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Antichi testi bresciani: nuovi affioramenti

May 05, 2023

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RoBERto taGLiani

ANTICHI TeSTI BReSCIANI: NUOVI AFFIORAMeNTI*

Il codice e i testi

Chiunque abbia dedicato la propria attenzione – per studio, passione o interes-se documentario – ai testi più antichi della tradizione scrittoria bresciana, ha incontrato sulla sua strada il codice che può essere definito il monumentum della scripta cidnea, vale a dire l’istrumentario della Disciplina di San Cristofo-ro1. Si tratta di un registro che raccoglie i documenti relativi all’ospedale di carità gestito dalla Congregazione delle Discipline di Brescia, un’arciconfrater-nita laicale che radunava le fratrie di obbedienza francescana presenti nella città durante il basso Medioevo2. Il manoscritto reca la data di copia del maggio 1412 ed è sottoscritto dal notaio Francesco Cortesi, console generale della congregazione, che vi ordinò materiali di provenienza varia, relativi ai beni messi in comune dalle diverse fraglie congregate.

La maggior parte dei testi raccolti, di natura giuridico-documentaria, è re-datta in latino: in una delle sezioni finali del registro (cc. 103r-107v), dopo un congruo numero di carte bianche – destinate, con ogni probabilità, a raccoglie-

* Il presente lavoro riassume i risultati di una ricerca condotta in stretta collaborazione tra lo scrivente e Carla Bino, volta alla valorizzazione delle testimonianze manoscritte dei movimen-ti disciplinati del Medioevo bresciano, i cui risultati sono presentati ampiamente nel saggio R. taGLiani - c. Bino, Testi confraternali e “memoria” della Passione a Brescia tra Tre e Quattro-cento. Il Planctus Virginis Mariae e la Sententia finalis iudicii dei Disciplini di San Cristoforo, «Filologia e critica», 36 /1 (2011), pp. 75-124, al quale si rinvia per ogni approfondimento.1 Archivio di Stato di Brescia (ASBs), Fondo Ospedale, Bonelli, busta 99.2 R. navaRRini, Lo statuto della Congregazione delle Discipline di Brescia, «Postumia», 3 (1992), pp. 64-75, ricorda che la Congregazione raccoglieva le confraternite di Santa Maria de Dom, di San Faustino Maggiore, di San Marco presso San Giovanni de foris, di San Giorgio, di San Matteo, di Sant’Agata e dei Santi Nazaro e Celso. Sulla fondazione discipli-nata dell’ospedale di carità a Brescia, cfr. A. maRiELLa, Le origini degli ospedali bresciani, Brescia, Geroldi, 1963.

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re le registrazioni di prebende e benefici che si fossero resi disponibili dopo l’allestimento del codice – si trova un gruppo di testi volgari – due in prosa e tre in versi – che rappresentano la più antica e autorevole attestazione della scripta bresciana medievale.

Fu Giuseppe Bonelli che, per primo, fece conoscere, quasi cent’anni or sono, tre di questi testi: la celebre lauda Cum fo tradith el nos Segnor3, la cui edizione – unitamente a quella di due preghiere in prosa – permise a un giovanissimo Gian-franco Contini di redigere quello che ancor oggi è il più importante studio sulla lingua bresciana antica4. Contini, che non vide mai personalmente il codice, lavo-rò al suo commento fondandosi sulle trascrizioni di Bonelli, che aveva omesso di segnalare la presenza di altri due testi in versi immediatamente seguenti a quelli da lui trascritti, consistenti in un Planctus Virginis Mariae, seguito da una Sententia finalis iudicii, che sono stati di recente riscoperti e criticamente editi grazie a una nuova ricognizione del codice, compiuta da chi scrive e da Carla Bino.

I due testi costituiscono, insieme alla celebre Passio, un gruppo coeso e unita-rio: non si tratta però – come spesso capita in codici come questo – di un’anto-logia di laudi, ma di un unico ufficio liturgico per il Giovedì Santo articolato in tre momenti, la cui prassi performativa è descritta con precisione in una nota latina trascritta a c. 103v, sulla quale torneremo. L’ufficio è così articolato:1. Il testo della Passio (Cum fo tradith el nos Segnor) occupa le cc. 104r-105r e

107v5 ed è trascritto su due colonne, in due redazioni. La prima, antiquiore, è vergata alle cc. 104r-105r da una mano quattrocentesca, elegante e distesa, in una bella gotichetta dai tratti arcaizzanti, che organizza il testo in una mise en page ariosa, per blocchi di nove quartine per colonna di versi ottonari/nove-nari a rima baciata (aabb)6. Al testo è premessa una rubrica latina, che registra la modalità performativa7. Una seconda mano, più corsiva, ma di poco seriore,

3 G. BonELLi, Una “Passio Christi” in dialetto, «Brixia Sacra», 5 (1914), pp. 111-119.4 Antichi testi bresciani, editi da G. BonELLi e commentati da G. contini, «L’Italia dialet-tale», 11 (1935), pp. 115-151; il solo commento linguistico oggi si legge in G. contini, Frammenti di filologia romanza. Scritti di ecdotica e linguistica (1932-1989), a cura di G. BRESchi, II, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2007, pp. 1199-1212.5 G. BonELLi - G. contini, Antichi testi bresciani, p. 124 la assegna, erroneamente, alle cc. 102r, 103r e 105v.6 Sulle questioni metriche mi permetto, per brevità, di rinviare alle schede in R. taGLiani - c. Bino, Testi confraternali e “memoria” della Passione a Brescia, pp. 78-79 e 82-83, e alla bibliografia ivi citata.7 «Passio Christi, que primo debet cantari in nocte iovis sancte in eclesijs per quatuor can-tores quorum primi duo incipiant primos duos versus, qui respondeantur per alios duos cantores; deinde primi duo cantores procedant ad alios quatuor versus et plus non dicant primos versus, et secundi semper respondeant primos duos versus, usque ad finem».

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1. Passio Christi, Brescia, Archivio di Stato, Fondo Ospedale, Bonelli, busta 99, c. 104r.

modifica ad locum il testo della prima redazione, ora sostituendo singoli versi, gruppi di versi o intere quartine, ora integrando, nel margine, interi episodi8.

