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Architettura in quanto immagine: spazio contro tempo

Feb 04, 2023

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Scena a sei minuti dall'inizio del film Solaris (1972) diretto da Andrej Tarkovskij

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Fabrizio Gay

Architettura in quanto immagine:

spazio contro tempo

Tema e tesi - Per chi studia le tecniche di figurazione nella pratiche progettuali trat- tare il tema della "visualith" come rispondere a una domanda che suona provo- catoria: ((dimmi cosa vedi e come lo rendi visibile, e ti dirb chi sei)). Si pub rispon- dere obliquamente o direttamente, ma ogni risposta presuppone sempre una qual- che "teoria delle immagini", sia essa inconsapevole o solo implicita, oppure esplici- tata; io ne esplicito una, senza farne una questione di filosofia dell'immagine. Specifico il tema della "visualitA" nella questione della "efficacia delle immagini" in architettura o, meglio, delliefficacia dell'architettura "in quanto immagine". Considerando un'architettura "in quanto immagine" mi riferisco da un lato all'im- magine intrinseca di una costruzione - la sua "iconicith" o fattura - e dallialtro lato alla sua immagine estrinseca, cioe al come essa "si dA socialmente a vedere" partecipando alla circolazione e ai generi delle immagini. Questi due lati di una medesima realth sono generalmente colti in modo schizofrenico; teorie di tipo feno- menologico e morfologico guardano solo al volto intrinseco dell'architettura "in quanto immagine", mentre il suo volto estrinseco 6 inquadrato da teorie storiche e antropologiche della cultura visuale. Questi due punti di vista sono 'ulteriormente dissociati e confusi nella letteratura nostrana sulla "rappresentazione" dove si con- fondono spesso tra loro le nozioni di "immagine" e di "rappresentazione", per

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quanto i due termini siano sinonimi solo raramente. Il termine "IMMAGINE" (image) indica sia le diverse salienze percettive - a prescinde- re dal canale sensoriale di provenienza - sensibili e intelligibili che sono materia regolativa del nostro stesso pensare, sia delle concrete realt2 sensibili (pictures), fisi- camente obiettivate, - iscritte in supporti espressivi fisici: piani o solidi, elettroma- gnetici, ottici, chimici, ... - e non incorporate (a differenza delle prime) nelle nostre memorie carnali. Invece con "RAPPRESENTAZIONE" s'intende sopratutto l'atto di ripor- tare qualcosa al presente e in presenza, in immagine, in segno, in testo, in oggetto o in scena, attraverso una pratica necessariamente interpretativa e simbolica. Ne segue che le immagini si possono usare anche - ma non solo - "come" rappresen- tazioni se assunte da pratiche codificate (simboliche), socialmente condivise; ma quest'uso contingente non riduce definitivamente le immagini a rappresentazioni, ci06 a segni o simboli, convenzionali o motivati che siano. Quindi, qui userd i termini "immagine" e "rappresentazione" distintamente, per indicare due diversi "momenti" e due distinti "ambiti" della visualit2, intendendola sia diacronicamente (come "processo"), sia sincronicamente (come "sistema"). - ~oltajcome "processo qenerativo"1la visualit2 i? intesa qui come un fenomeno che ha due momenti o stadi assai diversi: quello delle "IMMAGINI" e quello delle "RAPPRE-

SENTAZIONI", vale a dire, 1) quello dell'esperienza (sempre iconica e morfologica) del- l'immagine, e 2) quello dell'esperienza simbolica e codificata, della rappresentazio- ne. - Coltalcome "sistema"] o "paradigma" la visualit2 i? intesa qui come la RETE DI RELA-

ZIONI RECIPROCHE in un corpus d'immagini di una data cultura visiva; la si intender2 parzialmente modellizzata e analizzata attraverso la costruzione di ATLANTI ICONOLO-

GICI (56) e di altri fondamentali impieghi delle tecniche di montaggio di immagini. Tenterb di mostrare che queste tecniche di montaggio non riguardano solo la pro- duzione dei diversi MEDIA VISUALI, dal CINEMA (51) al DIAGRAMMA (53), ma concerno- no anche la costruzione ~~~I 'ARCHITETTURA e ~~~I 'AMBIENTE in quanto immagine (§

2, 4 e 5); di conseguenza, sostengo che il loro studio i? motivo di rilevanza degli studi sulla rappresentazione condotti nelle scuole di progettazione. Spostandosi dalla "rappresentazione" (immagine codificata referenzialmente) all'immagine tout court (iconicith) questo settore di studi si potr2 qualificare come una vera e propria MORFOLOGIA DELL'AMBIENTE COSTRUITO.

