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©Dott. Silvano Danesi – Antichi dèi per il futuro – Prima parte Antichi dèi per il futuro “Il loro regno non ha mai cessato di esistere: ha solo perso un po’ del suo potere; i Sidhe passano ancora in ogni vento, giocando e danzando, ma non potranno riedificare i loro templi finchè non ci saranno stati martiri e vittorie, e, forse, anche quella battaglia da tempo predetta da maghi e veggenti nella valle del verro nero”. W.B.Yates, Rosa alchemica, Adea Edizioni © Silvano Danesi www.silvanodanesi.org 1
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Feb 16, 2019

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©Dott. Silvano Danesi – Antichi dèi per il futuro – Prima parte

Antichi dèi per il futuro

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“Il loro regno non ha mai cessato di esistere: ha solo perso un po’ del suo potere; i Sidhe passano ancora in ogni vento, giocando e danzando, ma non potranno riedificare i loro templi finchè non ci saranno stati martiri e vittorie, e, forse, anche quella battaglia da tempo predetta da maghi e veggenti nella valle del verro nero”. W.B.Yates, Rosa alchemica, Adea Edizioni

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Introduzione

“Le idee non sono concetti, ma Archetipi: posseggono un’esistenza così piena, ricca e corposa, che varcano di un balzo i limiti dell’astrazione, penetrano di un balzo nello spazio e nel tempo e noi le vediamo luminose cogli occhi, come uno scrittore vede cogli occhi le visioni della sua arte. Il vero pensiero non è altro che questo: la corposa visione dell’invisibilità”. i

Piero Citati Parlare degli antichi dèi guardando al futuro potrebbe apparire, a prima vista, insensato, ma se volgiamo l’attenzione a quanto ci suggerisce Marie Louise Von Franz, collaboratrice di Jung, quando afferma che la dominante della coscienza collettiva coincide molto sovente con l’immagine di Dioii, noi ci rendiamo subito conto che non stiamo conducendo, e non vogliamo condurre, uno studio relativo alla storia delle religioni, ma che tentiamo di comprendere come quegli dèi-archetipi ci possano oggi essere utili, così come lo sono stati ai nostri avi, per costruire un percorso di individuazione del nostro sé, ovvero per incontrare quel nostro nucleo interiore di natura divina (nei Brahamana viene chiamato Ātman) che rappresenta la voce centrale del nostro inconscio e che ci può connettere con il SE’, ovvero con il nucleo centrale dell’inconscio collettivo, che rappresenta la psiche-mente di un Dio che rimane nascosto. L’uomo naturale, suggerisce ancora Marie Louise Von Franz, è religioso. “Bisogna pertanto ritornare all’uomo naturale, all’uomo immediato che è dentro di noi e recuperare contemporaneamente l’atteggiamento religioso: l’una cosa non va senza l’altra”. iii Qui facciamo immediatamente i conti con uno dei cardini della riflessione che andiamo conducendo: il significato di religione, che non è da intendersi come re-ligare, sottintendendo che c’è una frattura da sanare (peccato originale, caduta, ecc.), ma come legere, ossia cogliere, raccogliere. Gli etimologi moderni ritengono si possa far derivare da re-ligere, che in questo caso significherebbe “considerare attentamente”.iv Legere, suggerisce sempre Marie Luoise Von Franz, è “il cogliere o il raccogliere, una alla volta, le lettere dell’alfabeto: è così che si impara a leggere da bambini, una lettera dopo l’altra”. v Ovviamente, se cogliamo una lettera alla volta e non andiamo oltre, non possiamo raccogliere il senso della regola sottostante all’ordinarsi delle lettere, una accanto all’altra, per formare parole, frasi, ecc.