8 In particolare, sostituisce i vv. 23-30, 51-56 e 103-106 con altrettanti versi di diverso con-tenuto, aggiunge i vv. 59a-82a prima del v. 59 e sostituisce i vv. 107-194 con i vv. 107a-314a.

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Le ultime dodici quartine della seconda redazione sono trascritte a c. 107v, dopo i due testi di recente riscoperta e una pagina di precetti latini destinati alle festività del Corpus Domini e al calendario delle veglie di preghiera obbli-gatorie della Congregazione. Complessivamente, la prima redazione consta di 48 quartine più una ripresa di 2 vv. per complessivi 194 vv., mentre la seconda è costituita da 78 quartine più la ripresa, per complessivi 314 vv. (cfr. fig. 1).

2. Il Planctus Beatae Virginis (Chi vol othí grant pietath) occupa le cc. 105v-106r, è trascritto dalla stessa mano che ha copiato la prima redazione della Passio e presenta lo stesso schema metrico e la medesima mise en page di quel testo. Una mano di poco seriore (verosimilmente, la stessa che trascrive la seconda versione della Passio) ha aggiunto, nel margine in alto, la rubri-ca9. Il testo, che occupa tre colonne, consta di 23 quartine più una ripresa di 2 vv. per complessivi 94 vv. (cfr. fig. 2).

3. La Sententia finalis iudicii (Ognom intenda cum la mente pura) occupa la se-conda colonna di c. 106r e l’intera c. 106v del manoscritto; è trascritta in un modulo minore da una mano molto simile a quella della versione breve della Passio, ma di andamento più disorganico10. Il testo è in distici di endecasillabi a rima baciata (AA, BB…), anisosillabici e piuttosto carenti dal punto di vista prosodico. Il testo manca di una vera e propria ripresa, anche se il primo di-stico ha una chiara funzione di invitatorium all’ascolto11. Al termine del com-ponimento sono aggiunti tre versi spurii (due novenari e un ottonario, schema a9a8b9) che contengono una generica invocazione benedizionale. Una mano di poco seriore (la stessa che copia la versione lunga della Passio) aggiunge nell’intercolumnio e nei margini attorno al testo un commento latino che rias-sume i tratti salienti della vicenda, secondo la narrazione evangelica12, e pre-mette al testo un’invocazione e una rubrica in latino13 (cfr. fig. 3).

9 «Planctus Virginis Marie, in canendus, ut infra»; anch’esso era, dunque, destinato al can-to amebeo.10 Non si può escludere che questa mano sia, in realtà, proprio quella che copia la versio brevis della Passio; il modulo adottato, più piccolo e fitto, mantiene infatti molti tratti comuni.11 Così lo chiosa il commento latino posto nel margine: «Ista duo carmina sunt invitatoria ad audiendum dicenda», ove quel carmina varrà, evidentemente, versus.12 La mano, organica e puntuale, è la stessa che trascrive le cc. 103v e 107r, contenenti le prescrizioni latine per l’ufficio del Giovedì Santo, per il Corpus Domini e per le veglie di preghiera. L’intera mise en page delle cc. 106r-v pare rispondere alla necessità di mantenere i materiali entro uno spazio fissato: ciò può far ritenere che il testo sia stato aggiunto quan-do il fascicolo era già parzialmente trascritto. In ogni caso, considerata la coerenza proget-tuale tra testi e indicazioni performative, le diverse mani responsabili di tutta questa sezione del codice non hanno agito in tempi molto distanti tra loro.13 Che recitano, rispettivamente: «A la nom del nos Segnor Yhesù Christ, amen» e «Senten-tia finalis judicii, legenda, ut infra», corretta da altra mano «Sententia finalis judicij, que

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2. Planctus Beatae Virginis, Brescia, Archivio di Stato, Fondo Ospedale, Bonelli, busta 99, c. 105v.

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3. Sententia finalis iudicii, Brescia, Archivio di Stato, Fondo Ospedale, Bonelli, busta 99, c. 106r.

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La struttura dell’Ufficio e la vita confraternale

La presenza di testi laudistici in un istrumentario non è una novità nell’ambito della tradizione manoscritta di testi devoti. È ricorrente, anzi, che i registri uf-ficiali delle fraglie conservino, accanto alle trascrizioni e ai regesti del patrimo-nio sociale (atti di proprietà, compravendite, donazioni e legati), anche le nor-me della vita sociativa – gli statuta, collettori della base valoriale condivisa dai confratelli e chiarificatori dei fini sociali del consorzio, connessi all’esercizio della carità – e gli observanda, ossia descrizioni codificate di ritualità e devozio-ni collettive, atte a cementare e rendere concreta e visibile la dimensione valo-riale asseverata dagli statuti entro precise liturgie (pubbliche o private), che fanno della propria peculiarità un tratto distintivo della confraternita, da con-servare e tramandare.

L’esecuzione dell’ufficio del Giovedì Santo rientra a pieno titolo tra queste pratiche: anzi, considerato il fatto che il registro lo pone come momento obbli-gatorio e comune a tutte le scholae della Congregazione di Brescia, diviene l’elemento centrale della vita sociativa dell’arciconfraternita, non a caso collo-cato all’esordio del Triduo Pasquale.

Celebrare e rivivere la memoria della passione di Cristo con un rito unitario e comune a tutte le confraternite determina, per ciascun disciplino, il riconoscimen-to della centralità dell’evento nello svolgersi della vita sociale della congregazione. Per questo, il liber maximus dell’arciconfraternita, l’istrumentario, conserva e cu-stodisce non solo i testi, ma anche le indicazioni performative con cui essi debbo-no, ogni anno, essere rivissuti, in una mistagogia rituale distintiva e identitaria.

Per questo i testi sono trascritti in bella copia e preceduti da chiare rubriche didascaliche, necessarie a spiegare quando, dove e come andassero eseguiti; ma, prima ancora, sono introdotti da una precisa descrizione del rito, che evi-denzia le modalità performative, le ragioni teologiche e la simbologia pedago-gica ad esso sottesa.