51. Cinema: tempo contro tempo Gli studi sull'immagine assomigliano un po' alla "solaristica", una fantomatica

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scienza inventata dallo scrittore polacco Stanislaw Lem nel suo romanzo pià celebre - Solaris (1961) - nel quale egli fa una sorta di caricatura fantascientifica del pote- re ILLUSIONE REFERENZIALE delle immagini prendendo alla lettera la constatazione che, per esempio, ne faceva I'Alberti nel De Pictura: çTien in s# la pittura forza divina, non solo quanto si dice dell'amicizia, quale fa gli

uomini assenti essere presenti, ma pià i morti dopo molti secoli essere quasi vivi, tale che con molta ammirazione dell'artefice e con molta voluttà si riconosco no.^

Nel romanzo, per questo loro potere ra[p]presentativo, alcune immagini .assumono la forma di fantasmi antropomorfi, di "ospiti" che danno corpo fisico oggettivo -a tracce mnemoniche - come engrammi esteriorizzati in ologrammi - affettive di cia- scuno dei tre scienziati astronauti che abitano l'unica stazione fluttuante nell'atmo- sfera del pianeta Solaris. La vicenda à narrata in prima persona dallo psicologo Kris Kelvin - l'ultimo dei tre inviato dalla Terra per comprendere la natura di Solaris - e, attraverso di lui, à la storia di uniesplorazione che diventa progressivamente intro- spettiva. Kris affronta inizialmente la presenza degli "ospiti" esercitando il dubbio cartesiano sulla realt2 delle proprie percezioni; passa poi all'indagine fisica della sot- tile materia ("neutrini") di queste presenze fatte "a immagine" della sua memoria e - dismettendo Cartesio per Freud - affronta lo sgomento dei ritorni delle vive "immagini" di sua moglie Harey suicidatasi anni prima dopo un litigio. Alla fine Kris giunge finalmente ad accettare il sentimento di attesa che prova per le visite di una Harey tanto viva e verosimilmente cosciente da condividere il suo stesso sgomento per l'immagine, trattandosi di una Harey consapevole di essere un'immagine - un idem e non l'ipse - tanto da voler ripetere un suicidio che, tuttavia, non potr2 impe- dirne un'eventuale resurrezione. Attraverso la presenza ineluttabile (e luttuosa) degli "ospiti" Lem c'interroga sul come consideriamo un corpo "in quanto immagine" e, nella sua finzione-scientifi- ca, egli ipostatizza il "corpo dell'immagine" in una sorta di engramma fisco, obiet- tivato, plasmato a distanza dalla fantomatica materia intelligente dell'oceano che ricopre interamente il pianeta Solaris. Quest'oceano, anche osservato dalla finestre della stazione, à continuamente performante, & materia che si plasma al contatto del corpo o dalla memoria umana, producendo concrezioni dette "mimoidi". Lem lo descrive come se fosse una sorta di "cervello esteriorizzato", facendo con questa finzione una sorta di caricatura didattica (anticipata di un decennio ma giA ironica) di quelle teorie psicologiche dell'immagine come "rappresentazione mentale" (Marr, Nishihara, Hoffman, Biederman, Richards) che descrivono la nostra memoria come imitativa e capace di ritenere nozione degli oggetti esterni more geometrico,

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in forma di strutture di "ioni geometrici" detti "geoni": entita che quelle stesse teo- rie (ancora oggi) non sono concordi se intendere di natura iconica, oppure linguisti- ca, o astrattamente concettuale. Ma nel romanzo la noiosa sterilith di questo punto di vista mentalistico e psicologistico 4 compensata dal racconto verosimile del trava- glio esistenziale che porta Kris a non chiedersi pià "che cosa sono" le immagini ma "cosa ci valgono". à questa la domanda pià significativa e che - assai meglio del romanzo - fa brillare la prima versione cinematografica di Solaris, quella di Andrej Tarkovskij, uscita nel 1972 e detestata da Lem. Anche la vicenda narrata (con effetto pià intenso) da Tarkovskij si conclude con l'escursione di Kris su un'isola "mimoide" nell'oceano di Solaris. Ma nel Solaris sovietico quest'isola "mimoide" diviene immagine di pià pre- cise forme iconiche; ripete esattamente il luogo della scena iniziale del film: il terre- no rigoglioso dello stagno alberato dove Kris, all'inizio del film, s'incammina rag- giungendo l'adiacente dacia paterna e suo padre in un'atmosfera densamente umida (tagliata solo dal fumo dell'autodafà degli scritti e delle foto di Kris) ma tutta segnata da immagini di vita vegetante nell'acqua e dal sopraggiungere della piog- gia della quale il protagonista s'imbeve indugiando sul terrazzo, come pesce in un acquario. Nella scena finale Kris ripercorre esattamente quei passi iniziali nella stes- sa andatura accompagnata del medesimo Preludio al Corale Ich ruf'zu Dir, HerrJesu Christus (BWV 639) nella versione all'organo che apre il film. Ma questa volta, il suono a passi liturgici dell'organo ripete il brano bachiano trasfigurandosi lentamen- te attraverso un sintetizzatore fotoelettrico che ne moltiplica progressivamente lo spazio timbrico, fino a raggiungere una crescente dimensione orchestrale e corale, estatica, imbevuta di suoni atmosferici e squillanti. Poi un silenzio di fronte alla dacia 4 rotto dall'ansimare del cane che corre incontro a Kris. Sembra ripetersi la stessa scena iniziale, ma non piove; Kris cammina inquadrato dall'interno della finestra della dacia mentre si awicina e (curioso) si accosta al vetro constatando che una pioggia leggermente fumante cade solo all'interno della dacia (!?) dove vede suo padre (in abiti fradici) incrociandone poi lo sguardo. L'interno e l'esterno della dacia presso Mosca si sono dunque scambiati di ruolo ~~~I 'ATMOSFERA acquosa e tiepida, mentre si accende un suono sintetico a variazioni microtonali. Sulla soglia di quello spazio s'incontrano il padre e il figlio, il quale, salendo i quattro scalini della porta di casa, cade in ginocchio e abbraccia le gambe del genitore. Con l'immagine di quest'antico GESTO di "prostrazione su una soglia" il film si chiu- de arretrando progressivamente il punto di vista verso l'alto, con un movimento a dolly obliquo e curvo, poi aereo, dove l'immagine dello stagno si confonde con

