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L’interesse di Antonio Frova per l’architettura romana è precoce: a ventidue anni, nel 1936, quando non si è ancora specializzato, pubblica il suo primo lavoro che tratta del teatro romano di Milano 1 (fig. 1). Interessa notarne anche il taglio storico, che non si limita alle pure considerazioni sulle strutture, ma dedica spazio alle vicende medievali del monumento e al confronto con le sorti di analoghi edifici dell’Italia setten- trionale; un approccio costante nei vari contributi che, nel corso della sua lunga vita, egli ebbe a scrivere su questa classe di monumenti, per la quale mantenne sempre una particolare predilezione. Correranno quasi vent’anni prima che torni ad occuparsi di architettura. D’altra parte il suo interesse è stato preso a lungo dalle importanti e suggestive esperienze di Bulgaria, allo studio e alla divulgazione delle quali, in particolare della pittura romana di quel paese, attese anche nel primo periodo del ritorno a Milano, allora affiancandovi i rendiconti sulla sua attività di giovane ispettore di Soprintendenza. Solo a metà degli anni cinquanta ritornerà sull’architettura cisalpina, questa volta sulla decorazione architettonica 2 , un genere di argomenti che all’epoca cominciava a riscuotere una qualche attenzione. Nel 1961, in una collana divulgativa, ma anche prestigiosa, alla quale collaborò ampiamente Eva Tea 3 , che lo ebbe tra i suoi allievi all’Università Cattolica e che da lui sarà sempre ri- cordata con riconoscenza 4 , pubblicava quel manuale che per anni è stato la bibbia degli studenti, Arte di Roma e del mondo romano . Sebbene negli anni Settanta fosse già superato per alcuni capitoli della prima parte ( Arte di Roma in Italia), era per l’epoca estremamente innovativo, se si pensa che il suo im- 163 Giuliana Cavalieri Manasse Antonio Frova e l’architettura romana dell’Italia settentrionale
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Antonio Frova e l'architettura romana nell'Italia settentrionale

Feb 09, 2023

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L’interesse di Antonio Frova per l’architettura romana èprecoce: a ventidue anni, nel 1936, quando non si è ancoraspecializzato, pubblica il suo primo lavoro che tratta del teatroromano di Milano1 (fig. 1). Interessa notarne anche il tagliostorico, che non si limita alle pure considerazioni sulle strutture,ma dedica spazio alle vicende medievali del monumento e alconfronto con le sorti di analoghi edifici dell’Italia setten-trionale; un approccio costante nei vari contributi che, nelcorso della sua lunga vita, egli ebbe a scrivere su questa classedi monumenti, per la quale mantenne sempre una particolarepredilezione.Correranno quasi vent’anni prima che torni ad occuparsi

di architettura. D’altra parte il suo interesse è stato preso alungo dalle importanti e suggestive esperienze di Bulgaria, allostudio e alla divulgazione delle quali, in particolare della pitturaromana di quel paese, attese anche nel primo periodo del ritornoa Milano, allora affiancandovi i rendiconti sulla sua attività digiovane ispettore di Soprintendenza. Solo a metà degli annicinquanta ritornerà sull’architettura cisalpina, questa voltasulla decorazione architettonica2, un genere di argomenti cheall’epoca cominciava a riscuotere una qualche attenzione.Nel 1961, in una collana divulgativa, ma anche prestigiosa,

alla quale collaborò ampiamente Eva Tea3, che lo ebbe tra isuoi allievi all’Università Cattolica e che da lui sarà sempre ri-cordata con riconoscenza4, pubblicava quel manuale che peranni è stato la bibbia degli studenti, Arte di Roma e del mondoromano. Sebbene negli anni Settanta fosse già superato peralcuni capitoli della prima parte (Arte di Roma in Italia), eraper l’epoca estremamente innovativo, se si pensa che il suo im-