La “doppia” descrizione della performance – nelle rubriche e nelle annota-zioni raccolte sotto il titolo de observandis in Septimana Sancta, a c. 103v14 – ci

sepe esset legenda in disciplina et ecclesiis». La rubrica parla di un testo “da leggere”, non “da cantare”: la notazione che spiega, forse, anche il mutamento del metro; cfr. supra, nota 11 e le osservazioni in R. taGLiani - c. Bino, Testi confraternali e “memoria” della Passione a Brescia, p. 83 e n. 26.14 La descrizione (edita ivi, p. 90, n. 74) è rimasta a lungo ignota a causa della difficile de-cifrazione dovuta ad un’ampia macchia d’inchiostro, sincrona, forse dovuta alla caduta del calamaio che, dilavata, rende illeggibile la scriptio inferior. La mano che copia la versione lunga della Passio ha, ab antiquo, trascritto nel margine sinistro le parti coperte dalla mac-chia, emendando alcuni passaggi del rito.

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permette da un lato di ricostruire la precisa scansione dei momenti paraliturgi-ci, e dall’altro ci impone di considerare i tre testi come elementi costitutivi di un rito unitario.

Secondo le ricordate indicazioni, la sera del Giovedì Santo i confratelli ce-lebravano dapprima il rito del mandatum, vale a dire la lavanda dei piedi (Gv 13, 1-20), cui seguiva la consueta commessationem, ossia la cena rituale15, con-clusa dall’ascolto di un sermone sull’umiltà e sull’amore della vita di Cristo. Tutto ciò doveva aver luogo prima del mattutino, in modo da consentire ai di-sciplini di trattenersi in preghiera sino ad laudem, per poi tornare alla sede della disciplina, indossare la cappa e recarsi in chiesa portando il crocifisso velato e accompagnato da ceri ardenti. In chiesa, il ministro leggeva ad alta voce le preghiere della confraternita per il tempo di Quaresima16, al termine delle quali aveva inizio il punto centrale della “memoria” della passione: il canto17 della Passio e del Planctus, seguito dalla lettura della Sententia, un unico racconto comunitario del mistero della salvezza, scandito in tre tempi forti, agito in luoghi precisi e con specifiche dinamiche, che comprendevano, tra l’altro, la flagellazione rituale.

Gli observanda ci dimostrano che non è possibile scindere, come invece fece Bonelli, il testo della Passio dagli altri due; i tre appartengono alla medesima cerimonia memoriale18, ampio disegno “ri-presentativo” della vicenda evange-

15 I banchetti rituali detti commessationes erano assai diffusi nelle scuole di disciplina tra XIV e XV secolo; furono vietati dal Concilio di Trento, nel timore che lo spirito di solida-rietà e di appartenenza alle societates si traducesse in convivialità dalle forti simbologie eu-caristiche quasi eterodosse (cfr. De invocatione, veneratione, et reliquiae sanctorum et sacris imaginibus, sessio XXV, 3-4 decembris 1563: «et sanctorum celebratione ac reliquiarum visitatione homines ad commessationes atque ebrietates non abutantur, quasi festi dies in honorem sanctorum per luxum ac lasciviam agantur»). Ciononostante, le commessationes continuarono a essere praticate, come emerge dagli ammonimenti di san Carlo Borromeo, visitatore apostolico alla diocesi di Brescia nel 1580, che insiste in molte parrocchie accioc-ché i disciplini «ne commessationes in die iovis sancti aliis neque diebus faciant»; cfr. le numerose registrazioni dell’indicazione negli atti della visita: Visita apostolica e Decreti di Carlo Borromeo alla diocesi di Brescia, a cura di A. tuRchini - G. aRchEtti - G. donni - E. mazzEtti, 6 voll., Brescia, Associazione per la storia della chiesa bresciana, 2003-2007 («Brixia sacra», 8/1-2 (2003); 9/1-2 (2004); 10/1-2 (2005); 11/3 (2006); 12/3-4 (2007)).16 Si tratta, con ogni probabilità, delle preghiere in volgare riportate alle cc. 101r-v del co-dice, edite da Bonelli in G. BonELLi - G. contini, Antichi testi bresciani, pp. 119-121.17 Considerata la centralità dell’evento, l’esecuzione del canto era affidata a cantori profes-sionisti e stipendiati – come ci dicono alcune note di spesa: cfr. P. tomaSoni, Un’antica “Passio” bresciana, «Commentari dell’Ateneo di Brescia», 188 (1989), pp. 369-375: 372.18 Lo ha dimostrato l’analisi drammaturgica di Carla Bino, alla quale le pagine seguenti sono ampiamente debitrici; cfr. R. taGLiani - c. Bino, Testi confraternali e “memoria” della Passione a Brescia, pp. 107-112.

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lica dalla struttura complessa e precisa, incentrata sulla memoria passionis e sulla commemoratio compassionis, che sono gli elementi costitutivi del cosiddet-to «teatro della misericordia»19.

La narrazione evangelica dei testi

Nella tripartizione dell’ufficio, notiamo che la Passio (in entrambe le versioni, la seconda delle quali, ad un certo punto, avrà sostituito nell’uso la versio bre-vis) e il Planctus manifestano un’unità più stretta, essendo accomunati dallo stesso metro e dalla medesima prassi esecutiva. L’articolazione del racconto nei due testi segue sostanzialmente il vangelo di Marco (con inserzioni da Giovan-ni e dai sinottici), mentre quello della Sententia è modellato sul capitolo 25 del vangelo di Matteo.

La narrazione della Passio prende avvio con il distico che funge da ripresa, che concentra l’attenzione sul tradimento – non solo, si badi, quello di Giuda, ma dell’intera umanità immersa nel peccato: «Cum fo tradith el nos Segnor / e’ vel dirò cum grant dolor» (vv. 1-2). Ad esso segue, nella prima versione, il rac-conto della passione per episodi salienti: la condanna a morte di Gesù segreta-mente decisa dai membri del Sinedrio (vv. 3-6), l’ispirazione diabolica di Giuda e l’offerta dei trenta denari (vv. 6-18), la preparazione e la celebrazione dell’Ul-tima cena, col preannuncio del tradimento (vv. 19-46), l’istituzione dell’Eucari-stia (vv. 47-58), l’uscita al monte degli Ulivi e il preannuncio del rinnegamento di Pietro (vv. 59-74), la preghiera e le ammonizioni ai discepoli (vv. 75-86), il bacio di Giuda e l’arresto di Gesù (vv. 87-102), la flagellazione e la coronazione di spine, erroneamente attribuite alla responsabilità dei soldati del sommo sa-cerdote20 (vv. 103-110), la presentazione davanti a Pilato e il Crucifige (vv. 111-134), la costruzione della croce21 e la via Crucis (vv. 135-138), il discorso alle

