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25 ALESSANDRA MOLINARI LA FISIONOMIA URBANA ATTRAVERSO LE FONTI ARCHEOLOGICHE (SECOLI V-XI) Non è facile ricostruire, anche solo a grandi linee, l’aspet- to complessivo che la città di Arezzo dovette assumere tra la fine dell’antichità ed i secoli intorno al mille. La qualità dei dati materiali dei quali disponiamo per questa città è infat- ti, nel complesso, deludente. Troppe indagini archeologiche anche recenti sono, nel migliore dei casi, solo parzialmente edite. In ogni caso le fasi post-classiche sono spesso illustrate in modo molto sintetico. Non vi è poi una specifica strategia di ricerca che miri alla conoscenza complessiva del fenome- no urbano aretino. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, gra- zie anche alla ripresa degli scavi al colle del Pionta (Molina- ri - De Minicis 2003; Tristano - Molinari 2005; Molinari 2008) e alla formazione di giovani archeologi specializzati nel pe- riodo post-classico, nuove acquisizioni ci permettono di for- mulare nuove ipotesi, sorrette da dati archeologici piuttosto attendibili. L’area del colle del Pionta, pur rimanendo fino a tempi recenti sostanzialmente extraurbana, può considerarsi parte integrante della storia cittadina, come avremo modo di vedere. Le stratigrafie qui indagate, in fase di avanzata ela- borazione, hanno consentito, tra le altre cose, di ricostruire i tipi di ceramica in uso ad Arezzo tra i secoli V e XV (cfr. per alcune anticipazioni, Cantini - Citter 2010 e Cantini 2011), di riconoscere e datare tipologie costruttive e funerarie e di cominciare a leggere le grandi linee della circolazione mone- taria. Un lavoro fondamentale è stato, poi, il censimento si- stematico di tutte le strutture murarie del centro storico di Arezzo, databili tra l’età etrusca ed il basso Medioevo (Mini 2009), accompagnato da una precisa georeferenziazione dei dati e da un’accurata analisi tipologica e stratigrafica. Nell’am- bito di questa ricerca è stato anche possibile, grazie alla di- sponibilità della Soprintendenza Archeologica della Toscana, riesaminare alcuni scavi stratigrafici urbani e in modo parti- colare quelli al di sotto della chiesetta di San Bartolomeo, si- tuata nella parte alta della città, sul colle di San Donato. A complicare ulteriormente la comprensione del fenome- no urbano aretino tra la tarda antichità e l’alto Medioevo si aggiunge la non perfetta conoscenza che abbiamo della cit- tà in epoca romana imperiale (cfr. ad esempio Negrelli 1999, nonché i diversi contributi contenuti in Camporeale - Firpo 2009 e in particolare quello di A. Cherici). Ad esempio, non sembrerebbe ancora del tutto risolta la questione dell’esatta collocazione del foro. Inoltre, al momento della sua massi- ma espansione (nel I sec. d.C.) Arezzo non venne dotata di nuove mura; l’estensione dell’area propriamente urbana si definisce così sulla base della localizzazione delle necropo- li di età imperiale e delle officine di ceramica sigillata e dei loro scarichi. Nel presentare i dati disponibili per una ricostruzione delle “forme urbane” che Arezzo acquisì nel corso del pe- riodo tardoantico e altomedievale terremo conto, quando i dati ce lo permetteranno, di alcuni dei principali parametri utilizzati dalla ricerca archeologica: costruzione o riparazio- ne della cinta muraria, cristianizzazione degli spazi urbani e periurbani, defunzionalizzazione e trasformazione dei princi- pali edifici pubblici di età romana, pratiche funerarie, quali- tà dell’edilizia pubblica e privata, articolazione e qualità de- gli oggetti mobili e della circolazione monetaria (si rimanda ad alcune sintesi importanti: Liebeschuetz 2003; Wickham 2009; Brogiolo 2011). Arezzo fino all’età gota È opinione condivisa che si possano cogliere importanti segnali di “difficoltà” per la città già dal II secolo d.C. Que- sti segnali consisterebbero: nella crisi delle produzioni sigil- late aretine; nel fatto che il percorso della Cassia Adrianea non toccasse più Arezzo e che la maggior parte delle costru- zioni pubbliche e private attualmente conosciute sia databile entro il II secolo; infine, nella constatazione che le testimo- nianze di fenomeni di evergetismo delle famiglie aristocrati- che nei secoli II e III siano rarissime (si vedano nel comples- so i contributi in Camporeale - Firpo 2009). Sebbene non si possa escludere che le ricerche future possano in parte atte- nuare questa visione, si può osservare come la crisi aretina rientri nella più generale tendenza riscontrata nelle altre cit- tà toscane (si vedano ad esempio Ciampoltrini 1994; Gelichi 1999; Cantini - Citter 2010). Mi sembra tuttavia, in via ipote- tica, che questa fase di grave difficoltà della città e di “opa- cità” della documentazione materiale si possa attribuire anche al fatto che le aristocrazie, almeno nel caso di Arezzo, prefe- rirono le loro residenze rurali rispetto a quelle urbane. L’ap- parente diminuzione degli insediamenti rurali dell’area areti- na non contrasta necessariamente con questa ipotesi, poiché questo calo potrebbe essere il riflesso di accorpamenti di più proprietà. Ci sembra invece significativo di come provengano da ambiti rurali una serie di testimonianze materiali che sono indizio certo della presenza di aristocratici, legati verosimil-
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Arezzo Medievale