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In molti sistemi politeisti esiste l’idea che tutti gli dèi siano gli aspetti di un unico dio, cosicchè la moltitudine delle costellazioni archetipiche è unificata nel Sé e questo è un aspetto assai importante in quanto, quando nella psiche di un individuo domina un singolo archetipo (dio padre, dea madre, dio delle luce, dio della guerra,

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dea dell’amore, ecc.), quell’individuo è parzialmente sbilanciato e vive nel sonno illusorio di Maya. Soltanto, dunque, quando il processo viene sorretto dall’archetipo del Sé diventa unitario e ogni cosa trova il suo posto, ma noi non possiamo, non dobbiamo, pena l’incomprensione, lo smarrimento, scordarci che l’alfabeto degli dèi è composto di lettere-archetipo e che gli dèi, ossia le lettere archetipo, vanno colti uno alla volta, per poi comporli in parole, frasi, periodi, in un gioco delle perle di vetro (Hesse) che ci conduce sulla via della Conoscenza e della Saggezza. Quello dei Celti, come quello degli Egizi, è un “politeismo” che ha consapevolezza dell’Uno-Tutto (Oiw – Amon); è una religione che è sinfonia di archetipi sorretta dalla consapevolezza del Sé. Il monoteismo (approfondiremo in seguito questo argomento) elevando al rango del Sé un solo archetipo (Aton, Jahveh, Allah, la figura maschile del padre, ecc.) e considerando gli altri “falsi”, ha determinato e determina un tragico sbilanciamento, solo in parte ridotto dall’introduzione, come nel cristianesimo, di una figura femminile, cresciuta d’importanza nel tempo, e di una moltitudine di santi. Ora dobbiamo fare un’altra considerazione, a mio parere essenziale. Noi comunichiamo con il nucleo centrale dell’inconscio collettivo, dell’oceano primordiale, del campo di energia, che potremmo definire la Matrice divina, con il linguaggio delle emozioni.vi Le emozioni sono l’alfabeto di un linguaggio emozionale che risuona con il campo quantistico, con il grande oceano vivo del nulla, con quell’infinito oceano di schiuma quantistico dove il Campo del punto Zero è il ni-ente, ossia l’Essere che, ritraendosi, consente all’Ente di esistere. Qui la religione, intesa come considerazione attenta e capacità di cogliere, di raccogliere, si incontra con la fisica. Hendrik Casimir ha dimostrato, nel 1948, l’esistenza di un Campo Zero e ne ha parlato come di un “dominio iperdimensionale”, in cui la densità d’energia è pari ad un numero stratosferico: 10108 J/cm3. E’ il grande oceano vivo del nulla. Gli archetipi sono forme/contenitori di emozioni; sono l’alfabeto di un linguaggio emozionale che ci rende comprensibile la via che ci conduce oltre la Matrice illusoria (Maya), creata dalle credenze, dalla coscienza collettiva. Conoscere, cogliere e raccogliere, abitare gli archetipi ed essere da essi abitati, abitare gli antichi dèi ed essere abitati dagli antichi dèi, usare il loro alfabeto significa assumere consapevolezza delle nostre emozioni e non soggiacere ad esse; significa rapportarci consapevolmente con gli dèi archetipi e non subirli; significa conoscere l’alfabeto, il codice della Matrice illusoria delle credenze e tornare, progressivamente, all’unione con l’oceano di consapevolezza che è oltre, che è la mente universale dove tutto è informazione e in-formazione.

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Frequentare gli antichi dèi non significa tornare bambini; significa coltivare il bambino interiore che ognuno di noi ha nel proprio nucleo essenziale e riprogrammarlo (processo alchemico di purificazione) con la consapevolezza che ogni lettera dell’alfabeto degli dèi, che ogni lettera dell’alfabeto delle emozioni è