19 Sul “teatro della misericordia” si veda C. Bino, Dal trionfo al pianto. La fondazione del “teatro della misericordia” nel Medioevo (V-XIII secc.), Milano, Vita e Pensiero, 2008, spec. le pp. 124-145; per la sua continuità in area bresciana, si veda C. Bino - R. taGLiani, “Con le braccia in croce”. La Regola e l’Officio della Quaresima dei disciplini di Breno, Milano, Ledizioni, 20122, spec. le pp. 21-27 e 47-89.20 La flagellazione e l’incoronazione di spine da parte dei soldati del governatore romano, narrata da Mt 27, 29, Mc 15, 17 e Gv 19, 2 non è presente in Luca, che invece ricorda le percosse e gli scherni ricevuti da Gesù dai soldati del sommo sacerdote: «Et viri, qui tene-bant illum, illudebant ei caedentes; et velaverunt eum et interrogabant eum dicentes: “Pro-phetiza: Quis est, qui te percussit?”», cfr. Lc 22, 63-64. La lauda, quindi, fonde il racconto di Luca con la tradizione degli altri vangeli, anticipando la flagellazione.21 Si noti che, dopo che Pilato si è lavato le mani, la responsabilità della condanna e della crocifissione sono posti in capo esclusivamente ai Giudei (vv. 127-138).

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donne (vv. 139-146), la crocifissione e gli scherni dei Giudei ai piedi della cro-ce (vv. 147-154), il saluto alla madre e il mandato a Giovanni (vv. 155-162), l’invocazione al Padre e la morte (vv. 163-174), il colpo al costato di Longino22 (vv. 175-178), gli sconvolgimenti atmosferici conseguenti alla morte e la resur-rezione dei defunti (vv. 179-182); la professione di fede del centurione (vv. 183-186) e le invocazioni salvifiche conclusive (vv. 187-194).

I cambiamenti introdotti dalla seconda versione sono piuttosto rilevanti: vanno dalla sostituzione di alcuni versi dedicati alla preparazione dell’Ultima cena (che muta il luogo del Cenacolo, vv. 23a-30a) e di quelli dedicati all’istitu-zione dell’Eucaristia (vv. 51a-56a), all’integrazione del racconto della Coena Domini con la narrazione della lavanda dei piedi (vv. 59a-82a, inseriti prima del v. 59) fino alla completa riscrittura della narrazione a partire dal v. 103, che mostra un racconto più aderente al dettato evangelico: l’interrogatorio di Anna e Caifa (vv. 103a-118a), la condanna a morte sentenziata dal Sinedrio, tra gli sputi e gli scherni dei farisei (vv. 119a-130a), il rinnegamento di Pietro, il canto del gallo e il pentimento dell’apostolo (vv. 131a-146a), gli scherni e le bastona-te in casa del sommo sacerdote (vv. 147a-150a), l’interrogatorio davanti a Pila-to e ad Erode (vv. 151a-174a), il processo nel Pretorio e l’ecce homo (vv. 175a-190a), la condanna di Gesù e la richiesta della liberazione di Barabba (vv. 191a-213a), la seconda flagellazione23 (vv. 214a-218a), la preparazione della croce e l’ascesa al Golgota con l’aiuto del Cireneo (vv. 219a-232a), la crocifis-sione e lo scherno dei Giudei (vv. 232a-239a), il dialogo con i due ladroni (vv. 240a-248a), il saluto alla madre e il conforto dei discepoli (vv. 248a-254a), l’in-vocazione al Padre, il Sitio e la morte in croce (vv. 255a-266a), gli sconvolgi-menti atmosferici e la resurrezione dei defunti (vv. 267a-270a); la professione

22 Rilevante l’appellativo hebré “ebreo” (v. 175) assegnato a questo soldato romano chiama-to, per tutto il Medioevo, Longino (nome generato dal fraintendimento di λόγχη, “lan-cia”), che condivide la cieca crudeltà dei Giudei e non capisce ciò che accade sotto i suoi occhi, in contrapposizione al centurione che, invece, comprende la divinità di Cristo, pur essendo romano e pagano. Longino è chiamato allo stesso modo anche nella lauda berga-masca Ki vol odì de nostro Segnor, (al v. 167 dell’edizione di P. TomaSoni, Ritornando a un’antica «Passione» bergamasca, «Studi di filologia italiana», 42 (1984), pp. 59-107), la cui narrazione confluisce nel finale di Ceschaduno si pianga cum dolore contenuta nell’Officio della Quaresima dei disciplini di Breno, cfr. R. taGLiani - c. Bino, “Con le braccia in croce”, pp. 80, 111-113 e 177-182.23 Rispetto alla versione breve – che, come ricordato a nota 20, cita soltanto la flagellazione operata dai soldati del sommo sacerdote, che incoronano il Cristo «de spini grossi», v. 109 – la seconda versione inserisce correttamente la flagellazione in questo punto (anche se non accenna all’incoronazione di spine), la attribuisce ai romani, che agiscono però «per com-plasé a quei Zuthé», v. 216a; il testo conserva quindi, anche qui, una forte componente antigiudaica, propria della cultura medievale.

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di fede del centurione (vv. 271a-274a), la richiesta del corpo a Pilato da parte di Giuseppe d’Arimatea e i timori dei Farisei (vv. 275a-288a), il colpo al costa-to di Longino24 (vv. 289a-294a), la deposizione dalla croce e la sepoltura, nella speranza della resurrezione (vv. 295a-306a); anche in questo caso, concludono il testo le invocazioni confraternali di perdono e di speranza nella salvezza ul-traterrena (vv. 307a-314a).

Come appare evidente dalle sinossi, la prima versione è più sintetica e de-dicata agli snodi salienti del racconto, anche a prezzo di qualche forzatura nella scansione dei fatti raccontati nei vangeli; la seconda, invece, arricchisce la narrazione, ampliandola e riordinandola con maggior fedeltà al racconto evangelico, prendendo come base quello giovanneo. In entrambi i casi, la narrazione ha un forte connotato popolare e risponde alle finalità pubbliche di natura paraliturgica, rifiutando ogni velleità letteraria, a partire dalla scelta linguistica e retorica25.