Jan 12, 2023

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Lucio Russo
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AlessAndrA MolinAri

LA FISIONOMIA URBANA ATTRAVERSO LE FONTI ARCHEOLOGICHE (SECOLI V-XI)

Non è facile ricostruire, anche solo a grandi linee, l’aspet-to complessivo che la città di Arezzo dovette assumere tra la fine dell’antichità ed i secoli intorno al mille. La qualità dei dati materiali dei quali disponiamo per questa città è infat-ti, nel complesso, deludente. Troppe indagini archeologiche anche recenti sono, nel migliore dei casi, solo parzialmente edite. In ogni caso le fasi post-classiche sono spesso illustrate in modo molto sintetico. Non vi è poi una specifica strategia di ricerca che miri alla conoscenza complessiva del fenome-no urbano aretino. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, gra-zie anche alla ripresa degli scavi al colle del Pionta (Molina-ri - De Minicis 2003; Tristano - Molinari 2005; Molinari 2008) e alla formazione di giovani archeologi specializzati nel pe-riodo post-classico, nuove acquisizioni ci permettono di for-mulare nuove ipotesi, sorrette da dati archeologici piuttosto attendibili. L’area del colle del Pionta, pur rimanendo fino a tempi recenti sostanzialmente extraurbana, può considerarsi parte integrante della storia cittadina, come avremo modo di vedere. Le stratigrafie qui indagate, in fase di avanzata ela-borazione, hanno consentito, tra le altre cose, di ricostruire i tipi di ceramica in uso ad Arezzo tra i secoli V e XV (cfr. per alcune anticipazioni, Cantini - Citter 2010 e Cantini 2011), di riconoscere e datare tipologie costruttive e funerarie e di cominciare a leggere le grandi linee della circolazione mone-taria. Un lavoro fondamentale è stato, poi, il censimento si-stematico di tutte le strutture murarie del centro storico di Arezzo, databili tra l’età etrusca ed il basso Medioevo (Mini 2009), accompagnato da una precisa georeferenziazione dei dati e da un’accurata analisi tipologica e stratigrafica. Nell’am-bito di questa ricerca è stato anche possibile, grazie alla di-sponibilità della Soprintendenza Archeologica della Toscana, riesaminare alcuni scavi stratigrafici urbani e in modo parti-colare quelli al di sotto della chiesetta di San Bartolomeo, si-tuata nella parte alta della città, sul colle di San Donato.

A complicare ulteriormente la comprensione del fenome-no urbano aretino tra la tarda antichità e l’alto Medioevo si aggiunge la non perfetta conoscenza che abbiamo della cit-tà in epoca romana imperiale (cfr. ad esempio Negrelli 1999, nonché i diversi contributi contenuti in Camporeale - Firpo 2009 e in particolare quello di A. Cherici). Ad esempio, non sembrerebbe ancora del tutto risolta la questione dell’esatta collocazione del foro. Inoltre, al momento della sua massi-ma espansione (nel I sec. d.C.) Arezzo non venne dotata di nuove mura; l’estensione dell’area propriamente urbana si

definisce così sulla base della localizzazione delle necropo-li di età imperiale e delle officine di ceramica sigillata e dei loro scarichi.

Nel presentare i dati disponibili per una ricostruzione delle “forme urbane” che Arezzo acquisì nel corso del pe-riodo tardoantico e altomedievale terremo conto, quando i dati ce lo permetteranno, di alcuni dei principali parametri utilizzati dalla ricerca archeologica: costruzione o riparazio-ne della cinta muraria, cristianizzazione degli spazi urbani e periurbani, defunzionalizzazione e trasformazione dei princi-pali edifici pubblici di età romana, pratiche funerarie, quali-tà dell’edilizia pubblica e privata, articolazione e qualità de-gli oggetti mobili e della circolazione monetaria (si rimanda ad alcune sintesi importanti: Liebeschuetz 2003; Wickham 2009; Brogiolo 2011).

Arezzo fino all’età gota

È opinione condivisa che si possano cogliere importanti segnali di “difficoltà” per la città già dal II secolo d.C. Que-sti segnali consisterebbero: nella crisi delle produzioni sigil-late aretine; nel fatto che il percorso della Cassia Adrianea non toccasse più Arezzo e che la maggior parte delle costru-zioni pubbliche e private attualmente conosciute sia databile entro il II secolo; infine, nella constatazione che le testimo-nianze di fenomeni di evergetismo delle famiglie aristocrati-che nei secoli II e III siano rarissime (si vedano nel comples-so i contributi in Camporeale - Firpo 2009). Sebbene non si possa escludere che le ricerche future possano in parte atte-nuare questa visione, si può osservare come la crisi aretina rientri nella più generale tendenza riscontrata nelle altre cit-tà toscane (si vedano ad esempio Ciampoltrini 1994; Gelichi 1999; Cantini - Citter 2010). Mi sembra tuttavia, in via ipote-tica, che questa fase di grave difficoltà della città e di “opa-cità” della documentazione materiale si possa attribuire anche al fatto che le aristocrazie, almeno nel caso di Arezzo, prefe-rirono le loro residenze rurali rispetto a quelle urbane. L’ap-parente diminuzione degli insediamenti rurali dell’area areti-na non contrasta necessariamente con questa ipotesi, poiché questo calo potrebbe essere il riflesso di accorpamenti di più proprietà. Ci sembra invece significativo di come provengano da ambiti rurali una serie di testimonianze materiali che sono indizio certo della presenza di aristocratici, legati verosimil-

