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 Team Colaci – http://www.teamcolaci. it  OPERATORI DELLA SICUREZZA E GUARDIE PARTICOLARI GIURATE: PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI di : Fernando COLACI ( Istruttore Tattico e Docente di Difesa Passiva e Attiva – Team Colaci)  PREMESSA Parlare oggi di sicurezza e di tutte le varie implicazioni tecniche ad essa connesse, è facile ed allo stesso tempo complicato. Un po’ perché l’argomento è di moda ed un po’ perché il materiale dedicato dalle varie aziende è tanto, forse, troppo. Tra i vari prodotti si vuole in questi appunti esaminare il giubbotto antiproiettile, è bene anticipare però che non rientra negli scopi del presente scritto, fare una esegesi completa di tutte le caratteristiche tecniche che caratterizzano tali indumenti protettivi, bensì fornire agli operatori della sicurezza informazioni pratiche sui vizi e virtù di queste particolari protezioni balistiche. 1
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ANTIPROIETTILE GIUBBETTO

Jul 09, 2015

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OPERATORI DELLA SICUREZZA E

GUARDIE PARTICOLARI GIURATE:

PROTEZIONI PASSIVE PERSONALIPROTEZIONI PASSIVE PERSONALIPROTEZIONI PASSIVE PERSONALIPROTEZIONI PASSIVE PERSONALI

di : Fernando COLACI ( Istruttore Tattico e Docente di Difesa Passiva e Attiva – Team Colaci) 

PREMESSA

Parlare oggi di sicurezza e di tutte le varie implicazioni tecniche ad essa connesse, è facile

ed allo stesso tempo complicato. Un po’ perché l’argomento è di moda ed un po’ perché il

materiale dedicato dalle varie aziende è tanto, forse, troppo.

Tra i vari prodotti si vuole in questi appunti esaminare il giubbotto antiproiettile, è bene

anticipare però che non rientra negli scopi del presente scritto, fare una esegesi completa di

tutte le caratteristiche tecniche che caratterizzano tali indumenti protettivi, bensì fornire agli

operatori della sicurezza informazioni pratiche sui vizi e virtù di queste particolari protezioni

balistiche.

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INTRODUZIONE 

E’ trascorso ormai molto tempo da quando, gli antichi guerrieri medioevali si proteggevano

con rilucenti corazze metalliche. Se una corazza bastava a fermare i dardi, non bastava di

sicuro a fermare i pesanti proiettili lanciati sfruttando la combustione della polvere nera,

quell’invenzione diabolica che ha spazzato via gli ideali della cavalleria e che ha posto in

condizione anche il più pavido fra gli scudieri di battere efficacemente il più prode cavaliere.

Era crollato il mito della invincibilità che da Achille in poi era stato il motivo di vanto e

giustificazione del potere.

L’uso dei materiali tradizionali, acciaio più o meno trattato, ha sempre comportato un netto

svantaggio in fatto di mobilità, peso da sopportarsi, ingombro notevole; l’eterna battaglia tra

chi costruisce corazze e chi proiettili sembrava volgersi a favore dei secondi rispetto i primi.

Solamente la scoperta e la produzione in serie di nuove fibre sintetiche ad altissima

resistenza e l’uso di materiali compositi innovativi ha reso possibile sovvertire il risultato.

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CENNI STORICI 

Dalla seconda guerra mondiale si è iniziata a studiare tutta una serie di protezioni più leggere

e moderne di quelle di cui usufruiva il fante del primo conflitto, oberato nelle sue missioni più

rischiose (come quelle di tagliare i reticolati sotto il fuoco nemico) da pesanti corazze

metalliche. Tali studi sono stati resi necessari dal fatto che era vitale cercare di proteggere il

soldato soprattutto dalle lesioni derivanti da schegge di granata e dai frammenti delle bombe

di vario tipo prima che dal fuoco diretto delle armi leggere.

