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GIOVANNI MANETTI ARISTOTELE E IA METAFORA. CONOSCENZA, SIMILARITA, AZIONE, ENLINCTAZIONE 1. Concezione classica e concezione moderna della metafora l.l Negli studi recenti sul tema della metafora - a partire per lo meno dal celebresaggiodi Ivor Armstrong Richards (1936) - b divenuto abiruale soffermarsisul fatto che essa si sia trovatasto- ricamente d centro di almeno due considenzioni teoriche dia- metralmente oPPoste. (0 Infani, da una parte si colloca la teoria cosiddena "classi- ca", che trova piena espressione nella tradizione che pona, ad esempio, d tramato di Dumarsais (1730) sui tropi, secondocui la metafora sarebbe interpretabile come un fenomeno di sostittrrio- ne di un termine "proprio" da parte di un termine "figurato". Questa concezioneha due corollari: il primo b che il fenomeno memforico si situa al livello della singola espressione lessicde;il secondo t che esso costituisce un puro procedimento stilistico, che produce di fatto un ornamento del discorso e non comporta di per sdalcun incremento conoscitivo: inhtti, poichi la metafo- ra, secondoquesta concezione,consistein un termine che viene a prendere il posto di un dtro termine, essa non dice niente di piir di quello che il termine proprio (ammesso che esista)non direb- be gh di per si una volta reintegrato (Ricoear 1975:30; lel<s 1994:283). (ii) Dall'altra parte si colloca invece la concezione "contem- poranea",secondola quale la metafora, lungi dall'essere un puro ornamento del discorso, sarebbeinvece un fenomeno essenzid- mente cognitivo, che esplicala sua creativitl nella prerogativa di produrre una diversa arcgorizzazione del mondo. 27
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Aristotele e la metafora. Conoscenza, similarità, azione, enunciazione

May 15, 2023

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GIOVANNI MANETTI

ARISTOTELE E IA METAFORA.CONOSCENZA, SIMILARITA,

AZIONE, ENLINCTAZIONE

1. Concezione classica e concezione moderna della metafora

l.l Negli studi recenti sul tema della metafora - a partire perlo meno dal celebre saggio di Ivor Armstrong Richards (1936) -b divenuto abiruale soffermarsi sul fatto che essa si sia trovata sto-ricamente d centro di almeno due considenzioni teoriche dia-metralmente oPPoste.

(0 Infani, da una parte si colloca la teoria cosiddena "classi-ca", che trova piena espressione nella tradizione che pona, adesempio, d tramato di Dumarsais (1730) sui tropi, secondo cui lametafora sarebbe interpretabile come un fenomeno di sostittrrio-ne di un termine "proprio" da parte di un termine "figurato".

Questa concezione ha due corollari: il primo b che il fenomenomemforico si situa al livello della singola espressione lessicde; ilsecondo t che esso costituisce un puro procedimento stilistico,che produce di fatto un ornamento del discorso e non comportadi per sd alcun incremento conoscitivo: inhtti, poichi la metafo-ra, secondo questa concezione, consiste in un termine che vienea prendere il posto di un dtro termine, essa non dice niente di piirdi quello che il termine proprio (ammesso che esista) non direb-be gh di per si una volta reintegrato (Ricoear 1975:30; lel<s1994:283).

(ii) Dall'altra parte si colloca invece la concezione "contem-poranea", secondo la quale la metafora, lungi dall'essere un puroornamento del discorso, sarebbe invece un fenomeno essenzid-mente cognitivo, che esplica la sua creativitl nella prerogativa diprodurre una diversa arcgorizzazione del mondo.

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l.2Tirmo questo potrebbe essere considerato giusto se nonfosse che spesso si fa risalire la prima concezione direttamentead Aristotele, che E effettivamente il primo a formulare una reo-ria della metafora e a definirla nei termini di un fenomeno lessi-cale, come nome che prende il posto di un altro nome. Ma, co-me ha somolineato molto opportunamente Andri I;rks (1994:284), ci sono alcuni aspetti della teoria della metafora in fuisto-tele che contrastano con quella che ts definita come la teoria'tlassica".

(i) Il primo aspefto consiste nel fano che la nomenclarura rin-tracciabile nella Poetica distingue la metafora dall'ornamento(r6opoQ, anche se poi quest'ultima nozione non viene ulterior-mente wiluppata.

(ii) Il secondo asperco consiste nel farto che Arisrotele defini-sce la metafora nella Poetica come "l'applicazione di un nomeesrraneo" (6v6patoq ol,l,otpiou irnQo-pri, zr, r457b 8), nonparlando nd dell'espressione metaforica come di un "nome im-proprio", nC di quella sosrituita dalla metafora come del "nomeproprio" (come invece awiene nella teoria'tlassica"): il rriprovovopcr di cui parla fuistotele b il nome correnre, definiro nel ca-pitolo 2l della Poetica in opposizione alla yl"cirta, che invece til termine dialettale. Tuttavia si deve anche riconoscere che nellaRetorica Aristotele associa poi il nome n5prov al nome oirelov,distinguendoli entrambi dalla metafora (Rct Iil,2, |404b3l-33)e aprendo in certo qual modo la strada alle interpretazioni suc-cessive. I

(iii) Il terzo aspetto b costituiro dal fatto che in Arisrotele la di-mensione cognitiva della metafora d sottolineara a piir riprese.

Ci sono stati alcuni, come sottolinea ancora Laks (1994:285),che hanno tentato di "opporre la teoria di Aristotele a se stessa",owero di distinguere in essa cid che t vivo e conremporaneo da cibche b invece irrimediabilmente mofto: cid ha prodomo una ren-denza a vedere all'interno del pensiero aristotelico, accanro a unaconcezione statica e sostitutiva della memfora (matrice della teoria"classica"), un'dtra concezione dinamica e creatrice che esalta lepotenzialiti conoscitive della metafora.2 Il tentativo piir inreres-sante i stato quello di Paul Ricoeur (1975) che ha potuto giocaresu una doppia accezione che la parola "metafora" assume nei testi

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aristorelici: da una pane la metafora viene intesa come terminesingolo che va a sostituire un altro termine singolo; ddl'alua vie-ne intesa invece come processo, ciot come fenomeno dinamico ecreatore, che pud dunque produrre le caratteristiche invenrive eeurisdche tipiche della metafora "moderna". Secondo l:ks, seb-bene sarebbe suggestivo riconoscere la duplicitl che quegli autorihanno individuato nel pensiero aristotelico, giocando sul dinami-smo del fenomeno metaforico, tuttavia le potenziditi cognitivedella metafora non si realizzano in opposizione alla sua strutturasostirutiva, ma proprio grazie a.essa. IJipotesi di Lala (1994:285),che pare degna di seria attenzione, t invece diversa e consiste nelsostener€ che la teoria aristotelica della metafora non opponga ivalori sostitutivi a quelli cognitivi, ma che, invece, individui le po-tenzialiti cognidve del fenomeno metaforico proprio basandosisul riconoscimento di una sua struttura sostitutiva.

2. Metafora e linguaggio ordinario

2.L I-a, stilistica moderna, erede di certi aspetti della concezio-ne "classica", concepisce la metafora, cosi come ogni altro tropoo figura retorica in generde, come "scarto" rispetto alla normalinguistica o a un grado zero del linguaggio, che risulta, peraltro,molro difficile da definire (Groupe Ir 1970: 16 e sgg.).

Anche nell'antichiti Ia teoria della metaforainiziala sua storiapresupponendo per questa figura uno scarto rispetto non tantoalla norma linguistica in generale, quanto piuttosto a'una deter-minata specie' di norma linguistica. l,a parola "metafora" b testi-moniata per la prima voka nell'Eaagora (9-10) di Isocrate (la cuicomposizione si pud collocare all'incirca nel370-365 a.C., dun-que non molto prima che Aristotele wiluppasse le sue riflessionisu di essa). In quel testo si fa una disdnzione tra i poeti e i prosa-tori: ai primi, a differenza dei secondi, i lecito di giovarsi di variabbellimenti, come parole straniere, neologismi e metafore; aiprosatori invece b concesso solo di esprimersi in modo essenzialee servirsi esclusivamente di parole comuni (tciv ovoptitov toignotrtttroig).

Dunque la metafora E considerata da Isocrate un'alterazione

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del linguaggio, per la precisione un alterazione della norma lin-guistica della prosa (sia oratoria, sia non oratoria, potremmo di-re), e va evitata nelle situazioni comunicatiye come quelle dei di-scorsi oratori in cui essa rischia di produrre una certa tensione sti-lisdca orientata verso un genere di discorso altro: quello dellapoesia.

2.2. Diversa b la posizione di Aristotele, per il quale la me-tafora non appartiene solo allo stile poetico, ma altrettanto beneanche a quello della prosa oratoria. Anzi, il filosofo va piir avanti,sortolineando nella futorica che essa si configura come uno stru-mento di uso generale:

Udli a uno stile prosastico sono soltanto i nomi usati in sensoproprio (rfprov), quelli di uso comune (oirelov) e le me-tafore. Lo dimostra il fatto che tutti si servono solo di guesti:tutti infatti parlano con metafore, con parole d'uso cornune econ parole usate in senso proprio, cosicchi E chiaro che chi saservirsene bene otterr). un effetto di straniamento ((evtr6v),riuscirl a nascondere I'artificio e si esprimerh con chiarezza(Ret. III, 2, 1404b 3l-36).

In questo passo Aristotele appare seny'altro precursore dellenote posizioni settecentesche relative alla intrinseca meraforicitldel linguaggio. Anzi le sue parole qui anticipano quelle, celebri,del grammatico dell'Encychpidie, C. Dumarsais, ihe nel suoTiaiti da tropes, prendeva di mira la definizione delle figure datada Quintiliano come dei modi di esprimersi che si allontananodalla maniera naturale e ordinaria, facendo notare che "il se faitdans un jour de marchd ir La Halle plus de figures qu en plusieursjours d'assembldes acadimiques".3

Tirttavia in fuistorele la nozione di 'scarto" legata a quella dim€tafora non scompare, e proprio nel passo riponato essa E pre-sente nalla caratteristica di creare un effetto di (avtr6v, che pos-siamo rendere appunto con espressioni come'ttraniamento", "unche di esotico', o ancora "un che di peregrino".4 Questo effetto tartribuito precipuamente alla metafora e nel passo riporrato si de-ve notare una significativa inversione dell'ordine nell'elenco pro-

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ARISTOTELE E I..A, METAFOM

posto delle parole ucili nel discorso oratorio. Nella prima presen-tazione si ha: rd 5b rriprov rai td oireiov rai peta{opci nel-la ripresa si ha peruQopstg Kcri roig ofreforg rcri rolg ru-piorq, con il termine U€Tcr,$opd che passa in prima posizionepercht' E a essa che b attribuito il carico di creare appunro I'effet-to di (evrr6v. E verosimile che agli dtri due tipi & parole sia at-tribuito rispettivamente lo scopo di "nascondere l'artificio' equello di "esprimersi con chiarezza".

Del resto in un passo di poco precedente nello stesso capitolo2 del rcna libro della Retorica lo stesso concefto di 'ttraniamen-to" (questa volta rappresentato dall'aggettivo (6voQ viene colle-g-a_to decisamente alla nozione di "scarto dall'uso prevalente"(6€crlJ,ri[cn):

lo stile poetico non b umile, ma forse non E adatto al discorsooratorio. Tha i nomi e i verbi dererminano chiarezzaquelli usa-ti in senso proprio, mentre gli altri termini, dei quali si t pada-to nella Poetic4 rendono lo stile ornato piunosto che umile,poichi la deviazione dall'uso prevalente (!€ol,ld€cn) lo faapparire pit solenne. Gli uomini infani provano di fronte allostile la 51s55x s6n5rzione che provano di fronte agli stranieri e aiconcinadini: si deve di conseguenza rendere esotico il linguag-gio ((6vqv crlv Stcifl"erroi), poichi gli uomini ammlrariocib che b lontano, e cid che provoqr meraviglia t piacwole(Ra.Lfi,2,1404b 4-12).