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mente alle più alte gerarchie imperiali. Si data ad esempio al tardo III secolo la statua di togato rinvenuta nei pressi della pieve del Bagnoro (cfr. De Tommaso in Camporeale - Firpo 2009), mentre sembrerebbe da attribuire al IV secolo il cam-meo di Castiglion Fiorentino (cfr. Ciampoltrini 1990). Soprat-tutto sembrerebbero poi esplicite le testimonianze della vil-la dell’Ossaia (cfr. ad esempio Fracchia - Gualtieri 2005), nei pressi di Cortona, dove nel IV secolo, in un ambiente ap-positamente dedicato, erano conservate, come glorie di fa-miglia, laminette in bronzo con effigi imperiali e un “basto-ne magistrale”. Queste testimonianze sono state considerate dagli autori dello scavo un indizio certo dell’alto rango dei proprietari. La stessa villa ebbe, inoltre, importanti ristruttu-razioni tra IV e V secolo, con la creazione di una nuova e lussuosa area residenziale. A frenare le conseguenze dovute alla ipotetica perdita di centralità di Arretium sembrerebbe-ro porsi due episodi costruttivi molto importanti, che si pos-sono collocare con sicurezza nell’avanzato V secolo. Si trat-ta della costruzione di imponenti mura urbane (Figg. 1-2 e Tav. V a) e di un grande edificio funerario collocato al colle

del Pionta (Tav. V b) (luogo di sepoltura di san Donato, se-condo vescovo di Arezzo). Queste due grandi imprese edi-lizie rappresentano, a quanto oggi noto, i punti di forza sui quali si dovette ricostruire la centralità cittadina: l’ambito di-fensivo e quello religioso.

Le mura meritano una più ampia trattazione. Considera-te, con poche eccezioni, genericamente tardoantiche-altome-dievali, si possono ora datare con maggior precisione (Mini 2009). In particolare, l’accurata revisione fatta da A. Mini del-lo scavo al di sotto della chiesetta di San Bartolomeo, sul col-le di San Donato, ha consentito di stabilire che le mura ur-bane, in questo tratto ben conservate, furono costruite al di sopra di un strato del V secolo (presenza di imitazioni locali della forma Hayes 61, databili tra la fine del IV e tutto il V secolo) e che gli si addossò uno strato di frequentazione da-tabile tra la fine del V ed il VI secolo. Si tratta di una co-struzione imponente di forte di spessore, che in questo trat-to presentava una torre a gola aperta e pianta rettangolare, in corrispondenza di una porta urbica. I paramenti sono co-stituiti da grandi blocchi di reimpiego, accuratamente sele-

Fig. 1. Il percorso presunto delle mura del tardo V secolo con indicazione dei tratti ancora visibili

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zionati, legati da una buona malta e posti in opera per corsi orizzontali (Fig. 2 e Tav. V a). Dall’analisi delle tecniche mu-rarie e dei dati stratigrafici rilevabili nei tratti ancora in vista di queste mura si può inoltre affermare con nettezza che le mura, di probabile età gota, furono costruite completamente ex-novo senza riutilizzare in nessun modo mura di età pre-cedente. Questo dato sembrerebbe essere confermato anche dai recenti scavi all’interno della chiesa di Santa Maria del-la Porta a Porta Crucifera (Salvi - Vilucchi 2005). Inoltre, un controllo delle indagini in Piazza San Niccolò ha dimostrato come la presunta cinta di età etrusca sia costruita con pie-tre legate da terra e comunque sia stata completamente spo-liata proprio nel V secolo. L’idea, fortemente consolidata in tutta la letteratura erudita e archeologica relativa ad Arezzo, che le mura “tardoantiche-altomedievali” di Arezzo avrebbe-ro riutilizzato la cinta di età etrusca sembrerebbe quindi da respingere o comunque da ridimensionare. L’esatto percorso del circuito murario si può ricostruire, su base archeologica, solo per alcuni tratti (Fig. 1). Tuttavia, seguendo l’andamen-to dei rilievi e soprattutto le informazioni che derivano dal-la successiva documentazione scritta su ciò che doveva col-locarsi dentro o fuori della città (cfr. ad esempio Delumeau 1996, pp. 783-810 e Id. in questo volume), si può ipotizzare un circuito che doveva inglobare l’antico teatro e racchiude-re il colle di San Donato e parte di quello di San Pietro (il tratto di muratura recentemente rinvenuto in Via Vasari, nei pressi della Pieve, è invece chiaramente bassomedievale: cfr. Salvi - Vilucchi 2008). L’area cinta da mura doveva ora esse-re decisamente ridotta rispetto all’estensione della città in età augustea, tuttavia non si trattava certamente di un “ridotto” fortificato. Infine è doveroso insistere sulla qualità delle mura tardoantiche di Arezzo, che non hanno nulla di “tumultua-rio” e di “frettoloso”. La tecnica con la quale sono costrui-te viene ora denominata “opera quadrata composta da spo­lia”. Si tratta di un tipo di muratura frequente specialmente in opere pubbliche, databili per lo più tra il V e il IX se-