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quella analoga dell'oceano sintetico di Solaris, in concomitanza all'intensificarsi sin- tropico della musica sintetizzata, come se l'immagine dell'acqua "biologica" e acu- stica (all'organo) evaporasse in quella delle idrometeore fumanti che awolgono il pianeta sintetico. Il Solaris di Tarkovskij mostra un "ritorno a casa", come se il tempo in realth non fosse veramente trascorso per Kris ma solo negli altri intorno a lui; & un ritorno che leggiamo inevitabilmente a confronto con quello di 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick (1968), almeno nelle loro ambizioni filosofiche che ne fanno due racconti di un'esplorazione esteriore (spaziale) che si converte in introspezione (tem- porale), due grandi opere visuali che si sono emancipate dall'emblematica ingenua delle loro fonti letterari: la "mente" ipostatizzata nell'oceano di Solaris o nel "monolito nero". l due film hanno anche una certa importanza per gli studi visuali in architettura. Tra le due, I'Odissea di Kubrick forse la pià verosimilmente "visionaria"; alcuni l'han- no vista anche come una sorta di profetica rivista di architettura degli interni del "2001 ", con tanto di tablet computere tentativo di ritorno al ventre materno in una pre-postmoderna stanza d'albergo deluxe in stile secondo impero. Invece il "ritor- no" di Tarkovskij & "a casa", in ~~""ATMOSFERA" resa ancora pià densa grazie al rovesciamento (topologico) del "dentro" nel "fuori", come se l'ambiente della casa avesse percorso un tempo (chiuso, unilatero, non orientabile) pensato come un nastro di Moebius o un piano proiettivo, cosà che, a ogni ritorno al punto di parten- za, interno ed esterno risultino scambiati. Pià che questo poco significativo espediente topologico, ai fini del nostro tema Solaris mostra che:

Insomma le immagini sono insieme "FORZA" e "FORMA" e, cosà come in fisica non si decreta cos'à una "forza" ma la si definisce esattamente attraverso i suoi effetti e le sue condizioni, anche nel tentare il tema dell'architettura "in quanto immagine" non & importante cominciare col chiedersi "che cosl& l'immagine" e "cosl& l'archi- tettura", ma osservare gli EFFETTI che fanno.

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52. Percorsi: tempo contro spazio L'approccio all'architettura in quanto immagine era già cinematografico ben prima della diffusione del cinema. Cinematografica & la celebre analisi della composizione delllAcropoli ateniese che Auguste Choisy offre nella sua Histoire de l'architecture (1899), opera che resta la pià nitida morfologia storica dell'architettura descritta attraverso i procedimenti tecnologici e costruttivi, con la migrazione di alcuni tipi strutturali e motivi decorativi tra diverse civiltà e ambiti sociali. Choisy & il pià con- creto tra gli storici della costruzione architettonica, un anatomista ed etnografo del costruito che aveva affrontato la dimensione tecnica dell'architettura in quanto immagine giA nel suo precocissimo (1865) studio dei "correttivi ottici" nell'arte degli Antichi, intesi come dispositivi di compensazione degli effetti ottico-prospettici [compensation des erreurs visuelles] e dunque costituenti una sorta di "geometria dell'immagine architettonica". Ma il suo contributo pià puntale a questo tema lo offre nel paragrafo dell'Histoire dedicato a Le pittoresque dans l'ari greci) (t. I, pp. 409-422), dedicato alla descrizione delllAcropoli di Atene in epoca periclea (compa- rata al suo stato precedente l'occupazione persiana del 480) riscontrandovi che ((le apparenti dissimmetrie non sono che un mezzo per conferire il pittoresco a un grup- po di architetture nel modo pià sapientemente ponderato che mai fu.)) (t. I, p. 413) La composizione delllAcropoli ateniese & dunque indicata come l'esempio antono- mastico del "pittoresco", nozione che, per Choisy, significava due cose: a) un tec- nica di valutazione visiva della composizione e b) un effetto (sensazione) di stabilitA dinamica nella visualita architettonica e paesaggistica. "Pittoresco" e sinonimo di "immagine efficace", intendendo "immagine" in termini morfologici e percettivi, come rapporto tra "forme" e "forze" (salienze e pregnanze) che diremmo giA "gestaltiche". a) Come tecnica [arfifice] di valutazione compositiva intendeva il pittoresco come esemplificato dal genere della pittura di paesaggio, nei termini in cui poteva essere usata della coeva "arte dei giardini paesaggistici"; attuata attraverso "inquadratu- re" [tableaux] colte dall'occhio di uno spettatore in movimento lungo i percorsi obbligati dall'orografia del sito, o indotti dal programma di un rito, o incentivati o inibiti da attrazioni e repulsioni plastiche o figurative. Queste attrazioni e repulsioni

dano lo spazio visuale, soprattutto attraverso le loro FORZE PLASTICHE (gestaltiche) e

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la loro FISIONOMIA FIGURATIVA.

