Team Colaci – http://www.teamcolaci. it OPERATORI DELLA SICUREZZA E GUARDIE PARTICOLARI GIURATE: PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI PROTEZIONI PASSIVE PERSONALI di: Fernando COLACI ( Istruttore Tattico e Docente di Difesa Passiva e Attiva – Team Colaci) PREMESSA Parlare oggi di sicurezza e di tutte le varie implicazioni tecniche ad essa connesse, è facile ed allo stesso tempo complicato. Un po’ perché l’argomento è di moda ed un po’ perché il materiale dedicato dalle varie aziende è tanto, forse, troppo. Tra i vari prodotti si vuole in questi appunti esaminare il giubbotto antiproiettile, è bene anticipare però che non rientra negli scopi del presente scritto, fare una esegesi completa di tutte le caratteristiche tecniche che caratterizzano tali indumenti protettivi, bensì fornire agli operatori della sicurezza informazioni pratiche sui vizi e virtù di queste particolari protezioni balistiche. 1
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Va innanzitutto detto che, a mio avviso, la dizione “giubbotto antiproiettile” non è del tutto
pertinente per trattare delle realizzazioni indirizzate alla protezione personale, dato che, se
vogliamo essere pignoli, col termine “giubbotto” si intende una categoria di vestiario che ben
poco ha a che fare, ad esempio, con tutte quelle realizzazioni da portare “undercover”, cioè
sottocamicia e la denominazione non è del tutto consona alla realtà in quanto, questi tipi di
protezioni anti-balistiche, non sono “antiproiettile”, ma “resistono” ai proiettili.
Questa differenza, che può sembrare una sottigliezza, ha un suo intrinseco valore e negli
Stati Uniti ha portato a decretare la cancellazione del termine “bullet proof” (impermeabile ai
proiettili) in “bullet resistant” (resistente ai proiettili).
Con il giubbotto antiproiettile si è pensato di sostituire al muro d’acciaio una rete in Klevar
che, in quanto tale, gode di vantaggi e svantaggi. Il vantaggio fondamentale è quello di poter
dissipare elevate quantità di energia in lavoro di deformazione, lo svantaggio è che, come il
pesciolino sfugge alla rete da pesca, un proiettile piccolo ed aguzzo (tipo spitzer) può creare
qualche problema di tenuta. Vale sempre la pena ricordare che l’invulnerabilità non esiste e
che lo scopo di un indumento protettivo è quello di preservare da una gamma di possibili
offese, ampia finchè si vuole, ma pur sempre limitata.
Nel nostro Paese, a complicare il problema, c’è una certa confusione sulla precisazione delle
reali attitudini che deve avere una veste per arrestare un proiettile e per contenere gli effetti
dovuti alla mancata perforazione (blunt trauma). Non sono stati infatti stabiliti i livelli protettivi
in cui includere ed omologare i vari indumenti a seconda del tipo di minaccia. Ciò determina
una situazione non chiara dal punto di vista delle responsabilità, ad esempio del datore dilavoro rispetto ai dipendenti che espletano mansioni di scorta armata o di piantonamento;
soprattutto dopo che la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza nella quale è stata
stabilita la obbligatorietà della fornitura di adeguati mezzi protettivi a chi svolge tali mansioni,
senza però precisare il livello protettivo da adottare.
Solitamente, per dare un minimo di indirizzo all’acquirente rispetto alla validità dell’indumento,
ci si rifà ad alcuni standards americani: l’NIJ concepito negli anni ‘70 ed il PPAA molto più
restrittivo, che basa la sua logica applicativa su studi recenti dedotti da esperienze ed analisi
di dati reali ed in parte sulla resistenza di tali vesti a minacce del tipo “raffica di pistola
mitragliatrice calibro 9 Para” e “colpi di cartucce Geco Metalpiercing in canna da 6 pollici” con
traumi massimi di 20 mm.
Il tessuto in fibra aramidica, con cui è fatto il giubbotto antiproiettile, non è soggetto ad
invecchiamento, ma è sensibile alla luce ultravioletta (raggi solari), dalla quale sarebbe bene
tenerlo sempre protetto conservandolo sempre nella sua veste esterna. Come tutte le altre
fibre, un’altra piccola pecca dell’aramidica è che, bagnandola abbondantemente (se non
trattata), perde le sue specifiche di resistenza, anche se, una volta asciugata, torna alle
caratteristiche d’origine. Esistono alcuni procedimenti contro l’umidità, l’acqua, l’olio o i
solventi; il più famoso di questi trattamenti è lo Zepel-D a base oleosa che però rende il
tessuto auto lubrificato avvantaggiando l’eventuale perforazione del proiettile. In alcuni Stati
si è fatto obbligo, una volta cucito il Klevar che compone la protezione, di sigillarlo tra due
strati di polietilene tipo quelli neri dei sacchetti della spazzatura, in tal modo si assicura la
perfetta protezione dalle intemperie e dai raggi ultravioletti.