colo, che ricorre a grandi blocchi di reimpiego per l’assenza di materiali nuovi di cava. Questo tipo di opera prevede co-munque una selezione attenta dei materiali costruttivi, talvol-ta il loro trasporto, l’uso di macchine per sollevare i pesan-tissimi blocchi impiegati e buona malta di calce (che a sua volta implica lo specialismo delle calcare, ecc.). Alla base di questo tipo di costruzioni stanno quindi dei saperi tecnici e una complessità organizzativa non trascurabili, al punto che si ipotizza che queste imprese costruttive si debbano attribui-re a maestranze specializzate, non locali (cfr. Cagnana 2008). Un confronto puntuale per le mura di Arezzo sembrerebbe costituito, ad esempio, dal tratto di mura di Verona, datato a età teodoriciana (ibidem p. 43, Figg. 8-9).

Come abbiamo già accennato, si colloca nel V secolo avan-zato anche il grande edificio che abbiamo identificato attra-verso una accurata rilettura degli scavi degli anni sessanta e settanta del secolo scorso al colle del Pionta (cfr. Ameri-ghi - Molinari 2005). La grande “aula”, orientata precisamente secondo gli assi cardinali doveva estendersi per almeno 18 m di lunghezza ed essere divisa in due ambienti attraverso pila-stri (particolare, quest’ultimo, ancora inedito). La tecnica mu-raria è simile a quella delle mura urbiche, anche se in forme meno accurate, e lo spessore dei muri è variabile, ma può arrivare fino a m 1,20. Per quanto è ancora leggibile dalle strutture superstiti sembrerebbe da escludere che questo edi-ficio fosse una chiesa. È tuttavia chiara la sua funzione fu-neraria. Nella prima fase di utilizzo, specialmente l’ambien-te più settentrionale venne interamente occupato da tombe in netta prevalenza del tipo “alla cappuccina” (costituito cioè da tegole e mattoni di reimpiego), che in alcuni casi riutiliz-zavano anche epigrafi databili tra il IV secolo e gli inizi del V. Le tombe non sembrano avere una collocazione gerarchi-ca e comunque non ne è identificabile una più importante delle altre. Per quanto ad oggi conosciuto, sembrerebbe trat-tarsi del primo intervento veramente monumentale realizzato sul colle del Pionta. Come è noto, su questo colle si doveva trovare la tomba di san Donato, secondo vescovo di Arez-zo, qui sepolto nel corso del IV secolo (cfr. Tafi 1995; Lic-ciardello 2005). Come apprendiamo da un interessante do-cumento dell’XI secolo (la cosiddetta Cronaca dei custodi), il successore di Donato, Gelasio, fece costruire sulla sua tom-ba un parvum oratorium, che certamente non si può riferire alla grande aula che abbiamo appena descritto.

Sembra a questo punto doveroso accennare al problema della collocazione della cattedrale paleocristiana (cfr. Fatuc-chi 1997-1998 e da ultimo Molinari 2008; Licciardello 2009, con bibliografia). Sembrerebbe oramai accertato che l’istitu-zione del vescovado e della diocesi aretina debba risalire alla prima metà del IV secolo e che questa istituzione non abbia avuto fenomeni di interruzione nei secolo successivi, a dif-

Fig. 2. Prospetto sud e lettura stratigrafica del tratto di mura inglobato nella chiesa di S. Bartolomeo

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ferenza, ad esempio, di Siena (cfr. Tabacco 1973; Licciardel-lo 2009). Sebbene l’istituzione del vescovado possa non esse-re necessariamente sincrona alla costruzione della cattedrale, sembrerebbe tuttavia decisamente improbabile che Arezzo non sia stata dotata tempestivamente di un edificio adegua-to. Per la collocazione della cattedrale aretina in età tardo-antica sono state proposte diverse ubicazioni, nessuna delle quali tuttavia è supportata da chiare testimonianze materiali: il colle del Pionta, l’area corrispondente alla pieve di Santa Maria oppure a quella della chiesa di San Salvatore sul colle di San Donato. Sebbene quest’ultima ipotetica collocazione sia l’unica che risultò essere inglobata dalle mura urbane del tardo V secolo, essa non sarebbe sostenibile in base a quan-to oggi noto dalle fonti materiali. Al di sotto della pieve di Santa Maria sono stati rinvenuti alla fine dell’Ottocento re-sti di precedenti edifici religiosi. Non essendo tuttavia con-servata alcuna planimetria di queste strutture, è difficile far-si un’idea precisa della loro reale consistenza. Del colle del Pionta abbiamo già detto.