2.3ln sostanza possiamo dire che fuistotele in questo capito-lo della Retoicacollega la metafora con I'effetto di straniamento((evrr6v, €wov) e l'effetto di straniamenro con la nozione dideviazione dall'uso comune (6(al,id{at) e tutto quesro con laproduzione di un effetto di piacevolezza, sul quale concerto ror-neremo piir avanti.

la nozione di "scarto' ritorna anche nella Poetica, in particola-re nel capitolo ventiduesimo, in cui il tema b - come nel capitolo2 del reno libro della Retoica - quello delle virni dello stile o dellinguaggio (ic€ec,X cipeq). Come virdr fondamentdi dell'e-spressione poetica vengono individuate sia la proprietl di esserechiara (ooQfr), sia quella di non essere banale (pi1 tanervn ). f"dtjerczzz si ortiene artraverso I'uso delle parole correnri (6r tdv

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n5ptolv 6vopcitalv), mentre evitare la banalit). E compito di uno

stile che si discosti da quello ordinario:

Invece E elevato e distinto dall'uso ordinario (L(al,l,cittouoatd t8tavnrdv) quel linguaggio che si giova di nomi peregrini([wrxoiQ; chiamo "peiegrini".la glossa, la metafora, I'allun-garnento e tutto crd che costituisce uno scarto rispeno all'usoIorr.nt. (nd,v td napa ro Kdptov) (Poet.22,1458a2-3).

In questo passo una delle qualitl dell'espressione Poetica si de-

finisce in modo chiaro in termini di scarto rispetto d linguaggio

i6rroor6v, ciob il linguaggio usato dall' i8tolteg, owero - come

fanno notare Roselyne Dupont-Roc e Jean Ldlot (1980: 358) -"l'homme du commun, sans distinction paniculibre, et de ce fait

plus ou moins fruste et mal digrossi". Il parlare i6rortr6v, con-

iin,r*no i due autori, E concepito come una lingua ridotta ai no-

mi correnti (rripra). La metafora t dunque considerata come

uno dei modi di stabilire uno scarto rispetto a questa lingua.Dunque la metafora si trova al centro di un paradosso che la

vede da un lato come fenomeno che crea uno "scarto" rispetto al-

la lingua corrente e, dall'altro, come una caratteristica pervasiva

del linguaggio di cui tutti si seryono. Io credo che questo para-

dosso sia tumavia piir apparente che reale e che si risolva Ponen-do nel giusto rilievo l'opposizione tra la dimensione relativa agli

utenti del linguaggio ("tutti usano metafore") e la dimensione re-

lativa ai cosiJdeiti livelli del linguaggio (iivello dell'espressione

poedca, livello dell'espressione oratoria). Aristotele definisce

piuttotto esattamente ciascuno dei livelli del linguaggio. [l livcllo

poetico b, come abbiamo visto, delimitato dalle caraneristiche

iella chiarezza (ocrQfr d.vor) e della non banalitl (prt tct-

n€lvriv), intesa come elevazione (oepvll KcLi b(al"l,cittoooatd i6troor6v) e questo E ottenuto aftraverso I'uso di forme qua-

li la metafora, la glossa e l'allungam ento (Poet , 22, I45b2l-23).PiL avanti nello stesso capitolo, parlando delle forme espressive

che contribuiscono a delimitare questo livello, fuistotele cita an-

cora I'allungarnento, insieme dl'a'ccorciamento e all'alterazione:

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ARISTOTEI.E E I,T METAFORA

Un procedimento che concorre grandemente a una espressio-ne che sia al tempo stesso chiar-a (oaQb$ e insolita (pil t-btoxtrov) sono gli allungamenti, gli accorciamenti e le dte-razioni delle parole, poichi lo scarro rispetto alla forma cor-rente dei nomi (ro df aE E26erv fl cbq ro xriprov), andan-do contro I'uso.(napo to. eicl0dg TrTv6p€vov), produrrlI'insolito (to Frn f8rolttrdv notrioet), mentre cib che re-sreri. comune con la forma abirude (6ra 6b rd rotvotveivto0 eiof6tog) assicurerl la chirrqzi' (Poet 22, 1458a 35;1458b 5).

In questo passo la nozione di i8tonrdv b collegara a quella di"Llso", "abito linguistico", "cid che b soliro" (eico0dq). Ecco dlorache il livello del linguaggio t6ranr6V viene definito da una sor-ta di norma srarisrica coincidenre con I'uso abituale G&artrdv= eiof6g). E la frequenza statistica dell'applicazione di un termi-ne a un concetto/oggetto che definisce il livello rispeno a cui sistabilisce lo scarto delle espressioni tipiche della poesia, compre-sa la metafora. In Aristotele la metafora sembra chiamare in cau-sa il soggetto in quanto urente del linguaggio che, nel suo amo diparoh, si discosta dalla norma statistica. Quindi tutti possono es-sere - e sono di famo - soggerri di questo tipo, nel momento incui si discostano dall'uso nel loro amo di parob.

Per questo la metafora non appaniene propriamente a un uni-co livello, in quanto si ritrova, oltre che nel linguaggio poetico,anche in quello oratorio, che b definiro a sua volta ddla pioprietidella chiarezza, come I'espressione poetica, ma a differenza d\quest'ultima, dal fatto di porsi in una sona di terreno intermediotra la banalir). e I'eccesso di elevazione (pf1te tcm€lvnv pqte ilfi€p rd ti(iropa, Ret.III,2, l4\4b 3-4). Cosl, mentre le glosse,i composti e i neologismi elevano il linguaggio d di sopra dellanormaliti e dunque appaiono adami solo all'espressione poetica,la metafora pub essere rirrovata anche a livello dell'espiessioneoratoria.

2.4 Dunque, la metafora non b esclusiva carateristica di nes-suno dei livelli del linguaggio - ni di quello poetico, ni di quel-lo oratorio, e si pub rirrovare anche in quello ordinario, in quan-to appunto "tutti si servono di metafore", ma t prerogativa del-

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I'uso dei soggetti nel momento che nei loro atti linguistici si di-scostano dalle abitudini statisdche dell'applicazione di un nomea un concetto/oggetto. In Aristotele, a differenza di Isocrate, lossuro b non rispetto a un livello di hngue, ma rispetto

^ un usa,

E fenomeno di parole, o, piL precisamente ancora, di enunciazio-ne, owero di assunzione soggettiva del linguaggio.t

3. Carattere cognitivo della metafora

3.1 Da unanalisi dei passi della Retoica appare fuori discus-sione che Aristotele aaribuisce alla metafora un chiaro caratterecognitivo. Abbiamo visto prima (Ret.lll,2,I404b 4-12) che I'ef-fetto di straniamento provosrto dalla metafora produce contem-poraneamente una sensazione di piacere; e proprio il principio dipiacere costituisce I'elemento di collegamento tra la metafora e laconoscenza. Per Aristotele il principio di piacere si trova alla basedell'istinto umano orientato a conoscere e la metafora E una del-le forme attraverso le quali la conoscenzasi reilizzz. Nel passo so-pra citato fuistotele diceva che "cib che provoca meraviglia E pia-cevole" (Ti6t, tib td 0aupcror6v). Quate parole riecheggianoun passo del capitolo 1l del primo libro della futoica, dove Ari-stotele dice che:

Imparare (to pavOtivstv) e ammirare (td Oatpci(av), inol-tre, sono per lo pitr cose piacevoli (t'I&i), perchi nill'ammira-zione t insito il desiderio di imparare -. di conseguenza cibche b oggeno di ammirazione (0cropctorov) lo b anche didesiderio - nell'imparare un riferirsi a una condizione natura-le" (Ret., I, l l, l37 la 30-137 lb 3).

fuistotele poi enuncia nella frase iniziale della Meufsica iIprincipio per cui il desiderio di apprendimento costituisce unacararteristica universalmente diffirsa nel genere umano ("Tirtti gliuomini sono ponati per narura alla conoscenza: ne t segno wi-dente la gioia che essi provano per le sensazioni", Met.,I, 1, 980aItgg.). Questo caraftere di universalitl viene ribadito anche nellaPoetice dove si precisa che la differenza di atteggiamento a que-

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ARISTOTELE E tA MEIAFORA

sto proposito tra i sapiend e i non sapiend b dovuta soltanto a unapartecipazione meno attiva e consapevole portata da questi ulti-mi nei confronti dei processi conoscitivi:

T e.ragione b anche questa, che t molto.gradito non solo ai sag-gi imparare, ma anche agli alri, solo che questi poco artendo-no (dl,i bm FpcrXt r6tvcovofrotv) all;impaiare (Poet., 4,r448b r2-r4).

3.2 In guesto quadro generale la metafora trova spazio inquanto offre una modalith particolare di raggiungimento dellaconoscenza, che b caratterizzata da due aspefti specifici.6 a) la fa-cilitl e b) la rapiditl di apprendimento.

(i) Il primo dei due aspetti E chiaramente dnunciato al capito-lo 10 della Rztoica

Il nostro primo principio sarl il seguente: imparare con facilidb naturalmente piacevole per rutd (td ydp pcrv0civervpq8ioq tl6t q66er ndorv-lott), le parole esprimono un si-gnificato (oqpaivet tt), e di conseguenza rune le parole chedeterminano in noi un apprendimenm (pdOqotv) sono le piirpiacevoli (r16tgtcr). Le glosse non sono comprensibili, le paro-le comuni (rttptct) le conosciamo gil; sono sopraftufto le me-tafore a produrre questo effetto (Rit.,lII,10, 1410b 9-13).

Ti'a tumi i tipi di parole, dunque, la metafora b quella che mag-giormente ci permette di acquisire una conoscenza nuova con fa-cilit)., in contrapposizione alle glosse il cui significato per defini-zione non t possibile coglierlo diremamente dall'analisi dell'e-spressione e dalle parole correnti (lmpcr) che ci permettono diraggiungere un significato, ma questo fa gii pane del patrimoniodelle nostre conoscenze e dunque non impariamo propriamenteniente. La metafora, come tuni i tipi di parole, permette di rag-giungere un significato che non E gi). preliminarmente noto e ciconsente di fare questo facilmente.

(ii) Molto imponante b anche il secondo dei due aspetci del ti-po di conoscenza che la metafora fornisce, e ciot la rapiditi. In-fami Aristotele, nei capitoli 10 e 1l del terzo libro della Fetoicd"parlando delle "espressioni brillanti, urbane, .argure' (croteio),

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mefte in relazione la metafora con I'entimema e spiega che ot-tengono il maggiore successo quelle forme espressive che produ-cono una conoscenza rapida (6ocr notel rlpiv pd0r1o[v rc[-

?(€idv, 1410b 2l).Laragione di questo successo consisre proprionel fatto che la distanza temporale che si frappone tra I'emissionedell'espressione e quello della produzione della conoscenza E lapiir ridotta possibile; e la situazione ideale sarebbe quella in cui idue eventi si verificassero simultaneamenre ("Sono popolari que-gli entimemi dai qudi nasce conoscenza nel momenro in cui ven-gono pronunciati [...] oppure quelli che si comprendono subitodopo", Ret.,lIl,10, 1410b 24-26).

