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Apprendimento linguistico: una questione di autonomia?
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Apprendimento linguistico: una questione di autonomia? Modelli di sviluppo dell'autonomia di apprendimento linguistico e prospettive educative possibili

Mar 29, 2023

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Apprendimento linguistico: una questione di autonomia?

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Progettazione/editing

Roberta TanziRottermaier – Servizi Letterari

imPaginazione

Mirko Pau

illustrazione di coPertina

© Yuri/istockphoto.com

coPertina

Giordano Pacenza

© 2014 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A. Via del Pioppeto 24 38121 TRENTO Tel. 0461 950690 Fax 0461 950698 www.erickson.it [email protected]

ISBN: 978-88-590-0843-9

Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo effettuata,

se non previa autorizzazione dell’Editore.

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Marcella Menegale

Apprendimento linguistico: una questione di autonomia?

Modelli di sviluppo dell’autonomia di apprendimento linguistico

e prospettive educative possibili

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Marcella MenegaleÈ dottore di ricerca in Scienze del linguaggio e svolge ricerca e formazione sia sull’autonomia di apprendimento nelle lingue straniere sia sulla didattica CLIL (Content and Language Integrated Learning) presso il Dipartimento di Studi linguistici e culturali comparati, Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha recentemente curato due pubblicazioni internazionali sull’autonomia di apprendimento e pubblicato numerosi articoli sull’autonomia di apprendimento linguistico e sul CLIL.

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Indice

Introduzione 9

Capitolo primo Il concetto di autonomia nell’apprendimento delle lingue straniere 11

Capitolo secondo Autonomia dello studente e didattica 23

Capitolo terzo Una ricerca nella scuola secondaria italiana 47

Capitolo quarto Prospettive educative 57

Conclusioni e implicazioni future 73

Bibliografia 77

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Trattate le persone come se fossero ciò che dovrebbero

essere e aiutatele a diventare ciò che sono capaci di essere.

Johann Wolfgang von Goethe

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Introduzione

L’autonomia nell’apprendimento linguistico è diventato un concetto di fondamentale importanza dal momento in cui la glottodidattica ha iniziato a insistere sull’importanza della centralità dello studente e dei suoi bisogni linguistici, oltre che psicologici. Nel panorama internazionale esi-stono numerosi studi e ricerche atti a investigare come l’autonomia possa promuovere un apprendimento linguistico più efficace. In realtà, il concetto di autonomia non riguarda solo il campo dell’educazione linguistica, ma è un fenomeno che tocca tutte le sfere del sapere, in risposta a un’impellente necessità di modificare una pratica di insegnamento di tipo trasmissivo che si è dimostrata inadatta alle esigenze della società contemporanea.

Partendo da questi presupposti, questo volume vuole spiegare perché l’autonomia dello studente rappresenti un tassello fondamentale nel processo di apprendimento di una lingua straniera e come integrarla nell’insegna-mento formale delle lingue.

Dopo aver illustrato il quadro teorico su cui si sviluppa il concetto di autonomia di apprendimento linguistico (capitolo primo), descrivendo anche alcuni modelli didattici di sviluppo dell’autonomia e sofferman-dosi sul ruolo del docente (capitolo secondo), il volume riporta in breve i risultati di una ricerca svolta sulla scuola secondaria italiana, mirata a capire quale sia il grado di autonomia sviluppato dagli studenti delle nostre scuole (capitolo terzo). La riflessione che consegue la lettura criti-ca dei risultati della ricerca porta a delineare delle prospettive educative

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favorevoli allo sviluppo dell’autonomia di apprendimento nella didattica curricolare (capitolo quarto).

Il volume racchiude dunque in sé teoria, ricerca e pratica didattica e si auspica di diventare un punto di partenza sia per l’approfondimento nella ricerca di aspetti fondamentali legati all’autonomia di apprendimento lingui-stico (quali il ruolo della consapevolezza metacognitiva, dell’insegnamento più o meno esplicito delle strategie di apprendimento, del ruolo della bio-grafia linguistica dell’apprendente, ecc.), sia per la riflessione metodologica a supporto di una didattica realmente efficace in questo senso.

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Capitolo primo

Il concetto di autonomia nell’apprendimento delle lingue straniere

Cercare di limitare la nozione di autonomia al contesto dell’appren-dimento linguistico, pur mantenendo l’obiettivo di fornire un’idea chiara degli aspetti educativi cui sottende, è una premessa fondamentale per non perdersi nell’infinità di ambiti e definizioni presenti nella letteratura. Non si farà dunque qui riferimento né alle filosofie educative (per le quali si rimanda a Knowles, 1975; Candy, 1991; Benson e Voller, 1997), né al dibattito politico (Gremmo e Riley, 1995; Pemberton et al., 1996; Benson e Voller, 1997), né ad altri principi puramente ideologici che caratterizzano il concetto di autonomia nell’apprendimento. Ci si concentrerà, invece, sul significato del termine per le sue implicazioni nel campo della linguistica applicata e della psicologia legata alla didattica delle lingue. A tale scopo, si è cercato di trattare i vari aspetti legati all’autonomia per un apprendente di lingue straniere, a partire dagli aspetti psicologici (motivazione e volontà di essere autonomi, senso di autoefficacia, consapevolezza linguistica e di sé) per arrivare a quelli cognitivi (uso di strategie e tecniche, riflessione critica).

Prima di scendere nello specifico, tuttavia, è necessario chiarire qualche punto cardine del concetto di autonomia.

Il valore dell’autonomia nell’apprendimento deriva dalle teorie derivate dalla psicologia cognitiva e dalla psicologia umanistica (Broady e Kenning, 1996)

L’apporto della psicologia cognitiva risiede nell’idea di un discente capace di usare la sua conoscenza, di ottenere informazioni, di impiegare

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determinate strategie di apprendimento per processare le notizie raccolte. Dalla psicologia umanistica (Rogers, 1969; Kohonen, 2003) viene ripresa invece la convinzione che l’apprendimento significativo sia quello auto-promosso e autogestito. Di sicuro, come sostenuto da Phil Benson e Peter Voller (1997, p. 2), non esiste un canone prestabilito per un concetto come quello di autonomia nel campo della didattica delle lingue. Il fatto che esso racchiuda tutta una serie di significati derivanti da altri campi del sapere rende difficile poterne dare una lettura univoca connessa al contesto dell’apprendimento linguistico. Data questa necessaria premessa, è pur vero che numerosi sono gli studiosi che hanno cercato di cogliere l’essenza dell’autonomia nel contesto dell’apprendimento delle lingue straniere e di elaborarne una definizione propria.

L’autonomia nell’apprendimento linguistico è l’abilità di farsi carico del proprio apprendimento (Holec, 1981, p. 3)

La prima e più diffusa definizione di autonomia di apprendimento in campo linguistico, associata inizialmente a un pubblico di discenti adulti, è quella di Henri Holec (1981, p. 3), la quale implica sia un orientamento da parte dell’apprendente verso la competenza comunicativa, sia l’integra-zione degli obiettivi personali e comunicativi all’interno di un processo di apprendimento autodiretto. Il fatto che Holec avesse limitato le sue riflessioni all’educazione destinata agli adulti non significa che lo stesso ragionamento non possa valere per degli apprendenti più giovani. Secondo lo studioso, l’autonomia di apprendimento è infatti un’abilità che va acquisita, non è innata; è qualcosa che l’apprendente può sviluppare «in modo naturale o, più frequentemente, in modo più formale e sistematico» (Holec, 1981, p. 3).

L’autonomia è innanzitutto un tipo ben preciso di orientamento del discente verso il suo apprendimento, strettamente connesso al senso di auto-regolazione e responsabilità. Non c’è autonomia senza che il discente metta in atto un processo volontario volto a farsi carico del proprio apprendimento, quindi non ci può essere autonomia senza consapevolezza: essere consapevoli del proprio ruolo nel processo di acquisizione linguistica e dell’importanza di poter controllare tale processo per rispondere alle proprie qualità cognitive e spinte motivazionali è un passo fondamentale affinché si possa avanzare, in modo graduale, nel percorso di sviluppo della capacità di autonomia.

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L’autonomia è il risultato di un’interdipendenza tra l’individuo e la società (Little, 1991)

L’autonomia è un percorso in cui il mondo interno al discente — fattori psicologici come la motivazione, gli atteggiamenti, il senso di autoefficacia e fattori cognitivi come l’uso delle strategie, il ricorso alla riflessione critica, ecc. — è in relazione di continua interdipendenza con il mondo esterno, costituito da tutti gli input linguistici che circondano il discente e che lo aiutano nella costruzione della sua competenza. Quando è in classe, tali input derivano dall’insegnante, dai compagni e dalle attività da svolgere; in ambiente extrascolastico hanno origine da scambi con i vicini di casa immigrati, da incontri con i turisti che girano per la città, eventualmente dal fatto di avere un genitore o un parente straniero, oppure ancora dai cartelli pubblicitari, dalla musica, dai videogiochi, dalla navigazione su Internet, in pratica tutte occasioni di uso spontaneo (benché più o meno attivo) delle lingue straniere. Da notare che nel primo caso, ossia quando il contatto con la lingua straniera avviene in classe, si tratta di un contesto formale in cui la concentrazione è sulla lingua target di apprendimento scolastico (solitamente una sola lingua straniera, a meno che non si tratti di corsi di studi specificatamente linguistici), mentre nel secondo caso, ossia fuori dalla classe, gli input linguistici sono più vari per qualità e quantità di lingua presentata e più differenziati rispetto ai canali di provenienza. Inoltre, nell’ambiente esterno si ha modo di entrare in contatto con diverse lingue straniere, in modo naturale e non programmato. Affinché tale ricchezza di stimoli si trasformi in un patrimonio personale, è necessario che sin da piccolo lo studente sia guidato a sviluppare una riflessione consapevole sui contatti linguistici che vive e sulle strategie e comportamenti che possono aiutarlo a costruire la propria competenza plurilinguistica e pluriculturale.

Lo sviluppo dell’autonomia è prima di tutto una responsabilità dell’insegnante (Dam, 2003)

A fare da trait d’union tra il mondo interno al discente e quello esterno, vi è un grande attore, l’insegnante, la cui presenza è assolutamente necessaria per un duplice motivo: primo, essendo l’autonomia strettamente associata a fattori psicologici, l’insegnante può aiutare il discente a modificare alcuni

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suoi atteggiamenti verso l’apprendimento e verso la lingua straniera stessa (soprattutto nel caso di esperienze pregresse negative o poco gratificanti), al fine di renderli il più efficaci e produttivi possibile e favorendo una maggiore autodeterminazione; secondo, l’insegnante di lingua, grazie al suo sapere, favorisce la crescita cognitiva del discente, in primis quella linguistica. Seb-bene ci sia infatti chi ritiene che la capacità di essere autonomi sia innata e che il discente possa raggiungere buoni livelli di autonomia anche senza la guida di un insegnante, nel contesto dell’apprendimento linguistico questo avverrebbe in tempi molto lunghi, e soprattutto solo dopo che l’appren-dente avesse raggiunto una certa maturità metacognitiva ed esperienziale. Uno studente molto giovane non si pone il problema di riflettere su alcuni aspetti della lingua o del suo apprendimento, e quindi non ne sviluppa quel senso di consapevolezza necessaria a far progredire la sua capacità di auto-nomia. Tuttavia, considerando che imparare le lingue straniere in giovane età non solo ne facilita l’apprendimento e la progressione nella competenza comunicativa, ma sviluppa altresì un atteggiamento positivo verso le altre lingue e le altre culture, nonché verso l’apprendimento linguistico stesso, ne consegue che proporre agli studenti un percorso verso il potenziamento dell’autonomia sin da quando sono più piccoli significa dar loro modo di crescere elaborando un proprio sistema concettuale, in cui man mano le varie esperienze delle lingue straniere con cui verranno a contatto afferiranno in modo del tutto naturale.

Autonomia non è sinonimo di autoapprendimento (Little, 1990)

La quasi inarrestabile diffusione, negli ultimi decenni del secolo scorso, dei centri o laboratori linguistici computerizzati che offrivano la possibilità di percorsi di autoapprendimento, moda tramutatasi al giorno d’oggi in una moltitudine di corsi fai da te, spesso online, che a volte non hanno solide basi glottodidattiche, ma servono più che altro a conquistare nuovi acqui-renti, ha creato la sensazione di un nuovo senso di libertà che ha portato a confondere «individualizzazione» e «isolamento». Tuttavia, nessuno dei due termini è in realtà rilevante in una corretta visione di autonomia (Esch, 1997). Al contrario, sembrerebbe che le forme di studio che prevedono mo-dalità di autoapprendimento non siano di per sé sufficienti a condurre a uno sviluppo dell’autonomia: i discenti che si trovano obbligati a usare modalità

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di questo tipo senza poter contare su un supporto adeguato sembrano avere la tendenza ad appoggiarsi esageratamente sui materiali che vengono loro somministrati, come se l’apprendimento dipendesse solo da questi ultimi (Benson e Voller, 1997, p. 7).

Autonomia e apprendimento linguistico sono due facce della stessa medaglia (Little, 2005)

Il linguaggio costituisce nello stesso tempo il mezzo e lo strumento attraverso il quale viene costruito il sapere, perché è proprio grazie al costante contatto con chi ci circonda, tramite continue interazioni linguistiche, che aumentiamo le nostre conoscenze. Dunque, il linguaggio è strettamente legato all’apprendimento autonomo e viceversa. Il linguaggio è inoltre lo strumento con cui ciascuno descrive (mentalmente e non) i processi metacognitivi e metalinguistici che accompagnano il proprio percorso di apprendimento. Nella classe di lingua straniera, lo sviluppo dell’autonomia nell’apprendimento linguistico è inseparabile dallo sviluppo dell’autonomia nell’uso della lingua (Dam, 1995; Thomsen, 2003). Relativamente alla lingua straniera, l’uso del linguaggio deve essere significativo affinché lo studente non sia concentrato solo sull’apprendimento della lingua nei suoi aspetti formali, ma sia anche in grado di pensare alla lingua straniera, parlare della lingua straniera, descrivere il processo di apprendimento, e perché questo avvenga è necessario coinvolgere quanto più possibile lo studente nel suo percorso di apprendimento.

Aspetti psicologici legati all’autonomia

Gli aspetti psicologici che impattano sul livello di autonomia del di-scente sono essenzialmente tre: volontà, attribuzioni, senso di autoefficacia. Ciascuno di essi è altrettanto legato alla motivazione, un fattore che ritorna costantemente quando si parla di autonomia. Non a caso, una delle ragioni che spinge alla promozione dell’autonomia nell’apprendimento linguistico deriva dal fatto che:‒ l’apprendente autonomo è per natura più motivato (Dickinson, 1995,

p. 165);

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‒ l’autonomia produce risultati migliori e più efficaci sull’apprendimento e quindi stimola nuova motivazione (Deci e Ryan, 1985).

Gli studi sulla motivazione degli ultimi decenni (Ushioda, 1996; Dörnyei, 1998; 2001; Dörnyei e Ushioda, 2009), di fatto, dimostrano come essa giochi un ruolo fondamentale nell’acquisizione della lingua straniera, dal momento che sistemi motivazionali ed emotivi e processi cognitivi sono in continua interazione tra loro, favorendo lo sviluppo delle strategie più appropriate all’acquisizione dell’input linguistico (Cardona, 2010, p. 31). Si ricorda, a questo proposito, quanto sostenuto da Zoltán Dörnyei (1998, p. 117), ossia che la motivazione fornisce la spinta principale quando si inizia a imparare la lingua e, successivamente, rappresenta la forza che guida il discente nell’affrontare tutto il processo di apprendimento, nei momenti più difficili e tediosi.

In un articolo di Mary Spratt, Gillian Humphreys e Victoria Chan (2002), si ragiona proprio sul rapporto di dipendenza tra autonomia e mo-tivazione, alla ricerca di una risposta che sveli se sia l’autonomia a precedere la motivazione oppure la motivazione a far progredire l’autonomia. Come spesso accade nella ricerca assistita da apporti psicologici, non è possibile for-nire un’interpretazione univoca di un fenomeno. Così, nel caso del rapporto tra autonomia e motivazione, si potrà appoggiare la tesi di Ema Ushioda (1996) in base alla quale la motivazione è qualcosa di non strettamente definibile, ma piuttosto dinamico e che varia con il variare del tipo e del livello di studio del discente. Gli elementi che influenzano la motivazione, sia essa integrativa o strumentale, intrinseca o estrinseca, sono gli stessi che caratterizzano anche il processo di sviluppo dell’autonomia nell’apprendi-mento linguistico. Quindi, la relazione tra autonomia e motivazione può dirsi paritetica poiché la direzionalità è reciproca e cambia in base ai diversi stadi di apprendimento e di vita del discente.

Di seguito verranno esplicitati i tre aspetti principali che determinano dunque la stretta relazione tra autonomia e motivazione.

Volontà

La volontà di essere autonomi è il risultato di una motivazione intrin-seca che varia di volta in volta e in base ai compiti assegnati, ai materiali, alle situazioni (Sinclair, 2008).

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William Littlewood (1996, p. 428) scrive che l’autonomia dipende da due componenti principali: abilità e volontà. Mentre l’abilità poggia sulla sfera cognitiva del discente (si veda il capitolo primo, paragrafo Aspetti cognitivi legati all’autonomia), ossia conoscere le alternative tra cui bisogna scegliere e avere le competenze necessarie per portare avanti le proprie scelte, la volontà si basa sulla motivazione e sulla sicurezza di prendersi la responsabilità delle scelte fatte.