E’ nella guerra di Corea che si è avuto il primo diffuso impiego di indumenti protettivi

assemblati con materiali di sintesi: il nylon balistico e il Doron (fibra di vetro), che hanno

dimostrato sul campo la loro reale validità. Famosa è la foto di un marine vittorioso in

combattimento ravvicinato con un nord coreano che mostra la sua “flack jacket” in nylon e

Doron centrata da una raffica di PPSH in 7,63 Tokarev.

In tale foto c’è anche un altro aspetto interessante: la testimonianza visiva di un effetto

balistico terminale sul corpo, dovuto all’impatto del proiettile e la conseguente estroflessione

della protezione che ha determinato un trauma (back face deformation) sul torace.

Nonostante questa lesione, il marine, non solo è sopravvissuto alla raffica nemica, ma ha

anche vinto lo scontro, motivo questo di riflessione per cercare di dare il giusto peso alla

potenzialità invalidante del “blunt trauma”, termine con cui gli autori d’oltre oceano sono soliti

classificare il trauma indotto dalla deformazione della protezione.

Con la guerra del Vietnam si è avuta una vera e propria generalizzazione dell’impiego delle

protezioni personali a funzione anti-balistica che, all’epoca, venivano realizzate con materiali

diversi, sia di sintesi che ceramici e metallici. Solitamente le “flak vest” realizzate con

protezioni sintetiche, venivano usate dalle truppe appiedate per il loro minore peso e per la

maggiore adattabilità, mentre quelle realizzate con piastre dure, essendo più pesanti ed

impacciando i movimenti, erano appannaggio quasi esclusivo dei piloti di elicottero, dei

serventi delle mitragliere o dei carristi.

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NUOVI MATERIALI  

Nel 1965 la ricercatrice dei laboratori della Du Pont, Stephanie Kwolek, scoprì la fibra

aramidica che è, dopo il Nylon, la più importante scoperta nel campo delle fibre sintetiche.

Ma passarono un po' di anni prima che questo materiale venisse utilizzato per la produzione

di articoli di protezione balistica; il balzo di qualità fatto dopo la scoperta del Kevlar (questo è

il marchio che la Du Pont ha dato al suo prodotto) fu sorprendente, grazie all’impressionante

resistenza alla trazione, unita alla densità ridotta (rapporto peso/resistenza) di questo

materiale.A seconda delle caratteristiche si sono prodotti i Kevlar 29 ed il Kevlar 49. La sua

caratteristica principale è quella di essere 5 volte più resistente dell’acciaio, 10 dell’alluminio,

2 del nylon balistico e della fibra di vetro; ciò ha reso possibile la realizzazione di tutta una

serie di protezioni personali di pesi e fogge fino ad allora impensabili.

Attualmente, a questa fibra, se ne è affiancata un’altra, il polietilene orientato che è il 20-

30% più resistente del Kevlar 29 e, pur non vantando la stessa attitudine al calore, è da

qualche tempo materiale di valida alternativa anche al nuovissimo Kevlar 129 che è il 15%

più forte del “vecchio” K 29 pur essendo nel contempo il 15% più leggero ed il 20% più sottile.

La situazione attuale, per quanto riguarda la protezione personale, è quindi il frutto di una

evoluzione e di un costante miglioramento della produzione industriale orientata alla ricerca

di nuovi materiali sempre più leggeri e resistenti e/o all’assemblaggio più opportuno di

prodotti già sperimentati, ottenendo così una sinergia che permette realizzazioni ancora più

efficienti come ad esempio l’abbinamento, nello stesso pannello, di strati di Klevar 129 uniti a

pellicole di polietilene orientato.

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GIUBBOTTI ANTIPROIETTILE 

Va innanzitutto detto che, a mio avviso, la dizione “giubbotto antiproiettile” non è del tutto

pertinente per trattare delle realizzazioni indirizzate alla protezione personale, dato che, se

vogliamo essere pignoli, col termine “giubbotto” si intende una categoria di vestiario che ben

poco ha a che fare, ad esempio, con tutte quelle realizzazioni da portare “undercover”, cioè

sottocamicia e la denominazione non è del tutto consona alla realtà in quanto, questi tipi di

protezioni anti-balistiche, non sono “antiproiettile”, ma “resistono” ai proiettili. 