Pur nell’estrema aderenza – specie nella seconda redazione – al modello, la passio non contiene l’episodio delle lacrime della madre e delle donne iuxta crucem; prima della riscoperta del Planctus, l’assenza era stata segnalata e giu-dicata una mancanza inconsueta nel panorama dei testi di genesi disciplinata26. In realtà, nella concezione originaria dell’ufficio (versio brevis della Passio, se-guita dal planctus), la scena viene estrapolata dalla narrazione della lauda di passione per diventare oggetto meditativo di un altro testo, specificamente destinato alla contemplazione del dolore: una “scena delle lacrime” che, subito dopo al racconto della morte, doveva ispirare la meditazione memorativa e la cumpassio crucis.

Si osservi il dettato della ripresa del Planctus, che chiama all’ascolto e al raccoglimento: «Chi vol othì grant pietath / Ascolt la Virgen ch’à parlath». Alla morte di Cristo non può che seguire, in un progetto di rappresentazione e “ri-presentazione” emotiva, il planctus dell’Addolorata, che è a tutti gli effetti un compianto funebre a più voci, che alternano tratti lirico-contemplativi ad altri più schiettamente narrativi, facendo mutare il punto di vista e la voce nar-rante: dapprima quello, partecipato e dolente, dei personaggi, poi quello, più referenziale, di un narratore onnisciente, che rievoca gli eventi in forma piana.

24 In questo caso privato della connotazione di “ebreo”: cfr. supra, nota 22.25 Lo ricorda P. tomaSoni, Un’antica “Passio”, pp. 373-374; vale, la pena di segnalare, però, che la passio non è soltanto un generico prodotto della cultura popolare, ascrivibile «ad una tradizione per lo più orale, che manipola e modifica [la fonte evangelica], più rielaborativa che non riproduttiva» (ibidem), ma un vero e proprio testo rituale con funzione memorati-va, con implicazioni più strutturate di quanto non sembri.26 Cfr. ivi, p. 374.

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La lauda si apre nella situazione topica dello Stabat Mater: ai piedi della croce, Maria parla in prima persona ed evoca il proprio dolore, contrapponendo – in una modalità topica – le gioie del passato all’attuale dolore: rievoca la nascita di Gesù (vv. 3-18) e l’annunciazione (vv. 19-38), che sono il contraltare positivo e memoria-le, nel dialogo fittizio con le sorores, alla drammatica attualità del corpo inchiodato al legno della croce. Le lacrime di Maria sono dapprima condivise – cum-patite – e poi consolate dalla Maddalena (vv. 39-42) e da Giovanni (vv. 43-62), che argomen-ta la propria consolatio incardinando il dolore entro il progetto teologico di salvez-za del Cristo, che si compirà con la Risurrezione. Qui le voci dei personaggi si tacciono e interviene una voce narrante esterna, che descrive l’excessus doloris di Maria, che sviene, come morta (vv. 63-66); seguono il racconto della deposizione del corpo dalla croce (vv. 67-70) e la scena della “pietà”, ove Maria piange e bacia il corpo del Cristo morto, tenendolo in grembo (vv. 71-78), lasciandosi andare ad un’ultima esplosione verbalizzata del proprio dolore, che le fa invocare la propria sepoltura «sech insema» al figlio (vv. 79-80)27. Il narratore riprende la parola, e descrive la sepoltura (vv. 81-84) e il ritorno dolente dei personaggi a Gerusalemme (vv. 84-88); conclude il testo l’esortazione corale alla preghiera per la Vergine do-lente, la cui intercessione assicurerà la salvezza dopo la morte (vv. 89-94).

Il nucleo passio brevis-planctus si chiude, dunque, con la sepoltura del Cri-sto morto; ma la memoria della Passione non può essere completa senza l’evo-cazione del tratto distintivo dei movimenti confraternali, che è l’azione carita-tiva. Non basta commemorare la passione: occorre agirla, far scaturire da questa memoria le opere di carità utili a guadagnare il perdono dei peccati e, con esso, la vita eterna nel Paradiso.

Ecco perché l’ufficio prevede un terzo momento, dedicato alla lettura di un testo che rievoca il giudizio universale: terminata la memoria paraliturgica del-la passione, la terza sezione dell’ufficio si dedica a richiamare alla mente dei confratelli il motivo per il quale si trovano, hic et nunc, a “fare memoria”, insie-me: essi appartengono alla “famiglia” cristiana che ha una funzione da compie-re: l’esercizio della charitas, che è il tratto distintivo del messaggio cristiano promanante dal Cristo crocifisso.

La Sententia finalis iudicii rievoca fedelmente28 l’episodio di Mt 25, che è lo

27 Carla Bino ha osservato che questo passo mette in scena il “teatro della misericordia” fon-dato sulle lacrime, ove «si uniscono compassione e penitenza, cura gratuita degli altri e conver-sione del cuore»; la contemplazione della madre che piange tenendo in grembo il corpo mar-toriato del figlio morto sarà l’immagine di «maggior successo iconografico nel periodo tardo-medievale, identificando l’ora della compassione con l’ora della madre e ricordandola al ve-spro»; cfr. R. taGLiani - c. Bino, Testi confraternali e “memoria” della Passione a Brescia, p. 111.28 La stringente aderenza al testo evangelico è testimoniata dalla presenza del ricordato sommario latino, che scandisce ogni passaggio della narrazione di Matteo.

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sfondo su cui si muove il destino finale dell’uomo secondo la teologia cristiana. Dopo un’ampia introduzione, che chiama all’ascolto e alla sequela (vv. 1-12) la lauda ricorda l’adunanza delle anime nella valle di Giosafat, dove – secondo la Scrittura – avverrà la παρουσία del Cristo, accompagnato da Maria, dagli apo-stoli e dai santi, pronti ad accogliere i beati (vv. 13-26), e dove Lucifero con i suoi demoni, armati di uncini («garafió de fer», v. 28) attenderà di avere in propria balìa i dannati (vv. 27-30). Qui, il Cristo porrà i salvati alla sua destra, e li premie-rà per aver agito la carità nei riguardi dei fratelli, ammettendoli nel paradiso per essi preparato (vv. 31-64). Rivolgendosi, invece, ai dannati, raccolti alla sua sini-stra, imputerà loro la mancanza di carità, scacciandoli dalla sua vista e destinan-doli alle fiamme dell’inferno (vv. 65-108). Emanata la sentenza, il testo indulge nella descrizione dei demoni che s’impossessano dei dannati, condotti anima e corpo nell’inferno (vv. 109-120); i beati, invece, sono accompagnati da Cristo alla gloria eterna (vv. 121-126). La lauda si chiude impetrando l’intercessione della Beata Vergine, affinché Dio conceda loro la vita eterna (vv. 127-134).