Relativamente meglio conosciuta è invece la dislocazione delle aree funerarie inquadrabili, anche se talvolta in modo ipotetico, tra il IV ed il VI secolo. Una delle principali ne-cropoli di età imperiale era collocata lungo l’attuale Via Vit-torio Veneto, che corrisponde al percorso della Cassia Vetus. In quest’area sono stati in passato segnalati sarcofagi a dop-pio spiovente con acroteri angolari, di “tipo ravennate” (cfr. Maetzke 1991). Questi ultimi si datano già dall’epoca tardo-antica, ma hanno avuto, specie nella versione priva di deco-razioni, una vita abbastanza lunga. Inoltre, come avviene al colle del Pionta, essi sono stati reimpiegati ancora nell’alto Medioevo inoltrato (cfr. Amerighi - Molinari 2005). Al Pionta non sono attualmente note sepolture databili, anche solo stra-tigraficamente, prima del V secolo avanzato. Tuttavia, sono state rinvenute alcune epigrafi, reimpiegate in tombe succes-sive, databili tra IV e V secolo (cfr. Melucco Vaccaro 1991, pp. 169-178), alcune delle quali con formulario paleocristia-no. Non sembra improbabile quindi che possano costituire un indizio dell’esistenza al Pionta di una necropoli del tipo ad sanctos, ossia di quelle necropoli che nella tarda antichi-tà furono generate dalla presenza di tombe venerate (nel no-stro caso, quella di san Donato). Sembra anche interessan-te notare come tra le epigrafi siano attestate figure femminili di alto rango, come Valeria (epigrafe datata al 408), moglie di uno scutario, cioè di un membro dei corpi scelti più vi-cini all’imperatore (cfr. Mazzoleni 1977). L’attrazione anche per le classi aristocratiche del luogo di sepoltura di san Do-nato potrebbe forse rappresentare, come abbiamo accennato, uno dei cardini sui quali si ricostruì, su nuove basi, la centra-lità del nucleo urbano. La costruzione della grande aula fu-neraria, che abbiamo descritto più sopra, andò certamente a

rafforzare ulteriormente il ruolo del Pionta. L’aula venne pe-raltro restaurata nel corso del VI secolo e una nuova fase di tombe in muratura si sovrappose in parte a quelle alla cap-puccina. Sempre nel VI secolo, a sud dell’aula funeraria sor-se un mausoleo familiare, solo parzialmente conservato, ma al quale possono riferirsi almeno otto tombe in muratura, con un ampio uso di grandi lastre in travertino, e una alla cap-puccina (Fig. 3).

Fig. 3. Colle del Pionta. Planimetria del mausoleo con le tombe del VI secolo

Sempre nell’area del Pionta, tra il VI ed il VII secolo sem-brerebbe poi intensificarsi notevolmente la frequentazione in-torno al sepolcro ipogeo attualmente collocato al di sotto del seicentesco oratorio di Santo Stefano (cfr. Armandi 2004; Mo-linari 2008). Nei pochi metri quadrati di stratificazioni super-stiti rinvenute in corrispondenza dell’antico accesso a questo sepolcro, nelle recenti campagne di scavo, sono state rinve-nuti numerosi frammenti di ceramica associati a molte pic-cole monete di bronzo (i cosiddetti nummi o minimi), delle quali è tuttavia discussa la cronologia (V-VI secolo? informa-zione personale di A. Rovelli).

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Di estremo interesse sono poi i resti di quella che potreb-be configurarsi come una vera e propria necropoli sorta al di sopra di una delle più importanti aree pubbliche di età ro-mana: l’area appunto del teatro e delle terme, che dovrebbe peraltro corrispondere, secondo una ipotesi condivisa, anche all’area del foro. Qui, in scavi ottocenteschi nei pressi del tea-tro e più di recente nei sondaggi al di sotto della chiesa di Santa Maria della Porta (cfr. Salvi - Vilucchi 2005) sono emer-se sepolture del tipo alla cappuccina. La necropoli sarebbe poi stata obliterata dalla costruzione delle mura urbiche, col-locabile, come abbiamo visto, nell’avanzato V secolo. Questa necropoli si può in ogni caso ricollegare al discusso fenome-no delle sepolture in urbe (cfr. ad esempio la sintesi proposta da Fiocchi Nicolai 2003), che evidenzia un forte cambiamen-to di mentalità, la commistione cioè della comunità dei vivi a quella dei defunti, in precedenza accuratamente separate. Il cimitero in questione comportò in ogni caso un importan-te cambiamento di funzione dell’antica area pubblica. Si può infine sottolineare come quest’area di sepolture abbia dovuto convivere in parte con quella extraurbana del Pionta e forse con quella di antica origine lungo la Cassia Vetus.

Per quanto riguarda la produzione e il consumo di ma-nufatti, i dati che provengono specialmente dalla ceramica ci mostrano come la presenza di materiali di importazione, tra V e VI secolo, sia ad Arezzo di entità assolutamente trascu-rabile (questo dato riguarda tanto le anfore quanto la cera-mica fine da mensa). Si può tuttavia segnalare, tra le diverse produzioni locali, quella di “ceramica ingobbiata di rosso”. Si tratta di una ceramica fine da mensa, databile tra il IV e il VII secolo, rivestita da una vernice molto più opaca e meno aderente rispetto a quelle della tradizione aretina o di quella della coeva sigillata africana. Essa ha comunque un reperto-rio molto articolato di forme funzionali. Non è tuttavia noto se questa ceramica da mensa si producesse propriamente in città o in ambito rurale, sebbene sicuramente in forme cen-tralizzate e relativamente standardizzate.