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Giuliana Cavalieri Manasse

Antonio Frova e l’architettura romanadell’Italia settentrionale

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mediato predecessore era stato il libro del Ducati5, di impo-stazione strettamente romano-centrica. Nel volume la metàdelle pagine, 450, certo le più originali, è dedicata allo svi-luppo dell’arte romana nelle province. Questo libro, pubblicatoa soli quarantasette anni, dovette costargli uno sforzo enormee una lunga preparazione6, considerata la vastità della sintesi checontemplava un inquadramento globale delle grandi e menograndi manifestazioni artistiche del mondo romano, senza di-menticare brevi cenni alle arti minori, all’oggettistica e all’in-strumentum. L’architettura vi ha veramente molta parte, se siconsidera che essa è argomento di più di un terzo del volume,di cui 233 pagine inerenti quella delle province. Frova dovettecertamente giovarsi di uno scambio proficuo di dati con l’amicoLuigi Crema di cui nel 1959 era uscita un opera eccezionale7,quale L’architettura romana. Entrambi i lavori considerano sitie monumenti delle province romane ignoti nella bibliografia ita-liana dell’epoca, concentrata e confinata, in modo autorefe-renziale, sulla documentazione dell’Urbe e al massimo della

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1. Il frontespizio del fascicolo di ”Atene e Roma”, primo lavoro di Frova.

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penisola, anche a livello di confronti. Tuttavia se il lavoro delCrema ha il merito di una grande chiarezza dovuta anche al-l’ottimo apparato illustrativo e di una esposizione più com-pleta dei singoli argomenti trattati, in quello di Frova, per laparte relativa alle province8, i documenti sono presentati, magarivelocemente, ma in un quadro organico e completo che dàspazio in una trattazione unitaria agli apparati scultorei e pit-torici e musivi, quando presenti, e non dimentica di sottolinearel’interazione tra eventuali influssi locali e componenti romane.Vi si dà conto, inoltre, secondo una prospettiva archeologicaben informata, di una serie di realtà monumentali o urbanistichenon presenti nel volume del Crema, oggi alcune pressochéprive di evidenza, come quella di Alessandria d’Egitto. La pre-fazione, asciutta e essenziale come l’uomo, rispecchia le suequalità di studioso, da una parte la modestia che gli detta:“Molte sono le lacune di quest’opera, ma si spera che, in com-penso, essa contenga anche qualcosa che negli altri manualicomunemente non si trova”, dall’altra la sua visione organicadel mondo romano e per i tempi anticipatrice, quando dichiara“di aver voluto mettere sotto gli occhi del pubblico profano unaquantità di opere disperse…, usando un criterio descrittivo-geografico… per dare un’idea della vastità di espansione (ter-ritoriale del) mondo «romano», … nutrito di apporti diversi ea sua volta suscitatore di vitali fermenti”9. E le recensioni cheil volume ricevette gli resero merito, almeno riguardo alla as-soluta novità di impostazione10.Tornando all’architettura della Cisalpina, nel volume sono

inquadrati nel tempo e nelle caratteristiche tipologiche e inbuona parte illustrati con fotografie tutti i principali monumentidella regione, dalle antichità di Aosta e Susa a quelle di Pola eBrioni Maggiore. Stupisce che nella vasta panoramica abbiadedicato solo un brevissimo cenno, e del tutto marginale, al-l’unico Capitolium e insieme all’unico Foro cisalpini ancorarappresentati da cospicue testimonianze monumentali e giàallora ben conosciuti, quelli di Brescia11, i cui problemi archi-tettonici furono, negli anni della maturità e nella vecchiaia,uno dei suoi principali interessi. Questo silenzio che si ripeteper il santuario tardorepubblicano di Brescia e per la villa di De-senzano, neppure menzionati, è certo il riflesso del suo contrastocon Mario Mirabella Roberti, che evidentemente riteneva questi

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argomenti esclusivi delle sue ricerche: l’incompatibilità conl’allora suo dirigente gli rese non poco difficile, negli annipassati alla Soprintendenza milanese, l’attività scientifica e isti-tuzionale12.Sino al 1968 Frova non si occupò di architettura cisalpina13,