Il pittoresco era dunque una tecnica destinata a valutare essenzialmente i pesi pla- stici dei corpi nello spazio visuale percepito da un concreto spettatore empirico secondo quel principio della "pondératio des masses visuelles" che divenne tipico della tradizione Beux-Arts della composizione urbana e architettonica; una teoria dell'immagine architettonica che si compie dettagliatamente nei volumi del trattato di Lurcat: Formes, composition et lois d'harmonie: élémen d'une science de l'esthétiqu architecturale < 1 953-56). Ma, intesi nel loro senso dinamico, i grafici di Choisy spiegano la composizione dell'Acropoli ateniese attraverso un "montaggio di inquadrature", in una sorta di "storyboardi' cinematografico; e come tali quei grafici sono riprodotti da Le Corbusier fin dalle pagine di Vers une architecture (1923) proprio per introdurre chiaramente la sua nozione di "promenade architecturale", intesa come "immagi-

b) La descrizione delliAcropoli di Choisy costituiva una definizione del "pittoresco" in quanto "effetto", spiegato dalliingegnere francese proprio in questi termini mor- fologici e percettivi. <Ogni motivo architettonico preso in sà à simmetrico, ma ogni gruppo à trattato come un paesaggio ove solo le masse si ponderano. Cosà procede la Natura: le foglie di un platano sono simmetriche, ma l'albero à una massa equilibrata. La simmetria regna in ciascuna delle parti, ma l'insieme à sotto- messo alle sole leggi d'equilibrio del quale il termine "ponderazione" significa sia l'espressione fisica, sia l'immagine. Se ora ripercorressimo la serie dei quadri [inquadrature] che l'Acropoli ci ha offerto, senza eccezioni noi li ritroveremmo combinati secondo la [nostra] prima impressine [visiva ricevuta]. [perché t' a questa prima impressione che i nostri ricordi ci riportano inevitabilmente. I Greci cercavano, prima di tutto, di renderla favorevole.~ (ivi, 41 9) A questa questa definizione gi3 gestaltica del "pittoresco" Choiiy faceva seguire le precise istruzioni per ottenerne l'effetto efficace, esprimendole in termini che potremmo dire giA di "regia cinematografica".

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K 7 O - Ottenere l'unità d'effetto facendo dominare in ciascuna delle inquadrature che si succedono un motivo principale unico; 2' - Organizzare [i percorsi per ottenere] generalmente le viste d'angolo, usando la vista frontale [simmetrica] solo come un espediente d'impressione eccezionale; 3' - Stabilire tra le masse un equilibrio ottico che concili la simmetria dei contorni con la varietà e l'imprevisto dei dettagli. à (ivi. 420).

Sergej EjzenStejn nella sua Teoria generale del montaggio (1932), citava (trad. it. 1985, pp. 78-87), e sviluppava questa breve analisi compositiva delllAcropoli atenie- se, usandola come esempio del passaggio dalla "messa in scena" teatrale (nel sito) alla "messa in inquadratura" cinematografica (nel percorso) attraverso la dinamica della "profilatura" (angolazione di presa rispetto al soggetto) e del "taglio" (sele- zione dei tratti significanti) dell'oggetto inquadrato. Egli afferma che l'architettura 6 la progenitrice del cinema poichb si costruisce come "messa in scena"; (*2.1) archi- tettura e citth hanno dimensione intrinsecamente teatrale, in quanto costruzioni drammaturgiche e sociali dello spazio (sospendendo il tempo), come se l'azione drammaturgica fosse la stessa contesa spaziale (plastica e figurativa) che si manife- sta tra corpi di diversa fisiognomia e postura. EjzenStejn, lavorando sostanzialmen- te sull'efficacia espressiva delle immagini, trovava nell'architettura e nella citth (colte nella loro dimensione intrinsecamente teatrale) il medium forse pià stabile (fisica- mente e storicamente) della visualitA sociale. In modo del tutto analogo, per Le Corbusier il breve "storyboard" ateniese di Choisy forniva l'esempio di analisi che gli consentiva di mettere su uno stesso piano comparativo le grandi "scene" monumentali di diverse civilth, dal Campo dei Miracoli di Pisa alla Piazza Rossa moscovita, o (pià tardi) al suo Campidoglio di Chandigarh. Si trattava sempre di una dimensione di "rappresentazione" teatrale, dunque espressa in termini pià direttamente narrativi e figurativi, forse pià pregnan- ti di quelli "psico-percettivi" introdotti, per esempio, da L'immagine della cittd di Kevin Lynch (1960), e, grazie a questa concreta "figuralith culturale" dello spazio, l'architettura curbusieriana poteva forse awicinarsi meglio alliideale di "stile tragi- co" - il superamento di ogni stilistica - che Le Corbusier trovava indicato in Nietzsche. In ogni caso, recepite da EjzenStejn e da Le Corbusier, quelle. righe di Choisy aveva- no soprattutto il merito d'indicare la tecnica della "inquadratura" (*2.2) come mezzo progettuale di "MONTAGGIO" DRAMMATURGICO usato anche per l'architettura e la cittA; ma l'orizzonte estetico dell'ingegnere francese resta diverso da quello delle