L’obiettivo scoperto del testo è dunque il richiamo all’esercizio concreto della carità, metro con il quale verrà misurata la vita di ogni cristiano al termine dell’esistenza. In questo si concretizza l’intero rito della memoria passionis e della commemoratio compassionis: nell’esortazione alla carità, che è il prologo al canto pasquale che attende la Risurrezione di Cristo come nuovo nutrimento all’azione dei confratelli.

La lingua dei testi

Lo stretto legame che unisce, dal punto di vista contenutistico, i testi di recente scoperta alla già nota Passio Christi, si ripresenta anche sotto il profilo linguistico.

Com’è noto, l’area bresciana è assai povera di testimonianze linguistiche antiche. L’ultimo quadro riassuntivo attorno ai testi utili allo studio delle lingue della Lombardia medievale, che dobbiamo ad Angelo Stella29, vede l’area bre-sciana come “fanalino di coda” per numero e qualità di testimonianze, tanto che è possibile parlare di «indizi» piuttosto che di fonti dell’antica scripta citta-dina, a segnalare l’esiguità dei testi su cui fondarne l’analisi30.

Tali indizi sono essenzialmente rappresentati dal pionieristico – e già ricor-dato – commento linguistico alla Passio di Contini, al quale si aggiungono lo

29 A. StELLa, Lombardia, in Storia della lingua italiana, III: Le altre lingue, a cura di L. SE-Rianni - P. tRifonE, Torino, Einaudi, 1994, pp. 153-212.30 Il paragrafo dedicato da Stella al bresciano è intitolato, emblematicamente, Indizi per un canone del bresciano trecentesco: cfr. ivi, pp. 170-174.

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studio di un frammento del De scriptura rubra di Bonvesin da la Riva fortuita-mente venuto alla luce a Bovegno (Brescia), pubblicato per la prima volta da Luisa Bezzi Martini31 e riconosciuto nella sua paternità bonvesiniana da Piera Tomasoni32 – studiosa che più di ogni altro ha profuso il suo impegno scienti-fico nello studio dei testi bresciani antichi33 – e pochi altri testi34. Il ritrovamen-to, l’edizione e lo studio linguistico dei testi di cui ci siamo finora occupati ha potuto offrire numerosi riscontri alle ipotesi ricostruttive formulate da Conti-ni35 e via via precisate dagli studi successivi.

A conclusione del suo commento linguistico, Contini redasse un elenco di diciotto fenomeni linguistici identificativi della varietà bresciana, in opposizio-ne ad altrettanti elementi del bergamasco – la varietà confinante più prossima negli antichi volgari lombardi – che potevano considerarsi costitutivi della scripta bresciana trecentesca. Lo spoglio condotto sui nuovi testi ha consentito di verificare, accanto alla presenza dei più comuni tratti linguistici settentriona-li e lombardi, la presenza di pressoché tutta la serie di fenomeni individuati da Contini nella lingua delle preghiere e della Passio. In particolare trovano ri-scontro36:1. -ati > -eth (es. aparechieth, Sent. 14).2. -au > a: si attesta la forma lassa < *LauSa “lastra sepolcrale”, Pl. 4, segnalata

come unicum da Contini, che trova qui una ulteriore conferma.

31 L. BEzzi maRtini, Pregare in dialetto: una «Passio Christi» del XIV secolo a Bovegno, in Studi in onore di Ugo Vaglia, Brescia, Geroldi, 1989, pp. 127-146.32 P. tomaSoni, Un testimone sconosciuto della “Scrittura rossa” di Bonvesin, «Rivista italiana di dialettologia», 13 (1989), pp. 179-187.33 Della studiosa, oltre ai saggi già citati, si ricordino almeno: Un’antica “Passio” bresciana, con tre acqueforti di F. Ghitti, Val Camonica-Milano, Naquane - Scheiwiller, 1989; Note sul volgare di antichi testi bresciani, «Commentari dell’Ateneo di Brescia», 189 (1990), pp. 79-91; Il volgare a Brescia in un’antica relazione sulle acque, «Rivista italiana di dialettolo-gia», 27 (2003), pp. 7-32; Nota sulla lingua della “Massera da bé”, Folengo e dintorni, a cura di P. GiBELLini, Brescia, Grafo, 1981, pp. 95-118 e Nuovi appunti sulla “Massera da bé”, «Letteratura e dialetti», 3 (2010), pp. 83-96.34 Ai lavori ricordati alla nota precedente, si aggiunga N. BERtoLEtti, Una lettera volgare del Trecento dal carcere di Modena, «Studi linguistici italiani», 27 (2001), pp. 233-247.35 Per stessa ammissione del filologo ossolano, la documentazione pubblicata non è suffi-ciente a dirimere tutti i problemi posti dall’antica scripta bresciana; egli, anzi, auspicava «la scoperta di nuovi documenti» che avrebbe giovato «singolarmente a precisare ed arricchire le linee del quadro che si è abbozzato»; cfr. G. BonELLi - G. contini, Antichi testi bresciani, p. 151.36 L’elenco, che mantiene la numerazione dei fenomeni assegnata da Contini nel suo com-mento, presenta un solo esempio per ogni fenomeno linguistico; per una trattazione com-pleta, rinvio a R. taGLiani - c. Bino, Testi confraternali e “memoria” della Passione a Brescia, pp. 113-124.

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3. Plurali femminili in -i < -aE (es. li Marii, Pl. 87); il plurale in -i per il maschi-le è invece attestato per una breve serie di forme semidotte (es. sancti scrip-tori, Sent. 4).

4. Sviluppo di -e- irrazionale “di appoggio”, in seguito a caduta dell’atona fi-nale dopo nesso consonante + nasale (es. inferem, Sent. 49) o dopo nesso triconsonantico (venter, Pl. 35).