Questa differenza, che può sembrare una sottigliezza, ha un suo intrinseco valore e negli

Stati Uniti ha portato a decretare la cancellazione del termine “bullet proof” (impermeabile ai

proiettili) in “bullet resistant” (resistente ai proiettili).

Con il giubbotto antiproiettile si è pensato di sostituire al muro d’acciaio una rete in Klevar

che, in quanto tale, gode di vantaggi e svantaggi. Il vantaggio fondamentale è quello di poter

dissipare elevate quantità di energia in lavoro di deformazione, lo svantaggio è che, come il

pesciolino sfugge alla rete da pesca, un proiettile piccolo ed aguzzo (tipo spitzer) può creare

qualche problema di tenuta. Vale sempre la pena ricordare che l’invulnerabilità non esiste e

che lo scopo di un indumento protettivo è quello di preservare da una gamma di possibili

offese, ampia finchè si vuole, ma pur sempre limitata.

Nel nostro Paese, a complicare il problema, c’è una certa confusione sulla precisazione delle

reali attitudini che deve avere una veste per arrestare un proiettile e per contenere gli effetti

dovuti alla mancata perforazione (blunt trauma). Non sono stati infatti stabiliti i livelli protettivi

in cui includere ed omologare i vari indumenti a seconda del tipo di minaccia. Ciò determina

una situazione non chiara dal punto di vista delle responsabilità, ad esempio del datore dilavoro rispetto ai dipendenti che espletano mansioni di scorta armata o di piantonamento;

soprattutto dopo che la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza nella quale è stata

stabilita la obbligatorietà della fornitura di adeguati mezzi protettivi a chi svolge tali mansioni,

senza però precisare il livello protettivo da adottare.

 

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Solitamente, per dare un minimo di indirizzo all’acquirente rispetto alla validità dell’indumento,

ci si rifà ad alcuni standards americani: l’NIJ concepito negli anni ‘70 ed il PPAA molto più

restrittivo, che basa la sua logica applicativa su studi recenti dedotti da esperienze ed analisi

di dati reali ed in parte sulla resistenza di tali vesti a minacce del tipo “raffica di pistola

mitragliatrice calibro 9 Para” e “colpi di cartucce Geco Metalpiercing in canna da 6 pollici” con

traumi massimi di 20 mm.

Il tessuto in fibra aramidica, con cui è fatto il giubbotto antiproiettile, non è soggetto ad

invecchiamento, ma è sensibile alla luce ultravioletta (raggi solari), dalla quale sarebbe bene

tenerlo sempre protetto conservandolo sempre nella sua veste esterna. Come tutte le altre

fibre, un’altra piccola pecca dell’aramidica è che, bagnandola abbondantemente (se non

trattata), perde le sue specifiche di resistenza, anche se, una volta asciugata, torna alle

caratteristiche d’origine. Esistono alcuni procedimenti contro l’umidità, l’acqua, l’olio o i

solventi; il più famoso di questi trattamenti è lo Zepel-D a base oleosa che però rende il

tessuto auto lubrificato avvantaggiando l’eventuale perforazione del proiettile. In alcuni Stati

si è fatto obbligo, una volta cucito il Klevar che compone la protezione, di sigillarlo tra due

strati di polietilene tipo quelli neri dei sacchetti della spazzatura, in tal modo si assicura la

perfetta protezione dalle intemperie e dai raggi ultravioletti.

La categoria delle protezioni a funzione antibalistica è composta da 5 tipi fondamentali di

realizzazioni che trovano la loro differenza nella rigidità dei materiali e nella adattabilità alcorpo umano: i soffici, i semi-impregnati, gli impregnati, le piastre fibro-ceramiche e le

metalliche. Dal punto di vista pratico, quando si sceglie una protezione personale anti-

balistica, si dovrebbe fare attenzione non solo al livello dichiarato che è in funzione dei calibri,

dei pesi e della velocità di palla, ma anche ai tipi di munizioni che esso è in grado di fermare.

