica in gel di agarosio e colorazione in bromurodi etidio. Normalmente i primi saggi di PCR effet-tuati su un estratto sono volti alla collocazione tas-sonomica del fitoplasma individuato nel materialevegetale saggiato; a tal fine viene amplificata laregione codificante l’rRNA 16S ovvero la sequenzaaltamente conservata utilizzata comunementecome parametro tassonomico per i fitoplasmi, cosìcome per molti altri organismi procariotici.

La positività di un campione vegetale al saggioPCR non permette la diretta collocazione tassono-mica del fitoplasma individuato, ma conferisce soloindicazione sulla presenza di fitoplasmi nel cam-pione vegetale saggiato; per tipizzare il fitoplasmaindividuato nel campione si rende necessaria l’ap-plicazione di un ulteriore saggio chiamato analisiRFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism)(Bertaccini et al., 1995, 1996, 1998, 1999, 2001;Padovan et al., 1995; Martini et al., 1999, 2002;D’Ascenzo et al., 2003).

L’analisi RFLP è una tecnica che sfrutta la capa-cità di alcuni enzimi, detti enzimi di restrizione, ditagliare gli acidi nucleici in corrispondenza di spe-cifiche sequenze di basi azotate producendo in talmodo frammenti di lunghezze specifiche per ognimolecola di acido nucleico digerito. La miscela didigestione, contenente circa 100-200 ng di pro-dotto amplificato in PCR, un enzima di restrizionenel suo tampone di incubazione e acqua sterile,viene poi lasciata incubare alla temperatura richie-sta dallo specifico enzima utilizzato (in genere37°C o 65°C) e per un tempo minimo di 16 ore.I frammenti originati dal taglio enzimatico vengo-no separati solitamente in gel di poliacrilammideproducendo profili di restrizione tipici di ogni spe-cifico raggruppamento tassonomico.

La fase di estrazione del DNA totale dai cam-pioni vegetali risulta essere particolarmente impor-tante anche perché sull’acido nucleico estratto èpossibile applicare tecniche diverse da PCR; in par-ticolare i tipi di tecniche più frequentemente appli-cate sono:

Ibridazione molecolare: tecnica che utilizza la capa-cità di un frammento di DNA marcato, dettosonda (“a caldo” se marcata con un atomo ra-dioattivo o “a freddo” se marcata con una mo-lecola non radioattiva rilevabile con metodiimmunoenzimatici), di ibridare con sequenze aessa complementari presenti sul genoma “tar-get” (nel nostro caso, il genoma del fitoplasmaeventualmente presente nel campione vegetalesaggiato). La reazione di ibridazione può esse-

re effettuata sul DNA estratto trasferito sumembrana (dot blot) o direttamente su sezioniultrasottili di tessuto vegetale opportunamentefissato su un supporto. Nella diagnosi delle ma-lattie da fitoplasmi questa tecnica è di facileapplicazione per campioni provenienti da pian-te erbacee, mentre risulta meno adatta per indi-viduare fitoplasmi in piante arboree o legnose.

“Real-time” PCR: tecnica di recente acquisizioneevoluta dalla PCR convenzionale che sfrutta unsistema ottico per il rilevamento della fluore-scenza fissato su un normale termociclatore.Tale tecnica è definita “Real-time” dal momen-to che permette di seguire in tempo reale laproduzione dell’amplicone a partire dal DNA

template e PCR quantitativa poiché consente dimisurare la quantità di DNA target presenteall’interno del campione analizzato prima dellareazione. L’amplificazione genica viene moni-torata nel tempo grazie alla capacità del dispo-sitivo ottico accoppiato al termociclatore dipercepire l’aumento di fluorescenza all’internodella miscela di reazione.La variazione della fluorescenza avviene a ogniciclo di amplificazione grazie alla presenzaall’interno della miscela di reazione di un siste-ma di generazione di fluorescenza che puòessere aspecifico (“SYBR® Green”) o specifico(chimica “TaqMan”). Nel primo caso si trattadi una molecola fluorescente che si intercala inmaniera aspecifica alla doppia elica di DNA e inquesto stato legato aumenta notevolmente lapropria emissione di fluorescenza; con l’au-mento delle doppie eliche di DNA prodotte aogni ciclo dalla reazione PCR aumenta espo-nenzialmente anche il numero di molecolefluorescenti legate e quindi anche il livello diemissione di fluorescenza. La chimica “Taq-Man” invece permette di monitorare in temporeale l’amplificazione di uno specifico DNA; laspecificità del saggio è legata all’impiego nellamiscela di reazione di una sonda marcata al 3’e al 5’ con due fluorofori diversi, definiti“quencher” e “reporter”. La sonda deve esserecomplementare a una sequenza collocataall’interno delle posizioni di annealing dei dueprimers utilizzati per l’amplificazione genica.In condizioni di sonda integra i due fluoroforisi trovano uno rispetto all’altro a una distanzatale da permettere al quencher di spegnere l’e-missione di fluorescenza del reporter. Durantela fase di allungamento della PCR la polimerasiprocede sul filamento denaturato aggiungendo

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nucleotidi sulla base del DNA stampo e a uncerto punto incontra la sonda legata alla regio-ne a essa complementare; la polimerasi proce-de sul filamento scalzando la sonda e degra-dandola mediante la sua attività nucleasica. Ilprocesso di degradazione che avviene solo inseguito a un ciclo di amplificazione dello spe-cifico DNA, comporta l’allontanamento deidue fluorofori e conseguentemente la emissio-ne di fluorescenza da parte del reporter. L’au-mento del livello di emissione di fluorescenzaall’interno della miscela di reazione sarà pro-porzionale all’aumento di specifici ampliconiprodotti e verrà rilevato dal sistema otticoaccoppiato al termociclatore.

DNA “microarray”: tecnica che rappresenta unaforma di ibridazione in cui centinaia di sondecontenenti informazioni geniche diverse vengo-no fissate, tramite apparecchi sofisticati, su unsupporto solido (silice o vetro). L’estratto diacido nucleico da sottoporre ad analisi vienefatto ibridare con questa particolare multisondae le posizioni in cui avviene la reazione vengonoindividuate mediante l’uso di software ad hoc ingrado di rilevare il segnale fluorescente prodot-to. La tecnica permette di individuare la presen-za di geni diversi nel DNA in studio, ma il costoper il suo utilizzo, specialmente nel settore dellemalattie delle piante, è molto elevato e la speri-mentazione al riguardo solo iniziale.

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6.1 Premessa

Il termine “cicaline” designa la quasi totalitàdelle specie appartenenti ai Rincoti (Rhynchota =Hemiptera) del sottordine Auchenorrinchi (Au-chenorrhyncha = Cicadina). Questo raggruppa-mento, a sua volta suddiviso nei due infraordini deiFulgoromorfi (Fulgoromorpha) e dei Cicadomor-fi (Cicadomorpha), è costituito in Europa da 17famiglie (fig. 1). È in corso, da parte di diversiAutori, una profonda revisione della sistematicadel gruppo che, tuttavia, non viene considerata inquesto contesto. Una soltanto delle famiglie ripor-tate non raccoglie nei propri membri la denomina-zione di cicaline, quella dei Cicadidi, che com-prende le cosiddette “cicale”, solitamente caratte-rizzate da maggiori dimensioni oltre che dal bennoto frinire, udibile nelle calde giornate estive. Trale cicaline propriamente dette, la famiglia di granlunga più diffusa è quella dei Cicadellidi, che puòcontare in tutto il mondo migliaia di specie, ripar-tite in diverse sottofamiglie. Tra queste ultime, del-tocefaline e tiflocibine sono indubbiamente le piùimportanti annoverando nelle proprie fila alcunifitofagi di colture agrarie, talvolta in grado di arre-care consistenti danni economici.

In generale si tratta di specie fitomize, vale adire dotate di un caratteristico apparato boccale ditipo pungente-succhiante, e specializzazione trofi-ca che può essere, a seconda dei casi, a carico delfloema, dello xilema o del mesofillo fogliare. Ciòdetermina la tipologia di danno sulla pianta e, inalcune circostanze, può abilitare alcune specie aveicolare pericolosi agenti fitopatogeni quali virus,batteri, spiroplasmi e fitoplasmi. Quest’ultimacategoria, quella cioè dei vettori, oltre ai già citatiCicadellidi, comprende altri cicadomorfi, comealcuni Cercopidi, e diversi fulgoromorfi, per lo più

riconducibili a Cixiidi e a Delfacidi. Nel caso dellavite, senza dubbio le cicaline vettrici più note sonoil cicadellide deltocefalino Scaphoideus titanus Ball,vettore del fitoplasma agente causale della flave-scenza dorata (FD), e il cixiide Hyalesthes obsoletusSignoret, vettore dell’agente causale di un’altraimportante malattia fitoplasmatica della vite, notacome Bois noir (BN) in Francia, Vergilbungsk-rankheit (VK) in Germania e Legno nero (LN) inItalia. Viceversa, nessun vettore è noto al momen-to nell’altra grande sottofamiglia, quella cioè delletiflocibine, le cicaline più diffuse nei nostri ambien-ti, agrari e non, che peraltro possono rendersiresponsabili di infestazioni più o meno gravi suvite, come Empoasca vitis (Goethe), Zygina rham-ni Ferrari e, soprattutto, Jacobiasca lybica (Berge-vin & Zanon).

Un passo essenziale per contrastare la diffusionedi malattie fitoplasmatiche risiede nella possibilità dieffettuare corrette pratiche di monitoraggio checonsentano tempestivi interventi di contenimento.Appare pertanto evidente come un corretto ricono-scimento delle specie sia un punto cardine che devenecessariamente precedere e sostenere l’intera stra-tegia di difesa. Ciò vale tanto di più nel caso dei vet-tori, la cui presenza, se abbinata a quella dell’agen-te fitopatogeno da questi veicolato, è potenzial-mente sufficiente a diffondere la malattia in manie-ra del tutto incontrollata. Per questo motivo non èpossibile, nel caso dei vettori, fare riferimento adelle soglie di intervento, quanto piuttosto mante-nere le popolazioni nocive, una volta accertatane lapresenza, a livelli poco significativi e comunquesempre sotto stretta sorveglianza.

Nel caso delle cicaline, pur essendo la determi-nazione specifica non raggiungibile se non attra-verso l’aiuto di tassonomi del settore, è pur semprepossibile, anche per i non esperti, effettuare un

6. Cicaline dell’agroecosistema vigneto e loro interazionicon la vite nella trasmissione di fitoplasmi

Valerio Mazzoni, Alberto Alma, Andrea Lucchi

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primo screening che consenta di stabilire a qualefamiglia ed eventualmente sottofamiglia una dataspecie appartenga e, di conseguenza, se essa possaessere o meno riconosciuta come potenziale vetto-re di agenti fitopatogeni.

A tale scopo, qui di seguito, accompagnate daalcune tavole di carattere più generale volte a chia-rire alcuni aspetti di terminologia, vengono de-scritte le principali componenti morfologiche e in-dicati criteri utili ad agevolare una prima diagnositassonomica al fine di consentire l’identificazionedi esemplari adulti. Le cicaline annoverano speciele cui dimensioni oscillano, allo stato adulto, tra 1e 20 mm, pur essendo l’intervallo di 2-5 mm il piùcomune; l’aspetto è piuttosto slanciato e affusola-to pur non mancando, anche nei nostri ambienti,una discreta variabilità di forme ed esempi di note-vole peculiarità morfologica. La livrea è pure estre-mamente variabile, anche all’interno delle singolespecie, con un’ampia gamma di colori e di disegni,in particolare a carico del capo, del torace e delleali anteriori.

6.2 Note di morfologia e di sistematica

In generale, il corpo, come in tutti gli insetti, èsuddiviso in tre regioni principali: capo, torace eaddome.

Il capo è distinguibile in due regioni, visibilirispettivamente dal basso e dall’alto: la faccia (Tav.I) e il vertice (Tav. II). La faccia è distinta a suavolta in tre aree di riferimento, la fronte nella partesuperiore, il postclipeo, nella parte mediana e l’an-teclipeo in quella inferiore. Sui lati, delimitate dasuture o carene, si trovano le genae o guance, lequali superiormente sono delimitate dal contornodegli occhi composti. Gli ocelli, se presenti, sonoin numero di 2 o 3 e la loro dislocazione può rive-stire importanza tassonomica in quanto piuttostovariabile all’interno dei raggruppamenti. Le anten-ne giacciono nell’area delle genae nei pressi delsolco delle suture postclipeali. Sul confine tra post-clipeo e anteclipeo sono presenti due elementi sim-metrici solitamente di forma emisferica, le lorae.

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Fig. 1 - Famiglia dei Rincoti Auchenorrinchipresenti in Europa

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Infine, al di sotto dell’anteclipeo si trova il labbroinferiore o rostro che contiene, a riposo, 4 stilettiboccali, due mandibolari e due mascellari. L’unio-ne degli stiletti mascellari dà luogo alla formazionedi due canali, di cui uno (dorsale) per l’ingestionealimentare e l’altro (ventrale) per l’iniezione dellasaliva. Per quanto riguarda il vertice, esso ha il più

delle volte una forma emisferica o subtriangolare,sebbene non manchino eccezioni con diversi casispettacolari di forte sviluppo in lunghe protube-ranze, come nel caso dei Dictiofaridi.

Il torace (Tav. II) è suddiviso in 3 segmenti,protorace, mesotorace e metatorace. Esso ricopre

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Tav. I - Struttura dellafaccia di un cicadomorfo(A e C) e di un fulgoro-morfo (B e D). ac = anteclipeofa = fossa antennaleg = genael = loraeoc = ocellipc = postclipeor = rostro

Tav. II - Visione dorsaledell’avancorpo di uncicadomorfo (E) e di unfulgoromorfo (F). f = fronteMn = mesonotoPn = pronoto t = tegulaev = vertice

A B

C D

E F

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importanza tassonomica sia nella conformazionedel dorso o noto che del ventre o sterno. Ciascunsegmento porta un paio di zampe mentre un paiodi ali è a carico del secondo e del terzo.

Il pronoto ha solitamente una forma semplice erettangolare, sebbene in alcuni casi come nei Mem-bracidi e nei Cicadellidi Ledrini, assuma delle con-formazioni bizzarre, mentre il mesonoto, diviso asua volta in varie sottoregioni, presenta nel com-plesso una forma triangolare con vertice rivoltoall’indietro. Il metanoto è, infine, pressoché inte-ramente coperto dalle ali e non assume una rile-vante importanza tassonomica.

Le zampe (Tav. III) sono composte da un tro-cantere, dalla coxa o anca, dal femore, dalla tibia eda un tarso di tre articoli munito alla propria estre-mità di due unghie. Numerose spine e setole rico-prono solitamente le tibie e i tarsi, conferendo diconseguenza alla chetotassi, cioè alla particolaredisposizione di tali strutture lungo l’organo, unimportante valore tassonomico.

Le spine si definiscono fisse se sono tozze eprive di un punto di articolazione, viceversa sidicono mobili e vengono anche indicate col termi-ne di setae. Le zampe posteriori sono notevolmen-te più sviluppate delle altre e hanno molte voltecapacità saltatorie. La presenza su queste ultime diuno sperone mobile tra tibia e tarso caratterizza lafamiglia dei Delfacidi.

Le ali sono sempre presenti e sviluppate, purnon essendo rari casi di brachitterismo o microtte-rismo. Quelle anteriori sono dette tegmine e pos-sono avere consistenza più o meno coriacea; leposteriori sono sempre membranose. Nei fulgoro-morfi l’estremità dell’ala anteriore, nei pressi delpunto di attacco con il torace, è ricoperta da unapiccola struttura sclerificata, la tegula. La disposi-zione e il numero di nervature sono estremamentevariabili e costituiscono un importante caratteretassonomico, talvolta in grado di permettere ladistinzione fino a livello di genere. Le ali anteriorisono suddivise da un’importante sutura diagonalein due aree ben visibili: il corio, in posizione ante-riore e il clavo, in posizione posteriore. Le nerva-ture longitudinali di riferimento dell’ala anterioresono, sul corio, la costale, la radiale, la mediana ela cubitale e sul clavo le anali. Inoltre sono presen-ti una o più nervature trasversali che, incrociando-si con le longitudinali, danno luogo a un numerovariabile di celle.

L’addome è costituito da 11 segmenti o uriti dicui i primi due solitamente contengono gli organiper la produzione di suoni e l’ottavo e il nono, perquanto riguarda la femmina, e il nono, nel caso delmaschio, portano le armature genitali esterne. Ilnono urite è comunemente denominato in en-trambi i sessi pigoforo. La femmina è dotata di unovopositore costituito da tre paia di valve, di cuidue paia più interne, le gonapofisi, e un paio ester-

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Tav. III - Zampe posterioridi un cicadomorfo (A) edi un fulgoromorfo (B).In C, zampa posteriore di un delfacide. c = coxaf = femoresf = spine fissesm = spine mobilispt = sperone post-tibialeti = tibiatr = trocanterets = tarsomeri. (Figure ridisegnate da Emeljanov, 1988)

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no, le gonoplacche, che fungono da fodero protet-tivo. Esistono svariate tipologie di ovopositore,strettamente legate alle diverse modalità di deposi-zione delle uova. Per quanto riguarda il copulato-re maschile, esso è una sorta di pietra miliare nellostudio della sistematica degli auchenorrinchi e rap-presenta l’elemento base a cui riferirsi per conse-guire con successo l’identificazione specifica di unesemplare. Questo è costituito da un edeago opene, solitamente sclerificato, e da una serie diorgani annessi, caratteristici dei diversi raggruppa-menti. La descrizione dettagliata di tali strutturenon rientra negli obiettivi del presente lavoro enon verrà, pertanto, fornita in questa sede.

Gli Auchenorrinchi si distinguono, rispetto atutti gli altri Rincoti, per una serie di caratterimorfologici tra i quali citiamo il punto d’inserzio-ne del rostro, la cui base sorge a livello del primopaio di zampe, la conformazione dei tarsi, semprecostituiti da 3 segmenti e la struttura delle anten-ne, caratterizzate da due segmenti basali sormon-tati da un flagello filiforme.

Per quanto riguarda i due infraordini menzio-nati vengono richiamati, di seguito, alcuni elemen-ti di distinzione.

Fulgoromorfi1a. Il postclipeo si trova nella parte basale della fac-

cia ed è separato dalla fronte da una sutura tra-sversale. La fronte, che di sovente è attraversa-ta da carene trasversali, occupa, pertanto, laparte mediana e superiore della faccia;

2a. il punto di inserzione delle zampe del secondopaio sullo sterno è chiaramente distanziato, colrisultato che le basi delle coxae in visione ven-trale risultano ben separate;

3a. la base dell’ala anteriore è provvista di tegula.

Cicadomorfi1b. Il postclipeo ricopre la maggior parte della su-

perficie facciale e non è separato da alcuna su-tura trasversale dalla fronte che si colloca al disopra delle antenne;

2b. il punto di inserzione delle zampe del secondopaio sullo sterno è assai ravvicinato col risultatoche le basi delle coxae in visione ventrale sonopressoché a contatto tra loro;

3b. la base dell’ala anteriore è priva di tegula.

Più avanti, in appendice, verrà fornita una chia-ve dicotomica utile ad agevolare il riconoscimentodelle famiglie (e nel caso dei cicadellidi delle sotto-famiglie) più diffuse nell’area paleartica e, in parti-colare, nelle regioni italiane.

6.3 Biologia e danni

Le cicaline sono insetti a metamorfosi eterome-tabolica, la cui vita, dopo la schiusura dell’uovo,passa attraverso 5 stadi giovanili non molto dissi-mili dall’adulto. Solitamente, i primi due stadisono detti di “neanide” e i restanti tre di “ninfa”;questi ultimi si distinguono dai primi per la pre-senza sul torace degli abbozzi alari.

Il ciclo biologico si svolge per lo più nella faseprimaverile-estiva dell’anno, in cui avvengono, aseconda delle specie, una (monovoltinismo) o più(polivoltinismo) generazioni. Il monovoltinismo ègeneralmente più diffuso anche se non mancanocasi di polivoltinismo che riguarda, tra gli altri,buona parte dei delfacidi e dei cicadellidi tiflocibi-ni. Lo svernamento avviene prevalentemente allostadio di uovo, sebbene non di rado capiti che asvernare siano le forme giovanili o gli adulti, ripa-rati in inverno su piante sempreverdi, in attesa dicondizioni ambientali favorevoli.

Esistono svariate modalità di deposizione delleuova. Queste possono essere inserite dalle femmi-ne nelle nervature fogliari, nei boccioli fiorali, neglisteli o nella scorza lignificata di arbusti o alberi,oppure, come nel caso di buona parte dei cixiidi, inanfratti del terreno frammiste a fiocchi cerosi oancora, come nel caso di certi issidi, all’interno diteche di terra plasmate dalla femmina stessa.

Pur essendo tendenzialmente igrofile, special-mente allo stato giovanile, le cicaline sono presen-ti in quasi tutti gli ecosistemi naturali; sono assairare le piante che non risultino da queste frequen-tate, almeno occasionalmente. Le ragioni dellastraordinaria diffusione vanno ricercate nell’essersiadattate a numerose nicchie ecologiche. Cicalinesono presenti dalle regioni artiche fino all’equato-re, in biotopi anche molto diversi tra loro. Inoltre,se per la stragrande maggioranza esse frequentanola parte epigea delle piante, siano esse imponentilatifoglie o monocotiledoni e dicotiledoni erbacee,ve ne sono alcune che vivono, allo stato giovanile,sugli apparati radicali, altre sotto la corteccia aspese di ife fungine, altre ancora che svolgono l’in-tero ciclo all’interno di grotte e caverne.

La polifagia è assai diffusa, consentendo a unasingola specie di nutrirsi su un’ampia gamma dipiante anche molto diverse tra loro, spesso in fun-zione della stagione e delle disponibilità trofiche.D’altro canto non mancano i casi di monofagia,con l’instaurarsi di una strettissima relazione bitro-fica insetto-pianta.

Alla luce di ciò appare del tutto naturale che esi-stano specie il cui ciclo vitale sia fortemente legato

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a colture agrarie a cui, talvolta, sono in grado diarrecare danni economici anche consistenti.

Esistono diverse cause di danno alle piante, dallesemplici ferite di ovideposizione di specie dotate diarmature genitali particolarmente robuste – comenel caso della Stictocephala bisonia Kopp & Yonke,il cui l’ovopositore, perforando i tubi linfatici,determina il disseccamento delle parti vegetali coin-volte – alle produzioni abbondanti di cera e dimelata che imbrattando foglie e frutti determinanoproblemi di natura estetica, come nel caso di Met-calfa pruinosa (Say). In realtà la prima e più diffusacausa di dannosità, come è ovvio aspettarsi, vaascritta all’attività di nutrizione a carico dei tessutivegetali. Tale atto, unito alla tendenza di molte spe-cie ad aggregarsi in affollate comunità, può indurreun rapido deperimento dei tessuti attaccati fino aprovocare, in casi estremi, la morte della pianta.Prime responsabili del danno sono le forme giova-nili, relativamente poco mobili, che, tendendo astazionare nelle zone limitrofe al luogo di sguscia-mento, sono impegnate “a tempo pieno” nell’atti-vità trofica. Gli adulti, al contrario, seppur ugual-mente dannosi, in virtù delle ali sono portati adisperdersi maggiormente sul territorio, in buonaparte impegnati nell’attività riproduttiva.

Notevole preoccupazione suscitano poi quellecicaline che sono in grado di trasmettere, di piantain pianta, agenti microbici fitopatogeni. A questoriguardo, i casi attualmente riportati in Italia sonoalcune decine e riguardano, tra le altre, numerosepiante di interesse agrario, sia monocotiledoni, qualifrumento, orzo e mais, che dicotiledoni quali orti-cole, floricole e vite. Nel caso della vite i principalimicrorganismi veicolati da cicaline sono i fitoplasmi.

La capacità di trasmettere agenti fitopatogeni èstrettamente legata alla specializzazione trofica,cosicché non tutte le cicaline sono in grado, anchesolo potenzialmente, di fungere da vettori. Giovainfatti ricordare che tra gli Auchenorrinchi esisto-no essenzialmente tre tipologie di nutrizione, chepuò esplicarsi a carico delle cellule del mesofillofogliare, dei tubi cribrosi o floematici e dei vasilegnosi o xilematici. Le specie che si nutrono pun-gendo singole cellule del tessuto fogliare si diconomesofillomize. Buona parte dei tiflocibini rientrain questa categoria, e tra questi un esempio è lacicalina gialla della vite Zygina rhamni. Le altera-zioni indotte da tali specie sono puntiformi e cir-coscritte a piccoli settori della foglia nei quali lecellule vengono svuotate dei loro contenuti. Inquesto caso occorrono popolazioni estremamente

consistenti per determinare un danno apprezzabilee comunque, cosa ancora più importante, non è aoggi dimostrata alcuna possibilità di trasmissione.La stessa cosa non avviene, invece, per xilemomizie floemomizi, di gran lunga più pericolosi perchéle punture sulle nervature a lungo andare ne deter-minano l’occlusione, con conseguente dissecca-mento e accartocciamento dei settori fogliari daqueste sostenuti. Per questo motivo anche infesta-zioni di modesta entità possono produrre dannirilevanti (è questo il caso della cicalina nord-africa-na della vite, Jacobiasca lybica). Inoltre, questatipologia di nutrizione rende possibile l’acquisizio-ne e/o l’introduzione di agenti fitopatogenidal/nel sistema vascolare delle piante. La maggio-ranza delle cicaline è floemomiza e attraverso ilfloema alcune di esse possono trasmettere agentifitopatogeni tra cui principalmente virus e fitopla-smi. Gli xilemomizi sono meno diffusi, così comeminori sono le entità patogene per questa via tra-smissibili, riconducibili essenzialmente ai batterixilematici. Un esempio lo troviamo rappresentatodall’afroforide Philaenus spumarius L., vettorenegli Stati Uniti di Xylella fastidiosa, agente causa-le di una temibile malattia della vite nota come“malattia di Pierce”.

In conclusione è bene ricordare che:

• solo una bassa percentuale di specie di cicalineè in grado di fungere da vettore, siano esse floe-momize o xilemomize, esistendo di fatto unapredisposizione da parte di una cicalina a tra-smettere un certo agente fitopatogeno. Ciò èdeterminato da complesse relazioni trofichecon la pianta ospite e biologiche fra insetto emicrorganismo, venutesi via via a instaurare inun lungo processo coevolutivo;

• in Italia le principali malattie della vite, flave-scenza dorata e legno nero, sono indotte dafitoplasmi, microrganismi che sono localizzatia livello floematico e sono trasmessi da due spe-cie, rispettivamente S. titanus e H. obsoletus;

• esistono altre specie la cui capacità di veicolareagenti fitopatogeni alla vite è stata dimostratain laboratorio e che perciò sono potenziali vet-tori in natura; inoltre non è da escludere a prio-ri che alcune malattie possano essere diffuse inpieno campo anche da altre cicaline al momen-to non ancora incluse tra le specie vettrici.

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6.4 Riconoscimento, biologia e diffusione dei vettori o potenzialivettori di agenti fitopatogeni su vite

6.4.1 Vettori di fitoplasmi in Italia

FAMIGLIA CIXIIDAE

Hyalesthes obsoletus Signoret, 1865

(Tav. IV)

Adulto: questa cicalina, di dimensioni piuttostomodeste, ha un aspetto che ricorda vagamenteuna piccola mosca, con ali membranose, corpogrigio-nero e occhi rossastri. Il vertice è corto,anteriormente arrotondato e oltrepassa di pocoil limite degli occhi; la fronte è attraversata dauna lunga carena mediana che dal clipeo arrivaa congiungersi col vertice. Sia il vertice che lafronte sono neri, bordati da una caratteristicabanda bianco-avorio; le tegule risultano giallo-gnole, così come la parte posteriore del prono-to. Quest’ultimo è molto più corto del meso-noto, che è nero lucente su tutta la sua superfi-cie ed è munito di 5 carene, di cui le due inter-

medie ricurve, poco marcate, e più brevi dellealtre. L’addome è molto più corto delle ali enelle femmine risulta tronco nella parte termi-nale dove, di solito, è facilmente visibile unciuffo di cera di colore bianco candido. Lezampe sono chiare con numerosi annerimentisoprattutto a livello di femori, parti superioridelle tibie e tarsi. Lunghezza 5: 3,8-4,0 mm / 4: 5,0-5,1 mm

Stadi giovanili: le dimensioni delle forme giovani-li variano da 0,5 a 3,4 mm. Il corpo è tozzo euniformemente bianco, con occhi inizialmentebianchi viranti al rosso nel corso dello sviluppopost-embrionale. La parte terminale dell’addo-me è ornata da lunghi raggi di cera candida.

I cixiidi sono una famiglia complessa dal punto divista sistematico, non sempre semplici da identificare.Il genere Hyalesthes comprende in Italia altre due spe-cie, H. luteipes Fieber e H. scotti Ferrari, entrambefacilmente rinvenibili nelle nostre regioni e moltosimili a H. obsoletus in quanto a morfologia esterna.Tuttavia, un carattere distintivo di H. obsoletus risiede

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Tav. IV - In A, B e C,rispettivamente coppia,forme giovanili e adulto di Hyalesthes obsoletus;in D, adulto di Hyalesthesluteipes

A B

C D

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nel colore bianco avorio dei bordi del vertice, dellafronte e del pronoto, che nel caso delle altre speciecongeneri risulta bruno. Riguardo alla distinzione trail genere Hyalesthes e il genere Reptalus, che com-prende cixiidi frequentemente presenti nei vigneti, icaratteri anatomici di riferimento risiedono nellaconformazione delle carene intermedie del mesonotoe della carena frontale. Nei Reptalus, infatti, a diffe-renza degli Hyalesthes, le carene intermedie del meso-noto sono altrettanto lunghe ed evidenti rispetto allealtre carene, e la carena frontale si biforca nei pressidel punto di congiunzione col vertice.

Note di corologia e di biologia - Specie a distribu-zione mediterranea con popolazioni segnalateanche in Portogallo, in Europa centrale finoalla Polonia e nell’Asia minore fino al MarCaspio. In Italia la specie è diffusa su tutto ilterritorio. Le forme giovanili vivono nel terre-no nutrendosi a spese dell’apparato radicale dipiante erbacee come convolvolo e ortica, pian-ta a cui più di altre è infeudato, almeno in Ita-lia. In altre aree viticole europee la specie vive aspese di diverse altre dicotiledoni erbacee qualiArtemisia vulgaris, Cirsium arvensis, Lentodonautumnalis, Ranunculus bulbosus, Taraxacumofficinale e Lavandula spp. Gli adulti sonopiuttosto polifagi, per lo più legati a varie pian-te erbacee tra cui diverse solanacee, mentre lapresenza su vite è del tutto occasionale. La spe-cie è monovoltina, con adulti presenti durante imesi estivi e svernamento come forma giovani-le (in genere di terza età) nel terreno, a circa10-15 cm di profondità, protetta da candide eabbondanti secrezioni di cera.

Fitoplasmi trasmessi alla vite: agente causale dilegno nero.

FAMIGLIA CICADELLIDAE

SOTTOFAM. DELTOCEPHALINAE

Scaphoideus titanus Ball, 1932 (Tav. V)

Adulto: colore generale bruno-arancio-ocra. Verti-ce, pronoto e mesonoto di colore chiaro con dueo tre bande trasversali arancioni. Vertice di formatriangolare; sul passaggio dalla faccia al verticesono presenti 2-4 linee nere, trasversali e paralle-le, che corrono lungo lo spazio compreso tra gliocchi. Ali anteriori con nervature per lo più nera-stre che si stagliano nettamente sullo sfondovariamente screziato di bruno e ocra. Zampechiare, salvo le posteriori, caratterizzate da anne-

rimenti della parte distale delle tibie e dei tarsi.Pigoforo dei maschi munito sui lati di numerosesetole, tra cui quelle distali più lunghe e scure.Lunghezza 5: 4,8-5,2 mm / 4: 5,5-6,0 mm

Di notevole rilievo, al fine di discriminare questa spe-cie dalle altre deltocefaline presenti nel vigneto, sonosoprattutto due caratteristiche salienti: le linee tra-sversali nere a livello del passaggio dal vertice alla fac-cia, e la presenza di lunghi peli neri sul pigoforo.

Stadi giovanili: le neanidi sono di color bianco-giallognolo; a partire dalla terza età (I ninfa) siha un’evoluzione significativa nella pigmenta-zione degli individui: il colore giallo di fondo sifa più intenso mentre si assiste alla progressivacomparsa di screziature brune, specialmente sutorace e addome. Il vertice, triangolare e forte-mente prominente, è privo delle bande trasver-sali nere che caratterizzano l’adulto.

La caratteristica che consente un’agevole discrimina-zione da forme giovanili di altre specie è la presenzacostante in tutte le età, ai lati del pigoforo, di due mac-chie nere simmetriche subtriangolari-rotondeggianti.La presenza di macchie puntiformi sull’addome è uncarattere ricorrente nelle forme preimmaginali di diver-se deltocefaline, ma solo quelle di S. titanus ne hannosempre e soltanto due in suddetta posizione.

Note di corologia e di biologia - S. titanus è speciedi origine nordamericana diffusa, nell’arealeneartico, tra il 50° e il 30° parallelo, tra Cana-da e California. In Europa questa specie è statarilevata per la prima volta nel Sud della Francianel 1960. Attualmente il cicadellide è presentein Croazia, Francia (Corsica inclusa), Portogal-lo, Serbia, Spagna, Slovenia e Svizzera. In Italiala sua presenza è segnalata in tutto il Nord,oltre che in Toscana, in Umbria, in Campania eBasilicata. Nelle aree viticole del Centro-Sud laspecie è presumibilmente giunta in forma diuova deposte nel materiale di propagazione. Nel suo areale d’origine S. titanus è specie poli-faga, spesso reperita, oltre che su vite, anche supesco, melo e molte altre specie arboree qualiCrataegus spp., Salix spp., Juniperus virginia-na, Ulmus spp. e Fraxinus spp. In Europa,invece, risulta strettamente monofago su vite,su cui compie una sola generazione nel periodotardo primaverile-estivo. Lo svernamento av-viene sotto forma di uovo deposto nei tessutilegnosi della vite, generalmente sui tralci di dueanni. Le schiusure iniziano in maggio, e si pro-

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traggono scalarmente fino alla prima decade diluglio. I giovani sono particolarmente abbon-danti in giugno, ma se ne possono reperire finoad inizio agosto. La presenza degli adulti si hanell’intervallo compreso tra la fine di giugno ela caduta delle foglie.

Fitoplasmi trasmessi alla vite: agente causale di FDe, solo in condizioni di laboratorio, di giallumidel gruppo Aster yellows (AY).

6.4.2 Vettori di fitoplasmi all’estero

FAMIGLIA CICADELLIDAE - SOTTOFAM. MACROPSINAE

Oncopsis alni (Schrank, 1801) (Tav. VI A)

Cicalina di medie dimensioni, piuttosto robu-sta. Colorazione alquanto variabile, con diffe-renze tra i sessi. Vertice e noto nel maschio dagrigio-nerastro a giallo-bruno, nella femminagiallo-bruno più spesso tendente al rossastro.La convessità del vertice, molto più corto siadel pronoto che del mesonoto, è particolar-mente accentuata nel punto mediano. Presentidiverse macchie di pigmento scuro su pronotoe mesonoto; quest’ultimo ha due macchierotonde mediane e due triangolari, più chiare,la cui base è appoggiata sul bordo posteriore

del pronoto, su cui, peraltro, sono facilmentedistinguibili numerose striature trasversali.Anche la faccia che di solito presenta delle mac-chie scure, di forma discoidale, poste tra lafronte e il postclipeo, al di sotto degli ocelli;sovente una piccola macchia nera puntiforme sitrova appoggiata all’ocello stesso. Ali anterioricon nervature scure (nerastre nel maschio, bru-ne nella femmina) che si stagliano nettamentesullo sfondo, largamente trasparente (spesso ditono rossastro nelle femmine), eccetto che peralcuni tratti di bruno sparsi qua e là. Lunghezza 5: 5,0-5,6 mm / 4: 5,3-6,1 mm

Note di corologia e di biologia - Questa specie, pre-sente in tutta Italia, è monofaga sugli ontani(segnalata su Alnus glutinosa e A. incana). Pre-dilige ambienti freschi e umidi, preferibilmentein prossimità di corsi d’acqua, laghi e paludi.L’attività trofica su vite è da considerarsi deltutto occasionale, legata essenzialmente alla pre-senza di ontani nelle immediate vicinanze delvigneto. Sverna come uovo ed è monovoltina.

Fitoplasmi trasmessi alla vite: in Germania, per laregione del Palatinato, è stata provata per questaspecie la capacità di veicolarel’agente causale diun giallume noto come Palatinate grapevine yel-lows, molto vicino dal punto di vista genetico allaFD e al momento non ancora segnalato in Italia.

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Tav. V - Scaphoideustitanus: A) un adultoB) due esemplari inaccoppiamentoC) un uovoD) una ninfa

A B

C D

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6.4.3 Vettori di fitoplasmi in condizioni di laboratorio

FAMIGLIA CICADELLIDAE

SOTTOFAM. DELTOCEPHALINAE

Macrosteles quadripunctulatus

(Kirschbaum, 1868) (Tav. VI B)

Cicalina di modeste dimensioni, con corposnello e allungato. Colore dell’avancorpo gial-lo-verdognolo, col capo caratterizzato da quat-tro grandi tacche nere rotondeggianti, di cuidue sul passaggio dalla fronte al vertice e duenella parte superiore del postclipeo, immediata-mente sotto gli ocelli. Ulteriori tacche accesso-rie, sensibilmente più piccole delle altre, si tro-vano tra ocello e occhio. Bordo anteriore delvertice convesso, al più ottusamente angolato.Sul mesonoto sono presenti due macchie neretriangolari. Ali semi-trasparenti, coperte da unasoffusa tinta grigiastra con sfumature giallo-verdognole, dotate di due sole celle subapicali.Addome nero nei maschi, più chiaro nelle fem-mine. Zampe munite di bande longitudinali emacchie nere in corrispondenza dei punti diinserzione delle spine mobili. Lunghezza 5: 2,9-3,1 mm / 4: 3,2-3,5 mm

Note di corologia e di biologia - Specie presente intutta Italia salvo che in Sardegna; è stata segna-lata su monocotiledoni erbacee dei generi Seta-ria e Panicum e su Corispermum, dicotiledonedella famiglia Chenopodiacee. Si ritrova facil-mente in ambienti moderatamente caldi easciutti, con terreni sabbiosi e vegetazione spar-sa. Non di rado può essere rinvenuta nei vigne-ti, sebbene la presenza su vite come adultodebba ritenersi del tutto occasionale. Svernacome uovo e svolge 2-3 generazioni l’anno.

Fitoplasmi trasmessi alla vite: agenti causali delgiallume del gruppo Aster yellows (AY), solo incondizioni di laboratorio.

Euscelis incisus (Kirschbaum, 1858)

(Tav. VI C)

Le dimensioni e il colore di questa specie sonosoggetti ad ampia variabilità, determinata nelcorso dell’anno da fattori ambientali tra i quali,in primo luogo, il fotoperiodo. La generazioneprimaverile ha una taglia minore e una piùaccentuata pigmentazione rispetto a quelle esti-

ve. In generale, il colore di fondo è bruno-gial-lognolo con una diffusa picchiettatura scura sulleali anteriori e la presenza di linee nere longitudi-nali sulle tibie, nonché di macchie e anulaturebrune sui femori. Testa e pronoto in estate sonoprivi di tinte scure che al contrario si manifesta-no in primavera, in particolare sul postclipeo,attraversato da una serie di linee trasversali. Ilvertice presenta un paio di macchie nerastrepresso il margine anteriore e altre più piccole inposizione più retrostante; ulteriori macchie sonodiffuse anche a livello di pronoto e mesonoto. Lunghezza forme primaverili 5: 3,0-3,6 mm /4: 3,8-4,1 mm; forme estive 5: 3,7-4,4 mm /4: 3,9-4,4 mm

Note di corologia e di biologia - Specie presente intutta Italia, polivoltina, in grado di completare2-3 generazioni l’anno a partire dalla primave-ra per poi svernare come ninfa e/o adulto, aseconda delle latitudini. Cicalina notevolmentepolifaga, legata a leguminose, soprattutto delgenere Trifolium, e a monocotiledoni varie. Èfacilmente rinvenibile in tutti i prati, inclusiquelli di ambienti piuttosto aridi e oligotrofici.La sua presenza nei vigneti inerbiti è alquantoricorrente e occasionalmente è possibile racco-gliere adulti sulla vite stessa.