Attribuzioni

La percezione di avere il controllo di ciò che si impara oppure, al con-trario, pensare che i risultati che si ottengono derivino da cause esterne alla propria volontà (come la fortuna o l’attitudine personale) è di fondamentale importanza nel processo di sviluppo dell’autonomia. David Little (1991, p. 4) sostiene che l’autonomia presuppone e richiede che il discente «sviluppi un particolare tipo di relazione psicologica con il processo e il contenuto del suo apprendimento». Anita L. Wenden (1998, p. 52) aggiunge che gli atteggiamenti che principalmente influiscono sull’apprendimento lingui-stico sono quelli legati al proprio ruolo nel processo di apprendimento e alle proprie capacità in quanto apprendenti. Risulta chiaro il nesso con alcuni aspetti naturalmente implicati, dalla consapevolezza metacogni-tiva alla motivazione, dal senso di autostima a quello di sentirsi parte di una società. Infatti, se uno studente ritiene che alcune persone non siano portate a imparare bene le lingue e crede di essere questo tipo di persona, penserà dunque che, nonostante il suo impegno, non potrà mai raggiungere risultati soddisfacenti. Analogamente, se pensa che l’apprendimento possa avvenire solo in un contesto tradizionale, con un insegnante che organizza il programma e fornisce input e materiali, senza farsi parte attiva del pro-prio processo di acquisizione, allora anche la strada verso l’autonomia sarà piuttosto difficoltosa.

Senso di autoefficacia

Le probabilità di riuscita che gli studenti percepiscono di avere deter-minano il livello di fiducia del discente nelle proprie capacità di apprendi-mento linguistico e nell’abilità di raggiungere obiettivi di apprendimento

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più elevati. Lo studente che si ritiene in grado di gestire con successo il proprio apprendimento e di raggiungere obiettivi alti è predisposto ad essere più responsabile di ciò che impara (Bandura, 1986; 2000). Solo con un alto senso di autoefficacia, ossia di consapevolezza di poter raggiungere determinati obiettivi, è possibile crescere e rafforzare l’idea che si ha di sé, aumentando la propria autostima, sapendo controllare le proprie emozioni e rappresentazioni mentali. Ritenersi capaci di svolgere adeguatamente un compito, di comunicare appropriatamente, di ottenere buoni risultati, significa aumentare la motivazione e il desiderio di impegnarsi per farlo in modo sempre migliore e quindi anche decidendo il modo in cui affrontare l’apprendimento.

Aspetti cognitivi legati all’autonomia

Studi dimostrano che la spinta motivazionale non è una prerogativa di per sé sufficiente alla presenza dell’autonomia: lo studente deve essere in grado di mettere in atto le giuste strategie per poter apprendere meglio (Kormos e Csizér, 2014). Tale premessa ci permette di aprire questo para-grafo dedicato agli aspetti più strettamente cognitivi legati all’autonomia di apprendimento linguistico, quelli cioè inerenti all’uso delle strategie cognitive e metacognitive, delle tecniche e tattiche con cui si attuano le strategie, della riflessione critica come processo di comprensione, moni-toraggio e valutazione di ciò che si impara (Chamot e O’Malley, 1994; Mariani, 2010). Si tratta, dunque, di intraprendere una strada attraverso cui il discente diventa sempre più consapevole di ciò che fa e si rende man mano più responsabile dei vari aspetti legati al suo apprendimento («imparare a imparare»).

Per far capire quanto sia fondamentale lo sviluppo della consapevolezza (della lingua, dell’apprendimento e di se stessi in quanto discenti, come verrà illustrato), si ricorda che è proprio la consapevolezza il primo livello nei modelli di sviluppo dell’autonomia di apprendimento di David Nunan (1997, p. 192) e di Agota Scharle e Anita Szabó (2000, p. 9) (si veda il capitolo secondo, paragrafo Alcuni modelli di autonomia di apprendimento): ciò dimostra quanto essa sia una condizione necessaria affinché si possa progredire nella capacità di essere autonomi e responsabili del proprio ap-

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prendimento. Per Ernesto Macaro (2008, p. 54), «capacità di autonomia nell’apprendimento linguistico, quindi, significa avere la consapevolezza, la conoscenza e l’esperienza dell’uso di strategie, insieme alla metacognizione di valutare l’efficacia non solo delle strategie individuali [...] ma anche di come tutti questi aspetti confluiscano man mano nel quadro più vasto dell’apprendimento linguistico» (TdA).

Sono quindi due i principali obiettivi da perseguire affinché lo studente sia in grado di capire ciò che sa e come usarlo: sviluppo di una consapevolezza strategica e uso di riflessione critica.

Consapevolezza strategica

Sviluppare una consapevolezza strategica in vista di un apprendi-mento intenzionale (Legenhausen, 2003, p. 67) significa, seguendo la tassonomia proposta da J. Michael O’Malley e collaboratori (1985), basarsi sull’uso di strategie socio-affettive (che il discente utilizza per in-teragire con gli altri e per controllare le sue emozioni), strategie cognitive (impiegate per intervenire direttamente sul materiale oggetto di appren-dimento) e strategie metacognitive (mirate al controllo del processo e alla riflessione su di esso).

Nonostante il trascorrere dei decenni e le centinaia di studi eseguiti in tutte le direzioni, non si è ancora arrivati a fare chiarezza terminologica sui termini riferiti alle strategie (Dörnyei e Skehan, 2005, p. 608). Secondo Anita L. Wenden (1991, p. 18), le strategie d’apprendimento sono «passaggi mentali o operativi che i discenti attuano per imparare una nuova lingua e per disciplinare i propri sforzi nel farlo». In Wenden e Rubin (1987) si ripercorrono i termini più frequentemente associati alle strategie con l’intento di definirne la natura: «tecniche», «tattiche», «idee potenzialmente consa-pevoli», «operazioni attuate coscientemente», «abilità di apprendimento, abilità di base, abilità funzionali», «abilità cognitive», «strategie su processi linguistici» e «procedure di problem-solving».

Sebbene vi siano pareri discordanti sull’esistenza di una relazione cau-sale tra allenamento all’uso delle strategie e riuscita nell’apprendimento (si veda Benson, 1995), ciò che ci interessa, trattando di autonomia, è capire come esse possano aiutare il discente ad autoregolare l’apprendimento, sia in termini di stile che di contenuti.

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Riflessione critica

Little (1997, p. 94) sostiene che la riflessione critica gioca un ruolo essenziale sin da quando si inizia a studiare una lingua, «per la semplice ragione che tutto l’apprendimento formale è il risultato di un’intenzione determinata». Il discente, dunque, deve essere da subito incoraggiato a riflettere sul contenuto e sul processo di apprendimento: ciò che Jerome S. Bruner (1986, p. 132) identifica con «intervento riflessivo sul sapere» non è altro che una delle operazioni richieste all’apprendente autonomo. Secondo Bruner, solo nel momento in cui il discente riesce a sviluppare un senso di riflessione su ciò che impara, infatti, diventa capace di controllare e selezionare il sapere in base alle sue esigenze. Nel contesto dell’autonomia di apprendimento ciò che è utile è il lavoro sullo sviluppo del pensiero cri-tico, conscio e orientato all’obiettivo, ossia abilità che richiedono un certo grado di consapevolezza e intenzionalità da parte del discente, oltre che la capacità di affrontare e risolvere problemi concettuali e linguistici (Ridley, 1997, p. 4). Secondo Benson (2001, p. 92), il processo di riflessione può essere iniziato dal discente stesso oppure da altri, o essere provocato da fattori inaspettati; è sempre collegato al contesto o a situazioni specifiche; è orientato al raggiungimento di un obiettivo che ricade sull’apprendimento stesso; può essere retrospettivo, introspettivo o prospettico; può essere plasmato in quanto processo ciclico che implica la decostruzione e ricostruzione di opinioni e percezioni; può rimanere a uno stato di osservazione, oppure portare all’azione e a profondi cambiamenti.

È questo ultimo caso che interessa la ricerca sull’autonomia di appren-dimento, perché quando la riflessione porta ad agire, a modificare qualcosa nel proprio modo di vedere e pensare al processo con cui si impara una lingua straniera, allora si crea la condizione affinché si possa attivare un controllo su tale processo.

Generalmente, il percorso verso l’autonomia nell’apprendimento linguistico richiede una riflessione che ha un triplice obiettivo: 1. la consapevolezza linguistica, o language awareness, attraverso la riflessione

sulla lingua grazie allo sviluppo di competenze metalinguistiche, come ad esempio saper analizzare determinate strutture linguistiche che appaiono nel testo o saper monitorare la lingua scritta; si tratta qui dell’attenzione al contenuto dell’apprendimento linguistico e quindi di una promozione

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dell’autonomia da parte dell’apprendente in quanto persona che usa la lingua;

2. la consapevolezza dell’apprendimento, o learning awareness, attraverso la riflessione sul processo di apprendimento grazie al potenziamento di competenze metacognitive, poiché, per potersi prendere carico del processo di acquisizione, è necessario che il discente sia consapevole del modo in cui impara e delle strategie che gli sono più consone; accrescere la consapevolezza sul processo che porta a nuove conoscenze e saper riflettere criticamente sulle proprie esperienze di apprendimento fa sì che cresca l’autonomia dell’apprendente in quanto discente di lingua;

3. la consapevolezza dell’apprendente, o learner awareness, attraverso la riflessione come mezzo di «decondizionamento» (Holec, 1981, p. 22)1 da comportamenti o atteggiamenti negativi legati all’apprendimento linguistico e ostili al potenziamento dell’autonomia.

Si vedrà nel capitolo secondo come tutti questi elementi possano essere tradotti in un percorso operativo a supporto dello sviluppo dell’autonomia del discente.

1 Secondo Holec (1981, p. 27) tale consapevolezza porta il discente a un graduale «decondi-zionamento», ossia ad allontanarsi da convinzioni comunemente diffuse, quali il fatto che esista un metodo ideale di apprendimento, che l’insegnante possegga quel metodo, che la conoscenza della propria lingua materna non serva all’apprendimento di altre lingue, che l’esperienza di apprendimento accumulata nelle altre discipline non possa essere trasferita e che egli stesso non sia in grado di autovalutare le proprie competenze.

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Capitolo secondo

Autonomia dello studente e didattica

La letteratura sulle pratiche didattiche sperimentate dai docenti in classe per favorire lo sviluppo dell’autonomia dei propri studenti è sempre più vasta (si vedano Irie e Stewart, 2012; Barfield e Delgado Alvarado, 2013; Menegale, 2013).

La studiosa che forse ha più contribuito nel produrre e diffondere esempi di buone pratiche è Leni Dam, che dalla sua trentennale esperienza di insegnante di lingua inglese in Olanda è riuscita non solo a produrre diversi volumi e articoli di riflessione sulle pratiche adottate per favorire l’autonomia nelle sue classi (Dam, 1995; 1999; 2003; 2006; 2013), ma ha anche avviato un progetto di ricerca, LAALE,1 dimostrando l’efficacia del suo approccio didattico: i risultati dello studio (Dam e Legenhausen, 1996; Legenhausen, 2003; 2008) rivelano che, in classi in cui l’apprendimento linguistico avviene utilizzando i principi dell’autonomia nell’apprendimento:– lo sviluppo della competenza linguistica è assolutamente comparabile a

quello delle classi tradizionali;‒ la qualità di apprendimento risulta di livello più alto.

1 LAALE (Language Acquisition in an Autonomous Learning Environment) è un progetto longitudinale svoltosi dal 1996 al 2000, realizzato in collaborazione con ricercatori danesi e tedeschi per studiare i risultati dell’apprendimento linguistico in classi di scuola secondaria in cui veniva implementato un approccio allo sviluppo dell’autonomia e in classi in cui si attuava un insegnamento di lingua straniera con metodi tradizionali.

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Focalizzandosi sullo sviluppo della competenza lessicale sia in produzio-ne che in ricezione e ortografia, sulle strutture grammaticali, sulla scrittura e sulla produzione orale, il progetto ha dimostrato che: – nelle classi con approccio all’autonomia il numero di vocaboli introdotti

era di molto superiore a quello fornito nelle classi con insegnamento tradizionale (nel solo primo mese di lezioni, le classi autonome sono state esposte a 400 parole contro le 124 registrate invece nelle classi tradizionali, elemento che, su un totale di 800 parole richieste dal curricolo nazionale alla fine del primo anno, denota un input lessicale estremamente ricco e vario);

‒ nelle classi con approccio all’autonomia gli studenti attivavano una pro-duzione lessicale molto più ampia e autentica, poiché erano stati abituati a creare continui collegamenti tra il mondo reale extrascolastico e ciò che affrontavano in classe; gli studenti delle classi tradizionali, invece, utilizzavano solo i vocaboli che avevano imparato sul libro di testo (co-noscenza scolastica), nonostante ne conoscessero anche altri derivati da altri contesti (conoscenza esperienziale);

‒ nelle classi con approccio all’autonomia i test di grammatica hanno evidenziato che gli studenti dimostravano una capacità generativa sulle strutture, derivata dal fatto di saper costruire le regole della lingua da sé tramite processi inferenziali, mentre gli stessi test svolti nelle classi tradi-zionali hanno rivelato una tendenza a memorizzare frasi formulaiche (ad esempio per l’uso dell’ausiliare do nella forma interrogativa);

‒ nelle classi con approccio all’autonomia è stata sviluppata una capacità interazionale orale autentica e spontanea, con un’attenzione al supporto reciproco e alla negoziazione di significati, al pari di quella che avviene al di fuori della scuola, mentre nelle classi tradizionali l’interazione era limitata a una simulazione a partire da routine didattiche o attività di scambio comunicativo a coppie basate su frasi e vocaboli ripresi dal libro.

La tabella 2.1 riporta un esempio di conversazione nelle due classi.Oltre al progetto LAALE, destinato a studenti della scuola secon-

daria, citeremo un’altra esperienza fatta su studenti di lingue, in questo secondo caso però adulti, che ha originato un corso tuttora attivo che rilascia crediti universitari a chi lo frequenta preferendolo a un corso di

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lingua tradizionale. Si tratta del programma ALMS2 (Karlsson, Kjisik e Nordlund, 1997), il cui scopo è quello di sviluppare l’autonomia di apprendimento degli studenti, promuovendo la riflessione critica, la capacità di autovalutazione e la collaborazione. Gli studenti che si iscri-vono al programma sono innanzitutto chiamati ad accrescere la propria consapevolezza su ciò che vogliono apprendere, e arrivano quindi a fissare i propri obiettivi di apprendimento linguistico e a pianificare un percorso di studio per raggiungerli e per monitorare e valutare i progressi. Il cor-so prevede una forte collaborazione tra gli studenti e un docente tutor che segue il lavoro. La ricerca svolta sul programma ALMS ha riportato dati sicuramente interessanti circa un cambiamento nell’orientamento verso il processo di apprendimento, sia da parte degli studenti che degli

2 Il progetto ALMS (Autonomous Learning Modules) è stato realizzato al Centro linguistico dell’Università di Helsinki, in Finlandia. Il primo programma è stato avviato nel 1994. Il link al corso è http://www.helsinki.fi/kksc/alms/whatis.html.

TABELLA 2.1Trascrizione di interazioni nelle classi osservate durante il progetto LAALE

(adattato da Legenhausen, 2008, p. 43)

TrAscrizionE 1: Esempio di interazione tra studenti nella classe tradizionale

J: I’m going to have a family with two ehm… Chil/childrens, and I’m going to live in a big house.

I: When is your birthday?J: My birthday is now.I: Ah, my birthday is on the sixteen ah ja… Of ehm… Of May. When is your sister’s

birthday?J: My sister’s birthday is in… Is on the twenty-seventh of February.I: What films do you like?

TrAscrizionE 2: Esempio di interazione tra studenti nella classe autonoma

D: … What did/what should you do today?L: Today I ehm… I shall have my birthday.D: Have you birthday today?L: Yes.D: Happy birthday!L: Thank you. So I should home and, and and… Make/made a cake to my…D: Birthday cake?L: Cake, yes, so I should have this cake and, so to/afternoon my eh… my friend is

coming and my dad and mum’s friend is coming too, so I should have birthday [?].

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insegnanti che vi hanno partecipato: la maggior parte degli studenti ha lodato la spinta motivazionale generata dal programma, la significatività dell’apprendimento così proposto, la maggior responsabilità personale che veniva richiesta e le diverse opportunità di apprendimento che venivano fornite, anche al di fuori della classe.

I risultati sopra riportati aiutano a confermare il fatto che la promo-zione dell’autonomia nell’apprendimento delle lingue straniere permette allo studente di costruirsi una competenza linguistica con una base più solida perché fondata sulla consapevolezza di sé, della lingua e del processo di acquisizione, sulla comprensione dell’importanza del proprio ruolo nella costruzione del sapere e sulla conoscenza delle strategie che favoriscono la riuscita nell’apprendimento, rafforzando il proprio senso di autoefficacia. Innegabilmente, quello verso l’autonomia è un percorso lungo e che richiede volontà di cambiamento, per questo deve essere affrontato su più piani, sia dunque in prospettiva orizzontale (deve essere un obiettivo trasversale comune a tutte le discipline) che verticale (deve essere una finalità educativa da promuovere per tutto l’arco della crescita dello studente, e quindi trasver-sale ai diversi cicli scolastici), ma è l’unico modo per motivare e impegnare veramente gli studenti all’apprendimento, promuovendo l’autostima e l’autorealizzazione.

Carl Rogers, padre della psicologia umanistica, ritiene che nel proces-so educativo sia fondamentale che la relazione tra insegnante e studente sia basata sulla stima reciproca e sul rispetto. Per Rogers (1969), l’importanza dell’apprendimento non risiede tanto nel contenuto culturale, destinato a cambiare grazie alle continue scoperte scientifiche, ma nell’acquisizione delle capacità di documentarsi, di osservare e analizzare, di interpretare e valutare, in pratica, di «imparare a imparare». Per fare questo va da sé che i discenti devono essere chiamati a risolvere compiti, problemi, dare la loro opinione, in pratica devono partecipare attivamente al processo cognitivo. È necessario che la scuola costituisca per loro un ambiente collaborativo in cui sentirsi compartecipi di ciò che accade. In un certo senso, essa deve essere un «laboratorio» in cui si impara facendo (Dewey, 1907). Partendo da questi presupposti, dedicheremo questo capitolo secondo alla consi-derazione di alcuni aspetti che aiutano a «concretizzare» il discorso fino a qui fatto sull’autonomia, portandolo a una fase di operazionalizzazione. Prima verranno presentati alcuni tra i più rilevanti modelli di sviluppo

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dell’autonomia, al fine di mostrare come sia possibile concepire un percorso progressivo che crei le condizioni per una maggiore consapevolezza e rifles-sione critica e presa di controllo da parte del discente. Successivamente, verranno esplicitati quali siano gli obiettivi cui fare riferimento, obiettivi legati all’autonomia e insieme all’apprendimento linguistico, per capire come possano essere naturalmente integrati nel curricolo scolastico. Il capitolo darà infine spazio ad altre due tematiche tuttora molto dibattute: il problema della misurazione del livello di autonomia (è necessaria? È possibile?) e l’importanza del ruolo dell’insegnante, discutendo come esso debba essere opportunamente orientato alle nuove esigenze educative e formative di uno studente che deve crescere più autonomo e responsabile nella costruzione del proprio sapere.