La rapiditi dell'apprendimento b, del resto, favorita dalla con-cisione nella dimensione del significante e ddla srruftura antite-tica in cuivengono organizzati i concetti espressi:

laspecie dello stile in.questi esempi t la stessa, ma quanto piiressi sono espressi concisamente e in forma antitetica, tanto piirottengono_successo. Il motivo risiede nel fatto che I'apprendi-mento (ttctOttotg) E maggiore grazie alla conrrapposizione an-titetica ed t piir rapido a causa della concisione(Ra.,III, ll,r412b2r-2r.

La concisione b poi dla base del famo che la metafora risuha piirpiacevole della similitudine: quesr'uldma, che per fuistotele E atutti gli effetti una metafora (dunque ne b una specie, mentre latradizione successiva fui della similitudine il genere di cui la me-tafora b una specie, dicendo che la metafora b una similirudine ab-breviata), d infatti piir lunga perchd aggiunge la parola 'come":

la similitudiqe [...] b una metafora che differisce per I'aggiunradi una parola: di conseguenza E meno piacwole (ittoiliSri)perchi t piir lunga (Ret.,III,10, 1410b 17-18).

Per cid che riguarda il conceno di antitesi, Aristotele lo definiscenel capitolo 9 e conferma il suo collegamento sia con la facilit) diapprendimento, sia con il carattere di piacevolezzzdte ne deriva:

Antitetica b quella espressione nella quale in ciascun membroun termine B opposto all'altro, oppure uno stesso termine t

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collocato ai due opposti, ad csempio: "Giovarono a enuambi,sia a quelli che rimasero indietro, sia a quelli che li seguirono;agli uni infani procurarono piir terra di quanta essi avevano inpatria, agli dtri lasciarono in patria terra sufficiente". 'Rimanc-re' e teguire.l'piL' e 'sufficiente' sono contrari. [...J Q"otogense iii stile I piacevole (t'l6ets 6b loov ri totaritrli"e(iq) poichd i contrari sono assai facili da comprendere(lvolptpcrnatc) e ancor piir comprensibili quando sono postia contatto e anche perchi assomigliano a un sillogismo: infattila confutazione b un accostarnento di termini contrari (Ral.,III, 9, 1409b 3Gl4l0a 23).

3.3 Sulla relazione tra metafora ed entimema come forme di-scorsive che procurano piacere inducendo una nuova conoscenzaattraverso i meccanismi della concisione e della contrapposizioneinsiste giustamenteAndri taks (1994: 300 e sgg.), sottolineandocome il successo di un buon entimema sia in generale identico alsuccesso che definisce una buona metafora. Per fuistotele, infar-ti, i discorsi entimematici sono i piil applauditi (Rer., 1,2,1356b22-25) e affinchi un uditore applaudisca un entimema deve esse-re messo in condizione di anticipare una conclusionc che non siatroppo banale; per questo gli entimemi confutativi, basati sullacontrapposizione, riscuotono pitr successo, in quanto I'antitesiprocura piacere e ha potenzialitl cognitive:

Gli endmemi confutativi riscuotono piir successo di quelli di-mosrativi in quanto l'entimema confutativo consiste in unostretto accostamento di opposti, e quando sono I'uno acqlntoall'alro essi per I'ascoltatore risulano piir evidenti. Tla ruai glientimemi, sia confutativi sia dimostrativi, vengono applauditiin modo particolare quelli che gli ascoltatori riescono a prsve-dere senza che siano superficidi (nell'anticipare le condusioniessi si compiacciono di se stessi) e quelli per comprendere iquali essi devono attendere tanto quirnto basta perchC sianopronunciati (Ret., II, 23, 1400b 25-33).

La tensione intellemuale che provoca un buon entimema e unaforma particolare del piacere che provano tutti gli uomini a co-noscere. E su questo punto che I'entimema raggiunge la metafo-ra. Quest'ultima, infatti, d un mezzo di anivazione delle nostre fa-

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colti cognitive. lal<s insiste sul fano che propriamente parlandola metafora non si configura come un reale strumento di cono-scenza, se non per il destinatario (1,994:286 e 291). Tirttavia ri-conosce anche che la metafora, dal momento che ha la forma diun giudizio di identiti, pub sembrare piir vicina dello stesso enti-mema a una autentica forma di conoscenza.

E infatti in due celebri passi, rispettivamente della Poetica edelle Retoica che Aristotele artribuisce al produttore di meraforela capaciti, eminentemente filosofica, di individuare similaritl edi identificare cose apparenremenre diverse tra di loro:

E di grande importanza servirsi convenientemente di ciascunadelle forme dette, delle parole composre, delle glosse, ma mol-to piir importante E la capacitl di creare metafore. Questo sol-tanto non si pud prendere da altri, ma t segno di talento natu-rale (euQuiaQ: il creare belle merafore equivale infami al per-cepire con la mente le similaritl (td Spotov Oecopetv)'(Poet., 22, 1459a 4-8).

Le metafore, come si t detto in precedenza, devono essere trat-te da oggetti familiari ma non sconrari, come anche in filosofiab segno di unamente perspicace osservare,le som^iqlian'f in og-getd molto. distanti (to opotov Koi av nol,t 6r626ouot0eorpetv euoto26ot): Archira, per esempio, disse che un arbi-tro e un altare sono la stessa cosa, perchd a entrambi si rifugiachi ha subito ingiustizia (Ret., lIl, | 1, I4l2a 1 1- 1 5).

In particolare nel secondo di questi due passi, anche se non sidI l'enunciato di Archita come un esempio esplicito di metafora,ma piuttosto di enunciaro teorico o filosofico generale,T tuttaviaviene messo in parallelo il modo di procedere in filosofia (coglie-re le analogie) e il procedimento della creazione di metafore inambito retorico, entrambi orientati verso I'identificazione di ter-mini apparentemente differenti.

4. Concaione comparativa della metafora e similaritl.

4.1 Nel noto saggio di Max Black (1962) si faceva una distin-zione tra tre tipi di concezioni della merafora (articolando un po'

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ARISTOTE]"E E IA METAFOM

piir finemente I'opposizione piir corrente tra una teoria classica euna contemporanea): (i) la concezione sostitutiva; (ii) la conce-zione comparadya; (iii) la concezione interamiva.

4.1.1 il primo tipo, definito come "concezione sostirutiva del-la metafora' (1962: tr. it. 49), sostanzidmente prevede che "l'usometaforico di uriespressione consista nell'uso di questa espressio-ne in modo diverso dd suo senso proprio o normale, in contestiche permenono che il senso improprio o anormale sia individua-to o trasformato in modo adeguato" (ibidem). Black sottolineache concepire in questi termini la metafora equivale a farne unenigma, a creare una situazione in cui "capire una metafora b co-me decifrare un codice o risolvere un indovinello" (1962: tr. it.50). Le ragioni che Black individua perchi un soggetto che pro-duce metafore dovrebbe porre al proprio destinatario un enigmasono sostanzialmente due. La prima E da identificare nel famo chela metafora pub colmare un vuoto lessicale, e dunque pud confi-gurarsi com€ una catacresi. La seconda ragione, invece, si appellaa motiv?zioni puramente stilistiche:

Ci viene detto che l'espressione metaforica (nel suo uso lemera-le) pud riferirsi a un ogg€tto pii concreto di quanto non fareb-be il suo equivalente leaerale e questo dovrebbe fu piacere dlettore [...]. Ancora, si suppone che il lettore provi piacere nelrisolvere i problemi - o si compiaccia dell'abilitl dell'autoreche un po' nasconde e un po' rivela il significato. Oppure lemetafore procurerebbero uno shock di "piacevole sorpresa"(Black, 1962:tr. it. 5l).

Tirtti i temi che Black evoca e che non attribuisce a nessun auto-re specifico, ricavandoli piuttosto da una tradizione vulgaa, sonopresenti in Aristotele e sicuramente nei suoi scritd hanno origine.

(i) Innanzituao il fano che la metafora si configuri come unaspecie di enigma, tema affrontato nella Retoic4 al capitolo 2 delterzo libro (in connessione, tra I'altro, proprio con il tema dellacatacresi):8

Inoltre, quando si attribuisce un nome a cose che ne sonoprive, non bisogna ricavare la metafora da lontano, ma da og-

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GIOVANNI MANETTI

eetti dello stesso genere e della stessa specie' e cib che viene de-

i"-i""," d.',r. ."rr.r. evidentemente-dello stesso genere' Per

...*pl"'_".tfamosoenigma,...vidiunuomochecolfuocoin-collava bronzo su un uOlio", I'azione non ha nome, ma Si trat-

i^ ir, .r,rr"-bi i casi di una applicazione' ed L per questo che

fr. afi"i., ,incollamento' I'ipplicazione della ventosa. Nel

complesso, t possibile ricavare mecafore convenienti da buoni

e.rier.rir le metaFore sono infarti una sorta di enigma (Ret', llI,

z. iqosa34-r4o5b 5).

(ii) In secondo luogo l'argomento secondo cui la metafora

supplisce a una carenza lessicale, argomento affrontato, oltre chen.i p"r.o citato, anche nella Poeticaal capitolo 21, subito dopo lapresentazione del tipo di metafora'per analogia':

In alcuni casi non esiste una parola da porre in analogia, ma lametafora si potd fare ugualmente: per esempio, spargere il se-me si dice seminare, mentre non esiste una parola per definirela diffirsione dei raggi solari; quest'azione del sole b tuttavia inrapporto di analogia con lo spargimento del seme, e percid sidice "seminando la fiamma divina" (Poet.,2l, 1457b 26-29).

(iii) In terzo luogo anche il tema della'sorpresa' E presente nel-la Retoica al capitolo 1l (e su questo tema torneremo pit avan-ri):

l: maggior parte delle espressioni brillanti (crotelo) derivanoddla metafora e da una sorpresa ingannevole (npooe(oncr-tdv), perchi per I'ascolmtore diventa piir widente il farto d'a-ver imparato qualcosa quando la conclusione va contro le sueaspettative, ed t come se la sua anima dicesse: "CorriE vero!Ma io sbagliavo" (Ret.,III, 11, I4l2a 19-22).

4.l.2Tuttavia la concezione che Black arribuisce ad Aristote-le non b questa, ma quella del secondo tipo, cioE la "concezionecomparativa" (Black, 1962: tr.it. 53 e nota 15),e che "vede nellametafora una similitudine condensata o ellittica". Ma va anchedetto che per Black questa seconda concezione "b un caso parti-colare della'concezione sostitutivi" (ibidem).

Black individua il principde difetto di questa concezione nel

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ARISTOTELE E I.A METAFORA

fano che essa presuppone I'idea che le somiglianze siano oggeai'vamente date, mentre per Black la metafora adempie d suo com-pito proprio nel "creare" similaritl. E cib trova adeguata espres-sione teorica nel teno tipo di concezione, la "concezione interat-tiva", la cui formulazione generale t cosl definita:

Per dirlo nei termini piir semplici, quando adoperiamo una me-tafora abbiamo due pensieri di cose differenti contemPoranea-mente anivi e sorretti da una singola parola o frase, il cui sigpi-ficato risulta della loro interazione" (Black, 1962: tr. it. 55).

4.2 A parte i tentativi (che abbiamo gih segnalato nel primoparagrafo di guesto testo) di atribuire ad Aristotele una conce-zione "creativa", della metafora, che sarebbe dunque classificabi'le come assimilabile al terzo tipo previsto da Black, c't una ceftatendenza prevalente ad attribuire ad Aristotele una concezionecomparativa. E quello che fa (oltre a Black) anche Searle (1979:

90 e 95) e, sulla sua scorta, per quanto in polemica con alcune suetesi, Alexandridis-Corpis ( I 983).