Fitoplasmi trasmessi alla vite: agenti causali di giallu-mi del gruppo AY, in condizioni di laboratorio.

Euscelidius variegatus (Kirschbaum, 1865)

(Tav. VI D)

Cicalina di medie dimensioni, con vertice pro-minente, anteriormente arrotondato, largoquanto il pronoto, ma più corto. Colorazionedi fondo marrone chiara con presenza diffusa dimacchiettature scure, alquanto variabili neidiversi esemplari, per numero e dimensioni.Solitamente il postclipeo presenta in alto, tra lafaccia e il vertice, due tacche nere discoidaliirregolari visibili parzialmente anche dall’alto.Sul vertice, subito dietro agli ocelli, sono pre-senti due macchie nere trasversali, con due ulte-riori piccole tacche nere comprese tra ocello eocchio. Peculiare la distribuzione delle macchieanche sul resto del corpo, in particolare sul pro-noto, dove si possono osservare delle vere eproprie bande scure longitudinali, sulle zampee sulle ali, a esclusione delle nervature che per-tanto appaiono distintamente chiare.Lunghezza 5: 3,3-4,9 mm / 4: 4,0-5,2 mm

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Note di corologia e di biologia - Specie a larga diffu-sione, presente in tutta Italia. Facilmente rinve-nibile in prati polifiti, specialmente in ambienticaldi e asciutti; può facilmente essere ritrovata inluoghi incolti, giardini e interfilari inerbiti divigneti e frutteti. Talvolta, esemplari adulti pos-sono essere raccolti direttamente su foglie divite, sebbene tale evento debba ritenersi deltutto occasionale. La specie è polifaga, legataalle dicotiledoni erbacee ed è polivoltina, com-piendo tre generazioni l’anno. Lo svernamentoavviene come adulto.

Fitoplasmi trasmessi alla vite: giallumi del gruppoAY, solo in condizioni di laboratorio. Questaspecie viene abitualmente impiegata per mante-nere, in condizioni di laboratorio, il fitoplasmaFD in piante erbacee (Vicia faba).

6.4.4 Cicaline comunemente diffuse nei vigneti e potenzialmente vettrici di agenti fitopatogeni

FAMIGLIA CIXIIDAE

Reptalus quinquecostatus (Dufour, 1833)

(Tav. VII A)

Specie di dimensioni piuttosto ragguardevoli,con aspetto molto simile a quello di H. obsole-tus. Da quest’ultimo può essere distinto, oltreche per le maggiori dimensioni, per il fatto chele cinque carene del mesonoto sono tutte mar-catamente visibili e complete in lunghezza,mentre la sutura mediana frontale si biforca neipressi del punto di contatto col vertice, for-mando con esso un piccolo triangolo. Lunghezza 5-4: 5,0-6,5 mm

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Tav. VI - A) Oncopsis alni(Schrank); B) Macrostelesquadripunctulatus (Kirsch-baum); C) Euscelis incisus(Kirschbaum); D) Eusceli-dius variegatus (Kirsch-baum)

A B

C D

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Note di corologia e di biologia - Questa specie tra-scorre la sua fase giovanile nel terreno su pianteospiti al momento non note. L’adulto appareestremamente polifago, rinvenibile con facilità inItalia centrale, a partire da luglio fino a tutto set-tembre, su una svariata gamma di erbe, arbusti ealberi. Tra le specie coltivate vanno annoverate inparticolare erba medica, Prunus spp. e vite su cuitalvolta può risultare particolarmente abbondan-te. La specie è monovoltina e ha in Italia un’am-pia diffusione, risultando assente soltanto in Sici-lia e Sardegna.

FAMIGLIA DICTYOPHARIDAE

Dictyophara europaea (L., 1767)

(Tav. VII B)

Cicalina assai diffusa e facilmente identificabileper la caratteristica ipertelia del capo. Il vertice,infatti, presenta una lunga protuberanza anterio-re lunga all’incirca quanto mesonoto e pronotomessi assieme. Il colore verde o rosa è esteso atutte le parti del corpo; le ali anteriori, seppurtrasparenti, presentano nervature che si staglianonettamente sullo sfondo. Tre carene ben eviden-ti corrono lungo pronoto e mesonoto. In gene-rale la specie si presenta piuttosto robusta e diforma vagamente triangolare.Lunghezza 5-4: 9,0-13 mm

Note di corologia e di biologia - D. europaea è pre-sente in tutta Italia, particolarmente in ambien-ti soleggiati e asciutti con vegetazione sparsa.Probabilmente si tratta di una specie polifaga,infeudata a dicotiledoni erbacee, pur non disde-gnando occasionalmente di visitare arbusti ealberi, compresa la vite. È monovoltina e sver-na come uovo deposto nel terreno.

FAMIGLIA FLATIDAE

Metcalfa pruinosa (Say, 1830)

(Tav. VII C)

È un insetto abbastanza appariscente, con alianteriori grigio brunastre, di forma trapezoida-le tenute, a riposo, a ricoprire interamente l’ad-dome che invece è chiaro con riflessi verdogno-li. Il colore è, comunque, fortemente influen-zato dalle abbondanti secrezioni cerose che ri-vestono, talvolta in modo eterogeneo, tutto ilcorpo che, pertanto, appare farinoso allo sguar-do. L’aspetto è piuttosto robusto, il vertice èbreve e la fronte spaziosa. Le ali anteriori sono

provviste di un elevato numero di nervature, inspecial modo nella porzione medio-distale. Lezampe sono chiare. Per quanto concerne leforme giovanili, le neanidi subito dopo lo sgu-sciamento sono bianche e hanno aspettoappiattito caratterizzato da un’estremità addo-minale tronca da cui emergono evidenti ciuffidi cera candida. In breve esse tendono a rico-prirsi interamente di bianche secrezioni cerose,mentre con il progredire delle età il corpodiviene verdognolo.Lunghezza 5-4: 7-9 mm

Note di corologia e di biologia - Specie di origineamericana introdotta in Italia soltanto di re-cente (prima segnalazione in Veneto nel 1980).Da allora la sua diffusione nella penisola è stataassai veloce e ha portato, nel breve arco di duedecenni, all’occupazione di tutto il territorionazionale. La sua rapida espansione è princi-palmente da attribuirsi al sorprendente gradodi adattamento ai diversi tipi di habitat eall’ampissima polifagia, che riguarda centinaiadi specie di erbe, arbusti e alberi, tra cui moltifruttiferi. M. pruinosa è specie monovoltinache sverna come uovo deposto preferibilmentesulle superfici corticali, nelle screpolature dellegno o, laddove presenti, nelle creste tubero-se della corteccia. Dopo la schiusura delleuova, che avviene scalarmente a partire dallaprima settimana di maggio, le giovani neaniditendono via via ad aggregarsi in affollatecomunità, privilegiando come luoghi di stazio-namento, soprattutto nelle prime età giovanili,le parti più riparate e umide della pianta. Altroconnotato peculiare di questa cicalina è l’ab-bondante produzione di melata, che se da unlato, soprattutto in seguito alla comparsa difumaggini, determina un fastidioso imbratta-mento delle superfici vegetali, dall’altro puòessere sfruttata favorevolmente ai fini dellaproduzione mielistica. La presenza degli adul-ti si ha a partire dalla seconda metà di giugnofino al termine della stagione estiva.

FAMIGLIA APHROPHORIDAE

Philaenus spumarius (L., 1758)

(Tav. VII D)

Specie caratterizzata da un’ampia variabilitàcromatica che va dal bruno, quasi nero, al mar-rone nocciola chiaro tendente al giallognolo. Èusuale la presenza sul corpo di striature o mac-chie di varia forma e colore che conferiscono ai

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singoli esemplari caratteristiche peculiari e chenel tempo hanno portato alla descrizione dinumerose forme cromatiche. P. spumarius èspecie robusta, di dimensioni medio-grandi,caratterizzata da un postclipeo bombato, chia-ramente convesso in visione laterale, e attraver-sato da striature nere trasversali, soprattuttonella sua parte superiore, dove confluiscono. Ilvertice è leggermente prominente, più strettoche largo, caratterizzato dalla presenza di un’a-rea semicircolare poco dietro al margine ante-riore. Il primo paio di ali è coriaceo e ricopertoda una fine villosità. Le zampe sono chiare, cosìcome il ventre, fatta eccezione per gli sternititoracici nero lucenti.Lunghezza 5: 5,3-6,0 mm / 4: 5,4-6,9 mm

Note di corologia e di biologia - Specie ubiquitaria,presente sia nell’area neartica che in quellapaleartica, estremamente polifaga, in grado divivere su erbe, arbusti e alberi. Diffusa tanto inambienti caratterizzati da flora spontanea,quanto in aree coltivate, essa è rinvenibile inmoltissimi biotopi diversi. È univoltina e svernacome uovo, per poi svolgere il proprio ciclovitale nel periodo primaverile-estivo. Gli adulti,molto longevi, sono attivi fino ad autunno inol-trato. Le forme giovanili, principalmente legatealle piante erbacee, sono assai numerose a par-tire da aprile-maggio. Esse emettono abbon-danti secreti liquidi misti ad aria con cui rive-stono il proprio corpo per proteggersi dall’ar-

sura. Per questo fenomeno la specie viene co-munemente inclusa tra le cosiddette “sputac-chine”. La sua presenza nei vigneti e sulla viteallo stato adulto è ricorrente sebbene, datal’ampia polifagia che ne favorisce la dispersionesu numerose essenze vegetali, non raggiungamai densità preoccupanti.

Fitopatie potenzialmente trasmissibili alla vite:questa specie in Nord America è vettore dell’a-gente causale della malattia di Pierce, pericolo-sa batteriosi che attacca i tessuti legnosi dellavite e di numerose altre piante, spontanee ecoltivate.

FAMIGLIA CICADELLIDAE

SOTTOFAM. CICADELLINAE

Cicadella viridis (L., 1758)

(Tav. VIII A)

Specie di grandi dimensioni, di aspetto slancia-to con vertice rotondeggiante e postclipeo for-temente bombato. Colore delle zampe e delcorpo giallo più o meno intenso, a eccezionedelle ali e della metà posteriore del pronoto chesi presentano di un vivace verde-azzurro. Duemacchie nere irregolarmente rotondeggiantisono sempre presenti sul vertice, a contatto colbordo anteriore del pronoto. Due linee longi-tudinali brune attraversano il postclipeo. Lunghezza 5: 5,0-7,0 mm / 4: 7,0-9,0 mm

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Tav. VII - A) ReptalusquinquecostatusB) Dictyophara europaeaC) Metcalfa pruinosaD) Philaenus spumarius

A B

C D

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Note di corologia e di biologia - Questa specie è pre-sente su tutto il territorio italiano. Polifaga,risulta molto comune nei prati umidi a preva-lenza di monocotiledoni, spesso infeudata apiante del genere Juncus. Data la discreta moledell’insetto, l’ovideposizione, riportata anche acarico di varie piante fruttifere, può arrecaredanni in particolare a semenzali e barbatelle. Lapresenza su vite è da ritenersi occasionale. InItalia C. viridis svolge due generazioni, risul-tando particolarmente abbondante nei prati trasettembre e ottobre. L’inverno è trascorso allostato di uovo.

Fitopatie potenzialmente trasmissibili alla vite: que-sta specie, al pari di P. spumarius, è nota comevettore dell’agente causale della malattia diPierce in Nord America.

FAMIGLIA CICADELLIDAE

SOTTOFAM. DELTOCEPHALINAE

Anoplotettix spp.

A. fuscovenosus (Ferrari, 1882) (Tav. VIII B)A. putoni Ribaut, 1952

Cicadellidi dalle fattezze e dal cromatismoall’apparenza simili a quelle di S. titanus, continte giallastre dai forti toni bruno-grigio-aran-ciati. La rassomiglianza riguarda soprattutto ilpronoto e le ali anteriori. Anoplotettix spp. pre-sentano alcune bande bianche trasversali sufondo aranciato; le ali sono semitrasparenti, dicolore bruno-arancio e variamente screziate dibianco, soprattutto lungo il margine costale, edi bruno, specie per quanto riguarda le nerva-ture e le celle apicali, queste ultime nettamenteinfumate nella loro porzione distale. Le diffe-renze sono però notevoli per quanto riguarda ilmargine anteriore del vertice, arrotondato anzi-ché angolato, e caratterizzato dalla presenza di4 grandi macchie nere rotondeggianti, di cuidue all’altezza del margine anteriore degliocchi e altre due a livello del passaggio allafronte. Le due specie congeneri sono distingui-bili esclusivamente previo esame dell’apparatogenitale maschile.Lunghezza 5: 5,6-6,1 mm / 4: 6,0-6,5 mm

Note di corologia e di biologia - Le conoscenze sullabiologia riguardano essenzialmente A. fuscove-nosus, specie presente nell’Italia centro-setten-trionale e in Sardegna; al contrario, poco è noto

su A. putoni, specie segnalata in Italia centro-meridionale, isole comprese. A. fuscovenosus,svolge un ciclo monovoltino nel periodo pri-maverile-estivo. La schiusura delle uova, depo-ste in substrati legnosi di varie piante, compre-sa la vite, ha luogo tra marzo e aprile; in segui-to le forme giovanili si trasferiscono su diversepiante erbacee, sia monocotiledoni che dicoti-ledoni, dove restano fino al raggiungimentodello stato immaginale. Al contrario gli adulti,pur essendo anch’essi polifagi, prediligonoarbusti e alberi, tra cui molte specie coltivate,quali vari Prunus e la vite. La presenza di questa specie sulla vite, in parti-colare con femmine nel periodo dell’ovideposi-zione, sembrerebbe favorita in contesti di viti-coltura marginale o in zone confinanti conboschi o incolti. Gli sfarfallamenti avvengonotra maggio e giugno con adulti rinvenibili fino atutto luglio. Diversa parrebbe la biologia di A.putoni, i cui adulti possono essere catturati finoa tutto settembre, suggerendo la possibilità chequesta specie possa svolgere due generazioni.

Placotettix taeniatifrons (Kirschbaum, 1868)

(Tav. VIII C)

Anche questo cicadellide si caratterizza per uncromatismo che per certi versi ricorda S. titanus,con colore generale bruno-arancio e le nervatu-re delle ali anteriori scure nella parte distale; nonsono, viceversa, presenti screziature o macchiesparse, eccezion fatta per l’estremità posterioredelle celle apicali, che appare distintamenteimbrunita. Le principali discriminanti morfolo-giche per poter distinguere questa specie datutte le altre, quantomeno nei nostri ambienti,risiedono nelle caratteristiche del capo. Il verti-ce è arrotondato con due tacche nere puntifor-mi dietro a ciascun ocello; una spessa bandanera è presente nella parte superiore della faccia,tra i due ocelli, mentre una macchia nerastra sitrova in corrispondenza delle fosse antennali edella parte inferiore delle lorae. Addome e tora-ce sono per lo più bruni, salvo i settori sternaliimmediatamente anteriori agli uriti genitali, chesono più chiari. Le zampe presentano dei lieviimbrunimenti a livello dei tarsi e nel punto diinserzione delle setae. Lunghezza 5: 5,3-5,7 mm / 4: 5,6-6,1 mm

Note di corologia e di biologia - Questa specie è tipi-ca della flora mediterranea e infeudata a essen-ze quali corbezzolo e vari tipi di quercia. La

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specie è monovoltina, con presenza degli adul-ti in tarda primavera. Questa specie può risulta-re piuttosto ricorrente nei vigneti confinanticon fasce di macchia mediterranea.

Psammotettix spp.

P. alienus (Dahlbom, 1850)(Tav. VIII D)P. confinis (Dahlbom, 1850)

P. striatus (L., 1758)

Al genere Psammotettix appartengono diversespecie tra loro indistinguibili se non con ilricorso all’esame dei genitali maschili. Si trattadi cicaline di dimensioni modeste, piuttostosnelle con vertice prominente a margine ante-riore angolato. Il colore di fondo è il marrone-nocciola, con numerose tacche brune sparse, inparticolare sul vertice, presso il cui margine

anteriore spesso si trovano delle sottili lineebrune, sui tarsi che talvolta risultano intera-mente anneriti, e sulle ali anteriori, su cui dellearee brune possono bordeggiare alcune nerva-ture, o parti di esse. Il pronoto è sormontato da4-6 linee longitudinali chiare, tra loro parallele.L’addome è sensibilmente più scuro rispetto alresto del corpo. Lunghezza 5-4: 3,2-4,3 mm

Note di corologia e di biologia - Queste tre speciesono largamente diffuse in tutta Italia. Possonovivere su numerose piante erbacee, in particola-re graminacee. Molti sono i biotopi da questeinteressati, sia in ambienti asciutti-semiaridi,che fresco-umidi. Sono tutte polivoltine, sver-nano come uovo e compiono 3-4 generazioniper anno. Probabilmente si tratta delle cicalinepiù diffuse nei prati e negli interfilari inerbitidei vigneti italiani. Gli adulti compaiono a par-

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Tav. VIII - A) Cicadella viridis; B) Anoplotettix fuscovenosus; C) Placotet-tix taeniatifrons;D) Psammotettix alienus

A B

C D

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tire da aprile-maggio e restano attivi fino a chele temperature lo consentono. Talvolta posso-no essere raccolti direttamente su foglie di vite,sebbene l’ampelofagia sia da ritenersi del tuttooccasionale.

Fieberiella florii (Stål, 1864)

(Tav. IX A)

Specie di dimensioni medio-grandi, ha la suacaratteristica peculiare nelle miriadi di picchiet-tature nerastre che ne ricoprono la livrea gri-gio-bruna. Il vertice è prominente, da arroton-dato a subtriangolare, e appiattito; la presenzadi una carenatura proprio all’estremità anterio-re del vertice rende il passaggio alla faccia piut-tosto brusco, interposto da un piccolo ‘scali-no’. Le ali anteriori sono semitrasparenti, concolore di fondo grigio alterato da aree etero-genee di bruno; le nervature sono bruno-gial-lognole. La parte apicale è priva delle tintebrune, per cui risulta più chiara e si caratteriz-za per la presenza di tacche nere a livello del-l’estremità delle nervature apicali, contro ilmargine dell’ala. Parimenti, una tacca nera èpresente all’estremità posteriore della suturaclavo-coriale e, talvolta, anche delle nervatureanali. La faccia è chiara, fatta eccezione per duespesse bande nere, tra loro molto ravvicinate econfluenti in più punti, presenti proprio al disotto del vertice. Settori chiari e bruni si alter-nano nella parte ventrale del corpo, così come

imbrunimenti sono consueti sulle zampe, inparticolare sulle tibie posteriori, attraversate dauna linea nera e con punti scuri alla base di cia-scuna seta. Lunghezza 5: 6,5-7,0 mm / 4: 7,0-7,5 mm

Note di corologia e di biologia - F. florii è presentesu tutto il territorio italiano, eccezion fatta perla Sardegna. È una specie alquanto polifaga,che si nutre su una vasta gamma di arbusti ealberi, compresi fruttiferi e vite. La presenza suvite, a ogni modo, è del tutto sporadica. Losvernamento può avvenire indifferentementeallo stato di uovo, giovane o adulto.

Synophropsis lauri (Horvàt, 1897)

(Tav. IX B)

Colore generale bruno-giallastro con corpo efaccia chiari dai riflessi verdognoli. Il vertice èassai prominente e distintamente triangolare; leali anteriori sono semitrasparenti e si caratteriz-zano per i decisi imbrunimenti nei punti dicontatto tra nervature e margine esterno e an-cora, nel settore apicale, di contorno alle ner-vature che peraltro risultano sempre chiare.Inoltre, la metà distale delle celle apicali è sem-pre diffusamente infumata. Anche il torace pre-senta degli imbrunimenti, così come il pigofo-ro, il dorso dell’addome e il secondo segmentotarsale. La base di ciascuna seta delle tibie po-steriori presenta una macchia puntiforme nera.

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Tav. IX - A) Fieberiella florii; B) Synophropsis lauri; C) Japananus hyalinus

A B C

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71F L A V E S C E N Z A D O R A T A E A LT R I G I A L L U M I D E L L A V I T E

Il nono urosterno dei maschi è notevolmentesviluppato, assai più lungo e rigonfio che nellealtre specie, e presenta numerose setole suibordi latero-basali. Lunghezza 5: 5,7-6,0 mm / 4: 6,0-6,5 mm

Note di corologia e di biologia - Questa specie sicaratterizza per un’estrema polifagia ed è se-gnalata su varie piante arbustive e arboree tipi-che dell’ambiente mediterraneo. La presenzasu vite è piuttosto ricorrente, talvolta anchecome forma giovanile. Durante l’inverno le for-me giovanili sono reperibili su latifoglie sem-preverdi, mentre tra maggio e giugno si ha lacomparsa dei primi adulti e di un gran numerodi neanidi. In Italia questa specie non è segna-lata per la Sardegna.

Japananus hyalinus (Osborn, 1900)

(Tav. IX C)

Specie che si caratterizza per un certo dimorfi-smo sessuale. Colorazione generale giallo-ver-dastra, con toni di bruno sparsi, in particolaresul vertice e sulle ali anteriori. Il vertice ha unaforma assai peculiare, appiattita o leggermenteconcava, marcatamente prominente e col mar-gine anteriore triangolare (caratteri, questi, piùpronunciati nella femmina). Due macchie trian-golari di un bruno poco intenso si trovano nellaparte anteriore del vertice, interposte da unospazio chiaro lungo la linea mediana. Le ali

anteriori sono trasparenti, eccezion fatta perdelle irregolari bande brune trasversali (di soli-to in numero di tre) costituite da serie di mac-chie rotondeggianti, particolarmente evidentinelle femmine. Queste ultime, oltre che per lemaggiori dimensioni, si caratterizzano ancheper le nervature rossastre e per avere la parteventrale dell’addome chiara, a differenza deimaschi, nei quali le nervature sono giallognolee il ventre è scuro. Le zampe sono chiare, contibie posteriori munite di una piccola taccascura alla base di ciascuna seta. Lunghezza 5: 4,2-4,5 mm / 4: 5,2-5,4 mm

Note di corologia e di biologia - L’origine geografi-ca di questa cicalina è ancora oggetto di dibat-tito sebbene le teorie più accreditate la dianoproveniente dall’Est asiatico via Nord America.La prima segnalazione in Europa risale al 1961(Austria e Romania), mentre in Italia è statarinvenuta solo nel 1984, in Piemonte. Attual-mente è diffusa in tutto il Nord Italia e in partedel Centro. La specie è infeudata agli aceriornamentali e selvatici e può essere facilmenterinvenuta in vigneti inseriti in contesti naturalidove è abbondante la presenza di Acer campe-stre. Lo svernamento avviene allo stato di uovocon schiusure che hanno luogo a partire da giu-gno e i voli degli adulti da luglio. La specie puòessere monovoltina o bivoltina, con un even-tuale secondo picco di sfarfallamenti tra set-tembre e ottobre.

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Fulgoromorpha:

1 Estremità inferiore della tibia posteriore provvi-sta di uno sperone mobile (Tav. III C)

Delphacidae

- Estremità inferiore della tibia posteriore privadi tale sperone (Tav. III A-B) 2

2 Ali anteriori membranose, mai coriacee. Secon-do segmento tarsale della zampa posteriore aestremità tronca o concava, provvista di unaserie di spine approssimativamente di ugualedimensione l’un l’altra 3

- Ali anteriori coriacee. Secondo segmento tarsa-le della zampa posteriore a estremità convessa,provvisto di sole due spine laterali principali

4

3 Vertice notevolmente allungato. Specie di colo-re verde o rosa di dimensioni piuttosto notevo-li, pari ad almeno 9 mm Dictyopharidae

- Vertice non o soltanto appena allungato. Colo-re di fondo nero; dimensioni variabili

Cixiidae

4 Ali anteriori molto inclinate, tettiformi e quasiverticali in posizione di riposo; corpo copertoda cere Flatidae

- Ali anteriori poco inclinate o comunque nontettiformi, ma dotate di una certa convessità.Corpo mai ricoperto da cere Issidae

Cicadomorpha:

1 Pronoto provvisto di una protuberanza spi-niforme, fortemente allungata all’indietro, finoa coprire parte dell’addome Membracidae

- Pronoto mai come sopra, semplice, semprecompreso tra vertice e mesonoto 2

2 Tibie posteriori provviste di almeno una spinafissa e di corone di spine all’estremità inferioredella tibia e dei primi due tarsomeri (Tav. III B)

3

- Tibie posteriori prive di spine fisse, fornite diuna o più serie di setae (Tav. III A)

4 (Cicadellidae)

3 Ali anteriori rosso-nere; vertice nero, chiara-mente più stretto del pronoto Cercopidae

- Ali anteriori mai colorate di rosso, solitamentebrune. Vertice raramente nero, tanto largoquanto il pronoto Aphrophoridae

4 Ali anteriori dotate di una sola nervatura tra-sversale e pertanto prive di celle subapicali. Spe-cie esili, di dimensioni modeste inferiori ai 4mm sf. typhlocibinae

- Ali anteriori dotate di ulteriori nervature tra-sversali cosicché l’ala è munita di almeno unacella anche in posizione subapicale. Specie soli-tamente più robuste 5

5 Suture laterali della faccia che raggiungono oappena oltrepassano le fosse antennali 6

- Suture laterali della faccia che oltrepassano net-tamente le fosse antennali (Tav. I A-C) 7

6 Apice del vertice formante un angolo ottuso;margine anteriore del pronoto più avanti delmargine anteriore degli occhi. Ali posterioricon 3 celle apicali sf. macropsinae

- Apice del vertice arrotondato; margine anterio-re del pronoto mai più avanti del margine ante-riore degli occhi. Ali posteriori con 4 celle api-cali sf. agallinae

7 Distanza tra gli ocelli minore della distanza trale antenne sf. cicadellinae

- Distanza tra gli ocelli uguale o maggiore delladistanza tra le antenne 8

8 Presenza di una ben distinta carena tra occhi eocelli sf. aphrodinae

- Area tra occhi e ocelli assolutamente priva dicarene sf. deltocephalinae

6.5 Appendice

Chiave dicotomica per il riconoscimento delle famiglie di cicaline più comunemente reperibili nell’agroecosistema vigneto

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7.1 Caratteristiche generalied eziologia della flavescenza dorata

Piero Attilio Bianco, Nazia Loi, Marta Martini, Paola Casati

La flavescenza dorata (FD) è una forma di gial-lume della vite, a forte carattere epidemico, causa-ta da fitoplasmi e trasmessa in natura dalla cicalinaScaphoideus titanus Ball. FD e le altre forme digiallume, come il legno nero (LN), mostrano unasintomatologia del tutto simile tra loro, rendendocosì impossibile riconoscerle solamente sulla basedei sintomi. Tuttavia alcune differenze sono ripor-tate in letteratura: nel caso di LN, ad esempio, ladiffusione della malattia in campo avviene in formameno epidemica rispetto a FD e interessa, spesso,piante isolate nel vigneto.

I primi sintomi di FD si osservano, su alcunevarietà, già nel mese di giugno, quando si notanodisseccamenti a carico dei grappolini appena forma-ti. In seguito, le foglie cominciano ad accartocciarsiverso il basso e, a partire dal mese di luglio, comin-ciano ad apparire le tipiche alterazioni del colore chespesso interessano solamente alcuni settori dellafoglia, includendo le nervature. Nelle varietà a baccabianca tali alterazioni sono di colore giallo brillante;in quelle a bacca rossa la colorazione, nelle fasi ini-ziali, è di intensità variabile, ma in autunno diventadi un rosso intenso. Va detto che alcune varietà co-me Cabernet Sauvignon e Moscato, mostrano undebole arrotolamento della lamina, talvolta appenaaccennato, anche nel mese di settembre.

Nei casi più gravi, alla ripresa vegetativa, sinotano gravi ritardi di germogliamento: la manca-ta lignificazione dei tralci, che rimangono elastici egommosi, conferisce quindi alla pianta un aspettoprostrato. I tralci, inoltre, restando verdi, sonoparticolarmente sensibili al gelo e necrotizzano:nel caso di attacco grave, i sintomi possono inte-

ressare l’intera pianta e le viti possono andareincontro a decesso, fenomeno che si rileva special-mente alla ripresa vegetativa.

I sintomi di FD si manifestano generalmentel’anno successivo a quello dell’infezione; qualora lepiante vengano inoculate precocemente oppure inregioni dal clima caldo, caratterizzate da una pro-lungata stagione vegetativa, essi compaiono nelcorso dello stesso anno.

FD è stata per lungo tempo ritenuta una malat-tia a eziologia virale come, del resto, altre fitopla-smosi. A partire dal 1972, allorché Caudwell e col-leghi dimostrarono che FD è una malattia causatada fitoplasmi, numerosi sono stati i tentativi pergiungere all’isolamento e alla coltivazione in vitrodell’agente responsabile. È stato però l’impiegodelle tecniche di biologia molecolare che ha per-messo di dimostrare che FD e LN sono associate afitoplasmi geneticamente differenti e che FD èassociata a fitoplasmi appartenenti a due sotto-gruppi tassonomici indicati come 16SrV-C e16SrV-D (Martini et al., 1999), entrambi riunitisotto il nome di Candidatus Phytoplasma vitis(IRPCM, 2004).

La caratterizzazione molecolare dei fitoplasmifinora individuati e l’assegnazione degli stessi a unadelle suddette categorie tassonomiche viene effet-tuata tramite l’amplificazione genica e la successivadigestione enzimatica del gene ribosomico 16S.

Più recentemente, l’analisi molecolare dei genihousekeeping rpl22-rps3, ha permesso di caratteriz-zare in modo più dettagliato i fitoplasmi responsa-bili della flavescenza dorata. Sulla base degli studicondotti su questi geni, in viti affette da FD, sonostati individuati, finora, quattro differenti sotto-gruppi rpV (ribosomal protein V). Di questi, rpV-D, rpV-F e rpV-G, appartengono al sottogruppo16SrV-C mentre rpV-E al sottogruppo 16SrV-D(Martini et al., 1999).

7. Flavescenza dorata

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Altri frammenti genici vengono ormai comune-mente utilizzati per la caratterizzazione molecola-re dei fitoplasmi che causano FD. Fra di essi il piùinteressante è il frammento non ribosomico deno-minato “fd9” che, recentemente, è stato identifi-cato come omologo di “SecY”, un gene che codi-fica la sintesi di una traslocasi di membrana. L’ana-lisi RFLP condotta su tale frammento ha permessodi identificare in vite, quattro sottogruppi: fd9-1,fd9-3 e fd9-4 (di cui fanno parte i fitoplasmi delsottogruppo 16SrV-C), e fd9-2, che si identificacon il sottogruppo 16SrV-D.

Sebbene in questi ultimi anni gli studi sull’e-ziologia di FD abbiano fornito preziose informa-zioni, molto resta ancora da indagare circa il ruolodei diversi fitoplasmi riscontrati finora in vite.

Infine, fra gli aspetti di FD che suscitano note-vole interesse vi è il fenomeno del risanamento dellepiante malate che a livello internazionale viene ri-portato con il termine “recovery”. Si tratta di uncomportamento osservato in misura frequente siain Francia che in Italia e riscontrato in misura diffe-rente in quasi tutte le varietà di Vitis vinifera.

7.2 Diagnosi Piero Attilio Bianco, Nazia Loi, Marta Martini, Paola Casati

La corretta e tempestiva diagnosi di una malat-tia è di cruciale importanza per prevedere e preve-nire l’insorgenza di epidemie; ciò è ancor più im-portante per quelle fitopatie per le quali non esi-stono validi strumenti di controllo diretto del pa-togeno responsabile. Questa osservazione è validaper tutte le fitoplasmosi, ma in particolare per FD,sia per la gravità dei danni che essa causa, sia perl’impossibilità di distinguerla (sulla base dei sinto-mi) da altre forme di giallume decisamente menogravi, poiché meno epidemiche.

In passato, proprio la rapidità con la quale lamalattia si è manifestata, è stato considerato unindizio della presenza di FD (Belli et al., 1984).Saggi di trasmissione sperimentale di FD, da vite avite, mediante S. titanus (Caudwell, 1971; Fortusi-ni et al., 1989; Carraro et al., 1994; Bianco et al.,2001; Mori et al., 2002) hanno permesso di accer-tarne l’eziologia. La necrosi dell’apice vegetativo egli ingiallimenti fogliari su viti Baco 22 A oppureChardonnay indicavano la presenza di FD; come ènoto infatti, LN e le altre forme di giallume nonvengono trasmesse da questo insetto.

È superfluo mettere in evidenza la complessitàdei saggi biologici, laboriosi e lenti, e spesso inaffi-

dabili: pertanto essi sono ormai ritenuti impropo-nibili per una diagnosi tempestiva di FD.

Come detto, grazie ai progressi compiuti nel-l’ultimo decennio dalla diagnostica fitopatologicasono oggi disponibili metodologie efficaci e affida-bili: si tratta di applicazioni della sierologia e dellabiologia molecolare, grazie alle quali, oggi, è pos-sibile verificare, nell’arco di qualche ora, la presen-za di fitoplasmi in vite e determinarne l’identitàmolecolare.

Va ricordato che per quanto riguarda l’Italia,tali informazioni sono di vitale importanza in rela-zione al quadro normativo vigente in materia dicontrollo di FD. Nelle regioni nelle quali la malat-tia è presente, è infatti obbligatorio combattere ilvettore attraverso opportuni trattamenti insettici-di, nonché eliminare rapidamente le piante malateche si trovino all’interno delle zone dichiarate“focolaio” della malattia (D.M. del 31 maggio2000, G.U. n. 159 del 10 luglio 2000).

Metodi sierologiciL’applicazione di test sierologici in una diagno-

si fitopatologica implica la disponibilità di antisierispecifici. Tali antisieri vengono definiti policlonalie si ottengono iniettando animali con antigenipurificati. Nel caso in cui non si riesca a purificarecompletamente l’antigene si può ricorrere alla piùcomplessa procedura di produzione di anticorpimonoclonali (Mabs).

Nel caso del fitoplasma, agente causale della fla-vescenza dorata (FDa), sono stati prodotti dal1982 sia anticorpi policlonali che monoclonali(Caudwell et al., 1982; Boudon-Padieu et al.,1989; Schwartz et al., 1989; Seddas et al., 1996).

Gli antisieri policlonali sono stati ottenutiimmunizzando conigli con purificati parziali diFDa da insetti Euscelidius variegatus e da pianteVicia faba infetti. Tali antisieri, pur necessitando diessere adsorbiti con materiale sano per aumentarela loro specificità, hanno permesso di visualizzare ilfitoplasma al microscopio elettronico (ISEM) e almicroscopio ottico a fluorescenza in ghiandolesalivari di insetti (Lherminier et al., 1989). Anti-corpi policlonali sono stati impiegati con successoanche in ELISA e DOT-BLOT per diagnosi di FDa insingoli Scaphoideus titanus raccolti in vigneti infet-ti e in materiale di fava infetto (Boudon-Padieu etal., 1989).

Tali antisieri policlonali non dettero però risulta-ti eclatanti per la diagnosi di FDa in vite. Successi-vamente le difficoltà vennero parzialmente superatecon l’ottenimento dei primi anticorpi monoclonali(Schwartz et al., 1989), con un miglioramento nella

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tecnica di campionamento, con l’utilizzo di un par-ticolare tampone di estrazione e con la concentra-zione dell’estratto (Caudwell e Kuszala, 1992).

Seddas et al. (1993; 1995; 1996), utilizzandol’immunoaffinità per la purificazione di notevoliquantità di FDa integro, ottennero un pool di Mabsspecifici che erano in grado di discriminare specifi-catamente FDa da EYa (Elm yellows), che appartieneallo stesso raggruppamento tassonomico.

Attualmente la Sediag s.a.s. (Dijon, France)commercializza un kit DAS-ELISA e un kit per l’IM-MUNOFLUORESCENZA per la diagnosi di FDa.

Il metodo DAS-ELISA prevede l’assorbimentoin piastra di una miscela di anticorpi policlonali emonoclonali per la cattura di FDa, l’utilizzo diMabs coniugati alla biotina, quindi di coniugati distreptavidin-fosfatasi e infine il complesso formato-si viene messo in evidenza dall’aggiunta di substra-to idoneo. L’estrazione di FDa da vite richiedeuno specifico tampone pH 8,2 costituito da TrisHCl, detergente Chaps e acido ascorbico.

L’IMMUNOFLUORESCENZA prevede la disidrata-zione del campione, il trattamento dello stessoprima con Mabs specifici per FDa, quindi con anti-corpi secondari coniugati con l’isotiocianato difluoresceina e infine l’osservazione al microscopioa fluorescenza.

Metodi molecolariI metodi di diagnosi che si basano sull’utilizzo

della tecnologia del DNA ricombinante si sonorivelati molto utili in quanto dotati di elevata sen-sibilità e specificità. Tali caratteristiche sono parti-colarmente appropriate nel caso della diagnosi deifitoplasmi della vite, notoriamente poco concen-trati all’interno dei tessuti della pianta ospite.

È altresì di vitale importanza la scelta del meto-do di estrazione degli acidi nucleici dal quale spes-so dipende il successo del saggio diagnostico stes-so. A questo proposito, il gruppo nazionale dilavoro sui fitoplasmi della vite, nel settembre del2001 ha condotto un saggio comparativo (ringtest) presso l’Istituto per la Patologia vegetale diRoma (ora CRA) del Ministero per le PoliticheAgricole e Forestali. Nel corso del ring test sonostati confrontati i risultati ottenuti utilizzando 3protocolli differenti. Due dei tre protocolli chehanno dato risultati analoghi si sono confermatiadatti alla diagnosi molecolare dei giallumi dellavite. Il primo metodo è quello proposto da Ahrense Seemüller (1992) e modificato da Barba et al.(1998) che prevede una fase iniziale di arricchi-mento dei fitoplasmi secondo Kirkpatrick et al.(1987), un’incubazione con CTAB buffer e succes-

sivamente un’estrazione con cloroformio/alcoolisoamilico (24:1).

Il secondo protocollo, messo a punto da Prin-ce e colleghi (1993), prevede diverse fasi di purifi-cazione che portano, con un procedimento piutto-sto lungo e complesso, all’ottenimento di DNA dialta qualità. Un terzo protocollo, estremamenterapido, semplice e di costo contenuto, ha fornitobuoni risultati sotto il profilo della sensibilità (Pa-squini et al., 2001). Purtroppo, questi metodi pre-vedono l’utilizzo di reagenti chimici molto tossicicome il fenolo e il cloroformio e, spesso, ciò rap-presenta un serio ostacolo alla loro introduzionenella diagnostica fitopatologica su larga scala.

Negli ultimi anni, tuttavia si sta rapidamentediffondendo l’impiego di kit commerciali per l’e-strazione di acidi nucleici da matrici vegetali. Que-sti prodotti, che recentemente vengono propostianche a costi contenuti, vengono apprezzati per larapidità e la semplicità di esecuzione nonché perl’assenza di sostanze tossiche.

Per quanto riguarda la preparazione del cam-pione fogliare è necessario procedere all’isolamentodelle nervature principali dalle foglie sintomatichecon lo scopo di aumentare la concentrazione delDNA del patogeno all’interno dell’estratto. I risul-tati migliori si ottengono effettuando l’estrazionedel DNA a partire da foglie sintomatiche appenaraccolte.

Ibridazione molecolare L’ibridazione molecolare si basa sull’utilizzo di

sonde, ovvero di sequenze nucleotidiche marcatecon fosforo radioattivo (sonde calde) oppure conbiotina o digossigenina (sonde fredde). La reazionedi riconoscimento (ibridazione) da parte della sondadi una sequenza omologa presente nell’estratto diDNA in saggio, indica la presenza di fitoplasmi nellavite dalla quale l’estratto è stato ottenuto.