Alcuni modelli di autonomia di apprendimento

La letteratura sull’autonomia di apprendimento presenta diversi mo-delli di sviluppo di autonomia del discente. Essi possono essere suddivisi in due tipi (Dang, 2012): quelli che descrivono gli stadi di sviluppo del processo che porta all’autonomia e quelli che inquadrano la performance richiesta al discente per svolgere determinati compiti.

Modelli con stadi di sviluppo del processo

Il modello di Dam (1995)

In questo modello, Dam propone la sua visione del processo di ap-prendimento che dovrebbe caratterizzare la classe autonoma (si veda la tabella 2.2). Secondo Dam, i due approcci contrapposti («teacher directed» e «learner directed») devono confluire in una modalità di gestione dell’appren-dimento fondata sulla negoziazione e cooperazione tra insegnante e discente. Dam insiste sull’importanza dell’interdipendenza tra le parti, specificando che in momenti diversi potranno esserci occasioni in cui è l’insegnante a dirigere maggiormente alcune attività e altre in cui allo studente viene dato maggior spazio decisionale, in base agli obiettivi da raggiungere, alle circostanze didattiche, ecc. L’importante è però che le ragioni per l’una o

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l’altra scelta vengano sempre discusse e chiarite tra le parti. In ogni caso, la finalità principale del processo è che gli studenti assumano gradualmente la responsabilità del proprio apprendimento, diventando cioè passo dopo passo responsabili della pianificazione e della realizzazione degli obiettivi e delle attività, della valutazione di ciò che imparano, dell’avvio di un nuovo ciclo di apprendimento, ecc.

TABELLA 2.2Modello semplificato di sviluppo di autonomia (adattato da Dam, 1995)

sviluppare l’autonomia di apprendimento

Teacher directed Learner directedPianificare

Realizzare i piani

Valutare i risultati

Andare avanti

Interdipendenza

Il modello di Nunan (1997)

Nunan è il primo studioso a proporre un percorso a stadi di sviluppo verso l’autonomia. Il suo è un modello composto da cinque livelli in cui il discente, guidato dall’insegnante, acquista via via più consapevolezza e padronanza di sé, di ciò che impara (i contenuti: dai temi che vengono trattati alle norme linguistiche approfondite, al sillabo del corso) e di come lo impara (il processo di apprendimento: la metodologia adottata, il tipo di attività proposte, ecc.). Poiché nei testi didattici l’attenzione allo sviluppo dell’autonomia, quando presente, è generalmente limitata a isolati momenti di riflessione linguistica o di autovalutazione, è necessario adattare il materiale a disposizione ricorrendo magari ad altre fonti.

La tabella 2.3 mostra i cinque livelli di realizzazione dell’autonomia, con proposte di esemplificazioni attuabili in classe.

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TABELLA 2.3i cinque livelli per lo sviluppo dell’autonomia di apprendimento linguistico

secondo nunan (1997)

Fase Livello obiettivo Modalità di realizzazione

1 Consapevolezza I discenti acquisiscono con-sapevolezza degli obiettivi didattici e del contenuto dei materiali che usano.

I discenti identificano le impli-cazioni delle attività didattiche, il proprio stile di apprendimento e le strategie preferite.

2 Interessamento I discenti imparano a sele-zionare i propri obiettivi di apprendimento.

I discenti vengono coinvolti in una personale selezione all’in-terno di una gamma di obiettivi fornita dal docente.

3 Intervento I discenti imparano a model-lare i programmi di appren-dimento in base alle proprie necessità.

I discenti vengono coinvolti nella modifica e adattamento di attività didattiche.

4 Realizzazione I discenti creano delle at-tività adeguate alle loro caratteristiche di appren-dimento.

I discenti creano delle attività adatte al raggiungimento di obiettivi prefissati.

5 Trasferimento I discenti sanno trasferire quanto acquisito in classe al contesto extrascolastico.

Gli studenti ricercano fonti, insegnano ai pari, costruiscono nuovo sapere.

Nel modello di Nunan si parte dal livello di consapevolezza che richie-de all’apprendente di riflettere sugli obiettivi educativi da perseguire e sul materiale che si sta utilizzando, così da identificare le proprie preferenze rispetto a stili o strategie diverse. Sembra un passaggio scontato, ma spesso non è affrontato né dagli insegnanti né dai libri, né all’inizio dell’unità né tanto meno durante il suo svolgimento.

Successivamente si passa al livello di interessamento, inteso come coinvolgimento nella selezione di alcuni obiettivi o attività all’interno di una gamma di alternative proposte dall’insegnante. La scelta avverrà in base agli interessi dell’apprendente e a ciò che egli ritiene più vicino al suo modo di imparare. L’importanza non risiede tanto in che cosa egli sceglierà, ma nel fatto che gli viene data la possibilità e la responsabilità di scegliere.

Il terzo è il livello di intervento, in cui il discente viene incoraggiato a partecipare attivamente al processo di apprendimento, adattando e modi-

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ficando obiettivi e contenuti del sillabo, ovviamente sapendone specificare le ragioni e valutandone le conseguenze.

Il passaggio seguente è il livello di realizzazione di nuovi obiettivi e attività basati sulle proprie necessità e preferenze strategiche. Lo studente può svolgere la prima fase di questo stadio in gruppo così da confrontarsi con altri discenti e affrontare il percorso con più sicurezza; in un secondo momento, sarà in grado di creare da solo nuovi materiali didattici.

Infine, l’ultimo è il livello di trasferimento delle conoscenze, in cui l’au-tonomia è talmente alta che l’apprendente può proseguire il suo percorso indipendentemente dalla classe e dall’insegnante, sfruttando le risorse linguistiche che ritrova anche nell’ambiente esterno: gli input spontanei raccolti al di fuori della classe vengono finalmente relazionati all’appren-dimento formale.

Nunan sottolinea più volte che il miglior modo per promuovere l’autonomia è quello di inserire piccoli passaggi (come quelli che verranno descritti nel capitolo quarto di questo volume) all’interno del normale per-corso curricolare. Solo così l’apprendente potrà fare esperienza di tecniche e strategie e riflettere su di esse, aumentando la propria consapevolezza di quelli che sono i suoi punti di forza e di debolezza. Egli suggerisce a tale proposito l’utilizzo di attività e materiali caratterizzati da livelli crescenti di indipendenza nell’esecuzione e uno sviluppo progressivo dello spazio di negoziazione da parte degli studenti. Di fondamentale importanza sono le risorse linguistiche che si trovano fuori dall’ambiente scolastico e che, pur facendo parte della conoscenza, per quanto non consapevole, degli studenti, non vengono sfruttate al fine del processo educativo.3

Il modello di Littlewood (1999)

Quello creato da Littlewood è un modello basato su due livelli di au-toregolazione, che, in relazione al grado di partecipazione degli apprendenti, saranno identificabili in:1. autonomia reattiva: quella che precede l’autonomia proattiva, incoraggian-

do il discente a imparare senza essere forzato da altri a farlo, a mettere in

3 Per un approfondimento relativo all’apprendimento in contesto extrascolastico si veda Menegale (2013).

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atto alcune scelte gestionali (in particolare, in questa prima fase, il discente deciderebbe dell’organizzazione delle risorse) per raggiungere gli obiettivi precedentemente fissati da altri (dall’insegnante o dall’istituzione);

2. autonomia proattiva: quella del discente che è in grado di farsi carico del proprio apprendimento in tutte le sue fasi, dalla determinazione degli obiettivi, alla selezione dei metodi e delle tecniche, alla valutazione di ciò che impara.

Per spiegare più in dettaglio questi due livelli di autonomia, Littlewood, citando James L. Flannery (1994), ricorre alla distinzione tra situazioni di apprendimento collaborativo e situazioni di apprendimento cooperativo:4 mentre le prime danno grande libertà di scelta e organizzazione al discen-te sui contenuti e gli obiettivi di studio, nonché sui tempi e le modalità con cui procedere (favorendo dunque un’autonomia proattiva), con l’ap-prendimento cooperativo viene invece richiesto agli studenti di lavorare in modo indipendente su un task, ma sempre facendo riferimento alle decisioni dell’insegnante per quanto riguarda il piano di lavoro da seguire (richiedendo l’uso di un livello di autonomia più ristretto, quindi un’au-tonomia reattiva). Per passare dall’autonomia reattiva a quella proattiva, Littlewood (2002) suggerisce di promuovere in modo più esteso attività di apprendimento collaborativo, maggiormente centrate sullo studente e sul suo bisogno di crescita in quanto apprendente autonomo.5 Riprendendo

4 In Katherine McWhaw e collaboratori (2003), apprendimento collaborativo e apprendimento cooperativo vengono differenziati in base al livello di strutturazione che prevedono. Mentre l’apprendimento collaborativo prevede che gli studenti lavorino in modo piuttosto libero, senza imposizioni particolari da parte dell’insegnante su come procedere, decidendo da soli come raggiungere lo scopo, ragionando in modo autonomo e cercando di trovare soluzioni per problemi che non hanno risposte univoche, l’apprendimento cooperativo prevede invece un certo controllo da parte dell’insegnante, che seleziona i contenuti della lezione, sceglie quali attività far svolgere, pianificandole in modo che la classe sia guidata da una specifica struttura fatta di passaggi consecutivi necessari per giungere al prodotto finale.

5 Per maggiori dettagli si rimanda a Littlewood (2002), nel cui contributo l’autore distingue strategie di sviluppo di apprendimento cooperativo e collaborativo che possono essere messe in atto attraverso quattro diversi tipi di attività: 1. lavoro di gruppo a partire da un input comune derivante dall’insegnante o dal materiale;2. lavoro di gruppo con procedura jigsaw a partire da input differenziati derivanti dall’in-

segnante o dal materiale;

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anche Ramon Ribé e Nuria Vidal (1993), lo studioso propone un quadro di sviluppo dell’autonomia attraverso task di tipo cooperativo e collaborativo (Littlewood, 2002, p. 35) (si veda la tabella 2.4).

TABELLA 2.4Quadro integrato per lo sviluppo dell’autonomia attraverso task cooperativi e

collaborativi (adattato da Littlewood, 2002, p. 37)

Attività per lo sviluppo comunicativo

Attività per lo sviluppocomunicativo e cognitivo

Attività per lo sviluppo comunicativo, cognitivo

e personale

Gli studenti lavorano in modo indipendente su obiet-tivi definiti dall’insegnante o dal curricolo.

Gli studenti lavorano in modo indipendente su obiet-tivi definiti da loro stessi.

Tecniche di apprendimento cooperativo (ad esempio jigsaw).

Tecniche di apprendimento collaborativo (ad esempio lavoro per progetti).

«Autonomia reattiva» «Autonomia proattiva»

Il modello di Scharle e Szabó (2000)

Un altro modello di sviluppo di autonomia è quello proposto da Scharle e Szabó. Le due studiose descrivono tre fasi successive:1. aumentare la consapevolezza del processo di apprendimento e del grado

di riflessività cosciente. La maggior parte delle attività in questa prima fase sono altamente strutturate e controllate dall’insegnante, perché si presuppone che gli studenti non abbiano ancora raggiunto un sufficiente grado di capacità decisionale su come procedere;

3. gruppi con procedura jigsaw combinati con gruppi esperti;4. lavoro di gruppo a partire da argomenti e/o risorse selezionate dagli studenti.

Littlewood, seguendo l’interpretazione di altri studiosi, tra cui Flannery (1994), ritiene che solo l’ultimo tipo di attività implichi lo sviluppo di strategie di apprendimento colla-borativo «in cui gli studenti hanno un ruolo attivo nel modellare il loro apprendimento e quindi ridefinire lo status quo educativo» (Littlewood, 2002, p. 34), mentre le precedenti, richiedendo un controllo da parte dell’insegnante o essendo comunque limitate dal sillabo, non permettono una vera autonomia d’azione al discente.

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2. praticare le abilità introdotte nella prima fase per iniziare a cambiare la propria predisposizione verso l’apprendimento. Si tratta di un processo particolarmente lungo che richiede molto esercizio: serve tempo per fare propri regole e comportamenti nuovi, soprattutto quando ciò significa estirpare schemi ancorati nella tradizione; molte delle attività in questa seconda fase sono ripetibili e tendono a dare più spazio all’iniziativa da parte degli studenti;

3. trasferire alcuni ruoli sullo studente. Questa terza e ultima fase richiede un cambiamento sostanziale nell’organizzazione e gestione della classe ed è forse il passaggio più impegnativo per l’insegnante; le attività sono poco strutturate e gli studenti hanno ampia libertà rispetto alla realizzazione dei task assegnati o alla decisione di quali attività svolgere.

Questi quattro modelli di autonomia mostrano come essa possa essere sviluppata in modo graduale, favorendo quindi quella che secondo Benson (2006) è una progressione della capacità di essere autonomi che va dal basso verso l’alto. Tuttavia, le teorie su cui si fondano gli studi sull’autonomia sostengono che non sempre ci sia linearità nello sviluppo di tale capacità, sia per differenze individuali che culturali che contraddistinguono ciascuno studente. Come scrive Barbara Sinclair (2009, in Dang, 2012), la sequenza delle fasi nel modello di Nunan (1997) sopra descritto, ad esempio, può essere appropriata per studenti occidentali, ma non per studenti cinesi, i quali sono più portati per la creazione di nuovi task (livello 4 e 5 del modello) ma sono in difficoltà se chiamati a fare una scelta tra alternative diverse (livello 2).

Modelli con indicazioni di performance

Il modello di Littlewood (1996)

La proposta di Littlewood parte dalla convinzione che le abilità di comunicare e di apprendere in modo indipendente siano i principali fattori che permettono a una persona di compiere scelte importanti per la sua vita e, di conseguenza, di contribuire all’autonomia di apprendere in quanto individuo. Egli descrive tre domini di autonomia, uno legato alla comuni-cazione, uno all’apprendimento e uno alla vita: 1. autonomia comunicativa: è il dominio relativo alla comunicazione lingui-

stica e si fonda sia sull’abilità di usare in modo creativo il linguaggio sia

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sull’uso di strategie adatte a esprimere determinati messaggi in situazioni specifiche;

2. autonomia di apprendimento: è il processo che porta a imparare a usare la lingua per comunicare e punta sull’abilità di agire attivamente e uti-lizzare strategie mirate, sia all’interno del gruppo classe che in contesti extrascolastici;

3. autonomia personale: viene raggiunta quando la capacità del discente di comunicare e apprendere in modo autonomo gli permette di compiere delle scelte nella sua vita; questo dominio prevede l’abilità di saper comunicare in modo autentico e creare situazioni di apprendimento personalizzate.

In altre parole, si tratta delle tre dimensioni dell’autonomia, rispettiva-mente quella relativa all’acquisizione linguistica, quella relativa al processo di apprendimento e quella connessa allo sviluppo individuale. Lo studioso sostiene che questi tre domini dipendono talmente l’uno dall’altro che ten-dono a sovrapporsi: ad esempio, la creatività linguistica è strettamente legata all’acquisizione della lingua e allo stesso tempo contribuisce allo sviluppo individuale permettendo l’espressione di messaggi personali. All’interno di questo quadro, la funzione dell’insegnante è quella di aiutare gli studenti a mantenere alta la motivazione e la fiducia in se stessi, e di creare le condizioni perché si costruiscano nuove conoscenze e si sviluppino competenze adeguate.

Il modello di Macaro (1997)

Macaro specifica che la sua interpretazione di autonomia è funzionale allo sviluppo potenziale del discente, al modo in cui egli può usarla per agire più opportunamente. Il suo modello include tre dimensioni:1. autonomia nella competenza linguistica: il discente utilizza la lingua stra-

niera senza l’aiuto di un parlante competente (solitamente l’insegnante);2. autonomia nella competenza relativa all’apprendimento linguistico: si

tratta di uno stadio in cui le competenze di apprendimento della lingua straniera vengono riprodotte e trasferite ad altre situazioni, incluso l’ap-prendimento di altre lingue straniere;

3. autonomia di scelta e azione: quando gli studenti vengono coinvolti nelle decisioni legate al loro apprendimento, rendendoli ad esempio partecipi delle ragioni per cui è necessario che apprendano determinati contenuti, o condividendo obiettivi di medio e lungo termine, o considerando

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quali materiali e tecniche utilizzare per procedere nell’apprendimento, o riflettendo sulle loro strategie cognitive.

Il modello di Tassinari (2010)

Maria Giovanna Tassinari parte dalla convinzione che la caratteristica essenziale dell’apprendente autonomo risieda nella capacità di mettere in collegamento le varie dimensioni legate all’autonomia, ossia la componente metacognitiva (strutturare le conoscenze), quella affettiva (controllare le proprie emozioni e motivarsi) e quella orientata all’azione (pianificare, scegliere materiali e metodi, completare task, monitorare, valutare, gestire il proprio apprendimento) e al sociale (cooperare). Il suo modello riassume queste componenti in termini di «competenze», «abilità», «azioni» e dei legami che si creano tra esse. Il modello è strutturato in modo dinamico, poiché ognuna delle tre componenti è direttamente correlata alle altre (come indicato dalle frecce, si veda la figura 2.1). Inoltre, è facile adattare

Fig. 2.1 Modello dinamico di autonomia di apprendimento (adattato da Tassinari, 2011, p. 63).