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avanguardie storiche (costruttive) degli anni Venti. Mentre la tecnica della "pond4- ration des masses visuelles" sembrava puntare a un effetto spiegato da "Iok d'har- monie". all'opposto, uno "SHOCK CRITICO" non ricomposto (destabilizzante) che hanno di mira le pratiche del collage e del fotomontaggio inaugurate dalle avan- guardie dadaiste (prima) e surrealiste (poi) basate sul prelievo di materiali visuali frammentari ed eterogenei (provenienti da ogni genere d'immagine) ricomposti in una nuova costellazione capace di manifestare un nuovo senso e, dunque, di ridefinire le categorie tradizionali degli oggetti; cosà come, per esempio, Le Corbusier ricategorizza la "casa" o il "Partenone" accostandovi le immagini di- automobili, aerei e piroscafi. Rispetto a Choisy, EjzenStejn e Le Corbusier avevano ormai una chiara consapevo- lezza della possibilith di ricostruire visivamente analogie e contrapposizioni catego- riali, sopratutto conoscevano la portata delle tecniche di RIASSEMBLAGGIO - dagli objets trouv4s e ready-made, fino agli ibridi surreali e agli OGGETTI TROPICI - intensa- mente sperimentati nelle coeve arti visive, mentre la teoria formalista aveva ormai definito il principio dello "SPAESAMENTO SEMANTICO" proprio come "effetto" del pre- lievo di materiali da provenienze estranee - da diversi media, generi testuali e stili morfologici - e del loro rimontaggio come parti di in un nuovo "tutto" capace di liberare in queste sue "parti" quelle valenze espressive che giacevano neutralizzate nei loro contesti originari; in breve:

*2.3 il mondo cambia mettendo insieme due cose che insieme non sono mai state.

53. Diagrammi: diacronie sinottiche (1) l dispositivi compositivi descritti da Choisy sono lontani dallo sperimentalismo criti- co delle avanguardie novecentesche avventurate nella ricerca di una nuova leggibi- litA e visualitA del mondo "rimontato" nell'immagine costruita ad arte; tuttavia EjzenStejn trovava gih nei brevi passi dell'ingegnere francese citati sopra l'espressio-

ALIENTE funziona comi so media diversi qu

ettur

Quasi tutti i piccoli disegni, appena scarabocchiati, che accompagnano i testi di i

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EjzenStejn sono molto schematici, sono "diagrammi di forze", schizzi molto essen- ziali nel delineare solo quei pochissimi tratti che descrivono opposizioni espressive tra le immagini degli oggetti in gioco: innanzitutto opposizioni topologiche (inclu- dentelincluso, internolesterno, centrolperiferia), mereologiche (unolmolti, fusolcostellato, agglomeratolreticolare, ...) eidetiche (parildispari, continuoldisconti- nuo, rettilineolcurvilineo, . . .), cromatiche (saturoldesaturato, luminoso/buio), testu- rali (compattolporoso, ...). A queste opposizioni espressive EjzenStejn intende asso- ciare sempre omologhe opposizioni di contenuto timico (attrazionelrepulsione, euforicoldisforico) in modo che l'opposizione in immagine possa essere (poi) letta attraverso un contenuto tematico (naturalcultura, vitalmorte) e figurativo (rivoluzio- nelreazione, riscatto/oppressione, . . .) sul quale affida l'efficacia della sua comunica- zione propagandistica dove questi drastici schemi oppositivi giungono a iconizzarsi nella rappresentazione di un pezzetto di Mondo sulla pellicola del film. Per Ejzenstejn da un lato C'$ il piccolo schizzo diagrammatico che prescrive solo certi caratteri significanti delle forme che potrebbero tradursi in immagini successive, costruite da altri oggetti-immagine, usati da altre pratiche spettacolari, rappresen- tative, interpretative; dall'altro lato C'& il Mondo che si promette intelligibile proprio attraverso gli schemi sensibili. La schematicith e potenzialith espressiva dello schizzo confida proprio sulla possibilith per l'immagine artefatta di attraversare diversi GRADI

DI FIGURALITA (visualith) - dall'astrazione assiologica dello schema, alla concretezza materica della scena percorsa - e sul fatto che l'immagine in s4 stessa non e anco- ra rappresentazione, ma e il costituirsi di una "presenza coesa" in una certa "forma" (SALIENZA), che comporta una certa "forza" (PREGNANZA) e che pud consi- stere in materie sensibili differenti (non solo quella visiva, ma anche quella acustica, olfattiva, cinestetica ...). Lo schizzo per il cineastalarchitetto sovietico vale come uno schema di tipo "semi- simbolico" sufficientemente "generalizzato" (astratto) da potersi poi tradurre (ico- nizzare) in fotografia, scena, inquadratura, suono, durata, film, ..., o un altro tipo di OGGETTO-IMMAGINE connesso a una qualche pratica interpretativa. Il cinema vi e dunque inteso solo come una delle stratificazioni possibili dei media tradizionali, del teatro con la fotografia, la pittura e il disegno. Nel passaggio dalla "messa in scena" alla "messa in inquadratura" e in "sequen- za", lo SPAZIO TEATRALE DELL'ARCHITETTURA (a tempo congelato,.sincronico) si proietta nelle dimensioni ulteriori delle variazioni delle "durate" (tempi variabili in diacronie) prodotte attraverso il montaggio. k dunque l'operazione del montaggio che foggia lo spazio e il tempo dell'immagi-