Presso i laboratori di ricerca italiani ed esterisono disponibili sonde specifiche per l’individua-zione dei fitoplasmi della vite. Il loro impiego si èrivelato soddisfacente per l’individuazione di fito-plasmi in piante erbacee, ma sicuramente menoadatto per il rilevamento dei fitoplasmi che infetta-no le piante arboree e in particolare la vite.

I risultati più rilevanti per la diagnosi di FDmediante sonde molecolari sono stati ottenuti daDaire et al. (1992) utilizzando come sonda fram-menti specifici (per il fitoplasma agente di FD) diDNA marcato radioattivamente. Queste sonde sonostate usate in esperimenti di “dot blot” (ibridazionea macchia) su campioni di vite da campo, ma a causadel basso titolo dei fitoplasmi in questa pianta, èstato necessario effettuare laboriose operazioni di

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arricchimento degli estratti prima di sottoporli aibridazione. Inoltre, questa tecnica che può essereutilizzata per la diagnosi di altre forme di giallumedella vite (Del Serrone et al., 1995) è stata impiega-ta in combinazione con PCR ottenendo così apprez-zabili livelli di sensibilità (vedi paragrafo successivo).

PCR (Polymerase Chain Reaction)L’introduzione della tecnica PCR ha portato

notevoli vantaggi per l’individuazione dei fitopla-smi in vite e in particolare di quelli responsabili diFD. Si tratta infatti di una tecnica estremamenteefficiente, in grado di rilevare piccole quantità diDNA e di mettere in evidenza differenze nel geno-ma dei diversi fitoplasmi. La specificità nel rileva-mento di tali differenze viene ulteriormente mi-gliorata attraverso l’analisi del polimorfismo dellalunghezza dei frammenti di restrizione nota comeRFLP (Restriction Fragment Lenght Polymorphism).

LA PCR è una tecnica che permette di amplificareun tratto di DNA compreso tra due “primers” (ini-ziatori di reazione) a sequenza nota, che si ibridanoa un tratto specifico di DNA con sequenza a essocomplementare. Il tratto di DNA compreso tra i dueprimers viene moltiplicato esponenzialmente nelcorso della reazione grazie alla quale il DNA “bersa-glio” viene ciclicamente sintetizzato ex novo dandoorigine così a un frammento genico identico a quel-lo utilizzato come stampo. Tale reazione di sintesi opolimerizzazione del DNA è condotta da un enzimaparticolare, chiamato Taq DNA polimerasi (da Ther-mus aquaticus). La specificità di tale sintesi è assicu-rata dalla presenza, nella miscela di reazione, dei sud-detti primers che indirizzano l’azione dell’enzimaTaq polimerasi: ovviamente, nel caso dei fitoplasmidella vite ciò avviene solamente quando tali primersriconoscono una sequenza genica appartenente alfitoplasma corrispondente. In pratica questa tecnicaè in grado di produrre un numero così alto di copiedi DNA relativo al fitoplasma individuato che, anchenel caso in cui questo sia presente in bassa concen-trazione, esso possa essere individuato.

I primers utilizzati per la diagnosi di FD posso-no essere distinti in primers universali e specifici. Iprimi sono in grado di amplificare un tratto di DNA

di tutti i fitoplasmi, i secondi, invece, amplificanoun tratto di DNA specifico dei fitoplasmi apparte-nenti al gruppo tassonomico per il quale i primerssono stati appositamente disegnati.

I primers utilizzati nella diagnosi di FD, citati inseguito, sono riportati in tab. 1.

Attualmente l’identificazione dei fitoplasmi sibasa soprattutto sulle informazioni relative allasequenza del gene ribosomico 16S. Per quantoriguarda i fitoplasmi della vite è necessario proce-

dere a saggi di nPCR (nested PCR), tecnica che pre-vede un secondo ciclo di PCR utilizzando primersche ibridano internamente alla sequenza amplifica-ta in PCR diretta (primo ciclo di PCR).

In PCR diretta viene solitamente usata la coppiadi primers universali P1/P7 (Deng e Hiruki, 1991;Schneider et al., 1995), che amplifica una porzio-ne dell’operone ribosomico che si estende dall’e-stremità 5' del gene codificante il 16S rRNA all’e-stremità 5' del gene codificante il 23S rRNA, inclu-dendo la regione spaziatrice.

In nPCR vengono invece usate coppie di pri-mers specifici per il gruppo tassonomico a cui ap-partiene il fitoplasma di FD, il gruppo del giallumedell’olmo indicato con 16SrV.

Le coppie di primers specifici maggiormenteusate sono: R16(V)F1/R16(V)R1 (Lee et al., 1994)che amplifica una porzione del gene 16S rDNA e lacoppia di primers fB1/rULWS1 (Smart et al.,1996) che amplifica il gene 16S rDNA e parte dellaregione spaziatrice.

La nPCR può essere condotta anche con pri-mers universali come R16F2/R16R2 (Lee et al.,1995) – e ora anche con i primers R16F2n/R16R2(Gundersen e Lee, 1996) – che amplificano unaporzione del gene ribosomico 16S rDNA ma, inquesto caso, si deve procedere ad analisi RFLP peridentificare il gruppo tassonomico di cui fa parte ilfitoplasma associato a FD, rappresentato dal grup-po del giallume dell’olmo. Quest’analisi RFLP vie-ne normalmente condotta con l’enzima di re-strizione MseI (Lee et al., 1998) e i frammenti pro-dotti dalla digestione enzimatica vengono visualiz-zati attraverso una elettroforesi verticale con gel dipoliacrilammide al 5%.

Sulla base del gene 16S rDNA è inoltre possibiledistinguere FD dagli altri fitoplasmi che appartengo-no allo stesso gruppo tassonomico mediante analisiRFLP condotta con l’enzima BfaI (Lee et al., 1998)sui prodotti di PCR ottenuti in nPCR con i primersgruppo specifici R16(V)F1/R16(V)R1 o universaliR16F2/R16R2. Con la stessa tecnica è stata anchepossibile una prima differenziazione dei ceppi di FDin due sottogruppi diversi indicati con 16SrV-C e16SrV-D usando l’enzima TaqI, il cui sito di restri-zione, che permette la distinzione dei due sotto-gruppi, si trova nell’estremità 3' del gene 16S rDNA

(Martini et al., 1999; Lee et al., 2004).Altri geni sono stati usati recentemente per la

diagnosi e la differenziazione di ceppi di FD: i genicodificanti le proteine ribosomiche L22 ed S3 e ilgene SecY che codifica la sintesi di una traslocasi dimembrana. Per amplificare i geni codificanti per leproteine ribosomiche si possono usare due saggi dinPCR che usano entrambi la coppia di primers

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rpVF1/rpR1 in PCR diretta, seguita in un caso dallanPCR con i primers rpVF2/rpR1 (Lee et al., 1998;Martini et al., 2002) e nell’altro caso dalla nPCR

con i primers rpVF1A/rpVR1A (Lee et al., 2004).Anche per l’amplificazione del gene SecY è

stato messo a punto un saggio di nPCR che preve-de l’utilizzo in PCR diretta della coppia di primersdenominati FD9f2/FD9r seguita, in nPCR, daiprimers FD9f3/FD9r2 (Daire et al., 1997; Ange-lini et al., 2001).

Entrambi i protocolli descritti utilizzano coppiedi primers specifici per il gruppo del giallume del-l’olmo, a cui appartengono i fitoplasmi responsabi-li di FD.

Sulla base delle informazioni ottenute attraversol’analisi dei geni rpl22-rps3, all’interno del sotto-gruppo 16SrV-C sono stati individuati 3 diversi sot-togruppi rpV: rpV-D, rpV-F, rpV-G; mentre il sot-togruppo 16SrV-D corrisponde al sottogrupporpV-E. Per quanto riguarda invece l’analisi svolta

sugli amplificati del frammento fd9 (che contiene ilgene SecY), anche in questo caso è stato possibiledistinguere i ceppi di FD appartenenti al sottogrup-po 16SrV-C in più sottogruppi indicati con FD9-1,FD9-3, FD9-4, mentre il sottogruppo 16SrV-D èstato identificato con il sottogruppo FD9-2.

I primers relativi alla regione genica fd9 sonostati impiegati anche in esperimenti di PCR multipla(multiplex PCR) insieme a primers non ribosomicispecifici per LN. Più precisamente le coppie di pri-mers FD9f/FD9r e STOL11f2/STOL11r1 sonostate usate in PCR diretta, a cui hanno fatto seguitole coppie di primers FD9f3b/FD9r2 e STOL11f3/STOL11r2 in nPCR (Clair et al., 2003).

Come accennato nel paragrafo precedente, perla diagnosi di FD sono stati messi a punto alcuniprotocolli nei quali il prodotto di PCR viene sotto-posto a una reazione di ibridazione mediante sondemarcate. In sintesi, si tratta di utilizzare come DNA

bersaglio per l’ibridazione molecolare il prodotto

Tab. 1 - Elenco di primers e sonda con le relative sequenze, localizzazioni genomiche

e citazioni bibliografiche utilizzati nella diagnosi di FD

Primer Sequenza 5'-3' Localizzazione genomica Bibliografia

P1* aagagtttgatcctggctcaggatt 16S rDNA Deng e Hiruki, 1991

P7* cgtccttcatcggctctt 23S rDNA Schneider et al., 1995

R16F2* acgactgctaagactgg 16S rDNA Lee et al., 1995

R16F2n**** gaaacgactgctaagactgg 16S rDNA Gundersen e Lee, 1996

R16R2* tgacgggcggtgtgtacaaaccccg 16S rDNA Lee et al., 1995

R16(V)F1** ttaaaagaccttcttcgg 16S rDNA Lee et al., 1994

R16(V)R1** ttcaatccgtactgagactacc 16S rDNA Lee et al., 1994

fB** gacccttcaaaaggtcttag 16S rDNA Smart et al., 1996

rULWS1** cgtcttttatataagagaaaca Regione spaziatrice Smart et al., 1996

rpVF1** tcgcggtcatgcaaaaggcg Operone proteine ribosomiche Lee et al., 1998

rpR1* acgatatttagttctttttgg Operone proteine ribosomiche Lee et al., 1998

rpVF2** ttgcctcgtttatttccgagagcta Operone proteine ribosomiche Lee et al., 1998

rpVF1A** aggcgataaaaaagtttcaaaa Operone proteine ribosomiche Lee et al., 2004

rpVR1A** ggcattaacataatatattatg Operone proteine ribosomiche Lee et al., 2004

FD9f** gaattagaactgtttgaagacg Non ribosomico Daire et al., 1997

FD9r** tttgctttcatatcttgtatcg Non ribosomico Daire et al., 1997

FD9f2** gctaaaggtgatttaac Non ribosomico Angelini et al., 2001

FD9f3** ggtagttttatatgacaag Non ribosomico Angelini et al., 2001

FD9f3b** taataaggtagttttatatgacaag Non ribosomico Angelini et al., 2001

FD9r2** gactagtcccgccaaaag Non ribosomico Angelini et al., 2001

F1024*** gtgagatgttaggttaagtcctaaaacga 16S rDNA Bianco et al., 2004

R1112*** ttggcagtctcgctaaagtcc 16S rDNA Bianco et al., 2004

iProbe*** aacccctgtcgctagttgccagc 16S rDNA Bianco et al., 2004

Si distinguono: * primers universali per i fitoplasmi

** primers gruppo specifici (16SrV, gruppo del giallume dell’olmo)

*** primers e sonda TaqMan® per real-time PCR

**** primers universali dei quali si consiglia l’utilizzo.

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PCR, ottenuto mediante primers specifici (Bianco etal., 1993; Bianco et al., 1996; Boarino et al., 2001)oppure primers universali (Firrao et al., 2000).

I protocolli diagnostici più diffusi ormai utiliz-zano le tecniche di PCR che, attuata con opportunevarianti, permette di ottenere risultati altamenteaffidabili, raggiungendo livelli di sensibilità note-volmente più alti rispetto a quelli ottenuti con altremetodologie come l’ELISA o l’ibridazione moleco-lare stessa. La PCR è in grado di rilevare la presen-za di quantità di acido nucleico “bersaglio” pari apochi femtogrammi (10-12 mg): sebbene livelli disensibilità così elevati, nel caso della diagnosi deifitoplasmi della vite, siano per ora difficilmenteraggiungibili, la PCR è da considerare una tecnicamolto affidabile benché ancora piuttosto costosa.

Metodi diagnostici innovativi La ricerca in campo diagnostico, come eviden-

ziato nei paragrafi precedenti, negli ultimi 10anni, ha prodotto notevoli risultati. Fra le innova-zioni più significative troviamo la “Real-timePCR”. Essa si basa sull’utilizzazione di un sistemacombinato di reazioni la prima delle quali è,appunto la PCR, seguita dall’ibridazione da partedi una sonda, di poche decine di basi, alla qualevengono legate molecole fluorogeniche, dettefluorofori (tab. 1). La funzione dei fluorofori è disegnalare il riconoscimento da parte della sonda,del frammento di DNA appartenente al fitoplasmaper il quale sono state designate. Sebbene questatecnica venga utilizzata da anni in altri settori delladiagnostica, solo recentemente essa è stata utiliz-zata per la diagnosi delle fitoplasmosi della vite(Bianco et al., 2002; Marzachì et al., 2003). L’u-tilizzo di questa tecnica, una volta messa a puntoper la diagnosi di FD, presenta numerosi vantaggifra i quali la maggiore rapidità del saggio e la pos-sibilità di rilevare con precisione il risultato otte-nuto grazie a un apposito lettore spettrofotome-trico, accoppiato al termociclatore, il quale rilevae misura, in tempo reale, la presenza del segnalefluorimetrico (Bianco et al., 2004).

Inoltre, fra le tecnologie innovative degne diattenzione, troviamo la microibridazione su suppor-to solido (DNA microarray), utilizzata in via speri-mentale per la diagnostica in campo umano e, direcente, utilizzata proprio per l’identificazione e lacaratterizzazione dei fitoplasmi di FD (Frosini et al.,2002; Bianco et al., 2003).

Si tratta di una “nanotecnologia” molto pro-mettente che per ora, viene utilizzata esclusivamen-te nei laboratori di ricerca. Al contrario di quantoaccade nell’ibridazione su membrana (vedi para-grafo precedente), con questa tecnologia è la sonda

a essere immobilizzata su un supporto solido, dipiccole dimensioni (vetro o microchip di silice). Ladeposizione delle sonde viene eseguita da appositistrumenti i quali, con estrema precisione e accura-tezza, ne possono deporre un numero molto alto(parecchie centinaia) su superfici molto limitate(pochi centimetri quadrati). Il saggio consiste nel“confrontare” l’estratto di DNA di viti da saggiarecon le sonde in precedenza depositate sul micro-chip; esse vengono scelte in modo che contenganotutte le informazioni atte a identificare i fitoplasmiriscontrati. Qualora una o più sonde riconoscanosequenze a esse omologhe, eventualmente presentinei campioni di vite in saggio, un segnale emesso damolecole fluorogeniche preventivamente legate alDNA bersaglio, indica l’avvenuta reazione. Poiché lesonde vengono deposte sul supporto solido in basea uno schema prestabilito, il segnale indica anche lalocalizzazione della reazione stessa consentendocosì di individuare quale sonda sia coinvolta nellareazione di ibridazione. Un apposito scanner è ingrado di trasmettere questo segnale a un computerche, grazie a opportuni programmi di bioinforma-tica, giunge alla determinazione precisa del fitopla-sma riscontrato (Bianco et al., 2003).

I vantaggi che l’impiego di questa nanotecnolo-gia potrebbe apportare alla diagnosi di FD e dellealtre forme di giallume sono molteplici, il primo deiquali è legato alla possibilità di standardizzare ilprocedimento diagnostico. Un ulteriore vantaggioè rappresentato dalla rapidità con la quale il saggiomicroarray potrebbe fornire informazioni precise edettagliate ottenibili solamente mediante il sequen-ziamento genico, una tecnica difficilmente utilizza-bile per la diagnosi su larga scala.

È però doveroso riconoscere che l’ostacolo piùforte all’impiego di queste tecnologie, con partico-lare riferimento a quella microarray, resta l’eccessi-vo costo delle attrezzature richieste e dei reagentinecessari per lo svolgimento dei saggi.

È pertanto auspicabile che vengano sostenutele ricerche volte a migliorare queste tecnologie conlo scopo di individuare materiali e protocolli affi-dabili e meno costosi.

La diagnostica di laboratorio, come qui presen-tato, ha compiuto notevoli progressi nel corsodegli ultimi anni permettendo di individuare tem-pestivamente e riconoscere con precisione i fitopla-smi che infettano la vite.

È evidente altresì, che molto ancora resta dafare affinché queste metodologie vengano piùampiamente utilizzate nei laboratori di certifica-zione sanitaria, per l’adempimento delle norme diquarantena nonché per la verifica della sanità delmateriale vivaistico.

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7.3 Epidemiologia della flavescenza dorata della vite

Luigi Carraro

Diffusione della flavescenza dorataL’areale di diffusione della flavescenza dorata

della vite (FD) è confinato al continente europeo.La malattia venne segnalata e descritta per la primavolta in Francia (Caudwell, 1957), ove causò danninotevoli nelle aree viticole della Guascogna. Nel1970 venne riportata per la Corsica (Bagard,1987), ove pare sia stata introdotta nei primi annisessanta in seguito a una importazione massiva dimateriale per innesto e barbatelle di vite dal conti-nente francese. In seguito venne riscontrata intutte le aree viticole del Sud-Ovest della Francia(Borgogna, Jura, Garonna, versante francese deiPirenei e bassa valle del Rodano) (Caudwell, 1993).Oltre alla Francia, FD è presente in Spagna (Cata-logna) (Battle et al., 2000), Serbia (Duduk et al.,2004) e Italia.

In Italia, negli anni sessanta, fu segnalata unamalattia del tutto simile a FD in alcuni vigneti del-l’Oltrepò pavese (Belli et al., 1973); nella stessazona venne anche rilevata la presenza del vettore(Osler et al., 1975). All’epoca non esistevano mezzidiagnostici per differenziare i diversi giallumi dellavite; per accertare la presenza di FD era quindinecessario trasmettere il suo agente causale median-te il vettore Scaphoideus titanus, come stabilitodurante il 10th Meeting of ICVG (InternationalCouncil for the Study of Viruses and Virus Diseases ofthe Grapevine) tenutosi a Volos, in Grecia, nel1990. La prova della presenza di FD in Italia puòessere quindi fatta risalire al 1989, grazie alle ricer-che fatte da Fortusini et al. In seguito, altri autoriconfermarono la presenza della fitoplasmosi nelNord Italia, sia mediante trasmissioni sperimentali(Carraro et al., 1994; Mori et al., 2000; Bianco etal., 2001), sia attraverso varie tecniche diagnosticheche nel frattempo erano state sviluppate. Grazie aqueste ultime, il quadro attuale della presenza diFD in Italia è chiaro e costantemente aggiornato.

La malattia è presente in tutto il Nord Italia edè in fase di espansione; di essa sono noti ceppidiversi che sembrano avere una differente distribu-zione geografica (Martini et al., 1999). Dopo lemanifestazioni epidemiche verificatesi in Venetoalla fine degli anni ottanta, FD si è diffusa: a ovest,raggiungendo il Piemonte e la Liguria; a est, nelFriuli-Venezia Giulia; a nord, nel Trentino; a sud,nell’Emilia-Romagna, Marche e Toscana. È impor-tante sottolineare il fatto che l’areale di presenzadella malattia è inferiore a quello del suo vettore;infatti esistono aree, sia in Italia che in Europa, in

cui è presente S. titanus, ma non ancora FD. Èproprio in tali aree a rischio (per esempio, partedella Toscana, Friuli-Venezia Giulia o – in Europa– Slovenia, Croazia e Portogallo) che l’azione dilotta preventiva alla malattia deve essere particolar-mente attenta.

Trasmissione dell’agente causale della flavescenza dorataSchvester et al. (1961) dimostrarono che l’a-

gente causale di FD è trasmissibile a mezzo dellacicalina Scaphoideus littoralis (ora S. titanus). Inseguito, numerosi altri lavori sperimentali hannoconfermato la capacità vettrice di tale specie. Lericerche fatte non hanno evidenziato finora l’esi-stenza di altri vettori del fitoplasma. S. titanus puòraggiungere livelli di infettività superiori al 30%(Boudon-Padieu et al., 1989) e può quindi essereconsiderato un vettore efficiente. Studi particola-reggiati sui parametri di trasmissione (acquisizione,latenza, inoculazione, ritenzione) non sono staticondotti; nonostante ciò, è da tempo noto che devetrascorrere un periodo di circa un mese fra acquisi-zione del patogeno e sua possibile inoculazione(Caudwell e Larrue, 1986). Questo significa che, aseguito di acquisizioni precoci (come nel caso di S.titanus nato su viti infette), il periodo di rischio ditrasmissione del fitoplasma in un vigneto iniziaquando il vettore ha raggiunto il V stadio pre-immaginale. A livello sperimentale sono note altredue specie, Euscelidius variegatus ed Euscelis ple-bejus (ora E. incisus) in grado di trasmettere il fito-plasma di FD (Caudwell et al., 1972). Tali specie,impiegate in condizioni controllate per trasmissionisu ospiti erbacei quali la fava, possono essere consi-derate vettori sperimentali del fitoplasma.

Oltre che per vettore animale, l’agente causale diFD può essere trasmesso o, più propriamente, pro-pagato mediante innesto. Recentemente è statodimostrato che, impiegando marze prelevate da vitiinfette, l’efficienza di propagazione di FD medianteinnesto al tavolo può raggiungere il 16%; l’efficien-za di propagazione varia a seconda della cultivarimpiegata (Osler et al., 2002). Nello stesso esperi-mento si è inoltre dimostrato che, prelevando ilmateriale per l’innesto da vigneti “standard” (vigne-ti a bassa incidenza di FD) e avendo cura di esclu-dere dal prelievo le viti sintomatiche, l’efficienza dipropagazione scende notevolmente, raggiungendovalori massimi del 4‰. Ne consegue che gli scoppiepidemici di FD che si sono verificati e ancora siverificano nelle zone viticole non sono da imputaredirettamente a piante di vite provenienti già infettedal vivaio. Con questo non si esclude affatto che si

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possa imputare al vivaismo (o al trasporto di mate-riale vegetale) la responsabilità di diffondere la ma-lattia anche ad aree lontane. In questo caso, anchepoche o pochissime viti infette, possono innescaresuccessive epidemie locali. Ovviamente, questo suc-cede se in zona sono presenti contemporaneamentesorgenti di inoculo e vettori attivi.

Piante ospiti della flavescenza dorataIn quasi cinquanta anni di ricerche condotte su

FD si è evidenziato che il ciclo epidemiologicodella malattia è strettamente confinato al binomiovite/S. titanus. La vite è la pianta ospite naturaledel fitoplasma; nel ciclo epidemiologico dellamalattia, svolge quindi il doppio ruolo di sorgen-te di inoculo e di pianta ricevente. Nell’ambito deivitigni coltivati sono noti differenti gradi disuscettibilità e sensibilità a FD. Tali differenze tracultivar sono spesso valutate mediante osservazio-ni di campo. Questo metodo, indubbiamente vali-do, non è però sufficiente. Il confronto dell’inci-denza, della frequenza e della gravità dei sintomidi FD su piante della medesima cultivar, allevateperò in condizioni diverse, non può essere consi-derato universalmente valido. Sulle infezioni dicampo, infatti, possono intervenire e interferirevari fattori, non sempre quantificabili; tra essisono da ricordare, ad esempio, la combinazione diinnesto, la presenza di differenti ceppi di FD, idiversi cloni della medesima cultivar di vite, l’etàdelle piante, i fenomeni di recovery, la pressione diinfezione, la presenza di altri patogeni (oltre aFD), i parametri climatici, l’azione dell’uomo(potature, trattamenti insetticidi, concimazioni,forme di allevamento). Tali fattori possono inci-dere sia sul grado di diffusione di FD, sia sull’e-spressione dei sintomi della malattia stessa. Stabi-lire la suscettibilità e sensibilità di una cultivar(percentuale di piante infette e gravità dei sinto-mi) solo in base alle osservazioni di campo puòquindi non essere sufficiente sotto il profilo speri-mentale. Quello che ancora manca è un metodoefficiente di trasmissione del fitoplasma di FD; unmetodo cioè che permetta di effettuare provecomparative di suscettibilità e sensibilità, impie-gando cultivar diverse allevate in ambienti omo-genei o controllati. Per ora è quindi difficile stila-re una graduatoria di suscettibilità e di sensibilitàa FD delle diverse cultivar di vite in base alle osser-vazioni di campo. Si può solo affermare che lamalattia interessa sia cultivar bianche che rosse eche alcune di esse (per esempio, Chardonnay)dimostrano costantemente sintomi gravi. Per altre

sono noti fenomeni di recovery (per esempio, cvProsecco) e per altre ancora sono note infezioniquasi sempre letali (per esempio, cv Perera).

Un altro aspetto non sufficientemente indaga-to in ambiente epidemiologico è il comportamen-to del portinnesto. Le osservazioni vengono infat-ti effettuate nella gran parte dei casi solo sulla cul-tivar produttrice, dimenticando che la vite è quasisempre una pianta bimembre. Anche dopo l’av-vento delle moderne tecniche diagnostiche, lostudio di FD a livello del portinnesto è stato tra-scurato. Non si sa, ad esempio, se e quanto i diver-si portinnesti sono suscettibili alla malattia, sesono ospiti asintomatici, se e quanto sono ingrado di trasmettere l’infezione alla marza, sevanno incontro a fenomeni di recovery etc. Anchein questo caso, l’assenza di un metodo di trasmis-sione del fitoplasma di FD efficiente rende diffici-le questo tipo di studi.

Accanto alla vite che, per quanto detto, è lapianta ospite elettiva di FD, sono note altre pianteche possono essere infettate dal fitoplasma. Alcune– come la fava, il crisantemo carinato e la pervinca– sono ospiti sperimentali. Un’altra specie (Clema-tis vitalba) potrebbe svolgere un ruolo concretonel ciclo della malattia. È stato infatti recentemen-te dimostrato che tale specie, raccolta nelle vici-nanze di un vigneto infetto, ospitava il fitoplasmadi FD (Angelini et al., 2004). Tuttavia, allo statoattuale delle conoscenze, il ruolo di tale piantanella diffusione della malattia non è ancora noto;non si sa cioè se è un ospite finale o se può funge-re da riserva e sorgente d’inoculo del fitoplasma.

ConsiderazioniLa flavescenza dorata, come tutte le fitoplasmo-

si, è una malattia tipicamente epidemica. In parti-colari situazioni – contemporanea presenza di vet-tori, di piante infette sorgenti di inoculo e di pian-te ospiti suscettibili – tale fitopatia può diffondersirapidamente. Questo aspetto è particolarmenteaccentuato perché: a) la vite è una coltura a ciclopoliannuale e risulta quindi ripetutamente espostaall’azione dei vettori; b) la trasmissione del suoagente causale è persistente e quindi il vettore rima-ne infettivo per lunghi periodi; c) il vettore è effi-ciente, strettamente ampelofago e può quindi infet-tare molte viti, anche nel corso di una sola stagio-ne. Appare quindi evidente che le rapide diffusionilocali di FD sono attribuibili all’azione di S. titanus.Tale alta epidemicità fu osservata già nei primi studicondotti da Caudwell e confermata successivamen-te dallo stesso autore, che calcolò – in vigneto – un

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fattore di incremento annuo di viti infette pari a 7(Caudwell e Larrue, 1986). A tale diffusione loca-le, con lenta ma costante conquista di nuovi terri-tori contigui, si affianca quella innescata dall’azioneantropica, mediante il trasporto a lunga distanza dimateriale infetto. Ciò può causare la presenza dinuovi focolai (infezioni primarie) in aree anchedistanti fra loro. È quanto può essere successo nellarecente epidemia segnalata in Serbia dove, attornoall’area interessata dalla malattia, esiste un’ampiazona indenne da FD o non coltivata a vite.

In assenza di adeguate misure di lotta, sonoquindi possibili scoppi epidemici di FD, stretta-mente correlati alla contemporanea presenza divettori, sorgenti di inoculo e piante ospiti suscetti-bili. Per evitarli, gli interventi devono mirare ainterrompere il ciclo epidemiologico della malattiaintervenendo sul vettore (per esempio, trattamen-ti insetticidi), sulle sorgenti di inoculo (per esem-pio, eradicazione dei primi focolai) e sugli ospitisuscettibili (per esempio, “sfruttamento” del reco-very). Chiaramente gli interventi devono esserecoordinati, continuativi e soprattutto devono tene-re conto della fase epidemica raggiunta al momen-to in cui vengono attuati.

Considerando la situazione italiana, si può cer-tamente affermare che la flavescenza dorata costi-tuisce un pericolo grave per la viticoltura. In pocopiù di un decennio, la malattia ha conquistatoampi territori tanto che in alcuni di essi può giàessere definita come malattia endemica, cioè infeu-data e stabilizzata nel territorio e caratterizzata daincidenze e frequenze variabili solo nello spazio. Intali aree, la malattia può essere quindi controllatama non eradicata, se non convertendo la coltiva-zione della vite.

Anche se la lotta, necessariamente preventiva,viene applicata correttamente e con tutte le risorsepossibili e conosciute, è comunque sempre moltodifficile arrestare una malattia di questo tipo, se giàin atto. L’azione dell’uomo può ritardare la com-parsa della malattia in determinate aree e spessocontenerne i danni, ma è più difficile evitarne l’in-sediamento. Fanno testo le epidemie di scopazzidel melo in varie zone del Nord Italia, di moria delpero, di giallume europeo delle drupacee.

In questo quadro, indubbiamente preoccupan-te, alcuni fatti sono tuttavia di conforto. Il primo èche i viticoltori, il vivaismo e la ricerca sono inte-ressati e attivi nel contrastare la malattia; il secon-do è che, per analogia con altre malattie simili, auna fase epidemica esponenziale, segue spesso unafase “calante”. È quanto già si osserva in alcunearee del Veneto e della Lombardia, ove le percen-

tuali di piante sintomatiche (e spesso anche la gra-vità dei sintomi) decrescono di anno in anno(Osler et al., 2002; Bianco P.A., comunicazionepersonale). Le motivazioni di questo andamentonon sono ancora chiarite. L’unico dato certo è chele viti possono andare incontro a fenomeni di reco-very, cioè alla scomparsa spontanea dei sintomi(Caudwell, 1961). Questo fenomeno, facilitato daitrattamenti contro il vettore che riducono le con-tinue reinfezioni alle piante, permette spesso dipoter convivere con la malattia. Si può quindiaffermare che la FD è sempre molto grave nellezone di nuovo insediamento (se non adeguata-mente contrastata), ma che col tempo tende a esse-re meno preoccupante.

Il fatto che più deve allarmare è quindi rappre-sentato dalla possibilità di diffusione di FD innuovi territori: in particolare le aree, esenti da FD,ma ove il vettore S. titanus è stato già segnalato. Intali aree, la lotta preventiva deve essere assoluta-mente applicata, con interventi che tengano contodi tutte le conoscenze che sino a ora si hanno sul-l’epidemiologia della malattia. Il livello di guardiadeve essere sempre alto; solo in questo modo sipotranno minimizzare i danni che la flavescenzadorata può arrecare alla viticoltura.

7.4 Misure di controlloRuggero Osler

La lotta contro FD è basata su interventi e stra-tegie di tipo preventivo. Questi interventi sonodiretti essenzialmente verso a) la pianta e il vigne-to e b) il vettore responsabile della diffusione delfitoplasma causale. Gli interventi, in pratica, siapplicano in modo integrato.

In questo lavoro, si è tuttavia preferito suddi-videre l’argomento in due paragrafi separati, conl’intento di semplificarne la stesura e la compren-sione. Pertanto, si inizia attraverso l’illustrazionedelle strategie e delle misure da adottare in variesituazioni epidemiologiche, e delle problematicheconnesse con il vivaismo e il risanamento median-te termoterapia; si affronta quindi l’articolatoargomento della lotta contro il vettore di FD, trat-tando dei principi attivi, delle strategie di lottainsetticida, dell’influenza di operazioni agronomi-che sullo sviluppo di Scaphoideus titanus.

La descrizione di Scaphoideus titanus e del suociclo è presentata in una precedente sezione diquesta pubblicazione.

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7.4.1 Prevenzione e contenimento

della flavescenza dorata

Carlo Frausin

Aspetti generaliÈ noto che in natura la flavescenza dorata della

vite (FD) viene trasmessa da vite a vite a mezzo del-l’insetto Scaphoideus titanus Ball, vettore epigeoalato, mobile, molto efficiente, praticamente mono-fago su vite, con un’unica generazione all’anno(Schvester et al., 1961). Altra possibile via di diffu-sione di FD è quella a opera dell’uomo, mediante lapropagazione di materiale vegetativo infetto. È statocomunque verificato che l’efficienza della propaga-zione di FD per innesto è molto bassa. Attraversotale via è pertanto possibile la diffusione di FD agrande distanza, ma i casi epidemici non possonovenir attribuiti direttamente al materiale vivaistico(Pavan et al., 1997b; Osler et al., 2002).

A differenza di quanto avviene per altri giallu-mi della vite (GY), la conoscenza delle vie di diffu-sione di FD facilita la messa a punto delle azioni diprevenzione e di contenimento della malattia. Esseconsistono essenzialmente nella lotta contro il vet-tore e nell’eventuale eliminazione delle fonti diinoculo costituite dalle piante infette. Inoltre, deveessere assicurato l’utilizzo di materiale vivaisticonon infetto. Tali azioni, concettualmente moltosemplici, nella pratica applicazione trovano perònumerosi ostacoli. Innanzitutto, importante è lanotevole efficienza del vettore S. titanus capace direndere rapidissima, quando non viene adeguata-mente controllato, la diffusione di FD in un vigne-to o anche in interi comprensori vitati, specialmen-te nel caso di continuità della coltivazione viticola.

L’impossibilità di distinguere, sulla base dellasola osservazione dei sintomi, le viti affette da FDda quelle interessate da altri GY (legno nero =LN/BN e altri), con comportamento epidemiolo-gico anche molto diverso, è un ulteriore fattoreche accresce le difficoltà d’intervento (Belli et al.,1994). Una diagnosi specifica è possibile solo conil ricorso ad analisi di laboratorio.

La manifestazione dei sintomi, inoltre, non ècostante per cui è possibile avere piante infette nonsintomatiche. I sintomi si possono manifestare perla prima volta anche dopo tempi di latenza relativa-mente lunghi, una o due stagioni vegetative dopoquella d’infezione (Caudwell et al., 1987). Sononoti fenomeni di remissione dei sintomi (recovery),ma il destino di tali soggetti non è sempre univocoe, nel corso degli anni, sulla stessa vite i sintomipossono prima scomparire e poi ripresentarsi(Refatti et al., 1998; Mutton et al., 2003). Per FDsono noti casi in cui si è verificato un recovery gene-

ralizzato e stabile nel tempo, come quello del Pro-secco nella zona di Valdobbiadene (Treviso) (Zuc-chetto, 1998; Osler et al., 2002) e altri in cui le vitiammalate non risanano, come quello della Garga-nega nell’area del Soave (Posenato e Girolami,1994; Posenato et al., 1996).

La complessità e variabilità delle situazioni au-menta l’attenzione che deve essere posta nel deci-dere le misure da adottare per il controllo di flave-scenza dorata.

Strategie di controllo di FD nei vignetiLa lotta a flavescenza dorata in Italia è stata resa

obbligatoria con il D.M. n. 32442 del 31 maggio2000. Tale disposizione individua compiutamentele linee d’intervento, distinguendo ciò che è possi-bile attuare in aree ancora indenni dalla malattia daciò che invece bisogna fare nelle aree dove FD ègià presente. In questa ultima eventualità, inoltre,il decreto distingue le azioni che bisogna attivarenel caso in cui si ipotizzi la possibilità di giungereall’eradicazione di FD (da una determinata zona,che assume la denominazione di “focolaio”), daquelle ove la malattia abbia raggiunto una situa-zione epidemiologica tale da far ritenere tecnica-mente non più perseguibile l’eradicazione di FD(“zona di insediamento”).

Misure da adottare nelle zone ancora indenniSi deve premettere che, in tutti i casi, un’azio-

ne preventiva nei confronti di FD non può pre-scindere dalla preliminare acquisizione di detta-gliate informazioni in merito alla presenza del vet-tore S. titanus e alla sua fenologia.

La ricerca di S. titanus, in un’area nella qualenon ne è nota la presenza, può basarsi sulla solaricerca degli adulti. Tale indagine viene normalmen-te effettuata installando 2-3 trappole cromotropichegialle invischiate per stazione, nell’epoca di massimapresenza degli adulti (da fine luglio a tutto agostonelle condizioni dell’Italia settentrionale, presumi-bilmente un po’ prima nel resto d’Italia). Le stazio-ni di monitoraggio vanno possibilmente scelte invigneti adulti nei quali non vengono eseguiti tratta-menti con insetticidi efficaci contro S. titanus. Letrappole, collocate all’interno della chioma dellavite, vanno raccolte dopo circa 15 giorni dal loroposizionamento (Pavan et al., 2005). Procedendo inquesta maniera, con due sole visite per stazione, èpossibile realizzare, con costi relativamente conte-nuti, un monitoraggio su un elevato numero dipunti di osservazione; elemento, questo, assoluta-mente prioritario in un primo screening conoscitivo.

Nelle aree che risultano colonizzate da S. tita-

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nus, al fine di razionalizzare la lotta insetticida,deve essere impostata un’attività per conoscere,con la massima precisione possibile, la fenologiadell’insetto. Il monitoraggio delle forme giovanilideve essere effettuato in vigneti non trattati coninsetticidi mediante osservazione diretta dei ger-mogli che crescono alla base del tronco della vite.A tal fine è opportuno che almeno su qualche fila-re di ciascun vigneto campione, le operazioni dispollonatura (sia manuale, sia meccanica) e didiserbo vengano rinviate a fine giugno. Nel corsodei campionamenti, a cadenza almeno settimanale,vengono prelevati germogli basali che devonoessere tagliati con la forbice e osservati senza movi-menti bruschi in quanto le forme giovanili spicca-no dei salti quando vengono disturbate. Per l’esat-ta identificazione delle cinque età giovanili, oltreall’osservazione diretta, si procede alla raccolta,mediante apparecchio aspiratore, di alcuni esem-plari dell’insetto che, dopo trattamento con aceta-to di etile, andranno osservati con l’ausilio di unbinoculare stereoscopico. Buone indicazioni sullafenologia della cicalina si possono ottenere cam-pionando, nel corso di ciascuna visita, almeno uncentinaio di germogli per vigneto. Il monitoraggiodegli stadi giovanili va effettuato ogni anno ed èindispensabile per un corretto posizionamentodegli interventi insetticidi. I momenti di interven-to dipenderanno dal meccanismo di azione dellesostanze attive impiegate, nonché dalle finalità deltrattamento medesimo; queste variano in funzionedi diversi fattori, quali la presenza o meno di FD inzona, la concomitante presenza di altri fitofagi el’eventuale destinazione vivaistica dell’impianto.

In alcune aree viticole, dove le popolazioni di S.titanus erano consistenti, si è dimostrato vincente,nel prevenire gravi epidemie di FD, l’utilizzo disostanze attive efficaci, oltre che contro le tignoledella vite, anche nei confronti della cicalina. Quan-do FD viene introdotta in un nuovo areale, la con-sistenza delle popolazioni di S. titanus (assieme allacontiguità delle superfici vitate) è elemento ingrado di influire in modo determinante sulla gra-vità delle epidemie di FD.

Per impostare corrette strategie di interventocontro FD in un determinato territorio, è necessa-rio possedere informazioni non solo sulla diffusio-ne di S. titanus, ma anche sulla reale presenza dellamalattia. Una prima fase d’indagine può esserebasata sulla ricerca nel territorio di viti che manife-stano sintomi di GY. A tal fine risulta importante illivello di organizzazione della rete di vigilanza e diassistenza tecnica presente in una zona. Le Auto-rità fitosanitarie devono procedere a una preventi-va sensibilizzazione delle strutture tecniche pre-

senti nel territorio addestrando i tecnici al ricono-scimento dei sintomi dei GY e alla loro discrimina-zione da quelli dovuti ad altre cause (carenzenutrizionali, virus, attacchi di insetti).