Gestirel’apprendi-

mento

Pianifi-careValutare

Monito-rare

Strutturare le conoscenze

Gestireemozioni

Motivarsi

Svolgereattività

Cooperare

Scegliere materiali e

metodi

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il modello a qualsiasi studente, poiché è possibile un inserimento a partire da qualunque componente e da lì ci si può muovere liberamente da una all’altra senza seguire un determinato percorso, in base ai propri obiettivi e alle proprie esigenze. Questa dinamicità rispecchierebbe, secondo la studiosa, la complessità della natura dell’autonomia.

Caratteristiche comuni

I modelli sopra citati hanno molte caratteristiche in comune. Sia che siano rappresentative di stadi di sviluppo della capacità di essere autonomi, sia che siano riferite agli ambiti in cui tali capacità vengono richieste, tali caratteristiche sono riassumibili in tre processi principali:1. avviare il processo;2. monitorarlo;3. valutarlo.

La tabella 2.5 riassume le caratteristiche suddividendole per ciascun processo cui si riferiscono. In realtà, trattandosi di processi che spesso si

TABELLA 2.5Principali processi coinvolti nell’autonomia di apprendimento

e relative caratteristiche (Dang, 2012, p. 61)

Processi caratteristiche

Avviare Essere consapevole degli obiettivi di apprendimento e delle strategie.Identificare e fissare obiettivi.Pianificare. Cercare risorse.Rispettare i piani e tenere traccia dell’apprendimento.Identificare e usare strategie appropriate.Selezionare materiali adatti.

Monitorare Adattare e personalizzare l’apprendimento.Essere flessibile e regolare l’apprendimento.Agire e aggiustare i piani.Concentrarsi sull’apprendimento.Collaborare e interagire con altri.Esprimere opinioni e negoziare tra pari.

Valutare Riflettere criticamente.Valutare i risultati dell’apprendimento.Correggere gli errori.

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sovrappongono, in quanto per loro stessa natura non sono nettamente distinguibili l’uno dall’altro, la suddivisione qui presentata è puramente esemplificativa. Basti infatti pensare che per essere in grado di monitorare un processo cognitivo in modo efficace, uno studente dovrà riuscire allo stesso tempo a valutare ciò che sa e sta facendo, e a decidere che tipo di nuove azioni avviare (Dang, 2012).

Obiettivi di apprendimento linguistico e obiettivi di autonomia di ap-prendimento

Per Holec (1981, p. 23) gli obiettivi dell’insegnante dovrebbero essere quelli di aiutare gli studenti a:– acquisire quelle competenze linguistiche e comunicative che loro stessi si

sono prefissati;– acquisire autonomia, in particolare aiutarli a «imparare a imparare».

Questi due obiettivi, secondo lo studioso, sono da perseguire con uguale attenzione, poiché è impossibile considerare l’autonomia come precondizione all’apprendimento linguistico, ma sarebbe altrettanto poco sensato procedere allo sviluppo dell’autonomia quando lo studio sulla lingua è ormai concluso. Dal punto di vista del discente, si può dire che il suo interesse sia diretto più a ciò che deve imparare piuttosto che a imparare ad essere autonomo, dal momento che l’autonomia è fondamentalmente una condizione per il raggiungimento di obiettivi personali e non tanto un obiettivo esplicito in sé. Ciò significa che la percezione di autonomia del discente è sempre strettamente collegata a una particolare esperienza di apprendimento o di vita (Benson, 2008, p. 26) e che è necessario far sì che l’apprendimento linguistico diventi un obiettivo personale, così da generare automaticamente la motivazione nel diventare più autonomi e competenti. Sicuramente il contesto socio-economico e culturale di oggi fornisce alla maggior parte dei ragazzi una spinta motivazionale di partenza verso l’apprendimento linguistico, soprattutto se si parla della lingua inglese. Tuttavia, è necessario l’uso continuativo e significativo della lingua straniera nel processo cognitivo per promuovere una reale autonomia di appren-dimento linguistico (Kenny, 1993; Little, 2007). Se autonomia significa

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anche «imparare a imparare» (si vedano i modelli di sviluppo dell’autonomia precedentemente illustrati) e per imparare la lingua lo studente deve non tanto ripetere dialoghi prestabiliti quanto invece esercitare in modo auten-tico le sue competenze, allora la lingua straniera deve essere utilizzata come veicolo di apprendimento, con la funzione di esprimere messaggi autentici e raggiungere scopi reali. Ecco come si spiega ancora una volta la strettissima relazione tra gli obiettivi cognitivi (legati all’apprendimento linguistico) e quelli metacognitivi («imparare a imparare»).

Ne consegue che, in una classe autonoma dove la lingua straniera viene utilizzata come veicolo di apprendimento, gli studenti non do-vranno solamente essere in grado di prendere delle decisioni riguardo il loro apprendimento, ma dovranno farlo in cooperazione e negoziazione tramite l’uso della lingua straniera (Little, 1994; Dam, 1995). Secondo Little (2007, pp. 23-26), i tre principi che favoriscono un’acquisizione efficace della lingua straniera nel quadro dell’apprendimento autonomo sono infatti:1. il principio del coinvolgimento dell’apprendente, tramite la sua diretta

partecipazione alla scelta delle attività e dei materiali da utilizzare, alla condivisione di responsabilità sui risultati e alla complicità nel gestire la lezione;

2. il principio in base al quale l’apprendente riflette criticamente sul proprio apprendimento (questa riflessione si realizza in classe seguendo fasi suc-cessive: prima con un confronto tra studenti e insegnanti, poi tra gruppi di studenti e infine come ragionamento mentale che l’apprendente farà tra sé e sé, quando avrà sviluppato un grado di autonomia sia cognitiva che linguistica tale da non aver bisogno dell’aiuto di altri);

3. il principio dell’uso della lingua straniera in classe come basilare in vista di un’assoluta integrazione tra autonomia dell’apprendimento e miglio-ramento delle competenze nella lingua target.

Il timore degli insegnanti che giudicano gli studenti non in grado di poter usare la lingua straniera per gestire e riflettere sul proprio processo di apprendimento è stato confutato da diverse esperienze pubblicate negli ultimi quindici anni (Dam, 1995; Thomsen, 2000; 2003; Thomsen e Ga-brielsen, 1991, in Little, 2007, p. 25) che dimostrano come, supportando adeguatamente i discenti (nei primi stadi utilizzando adeguate tecniche di

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Autonomia dello studente e didattica 39

scaffolding6 e interazione), l’insegnante possa favorire uno scambio comuni-cativo anche su aspetti prettamente metacognitivi e metalinguistici. Hanne Thomsen (2003, in Little, 2007, p. 25), ad esempio, dimostra che una volta che gli studenti acquisiscono un livello di competenza linguistica sufficiente da permettere loro di svolgere attività di gruppo in lingua straniera, sono anche in grado di riflettere sui processi di apprendimento connessi alla loro conoscenza della lingua e all’uso attivo che ne fanno. In pratica, l’autonomia nell’apprendimento delle lingue straniere non riguarda solo il controllo di attività, tecniche e risorse da utilizzare, ma anche un particolare orienta-mento verso la lingua straniera stessa, poiché per l’apprendente autonomo ogni occasione di uso della lingua rappresenta un’occasione per imparare la lingua, e viceversa (Little, 1997).

Se è evidente come il piano dell’apprendimento linguistico e quello dell’autonomia dipendano l’uno dall’altro, si comprenderanno le difficoltà che si incontrano nel provare a suddividere in modo netto finalità e obiettivi di ciascun piano. La tabella 2.6 illustra il tentativo di Marie-France Cham-pagne e collaboratori (2001, p. 52), i quali ammettono che la distinzione in due aree non è stata un’operazione semplice da compiere e che diversi

6 La metafora dell’«impalcatura» (scaffolding) viene usata per descrivere il supporto che l’insegnante dà allo studente al fine di aiutarlo sia nella sua performance sia a «imparare a imparare». Il termine «scaffolding» è stato inizialmente usato da David Wood e colla-boratori (1975, in Gibbons, 2003, p. 249) in riferimento alle procedure di sostegno e di accompagnamento messe in atto dai genitori o dal maestro per favorire l’apprendimento da parte del bambino. Tale concetto è molto vicino a quello della zona di sviluppo prossimale di Lev S. Vygotsky (1934), ossia quella distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale, variabile da individuo a individuo, cui si può giungere solo con l’aiuto di persone più esperte e competenti. Secondo Vygotsky, infatti, l’apprendimento umano presuppone una natura sociale specifica e un processo attraverso il quale i bambini si inseriscono gradualmente nella vita intellettuale di coloro che li circondano: la competenza prima è sociale e poi diventa competenza individuale. Nella classe di lingua, il concetto di supporto, di guida o di scaffolding può essere definito come un’assistenza temporanea, ma essenziale, che aiuta gli studenti a sviluppare abilità, concetti nuovi e ad aumentare le proprie competenze. In pratica, perché esso si verifichi, ad esempio in un’interazione tra insegnante e studente, deve esservi evidenza, da un lato, di un risultato positivo nell’esecu-zione di un compito da parte dello studente grazie alla guida dell’insegnante e, dall’altro, del fatto che tramite quest’esperienza lo studente abbia raggiunto un livello maggiore di indipendenza nella sua competenza (Maybin et al., 1992, in Gibbons, 2003, p. 249).

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aspetti rimangono in bilico: ad esempio, commentando l’obiettivo «elicitare informazioni significative da altri», rimarcano il fatto che, nonostante sia stato posizionato nell’area dell’autonomia, il suo legame con la competenza linguistica è innegabile.

TABELLA 2.6Esempio di distinzione di finalità e obiettivi tra le aree di autonomia di apprendimento e competenza linguistica (adattato da champagne

e collaboratori, 2001, p. 52)7

Autonomia di apprendimento competenza linguistica

FINALITÀ

– Capire perché si sta facendo ciò che si sta facendo;– diventare un apprendente autodiretto sia da solo

che in gruppo;– creare collegamenti tra l’apprendimento scolastico

ed extrascolastico;– riflettere e fare uso delle esperienze personali;– lanciarsi in nuove esperienze al di fuori dell’istitu-

zione scolastica di appartenenza.

FINALITÀ

– Comprendere gli altri quando parlano;

– negoziare significati.

OBIETTIVI

– Riconoscere e utilizzare risorse; – elicitare informazioni significative da altri;– esaminare criticamente il lavoro proprio e degli altri;– iniziare, pianificare, organizzare e completare un

lavoro.

OBIETTIVI

– Aumentare la conoscenza e il lessico rilevante;

– cogliere opportunità di forma-zione e ricerca;

– chiarire e presentare le proprie idee oralmente o per iscritto;

– spiegare perché si sta facendo quello che si sta facendo.

La ragione che ha spinto questo gruppo di ricercatori e altri esperti a cercare di delineare il confine tra le finalità e gli obiettivi dell’apprendi-mento linguistico e quelli dell’autonomia di apprendimento linguistico è strettamente collegata alla necessità di comprendere quale sia il grado di autonomia posseduto dai discenti. Se, come ripetuto più volte, l’au-tonomia deve rientrare tra gli obiettivi dell’educazione linguistica (oltre

7 Quello in Champagne e collaboratori (2001) è un progetto di ricerca mirato a definire modalità di valutazione dell’autonomia di apprendimento linguistico. Il contesto di spe-rimentazione è quello di corsi di lingua universitari basati sullo sviluppo della competenza comunicativa tramite l’uso della metodologia basata sul compito.

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che generale del discente), allora deve essere trovato un modo per poterla osservare, quantificare, valutare. Il paragrafo successivo si occuperà proprio di questo aspetto.

Misurare l’autonomia di apprendimento

Si aprono sempre grandi dibattiti quando si parla della volontà di ren-dere oggettivo qualcosa che risiede per natura nella psicologia dell’individuo, e quindi risulterebbe essere totalmente soggettivo. Uno di questi dibattiti nel campo della letteratura sull’autonomia riguarda proprio il cercare di misurare il grado di autonomia sviluppato e/o messo in pratica da un discente nella gestione del suo apprendimento. Ci si chiede come sia possibile misurare il grado di autonomia e, ancora prima, se sia possibile farlo.

I modelli di sviluppo di autonomia maggiormente conosciuti e che sono stati illustrati nel capitolo secondo, paragrafo Alcuni modelli di autonomia di apprendimento, descrivono una capacità che cresce e tocca diversi domini, seguendo lo sviluppo personale dell’apprendimento che ha tempi e modalità differenti per ciascun soggetto, e per questo motivo sembra precludere in sostanza l’utilizzo di parametri di osservazione predeterminati (Little, 1991). Tuttavia, ci sono studiosi che insistono sulla necessità di trovare delle mo-dalità per rendere esplicita la progressione di quella capacità di autonomia, perché solo nel momento in cui l’autonomia diventa ufficialmente parte del percorso didattico, richiedendo una riflessione mirata, forme di monitoraggio e di (auto)valutazione formale, i discenti ne potranno riconoscere la valenza (O’Leary, 2007) e si impegneranno per promuoverla. Sinclair (1999, p. 100) insiste sul fatto che la mancanza di un sistema di misurazione, o comunque di un quadro di riferimento specifico per l’autonomia di apprendimento, fa sì che gli insegnanti, gli autori di libri di testo e i responsabili delle pianifi-cazioni curricolari siano lasciati a se stessi, a fare ciò che credono sia meglio fare, partendo dai propri orientamenti verso l’apprendimento, dalle proprie esperienze e intuizioni.

Partono dunque da tali presupposti i questionari autoreferenziali diffusi negli ultimi anni con l’intento di aiutare a capire quale sia la capacità di autoregolazione posseduta dagli studenti. Essendo l’autonomia un costrutto multidimensionale, la maggior parte delle scale di misurazione fino a oggi

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42 Apprendimento linguistico: una questione di autonomia?

sperimentate si compone di più aspetti, legati sia alla dimensione cognitiva sia a quella psicologica. Si ricordano in questa sede:8 ‒ Self-Directed Learning Readiness Scale (SDLRS) di Lucy M. Guglielmino

(1977): un questionario che testa atteggiamenti, abilità e altre caratte-ristiche utili a indicare il livello di predisposizione di un soggetto a farsi carico del proprio apprendimento in un dato momento. Sebbene questo strumento diagnostico sia stato valutato un eccellente punto di partenza per la misurazione del grado di autonomia (Brockett e Hiemstra, 1991; Merriam e Caffarella, 1999) non è uno strumento realizzato specificata-mente per l’ambito linguistico;

‒ questionario di misurazione dell’autonomia di Sara Cotterall (1995): il questionario parte dalle percezioni che si posseggono di sé e del proprio modo di apprendere come base per misurare la propria predisposizione a farsi carico del processo di apprendimento;

‒ Self-direction in Second Language Learning Measurement Scale (SSLLMS) di Jose Lai (2001): ispirandosi al lavoro di Guglielmino, Lai crea un que-stionario non più diagnostico, ma formativo, avente un duplice scopo: accertare la capacità degli studenti di monitorare e pianificare il proprio impegno nell’apprendimento linguistico e stimolare la loro consapevolezza rispetto all’autoregolazione nello studio della lingua straniera;

‒ Measuring Instrument for Language Learner Autonomy (MILLA) di Fu-miko Murase (2009): uno strumento di misura quantitativa del grado di autonomia sviluppato dal discente. Per poter cogliere la natura mul-tidimensionale, lo strumento tiene conto di quattro principali categorie: autonomia tecnica, psicologica, politico-filosofica e socioculturale. Dopo uno studio pilota, lo strumento è stato rivisto per essere utilizzato in ricer-che successive al fine di riflettere sulle pratiche didattiche e sensibilizzare gli studenti al loro apprendimento.

Esistono poi dei questionari pensati per investigare non la misura in cui uno studente è autonomo, come nel caso dei questionari appena descritti, ma per misurare quanto l’autonomia venga promossa dall’insegnante. Uno fra tutti, il Learning Climate Questionnaire (LCQ) ha l’obiettivo di misu-rare quanto gli insegnanti adottino una didattica che supporti lo sviluppo

8 Per approfondimenti si veda Menegale (2011a).

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Autonomia dello studente e didattica 43

dell’autonomia di apprendimento, in base alle percezioni degli studenti stessi (Black e Deci, 2000).

Nonostante tutti questi questionari possano sicuramente essere ritenuti utili al fine di accrescere la riflessione critica in classe, creando occasioni per uno scambio di opinioni e per un aumento del proprio interessamento verso il processo di apprendimento/insegnamento, non può essere tralasciato il problema della difficoltà di poter affidare a un solo strumento la misurazione di fattori tra loro molto diversi, come la motivazione, la consapevolezza linguistica, gli orientamenti personali e la metacognizione, tutti fattori in-trinsecamente legati nel concetto di autonomia (Benson, 2001). Infine, c’è chi sostiene che l’unico modo per misurare la capacità degli studenti di essere autonomi e di saper gestire le varie fasi del processo di apprendimento stia nello studio dei loro comportamenti. Tale studio necessita di una raccolta costante di dati che diano conto delle riflessioni linguistiche e metalin-guistiche dei soggetti, delle loro percezioni e delle loro attribuzioni verso i risultati dell’apprendimento, dell’appropriatezza delle loro autovalutazioni e di altri aspetti similmente connessi alla gestione del processo cognitivo. In questo caso, gli strumenti di misurazione sarebbero schede di osservazione, diari, portfolio, audio e videoregistrazioni, interviste, ecc. (Champagne et al., 2001). Tuttavia, anche l’osservazione dei comportamenti degli studenti non è di per sé un metodo assolutamente valido per valutare quanto siano autonomi, poiché non è detto che affermare che uno studente utilizza una strategia che generalmente viene associata a un comportamento che denota autonomia equivalga ad affermare che egli è autonomo.