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(come il So/aris di Tarkovskij) ci invita a si fa" con loro, e precisamente a cerce GIOCO in una data cultura visuale. l tema storiografico del "ritorno delle immagini antiche" nelle arti figurative riguar- da anche l'architettura. Anch'essa appartiene a quegli insiemi di storia che si chia- mano "Rinascimenti" proprio per sottolinearvi il "ritorno in vita" di presenze e valo- ri che sembrano uscire da una qualche latenza millenaria, magari da una latitanza clandestina nella quale le immagini si travestono e camuffano le loro fonti classiche. Ma quelle "fonti" sono definite "originarie" solo "a posteriori"; 6 il Rinascimento che inventa l'Antico ("il suo" Antico), quello che "rinasce" in lui, giacché

Dunque i "RINASCIMENTI" (le "tradizioni" delle immagini) sono diversi, anche se 6 in particolare l'architettura del Rinascimento - almeno per come la si intende manife- stata nel filone compreso tra l'opera bramantesca, raffaellesca e peruzzesca, e l'opera di Palladio - quella che manifesta pià evidentemente l'effetto che nell'arte di costruire si sia realizzato un "ritorno all'epoca d'oro" segnata delle forme dell'ar- chitettura romana imperiale, "come se" il TEMPO fosse ridiventato ciclico, come quello che reggeva le culture pagane e quello (naturale) che regge le culture (lette- ralmente) agricole. Il vasto fenomeno culturale di "ritrovamento" delle immagini antiche fu dunque (letteralmente) una "re-invenzione" (*4.3) e una "rivoluzione", nel senso geografi- co del termine: "giro completo" di una cosa intorno a un'altra. Specialmente l'ar- chitettura palladiana ci appare esattamente "rivoluzionaria" in questo senso, sia conservativo, sia avanguardistico. Dopo aver conosciuto le rivoluzionarie "tecniche di montaggio" (*3.3) delle avanguardie stor~che degli inizi del secolo scorso, si deve riconoscere che Andrea Palladio 6 un buon esempio d'architetto d'avanguardia; sopratutto perchà fu pià spregiudicato di un dadaista o di un surrealista nel costrui- re edifici composti ciascuno da pià "immagini" compresenti e provenienti da fonti architettoniche e da generi edilizi assai diversi: templi, chiese e case. Ma ai nostri occhi quotidiani il classicismo veneto cinquecentesco non sembra certo "trasgressi- vo", anche perchà 6 divenuto immagine di una regola planetaria e (oggi) l'insieme di immagini (tipi e modelli architettonici) eterogenee che formano ciascuno degli edifici palladiani o neo-palladiani appare "normalissimo", tanto da darci l'impressio- ne (storicamente assurda) che cupole ecclesiastiche, pronai templari, sale termali, insiemi absidali policonchi tardo antichi o medievali, .. ., siano sempre stati insieme.

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In effetti (*2.3) si cambia il mondo mettendo insieme due cose che insieme non sono mai state. Una volta ibridata la sala delle Terme di Tito con il granaio di un edi- ficio rustico domenicale veneto, con un palazzetto urbano e con il tempietto alle Fonti del Clitunno presso Spoleto, cio6, una volta composti questi ibridi nell'unith della Villa Foscari (la Malcontenta) tra salici ottocenteschi piangenti lungo il Brenta, nella nostra nuova cultura visuale non si vedranno mai pià come prima ne i salici, ne il tempietto spoletino e nemmeno la sala termale. Il loro senso 6 stato genealo- gicamente convertito in un altro. à solo a forza d'analisi filologica - attraverso un buon "atlante di architettura" - che si potranno distinguere gli ingredienti ritenuti "origina- ri" della composizione palladiana, per nominarne le fonti, per poterne leggere la stra- tificazione o l'esplicita citazione, le variazioni di forma e di materia, le ibridazioni. Ma l'architettura non 6 uno spettacolo riservato solo a pochi colti filologi perch6 al mondo non esistono menti vergini, sprowiste di categorie architettoniche, ambien- tali, paesaggistiche, mereologiche, morfologiche ... Nemmeno un non vedente 6 fuori dalla cultura visiva perch6 le immagini non si manifestano solo nella Sostanza ottica. Dunque anche il pià ingenuo dei passanti a Malcontenta lungo l'ansa del Brenta coglie, tra i salici, nella sagoma di villa Foscari la forza di UH'ATMOSFERA (* 1.1)

evocativa, oggettivamente ancorata a un corpo che sentiamo dotato di un qualche compimento formale in virtà del quale ci invita a farsi leggere. Anche il pià naif e ottuso dei perdigiorno di passaggio sul Canale della Giudecca, che dal finestrino del vaporetto traguardi casualmente la facciata della chiesa del Redentore, la vede necessariamente come un'impilata di immagini di pronai templari stratificati in pochi centimetri di pietra d'lstria. Chiunque veda quella chiesa, dentro e fuori la sente come un brulicare ordinato e gerarchico di immagini entro un solo e medesi- mo corpo plurale, almeno secondo quel fenomeno che in psicologia della percezio- ne si definisce "effetto Kanitsa". Tanto il soggetto "naturale" (l'inesistente beota) studiato dagli psicologi della percezione, quanto l'acculturato filologo (il memorio- so padrone dell'enciclopedia visuale dell'architettura) percepiscono l'immagine della macchina architettonica palladiana del Redentore come una salienza "polifonica", un'unith coesa di parti molteplici e, separatamente, polemiche. Che la leggano o non la leggano, quella chiesa 6 sempre "ascoltata" come un'immagine di "concor- dia discors" edificata in pietra, un'immagine che dispiega un racconto di visualith, o almeno chiede di essere letta da chi abbia curiosith, tempo e qualche competen- za per farlo, interpretando quanto vede con le immagini che sa.