In effeni molti passi confermano la presenza in fuistotele diuna teoria di tipo soprattutto comp:uativo.l0 Black vedeva comecaratteristica peculiare della concezione comparativa il fatto diconcepire la metafora come una similitudine ellimica. Tiraavianon b questa la caratteristica che effemivamente awalora I'inter-pretazione della teoria aristotelica come un caso di concezionecomparadva, in quanto per Aristotele la relazione tra meafora esirniliudine E invenita rispetto a quella che si affermerl nella re-torica romana e da ll nella tradizione successiva: per fuistotele bla similitudine a essere una specie di metafora e non la metaforauna specie (ellimica, appunto) di similirudine ("Anche la simili-tudine b una forma di metafora" , Ret., 4, L406b 20).

Cib che fa della teoria aristotelica una teoria comparativa eI'insistenza sulla relazione specie-genere nell'interpretazione del-l'espressione metaforica:

Sono sopramrno le metafore a produrre questo effetto: quan-do definisce "p"gli"" la vecchiaia, il poeta crea in noi apprendi-mento e conoscenza attraverso il genere (ttct0qotv rcrt

4r

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GIOVANNI MANETTI

Tvdotv 6ra tod 16vooQ, poichi entrambe le cose sono sfio-rite (Rct, 10, 1410b l3-15).

Il richiamo a una struttura caregoriale organizzata attraversouna relazione tra due specie che sono assimilabili all'interno diuno stesso genere costituisce per Aristotele il meccanismo espli-cativo della metafora. Esso b presente anche nel passo gil citatonelle pagine precedend in cui si ripona il detto di Archia secon-do cui "un arbitro e un altare sono la stessa cosa, perchC a en-trambi si rifugia chi ha subito ingiustizia" (Ret.,III,ll,I4l2a.14-15). Ma la stessa struttura b presente anche quando Aristoteleparla del meccanismo di nominare cose che non hanno nome edice che "non bisogna ricavare la metafora da lontano, ma da og-getti dello stesso genere e della sressa specie (ir tciv oufyevdvrcri 6poet6cdv petoQ6petv .im, td crvolvupc cbvopcr-op6vcoq), e cid che viene denominato deve essere evidenrementedello stesso genere (ouyyeveq) " (Ret., III, 2 l4}5a 35-37).

Infine cid che fa della teoria di Aristotele un c:ro di concezio-ne compa.rativa i il ruolo asseganto alla nozione di similariri,llcome viene esplicitamente enunciaro nei Topici e nel celebre pas-so del capitolo 22 della Poetica,

La metafora ci fa conoscere cid che indica per mcnzo della so-miglianza: tutti quelli che usano metafore operano infattiques[o trasferimento sulla base di qualche _ somiglianza(norfl rcoq Tvoprpov To oqpmvolrEvov 0r0, T.Ilv o-por6fllro, ncivteq ydp ot tlsrcr,Q6povr€q KCI,rd flvd 6-por6xqro percr06pouol) (Topici, 1396 32-140a 11).

Il fare buoni traslati t infani saper vedere cid che t somieliante(et petcrQep€rv rd td 6porov Oerop€iv ioctv) (Po2t.,22,r459a7-8).

4.3Tuttaviaper Searle ogni dpo di teoria comparadva, di cuiquella di Aristotele viene considerata una sorta di paradigma, tdestinata al fallimento. La linea argomentativa di Searle E che leteorie comparative in genera-le presenrano tre difetti fondamenta-li per potersi considerare delle teorie formali.

(i) Il principale di questi difetd E che mancano di distinguere

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ARISTOTELE E Ir4. METAFOM

tra il fatto per cui la similariti pub giocare un ruolo nella com-prensione della metafora (cioE pud costituire il principio di infe-ren?a, o costituire un gradino nel processo di comprensione) - as-serzione che searle ritiene giustificata per molti casi di metafore-e il fatto che il giudizio di similariri sia parte del significato, e diconseguenza delle condizioni di veriti, dell'asserzione meraforica(fano che Searle ririene ingiustificato). In altri termini, la simila-ritl, che-t il principio alla base delle teorie comparative, per Sear-le ha a che fare con il modo in cui un enunciatore produce - e unenunciatario comprende - una metafora, ma non ha niente a chefare con il significato in si della merafora. Cosl, fare una asser-zione metaforica non t di per sC fare una asserzione di similariti,come^invece sostengono cofgro che propongono teorie compara-tive (Searle, 1979:90-92).12 Alri difeai artribuid da Searli alleteorie comparative sono i seguenti:

(i0 Vi sono merafore in cui non c'd alcuna similariri letteralesoggiacente in grado di spiegare il significato dell'enunciaro me-taforico.

(iii) Anche se la teoria della metafora viene costruita come teo-ria dell'interpretazione, anzichC del significato, il ricorso d con-cemo di similarith non t suficiente per metterci in grado di deci-dere qude specifica similariti. tra due elementi paragonati sia quel-la intesa dal produttore della metafora, dal momenio che due ele-menti possono essere simili sotto diversi rispetti. Quello che Sear-le ritiene invece che si possa salvare dalla concezione comparativaI che essa viene norrnalmente costruita come una serie di strategieper produrre e comprendere gli enunciati metaforici facendo ri-corso alla nozione di similarid. (Searle, 1979: I0l-2).

Dd canto suo Searle costruisce la teoria della metafora par-tendo da una distinzione fondamenrale tra il signifi."to.rpr.rroddle parole e dalla frase ("word, or senrence m-eaning"), da unaparte, € il significaro inteso dal parlante, owero il significato dienunciato ("speaker's umerance meaning"). Il significito merafo-rico B sempre il secondo, che coincide anche con le intenzionidell'enunciatore (Searle, 1979:84). A questa distinzione Searleaggiynge tre straregie che permetrerebbero di spiegare il modo incui il destinatario pud comprendere Ie intenzioni dell'enunciaro-re, guando questo produce una metafora:

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GIOVANNI MANETTI

(i) Nel caso in cui un enunciato sia difettoso,l3 se preso lette-ralmente, occorre cercare un significato di enunciato ('S e R') di-verso da quello di frase ('S e P').

(ii) Quando si sente 'S e P', aI fine di trovare dei valori possi-bili di R, si cerchino dei modi per cui S potrebbe essere come B eal fine di scoprire sotto quale rispetto S potrebbe essere come B sicerchino dei tratti sdienti, ben conosciuti, e distintivi degli og-getti P.

(iii) Si ritorni aI termine S e si vedano, tra la moltitudine dicandidati ai valori di R, quelle che sono delle proprietl probabilio anche possibili di S.

Se ci soffermiamo sulla strategia (ii) possiamo vedere che Sear-le domanda all'uditore di fue sostanzialmente un paragone. Que-sto permette di dire giustificatamente ad Alexandridis-Corpis(1983: 6) che Searle elabora una teoria comparativa della me-tafora dal punto di vista dell'uditore e cerc:l poi di specificare, conla strategia (iii), i vdori possibili di R Questo ulteriore passo bprecisamente cib che, secondo Searle, non viene famo da Aristo-tele.

Nel tentativo di difendere la teoria aristotelica dagli attacchi diSearle, Alexandridis-Corpis (;bide?n), sostien€ che Aristotele nonlo fa cosl esplicitamente, ma, laddove Searle si occupa di circo-scrivere il dominio 'S e R', fuistotele si occupa di circoscrivere ildominio 'specie-genere'. In dtre parole, di fronte a uriespressio-ne metaforica Aristotele chiederebbe all'ascoltatore di individua-re prima la specie a cui appaniene il soggetto (S) su cui b 6tta I'af-fermazione metaforica e poi la specie a cui appartiene I'oggettonominato con I'espressione metaforica (P); infine di individuareil genere (R) in cui entrambe le specie sono incluse

4.4 Ritengo che non si possa richiedere ad Aristotele di soddi-sfare, parlando della metafora, i requisiti formdi prwisti da Sear-le per una teoria della metafora che non abbia i difeai che egli ri-

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ARISTOTELE E l.rc. METAFOM

conosce alla impostazione comparaciva. Thnavia le considerazio-ni di Alexandridis-Coqpis sono interessanti per approfondirequale sia il procedimento inferenziale che Aristotele richiede a unsoggetto posto di fronte a una metafora. Un passo di Aristotele,non utilizzato da Alexandridis-Corpis, sembra confermare al me-glio I'ipotesi che Aristotele ha in mente una strategia di ricercadella variabile R appropriata e non esplicitamente data nel testomanifesto. Si tratta del passo in cui Aristotele mette a confrontola metafora con la similitudine:

la similidudine [...] E una metafora che differisce per I'ag-giunta di una parola: di conseguenza b meno piacevole perchCts pitr,lunga; essa inoltre. non.dice che questo.E quello (96 i"eaTet 6q ro0ro 6retvo), e di conseguenzala mente (Vuf{)non compie alcuna ricerca a questo proposito (ot& (qctto0to) (Ret., IIl, 10, 1410b 17 -20).

Nel passo b chiaramente detto che nel caso della ricezione del-la metafora si innesca un processo mentde di ricerca, menffe que-sto non ayviene nel caso della similitudine. La ragione che Aristo-tele adduce E che nel caso della similitudine non si ha una asser-zione di idendtl (ori l.ept <bg to0ro Lretvo), mentre lo si ha nelcaso della metafora: dunque nel c:so della metafora si innesca unprocedimento di ricerca del 'rispetto' sotto il quale S e B ciot i duetermini identificati, possano essere effettivamente asseriti comeidentifiq.bili. Il che mi pare equivalga proprio alla ricerca di unavariabile & che t appunto il significato metaforico. In alri passiquesta variabile viene individuata nel genere al quale entrambi itermini idendficati possono appanenere; in questo mi sembra cheAristotele, non facendo alcuna precisazione, permetta una varietlpiir vicina a quella "varieti di principi secondo cui I'enunciazionedi P pud richiamare alla mente il significato R nei modi che sonopeculiari alla metafora" prwista da Searle (1979:104 e sgg.).

5. IA classificazione della metafora nelfa. Poetica

La suucura categoriale, organizzata in termini di relazionispecie-genere, emerge in tuma la sua chiarezze nella definizione

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GIOVANNI MANETTI

formale che Aristotele fornisce della metafora al capitolo 21 del-

la Poetica Questa struttura di luogo a una classificazione della

metafora in quattro tipi. Ma preliminarmente Aristotele, all'ini-

zio del capiroio 2l della Poetica(L457b I e s'g.), innanzituto ef-

fettua una classificazione dei tipi di nome (6v6pcltoq [ib et6€)

dal punto di vista della creativiti che essi esprimono; l'elenco b il

seguente: "proprio' (rr5ptov), ciob quello di cui si servono tutti;

"glossa" (Tl,cDttcr), quello di cui si seryono alcuni; "abbellimen-

,i" 1r6opo(); "neologismo" (fi€fiotepivov); "parola dlungata"(bnertetap6vov); "accorciata" (rlQqp4pevov); "dterata'(!€,el"l,cryp6vov) ; "metafora" (petaQopti). Quest'ultima vienecosl definita:

I: metafora d l'applicazione (bctQopti) di un nome estraneodl'oggetrc, trasferito o dal genere dla specie, o dalla specie al

Benere o da specie a specie o per analogia (rcta td crvdi,o-yov) (Poa., 2l, 1457b 6-9).