tutto preso a dar conto dei formidabili risultati della Missionedi Cesarea e poi assorbito dai molti impegni derivanti dal suonuovo ruolo di direttore del Museo Archeologico Nazionaledi Parma e degli scavi di Velleia14. Ma l’interesse per quellamateria non gli veniva meno, come mostra il bel contributo sulteatro di Cesarea e l’architettura teatrale della Siria15, che gliera nota di prima mano, avendo egli approfittato in queglianni per visitare Siria, Palestina e spingersi in Arabia, a Pe -tra16(figg. 2-3). Ci restano di quei suoi viaggi parecchie foto,tra cui quella di una deliziosa maquette di cavea teatrale tral’erba dell’area archeologica di Baalbek (fig. 4), oggi esposta alMuseo Nazionale di Beirut (fig. 5).Quando lo conobbi, nel 1969, era al suo secondo anno di

incarico all’Università Statale di Milano. Non a caso quell’annofrequentammo un seminario su archi onorari, porte urbiche,monumenti funerari, templi e complessi forensi della Cisalpina.L’anno successivo ne seguì un’altro su urbanistica e architetturadi Luni, dove molto spazio ebbero i problemi di inquadra-mento stilistico e cronologico dei frontoni e quelli sull’epocadi iniziale coltivazione delle cave delle Apuane. Poi ci portò tuttia fare la mitica esperienza “sul campo”, nello scavo del cardinemassimo di Luni.L’impresa lunense fu, se non la più importante della sua

vita, certo la più amata, e fu fondamentale anche in quella dimolti di noi, non solo perché lì l’orizzonte delle nostre pocheconoscenze si è di gran lunga ampliato e perché ci siamo ef-fettivamente formati alla pratica di quello che sarebbe diventatoil nostro lavoro, ma per il sano pragmatismo e i valori - rigoremorale, onestà e libertà intellettuale, modestia - cui ci educavacon l’esempio. E in un momento che per me è di malinconicobilancio non posso dimenticare Maria Pia Rossignani che lo af-fiancava nelle scelte scientifiche e nel rapporto con gli allievi:anche a lei devo moltissimo a livello di crescita umana, culturalee metodologica. Non mi dilungo oltre sulle vicende lunensiche non attengono il profilo dello studioso di architettura, ma

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2. Antonio Frova e Anna Albricci a Petra poco prima dell’ingresso del Sik.

3. Il teatro di Petra in una foto scattata dai componenti della Missione di Cesarea.

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4.Maquette di cavea teatrale in pietra ripresa, all’epoca del viaggio di Frova a Baalbek,nell’area archeologica.

5. La stessa maquette esposta oggi al Museo Nazionale di Beirut (foto Autore).

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voglio ricordare un passaggio della conferenza, che Frova tennealla Settimana di studi aquileiesi del 1972, in cui si coglie,oltre al suo orgoglio e alla sua soddisfazione per quell’impresa,la lungimiranza della persona che aveva riconosciuto nella col-laborazione tra Istituzioni, Soprintendenza ligure e Universitàmilanesi il miglior sistema per la riuscita dell’impresa stessa, eil suo fortissimo senso del lavoro di gruppo: “So che Mansuellivi ha mostrato una pianta di Luni volutamente vuota senzanemmeno i pochi saggi isolati degli anni passati; ora prestopotrete vedere questa pianta piena, molto piena di cose permerito degli scavi condotti dalla Soprintendenza … in colla-borazione con l’Istituto di Archeologia dell’Università di Milano.Questi scavi in pochi anni hanno portato fuori una massa dicose veramente sorprendenti e per questo ci sentiamo moral-mente impegnati con gli assistenti e i giovani laureati che hannolavorato con tanto entusiasmo, a rendere pubblici i risultatiin una grossa pubblicazione che uscirà entro il 1973. Siamopartiti dalla modesta pretesa di sondaggi e siamo giunti allaidentificazione del Foro, del Capitolium, del triportico, al chia-rimento del Grande Tempio, alla messa in luce del cardo ma-ximus, di piazze marmoree, di complessi monumentali, didomus… e di una massa enorme di materiale… che offre unvasto quadro della vita civile e degli scambi economici. Ma so-prattutto abbiamo rivelato l’impianto urbanistico”17. La ricostruzione dell’impianto urbanistico e delle sue even-