Si è già accennato alle difficoltà derivanti dall’im-possibilità di distinguere FD dagli altri GY sulla basedella sola osservazione dei sintomi. Nel caso pur-troppo frequente di aree dove già sono presenti altrefitoplasmosi della vite, la sola individuazione di viticon sintomi di GY non dà informazioni sull’inciden-za di FD. Per dare un significato preciso all’indagineconoscitiva bisogna necessariamente procedere aspecifiche analisi di laboratorio in modo da associareil fitoplasma causale alla sindrome osservata. Incampo nazionale è stato definito un protocollo d’a-nalisi per la ricerca di FD e di altre fitoplasmosi (Ber-taccini et al., 1996; Pasquini et al., 2001; Martini etal., 2002). Oggi sono numerosi i laboratori pubblicie privati in grado di effettuare tali analisi.

Il monitoraggio territoriale per l’individuazio-ne di FD e del suo vettore è obbligo dei ServiziFitosanitari Regionali (SFR), a termini dell’art. 2del citato D.M. n. 32442 del 31 maggio 2000.

Misure da adottare nelle zone dove la flavescenza dorata è già presenteIn caso di intercettazione di FD in una nuova

area, e prima che essa assuma andamento epidemi-co, deve essere impostata una tempestiva azione dicontenimento con l’obiettivo di giungere all’eradi-cazione della malattia. Tale azione è richiesta, tral’altro, dalla normativa fitosanitaria comunitariache, con l’art. 16 della Direttiva 2000/29/CE delConsiglio dell’8 maggio 2000, impone agli Statimembri di adottare tutte le misure possibili per ilcontenimento degli organismi nocivi “di quarante-na”, riportati negli allegati alla direttiva medesima,tra i quali rientra, per l’appunto, Grapevine Flave-scence dorée phytoplasma.

Prima azione da intraprendere in tale evenienzaè l’adozione di un efficace programma di lottainsetticida al vettore. Solitamente questa si basa sudue interventi: il primo volto ad abbattere le popo-lazioni dell’insetto prima che questi raggiunga laquarta-quinta età giovanile (età nelle quali può giàessere infettivo), e il secondo, tenuto conto dellascalarità della schiusura delle uova e del successivosviluppo della cicalina, finalizzato a eliminare i gio-vani nati successivamente al primo trattamento. Unterzo intervento insetticida, indirizzato contro glieventuali adulti reimmigranti, viene previsto solonei casi in cui l’assenza del vettore sia ancor piùimportante, come ad esempio nel vivaismo viticolo.

Questa difesa insetticida è veramente efficacesolo se adottata in maniera puntigliosa da tutti gli

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operatori di un comprensorio viticolo. Determi-nanti ancora una volta risultano le capacità orga-nizzative dei viticoltori e delle relative strutture diassistenza tecnica. Ai viticoltori devono giungeremessaggi chiari, tempestivi, diffusi capillarmente,con l’indicazione delle epoche di intervento e degliinsetticidi impiegabili.

La verifica dell’effettiva attuazione della lottacontro il vettore deve essere effettuata, a campio-ne, da parte delle Autorità fitosanitarie, con visiteaziendali nelle quali S. titanus viene ricercatomediante la posa di trappole cromotropiche o, piùsemplicemente, mediante “frappage”. La consi-stenza della popolazione del vettore fornisce indi-cazioni per eventuali indagini più approfondite daparte degli organi di controllo (analisi dei residuidi insetticidi, indagine contabile e visione del“quaderno di campagna”).

Nel caso in cui l’obiettivo dell’azione fitosanita-ria sia l’eradicazione di FD da piccoli focolai localiz-zati, accanto alla lotta al vettore, dovrà essere previ-sta la sistematica eliminazione delle fonti di inoculocostituite dalle viti infette. La diffusione in zona dialtri GY, con sintomatologia indistinguibile, compli-ca l’operazione di eradicazione e comporta, nell’im-possibilità pratica di procedere all’analisi di tutti isoggetti sintomatici, l’eliminazione non solo delleviti affette da FD, ma anche di quelle con sintomiriferibili a GY, con la conseguenza di aumentareanche di molto il numero delle viti sacrificate.

Le norme di lotta obbligatoria prevedono chesia il viticoltore a individuare ed eliminare delle vitisintomatiche. È difficile però ipotizzare che questaresponsabilità possa ricadere solo sui viticoltori. LeAutorità fitosanitarie possono allora organizzare eavviare nelle aree di prima comparsa di FD il siste-matico controllo del territorio vitato con squadre diaccertatori che procedano all’individuazione deisoggetti con sintomi di GY e alla loro marcatura(Frausin, 2002). Purtroppo il tempo a disposizioneper tali controlli è estremamente ridotto. Primadella metà di luglio, infatti, la quota di viti chemanifestano sintomi di GY è molto contenuta eun’ispezione effettuata in epoca così anticipatacomporta una sottostima delle viti ammalate. Apartire da metà agosto iniziano le vendemmie esolo viti vendemmiate a mano possono essere an-cora utilizzate per una diagnosi visiva; questo fino aquando la vegetazione non venga danneggiata daiprimi freddi. Nel caso di viti vendemmiate mecca-nicamente, o quando i capi a frutto vengono taglia-ti per essere inseriti in specifiche macchine agevola-trici, non è più possibile effettuare diagnosi sicure.

All’individuazione di viti sintomatiche dovrà

seguire la notifica all’azienda dell’obbligo dell’e-stirpazione e, in seguito, la verifica dell’adempi-mento di lotta obbligatoria.

Per quanto concerne l’epoca in cui eliminare leviti sintomatiche, non sempre è necessario o con-veniente intervenire immediatamente nel corsodella stagione vegetativa. Se infatti il vettore è raroi rischi di aumentare le infezioni sono trascurabili,il viticoltore, soprattutto se la vite è produttiva,può attendere la vendemmia e procedere all’estir-pazione della vite opportunamente marcata duran-te la stasi invernale. Anche nel caso in cui il vetto-re sia presente nel vigneto con popolazioni nontrascurabili è dubbia la validità di procedere all’eli-minazione delle viti infette all’atto della loro indi-viduazione. In tal caso è probabilmente più impor-tante prima eliminare i vettori infetti, se il rispettodei tempi di carenza rende ancora possibili tratta-menti insetticidi, e solo successivamente estirparele viti sorgenti di inoculo. In caso di estirpo imme-diato di una vite infetta, si indurrebbe, infatti,un’eventuale vettore infetto presente su di essa aspostarsi immediatamente su altre viti, ancora sane,diffondendo così ulteriormente la malattia.

In ogni caso le viti sintomatiche devono essereeliminate mediante estirpazione (la sola capitozzatu-ra non deve mai essere considerata pratica idonea aquesti fini) prima della successiva ripresa vegetativa.

Negli appezzamenti vitati nei quali la presenza dipiante con sintomi di GY è elevata, è probabile cheanche molti soggetti asintomatici siano infetti e pos-sano costituire fonte d’inoculo. Per tale motivo –oltre a considerazioni di tipo economico sulla vali-dità di mantenere in essere vigneti menomati da unforte diradamento – quando la percentuale di vitisintomatiche accertate supera una determinatasoglia (solitamente del 20 o 25%) è opportuno pro-cedere all’estirpazione dell’intero appezzamento.

L’obiettivo di una completa eradicazione di FDnon si è dimostrato affatto semplice da realizzare.Ad oggi non si è a conoscenza di casi in cui FD siastata eradicata in modo completo e stabile da areedove era presente il vettore S. titanus. Anche incasi nei quali si è intervenuti in modo tempestivoed energico, la malattia, pur essendo stata conte-nuta a livelli estremamente ridotti, ha tuttavia con-tinuato a persistere nel territorio vitato, a motivodell’incostanza della sua manifestazione e della suagrande capacità di diffusione (Frausin e Osler,2004; Malossini et al., 2004).

Diversa deve necessariamente essere la strategiaper contrastare FD in ampie aree viticole dove lamalattia è ormai insediata e ha assunto un anda-mento epidemico. In questi casi il numero dei sog-

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getti sintomatici presenti nei vigneti può essereanche molto elevato e, soprattutto in comprensoriampi e densamente vitati, una capillare e tempesti-va azione di ispezione per individuare tutte le vitisintomatiche spesso risulta irrealizzabile. L’impat-to economico derivante dall’eliminazione delle sin-gole viti sintomatiche o di intere superfici vitateconcorre ad aggravare i bilanci delle aziende viti-cole; l’eventuale intervento finanziario pubblico disostegno richiede del resto notevoli risorse, nonsempre disponibili.

Anche in tali condizioni prima e urgente misu-ra da porre in atto è l’imposizione della lotta inset-ticida contro vettore. I risultati di tale strategiasono apprezzabili in breve tempo e il suo costopuò essere sopportato dalle aziende in quanto noncomporta le perdite produttive derivanti invecedall’eliminazione delle viti sintomatiche.

È possibile che in assenza di reinfezioni a operadel vettore, l’andamento epidemico della malattia siattenui e la presenza di viti sintomatiche vada pro-gressivamente riducendosi (Pavan et al., 1997a).Emblematico in tal senso è stato il caso del Prosec-co, coltivato nelle colline trevigiane, in Veneto.Dopo alcuni anni di impatto violento della malattia,con l’adozione di adeguati piani di lotta insetticida,il numero delle viti sintomatiche si è rapidamenteridotto, riportando i vigneti nel giro di qualcheanno a condizioni sanitarie del tutto soddisfacenti,senza ricorrere a estirpi ed epurazioni (Zucchetto,1998). Di contro bisogna ricordare che nella mede-sima zona, la varietà Perera ha avuto ben diversasorte: nell’arco di qualche anno, in presenza di unaforte pressione di FD, le viti di tale vitigno sonostate quasi tutte colpite dalla malattia e portate amorte (Borgo, 1996; Pavan et al., 1997a). Il viti-gno gioca pertanto un ruolo determinante sull’an-damento della malattia in presenza di trattamentiinsetticidi. Già dalle prime manifestazioni dellamalattia in Francia (Caudwell, 1981), era infattinoto che FD poteva dare esiti diversi a seconda delvitigno colpito. Si parlava di un andamento “tipoNielluccio-Sangiovese”, ove la pianta in breve veni-va portata a morte da FD e un comportamento“tipo Ugni Blanc-Trebbiano toscano” ove invece lavite era in grado di superare l’infezione. Tra i dueestremi è possibile osservare un’ampia gamma dicondizioni intermedie.

Il fenomeno della regressione dei sintomi,soprattutto in presenza di un’attenta lotta insetti-cida al vettore, è reale e può essere determinante aifini dell’andamento dell’epidemia. Non può peròessere considerato fenomeno universale su cui con-tare a priori e in assoluto: è possibile conoscere la

sua reale valenza solo attraverso una specifica espe-rienza di campagna.

Ulteriore fattore di variabilità potrebbe deriva-re dai diversi ceppi di FD presenti. È noto che inItalia sono stati accertati almeno due ceppi di FD(Martini et al., 1999), che si distinguono genetica-mente tra loro: il ceppo 16SrV-C, assimilabile alceppo “FD 70”, diffuso in Veneto (provincia diTreviso), Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Ligurianonché il ceppo 16SrV-D, assimilabile al ceppofrancese “FD 88”, presente in Veneto (provincia diVerona e Vicenza), in Lombardia e in Emilia-Romagna. Alcuni Autori (Bertaccini, 2002) attri-buiscono alla natura del ceppo di FD presentenotevole rilevanza ai fini epidemiologici, segnalan-do una maggiore aggressività al ceppo 16SrV-D.

Solo dopo che sia stata superata la fase acutadell’epidemia, con o senza l’adozione di misureobbligatorie per l’eliminazione dei soggetti sinto-matici, potrà essere presa ancora in considerazionela possibilità di attivare un programma per l’eradi-cazione di FD. Tra i fattori che condizionerannotale scelta, importante sarà l’eventuale diffusionesul territorio di GY diversi da FD, sui quali le misu-

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1. Impianto di piante madri portinnesto Foto C. Frausin

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re descritte non hanno incidenza. Questa sovrap-posizione di GY, infatti, può influire in mododeterminante sul costo e sull’impatto dell’eradica-zione, e in definitiva determinarne la fattibilità e laconvenienza economica.

In ogni caso, anche dopo l’esaurimento dellafase acuta dell’epidemia, dovrà essere assicurato ilcontenimento delle popolazioni di S. titanus nelcomprensorio viticolo. È stato dimostrato che inalcune realtà tale risultato può essere ottenutoanche riducendo la pressione insetticida. Una voltariportate a bassi livelli, le popolazioni del vettorepossono essere contenute anche dai trattamentieffettuati contro altri fitofagi nell’ambito di strate-gie di lotta integrata, quindi senza ricorrere a inter-venti specifici (Girolami et al., 2002).

In ogni caso, anche prescindendo da valutazio-ni economiche dirette, le Autorità fitosanitarielocali nell’implementare misure di lotta obbligato-ria devono comunque tendere a limitare la diffu-sione di FD verso zone ancora indenni. Per talemotivo, qualunque sia la strategia adottata all’in-terno del comprensorio colpito, al suo margine,verso zone ancora indenni dovranno essere postein atto con tempestività le stesse misure che sonostate esposte per l’eradicazione di FD dai focolai;questo, in modo da creare una fascia di protezionefitosanitaria, eventualmente sfruttando favorevolielementi geografici (catene montuose, zone noncoltivate a vite, alvei fluviali etc.).

Strategie di controllo di FD nel vivaismo viticolo In tutti i segmenti dell’attività vivaistica vi sono

rischi potenziali ai fini della diffusione di FD:• raccolta e movimentazione di talee, di portin-

nesti e di nesti infettati dal fitoplasma (derivan-ti da viti infette e sintomatiche, oppure da vitiinfette asintomatiche);

• ottenimento di barbatelle infette medianteinnesto di bionti infetti;

• ottenimento di barbatelle infette a seguito diinoculazioni del fitoplasma operate da S. tita-nus in barbatellaio;

• movimentazione di materiali di propagazione(talee di portinnesti, nesti, barbatelle) con uovadi S. titanus in aree dove non è ancora presen-te il vettore.La normativa fitosanitaria in vigore nell’Unione

Europea disciplina la produzione di materiale vivai-stico della vite e include FD tra le malattie di qua-rantena delle quali devono essere vietati l’ingresso ela circolazione all’interno dell’Unione Europea. La

malattia è infatti inserita nell’allegato II della Dir.2000/29/CE (e in precedenza nella omologa Dir.77/93/CEE) che stabilisce l’elenco di detti organi-smi. La medesima disposizione, recepita in Italiacon il D.M. 31 gennaio 1996, stabilisce i requisitiparticolari che devono essere soddisfatti da tuttiindistintamente i materiali di propagazione dellavite (ad eccezione dei frutti e delle sementi) perpoter circolare nell’Unione Europea. Al punto 17dell’Allegato IV alla Direttiva 2000/29 (punto 18del testo del recepimento italiano) si stabilisce chevegetali di viti possono circolare solo se c’è “con-statazione ufficiale che nessun sintomo di GrapevineFlavescence dorée MLO è stato osservato sulle piantemadri nel luogo di produzione, dall’inizio degli ulti-mi due cicli vegetativi completi”.

Con detta norma si è considerata determinantela condizione fitosanitaria degli impianti dellepiante madri e si è resa obbligatoria l’ispezionefitosanitaria. In relazione all’incostanza della mani-festazione dei sintomi di FD e alla possibilità dilunghi periodi di latenza, è previsto il controllovisivo delle piante madri almeno durante le duestagioni vegetative anteriori al prelievo del mate-riale. La dicitura “nel luogo di produzione” com-porta, in caso di individuazione di viti con sintomiriferibili a FD, l’impossibilità di prelievo di mate-riale vivaistico dall’intero appezzamento. Nonsono previsti riscontri analitici per la distinzionedei diversi fitoplasmi.

Oltre a questa norma fitosanitaria di validitàgenerale, in Italia il D.M. 31 maggio 2000 di lottaobbligatoria a FD impone ulteriori adempimentiper l’attività vivaistica. Tra questi la lotta contro S.titanus, l’assenza del quale deve essere assicurata

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2. Messa a dimora delle barbatelle

Foto C. Frausin

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sia dai campi di piante madri (di marze = PMM e diportinnesto = PMP), sia dai barbatellai.

Ulteriori disposizioni di dettaglio sono statedisposte dal Ministero delle Politiche Agricole eForestali – Servizio Fitosanitario Centrale con lacircolare n. 32285 del 28 novembre 2001 che haritenuto di normare alcuni casi specifici tra i qualil’utilizzazione di materiali di provenienza azienda-le per la produzione, presso vivaisti, di barbatelle“in conto lavorazione”.

Nella pratica, con l’applicazione della normati-va sopra illustrata, è possibile garantire un elevatogrado di sicurezza per il materiale vivaistico di vite,anche considerando che la trasmissibilità del fito-plasma per innesto è trascurabile. Infatti sia nelcaso di BN che di FD, la trasmissibilità del fitopla-sma a mezzo della pratica dell’innesto è risultatamolto ridotta (Credi et al., 1990; Vindimian et al.,1993; Osler et al., 1997, 2002). Anche nel peg-giore dei riscontri sperimentali, ossia utilizzandomarze provenienti esclusivamente da viti sintoma-tiche, l’indice di riproduzione dei sintomi di FD èvariato dal 4 al 16% (Pavan et al., 1997b; Osler etal., 2002). Utilizzando marze ottenute da vitiasintomatiche di vigneti comunque infetti, la per-centuale di propagazione di FD per innesto è statadrasticamente ridotta (0,4%).

Per quanto bassa sia la sua efficienza, comun-que, la trasmissione a mezzo dell’innesto rimanepur sempre possibile. I vigneti di piante madri van-no pertanto ispezionati annualmente al fine del-l’individuazione di eventuali viti con sintomi diGY. Le ispezioni vanno effettuate in epoca idoneae, se limitate a una visita annuale, devono avveniredopo la metà di luglio e prima della vendemmia.

Le viti vanno attentamente osservate in entrambele facce del filare, per l’individuazione di sintomidi GY. Le piante risultate sintomatiche devonoessere marcate con sistemi indelebili; si deve inol-tre prendere nota della loro localizzazione e farleestirpare. In caso di rinvenimento di viti sintoma-tiche è opportuno che queste siano analizzate perconoscere il fitoplasma associato all’alterazione.Nel caso di riscontro di FD, infatti, l’impiantodovrà essere escluso dal prelievo di materiali dimoltiplicazione, fin tanto che, per due anni diseguito, non venga constatata l’assenza di viti consintomi di GY. Per questo motivo è opportunoche il vivaista continui a segnalare il campo di vitimadri (nella denuncia annuale) all’Autorità com-petente per il controllo vivai e al SFR. Nel caso incui le analisi molecolari evidenzino che i sintomiosservati vanno attribuiti a GY diversi da FD,(fermo restando il divieto di prelievo dalle viti sin-tomatiche che vanno eliminate), il campo conti-nuerà a essere idoneo per il prelievo di materiale.Tuttavia, – in base ai requisiti previsti dall’Allega-to 1 del DPR 24 dicembre 1969, n. 1164 per lacommercializzazione di materiale vivaistico dellavite – i vigneti con percentuali di viti sintomatichesuperiori al 5-10% vanno comunque esclusi dallafiliera vivaistica. Si precisa che la soglia del 5% siriferisce alla produzione di materiale di categoria“certificato” (= cartellino azzurro) e quella del10% a materiale “standard” (= cartellino giallo).Nel caso di riscontro di sintomi in campo e inassenza di valutazioni analitiche si dovrà agiresecondo criteri di precauzione.

Oltre ai campi di PMM e PMP anche i barbatel-lai vanno sottoposti a ispezione visiva per accertare

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3. Impianto di barbatellaio

Foto C. Frausin4. Trattamento fitosanitario in un barbatellaio

Foto C. Frausin

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l’assenza di giovani piante sintomatiche. Nel casodi riscontri positivi è consigliabile eliminare dalvivaio l’intera produzione della specifica combina-zione d’innesto.

È di assoluta importanza garantire che nell’in-tera filiera produttiva – incluse le piante madri – S.titanus non sia presente. Negli impianti per la pro-duzione di talee di portinnesto è tradizionalmenteadottata una serrata lotta insetticida per il control-lo delle generazioni gallecole della fillossera (Dak-tulosphaira vitifoliae Fitch); queste misure, conqualche adattamento, risultano utili anche per ilcontenimento di S. titanus. Negli impianti di PMM,invece, vengono effettuati interventi specifici con-tro la cicalina, che debbono interessare sia i vigne-ti a diretta conduzione del vivaista, sia quelli a dop-pia utilizzazione (gestiti da aziende viticole cheproducono normalmente l’uva e cedono al vivaistail legno di un anno). Infatti, anche questi ultimisono da considerare impianti vivaistici a tutti glieffetti e come tali vanno gestiti.

Il vivaio costituisce un punto critico per lapossibile infezione delle barbatelle. La presenzain barbatellaio di vettori infetti può determinare,infatti, trasmissioni del fitoplasma, con conse-guente ottenimento di barbatelle ammalate,magari non sintomatiche. È di estrema importan-za, allora, che il vivaista in questa fase produttivaeserciti una forte pressione insetticida contro S.titanus. I tre interventi insetticidi solitamenteproposti si sono dimostrati sufficienti per conte-nere in maniera eccellente la cicalina (Frausin etal., 1999b). Va ricordato, comunque, che la pro-babilità di avere S. titanus infetti nei barbatellaisono molto ridotte e dipendono in maniera prati-camente esclusiva dall’immigrazione in essi diindividui provenienti da vigneti non trattati coninsetticidi, posti nelle loro vicinanze. I rischi deri-vanti da nascite della cicalina in barbatellaio sonoinfatti trascurabili in quanto si utilizza solo legnodi un anno di età, prelevato comunque da vigne-ti di piante madri trattati abbondantemente coninsetticidi (è noto che S. titanus depone le uovaquasi esclusivamente su legno di due anni); inol-tre questi individui difficilmente trovano in vivaiobarbatelle su cui infettarsi. In vivaio è opportunacomunque un’attenta azione di monitoraggioanche attraverso l’uso di trappole cromotropicheche vanno poste, compatibilmente con le fre-quenti operazioni meccaniche, tra le chiome dellebarbatelle. Dovranno inoltre essere attentamentevalutate le condizioni di isolamento del barbatel-laio che sarà preferibile istituire al di fuori dellezone ad alta densità vitata e comunque lontanoda vigneti non debitamente trattati con insettici-

di. Tali valutazioni possono condurre il SFR com-petente per territorio ad adottare misure di carat-tere obbligatorio in zone dove si svolge attivitàvivaistica, anche se ancora indenni da FD.

Gli interventi di risanamento La lotta al vettore e l’esclusione della presenza

di viti infette, nei vigneti di piante madri e in bar-batellaio, costituiscono il presupposto per l’otteni-mento di materiali di propagazione sicuri dalpunto di vista fitosanitario.

Esistono però esigenze particolari che consi-gliano il ricorso a misure di risanamento dei mate-riali di moltiplicazione anche dopo il loro conferi-mento al vivaio. Ciò vale, ad esempio, nel caso dimateriali che sono stati prodotti in condizioni disicurezza insufficienti (per esempio, marze prele-vate da impianti poi risultati infetti; marze ottenu-te da impianti non controllati nel biennio prece-dente; consistenti immigrazioni del vettore neibarbatellai etc.), oppure nel caso di specifiche esi-genze di quarantena, ad esempio, imposte dalPaese importatore.

Al momento, stante il divieto di ricorrere all’usodi antibiotici e di sulfamidici nella difesa delle pian-te, non esiste la concreta possibilità di eliminare chi-micamente il fitoplasma eventualmente presente invite. Verifiche operate con sostanze chimiche adazione battericida, quali il Virkon, non hanno pro-dotto esiti positivi (Bertaccini et al., 2001).

Una tecnologia segnalata da diversi decenni peril risanamento di materiali di propagazione di spe-cie vegetali è quella della termoterapia in acquacalda (Baker, 1962). Nel caso della vite (Caudwell,1966) consiste nell’immersione in acqua calda dimarze, portinnesti o talee innestate, per tempivariabili da 10 minuti a più ore in funzione dellatemperatura prescelta (45-55°C). Sono stati defi-niti specifici diagrammi (Goheen et al., 1973;Caudwell et al., 1990) della relazione temperatu-ra/tempo di immersione per l’effettuazione del-l’intervento, con il rispetto della doppia esigenzadi devitalizzare il fitoplasma e nel contempo pre-servare le qualità vivaistiche dei materiali trattati.Verifiche e adattamenti del sistema sono stati rea-lizzati anche in Italia (Bianco et al., 2000; Bertac-cini et al., 2001). Per il trattamento vengono uti-lizzati bagni termostatici anche di dimensionenotevole, la cui complessità costruttiva è impostadall’esigenza di assicurare una temperatura unifor-me nell’intera massa trattata.

Il metodo ha trovato conferme di fattibilità e inalcuni Paesi (USA, Australia e Sud Africa) è stato datempo proposto per l’eliminazione anche di altre

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malattie della vite quali il tumore batterico (Bazziet al., 1991), la malattia di Pierce (Goheen et al.,1973), e i funghi precursori del mal dell’esca(Edwards et al., 2004). Nel mondo vivaistico ita-liano sulla tecnica vengono espresse perplessità difondo: non sempre, infatti, si sono avute assicura-zioni di affidabilità ai fini della conservazione dellequalità vivaistiche dei materiali trattati (Borgo etal., 1999; Frausin et al., 1999a). Pertanto la ter-moterapia in acqua calda è utilizzata solo per par-ticolari esigenze, per lo più per movimentare spe-cifiche partite di talee. Certamente non ha trovatolargo impiego per il trattamento delle grandi parti-te di barbatelle.

I trattamenti termici non compromettono lavitalità del materiale vivaistico se il legno è benmaturo (come avviene di norma in località moltocalde e asciutte, per esempio, in Australia); posso-no essere invece rischiosi per materiale vivaisticoraccolto in ambienti in cui la maturazione dellegno è incompleta. Inoltre, per il momento, nonsono stati progettati impianti di termoterapia a ele-vata capienza in grado di funzionare in regime dicontinuità.

Si ritiene, inoltre, che prima di prevedere la ge-neralizzata adozione della termoterapia nella filieraproduttiva vivaistica, siano anche da indagare ap-profonditamente le conseguenze del trattamentosui numerosi organismi che vivono associati a vite(endofiti e non), verificando il loro ruolo, nonchégli effetti della loro eventuale devitalizzazione(Sharmini et al., 2004; Di Marco et al., 2004;Musetti et al., 2004; Ragazzi et al., 2004).

Più frequente, negli scambi intercontinentalidi materiali vivaistici, è invece il trattamento dellebarbatelle con immersione in miscele ad azioneinsetticida (EPPO, 1988). Si presume che questaoperazione possa eliminare le eventuali uova di S.titanus deposte sui fusti delle barbatelle. Del tuttoabbandonata, sembra invece la tecnica di fumiga-zione con il bromuro di metile, altamente fitotos-sica se la superficie del materiale vegetale da trat-tare è bagnata.

Altre vie di difesa dai giallumi (GY) sono incorso di studio. Sono stati avviati, ad esempio,programmi di ricerca per l’individuazione di fontidi resistenza di varietà di viti tolleranti. Promet-tenti sembrano le ricerche attivate in Francia perl’ottenimento di viti geneticamente modificatemediante l’inserimento di geni in grado di indur-re un’azione di tipo anticorpale nei confronti dipatogeni floematici. Si tratta di prospettive che,per i tempi di realizzazione e per il quadro nor-mativo vigente, appaiono, comunque, ancora lon-tane dall’essere realizzate.

7.4.2 Controllo della flavescenza dorata

attraverso la lotta contro il vettore

Scaphoideus titanus Ball

Francesco Pavan, Giorgio Stefanelli, Alberto Villani, Nicola Mori, Gabriele Posenato, Alberto Bressan, Vincenzo Girolami

La flavescenza dorata (FD) è un giallume dellavite (fitoplasmosi) il cui agente causale è trasmesso daScaphoideus titanus Ball (Homoptera, Cicadellidae)(Schvester et al., 1961, 1963; Carraro et al., 1994;Bianco et al., 2001; Mori et al., 2002) (foto 5).

Gravi epidemie di FD si sono verificate solo inaree viticole e in vigneti ove l’impiego di insetticidiper il controllo di altri fitofagi era limitato e le den-sità di popolazione di S. titanus erano elevate(Pavan et al., 1987, 1997; Borgo, 1988, 1996; Po-senato et al., 1996a, 1996b; Cravedi et al., 1992;Lozzia, 1992; Mori et al., 1999a; Cravedi e NicoliAldini, 2000; Vercesi e Scattini, 2000; Bosio et al.,2001; Cravedi e Mazzoni, 2002). I trattamentiinsetticidi risultano infatti il fattore più importanteche influenza la densità delle popolazioni di S. tita-nus (Posenato et al., 1996a, 2001; Mori et al.,1999a; Mori, 2004; Pavan et al., 2005), ma essapuò variare anche in funzione del vitigno (Borgo,1988; Bosio et al., 2001). La densità di vegetazio-ne e la vigoria delle viti, così come un’esposizionedei vigneti protetta dal vento, potrebbero esserefattori favorevoli ad elevate popolazioni del vettore(Vidano, 1966).

L’esistenza di una relazione fra l’entità delle po-polazioni di S. titanus e l’incremento della malattiaè ritenuta un dato acquisito, anche se non sono statieffettuati studi specifici. Indirette e chiare confermedi tale relazione derivano comunque dal fatto che lalotta insetticida contro S. titanus è efficace al fine diridurre l’incidenza di FD (Schvester, 1969; Posena-to et al., 1996a; Belli et al., 1997) e dal fatto chenella stessa area viticola i vigneti non trattati coninsetticidi presentano un’incidenza della malattiamolto più elevata di quelli trattati (Bellotto, 2004).In generale, non è comunque possibile stabilire unarelazione univoca fra densità di un vettore e incre-mento di una malattia a causa dell’interferenza dimolteplici fattori quali la mobilità del vettore, la suapreferenza e il comportamento alimentare nei con-fronti della pianta ospite, l’interazione fra vettore epatogeno, la suscettibilità della pianta ospite e l’i-noculo di partenza (Purcell, 1985).

Le strategie di lotta contro il vettore si basanoessenzialmente sull’impiego di insetticidi, benchénon siano trascurati interventi di lotta agronomicae in prospettiva si speri di raggiungere un control-lo naturale del vettore a densità non dannose.

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LOTTA INSETTICIDA CONTRO S. TITANUS

La lotta insetticida contro il vettore ha avutosuccesso non solo per l’elevata efficacia nel ridurrel’incidenza di FD (vedi, per esempio, fig. 1a), maanche per la sua economicità e facilità di attuazione.

Efficacia della lotta insetticidaLa possibilità di controllare una malattia attraver-

so la lotta chimica contro il vettore non è comunquea priori scontata (Maramorosch, 1988). Limitandosialle fitoplasmosi della vite è noto, ad esempio, che lalotta insetticida nei vigneti non è sinora risultata effi-cace per il contenimento del legno nero della vite(Pavan, 1989; Pavan et al., 1989; Sforza e Boudon-Padieu, 1998; Cavallini et al., 2003).

Da un punto di vista teorico l’efficacia dellalotta insetticida contro S. titanus trova una convin-cente spiegazione nelle seguenti argomentazioni: a) il cicadellide è un facile bersaglio, in quanto è

monofago su piante del genere Vitis. Il rinveni-mento occasionale di adulti di S. titanus su altrespecie legnose, presenti nelle siepi attorno aivigneti, non è tale da far temere consistenti ri-colonizzazioni (Schvester et al., 1962a, 1962b;Pavan, 2000);

b) l’insetto completa una sola generazione all’an-no per cui le sue popolazioni, dopo un tratta-mento insetticida, possono riprendersi solo nel-l’annata successiva;

c) benché recentemente il fitoplasma agente diFD sia stato rinvenuto in Clematis vitalba L.(Angelini et al., 2003b, 2004) e occasional-mente forme giovanili di S. titanus siano stateosservate su altre piante legnose (Schvester etal., 1962b), la vite in natura è, sulla base delleconoscenze attuali, l’unica pianta su cui leforme giovanili di S. titanus possono infettarsi.

Poiché i vigneti (o singole viti) non trattati coninsetticidi possono essere sorgente sia del vettore(ricolonizzazioni), sia del fitoplasma (nuove infe-zioni), la salvaguardia di quelli trattati è migliore sela lotta insetticida viene estesa a tutti gli impiantipresenti in un dato territorio (Carle e Schvester,1964; Planas, 1987; Pavan et al., 2005).

Al fine di utilizzare nel modo più efficiente la lottachimica è importante capire attraverso quali processisi ottiene il risanamento dei vigneti infetti. Ai tratta-menti insetticidi sono state associate:a) una riduzione delle nuove infezioni (vedi, ad

esempio: Posenato et al., 1996a; fig. 1b); b) una riduzione delle reinfezioni.

Questo secondo aspetto è importante solo se leviti infette sono in grado di risanare. Il ruolo dellereinfezioni nella ricomparsa della malattia in vitidivenute asintomatiche è stato ritenuto importantesin dalle prime ricerche (Caudwell, 1961), anche selo stesso fenomeno è stato in parte attribuito a unmomentaneo mascheramento della malattia (vitiinfette, ma non sintomatiche) (Schvester, 1969).Per quantificare l’importanza delle reinfezioni nelmanifestarsi della malattia bisognerebbe confronta-re l’incidenza del risanamento in vigneti rispettiva-mente con elevate (testimoni) e contenute popola-zioni di S. titanus (trattati con insetticidi). Daun’indagine effettuata nell’area del Prosecco (pro-vincia di Treviso) è risultato chiaramente che a par-tire dall’anno successivo all’inizio dei trattamentiinsetticidi, le percentuali di risanamento sonoaumentate (fig. 1c) e le perdite di produzione nelleviti con sintomi sono diminuite (fig. 1d). Questidati suggeriscono che l’abbattimento delle popola-zioni del vettore favorisce non solo il risanamentodelle viti, ma anche la diminuzione dell’entità deidanni in quelle ancora sintomatiche.

5. Adulto di Scaphoideus titanusFoto A. Villani

6. Forma giovanile di quinta età di S. titanusFoto A. Villani

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Epoche di intervento e numero di trattamentiL’efficacia della lotta chimica contro il vettore

nel ridurre l’incidenza della malattia dipende da: a) il livello di contenimento delle popolazioni del

vettore; b) l’eliminazione del vettore prima che questo sia

infettivo.L’abbattimento delle popolazioni di S. titanus

dipende dalle sostanze attive utilizzate, dall’epocadi impiego (in generale i trattamenti sono più effi-caci contro le forme giovanili che contro gli adul-ti, e le prime età giovanili sono più sensibili delleultime) e dal numero di trattamenti effettuati.

Secondo Autori francesi, su vite i primi indivi-dui del vettore diventano infettivi fra la quarta e laquinta settimana da quando hanno iniziato anutrirsi su una vite infetta (Schvester et al., 1969).Le prime infezioni si potrebbero quindi teorica-mente verificare a circa 30 giorni dall’inizio dellaschiusura delle uova, in coincidenza con la com-parsa dei primi individui di quarta o quinta età(vedi, ad esempio, le fenologie riportate in: Lozzia,1992; Stefanelli et al., 2000; Bosio e Rossi, 2001).Recenti ricerche svolte in Italia hanno potuto veri-

ficare che già le forme giovanili di quarta-quintaetà (foto 6), catturate in vigneti infetti, possono tra-smettere l’agente causale di FD (A. Bressan e V.Girolami, dati non pubblicati).

Un trattamento insetticida per evitare tutte leinfezioni dovrebbe essere effettuato prima che lacicalina divenga infettiva. È opportuno comunqueosservare che quando compaiono i primi individuiin grado di trasmettere il fitoplasma, il rischio diinfezioni è basso per i tre seguenti motivi: a) la schiusura delle uova è molto scalare (dura

circa due mesi) e presenta un picco in giugnoper cui la quota di forme giovanili nate nelprimo periodo è trascurabile;

b) la proporzione di individui infetti aumenta nelcorso della stagione (Schvester et al., 1963);tale fatto potrebbe dipendere sia dalla minorecapacità delle prime età giovanili ad acquisire ilfitoplasma (Schvester et al., 1969), sia dal bassoinoculo iniziale evidenziato dalla gradualità concui le piante ammalate manifestano i sintomi;

c) il numero di viti che le forme giovanili di quar-ta-quinta età possono inoculare è limitato, con-siderata la loro scarsa capacità di spostamento.

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Fig. 1 - Andamento di FD in due vigneti di Prosecco trattati con insetticidi contro il vettore S. titanus a partire rispet-tivamente dal 1994 (T94; alta pressione insetticida solo dal 1996) e dal 1996 (T96) [rielaborato da Pavan et al., 1997 e Zucchetto, 1998]. Le viti sintomatiche non sono state estirpate

a) b)

c) d)

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Fig. 2 - Ciclo biologico di S. titanus nell’Italia nord-orientale e strategie di lottainsetticida. Le frecce indicanoi periodi ottimali in cui effettuare i trattamenti insetticidi con prodotti neurotossici [rielaborato da Pavan e Stefanelli, 2000]

Fig. 3 - Influenza della posizionedel germoglio all’interno della pianta e della foglialungo il germoglio sulla densità di popolazione delleforme giovanili di S. titanus(viti di cv Prosecco allevate a parete verticale)[Pavan, dati non pubblicati]

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Partendo da queste considerazioni è stato pro-posto un modello in cui si evidenzia che il rischiodi infezioni in funzione del tempo ha un anda-mento tipicamente esponenziale, anche in conse-guenza del fatto che il fitoplasma, una volta acqui-sito, può essere trasmesso in modo persistente(Bressan et al., 2003). La probabilità di nuoveinfezioni è trascurabile fino a 40 giorni dall’iniziodella schiusura delle uova e, quando risultano bassesia la densità di popolazione di S. titanus, sia la per-centuale di viti sintomatiche (sorgenti di infezione,da cui la cicalina può acquisire il fitoplasma), fino a50 giorni dalla comparsa delle prime forme giova-nili. Questo momento coincide con lo sfarfalla-mento dei primi adulti.

A causa della scalarità nella schiusura delle uova(per l’Italia settentrionale si vedano, ad esempio, ilavori di: Vidano, 1964; Pavan e Stefanelli, 2000)(fig. 2) risulta che un solo intervento insetticida,effettuato prima della comparsa delle prime formegiovanili potenzialmente infettive (quarta-quintaetà giovanile), non può garantire un’efficacia ade-guata contro le popolazioni della cicalina più tar-dive. È necessario pertanto effettuare un secondotrattamento. Questo andrà teoricamente posizio-nato a non oltre quattro settimane dal primo inter-vento, per evitare che gli individui nati dopo il trat-tamento possano diventare infettivi, e verso la finedella schiusura delle uova, in modo che la persi-stenza dell’insetticida sia sufficiente a controllaretutti gli ultimi nati.

Il momento ottimale in cui effettuare i singoliinterventi dipenderà non solo dalla fenologia del-l’insetto, che varia in relazione all’area viticola eall’andamento meteorologico stagionale, ma anchedall’insetticida utilizzato (vedi § Sostanze attiveutilizzabili).

In Francia venivano consigliati altri due inter-venti insetticidi (Planas, 1987), rispettivamente ininverno contro le uova svernanti e in estate controgli adulti provenienti dall’esterno. Il trattamentoovicida è comunque relativamente poco efficace(Carle e Schvester, 1964; Moutous et al., 1977;Carraro e Pavan, 1988; Rousseau, 1997), essendole uova deposte nel ritidoma e quindi difficilmenteraggiungibili dall’insetticida. Il trattamento adulti-cida, di cui è difficile valutare l’efficacia e utilitàpratica in quanto il volo degli adulti dura normal-mente da inizio luglio a ottobre, è teoricamentetanto più efficace quanto più persistente è lasostanza attiva utilizzata (Posenato et al., 2002).Dovendo effettuare un singolo intervento adultici-da, è presumibile ottenere la massima efficacia trat-tando in coincidenza con il picco di presenza degliadulti che si verifica fra la fine di luglio e la metà di

agosto, a seconda della zona viticola e dell’annataconsiderate. L’utilizzo di insetticidi persistenti hacomunque effetti collaterali negativi in quanto puòfavorire sia pullulazioni indotte di acari tetranichi-di sia la selezione di fitofagi resistenti (vedi §Sostanze attive utilizzabili).