(i) Il caso del trasferimento dal genere dla specie b esemplifi-cato cosl:

qui sta ferma ( botqxev) la mia nave (Poet,2l, 1457b L0).

(Odissea"I 185), dove'ttare ferma" (botqre, Eotcivur) espri-me il genere, trasferito . al posto del verbo 'essere ormeggiata"(oppeiv) che esprime la specie e che sarebbe proprio.

(ii) Il caso del trasferimento dalla specie d genere E esemplifi-cato come:

Odisseo ha compiuto diecimila (puprcr) imprese (Poa.,2l,r457b rr-r2).

(Iliadell272) dove "diecimila" esprime la specie che b statatrasferito d posto di "molte" (nol,l,ci). E, st"ro frequentementeosservator4 che i primi due tipi di metafora proposti da Aristote-le corrispondono al duplice rapporto logico (generalizzante e par-

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ARISTOTELE E I.,4, METAFOM

dcolarizzante, rispettivamente) che la tradizione successiva attri-buirl. piuttosto alla sineddoche.

(iii) Il caso del trasferimento da specie a specie t esemplificatocome:

avendo attinto (<iptiocq) la vita col bronzo (Poet,2l, 1457br3-r4).

(dai l{athannai di Empedocle,3l B 138 D.K.), dove "d,[c[-prio" significa attingere acqua, usato qui a significare il "tagliare","recidere" i legami tra il corpo e l'anima e, reciprocamente, come

avendo reciso (cporv) col bronzo affilato (Poa.,2l,1457b l4).

(di l{atharrnaldi Empedocle, 31 B 143), dove "T6pv{D", chesignifica "tagliare", assume in questo contesto il significato di "at-tingere" acqua, tagliando in due il flusso del liquido con un reci-piente (Empedocle sta descrivendo un rituale purificatorio, effec-tuato con l'acqua di cinque diverse sorgenti).

In relazione al terzo tipo, tanto l,allot (1988: 51), quanto Eco(1984:152) somolineano che il movimento interpretativo vienecompiuto in due tappe, salendo prima dalla specie aI genere e poiridiscendendo dal genere a un'altra specie compresa somo di esso,mentre nei primi due tipi il percorso di restituzione del senso sicompie artraverso una sola tappa (o dalla specie al genere o dal ge-nere dla specie). Questo duplice movimento fa sl che il terzo ti-po venga generdmente aweftito come piir genuinamente unametafora e che si sia spesso insistito sulla omologia tra il terzo ti-po e il quarto, la metafora per analogia

(iv) Il caso della metafora per analogia d descritto in modomolto denagliato:

Parlo di analogia (crvfi,oyov) quando il secondo termine staal primo come il quarto sta al terzo: si dir)L dunque il quarto inluogo del secondo o il secondo in luogo delquano. Talvolta si

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GIOVANNI MANETTI

aggiunge, al posto della parola propria, cid a cui essa si riferi-sce. Per esempio la coppa b in rapporto a Dioniso cid che loscudo t per Ares: si potr). dunque definire la coppa "scudo diAres" e lo scudo "coppa di Dioniso". Cosl pure la vecchiaia staalla vita come la sera aI giorno: e dunque si dirl che la sera b lavecchiaia del giorno oppure (come Empedocle) che la vec-chiaia i la sera della vita o il crepuscolo della vira (Poet., 2I,r457b 17-22).

La struttura che ne risulta t quella di una proponione (Dio-niso : coppa=Ares : scudo; vita : vecchiaia=giorno : sera ) e questoquarto tipo di metafora viene anche definito spesso come "pro-porzionale".

A proposito del rapporto proporzionale, Lo Piparo (2003:l3l-32) ha recentemente messo in evidenza come esso derivi pri-mariamente dall'ambito matematico e in particolare dalla teoriadi Eudosso: "Eudosso, matematico contemporaneo di Platone,mise a punto uno strumento teorico estremamente potente checonsente di mostrare come, in molti c*si, grendezze variabili e/oappartenenti a generi differenti mantengano una invarianza dirapporto d di sotto della variabiliti superficiale. E il cosiddetto'rapporto proporzionale' (dvcil"olov): a determinate condizioniil rapporto a/b B uguale aI rapporto cid (nella formulazione sco-lasdca: a:b=c:d)" .

6. I tre tipi di metafora nella Retorica

6.1 Se dalla Poeticaci sposdamo d terzo libro della Retoica"dove viene affrontato il tema della l,elrqr5 e, all'interno di que-sto, viene ripresentato il problema della metafora, ci stupiamo dinon ritrovare esplicitamente la classificazione quadripanita. Masi tratta di uriassenza apparente, come ha messo ben in luce Gui-do Morpurgo-Thgliabue (1967:245 e sgg.) con un fondamenta-le srudio sulla linguistica e stilistica di Aristotele. Morpurgo-Th-gliabue mostra con argomenti convincenti che nei capitoli 10 e11 del terzo libro della Retoica sono chiaramente, per quanto inmodo non immediatamente apparente, presentati tre dei quattro

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ARISTOTELE E IA META.FORA

tipi di metafora che componevano la tabella classificatoria espo-sta nel capitolo 2I della, Poetica. Del resto il rapporto di dipen-denza rispetto a quella classificazione, viene confermato da unduplice esplicito riferimento (Rct., III, 2, 1405a.5-6; III, 10,141la 1). Il tema dei capitoli l0 e 11 del terzo libro della Retoi-cd tretta le fonti degli ooteic, cioE le "espressioni brilland",l6fonti che si idendficano in massima parte con la dimensione me-taforica appunto del linguaggio.

Gli tiot,eta sono metafore raffinate e la differenza tra. i. tra-slato che b un cioteiov e il semplice traslato pub essere conside-rato equivalente a quella che c'E tra metafora viva e metaforaspenta. Di fatto la trattazione degli asteia costituisce una andisicompleta dei processi di metaforizzezione all'interno dell'espres-sione oratoria che viene condensata in un elenco non definitorio,maorganizzato come serie di esempi e di caratteristiche (famo chenon rende I'esposizione sempre precisa e limpida, e un tipo pubfondersi facilmente con un dtro).

Lelenco che troviamo nei capitoli 10 e 11 b esposto nell'or-dine inverso rispetto a quello della classificazione presente nellaPoetica. La della metafora veniva esaminato il contenuto logico,secondo la sffuttura di relazione tra specie e generi. Nella Rrra-ica Arixotele ne precisa la forma linguistica e stilistica. Mapoich€ l'<iotiiov come metafora acuta e brillante ha comeproprio contenuto pur sempre un rapporto logico, I'ordine Edecrescente rispemo alla perfezione logico-argomentativa, inmaniera da far risaltare se essa t piir o rneno adeguata alla 6tti-votC[.

(i) Lelenco inizia dunque da quelle metafore che vengono de-fi nite da Morpurgo-Thgliabue (I9 67 : 252) come "metafore-con-cetto" (Rer., III, 10, 1410b 6-t4llb 2l) - Si cratta di metafore checorrispondono al tipo collocato al quarto posto nella classifica-zione della Poeticq il tipo cio8 piir perfetto, che era appunto quel-lo della relazione di analogia. La loro caratteristica b quella di ave-re struttura sintattica, ciots di essere organizzate come un periodosuddiviso nelle sue parri (7t€pio6oq 6v roll"otg), spesso struttu-rato secondo corrispondenze antitetiche. Lantitesi b del resto unadelle carameristiche fondamentali che awicinano questo tipo dimetafore al sillogismo confutatorio.lT Tfa i numerosi esempi un

Il

I

I

49

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CIOVANNI MANETTI

caso di antitesi esplicitamente riponato da Aristotele come tale ela citazione daL Filippo di Isocrate: "Considerando la pace comu-ne agli altri come una guerra conrro i propri inreressi" (Rer., III,10, 1410b 29-31), in cui 'pace'e 'guerra'sono termini contrap-posti; o ancora: "Pericle disse che la gioventil perita in guerra erascomparsa dalla citti come se qualcuno avesse privato I'anno del-la primavera" (Rtt.,III, 10, I4Ila 2-4), in cui risalta anche lastruttura analogica della metafora.

(ii) Lelenco prosegue con l'analisi delle metafore che sono de-finibili come "metafore-immagine" (Ret., III, 11, 141lb22-l4l2a 18), corrispondenti aI terzo tipo (a cui b soggiacente larelazione logica di sostituzione da specie a specie). la loro strut-tura non t sintattica, ma puramente lessicale e il loro profilo tquello di essere estremamente icastiche, di creare un effemo visi-vo e di produrre una presenza immediata. Gli esempi sono quasirutti omerici, come "la punta penetrb avida nel petto" (Ret.,IIl,11,I4l2a2-3, da lliad., XV, 541) o anche "gobba, spumeggian-re l'onda s'abbatte ora da un lato ora dall'altro" (l4l2a 9, daIliad.,Xlll,799), detto delle onde del mare, alle qudi sono para-gonate le schiere dei guerrieri durante la battaglia. Le metafore diquesto tipo sono caretterizzate da due proprieti fondamentali(sulle quali torneremo subito dopo): 1) la cararteristica di "porredavand agli occhi" (npo opptiTov Troreiv) le cose descritt- e 2)il vigore (Ev6pTera).

(iii) Infine I'elenco si conclude con un insieme assai eteroge-neo di formazioni linguistiche (Rrr., III, ll, I4l2a.l9-l4l3b2), che Aristotele insiste nel ricondurre sorro il procedimentometaforico, sorrefte dal secondo rapporto logico, quello in cui laspecie viene a sostituire il genere: Morpurgo-Thgliabue le deno-mina "metafore verbali" (1967:296 e Zt7).ln quesre formazio-ni lessicali il significato metaforico si realizza attraverso equivociargud, doppi sensi tipici degli enigmi, giochi di parole, parados-si, cabmbours scambi di lemera, omonimie: questi meccanismidanno luogo a quattro sortoclassi di questo tipo di crotetcl' 1)bamute di spirito; 2) aforismi per equivoco; 3) proverbi; 4) iper-boli. Nel capitolo 21 della Poetical'esempio riportato per la rela-zione specie-genere era rappresentato proprio da una iperbolepiuttosto consunta e anche nella, Retorica Aristorele insiste nel

50

ARISTOTELE E IA METAFOM

mosuare come spesso I'inganno arguto dell'aspettativa si redizzi

amraverso l'iperbole (Ret.,lll, Ll, l4l3a 22-1413b 2), che si

configura appunto come la sostituzione di una specie d genere,

h quJe risulta volutamente sproporzionata rispetto a quest'uld-

mo. II successo di queste formazioni linguistiche consiste tutto

nella sorpresa ingannevole che Provocano (br to0 fipooe€cr-

fiolrdv, Ret, lIl, l l, l4l2a 2O). Tra' i numerosi esempi posia-

mo riponare i due seguenti:

"Camminava e av€\r'a ai piedi... i geloni", mentre I'ascoltatore siaspeftava che dicesse "i cafzari" (Rct , lII, 11 , l4l2a 3l-32) -

Dire ad esempio agli Ateniesi che il "primaro" (uplriv) sulmare non fu "il principio' (<ip1t1v) dei mali, perchC ne trasse-ro giovamento, oppure, come dice Isocrate, che-per la cittl "il

primato" fu "il principio" dei mdi. In entrambi i casi vienedetto quel che non ci si aspetterebbe, e viene riconosciuto pervero (rRrt,III, 11, l4l2b4-8).

6.2 Nell'elenco della Retoica non troviamo invece una de-

scrizione delle metafore corrispondenti al primo ripo delle Poeti-

14 quelle in cui il genere viene a sostituire la specie: la ragione E

che questo quarto tipo di raPPorto, Per quanto logicamente ri-

speaabile, b stilisticamente banalizzante e dunque non pub avere

una collocazione all'interno dei procedimenti di produzione de-

gli aoteia.