Si tenga presente che per i proiettili provvisti di nucleo perforante tipo “armour piercing” è

quasi sempre necessario l’uso di piastre metalliche o fibrocomposite rigide, mentre per i

“metalpiercing” e cioè i penetratori incamiciati in acciaio dolce e con nucleo in piombo, i

compositi di adeguato livello protettivo sono i più indicati a neutralizzarli; nel caso si opti per

un indumento soffice, è necessaria la presenza di una apposita piastra perché il numero di

strati necessari per ottemperare a questa minaccia ne sconsiglia la realizzazione pratica per

peso e dimensioni. Anche nei giubbotti antiproiettile di uso comune è spesso presente un

 

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marsupio anteriore nel quale infilare una piastra di materiale composito (ceramica/fibra

aramidica) per elevare la classe di protezione.

Aspetto per nulla secondario nella scelta del giubbotto antiproiettile è la portabilità

dell’indumento per dimensioni generali, pesi e per la sua idoneità a conformarsi alla

persona. Sarebbe buona norma, in caso di uso continuativo, preferire una misura di taglia

inferiore a quella abitualmente portata perché, la ricerca assoluta del maggiore indice di area

protetta, anche se è di principio cosa giusta, potrebbe penalizzare nel movimento e creare

disagi che potrebbero indurre a portare male ed addirittura non indossare l’indumento. A

titolo informativo si riporta l’esistenza di giubbotti sotto camicia “undercover” che si

indossano direttamente sulla pelle o sopra una T-shirt, ma comunque ben nascosti sotto una

camicia o un maglione. I “sotto camicia” si dividono in due tipi: semi-rigidi e soffici. La

differenza tecnica tra i primi ed i secondi è determinata dal modo di unire il tessuto aramidico:

nel primo caso le pezze vengono sovrapposte ed incollate tra di loro con apposite resine,

mentre nel secondo le pezze vengono normalmente sovrapposte e cucite sul bordo formando

una specie di cuscino. L’unico svantaggio del modello semi-rigido è proprio la sua rigidità per

chi lo indossa; il grosso vantaggio sta nella limitazione del Blunt Trauma.

Come considerazione prettamente personale, si ritiene che l’uso esterno dei giubbotti

antiproiettile dovrebbe principalmente sortire un effetto “deterrente” nelle comuni mansioni

svolte dagli operatori di un istituto di vigilanza, ma dal punto di vista difensivo per serviziparticolari, si ritiene vitale che la protezione indossata sia il più occultabile possibile, per

evitare che il fuoco rivolto alla persona sia appositamente diretto verso le aree scoperte

(testa, collo, bacino).

Negli Stati Uniti, la delinquenza, dopo che la polizia ha adottato i giubbotti antiproiettile

esterni, ha diminuito il calibro delle armi passando dalle grosse 357 Mag. alle 22 LR o alle 22

Magnum mirando alla testa.

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FUNZIONAMENTO DEL GIUBBOTTO ANTIPROIETTILE 

Il giubbotto antiproiettile, come già detto, è costituito da diversi strati di tessuto in fibra

aramidica (Kevlar).Per capire in modo semplice ed elementare la funzione del tessuto di Klevar nella protezione

balistica, si deve immaginare una porta di campo da calcio che, anziché usare la normale

rete, ne utilizzi (sovrapponendole) un certo numero (ad es. 10, 16, o 22), con una maglia più

sottile del normale e ben tese. Ora, lanciando in direzione di questa porta un pallone