Le testimonianze di età longobarda e carolingia

Come spesso avviene, il principale elemento di novità nel registro materiale, relativamente al periodo longobardo, è rap-presentato dalla comparsa di nuovi rituali funerari, in parti-colare di tombe maschili con corredo di armi o di oggetti ad esse legati (elementi di cintura). Un accurato censimento dei rinvenimenti di questo tipo, avvenuti tra il XIX e XX secolo (cf. Ciampoltrini 1993; Molinari - Nespoli 2003), ha permes-so di rilevare come sepolture di questo tipo si concentrino nell’area a settentrione del colle di San Donato, nella zona compresa tra il Borgo di Santa Croce e la località La Cato-

na. I ritrovamenti sono tutti fortuiti e di vecchia data, ma si possono almeno in apparenza riportare a zone non occu-pate in precedenza da necropoli (cfr. Maetzke 1991, p. 24, Tav. 3; Molinari - Nespoli 2003, Fig. 1). I reperti databili sem-brerebbero in prevalenza collocabili nell’ambito della prima metà del VII secolo. Le usanze funerarie note ad Arezzo per i secoli immediatamente precedenti non sembrano assimila-bili in nessun modo a quelle in esame. Ad esempio, tra le tombe scoperte di recente al Pionta, databili con sicurezza al VI secolo, si può senz’altro ipotizzare una sostanziale as-senza o comunque una occasionalità di elementi di corredo. Il caso, invece, della sepoltura della bimba, con ricco corre-do di oreficerie, scoperta al Pionta negli anni settanta dal-la Melucco Vaccaro (1991, pp. 191-193 e Molinari - Nespo-li 2003 per una nuova discussione) richiede una digressione. Come è noto, questa tomba si trovava all’interno di quella che abbiamo ora ricostruito come un’aula funeraria costrui-ta nel tardo V secolo. Essa si colloca, tuttavia, nella seconda fase di utilizzo di questo edificio (secoli VI-VII). Il corredo, eccezionalmente ricco, era costituito interamente da orefice-rie: due bracciali, una coppia di orecchini a cestello, trac-ce di una cuffia e di tessuto di broccato con fili d’oro. Non del tutto certa è la sua cronologia: gli orecchini a cestello fa-rebbero propendere maggiormente per il pieno VI secolo, mentre studi recenti sui tessuti broccati con il tipo di dise-gno e di trattamento dei fili d’oro simili a quelli del Pionta permetterebbero piuttosto una collocazione intorno alla fine del VI secolo (cfr. Giostra - Anelli c.s.). La tomba della bim-ba, decisamente monumentale anche nelle sue strutture, po-trebbe pertanto essere coeva alle tombe con armi rinvenute nella zona a nord della città. Essa si colloca tuttavia nell’am-bito di un edificio funerario sorto nei pressi della tomba di san Donato, che non presenta soluzioni di continuità rispet-to al periodo precedente. È possibile quindi che l’entrata di Arezzo nella sfera longobarda abbia comportato una più ac-centuata competizione tra le diverse componenti della popo-lazione, leggibile forse nell’ostentazione funeraria rappresen-tata dall’uso di ricchi corredi.

Un interessante edificio (Tav. V c), rinvenuto nei recenti scavi del Pionta e databile con sicurezza alla prima metà del VII secolo, pone ulteriori interrogativi. Si tratta di un am-biente lungo circa m 11 e largo m 3, che utilizzava in parte una delle pareti del mausoleo del VI secolo (completamen-te ed intenzionalmente interrato), ma che nei restanti lati era costituito da pareti in materiali deperibili, costruite su uno zoccolo in pietrame di recupero legato con argilla. La strut-tura portante era inoltre costituita da grossi pali di sezione sia tonda che squadrata (probabili travi di recupero). Il pa-vimento in terra battuta dell’edificio era a circa m 1 al di sotto del piano di calpestio esterno. Si tratta quindi di una

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struttura parzialmente seminterrata. All’interno è stato inol-tre trovato un focolare, che ci fa comprendere che ci trovia-mo di fronte a un’abitazione. Alla stessa conclusione condu-ce la presenza di un ricco repertorio di ceramiche da mensa ritrovato negli strati di abbandono di questa struttura. Come è noto, esistono teorie discordanti sull’origine dell’edilizia li-gnea, che diventa particolarmente diffusa in Italia anche in ambito urbano a partire soprattutto dai primi secoli dell’alto Medioevo. In estrema sintesi, c’è chi la considera un portato delle invasioni e chi invece un sintomo della semplificazio-ne economica o della ruralizzazione delle città (per i diver-si pareri cfr. ad esempio Brogiolo 2008 e Brather 2009). Per l’area aretina non abbiamo purtroppo molti termini di para-gone sull’edilizia abitativa dei secoli immediatamente prece-denti, se non probabili casi di riutilizzo “povero” di antiche domus (come nel caso delle abitazioni rinvenute sotto al sa-grato della chiesa di San Francesco, con riusi nei secoli IV-V). Senza entrare troppo nel dettaglio dei confronti disponi-bili per la nostra struttura, possiamo comunque sottolineare come essa, pur essendo parzialmente seminterrata, non rientri nella tipologia delle cosiddette Grubenhäuser, che sono me-diamente più piccole, con spigoli arrotondati e interamente in legno. È solo per questo tipo specifico di capanne che gli argomenti a favore di un’introduzione in Italia da parte di popolazioni alloctone sembrerebbero più plausibili. Riguar-do alle matrici culturali degli abitatori della casa del Pionta, possiamo poi aggiungere come l’articolato gruppo di cerami-che, a essa con certezza riferibile, sia di produzione locale e si inscriva pienamente nella tradizione locale. Certamente la casa del VII secolo testimonia in modo diretto una presen-za abitativa in quest’area suburbana della città, la cui prin-cipale vocazione dovette comunque rimanere quella funera-ria e religiosa. Altra testimonianza indiretta di un uso anche abitativo del colle è costituita dalla consistente presenza, già dal V secolo, di ceramica da cucina e di altri tipi da men-sa e da dispensa.