7 . lJntseconda classificazione della metafora

7.1 Pub essere interessante osservare che la classificazione del-

la metafora nei quamro dpi basati suila fenomenologia di relazio-

ni tra specie e genere nella tradizione successiva ad Aristotele a

mano " -"tto

tende ad affievolirsi per fr emergere una seconda,

diversa classificazione, basata su un altro tipo di relazioni, che ar-

ticola I'opposizione categoriale ffa "animato" e'inanimato". La

prima testimonianza di questa seconda classificazione si trova in

5I

Page 14: Aristotele e la metafora. Conoscenza, similarità, azione, enunciazione

GIOVANNI MANETII

un contesto polemico risperto alla teoria aristotelica, nelTe Rheto-ica di Filodemo:

Analogamente, nell'impiego [delle metafore] non ci sarl di al-cuna udlitl sapere cib che t comunque necessario fae quandoricorriamo a metafore, e cioi che bisoena oDerare il traslato daoggetti animad (ipWfolv) a inanimati (cirfruXa) o d conrra-rio, oppure da animati ad animati e analogamente dal generealla specic o al genere oppure ddla specie al genere o alla spe-cie. Ma in che modo si deve reglizzarc il traslaro da ciascuno diquesti elementi, questo non ci viene insegnato (PHerc.100711673 =vol. I, p.172).

ln questo passo b riportata sia la classifiezione per specie e gene-ri (che viene completaa con il c:so di trasferimento "da genere a ge-nere" che in fuistotele non era presente), sia la secon& dassifica-zione che anicola le relazioni di sostituzione tra "animato" c "inani-mato". In seguito su questa seconda linea di classifie"ione tomanomolti dtri autori, come Quindliano,ls Ermogene,le Plutarco,2oTi'ifone,zr Donato,z Gregorio di Corinto,23Isidoro di Siviglia.2a

7.2 Ma da dove deriva la seconda classificazione che ruota in-torno al concetto di "animato"?

Sicuramente dal capitolo 11 del III libro della Retoica in cuifuistotele illustra il criterio rilevato in Omero per il successo diuna efficace rappresentazione poetica: quello di servirsi di me-tafore per rendere 'animate le cose inanimate" (Rtt., lll, ll,141lb 32-33). Contemporanearnente, rendere animate le coseinanimate t un effeno che dipende da due strategie, in q"al6hgmodo gerarchizzate tra di loro. Innanzitutto - e in linea diretta -dipende da una strategia che Aristotele identifica con il concettodi bv€gyaav fiolttv ciot "esprimere I'azione" o "rappresenrarele cose in azione" (Eveplo0vts oqpcdvflv):

Omero si serve spesso di questo, rendendo animate le cose ina-nimate grazie alle metafoie (tcr riVuts EpWXa noteiv 6tdcfrg pet-c4opdQ, . in tutte ha successo perchi esprime I'azio-ne (tr$ €v6gyercrv nomtv) come per esempio nelle seguentiimmagini: "per la pianura rorolava il masso spietato" e "il dar-

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AIUSTOTFI F E IA MET:ATORA

do spiccd il volo" e "desiderando volare', e "si piantavano alsuolo agognando di assaggiare la carne" e "bramosa I'asta attra-versb il peito". In tutti questi casi gli oggetti sembrano vivi (b-vepTo0vTc[) perchC sono rappresentati come se fossero ani-mati (6pr1ru26ct): essere sciagurati, essere bramosi e tuco il re-sto esprimono l'azione (lrl6pTeta). Il poeta ha amribuito que-ste qualitir per mezo di metafore costruite sull'analogia; peresempio il masso sa a Sisifo come lo spietato alla sua vinima.Omero octiene lo stesso effetto anche nelle sue famose simili-tudini che riguardano cose inanimate: "gobba, spumeggianteI'onda s'abbatte ora da un lato ora dall'altro". Qr'ti egli descrivetutto come se fosse in movimento (nvoripeva) e pieno di vi-ta ((6vtcr), perchi il movimento i az ione viva (r1 I iv€gyerarivqorg) (Rer.,III, 11, 1411b 3l-l4l2al0).

7.3 fuistotele illustra anche la differenza tra una metafora cheesprime l'iv€plercr e una metafora che invece non la esprime:

dire che un uomo di vdore (aycr06v) t "tetragono" (te-

lPciTtovov) b una metafora (entrambe le cose sono infami per-feme), ma non esprime I'azione (or) orlpoiva iv6gyetav);invece dire di uno che "E nell'etl che fiorisce' (av0o0oavE26ovtoq miv arpriv) esprime I'azione (6v6gyeta), e pure'te come un animde sacro lasciato andare [ibero]" (dOetov)esprime I'azione; nel verso "e poi allora gli Elleni bdzando coipiedi" (qi(wt€q), "balzando" esprime I'azione ed t anche unametafora, perchd dice che I'azione d rapida (Rrr., III, 11,141Ib 26-3r).

Si pub osservare che negli esempi di Aristotele il concetto diAv6pletcr ("vigore", "azione') E esemplificato da verbi: essere fio-rente (crv06or); lasciato andare libero (crQiep|; bafzare (d(av-t€g da q,looo); m€ntre il concetto contrario E rappresentatodall'aggettivo sosranrivaro TetpdTovoQ ("quadrangolare", "qua-drato"), che d a tutti gli effemi un nome per Aristotele (in quantonon esprime l'idea di tempo).z5 Sembra dunque emergere unacorrela"ione, non esplicitata da Aristotele, tra metafore che espri-mono iv6pyao e l'uso di verbi, da una parte, e metafore che in-vece non esprimono l'azione e l'uso di nomi.

Tirttavia, a sua volta il concetto di iv6gyacr, cioE il descrivere

53

Page 15: Aristotele e la metafora. Conoscenza, similarità, azione, enunciazione

GIOVANNI MANEI-TI

le cose come se fossero in azione, in movimento, fa pane di unastrategia pitr ampia, che b identificata daAristotele con la formu-la rcpd oppd,Tov Ttott1v, ciob "porre davanti agli occhi".

8. "Porre davanti agli occhi"

8.1 Il concetto di "porre davanti agli occhi" (npd opptitcrlvtrolsiv) era probabilmente una nozione corrente nella critica let-teraria dell'epoca di Aristotele. Tuttavia, l'insistenza con cui il fi-losofo ritorna su questo concetto, affinandolo e variandolo pro-gressivamente mostra il rilievo che egli intendeva conferirgli, finoa frgli assumere una fisionomia originale. Come ha mosrratoMorpurgo-Thgliabue (1967 256 e sgg.), la nozione compare intre accezioni (o definizioni) diverse nella Retoica.

. (i) taprimaaccezione (o definizione) b quella c91-cu! I'espres-

sione npo oppdxov si presenta nel secondo libro della Retoricaalcapitolo 8, dove viene detto che ceni procedimenti retorici

ci fanno apparire yna sciagura vicina (6yyr5Q, mettendocelasotto gli occhi (npo.opp_dTov floro0vreg), o come in pro-cinto di accadere (ci4 p61,1,ovrc[) o come appena accaduta(rirqyelov6to') (Ret., II, 8, 1386 a, 34-35).

A Morpurgo-Thgliabue sembra che questa accezione corri-sponda al concetto di "rappresentare qualche cosa come visiva-mente dar{ (ibidem, p. 256) e sia impiegara per esprimere il far-to che una rapppresentazione artistica E, o deve essere, in grado direndere evidenti, presenti, quasi pittoricamente, le cose che de-scrive. Questa probabilmente era la definizione originaria, ovve-ro la nozione corrente nella cririca letteraria del tempo di Aristo-tele (ibidem,258).I-e stessa accezione della nozione sembra con-fermata allorchd compare nel III libro, al capirolo 2, associata al-la espressione 6yet ('per visivit)"), dove Aristotele parla di paro-le preferibili perchi

E possibile che un termine sia piir appropriato di un altro, opiir simile dl'oggeno rappresentaro o piil adatto a metrere la

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role ci pongono le azioni davanti

l,ovto) (Ret., lII, 10, l4l0b, 3l-3r.

In questa seconda accezione, che appare al Morpurgo-Taglia-bue ancora compadbile con "un conceno generale di visivir)r"

ARTSTOTFI F E tA METAFORA

cosa sorro gli occhi. t...1 E le metafore bisogna ricavarle di qui,d3L parole belle o per suono, o per potinza o per visivitl(Oyet) o per altra sens'ione (Ret.,IIl,2, 1405b,11-12 e 16-18).

In un senso non dissimile I'espressione compare una volta xq-che nella Poeticq e la particolariti che ricaviamo da questo passoconsiste nel fatto che essa t associata alla locuzione "dv ivcgy6-otrmg",la cui radice E la stessa del termine (mai presente nel te-sto aristotelico) "ivcp16tc[o, che indica l'evidenza visiva, la vivi-duza:

Bisogna comporre i racconti e rifinirli con il lipitr avendoli davanti agli occhi (6tt p<i:trtotJilYfiUtffii;o0€pevov), porendo cosl vedere nel modo piir chiaro comese si fosse in mezzo agli stessi fani (dv 6vopl6occta 6opdv .riiozep nap'crttoi6 pyvdpevoq rotgrporrop.6v otQ (Poet., 17, 1455a, 22-25).

(ii) Ma quando troviamo ancora la nozione definira al capito-lo 10 del III libro, la sua accezione appare a Morpurgo-Thgliabue(1967:257-8) sensibilmente modificata in un senso che non tpiil quello correnre, ma b origindmenre aristotelico: qui l'espres-sione rcpd dppcitcov indica il fenomeno per cui le cosi sono mes-se sotto gli occhi quando vengono rappresentate come "assoluta-mente presenti" (lcpatt6pwcr), non come accadute o in procin-to di accadere:

Per quanto riguarda le parole, [ha successo il discorso] checonti€ne metafore, purchC non siano ni estranee dl'oggetro(sarebbe difficile comprenderle), ni ordinarie (non avrebberoinfatti alcun effetto). Inoltre [ha successo il discorso] se le pa-role ci pongono le azioni davanti agli occhi: bisogna infami ve-dere le cose come se stcssero accadendo nel Dresente (noar-presenre (npat-c6peva) piuttosto che desdnate ad accadere nel fururo Gl-

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GIOVANNI MANETTI

(1967:257), tuttavia viene sottolineato l''hic et nunc in un mo-do pitr stretto del precedenre". Come vedremo subito dopo, que-sta imponante osseryazione permefte un supplemento di

"p-profondimenro critico.(iii) Ma Aristotele vuole precisare acora meglio il concetto al-

l'inizio del capitolo 11, e cosl facendo lo varia fino a fugli assu-memere una nuova, terz:, eccaione, che viene cosl definita:

Abbiamo deno che le espressioni eleganti (doetcr) provengo-no .lella metafora secondo analogia-(crvciLoyov) e-dd poiredavanci agli occhi (npd oppcitciv notetv); Lirogn" or" ,r"t-tare che cosa noi inrendiamo per 'davand agli occhi' (npd6ppcitow) e con quali mezzi ii oniene q,roio risultato. in-tendo con 'porre davanti agli occhi' il ricorrere a quelle espres-sioni che rappresentano le cose in azione (bvegybuVtcr bq-potvsr) (Ret.,lIl, 11, 14l tb,22-25).