tuali trasformazioni è, per chiunque conduca indagini siste-matiche su una città antica, a maggior ragione se dotato dipreparazione negli studi di architettura, una delle principaliambizioni della ricerca. Questo era già l’intento di Frova al-l’epoca in cui dirigeva gli scavi di Velleia: qui voleva avviare unaindagine in estensione per chiarire le caratteristiche planime-triche dell’impianto di questo municipio montano, piccolo,ma importante per la ricchezza di arredi e apparati decorativiraccolti nelle ricerche dei Borboni che ne avevano messo inluce il contesto forense18. Ma allora non gli era riuscito dimandare in porto il progetto. A Luni, invece, dove le emergenzemonumentali note erano per lo più periferiche19, grazie ad unprogramma ben studiato che prevedeva l’apertura di vaste areedi scavo nella zona centrale (asse del cardine massimo, settoreforense ed annessi, complesso capitolino) e di saggi mirati

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lungo il perimetro delle mura in qualche punto affioranti, laconoscenza dell’impianto fu acquisita, almeno nelle linee prin-cipali, in tre anni (1969-1971) (fig. 6).Di grande aiuto nell’organizzazione del lavoro dovette essere

Stanisław Kasprzysiak, un architetto con un ricco bagaglio dinozioni sulla storia dell’architettura, quella antica compresa,fatto giungere dalla Polonia nel 1969. Il suo compito era quellodi eseguire i rilievi degli scavi sin lì effettuati e di quelli futuri,ma certo, grazie ai lunghi periodi di convivenza estiva con il pro-fessore, si allargò a quello di consigliere nella programmazionee nella conduzione dei cantieri e delle ricerche. I suoi rilievi, che utilizzavano la strumentazione e la meto-

dologia più avanzate, rendevano con precisione fotografica edesattezza matematica lo stato di fatto. Tutta la città vennemappata tramite la maglia delle coordinate, sicché non solo siebbero posizionamenti puntuali nell’ambito di una area discavo, ma le varie aree vennero correlate senza il minimo errore.

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6. Planimetria di Luni (1971) (disegno di Stanisław Kasprzysiak).

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Oggi si tratta di operazioni assolutamente scontate, ma alloranon lo erano affatto. Comunque erano il disegno di effettoquasi fotogrammetrico e la pulizia delle tavole dell’architettoKasprzysiak gli aspetti che colpivano maggiormente noi, abi-tuati agli schizzi che accompagnavano i diari e i giornali discavo e, nel migliore dei casi, a quelle terribili piante a om-breggiature degli assistenti, con le murature in ciottoli formateda tanti cerchietti uguali disposti a tappezzeria, spesso conmisure di scarsa o nessuna precisione, sulle grandi distanze di-scostate di metri rispetto a quelle reali. Ne conseguì che nonpotemmo mai più concepire di scavare senza poi disporre di ri-lievi analoghi dal punto di vista tecnico e metodologico. Dell’urbanistica della città, soprattutto con riguardo all’ar-

ticolazione dell’area forense, organizzata secondo lo schematripartito, e alla soluzione del Capitolium inquadrato dal tri-portico, che oggi, con il procedere delle conoscenze, sappiamodiffusissima, ma di cui allora era noto un numero limitato diesempi, traccia una sintesi magistrale per l’epoca, nel primovolume degli scavi di Luni I20. La amplierà in un convegnodel CNR, edito nel 1978, con un attenzione particolare al-l’edificio a sud del Foro21. Poi, già al convegno di Studi lu-nensi (1985), che segna il punto più alto delle riflessioni sullacittà, anche in rapporto agli altri centri delle province occi-dentali, abbandonerà questo argomento22, da allora lasciandoad altri, in particolare a Maria Pia Rossignani, le considera-zioni sullo spazio pubblico e i suoi edifici23. Frova, invece, trai monumenti della grande architettura pubblica, si riservò ilteatro, i cui resti, nella sua ormai consolidata attenzione perquesta classe monumentale, aveva affrontato per primi al suoarrivo a Luni nel 1967 con scavi e restauri, proseguiti sino al196924 (fig. 7). Di esso aveva già dato conto25, e nel 1983 netratterà in un esauriente articolo26. Anche delle testimonianzefunerarie, tra cui il grande mausoleo, amerà continuare ad oc-cuparsi, e lo farà più volte, dedicandovi uno dei suoi ultimilavori, in occasione della Settimana di studi aquileiesi del199527.Il periodo lunense lo vide far sistematicamente disegnare i

materiali architettonici. Ciò non era solo finalizzato ad ot-tenere una documentazione accurata, ma rappresenta, comeegli sapeva benissimo, l’unico modo per studiare i pezzi nei