5. Indeclinabili dotti plurali in -io (es. tug i demonio, Sent. 27).6. Conservazione di pL, in sede iniziale (es. planzeth, Pl. 22) e interna (es. com-

plasè, Pl. 57).7. cL- (e -cL- protonico) > chi- (ć) con valore palatale [tʃ], in sede interna (es.

inchinè, Pl. 25) o intervocalica (es. aparechiath, Sent. 40).8. Caduta di -n dopo tonica (es. presó, Sent. 79), che non cade, invece, nei

nessi con la dentale occlusiva o affricata.9. Conservazione di n postonico + dentale occlusiva (sanguanent, Pl. 74) o

affricata (anz, Pl. 50).10. Palatalizzazione di -ni dopo e atona, con la grafia ng (es. ordeng, Sent. 19);

la stessa grafia è adottata per la nasale palatale etimologica (es. reng, Sent. 38) e per il nesso -ng postonico, con valore palatale (es. romang, Pl. 12).

11. Assimilazione di ct > t nelle forme scoperte per caduta dell’atona finale (es. frut, Pl. 30). Resistono alcune forme (es. doctrina, Pl. 91), da considerare latinismi grafici.

12. -ti > g, con valore palatale [tʃ] (es. comandameng “comandamenti” Sent. 42).13. -t-/-d- intervocalici > th; in sede interna abbiamo esempi da -d- primario

(benetheta, Pl. 33) e secondario (fathiga, Pl. 81); ampiamente attestata la serie dei participi femminili < -atam (es. desconsolatha, Pl. 14). Rare le atte-stazioni da -d- primario (es. vith “vide”, Pl. 3), numerose quelle da -d- se-condario (es. beath, Pl. 94); ampia la serie di participi maschili < -atum (es. aparechiath, Sent. 40). Per Contini la grafia ha valore fonetico di fricativa interdentale [θ], ma la questione è discussa37.

14. Preferenza dell’articolo determinativo maschile el (raro lo e mai ol, forma bergamasca).

15. Futuro perifrastico sul tipo haBEo cantaRE (es. à montà, Pl. 48) e condizio-nale organico analogico (subvegnisef, Sent. 103).

16. Ampia presenza del costrutto impersonale homo cantat per la I p.p. (es. om serà congregeth, Sent. 13).

37 G. BonELLi - G. contini, Antichi testi bresciani, p. 146; contesta la natura fonologica fricativa Benvenuto Terracini nella recensione al commento continiano (apparsa sull’«Ar-chivio glottologico italiano», 28 (1936), pp. 80-81; si veda, in merito, P. tomaSoni, Il volga-re a Brescia in un’antica relazione sulle acque, p. 28, n. 58).

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17. Desinenze di I p.p. dell’indicativo presente in -um, per generalizzazione della desinenza di SumuS (es. pregum, Pl. 89).

Risultano, quindi, presenti tutti i fenomeni propri del bresciano e distintivi rispetto al bergamasco (nn. 1, 2, 5, 17)38, che dimostrano la coerenza anche sotto il profilo linguistico dei tre testi volgari, che dovranno essere considerati non soltanto un trittico unitario di singolare fascino per la storia del teatro re-ligioso medievale, ma anche una fonte unitaria e coerente della storia linguisti-ca del Medioevo bresciano.

38 Mancano, invece, perfetti deboli di III p.s. -á < -avit, registrati al n. 18 dell’elenco di Contini.

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appEndicE

1. TESTI39

[Planctus Beatae Virginis]

Chi vol othì grant pietath2 Ascolt la Virgen ch’à parlath.

Quant ela vith el so fiol Morì in cros a xì grant dol Dis: «O dulcissem fiol me6 Cum grant legreza t’ acolgè!

Tut el munt fo in legreza: Mo’ sì sto in grant tristeza. Del me dulz lat e t’alatè10 E tut el munt illuminè

Per avé de ti legreza: Mo’ romang in grant tristeza. Tu me lassi tribulatha14 Inter tug desconsolatha.

A mi tu fos anunciath, E lo me corp sanctificath A darme zoya e confort:18 Trista sto de la tua mort.»

Po’ diseva ad alta vos, Stagant a pe de quela cros: «O tristi vo, mij seror:22 planzeth tuti el me dolor!

Tuti erum consolathi, Mo’ sì sum abandonathi! Al Gabriel e m’inchinè26 Digant: “Ancila son de De.”»

39 Si riproducono i soli testi critici delle due laude di recente scoperta, editi in R. taGLiani - c. Bino, Testi confraternali e “memoria” della Passione a Brescia, pp. 78-89.

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Po’ la Virgen tribulatha Contra l’agnol sì parlava: «O nobel agnol Gabriel,30 Tu ’m nuncias un frut xì bel:

“De te salf, gratia plena”; Mo’ sì ’m lassi in grant pena. Tu me dithes: “Benetheta,34 In li altri fos eleta”;

Tu ’m benethis el venter me Del frut dulcissem che portè Per che fos magnificatha;38 E tug m’à abandonatha».

Dis a le la Maldalena: «Tuti stum tech in grant pena E sì portum mult grant dolor42 De Yesù Christ, nos salvathor.»

Alora sì y dis Sanct Zohan: «Tech e sto doloros e gram: Ma dulza mather, prent confort46 Del to fiol, che mo’ è mort:

Che tost el à resuscità Et anch in cel ch’el à montà Segunt ch’a no tug lu predis50 Anz ch’in Ierusalem vegnis.

S’el to fiol non fusse mort, Ognom sì era a mal port: Ch’ey non potheva pur andà54 In paravis a requià.

Per lo peccath del primer hom Che vos mangià del vethath pom; Ad Eva vos anz complasé58 Che observà el dit de De;

Ma po’ che srà resusitath, Et in cel ch’el serà montath, Ay christià che l’amarà62 Quel so regnam ey donarà».

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Ma pur la Virgen Maria Al so cor à grant dolìa: Chaz in terra strangosatha66 E par morta deventatha.