In questo passo fipd oppdT@v non significa piil vedere le co-se come se si wolgessero nel presente (npa,tt6p.evcr), ma "in azio-ne" (€vegyoo0vta). Lespress ione, come rilwa Morpurgo-Taglia-bue (1967: 258),ha un doppio significaro: da una parte significa"in atro", nel senso metafisico dato da Aristotele a questa isprer-sione, ciob come amrali e non solo possibili, presend e non furu-ri, compiuti e non incompiuti; dall'altra significa 'tose che agi-scono" e a questo proposito Aristotele precisa il suo concetto .ortgli esempi omerici visti prima, collegando il concetto di 6ve5Too0vro con il concetto di 6p1ru1ov ("animaro"), per conclude-re con Ia frase: "In tutti questi esempi le cose, p.. ."ur" dell'essereanimare, appaiono in azione (Evegyo0vto,)" (1412a,2-3). Dun-que le cose rappresentate non hanno vigore (iv6pyacr) per il fat-to di essere rappresentate come presenti, o chiare, ma perchi ap-paiono operanti, in azione. E qui che si applica la sddatura con ilconcetto di Epyu2goy: le cose davanti agli occhi sono quelle cheappaiono in azione (bvepyoo0vta) perche "animate" (EirVuXcr).Per Morpurgo-Thgliabue (1967 260) l'6pyu1ia E il vero signifi-caro del Trpo oppq,Tov.

ARISTOTEIT E TAMETAFOM

9. Metafora ed enunciazione

9.1 Linterpretazio.ne di Morpurgo-Thgliabue in relazione allanozione di npo dpprico:v E sicuramente molto inreressanre e co-glie in modo lucido alcuni aspetti fbndamentali del pensiero ari-stotelico. Credo tuttavia che, sulla scorta di dcune spie linguisti-co-semiotiche, si possa aggiungere ancora qudche non seconda-ria considerazione nell'interpretazione di questa interessante no-zione, se la si mette in relazione con la moderna teoria dell'enun.ciazione. Partird considerando presupponibile che il problemache si pone Aristotele E sostanzidmente quello di chiedersi comeawiene che una rappresentazione simbolica riesca a pres€ntare lecose di cui parla (owero, che costituiscono il proprio oggefto re-matico) in modo tale che il destinatario abbia I'impressione diavere davanti agli occhi (owero di fronte dla percezione uditivae visiva) non tanto le paroh, quanto b cose stesse a cui quelle pa-role si riferiscono. Ho I'impressione che le risposte successive chefuistotele dI a questo problema costituiscano una softa di awici-namento progressivo a quella che potremmo definire la "flagran-za dell'enunciero':rone", intesa come assoluta coestensiviti tra l'anodi dire (comprese le coordinate spaziali e temporali in cui si col-locano i due amori dell'enunciazione, ciob l'enunciatore e I'enun-ciarario)26 e lo wolgersi dei fad. In altre parole, la nozione di 4doppcitolv corrisponderebbe a una tecnica di presentazione dellecose come se stessero accadendo mentre vengono descritte o co-munque tale che il loro accadere fosse stremamente legato d mo-mento, allo spazio e agli amori della situazione di enunciazione.

E nota la distinzione che Benveniste proponeva rra stoiae di-scorso (o enunciazione discorsiua): quest'ulcima t quella in cui i f*-ti sono individuati tempordmente in riferimento dl'atto dienunciazione, mentre non vi € alcun riferimento a questo atto nelcaso della storia.lenunciazione discorsiva veniva definita dall'u-so di elemend che fanno pane del suo apparato formale, fta cuil'impiego del presente, del perfetto e del fururo semplice, menffevenivano esclusi l'aoristo e il piuccheperfetto. Particolarmenre in-teressante al nostro scopo b I'analisi che Benveniste riservava al-I'uso del perferto e del presente rispettivamente:

56 57

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GIOVANM MANETTI

il perfeno stahilisce un legame vivente rra I'evento passato e.ilpresente in cui si colloca la sua evocazione. E il tempo di chiriferisce i faai come testimone, come partecipante; b il tempodi chiunque voglia fue riecheggiare fino a noi I'eyento riferitoe riagganciarlo al nostro pres€nte. Come il presente, il perfemoappartiene al sistema linguistico del discorso, poichi il riferi-mento temporale del perfetto b il momento del discorso, men-tre il riferimento dell'aoristo t il momento dell'evento(19591197r:290).

Questo tempo [il presente] ha il suo cenuo - un centro insie-me generatore e assiale - nel presente dell'istanze di paroh.Ogni volta che un parlante impiega la forma grammaticale di"presente" (o una sua equivalente), situa I'awenimento comecontemporaneo dell'istanza del discorso che lo menziona. Eevidente che questo presente, in quanto funzione del discorso,non pud essere localizzato in una divisione particolare del tem-po cronico poichd le ammefte tufte e non ne richiama nessu-na. Il parlante situa come "presente" tutto cib chc implica co-me tde in vinL della forma linguistica che impiega(196511985:90).

Attraverso l'uso delle forme che fanno pane dell'apparato for-mde dell'enunciazione la lingua, come dice Benveniste, 'dI for-ma all'esperienzi'e permette di creare determinati effeni restua-li. Ritengo che la formula npd 6ppdt0)v possa essere piL preci-samente spiegata, sulla scorta delle indicazioni implicite fornitedaAristotete, come un effefto appunto di"flagranze dell'enun-ciazione", che produce dunque I'impressione di avere gli eventisotto gli occhi; anzi, di essere in muzo a essi (come veniva sug-gerito dall'espressione usata nel passo della Poetica, "tiion€pncrp'crtrolg FTv6pevog roig Trpcrrrop6vorg" (Poa., 17, 1455e,24-25).

g.2l.:-spia fondamentale che induce a mettere a confronto iI[esto aristotelico con le considerazioni teoriche di Benveniste sul-la dimensione enunciativa del linguaggio la possiamo trovare inquella che Morpurgo-Thgliabue riportava come seconda defini-none (Rct.,III, 10, 1410b 33-35), in base alla quale l'espressionenpd oppcitorv significa mostrare da parte dell'inunciatore le co-

58

ARISTOTELE E I.A, METATORA

se 'tome se stessero accadendo" (npott6;rsvcr), ciob in una di-mensione di coestensiviti temporale tra il dire (cioE I'ordine del-l'enunciazione) e l'accadere (ciob I'ordine dei fatti enunciati). Oc-corre infami chiedersi che significa fipclTT6pevu, cioE "come sestessero accadendo'. Siamo chiaramente di fronte a una formaverbde relativa e non assoluta, che a mio parere non pud che si-gnificare: "com€ se stessero accadendo nel momento in cai talifat-ti uengono enuflciat!', che b l'evenienza tipica di cib che Benveni-ste definiva come "situazione di discorso".

9.3 Non meno importante a questo proposito b la prima defi-nizione (Ret.,lI,8, 1386a, 34-35), in cui Aristotele tira in ballola nozione di vicinanza (effttq). Ora in che modo pub verosimil-mente essere interpretata questa nozione di 'vicinanza" se non co-me contiguiti (che ammette delle gradazioni) spaziale e/o tem-porale dei fami enunciati rispetto agli attori della situazione di di-scorso? Come quando diciamo "qui" o *costl', che individuanouna vicinanza specifica rispetto dl'enunciatore e all'enunciatario.E di questo tipo di vicinanza che parla Aristotele, vicinanza a chipronuncia il discorso e contemporaneamente a chi lo recepisce.Che il concetto di "vicinanza' qui sia specificamente relativo aidue soggetti della situazione enunciativa (il locutore o enunciato-re e I'ascoltatore o enunciatario) viene confermato da una ispe-zione del contesto in cui compare questa nozione: il capitolo 8 delsecondo libro della Retoricatratta della definizione del sentimen-to di "pietl" e dei modi per suscitarlo. In questo quadro la nozio-ne di "vicinanza' (6yyriq) ha una doppia valenza, venendo intesasia come vicinanza psicologica (suscitano pied. e compassione ledisgrazie accadute a persone che ci sono vicine sentimentalmen-te), sia come vicinanza temporale:

Dal momento che le sofferenze che determinano pietl sonoquelle prossime (l1p$, mentre quelle che sono accadute oaccadranno a distanza di diecimila anni o non muovono affat-to a compassione gli uomini, o non lo fanno nella stessa misu-ra, in quanto cssi non si attendono le une e non si ricordano Iealtre (Rsr., II, 8, 1386a 28-31).

59

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GIOVANNI MANETTI

In effemi, nella definizione dell'espressione npd oppritolv

che troviamo in questo capitolo nel passo immediatamente suc-

;;r;i*, Aristotele dice chi quella stiategia retorica fa.lpparire i

f".,i .o-. collocati in un tempo che E individuato dalle forme

il;"iri.h.del perfetto (teyov6tcr) e del futuro semplice (rytf-

l.oitcr) (II, 8, 1i86a,34-35), ciob i due unici tempi che insieme

"l pr.r.rrt. delimitano la situazione di enunciazione e che sono

*J.tilifi solo a parrire dall'atto di enunciazione' In alue parole'

i"li" it presente'da una parte _(menzionato nella seconda defini-

rion.), q..,*,o il perfeno e il futuro semplice dall'altra (menzio-

"",i ".ril prima definizione) collocano i fatd narrati o descritti

.-*. ,.p.tibili in relazione dl'atto dell'enunciazione (fonte del

pr.rarr,J.,.sso, che viene a configurarsi come temPo coestensivo

il'"cto di enunciazione).Da questo punto di vista, allora, le prime due definizioni del-

l'.rpr.ss ion. dpd 6ppritov risultano profondamente omogen€e

(contrariam..i, "

quanto appariya a Morpurgo-Tagliabue' che

iee,liua un diverso ciiterio da quello udlizzato qui), in quanto es-

;;i;ii.";" che una ,"ppr"r.r,ioione simbolica ci mene sotto gli

occhi (rcpd oppritolvi ,.ttt ..tto stato dj fatti, se li rappresenta co-

-. f"..r,ti parte della situazione enunciativa stessa (ciob, dal pun-

ro di vista i.mpor"l., nel presente, nel perfemo, nel futuro sem-

pfi..l. il .fr. .q^"i"ale, se vogliamo indicare I'ordine delle tecniche'.rporirin.,

" q,tel fenomenJ che b noto sotto il nome di "preserl-

tificazione".Piuttosro diversa dalle prime due risulta invece letena defini-

zione: essa individ.r" q,rrlios" che si pub bensl inquadrare nelpa-

noralna dell'enunciazione, ma che ruttavia non ne dipende tor-

malmente, come awiene invece nei primi due casi' Con la terza

a.n"i"i"". si dice che npd Opptitcov consiste nel mostrare le co-

.. t".t,t. agiscono (bvegyo0vtcr), In altre parole.st^PT:*d3qti."-"

tori dell'enunciazione evocati nelle prime due defintzlonl (vlcl-

n*r" "eli

attori dell'enunciazione, ow€ro raPPresenEzione di co-

,. pr.seiti, ciob nello stesso rempo e spazio degli anori dell'enun-

ciazione), agli artori dell'enunciato, ciob le cose descritte o narra-

,.. quo.. il,i-. perb vengono dotate di una qualidL soggeniva'

ir".fir-*do si da ogettiii soggetti che agisconb. Tuaavia anche

in questo caso I'accento i posto sul fatto che stanno lgefldo' Prova

60

ARISTOTELE E LA METAFOM

ne sia che viene usato un panicipio (ivegyo0vtcr), ciot un tem-

po reladvo, che indica che qrresti oggetti/soggetti "stanno agen$o(o sembra che sdano agendo) nel momento in cui vengono de-

scrifii". Quello a cui conduce I'analisi aristotelica reladva alla no-

zione di l[po oppdtcov b l'individuazione di una strategia in cui

si faccia sempre pitr tenue la separazione tra gli amori della gitua-zione enuncLtiva (enunciatore e destinatario) e gli amori dell'e-

nunciato (owero gli oggetti descritti dal discorso), che cosl acqul-

stano vita proprial dimensione soggettiva e vengono attirati nel-

la situazione di flagrarva enunciativa.