Sulla base delle considerazioni sopra esposte lestrategie di intervento, adottate in Italia, si sonoconcentrate sui trattamenti primaverili-estivi posi-zionati contro le forme giovanili (Posenato et al.,1996b; Belli et al., 1997; Pavan e Stefanelli, 2000;Bosio et al., 2001; Cravedi e Mazzoni, 2002).

Monitoraggio di Scaphoideus titanusIl campionamento delle popolazioni della cica-

lina è importante al fine di ottimizzare le strategiedi lotta e per verificarne l’efficacia.

Monitoraggio delle forme giovaniliIl campionamento delle popolazioni delle

forme giovanili è utile per stabilire:a) l’inizio della comparsa di alcune età (prima,

quarta, quinta); b) la proporzione delle diverse età nel tempo.

Le forme giovanili di S. titanus sono maggior-mente presenti sui germogli (succhioni in partico-lare) della parte bassa delle piante e sulle fogliebasali dei germogli (Schvester et al., 1962a; Vida-no, 1966; Lozzia, 1992; Cravedi et al., 1993;Posenato et al., 2001) (fig. 3); debbono pertantoessere campionate le foglie di succhioni posti allabase del fusto o, in mancanza di questi, quelle digermogli posti lungo i cordoni permanenti oriz-zontali delle viti (Posenato et al., 2001). Nelleforme di allevamento a parete verticale, con vege-tazione prossima al terreno, si possono campiona-re anche foglie di germogli posti vicino al suolo(Cravedi et al., 1993).

Data la tendenza delle forme giovanili a spicca-re salti quando la vegetazione viene toccata, è pre-feribile effettuare i campionamenti nelle prime oredel mattino, quando la cicalina è meno mobile(Bosio e Rossi, 2001). Inoltre, i campionamentiandrebbero evitati dopo piogge intense che fannocadere a terra molti individui.

Le forme giovanili possono venir catturateanche con trappole cromotropiche gialle invischia-te (Cravedi et al., 1992; Jermini et al., 1993).

Monitoraggio degli adultiIl monitoraggio degli adulti ha due finalità:

a) individuare la comparsa dei primi adulti; b) studiarne le variazioni quantitative nel tempo.

Gli adulti possono venir monitorati con campio-

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namenti delle foglie (Schvester et al., 1962a), conmezzi meccanici (Osler et al., 1975) e con trappolecromotropiche gialle invischiate (Pavan et al., 1987).

I campionamenti fogliari, per fornire un’infor-mazione adeguata, richiedono l’osservazione di unnumero troppo elevato di foglie, in quanto le den-sità di popolazioni degli adulti, anche nei vignetipoco o affatto trattati con insetticidi, sono spessomolto contenute (Pavan et al., 1987).

I mezzi meccanici si basano o sullo scuotimen-to della vegetazione per far cadere gli insetti (tec-niche dello “strumento scuotitore-raccoglitore” edello “scuotimento manuale”) o sullo sfalcio dellastessa con retino entomologico. La tecnica dello“strumento scuotitore-raccoglitore” (frappage)utilizza un retino o ombrello entomologico che hala funzione di raccogliere gli adulti caduti dopoaver percosso con un bastone imbottito la vegeta-zione sovrastante il retino stesso (Osler et al.,1975; Rui et al., 1987). La tecnica dello “scuoti-mento manuale”, messa a punto in Friuli-VeneziaGiulia e adatta a forme di allevamento quali il Syl-voz e il Casarsa, consiste nel posizionare un retinoentomologico sotto un capo a frutto, che viene

scosso energicamente (foto 7). La tecnica che sibasa sull’utilizzo del “retino entomologico” preve-de dei colpi sulla vegetazione, effettuati con lostesso retino e diretti dal basso verso l’alto, e siadatta solo a forme di allevamento a parete verti-cale (Bosio et al., 2001).

Le trappole cromotropiche utilizzate per ilmonitoraggio degli adulti di S. titanus sono costi-tuite da pannelli rettangolari semplici, o doppi aformare una croce (tipo Rebell), ricoperti di collasu uno o entrambi i lati (foto 8). In sperimentazio-ni effettuate in Italia le catture sono risultate mas-sime su trappole cromotropiche di colore giallointenso (Pavan e Strapazzon, 1991); trappole dicolori giallo più chiaro, blu, verde e rosso nonhanno comunque mai determinato una riduzionedelle catture superiore al 50%, mentre solo ten-denzialmente più basse sono state le catture sutrappole bianche e trasparenti. Differente attratti-vità di tre tipi di trappole gialle è stata osservataanche in Svizzera (Jermini et al., 1992). Catturepiù elevate su trappole cromotropiche di colorrosso rispetto a trappole gialle sono state osservatein altre sperimentazioni effettuate in Italia (Lessio

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7. Tecnica dello “scuotimento manuale” per il monitoraggio di S. titanusFoto F. Pavan

8. Trappola cromotropica per il monitoraggio di S. titanus perpendicolare al terreno Foto F. Pavan

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Fig. 4 - Influenza della dimensione di trappolecromotropiche gialle invischiate sull’efficienza delle catture di adulti di S. titanus (trappole poste in mezzo alla vegetazione di viti allevate a Sylvoz).All’interno della colonna sono riportate le catture pertrappola (media di 3 trappoleper 8 campionamenti) [Pavan, dati non pubblicati]

Fig. 5 - Influenza della posizione della trappola rispetto allavegetazione sulle catture diadulti di S. titanus in viti alle-vate a Sylvoz (parete verticale)[Pavan, dati non pubblicati] e a pergola (parete orizzontale)[Strapazzon, dati non pubblica-ti] (ombra = trappole poste inmezzo alla vegetazione; sole = trappole poste di latoalla vegetazione e sempreesposte all’irraggiamento diretto del sole)

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e Alma, 2004). Le trappole rosse utilizzate in que-st’ultima prova erano caratterizzate da una riflet-tanza più simile alle più attrattive trappole gialleche non a quella rosse utilizzate nelle prove ripor-tate in Pavan e Strapazzon (1991). Tale fatto indi-cherebbe che per confrontare l’attrattività di trap-pole diverse è più importante fare riferimento allariflettanza che al colore.

Le catture totali per trappola aumentano all’au-mentare delle dimensioni delle trappole (fra 50cm2 e 500 cm2), anche se l’incremento è meno cheproporzionale all’aumento della superficie (fig. 4).I giorni di permanenza in campo sono associati auna perdita di efficienze delle trappole (cat-ture/giornaliere), anche se le riduzioni in un pe-riodo compreso fra 1 e 2 settimane non sono maisuperiori al 25% (Pavan, dati non pubblicati).

La posizione della trappola cromotropicarispetto alla vegetazione è in grado di influenzarel’entità delle catture. Le trappole poste fra la vege-tazione (forme di allevamento a parete verticale) osotto la stessa (forme di allevamento orizzontale),ancorché visibili dall’esterno, catturano significati-vamente di più rispetto a trappole completamenteesposte all’irraggiamento diretto del sole (fig. 5).Anche l’orientamento delle trappole nello spaziopuò influire sull’entità delle catture. In Svizzera, suviti allevate a Guyot, trappole orizzontali (paralleleal terreno) hanno catturato significativamente dipiù di trappole verticali (Jermini et al., 1992),mentre in Italia, su viti allevate a Sylvoz, è stato

osservato il contrario (fig. 6; foto 9). L’apparentecontraddizione fra i dati raccolti in Svizzera e inItalia dipende probabilmente dal fatto che nelprimo caso, diversamente dal secondo, le trappoleverticali non erano poste all’interno della vegeta-zione ed erano invischiate da un solo lato. Consi-derata la maggior facilità di installazione in campo,è in ogni caso preferibile mettere le trappole inposizione verticale.

Non è opportuno utilizzare trappole preconfe-zionate e predisposte per monitorare piccoli inset-ti nelle serre (aleirodidi, tripidi, sciaridi), in quan-to, essendo limitata la quantità di colla presente,gli adulti di S. titanus colpiscono la trappola, maspesso non restano invischiati.

Nessuno dei metodi di monitoraggio degliadulti è il migliore in assoluto. Essi teoricamentenon forniscono le stesse informazioni: i mezzimeccanici consentono di conoscere la densità dipopolazione nel momento in cui viene effettuato ilcampionamento, mentre le trappole cromotropi-che solo quando vengono sostituite e relativamen-te all’intero periodo in cui restano in campo. Per-ciò i metodi meccanici sono preferibili quando sivuole ottenere un’informazione puntuale sulladensità di popolazione, mentre le trappole cromo-tropiche hanno il vantaggio di permettere un mo-nitoraggio continuo nel tempo. L’entità dellepopolazioni stimata con le trappole cromotropiche– a parità di colore, dimensione e posizionamento– è con ogni probabilità maggiormente condizio-

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9. Trappola cromotropica per il monitoraggio di S. titanus parallela al terreno Foto F. Pavan

10. Manicotto utilizzato per confinare le forme giovanili in viti allevate in vaso Foto A. Bressan

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Fig. 6 - Influenza dell’orienta-mento nello spazio di trappolecromotropiche gialle invischiate (23 x 11,5 cm) sulle catture di adulti di S. titanus (trappole posizionate in mezzo alla vegetazione suviti allevate a Sylvoz) (verticale= perpendicolari al suolo; orizzontale = parallele al suolo;inferiore = lato rivolto versoil suolo; superiore = lato

rivolto verso l’alto) [Pavan, dati non pubblicati]

Fig. 7 - Confronto fra tre metodi di cattura degli adulti di S. titanus in viti allevate a parete verticale. Sono stateconfrontate le catture ottenute con tre trappole cromotropiche gialle di 250cm2 sostituite una volta allasettimana, con quelle conseguite in 10 minuti con due metodi meccanici[Pavan, dati non pubblicati]

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Tab. 2 - Sostanze attive (s.a.) utilizzabili nella lotta contro Scaphoideus titanus

e loro effetti collaterali su altri fitofagi della vite e su alcuni nemici naturali

Tignole Empoasca MetcalfaScaphoideus titanus della vite vitis pruinosa Cocciniglie Nemici naturali

Sostanze attive (s.a.) giovani adulti persistenza fitoseidi antocoridi

eff. eff. eff. eff. eff. eff. toss. toss.

NEUROTOSSICI DI SINTESI

Fosforganiciclorpirifos-metil +++ +++ + +++ +(*) +++ + ++(**) ++

clorpirifos-etil +++ +++ ++ +++ ++(*) +++ ++ ++(**) ++

fenitrotion +++ +++ ++ +++ ++(*) +++ + ++(**) ++

malation +++ +++ ++ ++(p) ++(*) ++ ++(**) ++

Carbammati°carbaril ++ ++ ++ ++ + + ++ ++

metomil ++ ++ ++ +++ +++ ++

Piretroidiacrinatrina, alfa-cipermetrina +++ +++ +++ ++(p) +++ +++ +++ +++

bifentrin, lambda-cialotrina +++ +++ +++ ++(p) +++ +++ +++ +++

zeta-cipermetrina +++ +++ +++ ++(p) +++ +++ +++ +++

Altrietofenprox +++ +++ + +++ +++ +++ +++

indoxacarb –/++ +/++ + ++(p) ++ – +/–

tiametoxam +++ +++ ++ +++ +

REGOLATORI DI CRESCITA

buprofezin +++ – +++ – +++ – ++(#) +/– +

flufenoxuron ++/ +++ – +++ ++(p) +++ + ++/– ++

“BIOLOGICI”

piretrine naturali ++ ++ – –/+ +/++ + + +

olio bianco ++ ++ + ++ ++ +

piretrine naturali + olio bianco +++ +++ + +++ +

rotenone ++ + + + +/++ +

azadiractina –/+ –

LEGENDA

+++ = efficacia (tossicità, persistenza) elevata++ = efficacia discreta+ = efficacia parziale– = efficacia nullasimbolo / simbolo = indicazioni contrastanti riportate in letteraturaassenza di simboli = informazioni non disponibili nella letteratura a disposizione(p) = s.a. utilizzabili solo per la lotta preventiva.

* = l’efficacia è nulla dove sono state selezionate popolazioni resistenti** = la tossicità è nulla in presenza di popolazioni resistenti# = attività lenta° = s.a. in corso di revisione per la registrazione.

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nata da fattori legati al comportamento dell’inset-to, che può modificare nel tempo sia la sua attivitàdi volo, sia il grado di risposta allo stimolo croma-tico. La manualità dell’operatore può invece in-fluenzare il numero di individui catturati quandovengono utilizzati i metodi meccanici. Le trappolecromotropiche forniscono un’informazione più ef-ficiente (a parità di tempi di campionamento) deimezzi meccanici (vedi fig. 7 per i metodi che sibasano sullo scuotimento; desumibile da Bosio etal., 2001, per il “retino entomologico”). Lo “scuo-timento manuale” è risultato comunque tenden-zialmente più efficiente delle trappole cromotropi-che all’inizio del volo, quando gli adulti sonoancora poco mobili (fig. 7). Il “retino entomologi-co”, sempre in tale fase, ha addirittura catturato dipiù delle trappole cromotropiche (Bosio e Rossi,2001), anche se in questo caso non sono stati con-siderati i tempi di campionamento.

Sostanze attive utilizzabiliLe sostanze attive efficaci contro S. titanus

sono numerose (Carle e Schvester, 1964; Planas,1987; Carraro e Pavan, 1988; Cazenave e Planas,1991; Caobelli e Carcereri, 1995; Decoin, 1995;Charayron, 1997; Rousseau, 1997; Stefanelli e Vil-lani, 1997; François et al., 1999; Mori et al.,1999b, 2004; Bassi et al., 2000; Pavan e Stefanel-li, 2000; Bosio et al., 2001, 2004; Posenato et al.,2001, 2002; Stefanelli et al., 2002; Cravedi e Maz-zoni, 2002; Girolami et al., 2002; Bottura et al.,2003; Mazzoni et al., 2003; Caruso e Mazio,2004; Mazio e Montermini, 2004; Mori, 2004).

Dal punto di vista pratico gli insetticidi posso-no essere raggruppati in: a) prodotti neurotossici; b) prodotti regolatori di crescita (inibitori della

biosintesi della chitina); c) prodotti “biologici”, autorizzati anche nelle

aziende a conduzione biologica (Reg. CEE

2092/91 e successive integrazioni) (tab. 2). La scelta delle sostanze attive dovrà considera-

re il meccanismo di azione dell’insetticida impiega-to, il costo del prodotto commerciale, la possibilitàdi controllare contemporaneamente altri fitofagi ela tossicità nei confronti dell’artropodofauna utile.

Insetticidi di sintesi ad attività neurotossicaFra i prodotti neurotossici è possibile utilizzare

fosforganici, carbammati, piretroidi, etofenprox,indoxacarb e neonicotinoidi (tiametoxam).

I fosforganici e i carbammati sono efficaci siacontro le forme giovanili sia contro gli adulti esono caratterizzati da un forte potere abbattente. I

formulati microincapsulati sono più persistenti diquelli tradizionali e quindi sono particolarmenteadatti alla lotta contro gli adulti provenienti davigneti non trattati (Posenato et al., 2002). Duetrattamenti effettuati con fosforganici nel corso diuna stagione vegetativa, in vigneti precedentemen-te non trattati con insetticidi, sono in grado diridurre le popolazioni del vettore a livelli moltobassi (Posenato et al., 2001).

I piretroidi, compreso l’affine etofenprox, sonoefficaci sia contro le forme giovanili sia contro gliadulti e sono caratterizzati da elevati potere abbat-tente e persistenza. Se ne sconsiglia l’uso in vigne-ti destinati alla produzione di uva in quanto sonoparticolarmente tossici nei confronti degli acarifitoseidi e di altri predatori, e causano frequente-mente pullulazioni indotte di acari tetranichidi(Duso e Pavan, 1986; Mori et al., 1999b; Posena-to et al., 2001). Possono invece essere utilmenteimpiegati nei barbatellai, in quanto da una partesono poco tossici nei confronti dell’uomo e dall’al-tra presentano caratteristiche tecniche, quali l’ele-vata persistenza, che li rendono particolarmenteadatti alla lotta contro gli adulti migranti.

Indoxacarb è registrato per l’impiego contro S.titanus (Bassi et al., 2000), ma il suo grado di atti-vità è oggetto di discussione. In prove di pienocampo su viti allevate a spalliera l’efficacia è risultatanulla (Bosio et al., 2004) o parziale (Mazzoni et al.,2003); su viti allevate a pergola è invece risultata

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11. Succhioni presenti lungo il cordone permanente verticale di una vite Foto G. Bogot

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discreta (dati non pubblicati). In prove effettuate inambiente confinato (vedi § Valutazione dell’effica-cia dei trattamenti insetticidi…), indoxacarb è risul-tato attivo sia contro le forme giovanili sia contro gliadulti, raggiungendo però livelli di efficacia e persi-stenza poco inferiori a quelli dei fosforganici, soloquando l’insetticida è stato irrorato in presenza dellacicalina (dati non pubblicati). Nell’ambito di vigne-ti allevati a spalliera e trattati due volte all’anno con-tro S. titanus, popolazioni significativamente piùelevate della cicalina sono state osservate in quelliche nel primo dei due interventi hanno utilizzatoindoxacarb in alternativa a un fosforganico o a flufe-noxuron (Pavan et al., 2005). L’efficacia di indoxa-carb è maggiore quando colpisce direttamente lacicalina, come risulta sia dai dati raccolti in ambien-te confinato (insetticida più attivo se irrorato in pre-senza della cicalina), sia, indirettamente, da quelli dicampo (maggior facilità di irrorare la pagina inferio-re delle foglie su pergola che su spalliera). Sulla basedei dati sperimentali sopra esposti è auspicabile uti-lizzare indoxacarb solo nei vigneti dove vengonoeffettuati due trattamenti insetticidi all’anno e limi-tatamente al primo intervento. Quest’ultimo, al finedi massimizzare l’efficacia dell’insetticida, andrà ef-fettuato in anticipo rispetto all’epoca in cui vengonoutilizzati gli altri prodotti neurotossici in modo daintervenire quando le forme giovanili della cicalinasono più suscettibili e la densità di vegetazione delleviti consente una buona bagnatura della pagina infe-riore delle foglie.

I neonicotinoidi, quali imidacloprid (Posenato etal., 2002; Mazio e Montermini, 2004) e tiametoxam(AGREA, dati non pubblicati), sono caratterizzati daun ottimo potere abbattente e da un’elevata persi-stenza. Solo la sostanza attiva tiametoxam è per ilmomento autorizzata su vite contro S. titanus.

Regolatori di crescita di sintesiFra i regolatori di crescita sono risultati efficaci

due inibitori della biosintesi della chitina: flufe-noxuron e buprofezin. La loro attività si esplicaquasi esclusivamente contro le forme giovanili(Mori et al., 1999b; Bosio et al., 2001; Mazzoni etal., 2003). L’efficacia dei due insetticidi è analoganei confronti delle prime due età giovanili, mentrela terza età è meglio controllata da buprofezinrispetto a flufenoxuron (Cravedi e Mazzoni, 2002).La loro azione, quella di flufenoxuron in particola-re, è lenta, in quanto essi manifestano un’efficaciache si avvicina a quella dei fosforganici solo dopocirca due settimane dal trattamento (Stefanelli eVillani, 1997; Mori et al., 1999b; Mazzoni et al.,2003; Bosio et al., 2004). Se si vogliono eliminarei primi individui della cicalina potenzialmente infet-

tivi (vedi § Prove di efficacia contro le forme giova-nili), i due regolatori di crescita vanno quindiimpiegati a non oltre 15-20 giorni dall’inizio dellaschiusura delle uova, quando le forme giovaniliappartengono quasi tutte alle prime due età. Per lostesso motivo non è consigliabile utilizzarli invigneti infetti nel primo anno in cui vengono effet-tuati interventi insetticidi (Posenato et al., 2001;Cravedi e Mazzoni, 2002; Bosio et al., 2004). Flu-fenoxuron è risultato efficace anche quando impie-gato in agosto-settembre contro le femmine ovide-ponenti, in quanto ha ridotto di quasi il 90% la pre-senza di neanidi nella primavera successiva(François et al., 1999).

Flufenoxuron, utilizzato alla dose attualmenteriportata in etichetta pari a 100 ml/hl, è risultatomeno efficace di buprofezin in prove parcellari(Bosio et al., 2004) e confrontando vigneti diver-samente trattati (Bosio et al., 2001; Mazzoni et al.,2003), ma non in prove svolte confinando le for-me giovanili su piante in vaso (Stefanelli e Villani,1997). Flufenoxuron, quando utilizzato a 150ml/hl per il controllo delle tignole della vite, nonha dato risultati sostanzialmente diversi da quelli dibuprofezin né in prove parcellari (Mori et al.,1999a), né confrontando vigneti diversamentetrattati (Bosio et al., 2001). La minore efficacia diflufenoxuron rispetto a buprofezin, oltre che dalladose, potrebbe dipendere anche dalla sua minoreattività contro le forme giovanili di età maggioredella seconda; opportuno è quindi il consiglio diimpiegare questa sostanza attiva in anticipo rispet-to a buprofezin (Cravedi e Mazzoni, 2002). Inun’indagine triennale svolta in Friuli-Venezia Giu-lia in vigneti ove venivano effettuati due interven-ti all’anno contro S. titanus, la strategia basata suldoppio trattamento con fosforganici e quella in cuiil primo fosforganico è stato sostituito da flufe-noxuron hanno avuto gradi di efficacia non signi-ficativamente diversi nel contenimento delle popo-lazioni della cicalina (Pavan et al., 2005).

Flufenoxuron e buprofezin non sempre sonocaratterizzati da selettività nei confronti degli acarifitoseidi e sono risultati tossici nei confronti diinsetti predatori quali gli antocoridi (Sterk et al.,1999; Angeli et al., 2000; Girolami et al., 2002).Flufenoxuron, a differenza di buprofezin, è efficaceanche contro le tignole della vite ed è in grado dicontrollare la seconda generazione delle stesse an-che quando impiegato in prima epoca, in coinci-denza con la prima generazione (Barbieri, 1997;Boselli et al., 2000; Bressan et al., 2002). Una mag-giore incidenza di infestazioni da parte di coccini-glie è risultata spesso associata ad un uso ripetuto diflufenoxuron (Vari, comunicazioni personali), men-

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tre buprofezin presenta una discreta efficacia, anchese lenta, nei confronti di Planococcus spp. (Bedfordet al., 1996) e di altre cocciniglie della vite (Pavanet al., 1996; Stefanelli et al., 2004).

Insetticidi utilizzabili in agricoltura biologica Fra le sostanze attive utilizzabili in agricoltura

biologica, le piretrine naturali hanno dato i miglioririsultati, miscelate o meno con piperonil-butossido(Stefanelli et al., 2002; Bottura et al., 2003; Bosioet al., 2004; Caruso e Mazio, 2004; Mori et al.,2004). Esse sono caratterizzate da ottimo potereabbattente, ma praticamente possiedono persistenzanulla per cui richiedono un numero di trattamentipiù elevato rispetto ai prodotti di sintesi e sono inef-ficaci nei confronti di adulti provenienti dall’esterno(Bottura et al., 2003; Mori et al., 2004).

Buona è l’attività dell’olio paraffinico che è tos-sico anche nei confronti di adulti che arrivano sullavegetazione dopo il trattamento (Stefanelli et al.,2002; Bottura et al., 2003; Mori et al., 2004). Lasua efficacia risulta tendenzialmente migliore seviene attivato con piretrine naturali. Tale prodottopuò dare problemi di fitotossicità se distribuito inmiscela con zolfo.

Discreta, ma significativamente inferiore aquella delle piretrine naturali, risulta l’efficacia dirotenone (Bottura et al., 2003; Mori et al., 2004).Ottima contro le forme giovanili appare invece lamiscela rotenone + piretrine naturali (Bottura etal., 2003; Bosio et al., 2004; Mori et al., 2004).

Insetticidi a base di azadiractina hanno eviden-ziato un’efficacia nulla (Bosio et al., 2004) o limi-tata (Bottura et al., 2003; Caruso e Mazio, 2004).

Modalità di esecuzione dei trattamentiLe modalità di esecuzione dei trattamenti sono

di fondamentale importanza al fine di massimiz-zarne l’efficacia.

Sulla base di indicazioni riportate in diversi la-vori (Bosio et al., 2001, 2004; Bottura et al.,2003; Mori et al., 2004) sono di seguito riassuntialcuni accorgimenti per rendere più efficaci i trat-tamenti: a) è indispensabile impiegare elevati volumi d’ac-

qua in modo da bagnare bene la vegetazione,soprattutto quando si utilizzano piretrine natu-rali e indoxacarb che aumentano di molto laloro efficacia quando colpiscono direttamentela cicalina;

b) gli ugelli dell’irroratrice devono essere orienta-ti anche verso la parte inferiore delle piante,dove sono concentrate le forme giovanili;

c) prima del trattamento è opportuno asportaretutti i succhioni basali a eccezione di quelli che

possono venire adeguatamente irrorati dallamiscela insetticida, in modo da favorire la con-centrazione della maggioranza delle forme gio-vanili su questi ultimi (pratica utile soprattuttosu viti allevate a parete orizzontale, quali la per-gola, in quanto su queste i succhioni rappre-sentano l’unica vegetazione prossima al suolo);

d) le piretrine naturali andrebbero distribuite lasera o con cielo coperto per limitare la degra-dazione da parte della componente ultraviolet-ta della luce;

e) quando si utilizzano piretrine naturali e rote-none è bene acidificare l’acqua in modo daottenere un pH di 6-6,5;

f) è preferibile non utilizzare gli insetticidi inmiscela con anticrittogamici.

Strategie di lotta insetticidaLe strategie di lotta insetticida da adottare

varieranno in relazione alle finalità produttive delvigneto e alla presenza e incidenza della malattia.

Vigneti convenzionali per la produzione di uve da vinoIn tali vigneti l’obiettivo della lotta insetticida

sarà quello di evitare danni economici. Le strategiedi intervento varieranno in funzione della presen-za e incidenza di flavescenza dorata.

• A.1. Vigneti in cui FD non è ancora presenteQuando FD non è ancora presente, la convenien-za economica di effettuare trattamenti preventivirisiede nell’evitare gravi epidemie qualora la malat-tia si insedi. Infatti, come già detto, le aree vitico-le maggiormente danneggiate da FD sono statequelle in cui la pressione insetticida era menoforte. Le aree viticole dove è conveniente attuareuna lotta preventiva sono soprattutto quelle conti-gue ad aree già infette.

In tali aree, non essendoci ancora la necessità diintervenire precocemente per eliminare le primeforme giovanili potenzialmente infettive, è suffi-ciente effettuare un unico trattamento insetticidaall’anno. Qualora si utilizzino insetticidi neurotos-sici, il trattamento andrà effettuato verso la finedella schiusura delle uova del vettore in coinciden-za con il trattamento contro la seconda generazio-ne delle tignole della vite. Se si utilizzano buprofe-zin o flufenoxuron, questi andranno posizionatinel momento di maggiore efficacia che coincidecon la massima presenza di forme giovanili delleprime due età (pre-fioritura o immediata post-fio-ritura). L’utilizzo di flufenoxuron in tale fase èanche garanzia di controllo della seconda genera-

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zione delle tignole della vite (Barbieri, 1997;Boselli et al., 2000; Bressan et al., 2002).

Tale strategia preventiva, antieconomica nelbreve periodo e con negativi effetti eco-tossicolo-gici, ha dato ottimi risultati nel contenimento diFD; ad esempio, in Friuli-Venezia Giulia la malat-tia, nelle nuove aree in cui si è via via insediata, nonha mai causato danni di rilevanza economica neivigneti che erano stati preventivamente trattati(Servizio Fitosanitario Regionale, dati non pubbli-cati). È comunque stato dimostrato che la lottainsetticida contro il vettore riduce in modo signifi-cativo l’incidenza della malattia in un vignetoanche quando viene iniziata nell’anno in cui ven-gono osservate le prime viti con sintomi (Posena-to et al., 2001).

• A.2. Vigneti in cui FD è presenteDove la malattia è già insediata, i trattamentihanno lo scopo di ridurre sia le nuove infezioni, siale reinfezioni.

Nei vigneti in cui l’incidenza della malattia èelevata e ci si trova nella fase epidemica bisognaesercitare una forte pressione insetticida, in quantoil rischio di nuove infezioni è maggiore in presenzadi molte viti infette che fungono da inoculo. In taliaree è necessario effettuare due interventi insettici-di all’anno posizionati contro le forme giovanili:• il primo 15-30 giorni dopo l’inizio della schiu-

sura delle uova;• il secondo pochi giorni prima del previsto ter-

mine della schiusura delle uova, ovvero in coin-cidenza con la comparsa dei primi adulti, epocache può coincidere con il trattamento contro laseconda generazione delle tignole della vite. In tali vigneti un terzo trattamento è sicura-

mente antieconomico; in Veneto, infatti, due solitrattamenti insetticidi all’anno, ancorché posizio-nati sulla seconda e terza generazione delle tigno-le della vite, hanno avuto la stessa efficacia nelridurre la percentuale di nuove piante ammalate ditre trattamenti primaverili-estivi posizionati secon-do il ciclo di S. titanus (Posenato et al., 1996b).

Il primo intervento può essere effettuato sia coninibitori della biosintesi della chitina (buprofezin eflufenoxuron), sia con insetticidi neurotossici. I dueregolatori di crescita, flufenoxuron in particolare,andranno utilizzati precocemente, quando sonopresenti soprattutto forme giovanili delle prime dueetà, cioè non oltre l’immediata post-fioritura. Ifosforganici e gli altri neurotossici andranno impie-gati alla comparsa della quarta età giovanile.

Per il secondo intervento è opportuno impie-gare fosforganici. È preferibile non utilizzare pire-

troidi, soprattutto nelle aree viticole in cui è pre-sente un buon equilibrio fra acari tetranichidi(ragnetti) e acari predatori fitoseidi (Duso e Pavan,1986; Mori et al., 1999a; Posenato et al., 2001).Sarà inoltre opportuno non effettuare su largascala una pressione selettiva a base di un solo grup-po di sostanze attive per ridurre il rischio di sele-zionare popolazioni di fitofagi resistenti, comerecentemente verificatosi nella zona del Soave,dove sono state osservate popolazioni di Empoascavitis (Göthe) resistenti ai fosforganici (Girolami etal., 2001).

Nei vigneti infetti in cui le nuove piante amma-late sono ormai poche e le popolazioni del vettoresono basse, è possibile ridurre il numero di tratta-menti insetticidi efficaci contro S. titanus a unoall’anno e in prospettiva adottare strategie di lottaintegrata che prevedano interventi posizionatisoprattutto in funzione del controllo delle tignoledella vite (Girolami et al., 2002). Naturalmentedovrà essere sempre monitorata attentamente lapresenza di FD e di S. titanus, in modo da aumen-tare prontamente la pressione insetticida qualoranecessario. Al fine di stabilire la pressione insetticidanecessaria al contenimento di FD, potrebbe ancheessere determinata una densità del vettore al di sottodella quale la probabilità di nuove infezioni è moltobassa, per cui ulteriori riduzioni delle popolazioni diS. titanus risultano inutili (Girolami, 2000).

Vigneti per la produzione di materiale vivaisticoIl vivaismo è responsabile della diffusione di FD

a grandi distanze e per questo la normativa fitosa-nitaria ha imposto rigidi controlli su tale attività(Frausin et al., 2000b).

Per ridurre i rischi di diffusione della malattiatramite innesto, nelle aree viticole ad attività vivaisti-ca, oltre al monitoraggio sulla presenza della malat-tia, è stata esercitata, sin dalle prime segnalazioni diFD in Friuli-Venezia Giulia, un’elevata pressione dilotta insetticida contro il vettore (Frausin et al.,2000b). Negli impianti collegati a tale attività(vigneti di piante madri e barbatellai) la lotta controS. titanus deve mirare alla “eradicazione” dell’inset-to, dovendosi evitare non solo la diffusione dellamalattia, ma anche il suo semplice instaurarsi. In talivigneti è quindi necessario effettuare una forte pres-sione insetticida, soprattutto se questi si trovano inaree contigue a quelle già infette. In Veneto e Friu-li-Venezia Giulia sono obbligatori tre interventiinsetticidi (due contro le forme giovanili e uno adul-ticida). Quest’ultimo trattamento può coinciderecon quello contro la terza generazione delle tignoledella vite. Nei barbatellai i trattamenti possono venir

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effettuati anche con piretroidi (vedi § Insetticidi disintesi ad attività neurotossica).

Vigneti per la produzione di uve biologiche e piccoli vigneti familiariNei vigneti a conduzione biologica, come pure

in piccoli vigneti vicini alle abitazioni, non è possibi-le (vigneti “biologici”) o non è auspicabile (vigneti“familiari”) utilizzare insetticidi organici di sintesi.

In tali vigneti le finalità della lotta insetticidasono analoghe a quelle dei vigneti convenzionali,ma i mezzi a disposizione sono più limitati. In pra-tica una buona efficacia è garantita solo dalle pire-trine naturali, che sono però molto poco persisten-ti. L’attività insetticida può venir prolungatamiscelando le piretrine naturali con olio bianco(vedi § Sostanze attive utilizzabili). Nell’ambito distrategie di lotta integrata, e per sopperire ai limitidella lotta insetticida, in tali vigneti debbono anchevenir utilizzati al meglio i mezzi di lotta agrono-mica (vedi § Lotta agronomica).

Valutazione dell’efficacia dei trattamenti insetticidi nel contenimento di S. titanusLa valutazione dell’efficacia dei trattamenti in-

setticidi nei confronti di S. titanus presenta alcunedifficoltà: a) S. titanus, se confrontato con altri fitofagi, non

raggiunge popolazioni molto elevate e quindinon è sempre facile effettuare prove di pienocampo;

b) nelle aree viticole interessate da FD è spesso dif-ficile trovare vigneti non trattati con insetticidi;

c) la cicalina ha una distribuzione molto aggregata:il coefficiente angolare delle “power low” di Tay-lor (1961) è risultato variare da 1,32 a 1,48, con-siderando gli adulti catturati per trappola cromo-tropica (Jermini et al., 1993; Bosco et al., 1997),e pari a 1,24 in relazione alle forme giovanili perfoglia basale (Pavan, dati non pubblicati). Ciòimplica la necessità di considerare un elevatonumero di unità di campionamento, sia per avereuna stima abbastanza precisa delle popolazioni siaperché eventuali differenze fra tesi a confrontorisultino statisticamente significative.

Prove di efficacia contro le forme giovaniliConsiderato che le forme giovanili presentano

una mobilità notevolmente inferiore rispetto agliadulti, ove la densità di popolazione della cicalinaè relativamente elevata, è possibile effettuare provedi pieno campo. Le prove andranno possibilmenteimpostate a blocchi randomizzati con quattro ripe-

tizioni. Considerata la relativa mobilità delle formegiovanili, le parcelle dovranno essere sufficiente-mente ampie (per esempio, 3 filari e 14 piante perfilare, Mazzoni et al., 2003) e i campionamentiinteressare le piante centrali di ogni parcella. Leforme giovanili andranno osservate nella zonadella pianta più infestata che consente una stimapiù efficiente delle popolazioni (Karandinos,1976). Quando possibile, i campionamenti an-dranno pertanto effettuati sui succhioni posti allabase delle viti (Bosio et al., 2001; Posenato et al.,2001; fig. 3). In assenza di succhioni, e soprattut-to da fine giugno, si dovranno campionare i ger-mogli posti alla base dei capi a frutto. Nelle proveriportate in letteratura in alcuni casi l’unità di cam-pionamento era costituita dal germoglio tal quale(Mori et al., 1999b; Posenato et al., 2001), men-tre in altri casi da una foglia basale per germoglio(Carraro e Pavan, 1988; Bosio et al., 2001, 2004;Mazzoni et al., 2003). I campionamenti, per sti-mare la densità di popolazione della cicalina,andranno effettuati immediatamente prima deltrattamento (T+0) e in più momenti successivi (peresempio, T+1, T+7, T+15, T+30 = 1, 7, 15, 30giorni dopo il trattamento) in modo da valutare ilpotere abbattente, la rapidità di azione e la persi-stenza dei prodotti a confronto (Mori et al.,1999b; Bottura et al., 2003) (fig. 3).

Quando la densità delle popolazioni in campoè bassa si possono confinare le forme giovanili,mediante manicotti di rete a tenuta di insetto postisopra germogli di viti allevate in vaso sottoscreenhouse e precedentemente trattate con insetti-cidi (Stefanelli e Villani, 1997; foto 10). I manicot-ti devono essere di forma cilindrica sia per evitareche le forme giovanili muoiano imprigionate fra lepieghe sia per agevolare i campionamenti. Per con-frontare correttamente l’attività dei diversi insetti-cidi, le forme giovanili poste all’interno dei mani-cotti debbono essere coetanee. Prove di questotipo consentono di valutare non solo l’efficaciadelle sostanze attive sulle diverse età giovanili, maanche la loro persistenza, confinando le forme gio-vanili (almeno 10 per manicotto) sulle piante inmomenti via via successivi al trattamento. Per valu-tare l’importanza di irrorare direttamente gli inset-ti, le forme mobili possono venir inserite all’inter-no del manicotto prima del trattamento. I campio-namenti per stimare la mortalità andranno effet-tuati in più momenti successivi al trattamento (peresempio, dopo 1, 3, 7, 15 giorni). Dovranno esse-re previste quattro ripetizioni per tesi e ognuno deimanicotti appartenenti alla stessa tesi dovrà prefe-ribilmente essere posto su quattro piante diverse

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trattate le une indipendentemente dalle altre. Adogni campionamento verranno contati gli indivi-dui vivi e quindi stimata la mortalità.

Prove di efficacia contro gli adultiLa valutazione dell’attività di un insetticida nei

confronti degli adulti di S. titanus risulta difficile inprove parcellari di pieno campo, oltre che per imotivi precedenti, anche a causa dell’elevata mobi-lità degli adulti che possono ricolonizzare rapida-mente le parcelle trattate.

Per tale motivo è stato messo a punto un meto-do sperimentale che prevede il confinamento degliadulti o in campo su germogli di vite, mediantemanicotti di tulle (Stefanelli et al., 1994; Posenatoet al., 2002), o sotto screenhouse su viti allevate invaso, mediante manicotti di rete a tenuta d’insetto(Bottura et al., 2003; Posenato et al., 2002; Moriet al., 2004). Gli adulti possono venir confinatisulle viti sia prima, sia dopo il trattamento, non ap-pena la vegetazione si è asciugata, per valutarel’importanza di irrorare o meno gli insetti (Mori etal., 2004). Tali metodi possono consentire di met-tere in luce non solo il potere abbattente e la per-sistenza di un insetticida, ma anche la sua eventua-le repellenza (Stefanelli et al., 1994). Tale caratte-ristica è positiva se si considera l’effetto su adultiche arrivano dall’esterno, ma potrebbe esserenegativa in relazione agli adulti già presenti neivigneti che, indotti in un primo momento a por-tarsi sulla vegetazione circostante per sfuggireall’attività dell’insetticida, successivamente ricolo-nizzerebbero le viti. È noto, infatti, che S. titanuspuò nutrirsi e sopravvivere per brevi periodi sumolte piante legnose presenti nella vegetazioneche circonda i vigneti (Schvester et al., 1962a).

Confronto fra vigneti diversamente trattatiL’efficacia di diverse strategie (tipo e numero di

trattamenti) può venir valutata anche confrontan-do gruppi di vigneti omogenei (numero di anni dacui si tratta, numero di trattamenti per anno,sostanze attive utilizzate) (Bosio et al., 2001; Maz-zoni et al., 2003; Pavan et al., 2005).