Come si può comprendere, lo studio analitico dell’autonomia di apprendimento e della sua promozione è un compito piuttosto arduo. La misurazione del grado di autonomia raggiunto dal discente è stato uno dei punti cardine di una ricerca recentemente svolta sulla situazione dei discenti nella scuola secondaria italiana (Menegale, 2011a), della quale verranno discussi i principali risultati nel capitolo terzo del presente volume.

Il ruolo dell’insegnante

Come visto in questo capitolo, paragrafo Misurare l’autonomia di apprendimento, l’insegnante ha il compito di aiutare i suoi studenti a perse-

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guire sia obiettivi relativi all’apprendimento linguistico (che cosa vogliono imparare, in che modo, con che materiali) sia al processo metacognitivo (strategie di apprendimento, consapevolezza del proprio modo di imparare).

La prima mossa che l’insegnante dovrebbe compiere è quella di smet-tere i panni del «comandante» assoluto della classe e assumere un ruolo di facilitatore dell’apprendimento. In una ricerca di qualche anno fa compiuta all’interno di diverse scuole italiane (primarie e secondarie) sono stati con-fermati i dati sostenuti in molte altre ricerche internazionali: il tempo di parola del docente domina la lezione (l’insegnante parla per più dell’85% del tempo totale di durata della lezione) e lo studente ha di conseguenza poco spazio per interagire, anche per il fatto che le rare domande che gli vengono poste sono di tipo dimostrativo e non prevedono richieste cognitive di alto livello (Menegale, 2008). Queste premesse, ovviamente, contrastano con una possibile crescita di autonomia degli apprendenti che dovrebbero invece essere continuamente stimolati a partecipare attivamente e a riflet-tere su quanto fanno. Cotterall (2006) riporta alcuni studi che dimostrano l’importanza della comunicazione in classe e confronta alcuni esempi di input lanciati dall’insegnante.

Insegnante A: Ora andate a pagina 135 e completate l’esercizio 2.

Insegnante B: Se non finite l’esercizio entro la fine della lezione, lo farete come compito per casa.

Insegnante C: Che cosa ricorderete della lezione di oggi che potrebbe tornarvi utile per esprimervi in modo più fluente in futuro?

Questi semplici esempi fanno comprendere quanto sia più comune assistere ad affermazioni simili a quelle dell’insegnante A o B rispetto a una domanda riflessiva come quella proposta dall’insegnante C: accade infatti più di frequente di chiedere agli studenti di fare qualcosa piuttosto che chiedere loro di pensare a come lo faranno o a che cosa hanno già fatto. Al contrario, per intraprendere un percorso verso l’autonomia nell’apprendi-mento è necessario fare attenzione sia alle attività che vengono proposte in classe, sia al modo in cui vengono presentate, compresa l’esplicitazione degli obiettivi da perseguire.

Le tabelle 2.7 e 2.8 possono aiutare a comprendere quali siano i passaggi necessari per realizzare un cambiamento nel ruolo dell’insegnante. In parti-colare, nella loro guida dedicata agli insegnanti interessati a promuovere lo

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Autonomia dello studente e didattica 45

sviluppo dell’autonomia negli studenti, Scharle e Szabó (2000) propongono di ripensare il proprio atteggiamento verso l’insegnamento considerando una serie di aspetti che determinano un approccio più o meno centrato sullo studente (si veda la tabella 2.7).

TABELLA 2.7il ruolo dell’insegnante considerato sul continuum tra il tradizionale approccio

centrato sull’insegnante e quello più autonomo centrato sullo studente (adattato da scharle e szabó, 2000, p. 6)

Apprendimento centrato sull’insegnante

Apprendimento centrato sullo studente

Gli studenti hanno possibili-tà di scelta limitata.

Gli studenti hanno possibili-tà di scelta ampia.

Gli studenti hanno ruolo passivo.

Gli studenti hanno ruolo attivo.

L’insegnante ha più potere e controllo.

Gli studenti hanno più pote-re e controllo.

Atteggiamentotradizionale Mio atteggiamento Atteggiamento centrato

sullo studente

Io ho tutte le informazioni.________________________

Il sillabo, l’esame e le infor-mazioni sono qui per essere condivise da tutti.

È mio dovere trasferire le conoscenze agli studenti. ________________________ Non sono la fonte di ogni

sapere.

Sono responsabile dell’ap-prendimento degli studenti. ________________________ Gli studenti sono responsa-

bili del loro apprendimento.

È mio dovere essere sicuro che gli studenti lavorino. ________________________

Sono qui per facilitare l’ap-prendimento degli studen-ti fornendo loro risorse e supporto.

In quanto adulto e profes-sionista, ho l’esperienza per decidere dell’apprendimen-to degli studenti.

________________________

Confido nella volontà degli studenti di imparare e assu-mersi la responsabilità del loro apprendimento.

Lo schema di Hayo Reinders (2010) riassume in modo ancora più esplicito quali sono le caratteristiche di un apprendimento centrato sull’inse-

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gnante o centrato sul discente per ogni livello del processo cognitivo, dall’i-dentificazione dei bisogni alla valutazione finale di ciò che viene acquisito. L’obiettivo è quello di far riflettere gli insegnanti su ciò che dovrebbero riuscire via via a «delegare» ai propri studenti (si veda la tabella 2.8).

TABELLA 2.8il ruolo dell’insegnante considerato sul continuum tra il tradizionale approccio

centrato sull’insegnante e quello più autonomo centrato sullo studente (reinders, 2010, p. 46)

Livelli di apprendimento Apprendimento diretto dall’insegnante

Apprendimento diretto dallo studente

Identificare i bisogni. Test di piazzamento, feedback dell’insegnante.

Lo studente affronta del-le difficoltà nell’uso della lingua.

Stabilire gli obiettivi. Determinati dal corso, gene-ralmente prefissati.

Determinati dal contesto, generalmente flessibili.

Pianificare l’apprendimento. Determinato dall’insegnan-te, un certo grado di fles-sibilità.

Determinato dal contesto, molto flessibile.

Selezionare le risorse. Fornite dall’insegnante. Autoselezione da parte dello studente.

Selezionare le strategie di apprendimento.

Modelli e istruzioni forniti dall’insegnante.

Autoselezione da parte dello studente.

Esercitazioni. Esercizi e attività forniti dall’insegnante.

Uso della lingua e sperimen-tazioni.

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Capitolo terzo

Una ricerca nella scuola secondaria italiana

Il capitolo terzo del presente volume illustra in breve una ricerca sull’autonomia dello studente svolta recentemente sulle scuole secondarie del territorio italiano. Benché già da una ventina di anni si parli di autonomia dello studente anche in Italia (Mariani, 1994; Mazzotta, 1996), in realtà gli studi sull’autonomia svolti nel nostro Paese si limitano generalmente a studi di caso, spesso sotto forma di ricerca-azione. Inoltre, e questo vale sia in Italia che all’estero, la maggior parte degli studi che sono stati fino a oggi svolti per indagare le caratteristiche di un discente autonomo, o il livello di autoregolazione raggiunto o dimostrato nell’apprendimento linguistico, ecc., si sono incentrati su studenti adulti (universitari o oltre). Tuttavia, poiché si ritiene che un adulto possa riuscire ad autoregolare il proprio apprendimento con tempi e modalità più veloci (a partire da un maggior senso di responsabilità delle proprie scelte e consapevolezza dell’interesse che le guida), siamo convinti che per provare a scavare più a fondo nei principi che regolano il processo di sviluppo dell’autonomia sia necessario indagare su discenti più giovani, che hanno maggiore bisogno di guida e incoraggiamento. Per questo motivo, la ricerca qui presentata si è focalizzata su ragazzi della scuola secondaria di primo e secondo grado, giovani che debbono ancora maturare un senso di consapevolezza nell’apprendimento, che spesso non hanno particolare desiderio di farsene carico e che conside-rano l’apprendimento della lingua straniera come una delle tante materie scolastiche, con esercizi da fare, vocaboli da memorizzare, ecc.

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Obiettivi e modalità

La ricerca mirava a capire il grado di autonomia percepito dai ragazzi e a raccogliere dati sul ruolo dell’insegnante nello sviluppo della capacità di autonomia.1

I partecipanti (473 studenti della scuola secondaria italiana di primo e secondo grado e 43 docenti di lingua straniera) hanno risposto a due questionari anonimi online (un questionario per gli studenti e un altro per i docenti) precedentemente validati. Le domande dei questionari rispecchia-vano i seguenti macrodomini illustrati nelle tabelle 3.1 e 3.2.

TABELLA 3.1Macrodomini investigati con le domande presenti nel questionario studente

(adattato da Menegale, 2011a, p. 144)

Questionario studente

Dimensione affettiva:– considerazione del ruolo dell’insegnante vs. del proprio ruolo di studente;– fattori di attribuzione del proprio successo/fallimento;– percezione di sé (propria capacità di apprendere la LS);– volontà di farsi carico del proprio apprendimento;– percezione di sé (propria capacità di autoregolarsi);– apprendimento di altre lingue;– motivazione verso l’apprendimento delle lingue.

Dimensione metacognitiva:– strategie utilizzate per pianificare, monitorare e autovalutare il processo di apprendi-

mento linguistico.

Come scritto nel capitolo secondo, paragrafo Misurare l’autonomia di apprendimento, è problematico capire esattamente quale sia il grado di autonomia posseduto da uno studente, soprattutto quando non vengono svolti dei percorsi mirati allo sviluppo di tale capacità e se non ci si basa su dati raccolti con l’uso sistematico di strumenti introspettivi che mo-strino il percorso di riflessione che lo studente fa su se stesso durante un

1 La ricerca aveva come obiettivo anche quello di investigare le strategie messe in atto per promuovere una competenza plurilingue, per i cui risultati si rimanda a Menegale (2011b; 2011c).

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Una ricerca nella scuola secondaria italiana 49

periodo di tempo esteso. È anche vero, però, che è possibile basarsi sulla percezione del grado di autonomia posseduto, considerando la percezione come specchio della consapevolezza di sé e degli aspetti legati all’appren-dimento linguistico.

TABELLA 3.2Macrodomini investigati con le domande presenti nel questionario docente

(adattato da Menegale, 2011a, p. 146)

Questionario docente

Percezione del concetto di autonomia nell’apprendimento delle Ls:– natura e valore dell’autonomia;– proprio ruolo vs. ruolo degli studenti;– azioni atte allo sviluppo dell’autonomia.

conoscenza degli studenti:– percezione della volontà degli studenti di farsi carico del proprio apprendimento;– percezione della loro abilità di essere autonomi; – conoscenza della loro biografia linguistica.

Ricordando la definizione di «apprendente autonomo» data in Menegale (2011a, p. 148): «L’apprendente di lingue straniere autonomo è colui che è capace di farsi carico del proprio apprendimento e decide deliberatamente di farlo per accrescere la sua competenza linguistica glo-bale e saperla utilizzare con successo in situazioni di pluralità. Quindi, l’apprendente autonomo è motivato, riflessivo e consapevolmente responsabile delle strategie che gli permettono di applicare ciò che impara in classe a contesti esterni e viceversa».

Si è deciso di misurare il grado di autonomia degli studenti parte-cipanti allo studio basandosi sui seguenti quattro fattori:2 responsabilità personale dei soggetti (la percezione del proprio ruolo di studenti); attri-buzioni che caratterizzano il loro processo cognitivo (la percezione di avere il controllo del proprio apprendimento della lingua, oppure pensare che i risultati che si ottengono derivino da cause esterne); senso di autoefficacia

2 La procedura di validazione del questionario e dei quattro fattori qui elencati è stata ef-fettuata con analisi fattoriale a ritroso utilizzando il programma SPSS (Statistical Package for the Social Sciences). L’affidabilità interna della scala è stata misurata con il coefficiente Cronbach, risultante 0,78. Per maggiori dettagli si veda Menegale (2011c).

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50 Apprendimento linguistico: una questione di autonomia?

(la percezione delle proprie potenzialità di apprendere con successo una lingua straniera e anche di saper autoregolare il proprio apprendimento); volontà (essere disposti ad essere autonomi e responsabili del proprio apprendimento).

In base alle risposte date al questionario, ogni studente è quindi stato associato a un valore che ne esprimesse il grado di autonomia di-mostrato. I valori sono stati interpretati in base ai descrittori illustrati nella tabella 3.3.

TABELLA 3.3Descrittori dell’autonomia di apprendimento linguistico utilizzati per

l’interpretazione dei dati sul grado di autonomia dimostrato dagli studenti (Menegale, 2011a, p. 156)

L’apprendente è:

resistente all’autonomia

scarsamente autonomo in parte autonomo Autonomo

Res

pons

abili

Non si ritiene responsabile dei vari momenti che caratterizzano il suo apprendimen-to (pianificazione, monitoraggio, valu-tazione, ecc.).

Ritiene che sia principalmente l’insegnante re-sponsabile di ge-stire il processo di apprendimento.

Desidera gestire in modo più attivo il suo apprendi-mento.

Sa fissare i proprio obiettivi perso-nali di studio e gestire le varie fasi dell’apprendi-mento.

Attr

ibuz

ioni

Attribuisce a fattori esterni il suo suc-cesso o fallimento nell’apprendimen-to della lingua straniera.

Assegna a fattori esterni (attitudine, fortuna, ecc.) la quasi totalità del suo successo nell’apprendimen-to.

Riconosce l’im-portanza del suo impegno nel pro-cesso di apprendi-mento.

Sa valutare l’im-portanza del suo impegno e della sua perseveranza nel processo di apprendimento.

Auto

effic

acia

Ha una bassa stima delle proprie capacità di appren-dimento e autore-golazione.

Ha una percezione delle proprie capa-cità generalmente negativa, sia sulla gestione che sui risultati della lin-gua straniera.

Sta maturando un senso di consape-volezza di sé e di autoefficacia.

Ha un elevato sen-so di autoefficacia e che accresce la sua motivazione ad essere più responsabilmente attivo.

Volo

ntà Non è disposto

a farsi carico del proprio apprendi-mento.

È solo parzialmen-te disposto a farsi carico del proprio apprendimento.

È motivato a svi-luppare il suo gra-do di autonomia.

Esprime desiderio di autoregolazione e si impegna per autoregolarsi.

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Una ricerca nella scuola secondaria italiana 51

Si è poi eseguito un confronto3 tra gli studenti della secondaria di primo grado e quelli della secondaria di secondo grado per capire se vi fosse una dipendenza tra livello di autonomia ed età dei soggetti, ipotizzando che gli studenti della scuola di secondo grado risultassero possedere un grado maggiore di autonomia, da attribuirsi principalmente a un livello maggiore di maturità e consapevolezza, rispetto ai colleghi più giovani della scuola di primo grado.

Infine, si è confrontato il livello di autonomia dimostrato dai soggetti con le percezioni degli insegnanti, sia rispetto alle potenzialità di autonomia dei propri studenti, sia rispetto alle pratiche didattiche implementate in classe per promuovere l’autoregolazione da parte dei ragazzi. Si è voluto fare questo confronto per riuscire a interpretare i dati raccolti in modo più oggettivo possibile (visto che in entrambi i casi si trattava di questionari autoreferenziali o comunque che richiedevano una riflessione soggettiva) e allo stesso tempo per capire quali fossero i punti che accomunavano le percezioni degli studenti a quelle degli insegnanti e quelli che invece le distanziavano.

Risultati

Fin dal principio dell’analisi è risultato chiaro che il livello di autonomia maturato dai soggetti era complessivamente piuttosto basso: lo strumento di misurazione adottato (si veda la tabella 3.3) ha rilevato che circa il 70% degli studenti era «resistente» all’autonomia e la restante parte poteva essere associata a un livello mediamente «scarso» di autoregolazione. Per non ri-durre lo studio a una lettura negativa dei risultati complessivi ed evidenziare invece a che punto del percorso verso l’autonomia fossero giunti i soggetti, si è deciso di scavare più a fondo per capire, all’interno di tale «costrutto multidimensionale» (Benson, 2001, p. 47) così come rappresentato dal campione esaminato, quali fossero gli aspetti di forza (che costituivano quindi una buona base di partenza per l’autoregolazione) e quali quelli più critici (su cui dunque sarebbe stato necessario insistere maggiormente o in modo diverso).

3 Tramite test Chi quadro (χ²); α < ,05.

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52 Apprendimento linguistico: una questione di autonomia?

Punti di forza: corrette attribuzioni e alta motivazione ad essere più autonomi

Tende ad essere più responsabile del proprio apprendimento e a raggiungere risultati migliori chi ritiene che il successo o fallimento nell’af-frontare un compito sia il risultato di fattori controllabili (come il proprio sforzo e impegno) e non sia dovuto a fattori incontrollabili (come la capacità di imparare o meno, la facilità del compito o la fortuna). A tale proposito, gli studenti investigati hanno dichiarato che i successi raggiunti nell’ap-prendimento linguistico dipendono principalmente dai loro sforzi, e questa convinzione è sembrata ancora più forte tra gli studenti più giovani della scuola secondaria di primo grado rispetto ai ragazzi della scuola di secondo grado.4 Questo significa che vi sono le condizioni necessarie affinché si possa mirare all’autoregolazione. Bernard Weiner (1977; 2000) sottolinea che le attribuzioni degli studenti vanno a influenzare le loro aspettative, i loro valori, le loro emozioni e la motivazione. Se l’impegno (o la mancan-za di impegno) viene visto come causa principale del proprio successo (o fallimento) scolastico, allora si avrà anche un aumento della motivazione (Moè, De Cal e De Beni, 2002).