9.4 Pub essere interessante notare chela pima d'efnizione del-

I'espressione rpb oppticorv (ReL, II, 8, 1386a,34-35 e Poet ,17,t455a,22-25) non b elaborata specifica.mente in relazione alla

metafora, ma a un procedimento pitr ampio e comprensivo che si

identifica con la descrizione e/o narrazione stessa. Questa b la ra-gione per cui nella tradizione successiva ad fuistotele la nozione

& npd dppdtrov verrl messa in relazione anche ad alre figqre

t.,oii.h., prima tra tufte I'ipotiposi, ma anche ErQpaotg e l'6-

vdpyero (ea identia), che riguardano procedimenti di descrizione

che hanno un formato testuale sicuramente piil ampio di quanto

non abbia la metafora, identificata aristotelicamente con il singo-

lo termine.Anche la. seconda def'nizione (Ret.,lll,10, 1410b, 34-5) non

riguarda in modo diretto la metafora, ma piuttosto piir in gene-

rJe gli entimemi capaci di riscuotere successo' Questi, nel capi-

tolo -t0

del terzo libro della Retoicavengono analizzati prima dd

punto di vista del contenuto concettuale (6rdvoro) (1410b' 21-

iA), poi dal punto di vista dello stile ti.ehQ (1410b, Zg-33).ln-

fine Aristotele dice che "(sono brillanti) se fanno apparire le cose

davanti agli occhi" (14tOb, 33-34).Tali entimemi p-ossono altre-

sl contenire una metafora (come del resto una metafora pud con-

figurarsi essa stessa come un entimema), ma resta il famo che il

procedimento I inteso come pi[ ampio.-

E, la terza defnizione (Ret.,III, I l, 141Ib 23-25) che t speci-

ficamente colligata dla metafora da tutti gli esempi addomi da

fuistotele. Con questa definizione Aristotele discute-qual.e confi-

gurazione pud prendere la nozione generale di npo oppd,tov in

6r

Page 19: Aristotele e la metafora. Conoscenza, similarità, azione, enunciazione

GIOVANNI MANMTI

relazione specifica agli crocia che hanno come fonte una me-tafora, effettivamente tutti illustrati con esempi di metafore lessi-crli. E poichi queste metafore hanno il formato di una parola (odi un sintagma nominale o verbde), non possono produrre I'ef-femo di rede sfruttando appieno i meccanismi dell'apparato for-male dell'enunciazione, che necessita di un formato piL ampio.Dunque devono lavorare a livello lessicde o sub-lessicde, attra-verso I'attribuzione di una componente semantica (o sema) di/animato/ dl'espressione (o lessema) che dovrl assumere il caricometaforico.

NOTE

I Si vcda su questo punro l:llot (1988: 50 e n. 3), il guale ritiene chc ti4.1,o-Tptog possa esserc reso con I'espressione 'impropre" nella misura in cui il ter-mine cui csso si oppone, ciot oiraiov, applicato a 6vopc, connora la conve-nienza e I'appropriazio ne del designans al dcsigtanm.2 Qucsti autori sono, secondo l:la (1994: 284-5 e n. l2), Ricoeur (1975),in-nanzitutto, ma anche Tamba-Mecz-Veyne (1979) e Pedt (1988: 59 sgg.).3 Sulla metafora in Isocratc e sui rapporti tra metafora e linguaggio ordinariosi veda Guidorizzi e Beta (2000: 13-14).a Raccolgo quest'ultimo suggerimento da una comunicazione personalc di Ste-fano Gensini, del quale si veda Gensini (1993).t Sul concetto di munciazionr si veda Maneni (1998) c I'ultimo paragrafo diqucsto tcsto.6 Cfr. hla, 1994:297.7 Cfr. l.a]<s, 1994 288, n.24.8 In Aristotele non t mai presente il nome "catacresi", che t posreriorc, anchese il problcma evoclto t owiamente quello che sarebbe definibile con taleespressione. Il tcrmine compare in Quintiliano, fnsL or.,8,6,34.e Nella nota 15 Black sostiene: "La concczione comparativa ci viene probabil-mente dalla Poaica dr fuistotele", ma dichiara di non avcrc "lo spazio pcr at-tribuire alla discussione di Aristotele I'attenzione che questa meritf .t0 Sc I potuto accadere chc ad Aristotele venisse artribuia una teoria di tipopuramente e semplicemente sosdnrtivo, cid t dcvuto a una particolare insi-stenza sulla sola lemura della Poetica e in particolare del capitolo 21, dove lametafora b definita formalmente come 'l'applicazionc di un nome estraneo"(6v6parog dAl.otpioo tmQopci, 21.1457b l5). Questo non t per dtro ilcaso dell'interpretazione di AndrC hla, che sebbene insista sui valori sostitu-dvi, anicola poi il suo discorso in modo complesso, arrivando ad auibuire ad

62

ARISTOTELE E tA MEIMORA

Aristotelc non solo idee che si inquadrcrebbero di dirico nella "concezione

comparativa", come le seguenti: "D'autres diclarations d'Aristote appuicntI'idie que la mitaphore suppose la percepdon dcs similitudes, dont elle seraitlc prolongement lexicd, et pour ainsi dire le signe" (1994:287), ma anche idecche potrebbero di dirirto inquadrarsi nella "concezione interartiva" o creadva,come le seguenti: "La mitaphore aristotelicienne ne se laisse pas toujours dC-crire comme un processus secondaire appuyd sur la perception prCdable d'u-ne similitude objective. Car il arrive efFectivemcnt quc la mitaphorc devienneelle-m€me I'insance productrice d'une telle relation", per cui viene citato il ca-so dell'uso metaforico di "seminare" in relazione alla designazionc specifica di"gettare la fiamma del sole" (ibidzrn 289).ll Sulle relazioni di "similariti" e di "analogia" in Aristotele discute a lungo ein modo originale il recente testo di Franco lo Piparo, metendo in luce l'o-rigine maremadca dei due concetti, i quali poi divengono modello che pubessere applicato ai campi piir disparati: "tanalogia eudossiana nel corpus ari-stotelico diventa potentissimo concetto operativo con cui nei campi pi[ di-sparad (etica, cconomia, biologia, fisica, L^6(rg) oppure tra regioni dell'esseremolco distanti tra loro, vengono cercate caratteristiche che permangono no-nostante la variabiliti fenomenica. [...] Tiovare delle invarianti in fenomenieterogenei equivde a scoprire similarid nascoste al di sotto delle differenzesuperficiali" (2003: 174-7 5).12 Lobiettivo polemico che ha specificamcnte (ed esplicitamente) preso di mi-ra Searle in questo conresto I la teoria, di tipo comparativo, wiluppata daGeorge A. Miller (1979), il quale in maniera chiara considera I'asserzione me-taforica come una asserzione di similarit).13 Il cema della "difenosit)" di un enunciato metaforico di cui parla Searle mipare possa esserc messo in relazione all'osservazione di Eco (1984: 144), se-condo cui I'aniviti metaforica produce una violazione di tutte e quartro le re-gole conversazionali di Grice (1967): "Indubbiamente il far mecafora viola lamassima della Qualitt ('Fa' che il tuo contributo alla conversazionc sia vero'),quella della Quantiti ('Fi' che il tuo contributo alla conversazione sia il piirinformativo possibile'), quella della Maniera ('Sii perspicuo') e quella della Re-lazione ('Fa'che il tuo contributo sia rilevante rispeno all'argomcnto). Chi fametafore appruentemente mente, parla in modo oscuro e soprattutto parlad'altro, fornendo uriinformazione vaga. E dunque se un parlante parla vio-lando tutte queste massime, e lo fa in modo da non esssere sospettabile di sru-piditi o goffaggine, ecco che scatta una irnplicatura. Evidentemente egli vole-va far intendere altro".ra Si veda ad esempio Eco, 1984: 150, il quale discute a lungo i problemi di ti-po logico e semiorico dei quattro tipi di memfora aristotelica.r5 Sul tema della Le(rg in Aristotele si veda Lo Piparo (1999).16 Cosl definisce l'tioteiov il Morpurgo-Tagliabue: "L<ioreiov t una me-tafora viva, un traslato non consunto dall'uso, un'associazione rapida e felicedi nozioni lontane e percid nuova e non owia" (1967:245).

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CIOVANNI MANETTI

17 Si veda anche lala (1994:302-3)18

Quintiliano, Instintio oratoiaYlll6.t-19: 'Lefficacia della mctafora paremanifestarsi particolarmente in quattro aspcai: quando il traslato si verifica tracose animate, ponendo un termine in luogo di un altro, come riguardo dl'au-riga: "il pilota(gubernato) con gran forza fece deviare il cavallo" o [comc Li-vio dicc a proposiro di Scipione, che Caronc era solito "abbaiare" contro di lui]quando cose inanimate vengono messe aI posto di altrc dcllo sresso gencre, co-me: "e aIIenE Ie briglie (habenas) dla flona" oppure cose inanimare soscirui-scono le animate: "per ferro o per fato peri il muro argivo?" o vicevcrsa "siedcignaro il pastore ascoltando il rimbombo (soninm) in cima a una rupe"'.re Ermogene, Sull'inaeaziona IV 10 (pp. 199-200 Rabe),20 Plutarco, La uita e h poesia di Omcro (II pp. 19-20 Kindstrand): "Ci sonoanche diversi tipi di metafore. Alcune vanno da cose animare ad animatc, co-me 'disse l'auriga ({violoq) della nave dalla cemlea prora' invecc di lpiloti

(vaoteQ, e 'si mossc verso I Atride Agamennone, pasrore di popoli' invccc di're'. Altre vanno da cosc animate a inanimate, come totto I'estremo piede del-I'Ida' ciol 'lc pendici', e 'mammelle dei campi', ciod il 'seme'. Vanno da coseinanimate ad animate, come'hai un cuore di ferro'invecc di'duro'. Vanno dacose inanimate a inanimate, come'cusrodendo il seme del fuoco'invece di te-me di vita'. Comc esistono metafore di nomi, cosl esistono anche metafore diverbi, come'gridano le rive menrre il mare muggisce d largo'invece di'echeg-giano"'.2r Tiifone, Sui tropi (Ill pp. l9l-2 Spengel).zDonato, La gramtnaica,lll 6.23 Gregorio di Corinto, Sui tropi (III pp. 216-7 Spengel): "l,a metafora I unapane del discorso masferita'da un senso proprio a uno non proprio' pcr met-tere in evidenza o richiamare una somiglianza. Cinque sono lc spccie di me-tafora: da cose animate a inanimate, o viceversa da inanimate ad animate, daanimate ad animate, da inanimate a inanimare, da azione ad azione'dove vie-nq aggiunm una Jo specie, 'da azione ad azione', esemplificata come: 'ceno eglitessc (tQatva) in cuore qualche pensiero'. Propriamente tessere si dicc dcllestoffe; qui invecc t inteso in relazione ai prepararivi di una decisione".2a Isidoro di Siviglia, Ennohgie,I3T25 Cfr. Dc Int., l6a 20-16b 10.26 Cfr. Maneni, 1998: 32 sgg.

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