Per valutare l’efficacia dei trattamenti effettuatiin prima epoca (inizio giugno) con le diversesostanze attive, bisogna stimare la densità di popo-lazione delle forme giovanili effettuando un cam-pionamento prima del trattamento e uno dopo 2-3 settimane (Bosio et al., 2001). Il confronto saràfatto sulla riduzione percentuale delle popolazionidelle forme giovanili. Tali campionamenti risultanopoco utili quando le popolazioni sono molto basse(per esempio, vigneti trattati da più anni).

Per confrontare l’efficacia di diverse strategie dilotta (numero di trattamenti all’anno e sostanzeattive diverse) è possibile stimare le popolazionidegli adulti con trappole cromotropiche o con reti-no entomologico (Bosio et al., 2001). Per quantoesposto in precedenza sul monitoraggio degli adul-ti, è più pratico ed efficiente utilizzare trappole cro-motropiche. Sarebbe ottimale installare le trappoleall’inizio dei voli e sostituirle a cadenza settimanaleper tutto il periodo di volo, ma un buon compro-messo, al fine di ridurre i costi, è quello di installa-re le trappole una sola volta nel periodo di massimacattura degli adulti (ultima decade di luglio-secon-da di agosto) (Pavan et al., 2005).

Valutazione dell’efficacia di trattamenti insetticidi nel contenimento di FDLo scopo principale della lotta è il contenimen-

to di FD tramite l’abbattimento delle popolazionidel vettore. L’efficacia dei trattamenti nel conteni-mento della malattia si valuta confrontando l’anda-mento di FD in vigneti diversamente trattati (nu-mero e tipo di interventi) (Posenato et al., 1996b;Belli et al., 1997).

Volendo seguire i criteri della lotta integrata eguidata è opportuno non solo valutare l’efficacia,ma anche la convenienza economica dei trattamentiche dipenderà dal costo della lotta e dagli incre-menti in termini di Produzione Lorda Vendibile.

LOTTA AGRONOMICA

La lotta agronomica rappresenta non tantoun’alternativa alla lotta chimica, quanto un mezzoche si deve aggiungere al primo nell’ambito di stra-tegie di difesa integrata. In quanto privo di effetticollaterali negativi di tipo eco-tossicologico, talemezzo di controllo va incentivato.

Eliminazione dei tralci con S. titanus svernanteS. titanus sverna come uovo quasi esclusivamen-

te sul legno di due anni (Schvester et al., 1962a;Vidano, 1964), che viene in buona parte asportatodurante la potatura secca. Se il legno di potaturaviene lasciato in campo le uova schiudono e le for-me giovanili possono, grazie alla loro mobilità, co-lonizzare le viti a partire dalle foglie più vicine alsuolo e, in particolare, da quelle dei succhioni pre-senti nella parte bassa del cordone verticale perma-nente delle viti. Se il legno viene allontanato dalvigneto è evidente che le potenziali popolazioni

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della cicalina vengono drasticamente ridotte (Carlee Schvester, 1964). L’adozione di tale pratica è piùimportante nei vigneti dove la lotta insetticida nonpuò essere ottimale, come in quelli delle aziende aconduzione biologica (Rousseau, 1997).

Eliminazione dei succhioniNel periodo primaverile-estivo, come detto

precedentemente, le forme giovanili di S. titanuspresentano le densità più elevate sui succhioniposti nelle parti basse delle piante (foto 7). Taledistribuzione spaziale non dipende dai siti di sver-namento della cicalina, in quanto solo raramente lefemmine per deporre le uova utilizzano legno dietà superiore ai due anni (Schvester et al., 1962a;Vidano, 1964), ma dal fatto che le forme giovani-li cadute a terra ricolonizzano le viti a partire daisucchioni basali o dai germogli prossimi al terreno(Lozzia, 1992; Cravedi et al., 1993; Posenato etal., 2001; Bosio et al., 2001). La tendenza delleforme giovanili a spiccare salti, se disturbate, ca-dendo verso il basso, è evidente quando si toccauna foglia o un germoglio infestato e quando siusano metodi di monitoraggio quali lo strumento“scuotitore-raccoglitore”. L’azione meccanica delvento o della pioggia, ma anche il rimescolamentodella vegetazione causato dai trattamenti antiparas-sitari, potrebbero essere fattori che favoriscono lacaduta a terra delle forme giovanili.

La scacchiatura ripetuta dei fusti, impedendouna facile colonizzazione delle viti da parte delleforme giovanili, si ritiene possa contribuire allariduzione delle popolazioni della cicalina (Rous-seau, 1997). Bisogna comunque tenere presenteche, oltre ai succhioni, anche i germogli portati darami di un anno possono essere colonizzati dalleforme giovanili cadute a terra se sono prossimi alterreno. La scacchiatura potrebbe essere più effica-ce se effettuata in coincidenza con l’inizio dellaschiusura delle uova, in quanto le prime età giova-nili da una parte sono più vulnerabili e dall’altrahanno maggior difficoltà a colonizzare i germogliportati da rami di un anno, essendo questi ancoradistanti dal terreno. Sulle forme di allevamento aparete orizzontale (per esempio, pergola) la colo-nizzazione delle viti sarà più difficile, essendo lavegetazione più distante dal livello del terreno(Bottura et al., 2003). Bisogna comunque tenerpresente che le forme giovanili di S. titanus sono ingrado di sopravvivere nutrendosi per lunghi perio-di su diverse piante erbacee (Caudwell et al., 1970)e pertanto, una volta cadute a terra, non necessita-no dell’immediata disponibilità di foglie di vite.

Eliminazione dei vigneti abbandonati e delle viti inselvatichiteI vigneti abbandonati e le viti inselvatichite (ge-

neralmente viti americane derivanti da ricacci di por-tinnesti) non vengono trattati con insetticidi e pos-sono ospitare popolazioni più o meno elevate delvettore (Schvester et al., 1962a; Carle e Schvester,1964; Vidano, 1964). Queste ultime possono siaricolonizzare i vigneti trattati, sia infettarne le viti. Èopportuno ricordare che possono essere infetti nonsolo le viti europee presenti nei vigneti abbandonati,ma anche i portinnesti inselvatichiti sintomatici omeno (Moutous, 1977; Caudwell et al., 1994).

La pericolosità di tali viti è tanto più elevataquanto più sono vicine ai vigneti trattati con inset-ticidi. In Francia, proprio per tali motivi, è stata sindall’inizio resa obbligatoria l’eliminazione deivigneti abbandonati e delle viti inselvatichite(Carle e Schvester, 1964; Planas, 1987).

Recenti indagini effettuate in Italia hannocomunque messo in luce che i vigneti di vite euro-pea abbandonati e le viti inselvatichite ospitanonormalmente popolazioni di S. titanus molto infe-riori a quelle dei vigneti di vite europea coltivati,ma non trattati con insetticidi (Mori, 2004; Pavanet al., 2005).

Estirpo delle viti sintomatichePoiché, a parità di densità delle popolazioni di S.

titanus, la probabilità di avere nuove piante amma-late dipende dalla proporzione di individui infetti equesta, a sua volta, dalla percentuale di viti amma-late (inoculo) (Bressan et al., 2003), l’efficacia diun trattamento insetticida nel ridurre l’incidenza diFD dovrebbe aumentare se vengono estirpate le vitisintomatiche (Schvester, 1969). L’estirpo delle vitiinfette, al primo manifestare dei sintomi, potrebberidurre la percentuale di vettori infetti che possonotrasmettere il fitoplasma già nel corso della stessaannata. Normalmente però l’estirpo delle viti vieneeffettuato durante il riposo vegetativo, allo scopo diridurre l’inoculo nell’annata successiva.

La convenienza di estirpare le viti deve comun-que tener conto della possibilità che le viti risanino(Girolami, 2000; Osler et al., 2002). L’utilità ditale pratica è infatti tanto minore quanto più le vitirisanano. Nelle viti diventate asintomatiche nonviene più rilevato il fitoplasma (Osler et al., 2002)e le forme giovanili che si nutrono su esse nonrisultano infettive (Schvester et al., 1969).

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LOTTA BIOLOGICA CONTRO IL VETTORE

Come per altri fitofagi esotici, introdotti intempi relativamente recenti nel nostro Paese,anche per S. titanus il controllo biologico naturaleda parte di entomofagi indigeni è limitato e sicura-mente non sufficiente a mantenere le popolazionedel vettore a livelli non dannosi.

Entomofagi indigeni (imenotteri mimaridi edriinidi, ma anche ragni e insetti predatori) si sonocomunque adattati a S. titanus (Schvester et al.,1962b; Carle, 1965; Alma e Arzone, 1994; Arzo-ne e Alma, 1994; Rousseau, 1997; Malausa et al.,2003).

Sono state anche ipotizzate strategie di lottabiologica con rilasci inondativi di imenotterimimaridi indigeni (Sutre e Fos, 1997).

Recentemente sono stati individuati nel NordAmerica e importati in Francia numerosi parassi-toidi di S. titanus (imenotteri driinidi, ditteripipunculidi e imenotteri oofagi), che sono oggettodi studio in ambiente confinato prima della loroliberazione in campo (Malausa et al., 2003).

Dal punto di vista pratico, sempre che questientomofagi vengano liberati e riescano ad affermar-si, sarà comunque importante verificare se i nuoviequilibri biologici determineranno densità di popo-lazione di S. titanus economicamente non dannose.Il fatto che nelle aree in cui sono stati raccolti iparassitoidi le popolazioni della cicalina hannobasse densità, autorizza un moderato ottimismo.

7.5 Conclusioni e prospettiveRuggero Osler

La flavescenza dorata (FD) della vite è giusta-mente ritenuta la malattia più grave e preoccupantefra quelle che rientrano nel gruppo dei giallumi dellavite (GY) causati da fitoplasmi. Infatti, come è statoriferito, FD è fortemente epidemica, può esseredistruttiva per la vite e la sua produzione e può col-pire moltissime varietà, forse tutte quelle più colti-vate. È di recente introduzione in Europa (anni cin-quanta in Francia) e pertanto non sussistono feno-meni di selezione e di adattamento patogeno/ospitevegetale. Anche il vettore è di origine neartica e nonsi conoscono ancora, in Europa, suoi competitoriefficaci. FD e il suo vettore sono presenti nel NordItalia, Toscana inclusa, ma è in atto una progressio-ne spaziale di entrambi, in nuove zone.

Fin dagli anni cinquanta, ma soprattutto dopo il1980, le ricerche su questa malattia sono state for-temente incentivate, sia a livello internazionale, che

nazionale, che regionale. L’eziologia di FD è certa eampie sono le informazioni sulle caratteristiche delfitoplasma causale, incluse quelle genetiche. Anchela diagnosi di FD è certa e precisa, specialmentequella molecolare (ormai applicata di routine).

Buone sono le conoscenze sull’ecologia del vet-tore e anche sulle caratteristiche della trasmissionedel fitoplasma nonché sulla relazioni fondamentalipatogeno/pianta ospite.

È nota la difficoltà della trasmissione di FDattraverso l’innesto al tavolo; si conosce la lun-ghezza media del periodo di incubazione dellamalattia in vite. Di conseguenza – traspare con evi-denza anche dal presente elaborato – si conosconosufficientemente l’epidemiologia della malattia e isuoi parametri fondamentali. Sono state svolteesperienze e osservazioni anche sulla termoterapiae sul fenomeno del “recovery”.

Per quanto concerne la possibilità di difesa,sembra corretto affermare che innumerevoli sonogli esempi ove la malattia è stata frenata nella suadiffusione (in Italia e all’estero) in seguito all’ado-zione di strategie e di interventi idonei (special-mente mirati alla lotta al vettore, e alla distruzionedelle viti infette). Non si può sottacere che in altricasi gli interventi sono stati tardivi e la malattia èsfuggita al controllo.

Attualmente, le conoscenze acquisite sulla ma-lattia e le esperienze maturate nell’ambito dellaprevenzione, consentono di affermare che FD, semonitorata adeguatamente e fronteggiata pertempo, non deve essere più un problema grave. Losi sta dimostrando in Friuli-Venezia Giulia e inTrentino: in entrambi i casi, FD si è affacciata neirispettivi territori con notevole ritardo rispetto adaltre regioni, anche confinanti; è stato, pertanto,possibile fronteggiare la malattia fin dall’inizio, evi-tando, finora, rilevanti epidemie. A commento diquesti risultati, si vuole ribadire l’importanza, fon-damentale, dell’organizzazione generale dei pro-grammi di intervento: questi devono coinvolgereEnti pubblici, Istituti scientifici e tecnici, Consorzie Cooperative di produttori.

In ambito nazionale si sta riscontrando una sen-sibile diminuzione nella frequenza della malattia,proprio nelle regioni che avevano subito i dannimaggiori negli anni novanta.

È comunque vero che si tratta di una malattiaepidemica; che permangono forme di pericoloseendemie laddove si sono esaurite le epidemie;nuove epidemie possono nascere dall’arrivo (in-controllato) di vettori; differenti biotipi – patotipi– genotipi di FD possono riavviare epidemie anchein zone precedentemente già infette.

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Nuove infezioni, anche a distanze ragguarde-voli, possono essere innescate attraverso l’introdu-zione di materiale vegetale infetto. Da qui l’impor-tanza dell’adozione di severe misure per la produ-zione di barbatelle. Ma gli scoppi epidemici sonoda attribuire all’attività dei vettori locali.

Secondo un parere abbastanza condiviso nellacomunità scientifica, oggi si dispone di conoscenze,di mezzi e di tecniche che dovrebbero essere idoneia evitare situazioni della gravità registrata in passa-to, purché non si abbassi eccessivamente la guardia.

Si è detto che si tratta di una malattia comples-sa. Per quanto concerne l’eziologia, recenti studibasati sui geni ribosomici, hanno messo in rilievola presenza di genotipi diversi di FD, in zone diver-se e in periodi diversi. Non si conosce ancora larilevanza pratica di questi biotipi di FD e il loro

impatto sull’epidemiologia della malattia.Ma anche altri aspetti fondamentali della fito-

patia restano ancora da approfondire, come:• il “recovery”;• i fattori precisi che influenzano la genesi ma

soprattutto l’estinzione delle epidemie;• i rapporti patogeno/cicalina vettore;• i rapporti patogeno/pianta ospite;• l’influenza di endofiti su FD;• la possibilità di fenomeni di “resistenze acquisi-

te sistemiche” (SAR) in viti infette;• la resistenza/tolleranza di genotipi di viti a FD.

Tutto questo suggerisce che si deve insisterenella ricerca su questa malattia, possibilmente at-traverso progetti nazionali, coordinati, a continua-zione di quello del Ministero per le Politiche Agri-cole e Forestali, attualmente in corso.

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8.1 Caratteristiche generali ed eziologia del legno nero

Maurizio Conti

Il legno nero rientra tra le ampelopatie generi-camente note come giallumi della vite (Grapevineyellows, GY) e causate da fitoplasmi trasmessi da ci-caline che si alimentano specificamente nel floemadelle piante. Esso venne descritto la prima volta daCaudwell (1961) in Francia con il nome di Boisnoir (BN) quindi, poco più tardi, in Germaniacome Vergilbungskrankheit (VK: Gartel, 1965) ecorrettamente inquadrato sin dall’inizio – in base acaratteristiche sintomatologiche e infettività –come malattia affine alla flavescenza dorata (FD),ma non identica perché non trasmissibile median-te la cicalina Scaphoideus titanus vettore specificodi FD. Il termine ‘legno nero’ (LN) è la traduzio-ne italiana dell’originaria denominazione dellamalattia, adottato in seguito all’accertamento dellasua presenza anche in Italia. All’inizio degli anniottanta, un’altra malattia simile si manifestò informa epidemica su giovani piante di ‘Chardon-nay’ di origine clonale nella regione francese delloChampagne, e venne chiamata Vein yellowing lea-froll (Caudwell et al., 1983): essa fu in seguito rite-nuta una particolare “espressione” sintomatica diBN, forse imputabile a interazioni con infezionivirali portate dal portinnesto (Caudwell et al.,1985). Soltanto una decina di anni fa i fitoplasmiassociati a BN, LN e VK furono caratterizzati a li-vello genomico accertando che tutti appartengonoal raggruppamento tassonomico dello stolbur(16SrXII) (Maixner et al., 1995; Daire et al.,1997). Giallumi della vite causati da fitoplasmi diquesto gruppo sono stati descritti in molti paesieuropei quali Svizzera, Ungheria, Croazia, Grecia –oltre a Francia, Germania e Italia – e anche in Israe-

le e Australia (Bertaccini et al., 1995; Tanne et al.,1995; Daire et al., 1997). Gli isolati europei appar-tengono al sottogruppo ribosomico 16SrXII-A,quelli australiani al sottogruppo 16SrXII-B (Au-stralian grapevine yellows, AGY). Anche sul territo-rio nazionale la presenza di LN è praticamente ubi-quitaria, a conferma dell’elevato potenziale di dif-fusione di questa fitoplasmosi (Granata, 1982; Eg-ger e Borgo, 1983; Credi e Babini, 1984; Refatti,1993; Del Serrone et al., 1995; Belli et al., 1997;Garau et al., 1997; Sfalanga et al., 1999).

Stolbur è il nome di una malattia epidemica tipi-ca delle solanacee (peperone, pomodoro, melanza-na) descritta originariamente nell’Europa centro-orientale, quindi comparsa via via altrove e attual-mente endemica in tutta Europa. In pomodoro emelanzana lo stolbur si manifesta con riduzione disviluppo, sterilità (aborto e rigonfiamento dei bot-toni fiorali: Tomato big bud = TBB), virescenza (tra-sformazione dei fiori in organi clorofilliani), scopaz-zi (emissione abnorme di getti ascellari e conse-guente aspetto ‘cespuglioso’ delle piante), pigmen-tazione verde intensa e poi rosso-violetta delle fo-glie, accartocciamento fogliare. In peperone i sinto-mi sono simili, a parte il fatto che la vegetazione èaffetta da giallume anziché arrossamento. Il fitopla-sma agente, considerato il ceppo di riferimento delgruppo 16SrXII, è caratterizzato da una certa varia-bilità genetica (Minucci e Boccardo, 1997) e da unaconsistente varietà di ospiti: oltre alle solanaceericordate, infatti, può infettare numerose specievegetali anche in altre famiglie botaniche. Tra lavegetazione spontanea, ad esempio, ne sono ospitiabbastanza comuni la piantaggine (Plantagomedia), i rovi (Rubus spp.), l’ortica (Urtica dioica)e il convolvolo (Convolvulus arvensis). Vettore spe-cifico dello stolbur è la cicalina cixiide Hyalesthesobsoletus che trasmette anche VK in Germania

8. Legno nero della vite

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(Maixner, 1994), BN in Francia (Sforza et al.,1998) e LN in Italia (Alma et al., 2002).

In base alle omologie di sequenza e alle caratteri-stiche ‘biologiche’ – gamma di piante ospiti, sinto-matologia, identità del vettore – si può concludereche i fitoplasmi del gruppo stolbur (16SrXII) costi-tuiscono un raggruppamento tassonomico omoge-neo di patogeni che infettano un’ampia gamma dispecie vegetali compresa la vite, che reagisce con lasindrome indicata indifferentemente come BN, LNo VK in funzione delle diverse località geografiche.In natura i fitoplasmi del gruppo sono trasmessi inmodo specifico da H. obsoletus ma alcuni indizi epi-demiologici suggeriscono che esistono anche altrivettori, come viene discusso al § 8.2 Epidemiologiasuccessivo (Sforza et al., 1997; Conti, 2001) (foto 1).

I sintomi indotti da LN non si discostano daquelli associati alla FD o ad altre fitoplasmosi dellavite sicché il riconoscimento dell’agente della sin-drome in base a un semplice esame visivo è assolu-tamente da escludere: a tal fine è indispensabilericorrere ad appropriati saggi diagnostici comequelli descritti al § 8.3 Diagnosi del presente lavo-ro. Le piante infette in primavera manifestano co-lorazione anomala delle foglie: gialla, molto vivace,nei vitigni a uva bianca, spesso localizzata tipica-mente intorno alle nervature, e rosso-viva nei viti-gni a uva rossa, sia perinervale, sia estesa a porzio-ni più ampie della lamina (foto 2-3). In quest’ulti-mo caso, le zone arrossate sono delimitate in modonetto e caratteristico da nervature secondarie o diordine inferiore. In seguito le foglie si accartoccia-no verso il basso fino ad assumere – nei casi estremi– un profilo triangolare, divengono spesse e coria-cee colorandosi in modo uniforme su tutta la lami-na: giallo dorato oppure rossastro, secondo lavarietà (foto 4). Possono comparire inoltre altera-zioni necrotiche – generalmente più frequentinelle varietà a uva bianca – che si estendono a vastezone della lamina fogliare la quale può, in seguito,distaccarsi e cadere mentre il picciolo rimane attac-cato alla pianta (foto 5-6). Tra i sintomi primaverilipiù gravi può rientrare il disseccamento del capo afrutto, talora dopo un inizio di germogliamentoapparentemente normale (foto 7).

Al principio dell’estate le infiorescenze possonodisseccare e cadere oppure appassire, assumerecolorazione violacea e rimanere sul tralcio; questofenomeno è stato osservato anche su piante privedi sintomi fogliari evidenti. Nel caso di infezionitardive, le piante possono produrre anche qualchegrappolo, destinato in seguito ad appassire e dis-seccare. I tralci presentano accorciamento degliinternodi che conferisce un aspetto insolitamente

compatto alla vegetazione e non lignificano, olignificano soltanto parzialmente, assumendo unportamento flessuoso (foto 8-9). Numerose pustolenerastre possono comparire in prossimità dei nodidi alcune cultivar, soprattutto Chardonnay, laprima sulla quale venne osservata la malattia che daquesto sintomo particolare prese il nome (Caud-well, 1961), (foto 10). Entro qualche anno dall’ini-zio dell’infezione le piante possono morire, dinorma per la sovrapposizione di altre cause distress biotico o abiotico, come si verifica in Liguria– dove la malattia è stata infatti denominata “moriadella vite” – in conseguenza della povertà nutri-zionale dei terreni, dello stress idrico e della forteescursione termica estiva (Conti et al., 1997). Incondizioni colturali più favorevoli, per contro,alcune cultivar possono presentare casi di ‘guari-gione’ o, quanto meno, di remissione dei sintomiche viene favorita da potature energiche eseguitedopo il manifestarsi dell’infezione (Belli et al.,1997; Refatti et al., 1998). Le cause di questofenomeno non sono ancora note, ma costituisconooggetto di accurate ricerche date le ovvie implica-zioni di interesse economico-pratico.

I sintomi più vistosi e caratteristici di LN – ac-cartocciamento e giallume o arrossamento dellefoglie – si riscontrano anche nella reazione dellavite ad attacchi parassitari di altra natura e a stressabiotici, con i quali possono essere confusi.

Si tratta, in particolare di: a) infezioni da accartocciamento fogliare (GLR)

causato da diversi closterovirus (Grapevine lea-froll-associated viruses = GLR-aVs);

b) infestazioni di cicaline floemomize come Em-poasca vitis, al Nord e Jacobiasca lybica, al Sud;

c) carenze e squilibri nutrizionali dipendenti dalterreno di coltivazione.

Elementi utili per distinguere tra i possibiliagenti eziologici della sindrome sono i seguenti:

• Infezioni da legno nero - Giallume o arrossa-mento delle foglie si manifestano all’inizio dellaprimavera e la colorazione – gialla o rossa – è diintensità particolarmente viva. Essa presenta,inoltre, configurazione tipica sia perinervale(giallume), sia internervale (arrossamento), inquest’ultimo caso delimitata nettamente danervature secondarie o inferiori. Le alterazionicromatiche sono spesso seguite da necrosi dellalamina. L’accartocciamento fogliare si manife-sta in tarda primavera accentuandosi progressi-vamente e interessando più o meno simultanea-mente tutta la pianta e foglie di varia età.

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119F L A V E S C E N Z A D O R A T A E A LT R I G I A L L U M I D E L L A V I T E

1. Accartocciamento e ingiallimento perinervale

Foto M. Conti2. Sintomi di arrossamenti settoriali nelle foglie

Foto M. Conti

3. Sintomi di decolorazioni in foglia di Sangiovese

Foto P. Braccini4. Sintomo di arrotolamento a triangolo

Foto P. Braccini

5. Sintomi di mancata lignificazione, necrosi

e distacco della lamina fogliare Foto P. Braccini6. Necrosi e mancata lignificazione

Foto M. Conti

Page 122: Arsia Q. 3-2005 Flavescenza

120 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

7. Sintomo di sviluppo anomalo del germoglio

Foto M. Conti8. Arrossamento e mancata lignificazione

Foto M. Conti

9. Mancata lignificazione

Foto M. Conti10. Pustole nere nel tralcio

Foto C. Parrini

11. Sintomi di accartocciamento fogliare

Foto M. Conti12. Sintomi di decolorazioni in foglie di vitigno rosso

Foto P. Braccini

Page 123: Arsia Q. 3-2005 Flavescenza

• Infezioni da GLR-aVs - I primi sintomi diingiallimento o arrossamento compaiono a fineprimavera/inizio estate e presentano andamen-to doppiamente tipico: ‘centripeto’ sulle singo-le foglie, iniziando dal margine ed estendendo-si verso il centro, ed ‘acropeto’ sui tralci poichésono colpite prima le foglie più vecchie, basali,e poi quelle via via più giovani. Le alterazionicromatiche si diffondono su tutta la lamina fo-gliare in modo uniforme, senza aspetti tipici nédelimitazioni nette; inoltre, quando tutta lafoglia ne è interessata, le nervature conservanocolorazione verde. Non si riscontra mai la com-parsa di necrosi fogliari.

• Infestazioni di cicaline - Le decolorazioni fo-gliari e l’accartocciamento della lamina si ma-nifestano in piena estate e possono interessareanche soltanto in parte la vegetazione di singo-le piante. Ingiallimento e arrossamento siestendono sulla lamina fogliare gradualmente,iniziando dai margini, e in modo uniforme.Altri indizi caratteristici delle infestazioni dacicaline sulla vite sono: necrosi di tratti dellenervature dovuta alle punture di suzione e pre-senza di esuvie, residue delle mute compiutedagli insetti, sulla pagina inferiore delle foglie.

• Carenze nutrizionali - I sintomi consistonosoprattutto in decolorazioni delle foglie cheinteressano tutta la vegetazione delle singolepiante – più raramente anche accartocciamentofogliare – e colpiscono tipicamente vaste zonedel vigneto, non piante o gruppi di piante iso-late. In casi di questo genere, inoltre, sintomi diclorosi, malformazioni e disturbi della crescitasono osservabili anche sulla vegetazione infe-stante del vigneto. Va ricordato che anche im-provvisi abbassamenti termici possono causaresulla vite accartocciamento e arrossamento fo-gliare che, nel caso specifico, coinvolge tutte lepiante all’interno di ampie zone e la loro interavegetazione.

Se gli elementi presi in considerazione consen-tono di distinguere con buona approssimazione isintomi del LN da quelli dovuti ad altri agenti bio-tici e abiotici, altrettanto non è possibile relativa-mente ai sintomi indotti sulla vite da fitoplasmidiversi che, come premesso, non sono tra loro di-stinguibili. Tale situazione è ulteriormente compli-cata dal fatto che infezioni ‘miste’, vale a diredovute alla presenza simultanea di fitoplasmi diver-si nella stessa pianta, sono del tutto comuni in con-dizioni naturali (Sfalanga et al., 1999; Marzachì et

al., 2001). Ciò malgrado, un tentativo di caratte-rizzare e individuare, nell’ambito della sindromesu vite, uno o più sintomi rivelatori della presenzadi un fitoplasma piuttosto che di un altro è statocondotto con due studi successivi (Morone et al.,2001; Marzachì et al., 2001). Tra dieci sintomidistinti presi in considerazione, l’arrossamento oingiallimento perinervale e il mancato germoglia-mento del capo a frutto sono risultati quelli piùfrequentemente associati a FD. Nel caso di viti coninfezione da LN, l’accartocciamento infero e l’i-spessimento della lamina fogliare e, in minor misu-ra, l’ingiallimento o arrossamento perinervale sonostati i sintomi rilevati con maggior frequenza(Marzachì et al., 2001) (foto 11-12). Questi risulta-ti hanno comunque confermato che la diagnosimolecolare è mezzo indispensabile per identificarecon sicurezza i fitoplasmi agenti delle infezioni suvite, caso per caso. Criterio di un qualche valoreindicativo rimane la presenza sul territorio, omeno, della cicalina S. titanus, vettore specifico delfitoplasma agente causale di FD: dove la cicalinanon è presente, nella grande maggioranza dei casii sintomi di giallume sono imputabili a LN o, piùraramente, a infezioni da fitoplasmi meno comunisulla vite, come l’agente del giallume dell’astro(AY) e i pochi altri individuati anche in Italia (Ber-taccini et al., 1996; Sfalanga et al., 1999; Conti,2001). Dove S. titanus è presente, come in tutta laValle Padana ad esempio, le infezioni da fitoplasmidella vite sono dovute sovente a FD senza esclude-re gli altri patogeni citati.

8.2 Epidemiologia Alberto Alma, Piero Braccini, Maurizio Conti

Le vie di trasmissione dei fitoplasmi finora co-nosciute sono quattro, due ben note e accertate, edue che richiedono approfondimenti conoscitivi.Sono vie certe di trasmissione la moltiplicazioneagamica di materiale vegetale infetto e gli insettivettori che, nel caso dei giallumi della vite, sonoesclusivamente cicaline (altri fitoplasmi sono tra-smessi da psille, come gli agenti della moria delpero o Pear decline, e degli scopazzi del melo oApple proliferation, ad esempio). Le altre due pos-sibilità riguardano la trasmissione per seme, dellaquale restano da precisare l’entità e la frequenzanell’ambito di diverse combinazioni fitoplasma/pianta ospite (Khan et al., 2002), e la trasmissio-ne transovarica negli insetti vettori, con passaggiodel fitoplasma da femmine infette alla progenie,anche questa verificata con esito positivo in un

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Page 124: Arsia Q. 3-2005 Flavescenza

paio di combinazioni fitoplasma/vettore (Danielliet al., 1996; Alma et al., 1997; Kawakita et al.,2000; Hanboonsong et al., 2002), (foto 13).

Per quanto riguarda fitoplasmi del gruppo stol-bur sensu lato, valgono sia la trasmissione per pro-pagazione di piante infette sia mediante vettori. Laprima è stata oggetto di un’accurata indagine speri-mentale per verificarne le modalità e l’incidenza(Osler et al., 1997). Gemme di Chardonnay (nestiautoindicatori) provenienti da viti sane, da viti asin-tomatiche di un vigneto con tasso di infezione daBN trascurabile e da viti affette da BN sono stateinnestate su portinnesti sani. Le barbatelle innesta-te, suddivise in tre tesi diverse, sono state mantenu-te sotto osservazione per 5 anni giungendo allaconclusione che BN è effettivamente trasmesso perinnesto, seppure solo in percentuale inferiore al 3%.Si è inoltre accertato che l’attecchimento degliinnesti è condizionato dallo stato sanitario dellemarze, nel senso che quelle sane garantiscono unapercentuale di attecchimento più elevata, e che ilperiodo di incubazione di BN in viti giovani oscillada un minimo di circa cinque mesi a un massimonon superiore ai due anni (Osler et al., 1997).

La trasmissione dei fitoplasmi con insetti avvie-ne in modo persistente-propagativo ed è caratte-rizzata da tre fasi distinte ma interdipendenti, cor-rispondenti ad acquisizione, latenza e inoculazio-ne. L’insetto acquisisce i fitoplasmi alimentandosisu piante infette e diviene infettivo soltanto dopo2-3 settimane (periodo di latenza) quindi, tornan-do a nutrirsi su altre piante può inoculare il pato-geno e causare nuove infezioni. La capacità diacquisire fitoplasmi da piante infette è maggiorenelle forme giovanili (neanidi e ninfe) che negliadulti dell’insetto; la ritenzione dell’infettività nonè influenzata da eventuali mute e il vettore puòrimanere infettivo anche per tutta la vita. Il fitopla-sma trova infatti localizzazione intracellulare e simoltiplica nel vettore, garantendo la durata dellacarica di inoculo. In Germania, in Francia e in Ita-lia è stato dimostrato che lo H. obsoletus, cixiide, èvettore di VK, BN e LN (Maixner, 1994; Sforza etal., 1998; Alma et al., 2002). L’ampia diffusionegeografica delle tre ampelopatie e di altre fitopla-smosi tipo stolbur, pure trasmesse da H. obsoletus,non può trovare riscontro in questo solo vettoreche per giunta non è specie così abbondante e haallo stato adulto un periodo di attività trofica piut-tosto limitato in pieno campo (Alma e Conti,2002). Per di più si è osservato che BN si diffondenaturalmente in aree geografiche dove lo H. obso-letus non è presente – ad esempio, in alcune zonedella Spagna – fatto che lascia pochi dubbi circal’esistenza di altri vettori, tra i quali potrebbe rien-

122 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

13. Sintomi in Chardonnay

Foto P. Braccini

14. Sintomi fogliari in Barbera

Foto G. Bosio

15. Sintomi in Dolcetto

Foto G. Bosio

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trare il cixiide Pentastiridius beieri, individuato inFrancia come vettore dello stolbur a piante erbacee(Boudon-Padieu, 2000). Sul coinvolgimento di al-tre cicaline diffuse comunemente nell’agroecosi-stema vigneto, oltre alla decina di specie polifaghegià indicate come probabili vettori, recenti ricerchehanno evidenziato attraverso la diagnosi molecola-re che individui del cicadellide Goniagnathus gut-tulinervis in Sardegna e del cixiide Reptalus pan-zeri in Ungheria sono risultati positivi al fitoplasmadello stolbur (Garau et al., 2004; Palermo et al.,2004), (foto 14).

Lo stesso spettro di ospiti dei fitoplasmi tipostolbur, ampio ed eterogeneo, suggerisce l’esisten-za di diversi vettori sebbene H. obsoletus sia unaspecie abbastanza polifaga (Sforza et al., 1998;Alma e Conti, 2002), ma con una netta preferen-za, negli areali viticoli del Nord, per l’ortica sullaquale completa il proprio sviluppo (Alma et al.,1988). Le indagini condotte nella zona dei ColliTortonesi, la prima interessata dall’epidemia di GYin Piemonte, in particolare, hanno rilevato me-diante saggi diagnostici molecolari la presenza difitoplasmi del gruppo stolbur sia in viti affette daLN, sia in piante di erba medica (Medicago sativa)e di convolvolo (C. arvensis) situate nelle im-mediate vicinanze dei vigneti infetti (Conti, 2001).I casi di infezione erano numerosi e i sintomi mol-to evidenti: nanismo e malformazioni fogliari suerba medica; giallume, scopazzi e microfillia suconvolvolo; decolorazioni, necrosi e accartoccia-mento delle foglie sulle viti.

Le osservazioni di cui sopra confermano cheLN è causato da un fitoplasma patogeno non-spe-cifico della vite, trasmesso da vettore(i) non stret-tamente ampelofago(i). Tale situazione epidemio-logica – che si differenzia nettamente da quellarelativa a FD, indotta da un fitoplasma patogenospecifico della vite trasmesso da una cicalina (S.titanus) strettamente ampelofaga – si riflette sulciclo dell’agente eziologico del LN che coinvolgediverse piante ospiti, oltre alla vite, e presumibil-mente diversi vettori, oltre a H. obsoletus. La vitestessa e diverse piante ospiti di specie perenni operennanti (rovo, piantaggine, erba medica, ficoetc.: cfr. Sforza et al., 1998) costituiscono sorgen-ti di infezione naturali dalle quali ha luogo la dif-fusione del fitoplasma tramite vettori. La moltipli-cazione agamica di soggetti e portinnesti di viteinfetta da LN, ma priva di sintomi evidenti e risul-tata negativa ai controlli diagnostici cui dovrebbesottostare tutto il materiale da propagazione, rap-presenta una via alternativa di diffusione della fito-plasmosi. Sebbene la trasmissione di LN per inne-sto sia risultata – nelle condizioni citate (Osler et

al., 1997) – non superiore al 3%, ciò è ampiamen-te sufficiente per garantire un ulteriore mezzo dipropagazione della malattia in natura e, soprattut-to, la sua diffusione a lunga distanza tramite mate-riale vivaistico infetto commercializzato (foto 15).

8.3 Diagnosi di legno neroLuciana Galetto, Cristina Marzachì

Un’accurata diagnosi della malattia prevedel’impiego di metodi che rilevino la presenza delfitoplasma in modo più preciso e sensibile rispettoalla semplice osservazione dei sintomi. La concen-trazione del fitoplasma nell’ospite è infatti basso evariabile e spesso anche campioni asintomatici risul-tano positivi alla diagnosi (Adams et al., 2001).

Metodi sierologiciNegli ultimi 15 anni sono stati prodotti nume-

rosi anticorpi diretti contro i fitoplasmi, sia policlo-nali che monoclonali. Essi sono altamente specifici enon esiste un unico antisiero che reagisca controtutte le fitoplasmosi, contrariamente a quanto acca-de invece con i primers universali per i fitoplasmi uti-lizzabili in PCR (Cousin e Boudon-Padieu, 2001).Alcuni tra questi lavori hanno messo a punto sistemidi diagnosi sierologica per il fitoplasma stolbur, ilmicrorganismo associato al legno nero.

Cousin e altri (1989), immunizzando topi conla frazione proteica di membrana estratta da pianteinfette di tabacco e vinca, hanno prodotto un anti-siero policlonale contro il fitoplasma stolbur. Talesiero è stato utilizzato per l’osservazione conmicroscopio a fluorescenza di microsezioni di tes-suto floematico preincubate dapprima con l’anti-corpo anti-stolbur e poi con siero anti-IgG di topoconiugato con fluoresceina isotiocianato (FITC).

Garnier et al. (1990) hanno prodotto in segui-to l’anticorpo monoclonale MA 2A10 diretto con-tro la maggior proteina di membrana di stolbur apartire da frazioni arricchite in fitoplasma ottenuteda pomodori infetti.

Lo stesso anticorpo monoclonale MA 2A10 èstato impiegato in test DAS-ELISA (Double-Anti-body Sandwich - Enzyme Linked Immuno-SorbentAssay) e in saggi immunologici di microscopia afluorescenza su diverse specie di piante (soprattut-to Solanaceae) e di insetti per identificare nuoviospiti e vettori del fitoplasma stolbur (Fos et al.,1992) e in seguito è stato utilizzato con successonella diagnosi di legno nero su campioni infetti divite in saggi DAS-ELISA (Kuszala, 1996).

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Seguendo un approccio diverso, mediante l’in-genierizzazione dei domini variabili delle catenepesante (VH) e leggera (VL) dello stesso anticor-po MA 2A10 un scFv (frammento variabile a sin-gola catena) è stato clonato ed espresso in Escheri-chia coli (Le Gall et al., 1998). Questa immuno-globulina ingegnerizzata ha dimostrato la stessaefficienza della proteina nativa nel riconoscimentodell’antigene sia nei test ELISA, sia nei saggi immu-nologici di microscopia a fluorescenza effettuati supiante di pomodoro e tabacco. L’anticorpo inge-gnerizzato inoltre ha funzionato come planticor-po: il gene scFv è stato inserito in piante di tabac-co che, dopo la trasformazione, crescevano prive disintomi nonostante fossero state innestate conmarze infette con stolbur (Le Gall et al., 1998).