Un altro punto di forza degli studenti investigati era infatti la moti-vazione. La volontà di essere maggiormente responsabili della gestione del proprio apprendimento, sebbene solo per determinate fasi del processo cognitivo, fa ben sperare. Gli studenti si sono dichiarati disposti a impe-gnarsi per identificare quale sia il metodo più adatto allo studio della lingua

4 Esistono quattro livelli di sviluppo nella considerazione della differenza tra impegno e capacità (Nicholls e Miller, 1984, in Folmer et al., 2008, p. 114):1. al primo livello (5-6 anni) non c’è distinzione tra impegno e capacità e la loro relazione

rispetto all’esito non è chiara; 2. al secondo livello (7-9 anni) i bambini tendono ad attribuire i risultati esclusivamente

al loro impegno; 3. al terzo livello (10-11 anni) cominciano a distinguere tra capacità e impegno, poiché

riescono a ragionare su più dimensioni e a capire la differenza tra cause interne ed esterne, attribuendo cause di successi o fallimenti all’uno o all’altro fattore, senza una logica apparente;

4. al quarto livello (dai 12 anni in su) la differenza tra capacità e impegno è percepita in modo netto e la capacità viene considerata come un fattore che limita l’effetto dello sforzo, ossia i ragazzi, a partire da questa età, non credono che l’impegno possa com-pensare una mancanza di capacità.

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straniera (soprattutto gli studenti di scuola secondaria di primo grado), a controllare il proprio lavoro per trovare errori e a individuare i punti di forza e di debolezza loro attribuibili rispetto allo studio linguistico. Per quanto riguarda invece lo stabilire gli obiettivi del proprio apprendimento e la pianificazione del proprio programma di studio, la volontà è risultata meno diffusa tra i soggetti. Del resto, la volontà indica anche la libertà di decidere se autodirigere il proprio apprendimento o se lasciarlo fare ad altri (Holec, 1988, p. 8), e proprio questa seconda opzione sembrerebbe essere stata quella di molti dei soggetti indagati: confronti incrociati hanno ap-punto rivelato come gli stessi studenti che dichiaravano di essere disposti a stabilire che cosa imparare nella/della lingua straniera ritenessero altresì che non fosse loro dovere identificare i contenuti da trattare e i metodi didattici con cui farlo, ma che tali decisioni spettassero invece al loro insegnante (si veda il capitolo terzo, paragrafo Punti di debolezza).

In conclusione, i principi generalmente condivisi dagli studenti, e che li predispongono a un percorso di sviluppo dell’autonomia nell’appren-dimento linguistico, riguardano i loro atteggiamenti verso lo studio delle lingue (attribuire i risultati ottenuti primariamente al proprio impegno, avere un orientamento positivo verso lo studio delle lingue derivato da una motivazione integrata) e li rendono propensi a desiderare un mag-giore controllo sul processo di apprendimento. Wenden (1991) definisce gli atteggiamenti come delle motivazioni che sono state ormai acquisite, delle percezioni ben vagliate delle proprie aspirazioni, idee precise su ciò che si vuole raggiungere o evitare. Quindi, che ne siano consapevoli o no, gli studenti sono sicuramente in grado di decidere ciò che credono utile per poter realizzare i loro obiettivi, e, così come nella vita reale, lo è già per molti anche nell’apprendimento scolastico (Po-ying, 2007, p. 227). Si tratta dunque, sostanzialmente, di una conoscenza metacognitiva piuttosto estesa, che però va resa esplicita perché gli studenti la possano effettivamente usare al meglio.

Un ultimo dato che merita di essere citato riguardo alla motivazione all’autoregolazione è che, dai confronti incrociati tra le percezioni dei di-scenti e quelle degli insegnanti sulla volontà di autoregolazione degli stu-denti, si è evinto che in generale gli studenti si dichiarano disposti a gestire con maggiore responsabilità il proprio apprendimento, più di quanto gli insegnanti li ritengano motivati a farlo. Quest’incongruenza tra percezioni

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degli studenti e degli insegnanti non è l’unica ritrovata nello studio qui presentato (si veda Menegale, 2011a).

Punti di debolezza: chiusura in ruoli tradizionali, scarso senso di autoefficacia e ridotta capacità metacognitiva

Esiste un pregiudizio saldamente radicato per il quale l’apprendimento può avere successo solo in un contesto pedagogico di tipo «tradizionale», in cui l’insegnante dirige, insegna e controlla le attività, e gli studenti lo ascoltano e seguono le sue orme. Questa convinzione, che porta gli studenti ad essere prevenuti e ostili verso l’implementazione di una didattica mirata allo sviluppo della loro autonomia (Thanasoulas, 2000), rappresenta una minaccia alla loro volontà di cambiare la realtà, essendo questa ritenuta una condizione ideale per un apprendimento efficace. Nella presente ricerca è risultato evidente quanto gli studenti fossero poco predisposti a riconoscere la propria responsabilità nel gestire le varie fasi del processo di apprendi-mento. I dati hanno rivelato che, complessivamente, la maggior parte degli studenti ritiene che l’insegnante debba spiegare ogni aspetto nuovo (relativo alla grammatica, al vocabolario, ecc.) favorendo dunque una trasmissione esplicita della lingua straniera. Scendendo poi più nel dettaglio, gli studenti della scuola di primo grado rivelano una maggiore propensione (non grande in realtà, ma pur sempre statisticamente rilevante) ad accettare un ruolo più circoscritto da parte del docente rispetto ai loro compagni più grandi. Questo dato potrebbe derivare dal fatto che gli studenti della scuola di primo grado sono ancora legati alla didattica più esperienziale e attiva da loro vissuta in tempi recenti alla scuola primaria. Studi sulla psicologia motivazionale af-fermano inoltre che in molti studenti, all’età di 13-15 anni (età di passaggio tra la scuola secondaria di primo e di secondo grado), sembra che qualcosa «inizi ad andare storto» e che la loro curiosità di sapere, il loro impegno e l’interesse appaiano come «dissiparsi» (Chambers, 1998, p. 231). Questo atteggiamento porterebbe dunque gli studenti a perdere l’entusiasmo per l’apprendimento (linguistico, ma non solo) e a adottare un comportamento di «resistenza» all’autonomia.

Il problema della chiusura nei ruoli tradizionali non è però solo degli studenti: nella ricerca qui presentata, sebbene tutti gli insegnanti partecipanti si siano entusiasticamente espressi a favore dell’autonomia nell’apprendimen-

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to, si è potuto evincere che molti di loro sono ancora legati a una visione per certi versi trasmissiva della conoscenza. Altri studi, del resto, hanno provato che gli insegnanti ritengono che il processo cognitivo dovesse essere sotto la loro totale responsabilità, soprattutto perché gli studenti non hanno le competenze e l’esperienza per poter entrare nella gestione di contenuti e attività (Chan, 2003). Il fatto di considerare i propri studenti non in grado di svolgere determinate azioni a supporto dell’autoregolazione non può che creare un limite allo sviluppo di una didattica mirata all’autonomia e abbassare il senso di autoefficacia dei ragazzi stessi.

I dati hanno rilevato un secondo aspetto di criticità, ossia una scarsa convinzione degli studenti nelle proprie capacità di riuscire a ottenere buoni esiti nell’apprendimento linguistico e di saperlo gestire in modo autono-mo. Solo la metà dei soggetti investigati ha dichiarato di avere aspettative positive rispetto allo studio della lingua straniera e la percentuale si abbassa notevolmente se si tratta di un apprendimento totalmente autogestito, soprattutto nel gruppo di scuola secondaria di primo grado. Guardando più nel dettaglio, gli studenti ritengono di essere capaci di capire quando fanno dei miglioramenti, quando imparano nuove cose (parole, strutture grammaticali, ecc.). Si tratta di un elemento assolutamente significativo nell’ottica della predisposizione all’autonomia perché indica una buona percezione sia di saper monitorare il proprio lavoro, caratteristica fonda-mentale dell’apprendente di lingua di successo (Stern, 1975, p. 315), sia di valutare l’importanza del proprio impegno, qualità dello studente autonomo (Haughton e Dickinson, 1988, in Cotterall, 1995, p. 199).

La percezione delle proprie capacità si abbassa però pensando alla neces-sità di gestire degli obiettivi di apprendimento linguistico, o di individuare il proprio metodo di studio, o di scegliere le risorse di approfondimento più appropriate al di fuori del contesto scolastico: in questi casi, solo metà degli studenti si dichiara in grado di poterlo fare mentre l’altra metà si divide tra chi non si ritiene capace di eseguire in modo soddisfacente questi compiti e chi ne è incerto. A prova di quest’insicurezza arriva un dato inequivocabile: meno del 20% degli studenti crede di avere le capacità di decidere che cosa fare in un’ipotetica futura lezione di lingua (che argomento trattare) e come farlo (quali attività proporre, con che tempi, ecc.).

Ricordando che l’autoefficacia incide sulla motivazione ad essere più autonomi (Horwitz, 1987; Wenden, 1991; Cotterall, 1999), ci si aspettava

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che coloro che hanno maggiore convinzione di riuscita fossero più predi-sposti a gestire il proprio apprendimento rispetto a coloro che avevano una percezione di sé più bassa. Di quattro incroci eseguiti nell’analisi dei dati, infatti, in tre è risultato che l’autoefficacia è predittiva della volontà di essere più autonomi, ossia nella scelta degli obiettivi e modalità di apprendimento, nell’individuazione del proprio metodo di studio e nell’identificazione degli errori linguistici che si compiono.

Un ultimo punto di debolezza rispetto alla capacità di autonomia inda-gata nella ricerca riguarda il livello metacognitivo raggiunto dagli studenti. In diversi momenti dell’analisi, infatti, è stato rilevato come gli studenti dimostrassero di avere una bassa consapevolezza di ciò che caratterizza il loro apprendimento linguistico: dal fatto che in alcuni casi esprimessero incertezza sulle proprie capacità di autoregolare alcune fasi dello studio, o addirittura sulla propria volontà di essere più autonomi, al fatto che non si rendessero conto degli stimoli forniti dall’insegnante per facilitare la loro autonomia. Non è da sottovalutare anche la poca consapevolezza che hanno dell’uso delle lingue straniere che fanno in ambiente extrascolastico (si veda Menegale, 2013) che denota una mancanza di riflessione sulle occasioni di apprendimento linguistico anche implicito.

Se a un nuovo stile di apprendimento deve corrispondere un nuovo stile di insegnamento, bisognerà allora potenziare la metacognizione così che gli studenti riescano a capire a fondo il valore di ciò che fanno e a strutturare in modo più efficace il loro apprendimento, sia che esso derivi dalla scuola che dalla loro esperienza di vita.

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Capitolo quarto

Prospettive educative

Diversi studi hanno dimostrato che lo stile di insegnamento influen-za la motivazione dello studente che a sua volta si ripercuote sulla sua capacità di essere autonomo. In classi in cui gli insegnanti supportano lo sviluppo dell’autonomia, gli studenti hanno una maggiore motivazione di tipo intrinseco, una percezione più alta delle proprie competenze e un senso di autostima più consistente; in situazioni, però, in cui gli studenti sono poco collaborativi o sono disattenti durante una lezione, l’insegnante tende istintivamente ad assumere un controllo più marcato. Questo porta a concludere che i discenti che hanno un alto livello di motivazione e una predisposizione all’autoregolazione favoriscono l’impegno dei loro insegnanti a supportare lo sviluppo dell’autonomia, mentre studenti che sono più demotivati e distratti richiamano comportamenti più dominanti da parte dei docenti (Deci et al., 1991).

È sicuramente un circolo virtuoso che tocca la scuola, gli insegnanti, lo studente, il curricolo e i materiali, includendo anche i genitori, la società, l’ambiente esterno, e in cui tutti i passaggi sono essenziali per fornire input e situazioni di apprendimento linguistico autonomo.

Pur non potendo prescindere dalla volontà e convinzione degli inse-gnanti di promuovere l’autonomia in classe, è innegabile che sia auspicabile un cambiamento più profondo a livello educativo, che permetta lo sviluppo di una didattica meno tradizionale, più incentrata sullo studente e sulla sua realizzazione.

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Per fortuna, l’autonomia dello studente è un tema che suscita molto interesse anche tra chi si occupa di politiche educative. Si pensi, ad esempio, al contributo del Consiglio d’Europa su numerosi progetti mirati allo sviluppo del Portfolio europeo delle lingue (PEL) a partire dal Quadro comune europeo di riferimento, proprio con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo dell’autonomia del discente, del plurilinguismo e della competenza interculturale.

Questo capitolo quarto discute appunto quali siano i percorsi auspicabili per integrare maggiormente l’autonomia nella pratica didattica, proponendo possibili soluzioni su come adattare il curricolo anche a partire dall’esperienza di altri studiosi (docenti e ricercatori) e dagli esiti di alcune sperimentazioni attuate negli ultimi anni. Verranno inoltre riconsiderati alcuni strumenti rite-nuti essenziali per promuovere la riflessione e l’introspezione, quali il portfolio linguistico o il diario (che hanno spesso trovato innegabili resistenze da parte dei docenti), tentando di proporre modalità «facilitate» di utilizzo.

Superare i limiti del sistema educativo

La situazione dipinta da Patrizia Mazzotta (1996, p. 7), quella cioè di «una scuola che istruisce, che insegna saperi, ma che non insegna le pro-cedure che consentirebbero allo studente di apprendere autonomamente anche al di fuori della classe» è tutt’oggi, purtroppo, assolutamente attuale. Sempre Mazzotta (1996, p. 7) sottolinea come non basti adattare il sillabo e la didattica alle caratteristiche individuali dell’alunno se poi non gli ven-gono davvero fornite le «chiavi d’accesso diretto» ai saperi, se non riceve gli strumenti per raggiungere i propri obiettivi di apprendimento, se non viene aiutato a «imparare a imparare».

Esistono delle condizioni che spesso sono considerate delle barriere pressoché insormontabili alla possibilità di adottare una didattica più innovativa e più mirata alla centralità del discente. Per quanto riguarda i cicli scolastici della scuola primaria e secondaria, la prima barriera parreb-be proprio risiedere nella natura del curricolo, un piano di studi basato su un’articolazione didattica irrigidita da tempi, contenuti, contraddizioni (una su tutte: didattica per competenze, ma verifica di contenuti) e soprattutto modi di valutazione che non lasciano molti spazi di trattativa né margini a un coinvolgimento attivo dello studente. Benché il curricolo possa non

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essere così negoziabile, però, ciò su cui si può lavorare è invece il modo attraverso cui raggiungere gli obiettivi indicati (Little, 2007, p. 24). Nel curricolo linguistico, pur tenendo saldi gli obiettivi di apprendimento specifici di competenza della lingua straniera, l’insegnante può decidere come fare perché gli studenti li raggiungano, quali strumenti utilizzare, quale metodologia, ecc.

Purché nel rispetto delle direttive ministeriali e di norme generali, l’autonomia scolastica (Legge Bassanini, 1997, art. 21) sancisce la libertà decisionale di ogni scuola rispetto alle quattro dimensioni: organizzativa, finanziaria, didattica, e di ricerca, sperimentazione, sviluppo. L’insegnante, quale professionista e tecnico dell’insegnamento disciplinare, è libero di scegliere metodi, strumenti, mezzi per favorire l’apprendimento.

Un’altra mancanza del sistema scolastico rispetto allo sviluppo dell’au-tonomia è data da una scarsa formazione degli insegnanti specifica su questo argomento. Molti docenti non sanno esattamente quale sia il significato di «autonomia di apprendimento» o lo confondono con l’autoapprendimen-to, non hanno una visione chiara di quali siano i concetti implicati; altri docenti sono convinti, invece, di adottare le tecniche giuste per stimolarla, ma i risultati non sono quelli sperati.

Ci si può porre, infatti, tutta una serie di quesiti su come promuovere una didattica dell’autonomia. Essi dovrebbero essere affrontati in modo più approfondito e consapevole da parte dell’insegnante: «L’insegnamento delle strategie metacognitive deve essere un processo esplicito o implicito?»; «Quali sono i pro e quali i contro?»; «Quali spazi decisionali possono essere lasciati agli studenti?», ecc.

I limiti del sistema scolastico appena descritti determinano una distan-za sempre più grande tra gli sforzi didattici compiuti dagli insegnanti e le percezioni degli studenti. La frustrazione provata da molti giovani riguardo la propria esperienza scolastica deriva proprio dalla sensazione che ciò che imparano a scuola è spesso di poca o nessuna rilevanza per la loro vita e che le competenze di cui hanno veramente bisogno se le debbano creare al di fuori dell’aula (Allegra et al., 2009, p. 151). Risulta quindi necessario riuscire a creare ponti, rimandi continui tra l’apprendimento formale che avviene a scuola e ciò che viene acquisito spontaneamente al di fuori. Si può cominciare facendo in modo che l’approccio all’apprendimento sia simile nei due contesti: come fuori dalle mura scolastiche il discente impara attraverso l’esperienza, i

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tentativi realizzati autonomamente e l’uso spontaneo della lingua, così anche in classe si cercherà di ricreare queste modalità di costruzione del sapere.

Un percorso didattico possibile

«Abituate il vostro allievo a osservare con attenzione i fenomeni della natura e ben presto lo avrete reso curioso, ma, per alimentare questa sua curiosità, non affrettatevi mai a soddisfarla. Nulla egli sappia per averlo udito da voi, ma solo per averlo compreso da sé; non impari la scienza: la scopra» (Rousseau, 2007, p. 212).

Le parole di Jean-Jacques Rousseau invocano all’apprendimento espe-rienziale vissuto in prima persona dal discente piuttosto che alla trasmissione del sapere impartita dal docente. Tuttavia, l’esperienza di per sé non è una condizione sufficiente affinché si verifichi l’apprendimento: essa deve essere processata in modo consapevole attraverso un’adeguata riflessione (Kohonen, 2010, p. 5). Il ruolo dell’insegnante è proprio quello di guidare lo studente a «notare» le cose e a riflettere su di esse in modo appropriato.