(all’incirca 5 volte più soffice del materiale con cui sono realizzate le reti) ad altissima velocità

ed immaginando al rallentatore l’effetto dell’impatto del pallone contro la rete, vedremo che si

formerà contro le reti sovrapposte un effetto cono di estroflessione, mentre il pallone,

essendo più soffice, si schiaccerà “effetto fungo” diminuendo in modo decrescente la sua

velocità ed energia. In questo caso, alla fine della sua corsa, la palla sarà, per la sua

leggerezza ed elasticità, rilasciata e rimbalzata all’indietro mentre, contro una protezione

balistica, il proiettile, essendo di materiale solido, dopo la deformazione per l’impatto rimane

generalmente trattenuto “intrappolato” dal tessuto. Questo effetto è chiaramente visibile

osservando un proiettile dopo un impatto contro il Klevar; si noterà una tipica espansione a

forma di fungo.

La velocità limite per un proiettile ordinario, cui la fibra aramidica riesce a resistere è di circa 

550 m/s. Una volta tessuto il Kevlar, per la sua tenacità e resistenza, ha la capacità di

intrappolare i proiettili rallentandone progressivamente sia la corsa che l’energia. Secondo la

teoria, l’Energia Cinetica Ec associata ad un corpo in movimento alla Velocità V e dotato di

Massa M è data dalla formula:

Ec = M x V (Forza Viva)

Agendo sulle due variabili M e V si possono ottenere infinite combinazioni di valori a pari

energia cinetica.

E’ il classico e dibattuto problema della scelta del calibro per ottenere un adeguato arresto

del proiettile (stopping-power): meglio un massiccio e lento calibro 45 o un piccolo e veloce

calibro 9 mm?

 

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Dal punto di vista dell’esperienza appare chiaro che il solo valore dell’energia non è un

parametro adeguato di giudizio; è impossibile prescindere dalla velocità con cui il fenomeno

avviene.

A riprova di quanto detto si può riportare il seguente paradosso balistico: consideriamo una

piastra di acciaio da corazza (Armour Steel) dello spessore nominale di 6 mm, caratterizzata

da una durezza Brinnel 495. Un colpo di 7.62x51 Nato sparato dal classico Fal con proiettile

di ordinanza Smi da una distanza di 10 m. e ad una velocità di impatto di 839 m/s,

corrispondente a ben 3350 joule di energia, viene trattenuto mentre due colpi ben distanziati

di 5.56x45 Nato sparati dalla distanza di 10 m. con un M16 A1 e con munizionamento M193

ad una velocità variante dai 980 ai 1020 m/s, cui corrisponde una energia di soli 1750 joule,

passano entrambi tranquillamente oltre la piastra.

Il principio secondo il quale ad ogni corpo in movimento sia associata un’onda, così come è

stato intuito dal De Broglie, deve essere esteso al caso dell’urto ed allo studio delle reazioni

che il bersaglio oppone al proiettile collidente e soprattutto alle violente forze risultanti dalla

composizione dei fronti d’onda. In particolare si deve sfatare la convinzione che il bersaglio

possa opporre una sola resistenza passiva: se adeguatamente conformato e di materiale

opportuno, è possibile avere un comportamento attivo.

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BLUNT TRAUMA

Tutti pensano comunemente che il giubbotto antiproiettile sia efficace solo se ferma un

proiettile. Un dato appurato è che si può rimanere feriti anche se la palla non passa ilgiubbotto. Questo effetto è chiamato “BLUNT TRAUMA”. 

Il BLUNT TRAUMA è il risultato della distanza che la palla compie dopo l’impatto con il

giubbotto, oppure, in altro modo, la profondità del rigonfiamento interno, anche se la

palla non perfora il giubbotto. 

Gli standards industriali e le specifiche del Dipartimento delle Armi Americano responsabile

del settore, hanno stabilito che un giubbotto antiproiettile, per essere immesso sul mercato,

non deve oltrepassare i 44 mm. di BLUNT TRAUMA.