Metodi molecolariLo sviluppo di tecniche molecolari ha incre-

mentato notevolmente la sensibilità dell’identifica-zione dei fitoplasmi. I protocolli di diagnosi preve-dono, in linea generale, l’estrazione del DNA tota-le da tessuti vegetali sintomatici o da insetti vetto-ri. Molti studi si sono concentrati sulle proceduredi estrazione al fine di aumentare la concentrazio-ne di DNA fitoplasmatico e ridurre la presenza diinibitori enzimatici, polifenoli e polisaccaridi, pre-senti nei tessuti vegetali e negli insetti vettori(Marzachì e Boarino, 2002). Strategie di arricchi-mento della concentrazione di fitoplasma (Kirkpa-trick et al., 1987) e protocolli di estrazione delDNA a partire da tessuto vegetale fresco medianteun tampone contenente Cetyl-trimethyl-ammo-nium-bromide (CTAB) (Doyle e Doyle, 1990;Daire et al., 1997), combinati insieme (Ahrens eSeemüller, 1992), sono risultati la procedura piùsensibile in studi comparativi sull’efficienza deimetodi di estrazione (Palmano, 2001; Pasquini etal., 2001). Anche a partire da insetti vettori, ilsistema più efficiente è risultato essere l’arricchi-mento della concentrazione di DNA fitoplasmaticoabbinato all’utilizzo del tampone contenente CTAB

(Marzachì et al., 1998; Bosco et al., 2002).Sul DNA così ottenuto possono essere eseguite

reazioni di ibridazione molecolare, la PCR o tuttele altre tecniche da questa derivate.

Ibridazione molecolareL’ibridazione del DNA totale, estratto da piante

e insetti, viene effettuata con sonde marcate, com-poste da sequenze di acidi nucleici complementaria porzioni del genoma di fitoplasmi. Il rilevamen-to dell’ibrido può avvenire con metodi radioattivio con metodi immunoenzimatici. L’ibridazione

può essere effettuata su porzioni di tessuto impres-se su membrana con l’applicazione di una lievepressione (tissue printing), oppure mediante trasfe-rimento su membrana di DNA totale parzialmentepurificato (dot blot).

A partire da un tratto di DNA non ribosomicodel fitoplasma stolbur Marzachì e altri (2000) han-no sintetizzato una sonda a singola elica di RNA

marcata con digossigenina. Essa è stata utilizzatacon successo nella diagnosi di stolbur in prove ditissue printing effettuate su piante di pomodorosintomatiche. In questa applicazione è però neces-sario che nel tessuto vegetale vi sia un titolo di fito-plasma elevato abbastanza da risultare rilevabileanche senza un particolare arricchimento dell’e-stratto da analizzare.

L’ibridazione molecolare è stata sfruttata a finidiagnostici con sonde basate su diverse sequenze:una non ribosomica universale (Davis et al.,1992a, 1992b), una plasmidica universale (Good-win et al., 1994; Bertin et al., 2003) e una riboso-mica universale (Bertin et al., 2003). È stato anchedimostrato che l’ibridazione dot blot degli amplico-ni migliora la sensibilità dell’amplificazione diretta(Marzachì et al., 2000; Bertin et al., 2003).

PCR convenzionaleLa PCR è una metodica affermata per il rileva-

mento di patogeni infettivi poiché permette dia-gnosi qualitative, del tipo presenza/assenza, preci-se e sensibili, anche nel caso di titolo molto basso dipatogeni, non rilevabili con tecniche sierologiche edi ibridazione molecolare (Lee e Davis, 1992). Lecoppie di primers utilizzate per l’identificazionespecifica dei fitoplasmi si possono distinguere inuniversali e gruppo-specifiche. I primers universaliamplificano il DNA del fitoplasma presente nell’o-spite vegetale o nell’insetto vettore, indipendente-mente dal gruppo tassonomico d’appartenenza. Iprimers gruppo-specifici, invece, riconoscono eamplificano solo il DNA di fitoplasmi appartenenti aun determinato gruppo tassonomico. Spesso nelladiagnosi di fitoplasmi si utilizzano procedure chesfruttano la reazione della PCR, ma ne incrementa-no la sensibilità o la specificità: PCR nested, PCR-RFLP e PCR-dot blot. Esse rappresentano le tecniched’elezione anche nella diagnosi di legno nero.

La sensibilità della PCR può essere miglioratanella PCR nested, in cui gli ampliconi derivati dauna prima PCR, definita “diretta”, vengono diluitie utilizzati per una seconda reazione di amplifica-zione. La sequenza dei primers utilizzati nella rea-zione nested è interna a quella dei due inneschi uti-lizzati in PCR diretta. La sensibilità complessiva,grazie alla doppia amplificazione, aumenta note-

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volmente, sebbene la PCR nested sia più facilmentesoggetta a contaminazioni tra campioni diversi eproduca, talvolta, falsi positivi.

La PCR-RFLP prevede un’analisi dei polimorfi-smi generati dalla digestione, con uno stesso enzi-ma di restrizione, dell’amplicone prodotto da unaPCR diretta con primers universali a partire dalDNA totale di fitoplasmi appartenenti a gruppi tas-sonomici diversi. Il confronto tra i profili ottenutipermette di distinguere e classificare il patogenorilevato (Lee et al., 1998).

La PCR-dot blot consiste nell’ibridazione mole-colare a macchia degli ampliconi prodotti in PCR

con sonde complementari. Tra i metodi di diagnosi molecolare di legno

nero uno dei più sensibili è proprio una PCR-dotblot, che prevede l’amplificazione con i primersnon ribosomici M1/P8, specifici per i fitoplasmidel gruppo 16SrXII (tab. 1), seguita dall’ibridazio-ne degli ampliconi con una sonda che riconosce untratto di sequenza interna a quella dei primers(Marzachì et al., 2000).

La diagnosi di legno nero può inoltre essereeffettuata mediante una reazione di PCR nested,con i primers ribosomici gruppo-specifici R16(I)F1/R16(I)R1 (Lee et al., 1994) (tab. 1), sul pro-dotto di amplificazione ottenuto con primers uni-versali, quali P1/P7 (Deng e Hiruki, 1991; Smartet al., 1996) o R16F2n/R16R2 (Gundersen eLee, 1996) per citarne solo alcuni. Con questoprocedimento è possibile individuare indifferente-mente i fitoplasmi appartenenti ai gruppi tassono-mici 16SrI e 16SrXII. È quindi necessario effet-tuare ancora un’analisi di restrizione sul prodottodi amplificazione di questa PCR nested, per poter

identificare con certezza il gruppo tassonomicod’appartenenza. È possibile distinguere il gruppo16SrI dal 16SrXII utilizzando gli enzimi MseI oTaqI. Nel caso l’analisi RFLP sia effettuata su ampli-coni ottenuti con i primers universali ribosomicicitati prima, è consigliabile utilizzare l’enzima direstrizione MseI perché presenta per il gruppo tas-sonomico 16SrV (cui appartiene flavescenza dora-ta) un profilo diverso da quello mostrato dai grup-pi 16SrI e 16SrXII (Lee et al., 1998). Una proce-dura che preveda complessivamente un’amplifica-zione diretta, una nested e un’analisi RFLP, risultamolto sensibile e precisa, ma laboriosa e soggetta arischio di contaminazioni.

Un’altra possibilità diagnostica per LN è l’im-piego dei primers ribosomici gruppo-specificifStol/rStol (tab. 1) in PCR convenzionale diretta(Maixner et al., 1995). Questo procedimento, svol-to in unico passaggio, permette di diagnosticareLN senza dover ricorrere alla PCR nested, sebbenecon efficienza inferiore e non sempre costante.

Due coppie di primers non ribosomici specificheper stolbur, STOL4f/r e STOL11f2/r1 (tab. 1),sono state utilizzate con successo nella diagnosi dilegno nero su campioni sintomatici di vite prove-nienti da varie parti d’Europa. È stato inoltre possi-bile impiegare gli inneschi STOL11f2/r1 in PCR

multiplex con i primers non ribosomici FD9f/r spe-cifici per flavescenza dorata, permettendo così ladiagnosi di entrambe le fitoplasmosi in unica reazio-ne (Daire et al., 1997). Questa procedura è risulta-ta però poco sensibile nell’analisi di materiale dicampo. Sono state pertanto costruite le nuove cop-pie di primers FD9f3b/r2 e STOL11f3/r2 internerispettivamente a FD9f/r e a STOL11f2/r1 per

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Tab. 1 - Nome, sequenza, localizzazione genomica e riferimento bibliografico

dei principali primers specifici per il fitoplasma stolbur

Primer Sequenza 5'-3' Localizzazione genomica Bibliografia

M1 ACTTATTTTCACAACAACGGNon ribosomici Marzachì et al., 2000

P8 TGTCTAATTCTCCTTCAGGG

R16(I)F1 TAAAAGACCTAGCAATAGGRibosomici Lee et al., 1994

R16(I)R1 CAATCCGAACTGAGACTGT

fStol GCCATCATTAAGTTGGGGARibosomici Maixner et al., 1995

rStol AGATGTGACCTATTTTGGTGG

STOL4f TTTAGCGATATTGGGAGAANon ribosomici Daire et al., 1997

STOL4r ATCCTTGAATTCTTTGACG

STOL11f2 TATTTTCCTAAAATTGATTGGCNon ribosomici Daire et al., 1997

STOL11r1 TGTTTTTGCACCGTTAAAGC

StolFw AACCGCTCGCAAACAGCNon ribosomici

Galetto et al.

StolRev ATTAGCGCCTTAGCTGTG [inviato per la pubblicazione]

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effettuare una PCR nested multiplex sull’amplificatodi PCR diretta (Clair et al., 2003).

Recentemente è stata utilizzata la caratterizza-zione dei ceppi di stolbur mediante PCR-RFLP neltentativo di chiarire il completo ciclo biologico delfitoplasma. Sono stati analizzati numerosi esempla-ri di H. obsoletus e molti campioni di vite e di altriospiti vegetali spontanei, tutti raccolti in campo indiverse aree della Germania. L’amplificazione èstata effettuata con sei diverse coppie di primers, dicui cinque non ribosomiche, e la digestione del-l’amplificato con diversi enzimi ha permesso lacaratterizzazione in tre differenti profili di restri-zione (Langer e Maixner, 2004).

Real-time PCR

La Real-time PCR (R-PCR), evoluzione dellaPCR convenzionale (Higuchi et al., 1992), utilizzaun sistema ottico per il rilevamento della fluore-scenza installato su un normale termociclatore. Laprincipale caratteristica della R-PCR è la possibilitàdi seguire, in tempo reale, la produzione dell’am-plicone a partire dall’acido nucleico presente nel

campione analizzato, seguendo la reazione duran-te ogni ciclo di amplificazione. La R-PCR permetteinoltre di misurare la quantità di DNA bersaglio ini-zialmente presente nel campione analizzato. I van-taggi della R-PCR quindi sono: la rapidità del sag-gio, l’alto grado di informazione, l’ottenimento diuna quantificazione espressa con precisi dati nume-rici, l’elevata quantità di campioni analizzabili inuna singola reazione, la riduzione delle contami-nazioni, l’aumento della ripetitività, la possibilità dieffettuare reazioni multiplex e l’abolizione di ma-nipolazioni post-PCR (Schmittgen, 2001).

Il rilevamento dell’amplicone in R-PCR puòessere aspecifico, se effettuato mediante un colo-rante fluorescente che si lega al DNA, oppure speci-fico, se compiuto per mezzo di una sonda marcata,che si appaia a un tratto complementare dellasequenza amplificata. Il SYBR® Green I è un colo-rante fluorescente che si intercala, in modo aspeci-fico, alla doppia elica di DNA e non appena si legaall’acido nucleico emette un segnale di fluorescen-za da 50 a 100 volte maggiore rispetto a quellogenerato nella condizione normale. Con il proce-

126 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

Fig. 1 - Curva di melting.a) decadimento della fluorescenza data dalSYBR® Green I raggiunta la temperatura di melting; b) derivata prima negativae visualizzazione del piccodi melting

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dere della reazione la quantità di amplicone aumen-ta e, con questa, anche il segnale emesso o dal colo-rante o dalla sonda marcata. Il rilevamento avvieneal termine di ogni ciclo di polimerizzazione.

Il SYBR® Green I non è in grado di discriminarele molecole di DNA sintetizzate nella stessa reazione,che sono però caratterizzabili con la curva di mel-ting. Infatti, sebbene questo colorante non sia spe-cifico, i prodotti dell’amplificazione possono essereidentificati in base alla loro lunghezza e composi-zione in basi, che ne determinano la temperatura didenaturazione (Ririe et al., 1997). La sonda inveceè complementare alla sequenza dell’amplicone e siappaia esclusivamente al DNA bersaglio.

Nelle reazioni con il SYBR® Green I la curva dimelting viene effettuata, direttamente nel termoci-clatore, al termine dell’amplificazione. Il protocolloprevede una denaturazione di tutto il DNA presentenei pozzetti, seguita da una rinaturazione completae da un’incubazione a una temperatura progressiva-mente e gradualmente più alta di 0,5°C a ogni ciclo.In questo modo vengono raggiunte, una dopo l’al-tra, le varie temperature di melting dei doppi fila-menti di DNA eventualmente presenti: la specificitàdegli ampliconi viene quindi valutata sulla base dellatemperatura alla quale la loro doppia elica si separa.Una volta raggiunta la temperatura di melting deldeterminato amplicone, la fluorescenza data dalSYBR® Green I, che si lega in modo aspecifico alledoppie eliche di DNA, decade bruscamente. Analiz-zata, mediante il software, la derivata prima negativadi questo decadimento, la temperatura di separazio-ne delle doppie eliche è visualizzabile come un picco(figg. 1a-1b). Ogni prodotto di amplificazione ha unsuo preciso picco di melting che dipende dalla lun-ghezza del frammento e della sua composizione inbasi azotate. Viene confrontato quindi il picco diogni campione con quello ottenuto dai controllipositivi, valutando in questo modo la specificità del-l’amplificazione.

È stato recentemente messo a punto un sistemadiagnostico specifico per il legno nero in R-PCR

con SYBR® Green I in grado di rilevare il fitoplasmanel DNA totale estratto sia da viti di campo che dainsetti vettori H. obsoletus (Galetto et al., submit-ted). I primers utilizzati, StolFw/StolRev (tab. 1),sono stati disegnati su una sequenza non riboso-mica di stolbur (Marzachì et al., 2000) e le condi-zioni di reazione sono state ottimizzate in PCR

convenzionale. L’efficienza di questo metodo dia-gnostico è stata confrontata con la PCR-dot blot(Marzachì et al., 2000) ed è risultata pari al 90%circa, sulle viti, e al 100% sugli esemplari di H.obsoletus analizzati. È risultata però indispensabilel’analisi della curva di melting per individuare falsi

positivi dovuti ad amplificazioni aspecifiche, chespesso si verificano utilizzando materiale di campo.

ConclusioniTra le metodiche diagnostiche la PCR nested,

sebbene sia laboriosa e a rischio di contaminazioni,rappresenta la tecnica più sensibile nel rilevamentodei fitoplasmi (Bertin et al., 2003) ed è la princi-pale utilizzata per la loro diagnosi in specie vegeta-li erbacee e arboree (Lee et al., 1998; 2000). Que-sta considerazione generale per i fitoplasmi valeanche per la diagnosi di legno nero, anche se vadetto che i metodi di PCR-dot blot e R-PCR sopradescritti si avvicinano molto alle performance dia-gnostiche raggiunte dalla PCR nested.

L’identificazione di stolbur, e in linea generalequella di tutti i fitoplasmi, comporta ancora diver-se difficoltà dovute alle peculiarità intrinseche delleinfezioni, quali la localizzazione floematica delpatogeno e, particolarmente nelle specie arboree,la bassa concentrazione e la distribuzione irregola-re del microrganismo.

Un ulteriore aspetto da tenere presente nelladiagnosi del legno nero in vite è dato dal frequentefenomeno dell’infezione mista fra fitoplasmi deigruppi 16SrV e 16SrXII. Per ottenere un esito dia-gnostico completo è pertanto necessario effettuaretutte le opportune diagnosi gruppo-specifiche.

8.4 Interventi di lottaMaurizio Conti, Alberto Alma

Gli interventi di lotta contro LN non si disco-stano da quelli correntemente impiegati contro gliagenti patogeni intracellulari delle piante, ossiavirus, viroidi e fitoplasmi. Trattamenti terapeuticidelle infezioni di questo genere utilizzabili inpieno campo non sono noti, fatta eccezione pro-prio per quelle da fitoplasmi che sono curabili conantibiotici (tetracicline) il cui impiego in agricoltu-ra è però vietato dalla legge. Pertanto le possibilitàdi difesa si basano soprattutto sulla prevenzionedelle infezioni che viene perseguita tramite iseguenti diversi tipi di azione:

Controllo sanitario del materiale da propagazioneQuesta prassi è di importanza primaria nella lotta

alle fitoplasmosi poiché la moltiplicazione agamicadi piante infette risulta nella produzione di cloniinfetti in alta o altissima percentuale. Il rischio

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potrebbe sembrare facilmente superabile perchépare improbabile che piante malate vengano desti-nate alla propagazione se non si considera il fattoche la presenza di infezioni può essere poco eviden-te più spesso di quanto si possa pensare. Sono notifenomeni di ‘mascheramento’ (remissione dei sinto-mi) e di ‘infezione latente’: nel primo caso, i sinto-mi eventualmente presenti su piante infette tendonoad attenuarsi e scomparire del tutto per periodi ditempo più o meno lunghi in seguito a mutate con-dizioni ambientali (ad esempio, per sensibili aumen-ti della temperatura); nel secondo caso, le pianteinfette non presentano alcun tipo di sintomi sin dal-l’inizio dell’infezione. Questo comportamento ègeneralmente associato a caratteri di ‘tolleranza’ allamalattia caratteristici della specie o della cultivar inquestione. È noto, ad esempio, che vitigni di origi-ne americana e loro ibridi correntemente utilizzaticome portinnesti possono essere affetti da fitoplasmisenza presentare sintomi di alcun genere. Anche trai più comuni vitigni a uva da vino coltivati in Italiaesistono, d’altra parte, cultivar più e meno sensibili,che reagiscono alle infezioni con sintomi di diversaintensità (Belli et al., 1997).

I saggi diagnostici attualmente disponibili, sep-pure di elevata sensibilità, non garantiscono pur-troppo il riconoscimento di tutte le piante infettenel senso che, anche nei casi di sintomatologiemanifeste e – ancor più – di campioni asintomati-ci, non sempre danno esito positivo (Del Serrone eBarba, 1996; Marzachì et al., 2001). La loro uti-lizzazione nel controllo delle piante di vite in sele-zione clonale e poi delle piante capostipiti consen-te comunque di individuare la grande maggioran-za delle infezioni, riducendo l’incidenza finale sullecoltivazioni in modo determinante. Va poi ricorda-to che sensibilità e affidabilità della diagnosi mole-colare miglioreranno ulteriormente nei prossimianni, grazie al continuo progredire delle biotecno-logie di laboratorio, anche se una ‘soglia’ di con-centrazione al di sotto della quale il patogenorimarrà non rilevabile esisterà sempre.

Risanamento in laboratorio Nel caso in cui, nell’ambito di un determinato

vitigno, non sia possibile reperire piante esenti dainfezione o si renda necessario, ad esempio, recu-perare un particolare clone infetto, è possibile ricor-rere a trattamenti di laboratorio che ne consentonoil risanamento, tra i quali la termoterapia e la coltu-ra di tessuti sono i più ampiamente impiegati. Latermoterapia consiste nell’esposizione a temperatu-re moderatamente alte (35-38°C) di piante in vege-tazione, ma può anche essere applicata su materiale

vegetale in dormienza, come semi, bulbi, tuberi ealtri organi di moltiplicazione vegetativa. Nel casodella vite viene normalmente applicata su piante invegetazione, in vaso, oppure su tralci prelevati altermine del periodo vegetativo, nel qual caso il trat-tamento viene effettuato in acqua calda raggiun-gendo temperature più elevate (45°C e oltre). Vada sé che più è elevata la temperatura del tratta-mento e più si prolunga il tempo di esposizione,maggiori sono le fallanze risultanti nel materialetrattato. Il trattamento termoterapeutico in acquacalda è stato a lungo sperimentato in Francia con-tro FD ed è attualmente applicato a tutto il mate-riale da propagazione per eliminare le infezioni dafitoplasmi. Correlando le temperature dei tratta-menti alla durata dei tempi di esposizione è statatracciata una curva che ne puntualizza i valori effi-caci per eliminare l’infezione fitoplasmatica, adesempio 40°C per 600 minuti, 45°C per 100 minu-ti, 50°C per circa 25 minuti etc.

L’utilizzazione della coltura di tessuti per ilrisanamento della vite si è avuta con le ricerchecondotte all’inizio degli anni ottanta del secoloscorso (Barlass et al., 1982) le quali hanno dimo-strato che l’allevamento in vitro di apici vegetativi,costituiti dalla cupola meristematica e dal primopaio di abbozzi fogliari, a 27°C per 15 ore e 20°Cper 9 ore – ovvero alla temperatura costante di35°C – consentiva di ottenere plantule esenti dagliagenti di varie malattie virali e similvirali. Da alloraquesta tecnica è stata ampiamente utilizzata per ilrisanamento della vite dalle infezioni da virus,viroidi e fitoplasmi, spesso in abbinamento con latermoterapia: le piante sono prima sottoposte altrattamento termoterapeutico, quindi dai loroapici vegetativi sono prelevati gli apici meristema-tici che vengono fatti radicare in vitro trapiantan-do poi le giovani plantule in vaso. Tutte le piantesottoposte a risanamento, una volta raggiunto lostadio di sviluppo appropriato, devono essere con-trollate individualmente per accertarne l’avvenutaguarigione in quanto i vari tipi di trattamento,abbinati o meno, non garantiscono che il patoge-no sia stato eliminato dalla totalità della discen-denza ottenuta.

Misure di lotta agronomicaSono noti alcuni tipi di interventi che consento-

no di contrastare la diffusione di LN e talora anchedi ridurre la gravità dei sintomi; per quanto nonsiano in genere molto efficaci, sono consigliabili per-ché si tratta di pratiche ecocompatibili la cui applica-zione, inoltre, è di costo contenuto. Essi sono:• Spollonatura del ‘piede’ delle viti, ovvero l’eli-

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minazione dei ricacci basali, in quanto questicostituiscono fonte di nutrimento preferenzialeper le cicaline e in particolar modo per le specieche si nutrono anche su piante erbacee, comeH. obsoletus.

• Gestione dell’inerbimento naturale nel vignetoal fine di evitare la presenza di piante spontaneein grado di ospitare il vettore (i) e fungere daserbatoio per il fitoplasma.

• Inerbimento artificiale effettuato con la seminamirata di una o più essenze; pratica da preferireall’inerbimento naturale al fine di non favorireattraverso opportune scelte agronomiche e tec-niche colturali la presenza nel vigneto di pianteerbacee potenziali ospiti di fitoplasmi e di cica-line polifaghe potenziali vettori.

• Estirpo dei vigneti abbandonati, che possonocontenere viti e piante di altre specie infette,sorgenti di infezione per i vettori.

• Scelta, per quanto possibile, dei vitigni menosensibili all’infezione per la realizzazione dinuovi impianti. Le barbatelle dovranno esserestate controllate dal punto di vista sanitario egarantite esenti da infezioni.

• Limitazione delle concimazioni azotate invigneto poiché si è constatato che l’eccessivorigoglio vegetativo predispone le piante alleinfezioni da LN e da altre fitoplasmosi, verosi-milmente perché le rende più attrattive per gliinsetti vettori.

• Capitozzatura delle viti malate: il ricorso a que-sta pratica deve essere attuato con prudenzapoiché non sempre ha indotto la remissione deisintomi. In attesa dei risultati delle ricerche chesono in corso, nel caso si intenda utilizzare lacapitozzatura è consigliabile sperimentarne gliesiti su un numero limitato di piante prima diapplicarla su vasta scala.

Lotta al vettoreSe per S. titanus la lotta insetticida ha dato dei

buoni risultati riducendo negli areali viticoli, doveviene regolarmente applicata, le popolazioni delvettore e l’incidenza della FD, al contrario finoranon è stata efficace per il contenimento del vetto-re dell’agente causale del BN/LN (Sforza e Bou-don-Padieu, 1998; Cavallini et al., 2003). Pertan-to, alla luce dei risultati ottenuti, delle numerosevariabili bio-ecologiche ancora da indagare e dellericerche da condurre sulle specie vettrici e sul lororeale ruolo nella diffusione del fitoplasma dellostolbur alla vite, la lotta attraverso l’impiego diinsetticidi è attualmente improponibile.

8.5 Considerazioni conclusiveAlberto Alma, Maurizio Conti

I progressi conoscitivi compiuti in diversi labora-tori di ricerca nazionali grazie soprattutto allemoderne metodologie di diagnosi molecolarehanno evidenziato che i giallumi presenti in Italiasono causati da fitoplasmi diversi e che l’identifica-zione degli agenti eziologici è indispensabile sia percomprendere l’epidemiologia di queste ampelopa-tie, sia per contenerne la diffusione. Si è da più particonvenuto che le gravi epidemie di GY in atto nel-l’Italia settentrionale siano dovute a varianti partico-larmente aggressive di flavescenza dorata, ma ciònon deve portare a sottostimare l’importanza realedel legno nero. A partire dalla sua prima individua-zione, questa fitoplasmosi della vite è stata differen-ziata da FD perché non trasmissibile con S. titanuse perché tipicamente ‘non epidemica’. Anche se talielementi discriminatori sono tuttora validi, essendoLN di carattere più endemico che epidemico, nonva dimenticato che accertamenti diagnostici miratihanno messo in evidenza che dei campioni di vitecon sintomi di fitoplasmosi ben il 33% nel 1999 e il27% nel 2000 sono risultati affetti da LN (Marzachìet al., 2001).

Ulteriori ricerche sono necessarie per chiarireaspetti ancora poco noti sull’etologia di H. obsoletus,specie eterotopa con giovani che conducono vitaipogea e adulti che vivono sulla parte epigea di dico-tiledoni erbacee. Gli adulti occasionalmente sinutrono a spese della vite e possono trasmettere ilfitoplasma. Il peculiare ciclo dell’insetto (Alma etal., 1988), la sempre più ampia diffusione e la diver-sa incidenza da uno Stato all’altro di BN e di LNnelle regioni italiane interessate, inducono a ipotiz-zare il coinvolgimento di altre piante ospiti sponta-nee quali sorgenti naturali di infezione del fitopla-sma (Maixner et al., 2001) e di vettori diversi ingrado di trasmettere l’agente eziologico alla vite esuccessivamente da vite a vite. È indubbio che lediverse piante ospiti del cixiide svolgono un ruoloimportante nella diffusione della malattia nei variambienti ecologicamente differenti in cui è presen-te. Recenti indagini condotte in Germania hannoevidenziato come le popolazioni di H. obsoletussiano, almeno in parte, influenzate dalla maggiore ominore diffusione della pianta ospite preferita ecome la stessa pianta infettata dal fitoplasma possacostituire o no una pericolosa sorgente d’inoculoper l’insetto vettore (Darimont e Maixner, 2001).Pertanto, una particolare attenzione, al fine di limi-tare le fonti d’inoculo del fitoplasma dello stolburnelle aree viticole, deve essere rivolta alle specie checompongono la cotica erbosa degli interfilari e di

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eventuali zone adiacenti non coltivate. Alcune diqueste essenze possono ospitare e conservare ilpatogeno e, in vigneti dove H. obsoletus sia presentecon popolazioni significative, permetterne l’occasio-nale acquisizione. Tuttavia, l’inerbimento controlla-to del vigneto utilizzando essenze non ospiti delpatogeno può risultare utile per contenere attraver-so una competizione naturale la presenza delle spe-cie spontanee in grado di ospitare il fitoplasma(Maixner et al., 2001). Una adeguata risposta sulcoivolgimento di altre cicaline presenti nei numero-si agroecosistemi viticoli, indagati da diversi Autori,e sull’effettivo ruolo nella trasmissione dell’agentecausale di questo giallume della vite ampiamentediffuso e di sempre più crescente interesse si potràdare solo dopo aver condotto saggi biologici in con-dizioni sperimentali di laboratorio.

L’epidemiologia di questa fitoplasmosi cono-sciuta con nomi differenti, ma indotta da uno stes-so fitoplasma può variare in modo considerevole infunzione dei diversi vettori coinvolti (molti deiquali ancora per ora sconosciuti), della loro bio-etologia, della capacità dei fitoplasmi di colonizza-re specie vegetali differenti dalla vite e dei fattoriabiotici e biotici che caratterizzano gli agroecosi-stemi in cui viene coltivata la vite. Nuove cono-scenze per poter intraprendere una adeguatagestione fitosanitaria con l’attuazione di misure dilotta efficaci e possibilmente ecocompatibilipotranno derivare solo da ricerche interdisciplina-ri, attraverso il coinvolgimento di entomologi,fitopatologi e biotecnologi.

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Il 31 maggio 2000 è stato pubblicato il DecretoMinisteriale n. 32442 recante le “Misure per la lottaobbligatoria contro la flavescenza dorata della vite”.L’emanazione e l’attuazione di questo nuovo decre-to di lotta obbligatoria era stato ritenuto necessariosia dalle Regioni del Nord Italia che dal Ministeroper le Politiche Agricole e Forestali (MiPAF) nellasperanza di contrastare l’espandersi dell’epidemia diflavescenza dorata (FD) attraverso l’adozione dimisure contenitive, compresa l’eventuale eradicazio-ne delle piante infette presenti nei vigneti colpiti.

A questo decreto è seguita, nel giro di pochimesi (6 settembre 2000, prot. n. 33214) la predi-sposizione di una Nota tecnica esplicativa recantelinee guida utili per favorire una omogenea appli-cazione delle norme da parte dei Servizi Fitosani-tari chiamati a operare nelle varie regioni italiane.

Qui di seguito vengono illustrati e sottolineatialcuni punti salienti delle misure di controllo pre-viste dal Decreto Ministeriale e dalla Nota tecnicaapplicativa.

9.1 Modalità di applicazione del Decreto n. 32442/2000

La flavescenza dorata e il suo vettore S. titanusnon sono uniformemente distribuiti sul territorioitaliano (Bianco et al., 2002). Attualmente le zoneviticole del Nord Italia (Piemonte, Liguria, Lom-bardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Ro-magna) sono le più interessate a questa epidemianonostante negli ultimi anni si siano avuti chiarisegnali che sia il fitoplasma che il vettore si stannolentamente muovendo verso il Centro-Sud: si ri-cordano, a questo proposito, le segnalazioni di FDin Toscana, Umbria e Marche o del vettore in alcu-ni vigneti della Toscana, Campania e della Basilica-ta (Alma e Conti, 2002; Viggiani, 2002, 2004).

È ovvio, pertanto, che le modalità di applica-zione della lotta obbligatoria devono tenere contodi questa differente distribuzione geografica delproblema.

Regioni in cui non sono stati mai segnalati FD e/o Scaphoideus titanusAl fine di evitare il rischio di introduzione del

patogeno e del suo vettore dovrebbe essere ese-guita una sorveglianza prima di tutto in aree limi-trofe, se esistenti, a zone in cui la presenza di FD ègià nota o in vigneti dove confluiscono materialivivaistici provenienti da zone dove FD è presente.

Sarebbe opportuno eseguire periodici sopral-luoghi nel periodo di massima espressione dei sin-tomi (agosto-ottobre) scegliendo vigneti costituiticon varietà particolarmente sensibili alla malattia(per esempio, Chardonnay) e che manifestano, seinfetti, chiari sintomi.

L’attività di monitoraggio in campo andrebbepoi supportata, in caso di piante sospette, da speci-fiche analisi di laboratorio necessarie a differenzia-re FD da altri fitoplasmi agenti causali di giallumidella vite.

La stretta collaborazione tra i servizi fitosanita-ri, l’assistenza tecnica e le istituzioni scientifichepresenti sul territorio favorirebbe certamente unaarmonizzazione degli interventi e una riduzionedel dispendio di energie.

Regioni in cui sono stati segnalati FD e/o Scaphoideus titanusSono queste le Regioni a cui è diretto il decre-

to di lotta obbligatoria. Tuttavia, le modalità appli-cative del decreto dovranno necessariamente esse-re differenti a seconda della diffusione della malat-tia sul territorio. Al fine di rendere attuabili lemisure di contenimento dell’epidemia sono state,pertanto, distinte tre zone:

9. La lotta obbligatoria alla flavescenza dorata e al suo vettore Scaphoideus titanus

Marina Barba

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• zona focolaio: viene così definito un areale in cuiè stata accertata la presenza di FD e del suo vet-tore ma in cui la percentuale di piante infettenon è elevata rendendo, pertanto, possibileun’azione di contenimento della malattia attra-verso l’estirpazione delle piante infette.La definizione della zona focolaio, come dellealtre zone, è a discrezione del Servizio Fitosani-tario che, in ottemperanza a quanto previstonella Nota tecnica applicativa, dovrà tenereconto di vari parametri quali: estensione dell’a-rea infetta, incidenza della malattia in rapportoall’area viticola interessata nel suo complesso,diffusione del vettore e livello delle popolazioni,distribuzione della malattia, continuità con areeindenni o in cui esiste attività vivaistica. Unaattenta analisi del rapporto costi/benefici dovràinfine guidare nella definizione di focolaio.

• zona di insediamento: indica una zona in cui èstata accertata la presenza del fitoplasma e delvettore in percentuale così elevata da non con-sentire un’opera di eradicazione.L’unica attività possibile in questi casi è quelladi sollecitare una serie di interventi tendenti aridurre l’impatto negativo che questi serbatoidi inoculo hanno con zone viticole limitrofe:lotta al vettore con interventi insetticidi obbli-gatori, estirpazione di viti abbandonate, allon-tanamento di attività vivaistiche dalla zona.

• zona indenne: è un territorio in cui la malattia e ilvettore non sono presenti. In questo caso valgo-no tutti i possibili accorgimenti di carattere pre-ventivo: monitoraggio accurato, lotta al vettore.

9.2 Caratterizzazione del fitoplasma flavescenza dorata

La normativa ha l’obiettivo di contenere la dif-fusione sul territorio nazionale del fitoplasma agen-te eziologico di FD (gruppo ribosomico: 16SrV) edel suo vettore specifico Scaphoideus titanus.

Non vengono presi in considerazione gli altrifitoplasmi spesso associati a viti con sintomi analo-ghi a quelli causati da FD. La pericolosità di que-st’ultimo e il motivo, pertanto, per cui solo il fito-plasma FD viene combattuto, sono dovuti all’effi-cienza con cui questo gruppo di fitoplasmi vienetrasmesso in natura dallo specifico vettore.

Considerata l’impossibilità di differenziare sullasola base sintomatologica i fitoplasmi coperti dadecreto, è stata avvertita la necessità da parte deiservizi fitosanitari di disporre di un protocollo dianalisi differenziale che consentisse di individuarechiaramente il fitoplasma FD.

Si è ritenuto utile, pertanto, allestire, con la par-tecipazione di ricercatori esperti del settore, unaprova comparativa che avesse la finalità di individua-re un protocollo di diagnosi idoneo allo scopo.

Presso i laboratori dell’Istituto Sperimentaleper la Patologia Vegetale di Roma sono stati messia confronto 3 protocolli specifici per il rilevamen-to di FD in vite comprendenti ciascuno un meto-do di estrazione del DNA totale dal tessuto foglia-re, seguito da diversi tipi di amplificazione di fram-menti specifici di DNA ribosomico dei fitoplasmi,atti a evidenziare la presenza dell’agente responsa-bile della malattia.

I risultati ottenuti hanno confermato la validitàdei protocolli, tutti e tre in grado di identificare FD.

136 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

1. Viti con presenza di fitoplasmosi 2. Trappola cromotropica utilizzata per il monitoraggiodi Scaphoideus titanus Ball

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Per ognuno di loro, pertanto, sono state descritte erese note in maniera molto dettagliata tutte lemodalità di esecuzione (Pasquini et al., 2001).

I partecipanti alla prova hanno ritenuto impor-tante sottolineare la complessità esecutiva del meto-do molecolare necessario alla identificazione di FD.Hanno ribadito che questo tipo di analisi dovrebbeessere affidato a laboratori specializzati ed esperti edevidenziato l’importanza che riveste la metodologiadi campionamento che, se non eseguita corretta-mente potrebbe inficiare la successiva diagnosi.

I suggerimenti emersi nel corso delle discussionisuccedutesi a Roma possono essere così riassunti:1. è necessario addestrare accuratamente il perso-

nale tecnico impegnato nel riconoscimento deisintomi nel corso dei sopralluoghi in campo alfine di ridurre il rischio di confusione con altresintomatologie (ad esempio, accartocciamentofogliare) e, quindi, di prelevare campioni noncorretti per l’indagine;

2. il campione prelevato dalla pianta sospetta deveessere costituito da almeno venti foglie sintoma-tiche (foglie sia basali che apicali) che non pre-sentino necrosi o forti attacchi di altri patogeni;

3. le foglie devono essere raccolte da differentitralci della pianta in quanto spesso il fitoplasmanon è uniformemente distribuito;

4. il materiale raccolto deve essere inserito in unabusta di plastica chiusa, etichettato, conservatosubito a 4°C in una borsa frigorifera e inviato alpiù presto al laboratorio di analisi.

5. L’epoca di raccolta dei campioni è in funzionedi numerosi fattori: latitudine, andamento cli-matico stagionale, varietà sottoposta al campio-namento. Generalmente l’epoca consigliata ètra metà luglio e primi di ottobre.

9.3 Monitoraggio di Scaphoideus titanus Ball

Come precedentemente detto, il decreto dilotta obbligatoria prevede di contrastare la diffu-sione di S. titanus attraverso l’esecuzione di speci-fici trattamenti insetticidi. A tale proposito, per-tanto, viene richiesto ai servizi fitosanitari di predi-sporre, sul territorio di propria competenza, unarete di monitoraggio per:• creare una mappa di distribuzione del vettore: in

questo caso è sufficiente la ricerca degli adultinel periodo metà giugno-settembre; il sempliceutilizzo delle trappole cromotropiche gialle (treper vigneto da sostituire ogni 15 giorni), posi-zionate all’altezza della vegetazione, è suffi-

ciente a individuare se il vettore è o meno pre-sente nella zona soggetta a indagine.

• definire il ciclo biologico del vettore: la conoscen-za degli stadi di sviluppo della cicalina è indi-spensabile per una corretta esecuzione dei ca-lendari di trattamento necessari a contenere ladiffusione della malattia. Gli stadi giovanili pos-sono essere ricercati posizionando le trappolealla base della pianta dagli inizi di maggio allafine di luglio mentre la cattura degli adulti,come nel caso precedente, si potrà avvalere,oltre che dell’uso delle trappole gialle, anchedel retino entomologico partendo dal bassoverso l’alto o di specifici strumenti scuotitori(raccoglitore di Stainer).

I risultati di questo monitoraggio sono indi-spensabili per delimitare le zone viticole dove ilvettore è presente ed è obbligatorio eseguire speci-fici trattamenti fitoiatrici (focolai, zone di insedia-mento) e identificare alcuni areali a rischio dove èutile eseguire trattamenti preventivi che impedisca-no l’introduzione del vettore da zone limitrofecontaminate.

9.4 La difesa dell’attività vivaistica

Il rischio di diffusione del fitoplasma o del suovettore attraverso l’uso di materiale di propagazio-ne infetto è reale, soprattutto se si considera chenumerosi campi di piante madri e barbatellai sonolocalizzati nel Nord Italia dove il problema flave-scenza dorata/S. titanus è particolarmente presen-te. Fortunatamente le zone ad alto tasso vivaisticopresenti nel Friuli-Venezia Giulia sono ancora in-denni dalla malattia, ma soltanto un’attenta operadi controllo e prevenzione potrà garantire il man-tenimento futuro di questa situazione positiva.

L’esplosione, inoltre, di una epidemia all’inter-no di campi produttori di marze o di portinnesti odi una struttura vivaistica provocherebbe l’impos-sibilità di continuare ad approvvigionarsi di mate-riale di propagazione e l’interruzione di qualsiasiattività commerciale.

Proprio per difendere tutta la filiera vivaistica ildecreto sottolinea l’importanza di controllare concura i campi di piante madri e i barbatellai e di ese-guire una idonea lotta insetticida preventiva neces-saria al contenimento del vettore.

137F L A V E S C E N Z A D O R A T A E A LT R I G I A L L U M I D E L L A V I T E

Page 140: Arsia Q. 3-2005 Flavescenza

9.5 Alcune considerazioni di carattere generale

Scrivere un decreto di lotta obbligatoria è, perpersone esperte del settore, relativamente facile,applicarlo è sicuramente molto più difficile. Variconosciuto a questo decreto un importanteaspetto innovativo: attraverso la definizione di dif-ferenti zone (focolaio, insediamento, indenne) iservizi fitosanitari regionali hanno potuto modula-re gli interventi adattandoli, caso per caso, allemolteplici situazioni esistenti nel territorio di pro-pria competenza.