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loro dettagli tecnici e per permettere quindi la ricostruzione delsistema decorativo di appartenenza, vuoi una singola moda-natura o un singolo elemento (fig. 8), vuoi, nel caso si di-sponga di un gruppo di pezzi di uno stesso edificio, calcolandomoduli e rapporti, un ordine o un intero alzato (fig. 12).I primi anni di Luni erano anche quelli in cui iniziavano

ad essere affrontati in Italia indagini sistematiche e organichesulla decorazione architettonica, per merito di Guido AchilleMansuelli, che di Frova era caro amico da lunga data. Il pro-fessore, aveva un grande interesse per questo tipo di ricerche,di cui coglieva valenze e implicazioni. Nel 1968 aveva edito unbreve ma importante lavoro su alcuni elementi di Luni, Parma,Velleia28, che per me è stato il modello di come si dovesserotrattare i materiali architettonici e quale ne fosse il senso el’utilità dello studio. Non certo una semplice indagine stili-stica, ma uno studio che deve prevedere dapprima la definizionedel luogo di provenienza dei pezzi, poi l’inquadramento storicodi tale luogo, l’analisi stilistica e le osservazioni fondamentalisul tipo di materiale litico e l’officina, finalizzate al recupero

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7. Planimetria del teatro di Luni (1969) (FROVA 1983).

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8. Rilievo dei frammenti dell’ara rinvenuti nell’area con fontane a Luni e ricostruzione delmonumento: analisi geometria, particolari dei piani superiore e inferiore e dei quattro pro-spetti ricomposti (SMÓLSKI 1977).

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dei dati cronologici, culturali e socio-economici, infine, leipotesi sull’edificio di appartenenza (quando possibile) e la va-lutazione dell’eventuale incidenza degli elementi nella storia edi-lizia della città o del sito.Seguendo questa sua inclinazione, Frova affidò a Maria Pia

Rossignani, che già aveva al suo attivo un lavoro sulla decora-zione in bronzo del mondo romano, edito nel 196929, lo studiosui materiali lapidei parmensi30, rilevati dall’architetto Ka-sprzysiak, e a me, assegnò una tesi di laurea su quelli dei centripiù orientali della X regio, Aquileia, Trieste e Pola31. Sicché,nella già citata conferenza tenuta ad Aquileia nel 1972 potevacompiacersi che queste ricerche fossero avviate alla pubblica-zione32. Nel 1973, in occasione del convegno per il XIX cen-tenario della dedicazione del Capitolium di Brescia, decidevadi tenere una comunicazione sulla decorazione architettonicadella città, cooptando Maria Pia e me. Considerando i pezzisparsi tra l’area capitolina e quella del teatro, ci si rese subitoconto che i filoni di indagine erano diversi: riguardavano in-fatti il contesto santuariale tardorepubblicano, quello flaviocapitolino e forense, quello severiano del teatro, quello fune-rario relativo a reperti urbani di varia provenienza, per lo piùdi età giulio-claudia, tra cui le lastre del monumento cosid-detto di via Mantova. Ne derivò una messa a punto impor-tante che identificava botteghe locali di ottimo livello, ope-ranti già nella prima età imperiale, poi l’attività di maestranzevenute dall’esterno, forse da Roma, a lavorare insieme a quellebresciane nei cantieri del Foro e del Capitolium, e infine l’inin-terrotto operare delle officine locali che in età severiana rea-lizzarono le decorazioni del teatro, riprendendo sistematica-mente, “copiando”, motivi e schemi degli ornati forensi e ca-pitolini, ma con stile del tutto differente: una sorta di “rina-scenza flavia” di gusto locale, come Frova ebbe ripetutamentea sottolineare33.Dopo di allora il professore non smise più di occuparsi di ar-

chitettura bresciana. A un nuovo architetto polacco, JanuszSmòlski, giunto nel 1972 per affiancare Kasprzysiak nell’operadi rilevamento di scavi, monumenti e materiali lunensi, com-missionò i rilievi di alcuni elementi di trabeazione del tempioe dei portici forensi, scelti per il carattere marcatamente flaviodell’ornato, e quelli dei pezzi dell’edificio sepolcrale cosiddetto