Quant Christ fo tolet de la cros Day so discipoy gratios – Zò fo Iosep e Nichodé –70 Vos in moliment lu meté;

E quella Virgen xì trista Basava lu per la vista: In li so brazi lu tegnent74 Per be ch’el fos tut sanguanent,

E no ’l voleva pur lassà Indel moliment soterà, Semper planzant e lagremant78 Et a quey discipoy digant:

«O, cum lage el fiol me! O, sech insema vo ’m meté!» E lor cum granda fathiga82 Yesù Christ ey sepeliva

In quel moliment pur avert: E cum la lassa l’af covert; E po’ in la citath andava86 Cum la Virgen tribulatha,

Li Marii e Sanct Zohan, Ch’era fort doloros e gram. Or pregum quella regina90 Che ay peccathor s’inchina:

Che semper dia doctrina A quei ch’è de disciplina: Che lor viva in caritath94 Dunt ey vatha al loch beath.

Amen.

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[Sententia finalis iudicii]

Ognom intenda cum la mente pura Quel che voy dir secundo la Scritura,

Di evangelisti e di doctori4 E de molti altri sancti scriptori,

De la sententia diffinitiva Contra tug i pechathor conclusiva,

La quala Yesù Christ nos Segnor darà8 Quant a la fì del munt lu si vegnirà

Xì cum De veras in sua mayestath E che ognom sì serà resuscitath

Cum el proprio corp e cum l’anima12 I quay in quest munt viveva insema.

El loch o’ ’m serà alora congregeth Xì i bo cum i re tug aparechieth

È la val de Iosafat per scriptura16 La quala non mentis, inanz è pura

E per che ella sia pizenina Srà asé per la possanza divina.

Alora i ordeng de tug i sang spirig20 Vegnirà cum el nos Segnor Yesù Christ

E la sua mather Virgen Maria Cum tug i sang pather de prophetia

E cum tug I sang apostoy glorios24 E cum tug I olter sang de De pietos

Per devé aprovà la sententia Che Christ darà cum magnificentia.

E tug i demonio cum Lucifer28 Aparechieth cum garafió de fer

Starà insema cum tug i peccathor Per pothey tost dà pena cum grand dolor

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Da la man sinistra de Christ colocheth;32 E da la man dextra starà i iusg beeth.

Or vo tug noté be e sì intendé Questa sententia del nos Segnor De;

A tug i bo che y srà da la man drita36 Sì parlarà cum mult alegra vista:

«O vo amis me, anz frathey carissem! Vegnith al reng del me Pather dulcissem,

El qual lu semper per la sua bontath40 Ha eternalment a vo aparechiath

Per che vo sé steth a lu obedieng In observà tug i so comandameng

E li ovri de misericordia.44 Quant vo ’m vethessef in la miseria

Vo ’m desef da mangnà et anch da bever Quant e aveva fam e seth, mi pover;

Vo ’m liberasef quant e fo presoner48 E semper fossef a mi bo conseier;

Vo ’m visitassef quant e fo inferem Vestisef mi nuth, special d’inveren,

E sì m’albergassef mult benignament52 Quant vo ’m vethesef andà ramengament:

E in tuti li mij necessitath M’avé subvegnith cum granda caritath.»

Alora un de questor cum grant dulzor56 Respondrà per tug i olter al Salvathor:

«O Segnor nos Yesù Christ cum pò’ tu dì Che quesg servisio ma’ fessum a Ti?»

Alora Yesù Christ ey responderà60 E mult plasevolment sì ge parlarà:

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«Zò che vo fesef ad un di minim me Quant ey ve domandà per amor de De:

Tut ho acceptath per fé de veritath64 Che a mi sia fat in bona caritath.»

Po’ se volzerà in la part sinistra Monstrando a lor la turbatha vista;

E y fals christià mult fort ha reprender68 Ch’ay so comandameng non vos atender:

«O vo malvasio e fals christià, Tost a l’inferen fié meneth a stà!

Cum i demonio e cum l’oltra zent72 Ch’in De Pather non credé, onipotent

Né in mi, so fiol e de Maria, La quala semper fo pura virgina.

Vo non fessef ma’ ovri de pietath76 Ma sì fessef quelli de malvasitath;

Quant vo em vethesef avé seth e fam, Esser nuth e inferem e molto gram,

In presó metuth contra ogna rasó,80 Cerchar alberch per tuti vostri masó,

Semper j ug de la ment tegnisef sereth No serviant a mi xì cum despereth.»

E un de lor alora a Christ dirà84 E parlant per grant paura tremarà:

«O Segnor De, tu pò dì quel che tu vo’, E contra rasó lamentarte de no:

Ma la veritath è che no ’t vethessem88 Gnanch in quest munt ma’, e no ’t cognovessem

Ché verament, se om te avès vezuth E in questi necessitath cognovuth

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85ANTICHI TESTI BRESCIANI: NUOVI AFFIORAMENTI

A ti avressem subvegnuth vontera92 De quel che a ti necessitath era:

Dunt no christià et pregom carament Che ti non ’g damni cum questa oltra zent

A devé stà semper coy demonio96 Indel inferen senza remedio,

Ma che ti ’n ’g dagi l’eternal gloria, E di nos pecheth non sii memoria.»

E Yesù Christ alora responderà100 E ay malvasio christià dirà:

«Quant in mia nom ef fithe domandath Per alchù pover fesef caritath,

O che in olter cas voy subvegnisef104 Per lor, a mi alora fat l’avresef;

E per che vo fossef senza caritath Cathù de vo tost fia astrasinath

Day demonio cum questa oltra zent108 Indel inferen, o’ è el foc arzent».

E cum srà datha questa sententia Da Christ in sua magnificentia

I demonio cum granda furia112 Tug i pechathor dré es strascinerà

No solament l’anima, ma sech el corp Indel inferen o’ è l’eternal mort.

Po’ tug i demonio e i peccathor116 Per comandament de Christ nos Salvathor

Indel inferen, xì obscura presó, Sirà sereth day agnoy cum gran rasó;

Indel qual loch lor, senza remissió,120 Sustegnirà semper granda passió.

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E Yesù Christ, pos questa punitió, Ay so amis darà tost salvation

Menantge sech insema glorificheth124 Cum la sua mather e y spirig beeth

In cel o’ è la eterna gloria Che dé esser in nossa memoria.

Or pregum De che per la sua bontath128 Lu daga a no perfeta caritath

Cum li virtuth de fé e de speranza, Xì che senza alchuna dubitanza

No a quel temp del final iudicio132 Recevem la eterna salvatió,

Pregant semper per no’ sancta Maria Cum tug i sang de l’eterna gloria.

Amen.

134A O Yesù Christo Deo veras Fa misericordia e pas A tuta la christianitath.

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