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à questa una caratteristica saliente non solo dell'architettura palladiana, ma di tutta l'architettura;

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F Gay, esercizio di disegno dal vero della facciata della chiesa del Rede tenuto da Arduino Cantafora all'lstituto Universitario di Architettura di Venezia 1985

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l'evocazione di altre immagini. Dunque l'immagine (* 4.4) pià efficace non 6 quel- la che brilla tra le pure eccezioni (la cieca originalith degli stilisti per polli), neppure quella che segue i pedissequi stereotipi atopici degli spazi globalizzati in franchising; 6 invece quella che si nutre della concreta ricchezza della cultura visuale degli inse- diamenti umani, del "luogo". Le architetture capaci di far tornare in vita le immagi- ni (*l .3) sono quelle che non dovrebbero aver bisogno di dare nell'occhio; anzi, direi che sono spesso quelle che nemmeno si notano perchk sono pià importanti dei loro autori occasionali e perchk la loro immagine ci awolge ambientalmente e quo- tidianamente come AT ATMOSFERA (* 1 .l).

55. Teatro: spazio contro tempo Ad esempio; credo siano ben pochi tra coloro che, parcheggiando l'automobile in Piazza Castello a Terni, vi notano il lungo fronte continuo di due unita edilizie in linea a tre piani, a uso residenziale e commerciale; pur vedendolo, forse, non lo apprezzano come opera di un architetto realizzata nei primi anni novanta del seco- lo scorso. E tra coloro che lo notassero, credo che molti si stupirebbero nel sapere che l'architetto in questione 6 il medesimo autore di una precoce (1962) e sagace monografia - URSS architettura 1917/1936 - sulle eroiche avanguardie costruttivi- ste sovietiche, 6 uno tra i primissimi fautori della diffusione italiana dell'architettura "Pop" di Robert Venturi e di James Stirling, nonche il pià autorevole tra gli studiosi di Andrea Pozzo e dell'immagine architettonica e urbana barocca. Se con l'aggetti- vo "barocco" indichiamo l'attitudine ad agire la "teatralita" costitutiva dell'architet- tura e della citta realizzate e vissute, allora potremmo dire che Vittorio De Feo 6 stato uno tra gli architetti barocchi della seconda meta del secolo scorso. La sua pre- dilezione per una visualita ricca ma senza sprechi, essenziale, quasi neorealista, lo ha portato spesso a sperimentare l'architettura attraverso la manipolazione di immagini stereotipe, a studiare le avanguardie costruttiviste e le neoavanguardie pop e concettuali, ma anche a disegnare un edificio di retroguardia, bruttino, come quel palazzetto di Terni che sembra costruito negli anni Quaranta del Novecento da un onesto capocantiere pià che da un colto architetto e storico dell'architettura. Per apprezzare l'architettura di quell'edifico ternano bisogna sentire la sua ATMOSFE-

RA neo-umanistica (* 1 . l ) e quell'immagine "deontologica" dell'architettura urbana di questa piccola citth ("Ridolfigrad"). L'immagine "neo-umanistica" vi e affidata da accorgimenti modestissimi, quasi infi- nitesimali; e per coglierli bisogna avere il tempo di lasciar tornare le immagini. Allora, nel luogo in cui ci aspetteremmo che una facciata proto-rinascimentale di

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palazzo nobiliare vorrebbe una "trabeazione d'impostai' per una serie di finestre arcate (che qui non ci sono), vediamo nel posto di quella "trabeazione fantasma" solo i segmenti di una sottile cornice in pietra, tesi negli intervalli murari tra le spal- le di strette finestre rettangolari, entro semplici fori rettangolari di un muro intona- cato al secondo piano di quella lunga facciata convessa che non si vergogna di esse- re quasi banalmente simmetrica, tanto da segnalare (ironicamente?) il suo piano sagittale col tubo di un pluviale. Nessun autore conosce fino in fondo le proprie intenzioni, ma quando'in un proget- to si puà ragionevolmente cogliere un sintomo dell'ironia che accompagna il corag- gio di apparire banali, allora si puà supporre nel progettista un'agiata padronanza dell'architettura in quanto immagine. A volte, come ultimo tocco nel concludere un progetto, Roberto Gabetti consigliava l'aggiunta di ((qualcosa di cretino)) allo scopo di ((demistificarne l'immagine)), per mostrare, attraverso un piccolo dispositivo di straniamento brechtiano, che la visualitA in architettura 6 sempre "TEATRO".