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di via Mantova34 (figg. 9-10), facendogli, anche, elaborare unaproposta di ricostruzione dei quattro prospetti35. Suggerì,inoltre, alla Soprintendenza alle Antichità della Lombardia diincaricarlo del rilievo dei materiali del teatro36 (fig. 11).Nel 1979, per la mostra “Brescia romana. Materiali per un

Museo. II”, partendo dai disegni del Vantini37 e dalla pianta diMirabella Roberti38, si dedicava ad una analisi approfonditadei monumenti dell’area forense che resta tutt’oggi sostan-zialmente valida, almeno per la fase flavia del tempio e della

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9 - 10. Documentazione grafica e fotografica di due blocchi dal monumento funerariocosiddetto di via Mantova a Brescia (CAVALIERI MANASSE 1990).

11. Documentazione grafica e fotografica di un blocco curvilineo di architrave-fregiodal teatro di Brescia (CAVALIERI MANASSE 1979).

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piazza, accanto a considerazioni complessive sul teatro39, dicui aveva fatto eseguire una nuova pianta40. Nel 1987 ripre-sentava al convegno di Trieste il complesso capitolino41, po-nendo nuovamente in rilievo l’insolito impianto del tempio, congli stretti vani tra la cella centrale e quelle laterali, retaggioforse del sottostante santuario tardorepubblicano, e lo sviluppoaccentuatamente trasversale dell’insieme delle tre aule, secondolo schema a cella barlongue. Infine, nel 1993, ritornava sul

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12-13. Ricostruzione del primo piano del frontescena del teatro di Brescia con posizio-namento dei blocchi rinvenuti e restituzione ipotetica dei tre ordini architettonici.

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teatro del quale, nel frattempo, il Comune di Brescia avevafatto realizzare da un gruppo di architetti polacchi, una seriedi tavole ricostruttive e assonometriche (figg. 12-13), che di-mostravano come l’edificio scenico avesse tre piani. Nella pre-messa di questo bell’articolo42, l’ultimo che scriverà sui teatri,dopo quello, ormai lontanissimo sul teatro di Milano, quelli suiteatri di Cesarea, di Luni, e infine quello sugli edifici da spet-tacolo delle regiones II e III 43, ripercorre, come di consueto, levicende medievali, moderne e recentissime della costruzione.Con una certa amarezza rileva che sin dall’Ottocento il teatrofece le spese della grande fortuna di cui godeva il Capitolium,e rimase negletto e dimenticato. Circa la storia degli ultimidecenni osserva: “A parte questi meritori interventi (la completadocumentazione degli elementi di decorazione della scena, ivari saggi di scavo e i restauri, per altro assai limitati), ancorauna volta le iniziative di scavo e di recupero del teatro... più volteintraprese e sempre interrotte, non hanno avuto seguito e si sonoarenate. La mancanza di continuità nel programma di ricerca…e poi il completo abbandono e il corrispondente fiorire dinuovi progetti relativi ad altri monumenti… hanno grave-mente nuociuto al teatro”44. Questa situazione non è granchémutata, ma forse sarebbe oggi un po’ meno critica, perché pa-lazzo Maggi Gambara è stato restaurato, l’estremità occidentaledell’edificio scenico messa in luce45, l’aula a pilastrini, unastruttura che l’aveva sempre particolarmente interessato46, èstata fatta oggetto di uno scavo stratigrafico, con risultati che