Per diminuire il Blunt Trauma (B.T.) occorre distribuire l’energia della palla su una maggiore

superficie del giubbotto nel minor tempo possibile. Le soluzioni al B.T., adottate in vari modi

da tutte le ditte produttrici di giubbotti antiproiettile sono svariate: dai vecchi cuscini di piume,

alle nuove tecnologie del poliuretano espanso. Quella più largamente usata sino ad oggi è

stata la seguente: sovrapposti gli strati del tessuto aramidico, questi vengono cuciti tra loro

sempre con del filo di Kevlar, incrociando le cuciture e formando piccoli quadri o rombi (più o

meno 3x3 cm.) su tutta la superficie come una specie di rete.

Questo tipo di soluzione ha portato sicuramente a ridurre il B.T., ma con un piccolo

svantaggio: il maggior irrigidimento della protezione.

Altre ditte usano il principio di intrappolare la palla come in una rete. Questo principio avviene

utilizzando diversi tipi di Klevar tessuto con titoli diversi tra loro; una volta sovrapposti e cuciti,

creano una decelerazione del proiettile dopo l’impatto con il giubbotto. Però in questo modo

la palla non si deforma e quindi, a volte, riesce a penetrare il giubbotto. Questo processo di

decelerazione può consentire alla palla di continuare la sua corsa dopo l’impatto, causando

in questo caso maggior danno. Per intrappolare il proiettile è necessario che il Klevar sialibero di muoversi come parte di una rete.

Alcune Ditte (Arnoplastik) interpongono, all’interno del giubbotto, tra l’ultimo strato di Klevar e

la veste che ricopre tutto, una lastra di materia tipo gomma che assorbe velocemente l’onda

d’urto data dal proiettile e la propaga su tutta la sua superficie senza un elevato

rigonfiamento all’interno.

 

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Chiaramente, il contenere il più possibile l’effetto del B.T., è un fattore importante perché

l’indice di invalidità sia permanente che temporanea per taluni tipi di munizioni, può essere

talmente elevato da causare la messa fuori combattimento di colui che viene attinto.

Inoltre, ci sono stati dei casi mortali senza perforazione dell’indumento, ma le cartucce usate

non erano incluse nella classe per cui il giubbotto antiproiettile era idoneo (erano munizioni

sparate da armi lunghe e dotate di velocità molto elevate e fuori standard), per cui non si è

tratta

 

to di B.T. con ferite mortali dovute magari all’intervento di costole rotte che hanno

perforato organi vitali o di un violento shock idrodinamico che ha fatto scoppiare grandi

organi cavi, ma di una vera e propria penetrazione della parte a contatto con il corpo in

seguito ad estroflessioni considerevoli (78 mm).

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NORMATIVE E TEST 

In Italia non esiste per il momento nessuna normativa riguardo alla protezione balistica (nel

settore privato), negli Stati Uniti, invece, tutto il materiale prima di essere messo inproduzione e commercializzato deve superare severi test di collaudo. Si è già fatto cenno agli

standard NIJ e PPAA di cui tralasciamo in questa sede i raffronti e le relative comparazioni,

vediamo invece cosa dicono le normative americane perché un giubbotto antiproiettile possa

essere classificato, con l’adeguato livello di protezione.

La tabella che segue riporta i valori di riferimento relativi ai calibri ed i loro livelli energetici

abbinati ai vari gradi di protezione, indipendentemente dal materiale impiegato per la loro

confezione.

Classificazione 1, livello di protezione = I,

calibri: .22 LRHV, 40 grs, 1050+fps; .38 special RN, 158 grs, 850+50 fts.  

Classificazione 2, livello di protezione = IIA,

calibri: 9 mm FMJ, 124 grs, 1090+50 fps; .357 Mag JSP, 158 grs, 1250+50 fts.

classificazione 3, livello di protezione = II,

calibri: 9 mm FMJ, 124 grs, 1175+50 fps; .357 Mag JSP, 158 grs, 1395+50 fps.

classificazione 4, livello di protezione = IIIA,

calibri: 9 mm FMJ, 124 grs, 1400+50 fps; .44 Mag LSWC, 240 grs, 1400+50 fps.

classificazione 5, livello di protezione = III,

calibri: 7,62 FMJ, 150 grs, 2750+50 fps.

classificazione 6, livello di protezione = IV,

calibri: 30-06 AP, 166 grs, 2850+50 fps.