La categoria delle protezioni a funzione antibalistica è composta da 5 tipi fondamentali di
realizzazioni che trovano la loro differenza nella rigidità dei materiali e nella adattabilità alcorpo umano: i soffici, i semi-impregnati, gli impregnati, le piastre fibro-ceramiche e le
metalliche. Dal punto di vista pratico, quando si sceglie una protezione personale anti-
balistica, si dovrebbe fare attenzione non solo al livello dichiarato che è in funzione dei calibri,
dei pesi e della velocità di palla, ma anche ai tipi di munizioni che esso è in grado di fermare.
Si tenga presente che per i proiettili provvisti di nucleo perforante tipo “armour piercing” è
quasi sempre necessario l’uso di piastre metalliche o fibrocomposite rigide, mentre per i
“metalpiercing” e cioè i penetratori incamiciati in acciaio dolce e con nucleo in piombo, i
compositi di adeguato livello protettivo sono i più indicati a neutralizzarli; nel caso si opti per
un indumento soffice, è necessaria la presenza di una apposita piastra perché il numero di
strati necessari per ottemperare a questa minaccia ne sconsiglia la realizzazione pratica per
peso e dimensioni. Anche nei giubbotti antiproiettile di uso comune è spesso presente un
marsupio anteriore nel quale infilare una piastra di materiale composito (ceramica/fibra
aramidica) per elevare la classe di protezione.
Aspetto per nulla secondario nella scelta del giubbotto antiproiettile è la portabilità
dell’indumento per dimensioni generali, pesi e per la sua idoneità a conformarsi alla
persona. Sarebbe buona norma, in caso di uso continuativo, preferire una misura di taglia
inferiore a quella abitualmente portata perché, la ricerca assoluta del maggiore indice di area
protetta, anche se è di principio cosa giusta, potrebbe penalizzare nel movimento e creare
disagi che potrebbero indurre a portare male ed addirittura non indossare l’indumento. A
titolo informativo si riporta l’esistenza di giubbotti sotto camicia “undercover” che si
indossano direttamente sulla pelle o sopra una T-shirt, ma comunque ben nascosti sotto una
camicia o un maglione. I “sotto camicia” si dividono in due tipi: semi-rigidi e soffici. La
differenza tecnica tra i primi ed i secondi è determinata dal modo di unire il tessuto aramidico:
nel primo caso le pezze vengono sovrapposte ed incollate tra di loro con apposite resine,
mentre nel secondo le pezze vengono normalmente sovrapposte e cucite sul bordo formando
una specie di cuscino. L’unico svantaggio del modello semi-rigido è proprio la sua rigidità per
chi lo indossa; il grosso vantaggio sta nella limitazione del Blunt Trauma.
Come considerazione prettamente personale, si ritiene che l’uso esterno dei giubbotti
antiproiettile dovrebbe principalmente sortire un effetto “deterrente” nelle comuni mansioni
svolte dagli operatori di un istituto di vigilanza, ma dal punto di vista difensivo per serviziparticolari, si ritiene vitale che la protezione indossata sia il più occultabile possibile, per
evitare che il fuoco rivolto alla persona sia appositamente diretto verso le aree scoperte
(testa, collo, bacino).
Negli Stati Uniti, la delinquenza, dopo che la polizia ha adottato i giubbotti antiproiettile
esterni, ha diminuito il calibro delle armi passando dalle grosse 357 Mag. alle 22 LR o alle 22
In Italia non esiste per il momento nessuna normativa riguardo alla protezione balistica (nel
settore privato), negli Stati Uniti, invece, tutto il materiale prima di essere messo inproduzione e commercializzato deve superare severi test di collaudo. Si è già fatto cenno agli
standard NIJ e PPAA di cui tralasciamo in questa sede i raffronti e le relative comparazioni,
vediamo invece cosa dicono le normative americane perché un giubbotto antiproiettile possa
essere classificato, con l’adeguato livello di protezione.
La tabella che segue riporta i valori di riferimento relativi ai calibri ed i loro livelli energetici
abbinati ai vari gradi di protezione, indipendentemente dal materiale impiegato per la loro
In estrema sintesi è bene ricordare che la scelta di un giubbotto antiproiettile non è da fare a
cuor leggero o sulla scorta di consigli raccolti dal sapientone di turno. Occorre avere ideechiare al riguardo, soprattutto in relazione al tipo di minaccia da affrontare ed alle necessità
legate al tipo di servizio (trasporto e scorta valori, piantonamento, pattugliamento, etc.) che
richiede la vestizione dell’indumento protettivo.
Probabilmente alcuni operatori del settore non potranno trovare tutte le risposte in un unico
capo, ma dovranno prevedere la disponibilità di due o forse più protezioni in virtù delle varie
circostanze da fronteggiare.
In ogni caso non conviene mai lesinare sull’investimento ed acquistare quanto di meglio offre
il mercato sia in termini di qualità che di rapporto costo/efficacia. Orientandosi principalmente
sulle seguenti caratteristiche:
- che sia di un livello di protezione non inferiore alla classe II;
- deve avere la possibilità del marsupio anteriore per aggiungere un eventuale piastra
anti-trauma;
- deve essere comodo da portare;
- deve essere leggero e confortevole;
- deve possedere una struttura soffice e non rigida;
- deve poter abbondantemente proteggere i fianchi, garantendo così una protezione globale