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l’avrebbero sorpreso, visto che i pilastrini risultano messi inopera nella fase di rifacimento severiano del teatro47, mentre egliriteneva che si trattasse di una sistemazione preflavia48. Daultimo, inoltre, l’Istituto di Archeologia dell’Università Cattolicaha avviato uno studio globale sul monumento e ha chiesto laconcessione per completarne lo scavo.E veniamo all’ultimo periodo, per me più ricco di notazioni

personali. Ho avuto la fortuna di lavorare con lui all’ultimo suostudio. Con grande tenerezza lo ricordo ancora, seduto suldivano del salone di via Revere, nel febbraio del 2002, dirmiche gli sarebbe piaciuto molto presentare un contributo per laFestschrift di Pierre Gros, suo e nostro carissimo amico, mache non aveva in mente cosa fare, anzi, poiché l’argomentotrattato doveva essere di carattere architettonico, non avevanulla che si prestasse all’occorrenza. Gli proposi di occuparcidella basilica di Verona: non vi erano molti dati per la rico-struzione, ma qualche indicazione importante era uscita dagliscavi del 2001, principalmente il fatto che nel rifacimento se-veriano il grande edificio era stato dotato di una abside sullato sud, e che risultava certo che fosse provvisto di una peri-stasi mistilinea interna, cui appartenevano, come già si so-spettava, elementi di arco e di cornice rettilinea scoperti nel-l’Ottocento. Fu contento e mi rammentò, che lui, nato a Verona,non si era mai occupato di monumenti di quella città. Stabi-limmo che lui avrebbe studiato l’impianto architettonico e i suoiconfronti, io la decorazione. Lavorammo per circa un annocon incontri e scambi frequenti (fig. 14). Venne anche a Veronae mi parve ringiovanito da questa fatica comune; poi, sul finire,le cose si fecero più complicate, a causa dei suoi periodi disordità totale, in cui comunicava solo per iscritto. Come chesia, l’articolo fu completato con grande soddisfazione di en-trambi49. Gli promisi che, se fosse stato possibile, saremmoandati alla presentazione del volume ad Aix-en-Provence. Dueanni dopo, nel giugno del 2005, quando ricevette l’invito, miricordò la promessa. Un po’ perplessi, mio marito ed io, datele sue condizioni di salute, ci andammo insieme a lui. Eradavvero felice (fig. 15). Poco tempo dopo ci scrisse “un graziecommosso per la vostra premurosa assistenza e la cara com-pagnia che ha reso così bello il nostro pellegrinaggio provenzaleda quell’umano e umanistico personaggio che è Gros”.

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14. Schizzo del professore per una tavola comparativa delle basiliche a una sola absideche avrebbe dovuto illustrare l’articolo sulla basilica di Verona, ma che non venne rea-lizzata.

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Ma avrei dovuto ringraziarlo io, per le conoscenze e i valoriche mi ha trasmesso, l’incoraggiamento ricevuto nel mio per-corso scientifico e per l’appoggio ragionato ad alcune mie im-portanti scelte di vita.

NOTE

1 FROVA 1936.2 FROVA 1954 e ancora qualche anno più tardi: FROVA 1958.3 “Storia Universale dell’Arte” edita dalla UTET. A Eva Tea si devono i volumi: I “Preistoria e ci-

viltà extraeuropee”, III, 1 e 2 “Medioevo”, IV, 1 e 2 “Quattrocento e Cinquecento”; a VincenzoGolzio i tomi V, 1 e 2 “Seicento e Settecento”; a Paolo Enrico Arias il II, 1, “L’arte della Grecia”e infine ad Anna Maria Brizio il VI, “Ottocento e Novecento”.

4 In uno scritto inedito, datato inverno-primavera 2003, la rammenta così “…tra le persone che moltomi hanno dato… Eva Tea che mi ha introdotto alla critica d’arte e alla cultura europea”.

5 DUCATI 1938.6 Come egli ricorda nello scritto più sopra citato “…allora decisi di scrivere il volume ‘Arte di Roma

e del mondo romano’ per la UTET… E mi costò 5 anni di lavoro”.7 CREMA 1959.8 Sicuramente quella che gli fu più congeniale e che talora denota conoscenze di prima mano come

nella parte relativa alla Britannia o in quella sulla regione danubiano-balcanica: FROVA 1959, pp.540 ss., 560 ss.

9 FROVA 1959, p.VIII.10 STACCIOLI 1961, p. 265; CHEVALLIER 1961, p. 413; BALTY 1962, p. 578.11 Si limita infatti, per il Capitolium, alla menzione dei fregi di età flavia e della statua della Vittoria,

per il Foro, a quella delle misure: FROVA 1959, pp. 229, 735.12 E non mancò mai di rimarcare quanto fosse stata infelice l’esperienza milanese. Vedi ROFFIA, infra.