Sicuramente, ci sono tipi di apprendenti che hanno più bisogno di essere guidati nel loro percorso verso l’autonomia rispetto ad altri, ci sono situazioni in cui gli studenti necessitano di maggiore supporto e ci sono task che li possono rendere eccessivamente dipendenti dall’insegnante.1 Tali variabili caratterizzano una classe autonoma e il compito dell’insegnante è quello di riuscire a ponderare correttamente ciascuna variabile al fine di promuovere negli studenti una maggiore sicurezza di sé e delle proprie capacità in quanto apprendenti. Dall’esperienza didattica di promozione dell’autonomia nelle loro classi così come riportata da alcuni docenti, sembrerebbe che, una volta che gli studenti comprendono che hanno la possibilità e la responsabilità di prendere delle decisioni riguardo al loro apprendimento, attraversano tre fasi: inizialmente si sentono insicuri ed esitanti, poi imparano ad accettare la responsabilità di gestirsi, e infine si mettono al lavoro per partecipare attivamente al processo (Po-ying, 2007).

Per quanto riguarda specificatamente un curricolo di lingua straniera che si presti allo sviluppo dell’autonomia, vi saranno due componenti da integrare

1 Per un approfondimento sui tipi di task si veda Menegale (2010).

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armoniosamente nel percorso didattico: gli obiettivi puramente linguistici e gli obiettivi che riguardano il processo cognitivo. Non essendo pensabile pre-vedere delle lezioni distinte dedicate, ad esempio, allo sviluppo delle strategie o alla riflessione (Nunan, 1997, p. 201), obiettivi linguistici e metacognitivi devono procedere insieme, gli uni richiamando gli altri quando possibile. Altra componente fondamentale è l’esplicitazione di tutti questi passaggi: lo studente deve essere consapevole non solo degli obiettivi di apprendimento linguistico, di che cosa imparerà della/nella lingua straniera e a che scopo, ma anche del fatto che, insieme all’insegnante e ai suoi compagni di classe (si ricorda l’importanza dell’elemento sociale legato al concetto di autonomia) sta lavorando per conoscere e comprendere meglio le sue caratteristiche per-sonali e i suoi atteggiamenti, per essere più capace di scegliere e determinare le conoscenze che gli servono per autorealizzarsi e, complessivamente, per diventare più responsabile nel gestire il proprio apprendimento.

Verranno di seguito proposti alcuni suggerimenti didattici mirati allo sviluppo dell’autonomia dello studente, associando ciascun suggerimento a uno degli aspetti che caratterizzano l’autonomia di apprendimento lin-guistico: la consapevolezza di sé, la consapevolezza dell’apprendimento, la consapevolezza della lingua.2 Per limiti di spazio e autorizzazioni non è pos-sibile riportare in questa sede esempi pratici di esercizi didattici o strumenti utili alla realizzazione di una o dell’altra azione didattica. Quando possibile, verranno comunque puntualmente forniti i riferimenti bibliografici, così che per ogni punto presentato sia possibile risalire agli approfondimenti necessari.

Obiettivo: aumentare la consapevolezza di sé

Aiutarli a conoscere i propri atteggiamenti verso la lingua e l’apprendimento linguistico

Scharle e Szabó (2000, p. 17) propongono una serie di questionari utili sia all’insegnante che agli studenti stessi per comprendere meglio: gli

2 In realtà, associare un’azione didattica a uno solo degli aspetti che caratterizzano l’autono-mia di apprendimento linguistico risulta sicuramente riduttivo, ma si è deciso di optare per tale metodo di descrizione per facilità di esemplificazione. Al di là della descrizione schematica qui fornita, si chiede comunque al lettore di considerare i punti di contatto che sicuramente esistono tra i vari ambiti di consapevolezza.

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atteggiamenti di questi ultimi verso l’apprendimento linguistico; le cause cui attribuiscono i successi o fallimenti nei risultati; gli stili cognitivi che meglio li rispecchiano; la natura della loro biografia linguistica; i punti di forza e di debolezza che hanno rispetto alla lingua straniera, ecc. Oltre ai questionari, viene illustrata una serie di attività per raccogliere informazioni sui ragazzi e allo stesso tempo farli riflettere sulle loro preferenze, sui materiali che preferiscono usare, sulle attività che considerano più significative, ecc.

Se abituati a porsi questo tipo di domande, riflettendo anche, prima da soli e poi insieme alla classe, su quali potrebbero essere le risposte, gli studenti avviano un processo di meditazione e ragionamento su se stessi e sul processo di apprendimento, arrivando a considerare i propri punti di forza e debolezza come qualcosa da cui partire per costruire un sapere sempre più completo, anziché limitarsi a cercare delle soluzioni a problemi linguistici di superficie.

Aiutarli a riconoscere il proprio stile di apprendimento

Ciascuno studente ha modalità e stili preferiti per immagazzinare e recuperare successivamente informazioni ed esperienze; la maggior parte ha un canale o uno stile predominante, accanto ad altri meno sviluppati. Le persone «visive» apprendono meglio attraverso cose scritte, lette, immagini, diagrammi. Le persone «auditive» memorizzano invece meglio sentendo voci, ascoltando canzoni, ripetendo, registrando una lezione. Quelle «ci-nestesiche» preferiscono l’uso delle mani o del corpo, quindi imparano meglio se sono in movimento, se scrivono mentre qualcuno parla, se cam-minano in classe, ecc. Conoscere qual è il proprio stile di apprendimento indirizza gli studenti alla scelta di strategie mirate, di tecniche consapevoli per facilitare la comprensione e memorizzazione di nuovo sapere. Luciano Mariani (1996) spiega nel dettaglio l’importanza del riconoscimento degli stili di apprendimento, proponendo anche un questionario che può aiutare gli studenti a riflettere sulle proprie caratteristiche cognitive. Phil Dexter e Susan Sheerin (1999), invece, propongono diversi suggerimenti su tipi di attività linguistiche appropriate per l’uno o l’altro stile cognitivo.

Insegnare loro le strategie di apprendimento

L’insegnamento esplicito delle strategie indica una volontà di condivi-dere insieme agli studenti la responsabilità dell’apprendimento, permettendo

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loro di guadagnare una maggiore indipendenza. Per potersi definire «stra-tegico», uno studente deve acquisire conoscenza dichiarativa (che cos’è una particolare strategia), procedurale (come funziona) e condizionale (quando e perché applicarla) (Paris e Winograd, 2003, p. 3). Wenden (1991), Dickinson (1992), Mazzotta (1996) e Chamot e collaboratori (1999) offrono guide molto dettagliate su come inserire l’insegnamento delle strategie in classe, quali tecniche adottare e attraverso quali idee pratiche sperimentarle, anche al fine di condividerle con la classe per favorire una condizione di apprendi-mento tra pari. Uno dei questionari più utilizzati per l’identificazione delle strategie adottate dallo studente è quello di Rebecca Oxford (1990),3 uno strumento che può essere fatto completare agli studenti all’inizio dell’anno e poi ripreso alla fine dello stesso anno per vedere se ci sono stati cambia-menti, progressi, ecc.

Obiettivo: aumentare la consapevolezza dell’apprendimento

Aiutarli a comprendere gli obiettivi di una lezione, di un materiale o di un’attività

Lewis e Reinders (2008) descrivono in dettaglio alcune tecniche che aiutano l’insegnante a centrare maggiormente il processo cognitivo sul di-scente, anche a partire da una maggiore condivisione degli obiettivi e delle procedure didattiche stesse.

Se, all’inizio di ogni lezione, viene scritto alla lavagna quali sono gli scopi della lezione, che cosa si affronterà, che cosa si imparerà, questo procedimento aiuterà gli studenti a capire che cosa sono chiamati a fare e che cosa impareranno alla fine. Un passo successivo è quello di fare in-dividuare agli studenti stessi i loro personali obiettivi di apprendimento. Ad esempio, chiedere loro di annotare tre cose che vogliono imparare o migliorare (ovviamente che abbiano a che fare con l’apprendimento della lingua straniera). Sarà compito dell’insegnante guidare gli studenti verso la corretta definizione di tali obiettivi, per far sì che essi siano specifici, realistici e quindi raggiungibili (si pensi a obiettivi tipo: «Farò i compiti per casa»;

3 Strategy Inventory for Language Learning (SILL), in versione adattata disponibile online al link http://www.wtuc.edu.tw/dcc/SILL_1.htm.

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«Terrò una rubrica con i vocaboli nuovi», ecc.). Alla fine dell’anno (o del quadrimestre), si andrà a vedere con gli studenti se sono riusciti a rispettare i tre propositi che si erano prefissati.

Altrettanto importante è lavorare su una maggior comprensione della natura delle attività che vengono svolte in classe: lo si fa presentandone la struttura, rendendo quindi chiaro che cosa gli studenti saranno chiamati a fare e quale dovrà essere l’esito finale e chiarendo le motivazioni della scelta di quel lavoro. Gli studenti avranno allora un esempio di come si struttura un’attività, un «modello» che potranno riutilizzare o trasferire ad altre attività, o modificare in base alle loro esigenze non appena ne saranno in grado. La stessa riflessione può essere compiuta sul libro di testo (com’è strutturato, in che fasi è suddivisa un’unità didattica, che esercizi propone, a che cosa servono determinate schede, che cosa può essere usato come materiale di autoapprendimento, perché è stato scelto quel testo, ecc.). Se lo studente inizia ad avere una giusta consapevolezza della reale funzione delle risorse testuali (libri di testo, ma anche articoli, video, audio, pubblicità, ecc.) allora potrà iniziare anche ad averne un controllo maggiore e più responsabile.

Doecke e Parr (2005, in Teo, 2008, p. 428) sostengono infatti che «si scrive» (e noi aggiungiamo: o si legge, si ascolta, ecc.) «per imparare» e non il contrario: in una visione in cui i materiali sono considerati come un mezzo indispensabile di comunicazione, di negoziazione delle relazioni umane, di sviluppo di un’identità sociale e di costruzione di conoscenza, la scrittura, la lettura, ecc. non denotano più soltanto abilità scolastiche di base che gli studenti devono acquisire in classe, bensì delle competenze personali che vanno al di là delle mura scolastiche.

Chiedere loro di scegliere quale attività svolgere o quali materiali usare

Lasciare agli studenti la possibilità di decidere se svolgere il compito A anziché il compito B, dopo averne considerato le richieste e riflettuto sui propri interessi e abilità nell’affrontare l’attività che essi considerano più adatta a se stessi, richiede un certo grado di libertà e di autodeterminazione. Il principio della scelta genera l’accrescimento del senso di autodetermina-zione e quindi della motivazione (Deci et al., 1991, p. 335).

Tuttavia, perché la scelta sia consapevole, è necessario che gli studenti conoscano le strategie da applicare per svolgere l’una o l’altra attività (si veda in questo capitolo il paragrafo Obiettivo: aumentare la consapevolezza di sé).

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Nunan (1995, p. 145) spiega come è possibile portare gli studenti a compiere delle scelte ponderate tra l’una o l’altra attività e anche come, gradualmente, sia possibile portare gli studenti anche a un passo successi-vo, ossia incoraggiarli a modificare le attività in base alle proprie esigenze o preferenze o di creare loro stessi dei materiali didattici (richiesta che non solo li spinge a una grande consapevolezza metacognitiva, ma induce anche a un peer teaching significativo).

Anche riguardo ai materiali stessi da utilizzare, sebbene generalmente sia il docente a selezionarli, non è detto che egli non possa decidere di coinvolgere gli studenti anche in questa fase del processo didattico. Dam (1995), ad esempio, chiede alla sua classe di identificare dei materiali auten-tici disponibili in ambiente extrascolastico e di portarli in classe per essere utilizzati durante le lezioni o nel centro self-access.

Aiutarli a monitorare l’apprendimento

Sono diverse le azioni didattiche che possono essere intraprese per guidare gli studenti a controllare maggiormente ciò che stanno impa-rando, i progressi che fanno, le difficoltà che incontrano, e, in base a tali risultati, decidere se e come modificare determinati aspetti del processo cognitivo.

Anche qui è importante abituare gradualmente gli studenti a riflettere su ciò che fanno: enfatizzare degli aspetti linguistici su cui dovrebbero con-centrarsi prima, durante e alla fine dell’attività li aiuterebbe ad esempio a capire se hanno raggiunto o meno quegli obiettivi. Per enfatizzare le cause di un successo nell’apprendimento, così da accrescere anche il senso di autoefficacia e motivazione, si potrebbe chiedere agli studenti di pensare a un episodio o un’attività in cui sono riusciti particolarmente bene a scuola e perché hanno ottenuto così buoni risultati (Murdock, 2009, p. 32), o di creare un cartellone (o un file condiviso) intitolato I successi dell’apprendi-mento, così da riunire le esperienze significative di ciascuno e renderle un momento di riflessione di gruppo.

Attività di riflessione possono partire anche da questionari che in parte riprendono quelli sulle strategie cognitive e metacognitive, con domande del tipo: «A casa rivedi quello che fai a scuola?»; «Riguardi i vocaboli nuovi sul tuo quaderno?»; «Usi il dizionario quando fai i compiti?»; «Chiedi aiuto o spiegazioni se non capisci qualcosa?».

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Un’altra tecnica didattica molto utile è quella indicata da Maryellen Weimer (2002, p. 61), che consiste nell’abituare gli studenti a riassumere: quello che è stato fatto durante la lezione (magari in poche righe sul proprio quaderno, prima della fine dell’ora), ciò che si sente di aver appreso, ecc.

Chiedere loro di tenere un diario o un portfolio

Scegliere insieme agli studenti uno strumento da adottare in classe, concordandone principi e contenuti, è il modo migliore per permettere sia ai docenti che agli studenti di monitorare seriamente il processo di apprendimento.

Il diario (inteso come «diario di bordo» o logbook) è un blocco di ap-punti in cui si tiene traccia delle attività svolte in classe, dei nuovi vocaboli, dei compiti da fare per casa, degli obiettivi da raggiungere; diventa un vero strumento di registrazione di un percorso cognitivo nel momento in cui in esso sono raccolti commenti e riflessioni esplicite sul proprio apprendimento (ad esempio, annotando le ragioni delle scelte che si operano man mano che l’insegnante concede sempre più responsabilità nel gestire materiali, attività, obiettivi, ecc.).

Per motivare gli studenti all’utilizzo di un diario, è importante con-dividere i principi su cui basarne i contenuti, decidendo insieme, all’inizio dell’anno scolastico, come strutturarlo e che cosa inserirvi. Dam (2009; 2013), oltre a fornire una guida pratica su che cosa inserire nel diario, quando e come compilarlo, ecc., illustra anche in che modo è possibile coinvolgere gli studenti ed essere sicuri che lo strumento sia accettato da tutti, valorizzando i diversi stili cognitivi. In alcuni casi sarà necessario aiutare gli studenti nei passi basilari, come ad esempio insegnare loro a prendere appunti, a selezionare le informazioni più rilevanti, ecc. (Seeman e Tavares, 2000).

Se il diario è una testimonianza del processo di apprendimento dello studente, il portfolio lo è dei risultati ottenuti. Il valore educativo e didattico del portfolio è indiscutibile, soprattutto se accostato al concetto di autonomia di apprendimento (Schärer, 2000; Little, 2003; O’Leary, 2007; Gonzáles, 2009; Lo, 2010; Yılmaz e Akcan, 2012): permette allo studente di monitorare i suoi progressi e di capire a che punto è del suo apprendimento, favorendo l’autovalutazione e quindi il coinvolgimento nel processo cognitivo. Al di là

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dei numerosi modelli di implementazione che ne esistono, è da intendersi come una collezione sistematica e organizzata dei lavori dello studente (scrit-ti e orali), gestita e valutata dallo studente stesso. Si può anche prevedere un momento conclusivo (magari alla fine dell’anno scolastico) in cui gli studenti valutano ciascuno il portfolio di un paio di compagni (Miliander, 2008, p. 27): questo tipo di attività è importante sia perché permette di far conoscere nuove strategie, di osservare esperienze di apprendimento diverse dalla propria, di assistere a modalità di organizzazione del lavoro differenti, sia perché fornisce l’occasione per rivedere da altre prospettive il lavoro svolto durante l’anno e quindi fare un ripasso anche sui contenuti impa-rati. Esistono tuttavia delle resistenze da parte di alcuni docenti all’utilizzo del portfolio, dettate principalmente dalla difficoltà di trovare il modo per introdurlo adeguatamente nel percorso scolastico, soprattutto per via dei tempi ristretti. In realtà, in un percorso didattico di sviluppo dell’autonomia, si spera di aver chiarito che molto del lavoro deve essere lasciato in mano ai ragazzi, e quindi anche la gestione del portfolio. Sicuramente è necessaria la giusta motivazione, ma questo vale per ciascuna delle azioni didattiche fino a qui descritte. In Manuel Jiménez Raya, Terry Lamb e Flavia Vieira (2007) viene descritta una proposta didattica incentrata proprio sull’introduzione del portfolio in classe e sulla responsabilizzazione dello studente nel portare avanti l’iniziativa. Inoltre, pensando anche all’introduzione dell’elemento tecnologico, la possibilità di poter creare digitalmente il proprio portfolio (e-portfolio)4 può sicuramente incrementare il desiderio dei ragazzi nella realizzazione di un prodotto personale che accentui la loro creatività.

Aiutarli a sapersi autovalutare

È ormai diffuso un approccio alla valutazione che comprende diverse forme di verifica tese a cogliere il livello di apprendimento e di successo, la motivazione e l’atteggiamento del discente rispetto ad attività comunicative di classe (O’Malley e Valdez Pierce, 1996, p. 4). Inoltre, in molti Paesi europei la valutazione autentica include, oltre alla valutazione della performance da

4 Esistono sempre più esempi di modelli digitali di e-portfolio. Fra i tanti si segnalano i seguenti perché semplici nell’uso e gratuiti nell’accesso: Ning (www.ning.com), Eduspa-ces (www.eduspaces.com), Google (www.sites.google.com/site/eportfolioapps), Weebly (http://slcceportfolio.weebly.com).