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parziale, appartiene all’Esistente, al fenomenico, all’illusorio e che, tuttavia, è un gradino importante, per chi vive nel qui e ora, per comprendere se stesso e il mondo e per andare oltre. Conoscere il linguaggio degli dei-archetipi significa avvicinarsi alla Regola che ne presiede il dispiegarsi; significa comprendere che dietro all’apparenza dell’esistere vi è un ordine implicato (David Bohm), una legalità diffusa, che va oltre l’apparenza. Ed è di questa legalità che, mi pare, siano custodi i Celti, se consideriamo i druidi non come stregoni, ma come depositari di un sapere che tende a guardare oltre il mondo delle apparenze, che tende all’Oiw. Prima di volgere lo sguardo al passato, dunque, guardiamo al futuro laddove la collaborazione tra la psicologia dell’inconscio e la fisica di frontiera ci consegnano un possibile percorso di ricerca, in quello stretto rapporto tra spirito e materia indagato in anni di collaborazione tra il fisico quantistico Wolfang Pauli e il sapiente (definirlo psicologo sarebbe riduttivo) Carl Gustav Jung, moderno druida, che nell’Irlanda celtica avrebbe a ragione potuto indossare l’abito dei “sette colori”vii , tanti quanti quelli dell’arcobaleno, ponte simbolico tra Cielo e Terra, che spettava agli Ollam, ovvero ai “dottori”, file di rango più elevato, dove oll è superlativo di potenteviii, nel senso di colui che ha la potenza di “Skiant”, la Conoscenza.ix E’ quello stretto rapporto tra spirito e materia per cui, come scrive Riccardo Taraglio, la materia per i Celti era spirito e lo spirito materia, essendo quest’ultima nulla di più che una condensazione dello spirito.x “E’ mia personale opinione – scrive a questo proposito Pauli – che nella scienza del futuro la realtà non sarà né “psichica”, né “fisica”, ma un po’ entrambe e un po’ nessuna delle due … Sarebbe altrettanto soddisfacente se la fisica e la psiche potessero essere viste come aspetti complementari della stessa realtà”.xi “Dovremmo ora procedere – aggiunge Pauli – per trovare un linguaggio neutro e unitario in cui ogni concetto da noi usato sia applicabile sia all’inconscio che alla materia, al fine di superare questa vecchia convinzione che la psiche inconscia e la materia siano due cose separate”.xii Questo linguaggio neutro è costituito da rappresentazioni simboliche astratte che sono gli archetipi, tra i quali, quelli del numero possono fornire una descrizione altamente unificata di tutti i fenomeni mentali, psichici, parapsichici e fisici.xiii Gli archetipi del numero corrispondono ad una concezione della natura e della matematica tradizionalmente chiamata platonica. “Per la concezione platonica, i matematici sono coloro che si sono addentrati, e si addentrano, in un mondo di entità astratte ma esistenti in modo autonomo, in attesa di essere scoperte…”. xiv

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Appartengono a questa tradizione scienziati antichi, come i druidi, Pitagora, i sapienti egizi, gli astronomi caldei e moderni, come Kurt Gödel e Roger Penrose, il quale, nel suo testo Ombre della mente, afferma: “La verità matematica non è determinata in modo arbitrario dalle regole di qualche sistema formale “fatto dall’uomo”, ma ha un carattere assoluto, collocandosi al di là di qualsiasi sistema di regole che sia possibile specificare”. xv

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In termini platonici ragionavano Keplero e Galileo e il matematico dell’Ibm Clifford A. Pickover, il quale nel suo “Il telaio divino” scrive: “Non so se Dio sia un matematico, ma la matematica è il telaio con cui Egli ha tessuto la stoffa dell’universo. … Il fatto che la realtà possa essere descritta e approssimata da semplici espressioni matematiche mi fa pensare che la matematica sia il nucleo della natura”.xvi Ed è a questo nucleo che guardavano gli antichi, nel cammino di conoscenza verso la Regola, che cercavano di riprodurre nei loro atti e nelle loro opere. Vediamo ora come questo cammino di conoscenza proceda attraverso molteplici vie, non sempre e non tutte razionali secondo i canoni della moderna scienza. Tratterò in un apposito capitolo il tema dei sogni. Vorrei qui solo ricordare il significativo filone della conoscenza come memoria, laddove Giordano Bruno ci è maestro.

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La sincronicità Un aspetto altrettanto importante della conoscenza è la sincronicità. A questo proposito ho usato come fosse un mandala, la croce celtica per tentare di schematizzare alcuni concetti, primo fra i quali quello della compresenza di spirito e materia e delle leggi di sincronicità e causalità, secondo lo schema quaternio di Jung-Pauli. IL QUATERNIO JUNG - PAULI