Dalla zona propriamente urbana, cinta dalle mura urbi-che, non abbiamo purtroppo testimonianze di alcun tipo, dal momento che rimangono inediti alcuni importanti scavi come ad esempio quello di Piazza San Niccolò. Nella zona subur-bana subito a ridosso della pieve di Santa Maria, negli scavi di Via Vasari (cfr. Salvi - Vilucchi 2008) si può ipotizzare un riuso povero (pavimenti in terra battuta) di una domus d’età imperiale, ipoteticamente databile ai secoli VI-VII.

In ambito rurale abbiamo veramente poche informazioni su eventuali riusi e sulle fasi finali della frequentazione delle ville con fasi tardoantiche. Nell’unico caso di scavo scientifico esteso, come nella villa dell’Ossaia, il sito non sembrerebbe apparentemente sopravvivere al VI secolo (cfr. Fracchia - Gual-tieri 2005).

Un momento importante nella trasformazione degli as-setti urbani è senz’altro la costruzione, sul colle del Pionta, di una chiesa triabsidata e con pianta a T (Fig. 4) al di so-pra dell’aula funeraria di età gota. La costruzione dovreb-be collocarsi tra la fine del VII e l’VIII secolo e continuò ad accogliere sepolture, tra le quali spiccano in modo parti-colare quelle all’interno di sarcofagi di reimpiego (cfr. Ame-righi - Molinari 2005, per ulteriori dettagli). Si possono attri-buire con certezza a questa fase alcuni frammenti marmorei del l’arredo liturgico della chiesa, già editi dalla Melucco Vac-caro (1991, pp. 179-189). La chiesa è tutta leggermente ruo-tata rispetto al sottostante edificio, essendo orientata nel suo

Fig. 4. La cattedrale altomedievale del Pionta (fine VII-VIII secolo)

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complesso a nord-ovest/sud-est; la lunghezza complessiva al momento ricostruibile è di circa m 35, mentre la navata cen-trale è larga circa m 10,80. La qualità delle murature, conser-vate solo per piccoli tratti, sembra nel complesso abbastanza scadente, essendo composta da blocchetti di pietra arenaria di raccolta, legati da una malta molto terrosa. Per la pianta a T esistono numerosi confronti collocabili nell’alto Medioe-vo, anche se in nessun caso sembrerebbero associabili a edi-fici cattedrali. Non essendo tuttavia plausibile la presenza di un’ulteriore chiesa altomedievale nell’area del Pionta ed es-sendo esplicite le fonti scritte soprattutto a partire dal IX se-colo nell’indicare la collocazione extraurbana, nei pressi della tomba di san Donato, della cattedrale e della sede vescovi-le, riteniamo anche noi plausibile identificare la chiesa at-tualmente visibile come la cattedrale dedicata a Santa Maria e Santo Stefano. È peraltro interessante notare la coinciden-za cronologica tra la costruzione della cattedrale extraurba-na e la redazione della più antica Passio conosciuta per san Donato, che si tende ora a collocare tra VII e VIII secolo (Licciardello 2005). Nell’area archeologica del Pionta erano certamente presenti altri edifici altomedievali, ma al momen-to non è possibile identificarne con certezza forma e funzio-ne, e in particolare non è possibile collocare esattamente la posizione della canonica, che certamente venne qui costruita nella piena epoca carolingia (cfr. da ultimo Molinari 2008). L’abitazione in tecnica mista del VII secolo, venne soppian-tata da officine, forse da vetro, molto probabilmente lega-te alla costruzione della nuova cattedrale. La funzione anche abitativa del colle non dovette tuttavia venir meno fino a tut-to il XIII secolo, a quanto sembrerebbe indicare la frequen-za dei resti di ceramica rinvenuti negli scavi recenti. La sede vescovile non dovette essere difesa da un recinto in muratu-ra almeno fino all’XI secolo ed anche le mura dell’area pro-priamente urbana dovettero subire soltanto modesti amplia-menti.

La produzione e i consumi di ceramica ad Arezzo tra VIII e XI secolo sembrerebbero indicare in generale una semplifi-cazione sia delle varietà prodotte, sia nell’organizzazione delle officine (molto più frammentata rispetto al passato). La cir-colazione monetaria sembrerebbe decisamente modesta, come del resto in tutta l’Italia centro-settentrionale.

Nuovi forti segnali di dinamismo sono evidenti al Pion-ta nel corso dell’XI secolo, in coincidenza con alcune gran-di figure di vescovi e con i grandi cantieri diretti dall’ar-chitetto Maginardo (su queste fasi si veda Delumeau 1996, pp. 783-846, e Id. in questo volume; inoltre Molinari 2008). In città, tuttavia, le tracce più frequenti di nuove abitazio-ni di qualità si datano soprattutto al XII e XIII secolo (cfr. Mini 2009), quando venne anche costruita la nuova cinta mu-raria.