Questo 6 il punto; la visualita specifica dell'arte di costruire, cioh l'architettura in quanto immagine", 6 "TEATRO" (*2.1), si da in un rito (una pratica perfezionata *4.2) teatrale, anche per chi intende il "teatro dell'architettura" come un rito senza ironie, magari sacrale o religioso, oppure come un rito civile e politico, sociale e impersonale - come vuole Il nome segreto dell'architetto di Fernand Puillon -, o come uno struggente rito poetico, come vuole la maestria materico luministica di Francesco Venezia. In ogni caso si tratta sempre di pietre che restano e immagini che tornano, anche se assai diversi tra loro sono i modi di evocare le immagini nel gran Teatro del mondo. Sono certo innumerevoli i modi di trattare le immagini in architettura, ma - per quanto ciascun architetto e ogni storico dell'architettura e della cittA abbia una pro- pria pratica di immaginazione, concretamente esercitata attraverso la manipolazio- ne delle immagini - l'ammettere una "istanza teatrale" (*4.2) nell'arte di costruire lo spazio insediato 6 come ammettere che C'& un "sapere condiviso" delle immagi- ni (*4.1 ,*l .2). In questa ipotesi si rivela decisiva l'idea warburghiana che le imma- gini formino un sapere socialmente condiviso ( * l .2) e che esse si definiscano solo nelle loro reciproche relazioni (*4.1) . Ma con c i ~ non s'intende certo affermare che le immagini siano sempre "rappresentazioni" o che formino sempre un "sistema" nella forma codificata (simbolica) di un "linguaggio" o di una "iconografia". Liconologia delliultimo Warburg non 6 un'iconografia o un atlante di allegorie; & 'interminabile ricerca di una MORFOLOGIA (in senso goethiano) delle immagini usate dalle arti figurative e dagli altri riti visuali.

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56. Atlanti : diacronie sinottiche (2) l montaggio di immagini (PICTURES) (*3.3) pub essere usato per interpretare e analiz- zare le immagini, e non solo per costruirle; anzi, l'immagine come contenuto icasti- co (IMAGE) si lascia interpretare genealogicamente solo attraverso il tessuto relazio- naie di immagini (PICTURES) (*3.3,*4.1) entro una data "cultura visuale".

quanto mostra l'interminabile progetto di un atlante - il Bilderatlas Mnemosyne - col quale l'ultimo Aby Warburg cercava di tracciare le reviviscenze delle immagini (forme di contenuto patemico) nella cultura europea attraverso relazioni tra PICTURES

(concrete espressioni visuali) antiche e moderne, accostando fotografie di opere d'arte figurativa, d'architettura, di stampa , ..., su grandi schermi (o tavole) di tela nera fissati a cornici di legno. La forma delle tavole del Bilderatlas non e certo pre- scritta dalle categorie di una tassonomia iconografica o da una tipologia date a prio- ri, ma segue lo stesso principio di "buon vicinato" col quale Warburg aveva dispo- sto i libri della sua biblioteca. Nell'atlante Mnemosyne le immagini si spiegano mon- tando immagini (*4.1) e le diverse forme categoriali dei nessi tra immagin'i corri- spondono a forme di montaggio (*3.3). I nessi tra le immagini dell'atlante (come tra i libri della biblioteca warburghiana) vi rispondono a categorie guadagnate sul campo, rintracciate di volta in volta in un itinerarium mentis che mira solo alla posta in gioco nominata dal tema di ciascuna tavola. Cosi, a seconda delle loro "relazio- ni" (in serie) e "correlazioni" (in tavola e tra tavole), ognuna di quelle fotografie pub comparire o a titolo di occorrenza (TOKEN) di una precisa serie tipologica (TYPE), o come miglior esemplare (PROTOTIPO) di una fila naturalistica, o come episodio (termi- ne neutro) quasi casuale e banale di un qualche AGGREGATO indefinito di immagini. Il Bilderatlas ha la forma della memoria; cosi, se viste sinotticamente, le categorie che vi reggono l'accostamento di immagini hanno solo il debole statuto delle (witt- gensteniane) "SOMIGLIANZE DI FAMIGLIA": al limite, esse associano ogni singola cop- pia d'immagini per un tratto distintivo diverso da quello che le lega ad altre. In questr"aria di famiglia", solo a posteriori, possono prendere forma delle SEQUENZE,

dei vaghi AGGREGATI, eventualmente anche dei PHILA e delle serie tipologiche d'im- magini a DIVERSI GRADI DI FIGURALITA (*3.2). l Bilderatlas e dunque una sorta di "super diagramma" (53) e un'inconcludibile "teoria delle immagini" dove la parola "Teoria" ritrova tutto il suo senso concreto (((non pensare, guarda!))); percib si offre anche come esempio di "teoria" e di "tec- nica" (di mappatura per montaggio) negli studi sulla rappresentazione coltivati nelle scuole di progettazione, almeno di quelli interessati a elaborare una MORFOLOGIA (in Senso goethiano) AMBIENTE COSTRUITO.

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Quest'ipotesi non intende confondere tra loro i mestieri dello storico dell'arte, del- 'antropologo, del museografo, dell'architetto, del regista ..., ma ritiene che, in qualche e diverso modo, essi condividano la pratica del montaggio sinottico di immagini a origine diacronica (*3.3) e, percib, condividano talora anche un effetto di sospensione del tempo o di COMPRESENZA DI TEMPI DIVERSI. Attraverso il montaggio si rende visibile un pezzetto di quella - solo postulata - "enciclopedia visuale" di una cultura, sia "mettendolo in testo" nella composizione di atlanti, sia "mettendo- lo in scena" (*2.1) nella composizione di stanze museali, domestiche o urbane, attraverso quel quotidiano lavoro di drammaturgia spaziale compiuto nella disposi- zione di oggetti compresenti in uno spazio fisico e rituale (in case, cittA e musei). Sono proprio questi spazi contesi (*2.1,*4.2) quelli che arricchiscono concretamen- te una data cultura visuale essendo insieme (come nell'etimo) "invenzione" e "ritro- vamento" (*4.3), owero cib che pub cambiare il mondo mettendo insieme cose che insieme non sono mai state (*2.3).