La complessità applicativa di questo decreto èdovuta anche al fatto che la coltura da difendere, lavite, è presente in elevatissima concentrazionenelle regioni più a rischio dove riveste un ruoloeconomico particolarmente alto. Estirpare deivigneti, o solo alcune piante, che sono nel massimodella loro produzione e, magari, appartengono azone DOC ad alta redditività, è molto difficile erischia l’instaurarsi di contenziosi non sempre facil-mente risolvibili.

Sicuramente il decreto di lotta obbligatoria, èdi fondamentale importanza in quelle zone dove lamalattia non è presente o è localizzata in alcunezone ben definite e circoscritte: in questo caso,infatti, è possibile con un accurato monitoraggio euna adeguata lotta insetticida, mantenere sottocontrollo la diffusione del vettore e, di conseguen-za, del fitoplasma.

Si è più volte sottolineato come i trattamentipreventivi contro S. titanus siano alla base di unaefficace azione preventiva. Bisogna ricordare, però,

che a volte è difficile intervenire in vigneti incolti eabbandonati dove non si riesce neanche a rintrac-ciare il proprietario o superare le preoccupazioni dialcuni viticoltori che nei loro vigneti eseguonotrattamenti insetticidi solo raramente per evitare ilrischio di presenza di residui nel vino.

Un altro fattore che rende particolarmenteimpegnativa l’applicazione di questa lotta obbliga-toria è la necessità di ricorrere ad analisi molecolariper accertare la presenza di FD in viti sintomatiche.Il costo di queste analisi è elevato, i laboratori deiservizi fitosanitari, in molte regioni, non sonoattrezzati per eseguirle e si devono necessariamenteappoggiare ad altre strutture scientifiche operantisul territorio con notevole aggravio della spesa. Leanalisi diagnostiche, inoltre, possono essere esegui-te solamente in un periodo dell’anno ben circo-scritto riducendo i tempi tecnici in cui predisporreun’attività di monitoraggio, osservazione dei sinto-mi e raccolta dei campioni da analizzare.

Va sottolineato, infine, come tutte le regioni sisiano immediatamente attivate avviando collabora-zioni con le strutture tecnico-scientifiche presentisul territorio e, sulla base delle pregresse esperien-ze e conoscenze, organizzato monitoraggi chehanno consentito di conoscere la reale incidenzadel problema sul territorio nazionale. Molto spazioè stato dato anche alla attività divulgativa estrinse-catasi sotto forma di manuali, schede informative,convegni, incontri di studio che, a vari livelli,hanno fortemente contribuito a diffondere laconoscenza e a sensibilizzare gli operatori impe-gnati nella filiera viti-vinicola.

138 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

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Bibliografia

Page 141: Arsia Q. 3-2005 Flavescenza

10.1 Il problema

Nel 1973 i giallumi da fitoplasmi sono statisegnalati in Italia in vigneti dell’Oltrepò Pavese (Belliet al., 1973). La complessità del problema e la neces-sità di trovare adeguati metodi e mezzi di lotta sug-gerirono di avviare un progetto di ricerca finalizzato(La Flavescenza dorata della vite, 1987), patrocinatoe finanziato dall’ex Ministero dell’Agricoltura e Fo-reste, a cui afferirono differenti istituzioni scientifi-che coordinate dal prof. Antonio Quacquarelli.

L’attività di ricerca finanziata per sei anni con-sentì di raggiungere alcuni obiettivi, quali la cono-scenza della distribuzione geografica e dei vitigni piùfrequentemente colpiti dai giallumi della vite, e aprìla via alla soluzione dei problemi concernenti l’ezio-logia, la diagnosi e la lotta (Quacquarelli, 1990).

Agli inizi degli anni novanta il fenomeno colle-gato alle malattie della vite da fitoplasmi ha avutouna recrudescenza in alcune aree viticole del Nord-Est (Veneto, in particolare) preoccupando e allar-mando tutti gli operatori del settore vitivinicolo. Lasituazione sanitaria e i danni conseguenti sono ap-parsi subito più gravi e preoccupanti rispetto a quan-to era stato osservato nel precedente periodo. Benpresto si è potuto determinare che la nuova esplo-sione epidemica era causata dalla introduzione, pro-babilmente dalla vicina Francia e attraverso la com-mercializzazione di materiale di propagazione viti-colo, della flavescenza dorata (FD) sensu strictu,malattia in grado di diffondersi molto rapidamentein presenza dello specifico vettore (Scaphoideus tita-nus) (Alma e Conti, 2002), a differenza del “legnonero”, presente e diffuso in Italia da parecchiotempo, ma che si caratterizza per un andamentomeno epidemico (Bianco et al., 2002).

La flavescenza dorata si è diffusa nelle aree limi-trofe ai primi focolai infettivi inducendo, sulle viti

colpite, un deperimento talvolta irreversibile che,nei casi estremi, determinava, oltre a significativeperdite di produzione, la morte della pianta.

Negli ultimi anni, oltre al Veneto, sono statiosservati e denunciati focolai di flavescenza dorata inmolte zone viticole della Lombardia, del Piemonte,della Liguria, dell’Emilia-Romagna, della Toscana edella parte più occidentale del Friuli-Venezia Giulia.Recentemente, FD è stata rilevata anche nelle Mar-che (Credi et al., 2002) e in Umbria. Particolarepreoccupazione, inoltre, hanno destato alcunesegnalazioni sulla presenza del vettore S. titanus invigneti della Basilicata (Viggiani, 2002) e della Cam-pania (Viggiani, 2004). Il rinvenimento, infatti, delvettore in zone fino a ora considerate libere da flave-scenza dorata ne fa temere una possibile introduzio-ne in tempi non troppo lontani.

Nell’Italia centro-meridionale, dove i giallumisono associati a fitoplasmi appartenenti a un altrogruppo (Barba e Albanese, 2002), la malattia, an-che se con andamento diverso rispetto a quelloriscontrato per FD nell’Italia settentrionale, si dif-fonde naturalmente in campo facendo supporrel’esistenza di un vettore. Le segnalazioni di sinto-matologie specifiche sono aumentate negli ultimianni e in alcuni casi sono stati riscontrati danni chehanno inficiato la produttività dei vigneti.

10.2 Gli interventi

Il MiPAF, in collaborazione con le Regioni, e inottemperanza alla Direttiva comunitaria n.2000/29 CEE, ha approntato un provvedimentodi lotta obbligatoria (D.M. del 31 maggio 2000, n.32442) che definisce le misure d’intervento e dicontrollo della FD della vite, compresa l’eventualeeradicazione delle piante e dei vigneti colpiti. Gran

10. PROGETTO DI RICERCA “I giallumi della vite: un fattore limitante le produzioni vitivinicole”

Marina Barba, Graziella Pasquini

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140 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

Tab. 1 - Unità operative e collaboratori esterni coinvolti nel Progetto Finalizzato

U.O. Istituzione Responsabile Titolo della Ricerca

1 CRA – Istituto SperimentaleStudio della diffusione e caratterizzazione

per la Patologia Vegetale, RomaG. Pasquini di fitoplasmi agenti causali dei giallumi

della vite nel centro-Italia

2 Istituto di Virologia Vegetale – CNR, Torino C. MarzachìMappatura, caratterizzazione e ospiti alternativi

di flavescenza dorata e legno nero della Vite

3CRA – Istituto Sperimentale Interventi per il contenimento dei danni causati

per la Viticoltura, Conegliano Veneto (TV)M. Borgo

dalla flavescenza dorata della Vite

4Istituto di Patologia Vegetale

Università di MilanoP.A. Bianco I giallumi della vite in Lombardia

5Dip.to di Biologia applicata alla difesa

R. OslerI giallumi della vite: studio finalizzato

delle piante, Università di Udine della regressione dei sintomi

6Dip.to di Biologia applicata alla difesa

F. PavanConfronto fra diverse strategie di lotta

delle piante, Università di Udine al vettore Scaphoideus titanusDIVAPRA – Entomologia e zoologia Influenza della bio-etologia e dell’epidemiologia

7 applicate all’ambiente “Carlo Vidano” A. Alma degli auchenorrinchi vettori nella diffusione

Facoltà di Agraria, Università di Torino di ampelopatie associate a fitoplasmi

8DISTA, Patologia vegetale Alma Mater

A. BertacciniBiodiversità molecolare ed epidemiologia

Studiorum, Università di Bologna dei giallumi

CRA – Istituto SperimentaleBio-eto-ecologia e strategie di controllo

9per la Zoologia Agraria, Firenze

B. Bagnoli di S. titanus, H. obsoletus e altri omotteri

auchenorrinchi vettori di fitoplasmi della vite

Dipartimento di Scienze e Tecnologie

10 Fitosanitarie (DISTEF), R. La RosaIndagini sui giallumi della vite

Facoltà di Agraria, Università di Cataniae sui loro vettori in Sicilia

Coll. 1Unità di ricerca sui Fitoplasmi dell’INRA

E. Boudon-PadieuMantenimento e trasmissione di giallumi reperiti

Università di Bourgogne, Dijon (Francia) su flora spontanea e/o su insetti potenziali vettori

Department of Plant Physiology

Coll. 2 and Biotechnology of National Institute Ricerche sulla base fisiologica del recoveryof Biology, Lubiana (Slovenia)

Dipartimento di Agrochimica Indagini sui giallumi della vite

Coll. 3 e Agrobiologia, Università Mediterranea G. Albanesee sui loro vettori in Calabria

Reggio Calabria

Tab. 2 - Diagramma dei ruoli e delle interazioni tra le Unità Operative e le collaborazioni esterne

Attività U.O.1 U.O. 2 U.O. 3 U.O. 4 U.O. 5 U.O. 6 U.O. 7 U.O. 8 U.O. 9 U.O. 10 Coll. 1 Coll. 2 Coll. 3

Monitoraggio • • • • • • •

Eziologia • • • • • • •

Diagnosi • • • • • • •

Fattori ambientali • • • • • • •

Studio dei vettori • • • • • •

Sensibilità varietale • • • •

Lotta ai vettori • •

Recovery • • • •

Risanamento • • •

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parte delle regioni interessate dalla malattia hadefinito le misure d’intervento per contenere idanni e salvaguardare il patrimonio genetico divarietà e cloni di vite nelle diverse fasi del processopropagativo. Uno dei rischi maggiori è, infatti, lapossibilità di contaminazione delle fonti primarie edei materiali destinati alla moltiplicazione e allaproduzione vivaistica.

Contemporaneamente a queste iniziative pret-tamente normative, il MiPAF ha sentito la necessitàdi armonizzare e integrare i differenti interventiintrapresi a livello locale istituendo, con Circolaren. 30361 del 20 gennaio 2000, un gruppo di lavo-ro ad hoc che ha:1) individuato e suggerito una serie di misure fito-

sanitarie urgenti da attuare nelle aree colpite; 2) definito un metodo ufficiale di riconoscimento

dell’organismo nocivo (Pasquini et al., 2001);3) sviluppato uno specifico programma di ricerca

che è stato sottoposto all’attenzione dei re-sponsabili per un eventuale finanziamento. Proprio alla luce di queste valutazioni, il MiPAF

con decreto n. 652/7303/03 del 19 dicembre2003 ha concesso all’Istituto Sperimentale per laPatologia Vegetale (IsPAVE) di Roma un finanzia-mento triennale per l’attuazione di un progettofinalizzato dal titolo: “I giallumi della vite: un fat-tore limitante le produzioni vitivinicole”. A taleProgetto partecipano 10 Unità Operative e alcuneistituzioni scientifiche intervengono come collabo-ratori esterni (tab. 1).

10.3 Il progetto di ricerca

L’attività del progetto copre i diversi aspettidella malattia ed è articolata in due grossi filoni diricerca:• monitoraggio nelle varie zone viticole italiane al

fine di definire la diffusione dei giallumi e chia-rirne gli aspetti eziologici ed epidemiologici;

• controllo della malattia al fine di ridurne l’im-patto nel sistema vigneto.Le diverse unità operative sono coinvolte, in

base alle proprie competenze, nelle varie attivitàdel progetto (tab. 2) e interagiscono tra loro al finedi favorire un approccio interdisciplinare indispen-sabile alla soluzione del problema.

Il monitoraggioQuesta tematica prevede di caratterizzare la

malattia presente nelle diverse aree viticole italiane.Dopo il primo anno di attività è stato possibile di-segnare una mappa di diffusione dei giallumi sulterritorio nazionale grazie a una capillare opera dimonitoraggio nelle varie zone viticole. Le indagi-ni, effettuate sulla base di osservazioni sintomato-logiche (foto 1a-b) e di specifiche analisi molecola-ri, hanno consentito di approfondire la conoscen-za sulla vulnerabilità territoriale, individuando lezone a maggiore rischio epidemico.

Nel corso del monitoraggio è iniziata la carat-terizzazione degli agenti fitoplasmatici associatialle viti infette consentendo una migliore com-prensione della variabilità genomica esistente fra idiversi isolati di fitoplasmi responsabili dei giallu-

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1. Nel corso dei monitoraggi eseguiti in vigneti laziali sono stati osservati forti sintomi di legno nero in vitia bacca bianca e rossa: a) arrotolamento della lamina fogliare e giallume diffuso osservato nella vite della varietà Bellone; b) arrossamenti diffusi osservati nella varietà Cesanese

a) b)

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mi. Le Unità Operative coinvolte in questo speci-fico settore di ricerca hanno definito e stannoattualmente utilizzando metodi molecolari unifica-ti per la caratterizzazione di gruppi e sottogruppidei fitoplasmi FD e LN.

Prosegue, inoltre, il lavoro di armonizzazionedei protocolli di diagnosi molecolare, a completa-mento delle attività richieste in passato al gruppodi lavoro istituito dal MiPAF senza trascurare dimettere a punto metodologie innovative (PCR

Real Time, tecnica dei microarray), quali alternati-ve diagnostiche ai metodi tradizionali.

Lo studio dei vettori è un altro aspetto salientedel monitoraggio che si prefigge di valutare ilruolo degli auchenorrinchi ampelofagi nella tra-smissione di FD e LN. Le catture e i monitoraggieseguiti fino a ora contribuiranno a migliorare leconoscenze sulla dinamica di popolazione diScaphoideus titanus e dello Hyalesthes obsoletus suvite e sulle piante ospiti spontanee nelle aree viti-cole con elevata presenza dei vettori, confrontan-do, inoltre, le catture di maschi e femmine indiverse condizioni. Molto si sta facendo per con-fermare il ruolo vettore di H. obsoletus nella malat-tia del legno nero e per meglio comprendere se esi-stano altri vettori naturali attivi, specialmente nellezone viticole dell’Italia meridionale e del Sud. Ver-ranno, inoltre, effettuate prove di trasmissione inambiente controllato al fine di acquisire nuoveconoscenze sul rapporto vettore-pianta-fitoplasma,con particolare attenzione al ruolo delle piantespontanee serbatoio. Tutti i dati ottenuti verrannoelaborati per la creazione di modelli statistici.

L’ottimizzazione delle tecniche diagnostiche ela possibilità di uniformare gli studi epidemiologi-ci su tutto il territorio nazionale consentiranno diapprofondire le conoscenze sulla malattia, in parti-colare sui fattori esterni che possono influenzare lamanifestazione sintomatologica dei giallumi. A talescopo, in alcuni vigneti pilota individuati nelleprime fasi di avvio del progetto verranno costante-mente controllati alcuni parametri agro-ambienta-li (tecniche agronomiche, ruolo delle essenzespontanee quali serbatoio di inoculo, effetto bordoo deriva dei boschi limitrofi, condizioni pedo-cli-matiche, presenza di malattie virali etc.).

Il controlloQuesta tematica del Progetto affronta in senso

lato il controllo della malattia nel tentativo diridurne l’impatto nel sistema vigneto. Principaleobiettivo è la definizione del ruolo degli insettivettori nella diffusione dei fitoplasmi associati aquesta grave affezione della vite. Mentre, infatti,

per FD il ruolo dello S. titanus è ben definito, leconoscenze sui vettori di LN necessitano ancora diulteriori indagini.

Inoltre, con alcune prove sperimentali si stavalutando l’efficacia di diversi insetticidi verso i varistadi di sviluppo degli insetti vettori e la loro selet-tività nei confronti di potenziali insetti utili, al finedi contenere la diffusione della malattia all’internodei vigneti nel rispetto di un’agricoltura integrata abasso impatto ambientale.

Un aspetto poco studiato, ma molto interes-sante, riguarda l’approfondimento delle conoscen-ze sul fenomeno della “remissione dei sintomi”(recovery). Il Progetto prevede di definire e valuta-re i parametri che regolano e condizionano questofenomeno di guarigione spontanea, potenzialmen-te interessante per la messa a punto di una strate-gia di controllo sostenibile della malattia.

Al fine di recuperare germoplasma viticolo diparticolare interesse agronomico, alcune unitàoperative del progetto sono anche impegnate nellavalutazione e nella messa a punto di tecniche dirisanamento di germoplasma di vite applicabili invitro e in vivo.

10.4 Alcune considerazioni

Ancora una volta il MiPAF ha dimostrato gran-de attenzione e disponibilità a voler salvaguardareil patrimonio viticolo italiano dalla diffusione deigiallumi. Il finanziamento di questo progetto hapermesso, infatti, di raccordare le tante iniziativeintraprese a livello locale e di affrontare in modoorganico e integrato le differenti problematicheche contraddistinguono questo complesso gruppodi malattie causate da fitoplasmi. Solo l’attuazionedi un progetto a respiro nazionale, a cui partecipa-no tutti i gruppi di ricerca attivamente impegnatinello studio di queste problematiche, può garanti-re il miglioramento delle conoscenze scientifichedi base, prerequisito indispensabile all’attuazionedi concrete strategie di difesa

Le informazioni derivanti dalla attività di ricer-ca, grazie a un rapido travaso di conoscenze, avran-no una ricaduta a livello regionale dove le ammini-strazioni locali potranno mettere in atto piani diintervento idonei per il proprio territorio per a)rimanere competitive nel settore viticolo, b) man-tenere i posti di lavoro legati alla filiera vitivinico-la, c) scongiurare l’abbandono delle aree viticolemaggiormente colpite dalle epidemie di giallumicon il conseguente degrado ambientale ed esposi-zione a rischi idrogeologici e d) salvaguardare la

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biodiversità legata al germoplasma locale.Consapevoli dell’importanza della rapida frui-

zione delle notizie, il Progetto prevede ancheun’opera di divulgazione dei risultati intermedi efinali attraverso varie strategie:

1. pubblicazioni scientifiche su riviste internazio-nali e nazionali;

2. pubblicazioni tecniche e divulgative, in colla-borazione con i Servizi Fitosanitari interessati,da distribuire ai tecnici che operano nel settore;

3. stampa di un Manuale sulla malattia dei giallu-mi della vite che, alla fine dell’attività scientifica,avrà lo scopo di divulgare i risultati e le cono-scenze acquisite nell’ambito del progetto a tuttigli operatori del settore vitivinicolo nazionale.

RingraziamentiLavoro svolto nell’ambito del Progetto di ricerca “Igiallumi della vite: un fattore limitante le produzionivitivinicole”, finanziato dal Ministero per le PoliticheAgricole e Forestali.

143F L A V E S C E N Z A D O R A T A E A LT R I G I A L L U M I D E L L A V I T E

ALMA A., CONTI M. (2002) - Flavescenza dorata e altrefitoplasmosi della vite: il punto su vettori ed epidemio-logia. Inf. fitopat., 10: 31-35.

BARBA M., ALBANESE G. (2002) - Malattie da fitoplasmidella vite. Situazione nell’Italia centro-meridionale.Inf. fitopat., 10: 49-52.

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R. (2002) - Flavescenza dorata della vite nelle Mar-che. Inf. agrario, 58, 22: 61-63.

PASQUINI G., ANGELINI E., BENEDETTI R., BERTACCINI

A., BERTOTTO L., BIANCO P.A., FAGGIOLI F., MARTI-NI M., MARZACHÌ C., BARBA M. (2001) - Armoniz-zazione della diagnosi della flavescenza dorata dellavite (FD): risultati di una prova comparativa. In:Atti Progetto POM A32 (vol. II), “Norme fitosanita-rie e commercializzazione delle produzioni vivaisti-che”, [Locorotondo (BA), 4-7 dicembre 2001], pp.921-940.

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Bibliografia

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ATLANTE

Sintomi di fitoplasmosi nei vari vitigni

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Sintomi di fitoplasmosi in Sangiovese

3. Sintomi in foglie di SangioveseFoto P. Braccini

4. Sintomi in grappolo di SangioveseFoto P. Braccini

1. Sintomi fogliari in SangioveseFoto P. Braccini

2. Sintomi in pianta di SangioveseFoto P. Braccini

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7. Sintomi in SangioveseFoto P. Braccini

8. Sintomi in grappolo di Sangiovese Foto P. Braccini

5. Sintomi in pianta di SangioveseFoto P. Braccini

6. Sintomo di mancata lignificazione in Sangiovese Foto P. Braccini

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Sintomi di fitoplasmosi in Chardonnay

11. Sintomi in pianta di ChardonnayFoto P. Braccini

12. Sintomi in foglie di ChardonnayFoto P. Braccini

10. Sintomi in foglia di ChardonnayFoto P. Braccini

9. Sintomi fogliari in Chardonnay Foto P. Braccini

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15. Sintomi di mancata lignificazione in Chardonnay Foto P. Braccini

13. Sintomi in grappoli di ChardonnayFoto P. Braccini

14. Sintomi di vegetazionecadente e mancata lignificazionein ChardonnayFoto C. Parrini

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Sintomi fogliari di fitoplasmosi in altri vitigni

17. Sintomi in Aleante Poggiarelli

18. Sintomi in Aleante Rivalto

16. Sintomi fogliari in Aleante Poggiarelli

19. Sintomi in Alicante

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21. Sintomi in Alicante (GR)20. Sintomi in Alicante Bouscet

23. Sintomi su tralcio in Barbera Foto M. Conti

22. Sintomi in Barbera Foto M. Conti

25. Sintomi in Cabernet Sauvignon Foto P. Braccini

24. Sintomi in Barghigiana

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26. Sintomi fogliari in CarmenereFoto C. Frausin

27. Sintomi in foglia di Carmenere, a sinistra foglia sana Foto C. Frausin

28. Sintomi in Casentino 30. Sintomi in Colorino

29. Sintomi in Cannella

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154 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

34. Sintomi in Dolcetto

31. Sintomi in pianta di Croatina

Foto P.A. Bianco

33. Sintomi fogliari in Cortese, al centro foglia sana Foto P.A. Bianco

32. Sintomi fogliari in Croatina, al centro foglia sana Foto P.A. Bianco

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36. Sintomi in FavoritaFoto G. Bosio

35. Sintomi fogliari in Favorita

Foto G. Bosio

38. Sintomi fogliari in Foglia tonda37. Sintomi in Foglia tonda

40. Sintomi in foglia di Garganega Foto P. Braccini

39. Sintomi in GarganegaFoto P. Braccini

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41. Sintomi in Gorgottesco

42. Sintomi in Granè

43. Sintomi in Lugliola rossa 45. Sintomi in Grechetto

44. Sintomi in pianta di Grechetto

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157F L A V E S C E N Z A D O R A T A E A LT R I G I A L L U M I D E L L A V I T E

46. Sintomi fogliari in Malbech Foto C. Frausin

47. Sintomi in Malbech Foto C. Frausin

48. Sintomi in Malvasia giallaFoto M. Borgo

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158 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

50. Sintomi in Malvasia nera

49. Sintomi in foglie di Malvasia nera

52. Sintomi in Monica

51. Sintomi in Monferrato

53. Sintomi in Moscato Foto G. Bosio

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54. Sintomi in MontepulcianoFoto P. Braccini

55. Sintomi in Morone

56. Sintomi in Ingannacane 58. Sintomi in pianta di Morone

57. Sintomi in foglie e grappolo di Montepulciano Foto P. Braccini

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61. Sintomi in Pinot neroFoto M. Borgo

59. Sintomi fogliari in PicolitFoto C. Frausin

62. Sintomi in foglie e grappolo di Pinot neroFoto M. Borgo

60. Sintomi in Picolit Foto C. Frausin

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63. Sintomi in Pinot grigioFoto M. Borgo

64. Sintomi in Pisciancione

65. Sintomi in Primitivo di Gioia 67. Sintomi in ProseccoFoto P. Braccini

66. Sintomi in PolleraFoto P. Braccini

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71. Sintomi in Refosco dal peduncolo rosso Foto C. Frausin

70. Sintomi in Refosco Foto C. Frausin

69. Sintomi in Raponcello68. Sintomi in Rapone

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72. Sintomi in Rossone (FI)

73. Sintomi in pianta di Sangiovese Elba

74. Sintomi in Sirigiolo 76. Sintomi in Sangiovese Elba

75. Sintomi in Rossone (PI)

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78. Sintomi in TocaiFoto C. Frausin

77. Sintomi in foglia di TocaiFoto C. Frausin

80. Sintomi in Trebbiano toscano Foto G. Posenato

79. Sintomi fogliari in Trebbiano toscanoFoto P. Braccini

82. Sintomi in Vaiano Rivalto81. Sintomi in Vaiano

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83. Sintomi in Verduzzo Fr.Foto C. Frausin

84. Sintomi in foglia di Verduzzo Fr.Foto C. Frausin

85. Sintomi in Verduzzo Fr. Foto C. Frausin

87. Sintomi in VermentinoFoto M. Conti

86. Sintomi in Verduzzo Tr.Foto C. Frausin

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Alberto Alma

DIVAPRA - Entomologia e Zoologia applicate all’Ambiente “Carlo Vidano”, Università di Torinovia Leonardo da Vinci, 44 - 10095 Grugliasco (TO)e-mail: [email protected]

Marina Barba

Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetalevia C.G. Bertero, 22 - 00156 Romae-mail: [email protected]

Giuseppe Belli

Istituto di Patologia Vegetale, Università di Milanovia Celoria, 2 - 20133 Milanoe-mail: [email protected]

Assunta Bertaccini

DISTA, Patologia vegetale, Università di Bolognaviale Fanin, 42 - 40127 Bolognae-mail: [email protected]

Piero Attilio Bianco

Istituto di Patologia Vegetale, Università di Milanovia Celoria, 2 - 20133 Milano e-mail: [email protected]

Michele Borgo

CRA - Istituto Sperimentale per la Viticolturaviale XXVIII Aprile, 26 - 31015 Conegliano (TV)e-mail: [email protected]

Simona Botti

DISTA, Patologia vegetale, Università di Bolognaviale Fanin, 42 - 40127 Bolognae-mail: [email protected]

Piero Braccini

ARSIA Regione Toscanavia Pietrapiana, 30 - 50122 Firenzee-mail: [email protected]

Alberto Bressan

Dipartimento di Agronomia ambientale e Produzioni vegetali, Sez. Entomologia Università di Padova - Agripolisvia Romea, 16 - Legnaro (PD)e-mail: [email protected]

Luigi Carraro

Dipartimento di Biologia Applicata alla Difesa delle Piante, Università di Udinevia delle Scienze, 208 - 33100 Udinee-mail: [email protected]

Paola Casati

Istituto di Patologia Vegetale, Università di Milanovia Celoria, 2 - 20133 Milano e-mail: [email protected]

Maurizio Conti

Istituto di Virologia Vegetale - CNR

via Strada delle Cacce, 73 - 00135 Torinoe-mail: [email protected]

Carlo Frausin

Regione Autonoma Friuli-Venezia GiuliaServizio Fitosanitario RegionaleUfficio periferico di Pordenonevia Oberdan, 18 - 33170 Pordenonee-mail: [email protected]

Gli Autori

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Luciana Galetto

DIVAPRA - Entomologia e Zoologia applicate all’ambiente “Carlo Vidano”, Università di Torinovia Leonardo da Vinci, 44 - 10095 Grugliasco (TO)e-mail: [email protected]

Vincenzo Girolami

Dipartimento di Agronomia ambientale e Produzioni vegetali, Sez. Entomologia, Università di Padova - Agripolisvia Romea, 16 - Legnaro (PD)e-mail: [email protected]

Nazia Loi

Dipartimento di Biologia Applicata alla Difesa delle Piante, Università di Udinevia delle Scienze, 208 - 33100 Udinee-mail: [email protected]

Andrea Lucchi

Dipartimento Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G. Scaramuzzi”,Sezione Entomologia agraria, Università di Pisavia San Michele degli Scalzi, 2 - 50124 Pisae-mail: [email protected]

Marta Martini

Dipartimento di Biologia Applicata alla Difesa delle Piante, Università di Udinevia delle Scienze, 208 - 33100 Udinee-mail: [email protected]

Cristina Marzachì

Istituto di Virologia Vegetale - CNR

via Strada delle Cacce, 73 - 00135 Torinoe-mail: [email protected]

Valerio Mazzoni

Dipartimento Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G. Scaramuzzi”,Sez. Entomologia agraria, Università di Pisavia San Michele degli Scalzi, 2 - 50124 Pisae-mail: [email protected]

Nicola Mori

Agrea Centro Studivia G. Garibaldi, 5 - 37057 San Giovanni Lupatoto (VR)e-mail: [email protected]

Ruggero Osler

Dipartimento di Biologia Applicata alla Difesa delle Piante, Università di Udinevia delle Scienze, 208 - 33100 Udinee-mail: [email protected]

Alessandro Paoli

ARSIA Regione Toscanavia Scatena, 4 - Santa Margherita di Capannori55076 Capannori (LU)e-mail: [email protected]

Graziella Pasquini

Istituto Sperimentale per la Patologia Vegetalevia C.G. Bertero, 22 - 00156 Romae-mail: [email protected]

Francesco Pavan

Dipartimento di Biologia Applicata alla Difesa delle Piante, Università di Udinevia delle Scienze, 208 - 33100 Udinee-mail: [email protected]

Gabriele Posenato

Agrea Centro Studivia G. Garibaldi, 5 - 37057 San Giovanni Lupatoto (VR)e-mail: [email protected]

Giorgio Stefanelli

ERSA Friuli-Venezia Giuliavia Sabbatini, 5 - 33050 Pozzuolo del Friuli (UD)e-mail: [email protected]

Giovanni Vettori

ARSIA Regione Toscanavia Pietrapiana, 30 - 50122 Firenzee-mail: [email protected]

Alberto Villani

ERSA Friuli-Venezia Giuliavia Sabbatini, 5 - 33050 Pozzuolo del Friuli (UD)e-mail: [email protected]

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Annotazioni

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Collana Quaderni ARSIA

1/97. Supporti conoscitivi per l’attività di consulenza gestionale alle imprese agricole

a cura di G. Franchini, G. Lorenzini

2/97. Progetto di meccanizzazione di vigneti su pendici terrazzate a forte declività

a cura di M. Vieri, M. Giovannetti, P.P. Lorieri, S. Tarducci, M. Zoli, M. Beltrami

3/97. Indagine sugli aspetti ecologici ed economici dei vaccinieti nell’Appennino Tosco-emiliano

a cura di I. Ronchieri, T. Mazzei

4/97. L’analisi del processo decisionale in agricoltura secondo il modello EPAAV nell’applicazione

a un caso concreto. I. Malevolti

5/97. Vitigni extraregionali: osservazioni comparative sul comportamento agronomico e tecnologico

di 17 cultivar a uva bianca in ambiente collinare toscano. G. Di Collalto, S. Mancuso, R. Bandinelli

6/97. Alcuni vitigni regionali minori tradizionalmente coltivati in Toscana: principali caratteristiche descrittive

G. Di Collalto, R. Bandinelli

7/97. Osservazioni comparative su alcune forme di allevamento della vite in Toscana

G. Di Collalto, R. Bandinelli, P. Petroni

8/97. Osservazioni comparative sulla produttività delle viti e la maturazione dell’uva in alcuni cloni di vitigni toscani

G. Di Collalto, M. Giovannetti

9/97. Ricerche sul germoplasma viticolo della Toscana: 1. Vitigni a uva da colore

P.L. Pisani, R. Bandinelli, A. Camussi

1/98. Il bacino idrografico del torrente Sova in Casentino. Studio preliminare per la pianificazione degli interventi

di sistemazione idraulico-forestale in un bacino montano. R. Chiarini, C. Fani, M. Miozzo, G. Nocentini

2/98. Introduzione alla “Qualità” nel settore agroalimentare. P. De Risi, R. Moruzzo

3/98. Linee guida per l’applicazione del D.Lgs. 155/97 nelle aziende agricole toscane. Settore vinicolo

4/98. Linee guida per l’applicazione del D.Lgs. 155/97 nelle aziende agricole toscane. Settore oleicolo

5/98. Linee guida per l’applicazione del D.Lgs. 155/97 nelle aziende agricole toscane. Settore miele

6/98. Linee guida per l’applicazione del D.Lgs. 155/97 nelle aziende agricole toscane. Settore ortofrutticolo

7/98. L’innovazione nell’agricoltura toscana. Analisi del fabbisogno e criteri per la definizione delle priorità di azione

G. Brunori

8/98. Il Vin Santo in Toscana. Composizione e caratteri sensoriali. P. Buccelli, F. Giannetti, V. Faviere

ARSIA, la comunicazione istituzionaleal servizio dell’agricoltura

L’attività editoriale

L’ARSIA svolge la propria attività editoriale attraverso unaspecifica linea, articolata in varie collane (monografie, qua-derni tecnici, atti di convegni e seminari, manuali tecnici) eprovvede direttamente alla loro diffusione. L’Agenziaregionale, infatti, pubblica i risultati di studi, ricerche e spe-rimentazioni, realizzati dai propri tecnici o commissionati

all’esterno, con l’intento di fornire attraverso la stampa (outilizzando gli strumenti telematici) il materiale tecnico perla divulgazione e l’aggiornamento.L’elenco aggiornato di tutte le pubblicazioni edite dal-l’ARSIA è consultabile in internet all’indirizzo:

www.arsia.toscana.it/vstore

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172 Q U A D E R N O A R S I A 3 / 2 0 0 5

1/99. Linee guida per l’allevamento di galliformi destinati al ripopolamento e alla reintroduzione

F. Dessì Fulgheri, A. Papeschi, M. Bagliacca, P. Mani, P. Mussa

2/99. Il latte ovino in Toscana. Indagine sulle aziende di produzione e studio dell’influenza dei fattori alimentari

sulla qualità del latte

3/99. Rapporto sull’economia agricola della Toscana, a cura di R. Pagni

4/99. Strategie delle imprese agricole familiari e sviluppo rurale integrato, a cura di I. Malevolti

5/99. I danni causati dal cinghiale e dagli altri ungulati alle colture agricole. Stima e prevenzione

6/99. Linee guida per l’applicazione del D.Lgs. 155/97 nelle aziende agricole toscane. Settore cerealicolo

7/99. Il formaggio pecorino toscano, a cura di R. Bizzarro

8/99. Linee guida per l’applicazione del D.Lgs. 155/97 nella produzione delle conserve vegetali

9/99. Il legno di castagno e di douglasia della Toscana. Qualità del legno e selvicoltura.

Classificazione e valori caratteristici del legname strutturale

1/2000. Le tecniche di immissione della piccola selvaggina. R. Mazzoni della Stella

2/2000. Risultati delle prove funzionali su linee gocciolanti integrali (Parte I). M. Bertolacci

3/2000. La coltivazione del fungo pioppino in Toscana. Valutazione della fattibilità tecnica ed economica

di un sistema produttivo. G. Nocentini, M. Coluccia, G. Gaggio, S. Salvadorini

1/2001. L’oidio della vite in Toscana. P. Cortesi, M. Ricciolini

2/2001. Linee guida per la ricerca europea nel settore agricolo-forestale e della pesca. G. Torta

3/2001. L’igiene dei prodotti agroalimentari. Guida pratica

4/2001. Metodologie alternative di lotta alle parassitosi gastrointestinali degli ovini

1/2002. Il miele in Toscana. Miglioramento della qualità e valorizzazione

2/2002. Il monitoraggio fitosanitario delle foreste, a cura di A. Guidotti

3/2002. Risultati delle prove funzionali su linee gocciolanti integrali e irrigatori a pioggia. Parte II. M. Bertolacci

1/2003. Anagrafe bovina - Istruzioni per l’uso

2/2003. Uso razionale delle risorse nel florovivaismo: i fabbisogni energetici (+ CD). M. Vieri, M. Ceccatelli

3/2003. Come produrre energia dal legno. G. Mezzalira, M. Brocchi Colonna, M. Veronese

4/2003. Interventi di ingegneria naturalistica in Toscana. Prime esperienze di monitoraggio

A.L. Freschi, G. Nocentini, F. Dinardo

5/2003. Macchine irroratrici agricole: controlli e tarature per una maggiore efficienza e sicurezza di impiego

R. Russu, M. Vieri

1/2004. Miglioramento qualitativo delle produzioni vitivinicole e del materiale di propagazione

a cura di A. Gemmiti

2/2004. Uso razionale delle risorse nel florovivaismo: i fertilizzanti

a cura di P. Baroncelli, S. Landi, P. Marzialetti, N. Scavo

3/2004. Trasformare la comunicazione rurale. Scenari ed esperienze in alcuni paesi europei

G. Brunori, P. Proietti, A. Rossi

Page 175: Arsia Q. 3-2005 Flavescenza

4/2004. Un nuovo metodo ecologico per la prevenzione dei danni da uccelli alle colture agricole

F. Santilli, S. Azara, L. Galardi, L. Gorreri, A. Perfetti

5/2004. Uso razionale delle risorse nel florovivaismo: l’acqua (+ CD)

a cura di A. Pardossi, L. Incrocci, P. Marzialetti

6/2004. Le colture dedicate ad uso energetico: il progetto Bioenergy Farm

7/2004. La produzione delle conserve vegetali, M.G. Migliorini

1/2005. I tartufi minori in Toscana. Gli ambienti di crescita dei tartufi marzuolo e scorzone

L. Gardin

2/2005. La corretta gestione della fermentazione alcolica. Guida pratica, a cura di A. Gemmiti

3/2005. Flavescenza dorata e altri giallumi della vite in Toscana e in Italia

a cura di A. Bertaccini e P. Braccini

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Finito di stampare nel luglio 2005

da Press Service srla Sesto Fiorentino (FI)

per conto diARSIA • Regione Toscana

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Quaderno ARSIA 3/2005

Flavescenza dorata e altri giallumi della vitein Toscana e in Italia

La viticoltura è una realtà economica fondamentale per la Toscana,da qui la necessità di approfondire le tematiche fitosanitarie relativea fenomeni che potrebbero comprometterne la crescita produttivae qualitativa.Tra i giallumi della vite, causati da agenti patogeni chiamati fitoplasmi,una malattia molto grave è la flavescenza dorata, che ha creato notevoliproblemi alla viticoltura di diverse regioni del Nord Italia.Grazie al contributo di numerosi e qualificati studiosi, in questoQuaderno ARSIA 3/2005 vengono affrontati tutti gli aspetti legatia tali patogeni e in modo particolare alla flavescenza dorata e al legnonero, altro importante giallume della vite.Una prima parte della trattazione riguarda le origini e la diffusionein Toscana e in Italia della malattia, per poi passare alla sua diagnosi,alla sintomatologia e alla descrizione degli insetti vettori. A seguiresono state esaminate anche l’epidemiologia e le misure di controllodella flavescenza dorata e del legno nero. Nell’ultima parte sonoriportate sia la normativa di lotta obbligatoria alla malattia e al suovettore Scaphoideus titanus, sia la descrizione di un progetto di ricercanazionale finanziato dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali.La pubblicazione si conclude con una sezione illustrata dei sintomidi giallume su alcuni dei più importanti vitigni, per favorireil riconoscimento della malattia da parte di tecnici e operatoridel settore vitivinicolo.

L’ARSIA,AgenziaRegionale per loSviluppo el’Innovazionenel settoreAgricolo-forestale,istituita con laLeggeRegionale37/93, èl’organismotecnicooperativo dellaRegioneToscana per lecompetenze nelcampo agricolo-forestale,acquacoltura-pesca efaunistico-venatorio.

€ 10,00 (i.i.)