Considerazioni conclusive

Sebbene i dati a nostra disposizione siano ancora molto parziali, ci sembra che alcuni dei tratti salienti della vicen-da urbana aretina comincino a emergere in modo sufficiente-mente attendibile. In particolare la costruzione, nella seconda metà/fine del V secolo e completamente ex-novo, della pos-sente cinta muraria sembra un episodio di grande rilevanza nella storia della città. Per questa impresa di sicura commit-tenza pubblica furono probabilmente utilizzate maestranze specializzate di provenienza non locale. Ugualmente signifi-cativa è, all’incirca nello stesso periodo, la costruzione sul-la collina del Pionta, a circa un chilometro dalle mura, della grande aula funeraria costruita probabilmente da maestran-ze locali, influenzate tuttavia dal grande cantiere delle mura urbiche. Questi episodi parrebbero rilanciare o comunque essere significativi della nuova centralità di Arretium rispet-to anche alle classi aristocratiche, che sembrerebbero aver in precedenza preferito le residenze rurali e il rapporto diretto con gli apparati di governo imperiali. Non siamo purtroppo in grado di seguire da vicino il processo di cristianizzazio-ne degli spazi, poiché ci è ignota la collocazione della catte-drale paleocristiana. Possiamo tuttavia sottolineare come dal V secolo si vada fortemente intensificando la frequentazione dell’area del Pionta, luogo di sepoltura di san Donato, secon-do vescovo di Arezzo. La defunzionalizzazione degli antichi spazi pubblici come l’area del complesso teatro-foro-terme sembrerebbe essere testimoniata dal suo uso funerario, con tombe alla cappuccina in una fase precedente rispetto alla costruzione delle mura urbiche.

In linea generale, la conformazione “bipolare” della città, con un’area urbana fortificata piuttosto ristretta e comunque molto meno estesa rispetto al periodo classico e un’area fune-raria con la presenza di una sepoltura venerata e comunque con forte valenza religiosa, parrebbe riportare a modelli urba-ni meglio conosciuti in Europa settentrionale, come il noto e ben studiato caso di Tours (cfr. Galinié 2007). Bisogna però dire che questo modello potrebbe non essere isolato, anche in Toscana, e ricordare in parte le sorti di città come Siena (Can-tini 2004) o Fiesole (cfr. ad esempio Gelichi 1999, pp. 45-58).

L’ingresso di Arezzo nell’area sotto il controllo longo-bardo non sembrerebbe aver comportato modifiche sostan-ziali nell’assetto urbano complessivo. La novità più vistosa è rappresentata dagli usi funerari con la chiara presenza di un probabile cimitero con inumati con armi in una zona non occupata da necropoli più antiche. Questo dato, e la proba-bile contemporanea presenza della ben nota tomba infanti-le con ricco corredo del Pionta, parrebbero essere significa-tivi di un’iniziale conflittualità e competizione tra le diverse componenti della popolazione aretina.

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Il ritrovamento al Pionta della capanna in “tecnica mista”, databile al VII, rappresenta purtroppo ancora un caso isola-to. Le sue caratteristiche costruttive non sembrerebbero tut-tavia riportabili a modi di abitare alloctoni, ma rientrare nella più generale tendenza alla semplificazione dei saperi tecnici e della qualità delle abitazioni. È tuttavia evidente che l’area del Pionta, oltre a continuare a essere un importante luogo di sepoltura, era chiaramente abitata.

La conflittualità esistente nella comunità cittadina parreb-be esser superata grazie al ruolo svolto dal vescovo e dalla devozione per san Donato. Non sembrerebbe casuale che lo spostamento della cattedrale sia avvenuto al Pionta non pri-ma della fine del VII secolo e gli inizi dell’VIII, quando venne anche elaborato il testo della più antica Passio di San Dona-to a noi giunta. La relativa modestia dell’edificio della nuo-va cattedrale altomedievale, per lo meno per quanto riguarda la sua estensione e articolazione planimetrica, farebbe pensa-re che anche a questo livello cronologico la principale funzio-

ne di “cura delle anime” possa essere stata svolta da un altro edificio, come ad esempio la pieve di Santa Maria, più pros-sima all’area urbana. Questa peculiarità di Arezzo potrebbe avvicinarla al caso di Imola, con un ruolo analogo della plebs civitatis rispetto alla sede vescovile spostata anche in questo caso nel luogo di sepoltura di san Cassiano (cfr. Ronzani 1990).

Fino al VII secolo Arezzo, pur essendo quasi totalmente priva di ceramica di importazione, può contare su produzio-ni locali eseguite con buona tecnica e con un repertorio mol-to articolato e relativamente standardizzato. Dall’VIII secolo le produzioni locali sembrerebbero decisamente semplificate, sebbene ancor prodotte in modo professionale. La circolazio-ne monetaria sembrerebbe relativamente sostenuta fino forse al VI secolo, per poi seguire gli stessi trends noti per l’Italia centro-settentrionale.

L’età carolingia è nel complesso quasi sconosciuta sotto il profilo materiale, mentre parrebbe evidente la forte ripresa dell’XI secolo, ma soprattutto dei due secoli successivi.

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re f e r e n z e il l u s t r A z i o n i

Figg. 1-2. Elaborazione grafica A. Mini; Fig. 3. Disegno A. Mini, C. Ornaghi; Fig. 4. Elaborazione grafica S. Amerighi. Tav. V. a) e c): foto A. Mini; b): foto dell’Autore.

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