15.Nicole e Pierre Gros con Antonio Frova alla cena che seguì la presentazione del volumein onore di Gros il 27 giugno 2005

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13 Se si eccettua una breve scheda sul Foro di Velleia e i suoi monumenti nel catalogo della Mostradi Bologna: FROVA 1965a.

14 Sul periodo di Parma vedi ROSSIGNANI, Parma, infra.15 FROVA 1965b, pp. 167-187.16 Negli indimenticabili racconti di viaggio del professore, Petra era un topico, dove al fascino stra-

ordinario e alla meraviglia suscitata dal luogo si univa il gusto della vera avventura: narrava, infatti,di aver trovato da dormire solo nella guardina del posto di polizia del villaggio, essendo allora ilsito totalmente sprovvisto di qualunque tipo di attrezzatura per accogliere i viaggiatori.

17 FROVA 1973, p. 107.18 Accenna a questo progetto ROSSIGNANI, Parma, infra.19 L’anfiteatro, il “grande mausoleo”, il teatro, la cattedrale e in zona più centrale il “Grande Tempio”

e un settore del complesso capitolino (Luni, guida, pp. 114 ss.; 119; 110 ss.; pp. 51-53; 104 ss.;pp. 56-57).

20 FROVA 1973, coll. 29-45.21 FROVA 1978, in particolare pp. 379-380.22 Anche nella Guida uscita in concomitanza con il Convegno si occupò di tutt’altro genere di mo-

numenti: la casa dei mosaici, il teatro, l’anfiteatro, il mausoleo e le necropoli (Luni - Guida ar-cheologica, pp. 95-103, 110-120).

23 ROSSIGNANI 1985; EADEM 1995.24 Nel 1969 fece eseguire anche il rilievo delle strutture (FROVA 1983, fig. 3) dall’architetto E. Schu-

macher, che era stato suo collaboratore negli anni della Missione di Cesarea e aveva curato buonaparte dei rilevamenti di quegli scavi.

25 In FROVA 1973, coll. 45-46.26 FROVA 1983.27 FROVA 1995 e precedentemente FROVA 1975; Luni, guida, pp. 119-120.28 FROVA 1968a. Nello stesso anno aveva anche pubblicato un articolo su alcuni soffitti di monumenti

funerari con raffigurazione del ratto di Ganimede: FROVA 1968b.29 ROSSIGNANI 1969.30 ROSSIGNANI 1975.31 Poi edita: CAVALIERI MANASSE 1978.32 FROVA 1973, pp.112-113.33 FROVA- ROSSIGNANI - CAVALIERI MANASSE 1975, p. 54 ss., in particolare p. 65. E da ultimo ancora

FROVA 1994, p. 355.34 Si tratta di un grande sepolcro con basamento quadrangolare, i cui elementi di rivestimento,

vennero reimpiegati in età altomedievale nella banchina del porto fluviale di Brescia, rivenuto ap-punto in via Mantova.

35 Il monumento, con qualche modifica dello schema e delle dimensioni dei prospetti e con il lorocompletamento per la parte inferiore, è poi stato pubblicato da chi scrive: CAVALIERI MANASSE 1990.

36 J. Smòlski eseguì una magnifica documentazione pubblicata in CAVALIERI MANASSE 1979.37 Museo Bresciano Illustrato, tavv. II, III principalmente.38 MIRABELLA ROBERTI 1961, fig. 2.39 FROVA 1979.40 Brescia Romana. Materiali per un museo. II, I, p. 110, VII 1.41 FROVA 1990.42 FROVA 1994.43 FROVA 1981-82.44 FROVA 1994, pp. 350-351.45 Cenni in un resoconto del tutto inadeguato rispetto all’importanza dell’intervento e del tutto

sprovvisto di documentazione grafica e fotografica in MELLEY - MILLS - VANNINI 2002.46 FROVA 1979, pp. 231-232; Idem 1994, p 357 ss.47 ROSSI 2007.48 FROVA 1979, pp. 231-232; IDEM 1994, pp. 358-359.49 FROVA - CAVALIERI MANASSE 2005.

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