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parte del docente, anche l’autovalutazione da parte dello stesso studente. In Italia, a dire il vero, l’autovalutazione non è ancora riconosciuta formalmente, sebbene venga a volte considerata parte della valutazione formativa, in quanto descrittiva di un «processo» anziché di un «prodotto» dell’apprendimento. Benché ci sia chi non la considera qualcosa di affidabile tenendo conto dell’inesperienza degli studenti verso questo tipo di pratica e la loro incom-petenza nel comprendere appieno i criteri su cui basarsi (Dickinson, 1987, p. 136) e chi invece ne garantisce l’attendibilità (Bachman e Palmer, 1989; Blanche, 1990, in Gardner, 2000, p. 53), tutti concordano sul fatto che sia estremamente utile ai fini di un apprendimento più efficace e consapevole. Tuttavia, gli studenti devono ancora una volta essere guidati dall’insegnante per sviluppare la capacità di saper effettivamente valutare ciò che viene loro chiesto, evitando così situazioni paradossali come, ad esempio, chiamarli a valutare l’accuratezza linguistica delle loro produzioni senza tener presente che, per poter assolvere correttamente a tale richiesta, gli studenti dovrebbero possedere lo stesso grado di conoscenza linguistica che gli si sta chiedendo di certificare (Kohonen, 2004, in Gonzáles, 2009, p. 379). Un modo per evitare questo paradosso, ma nello stesso tempo permettere comunque agli studenti di riflettere e valutare le loro competenze, soprattutto quando ancora la co-noscenza linguistica e metalinguistica non è ancora sviluppata ad alti livelli, è far leva proprio sull’uso del portfolio e di check-list di autovalutazione basate su descrittori di competenze comunicative facilmente riconoscibili.

David Gardner (2000) illustra in modo dettagliato quali sono le va-riabili che incidono nel determinare l’affidabilità dell’autovalutazione: l’età degli studenti, ciò che viene testato, la preparazione che ricevono, il livello di condivisione dei criteri valutativi, ecc. Proprio a questo proposito, infatti, conoscere i criteri di valutazione prima di affrontare un compito aiuterebbe gli studenti a focalizzarsi meglio sugli obiettivi e a monitorare il loro lavoro in itinere. Inoltre, un passo successivo potrebbe essere l’utilizzo di scale di autovalutazione create dagli stessi studenti.

Stabilire le regole disciplinari

La disposizione dell’insegnante a condividere informazioni e compe-tenze su tutte le fasi dell’apprendimento, dalla pianificazione alla scelta dei materiali, dalla gestione dei tempi alla formulazione dei criteri valutativi, fa recepire agli studenti un forte senso di rispetto, per il fatto che capiscono che

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le loro motivazioni e aspettative vengono davvero considerate. Raggiunto questo livello di consapevolezza di sé e del processo di apprendimento e di capacità di gestirlo in molte delle sue fasi, gli studenti possono essere chiamati a negoziare delle regole disciplinari da rispettare (Voller, 1997, p. 168). In Scharle e Szabó (2000, p. 99) viene proposto un modello di «contratto di classe» che include le voci relative ai compiti per casa, le assenze, la puntualità, il rispetto dei turni di parola, l’uso dell’umorismo, il lavoro collaborativo, l’uso della lingua straniera, la sistemazione dei banchi, la valutazione di compiti in classe. Una simile attività è simbolicamente significativa perché diventa l’occasione per una discussione dell’intera classe su valori condivisi e sul rispetto reciproco, e, per gli studenti con un livello linguistico adeguato, crea una situazione di scambio comunicativo autentico in lingua straniera, dove l’attenzione è sul significato di ciò che viene veicolato attraverso l’uso della lingua e non sulla lingua stessa.

Obiettivo: aumentare la consapevolezza della lingua

Richiamare le loro preconoscenze e conoscenze

Incoraggiando uno scambio di saperi all’interno della classe, si potrebbe chiedere agli studenti quanti verbi conoscono nella lingua straniera oggetto di studio o, per aumentare la loro sensibilizzazione anche alle altre lingue, in qualsiasi lingua straniera, eventualmente focalizzando la richiesta solo su verbi, o sostantivi, o su altre categorie grammaticali, così da affiancare una riflessione (implicita o esplicita) sulle forme linguistiche.

Un’altra possibilità è quella di far loro scrivere una lista di che cosa sanno fare: al termine di un’attività o di un argomento, chiedere agli stu-denti di scrivere se sono in grado di fare determinate cose (per rendere più veloce l’attività, si può fornire loro una lista di can do statement in cui indi-care ciò che non sanno fare con un’emoticon triste, ciò che sanno fare con un’emoticon felice). Ad esempio: «So contare fino a dieci»; «So nominare sei animali», ecc.

Chiedere loro di annotare gli errori

Richiamare l’attenzione degli studenti sugli errori che hanno compiuto, ad esempio in una produzione scritta, dove gli errori sono affiancati dalla

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relativa correzione a fianco (che può essere stata fatta dal docente oppure dallo studente stesso su segnalazione del docente). Perché tale noticing entri di fatto in un processo di riflessione, si potrà chiedere agli studenti di ripetere la cosa con le produzioni scritte che verranno successivamente svolte, per vedere se ci sono errori che si ripetono e si stanno fossilizzando e proporre possibili soluzioni.

Aiutarli a focalizzarsi su alcuni aspetti linguistici

Come ogni aspetto che ha origine dall’iniziativa interessata dello stu-dente, anche la focalizzazione su alcuni elementi linguistici si può trasformare in apprendimento significativo per il discente se è egli stesso a proporla (Williams, 1999; Ellis, Basturkmen e Loewen, 2001; Loewen, 2003). È pero altrettanto vero che non tutti gli studenti hanno la stessa tendenza a notare gli aspetti formali della lingua, e questo dipende dalle differenze individuali rispetto all’apprendimento: se per il discente analitico non sarà un problema concentrarsi sulla forma, il discente orientato sulla memoria, che tendenzialmente mette in primo piano il successo comunicativo, neces-siterà invece di compiti che facciano risaltare aspetti prettamente formali, così da permettergli di progredire nella costruzione del sapere linguistico, equilibrando le sue competenze (Skehan, 1994).

In particolare, sembrerebbe che lavoro di gruppo ed esercizio di scrittura costituiscano le condizioni che permettono agli studenti di usare in modo efficace la lingua straniera in classe (Little, 2007, p. 25), progredendo anche nella capacità di notare elementi linguistici significativi e di farne tesoro. Richiamando i principi vygotskiani sull’uso interattivo della lingua da parte del discente per favorire la costruzione del suo sapere, si dirà che è princi-palmente in gruppo che gli studenti fanno un uso «intensivo» della lingua per interagire e, il fatto di dover produrre un risultato a dimostrazione del lavoro svolto, li porta a comporre testi scritti (un riassunto, una storia, o anche solo appunti su cui poggiare una presentazione orale). Secondo Little (2007, p. 25) scrivere aiuta lo studente nello sviluppo della sua competenza linguistica perché, al contrario di quanto tradizionalmente sostenuto da metodi audio-orali o audiovisivi che insistono sull’importanza di sviluppare prima l’ascolto e il parlato rispetto alla lettura e scrittura, è proprio anno-tando delle informazioni che lo studente riesce poi a ricordarle; inoltre, la

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produzione scritta permette un’accuratezza e una complessità linguistica che quella orale non concede.

Aumentare la consapevolezza d’uso della lingua

Per permettere agli studenti di sfruttare le conoscenze linguistiche ap-prese in classe anche al di fuori di essa, si potrebbe proporre loro di scegliere un contatto (una scuola, o un’istituzione pubblica o qualsiasi altra pagina web gestita da una compagnia internazionale) con cui avviare un breve scambio di messaggi: nella pagina della compagnia prescelta dedicata a domande, suggerimenti o reclami, gli studenti potranno, individualmente o a gruppi, inserire il loro testo (Scharle e Szabó, 2000, p. 82). Questa attività motiva a un uso funzionale della lingua straniera e nello stesso tempo rappresenta un’occasione per allenare, oltre alla competenza linguistica e pragmatica, anche quella tecnologica e quella sociale. Un’altra idea è quella di utilizzare dei testi narrativi a riempimento (narrative frames), rappresentati da una sorta di impalcatura linguistica fatta di frasi da completare unite da con-nettori, che aiutano lo studente a riflettere su ciò che impara, sulla lingua, ecc. Takaaki Hiratsuka (2014) riporta di ricerche che evidenziano come i narrative frames permettano di fatto ai discenti di migliorare la propria competenza linguistica e metalinguistica, perché li guidano nella costruzione di frasi più complesse.

Esistono poi altri modi per praticare la lingua straniera ricorrendo a percorsi didattici più articolati, magari con l’aiuto delle tecnologie, sempre mirati allo sviluppo dell’autonomia del discente. Favaro e Menegale (in corso di stampa) propongono un modello operativo di sviluppo dell’autonomia in cinque passi che, a partire dai livelli del modello di Nunan (1997; si veda il capitolo secondo, paragrafo Alcuni modelli di autonomia di apprendimento), presenta un’applicazione tecnologica diversa da applicare a ognuno dei cinque livelli, riportando degli esempi pratici da realizzare in classe.

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Conclusioni e implicazioni future

Partendo dalla constatazione che l’autonomia nell’apprendimento lin-guistico è una capacità essenziale per portare gli studenti ad autopromuoversi in quanto cittadini europei e cittadini del mondo, dal momento che essere in grado di migliorare le proprie competenze linguistiche significa poter esprimere al meglio le proprie potenzialità, il presente volume ha cercato di chiarire quale sia il significato di autonomia e come la si possa promuovere nella classe di lingue straniere.

Il ruolo dell’insegnante è quello di creare, in classe, le condizioni affin-ché gli studenti sviluppino quella capacità di autonomia di apprendimento linguistico che poi servirà loro in diversi contesti, principalmente contesti extrascolastici, dove avviene cioè la maggior parte dell’apprendimento lin-guistico. Aiutare gli studenti a «imparare a imparare» prevede accrescere la loro consapevolezza di cosa significhi imparare una lingua straniera (stra-tegie cognitive), di come farlo (competenze metacognitive) e della propria capacità di saper autoregolare il processo di apprendimento (fiducia in se stessi, volontà di prendersi delle responsabilità).

Tutti questi aspetti sono stati affrontati cercando di fornire spunti pratici su come possano essere sviluppati dei percorsi di autoregolazione. Si è cercato di spiegare quali sono i punti che contraddistinguono una classe autonoma (Dam, 2008), evidenziando gli elementi «visibili» che rendessero più esplicito possibile un percorso che invece ha a che fare con qualcosa di decisamente «invisibile» e interno, ossia la capacità di autonomia.

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Prima di tutto, la classe autonoma è caratterizzata da un’organizzazione non tradizionale della classe, sia rispetto agli spazi «fisici» dell’aula (banchi disposti in modo da favorire lo scambio comunicativo tra gli studenti piuttosto che banchi rivolti verso la cattedra), sia rispetto alle modalità didattiche che vengono utilizzate (apprendimento collaborativo anziché lezione frontale). In secondo luogo, vi è un ruolo di maggior responsabilità da parte degli studenti rispetto alle varie fasi del processo cognitivo, nonché di maggior cooperazione nella co-costruzione del sapere. Gli studenti, finalmente «disabituati» dal dipendere dall’insegnante (Sheerin, 1997, p. 63) e abituati invece a riflettere in modo consapevole, possono partecipare in modo attivo e propositivo alla lezione, imporre le loro scelte, proporre soluzioni. Il terzo aspetto che contraddistingue la classe autonoma è in-fatti la figura del docente, non più considerato la ragione per cui si ama o si odia la lingua straniera, colui da cui dipende come e quanto si impara (Chambers, 1998, p. 252), ma piuttosto una guida, un facilitatore, una risorsa. Un quarto aspetto riguarda la presenza di strumenti di monitoraggio e autovalutazione che servono a documentare lo sviluppo del percorso di consapevolezza degli studenti: il diario di bordo per registrare il processo di apprendimento linguistico, il portfolio per selezionare e raccogliere prodotti che dimostrino la crescita cognitiva, i poster di classe che riassu-mono risultati di attività, parole da ricordare, elementi chiave rilevanti, ecc. (Dam, 2008). Una quinta peculiarità della classe autonoma è l’uso della lingua straniera sin dal principio, elemento che parte dalla convin-zione dell’insegnante che immergere gli studenti nella lingua straniera sia il modo migliore per creare un ambiente favorevole a un apprendimento spontaneo e autentico e per tale motivo mette in atto tutte le strategie necessarie per veicolare le informazioni nel modo più comprensibile e appropriato (Little, 2013).

Sebbene non ci siano regole precise a determinare la didattica dell’au-tonomia, poiché tutto dipende dagli orientamenti dell’insegnante, dalla disposizione degli studenti, dalla possibilità di intervenire sul curricolo, dalla volontà di cambiare una pedagogia tradizionalmente salda, la ricerca e la sperimentazione hanno però dimostrato quali possono essere degli elementi chiave da cui partire per favorire una maggior autonomia da parte degli studenti, con l’obiettivo di aiutarli a migliorare le loro competenze lingui-stiche e, in un’ottica di lifelong learning, favorire la loro autorealizzazione.

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Conclusioni e implicazioni future 75

Per quanti ritengono che non sia possibile svolgere percorsi di auto-nomia con tutti gli studenti, in particolare con i bambini, o con chi sta imparando lingue particolarmente ostiche, o con adulti che hanno un basso livello di istruzione, o con studenti con difficoltà di apprendimento, si spera qui di seguito di chiarire qualche dubbio. Relativamente a una didattica per l’autonomia in classi di bambini, diversi studi (Gremmo e Riley, 1995; Bruce, 2011; Mourão, 2014) hanno dimostrato che i bambini che beneficiano di un approccio che li guidi a «imparare a imparare» hanno sviluppato com-petenze linguistiche maggiori rispetto ai bambini che vengono istruiti con i metodi tradizionali, e gli studi di Xinyi Wu (2003) hanno confermato che introdurre una didattica dell’autonomia già quando gli alunni sono piccoli porta a un aumento della motivazione intrinseca all’apprendimento. Per quanto riguarda l’apprendimento di lingue considerate più difficili (perché magari lontane o appartenenti ad altri alfabeti) e quindi meno praticabili con metodi di autoregolazione, si ricorda che sono molte le università in Europa a offrire corsi (anche di lingue più «lontane» come il cinese o l’hindi) che presuppongono autonomia nell’apprendimento. Infine, si citano progetti condotti in Australia con lavoratori immigrati e in Norvegia con discenti con difficoltà di apprendimento che hanno dimostrato che l’autonomia aiuta anche chi è più «lento» a sviluppare o affinare determinate competenze: in Norvegia, ad esempio, sono stati riscontrati risultati migliori derivati dallo studio basato su percorsi di autonomia della seconda lingua straniera, tedesco o francese, rispetto ai risultati ottenuti con insegnamento di tipo tradizionale sullo studio della prima lingua straniera, ossia l’inglese.

Per quanto riguarda la scuola e i docenti, non resta dunque che sof-fermarsi a riflettere su quanto detto sull’autonomia, sui modelli di sviluppo proposti, e capire quanto la didattica quotidiana possa modellarsi per poter «ospitare» dei percorsi di sviluppo di consapevolezza e autoregolazione, ovviamente partendo dalle competenze e dagli orientamenti propri di ciascun docente.

Per quanto riguarda la ricerca, esistono ancora diversi campi di inda-gine aperti. Seguendo il filo di quanto discusso nel presente volume, anche a partire dai risultati della recente ricerca qui presentata (si veda Menegale, 2011a), sarebbe interessante, sempre pensando a studenti giovani, quindi della scuola primaria e secondaria, capire se vi siano limiti dati dalla compe-tenza linguistica che incidono sullo sviluppo dell’autonomia e, collegando

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il fattore della competenza linguistica all’età degli studenti, si potrebbe indagare il rapporto tra età dei discenti, competenza linguistica e autonomia.

Un altro tema che sarebbe utile indagare, soprattutto tenendo presente la Riforma degli ordinamenti della scuola (2009) che ha reso obbligatorio l’uso veicolare di una lingua straniera dal quinto anno nei licei e negli istituti tecnici (e nei licei linguistici dal terzo anno), è il rapporto tra autonomia di apprendimento e CLIL per capire quali siano gli accorgimenti utili su cui puntare per migliorare l’apprendimento veicolare, anche grazie a una maggior capacità di autoregolazione, dal momento che sia il CLIL che l’autonomia di apprendimento presuppongono da parte degli studenti una riorganizza-zione dei saperi, l’utilizzo di contenuti autentici, l’uso della lingua straniera per uno scambio reale di significati, l’attivazione di processi complessi di apprendimento linguistico a sostegno di una crescita sia intellettiva che linguistica (Wolff, 2003; 2010; Menegale, 2014).

Anche approfondire lo sviluppo dell’autonomia legata all’uso delle tecnologie, sempre in vista dell’apprendimento linguistico, è un campo di indagine che merita sicuramente interesse, soprattutto per l’evoluzione che stanno avendo le TIC (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione) nella pedagogia e per gli investimenti sempre maggiori che vengono fatti, con l’obiettivo di creare ambienti di apprendimento più motivanti e vicini alla realtà dei ragazzi, ma che è fondamentale accompagnare con un percorso di consapevolezza del mezzo tecnologico e di ciò che può offrire, proprio al fine di rendere la tecnologia a servizio dell’apprendimento e non il contrario.

La difficoltà di fare ricerca nel campo dell’autonomia di apprendi-mento linguistico consiste nel fatto che sarebbe necessario svolgere studi longitudinali che si sviluppino in un arco di tempo piuttosto lungo, visto che il percorso verso l’autonomia è esso stesso lungo e quindi, per poter registrare degli effettivi cambiamenti nel discente, bisognerebbe poterlo «seguire» per diversi anni. Poiché tuttavia si sa che, anche a causa della variabilità delle condizioni di una classe, non sempre è possibile svolgere studi longitudinali, risultano altresì rilevanti studi di caso che comunque portino una documentazione critica su metodi sperimentali di attivazione di strategie, di metacompetenze, di autodeterminazione, in pratica di svi-luppo, appunto, della capacità di autonomia di apprendimento linguistico.

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Finito di stamparenel mese di dicembre 2014

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