Esempi e conversioni:

Per la classe IIA, oltre a trattenere tutti i piccoli e medi calibri (es. 22 Lr, 22 Mag., 6,35 Br.,

7,65 Br., .38 Special, ecc.) non deve essere oltrepassato da palle cal. 357 Mag. da 158 grani

ad una velocità di 381 + 15 m/s o da una 9 mm. Para con palla da 124 grani ad una velocità

di 332 + 15 m/s.

Per la classe II, oltre a trattenere i già citati piccoli e medi calibri, non deve essere

oltrepassato da proiettili cal. 357 Mag. da 158 grani ad una velocità di 425 + 15 m/s o da una

9 mm. Para con palla da 124 grani ad una velocità di 358 +15 m/s.. 

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Il BLUNT TRAUMA non deve superare in entrambi i casi i 44 mm.. 

Esistono numerosi test classificativi, a seconda del tipo di arma, del grado di incidenza e dei

proiettili sparati con potere di penetrazione variabile, che si omettono in questa sede, ma che

servono a far comprendere la variazione di comportamento delle protezioni balistiche in

funzione del tipo di aggressione.

Per la determinazione del B.T. si fa ricorso a test di omologazione con l’utilizzo di materiale

per niente simile ai tessuti umani direttamente a contatto con l’indumento, e cioè la plastilina

tipo “Roma” che è del tutto priva di elasticità ed ha una densità 1,6-1,8 contro quella media

dei tessuti soffici del corpo umano che è 1,02, senza neanche preoccuparsi di considerare

con precisione la ripartizione degli effetti balistici del campione ai vari distretti del corpo

umano. Si è avuta perciò la creazione di modelli sperimentali che non hanno una totale

corrispondenza con il reale.

Comunque, per fortuna, come è risultato da molte esperienze “sulla strada”, nessun

indumento protettivo, anche il più scadente, ha mai fallito il suo compito non solo per il fattore

di penetrazione, ma anche per il trauma. Considerando anche che lo standard U.S.A. è

decisamente più ottimistico di quello europeo (44 mm contro 20 mm) e che l’uso continuativo

e la mancanza di adeguata manutenzione può causare un deciso scadimento proprio in

questa importante funzione, possiamo affermare che i limiti U.S.A., pur arbitrari, sembrano

sufficienti a preservarci dalla minaccia del B.T.

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CONCLUSIONI 

In estrema sintesi è bene ricordare che la scelta di un giubbotto antiproiettile non è da fare a

cuor leggero o sulla scorta di consigli raccolti dal sapientone di turno. Occorre avere ideechiare al riguardo, soprattutto in relazione al tipo di minaccia da affrontare ed alle necessità

legate al tipo di servizio (trasporto e scorta valori, piantonamento, pattugliamento, etc.) che

richiede la vestizione dell’indumento protettivo.

Probabilmente alcuni operatori del settore non potranno trovare tutte le risposte in un unico

capo, ma dovranno prevedere la disponibilità di due o forse più protezioni in virtù delle varie

circostanze da fronteggiare.

In ogni caso non conviene mai lesinare sull’investimento ed acquistare quanto di meglio offre

il mercato sia in termini di qualità che di rapporto costo/efficacia. Orientandosi principalmente

sulle seguenti caratteristiche:

- che sia di un livello di protezione non inferiore alla classe II;

- deve avere la possibilità del marsupio anteriore per aggiungere un eventuale piastra

anti-trauma;

- deve essere comodo da portare;

- deve essere leggero e confortevole;

- deve possedere una struttura soffice e non rigida;

- deve poter abbondantemente proteggere i fianchi, garantendo così una protezione globale

del busto.

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