Causalità

C

Energia indistruttibile

Sincronicità

ontinuum spazio tempo

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Il cervello umano si comporta (Karl Pibram) come un ologramma, ovvero un sistema in grado di decodificare le frequenze provenienti dall’inconscio collettivo (Jung), un serbatoio di energia psichica al di fuori del tempo e dello spazio che possiamo assimilare all’Akasha, al punto zero del vuoto quantistico, all’ordine implicato (David Bhom-Krishnamurti), al campo di forma o psiche – mente di Dio (Oiw, Amon, Uno Tutto), che determina la danza sincronistica delle particelle nel mondo quantico; e l’inconscio collettivo è il mondo dal quale scaturiscono gli archetipi: una grande matrice universale, capace di unire sincronisticamente il mondo della psiche a quello della materia. La coscienza può entrare nell’inconscio collettivo tramite la connessione con il proprio sé (ātman), centro della psiche, e sperimentare un evento sincronistico (acausale) e poi ritornare tramite l’ego al continuum fisico spazio temporale, dove regna la causalità. A questo punto è necessario un breve accenno al concetto di sincronicità, relativo a quei fenomeni che spesso chiamiamo, riduttivamente, coincidenze, rimandando, per ogni approfondimento in materia, a testi specialistici. Il fenomeno della sincronicità, scrive in proposito Jung, è la “risultante di due fattori: 1) un’immagine inconscia si presenta direttamente (letteralmente) o indirettamente (simboleggiata o accennata) alla coscienza come sogno, idea improvvisa o presentimento; 2) un dato di fatto obbiettivo coincide con questo contenuto”.xvii Tra i due eventi vi è un nesso di “senso”, ma non vi è alcun nesso causale e, dunque, si è “costretti alla fine a supporre che esista nell’inconscio un ché di simile a una conoscenza a priori o, meglio, una “presenza” a priori svincolata da ogni base causale”.xviii Ora, per accedere a questa “conoscenza a priori” la via maestra è quella del processo di individuazione del proprio sé, principale porta che ci riconnette agli archetipi sui quali si fonda l’armonia del disegno universale. Gli dèi, portali dell’inconscio collettivo Gli dèi antichi, e qui veniamo al cuore della nostra riflessione, sono archetipi e, come tali, rappresentano una riserva di profonde e nascoste verità, che ci vengono comunicate attraverso il rapporto che noi stabiliamo con essi e con i miti che ad essi sono connessi. Gli dèi e i loro miti sono autentici portali per il nostro sé, in grado di connetterlo con l’inconscio collettivo, ovvero con la psiche – mente universale, con il SE’ Brahaman, Triplice Scienza della nascosta Unità-Totalità.xix Incontriamo così, ad esempio, l’archetipo del mago, ossia l’immagine arcaica di un antico dio come Odino (Mercurio-Thoth-Hermes-Lug), come “padre dell’anima”.

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Incontriamo il vedico Agni, dio del fuoco, messaggero tra Cielo e Terra (le offerte vengono bruciate sul fuoco) che rappresenta l’archetipo del sacerdote. Lo si chiama il sacrificatore o il “cappellano” degli dèi.

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Incontriamo nella Dea Madre, dalle molteplici forme e dai mille nomi, l’archetipo dell’eterno femminino, dell’anima nelle sue molteplici valenze. Nel vedico Indra o nel celtico Cuchulain troviamo l’archetipo dell’eroe e in Oengus quello della giovinezza. Qui ci fermiamo, essendo l’argomento assai vasto e meritevole di una trattazione specifica, ma non possiamo non accennare ad una singolare coincidenza che traiamo dal saggio di Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, laddove l’autore accenna a Karidwen, madre di tutti gli esseri. Ebbene, scrive Taraglio che Karidwen significa la “Porta di Dio” o “la porta verso Dio”. Nome assai appropriato per una dèa che è archetipo (portale) della manifestazione del dio ascoso in quanto generatrice. Gli dèi, dunque, come i miti, anche quando sono ridotti a personaggi di leggende o di fiabe, costituiscono un portale verso una realtà “fatta di mente e di materia che emerge solo quando il microuniverso dell’ego individuale si fonde come goccia nell’oceano della realtà e si lascia guidare dall’onda del campo quantico”.xx Torna alla mente quella bella frase di un poeta indù che dice all’incirca: “L’uomo è come la cresta di un’onda sull’infinito oceano dell’Essere”. Torna alla mente anche la celtica nona onda, confine tra il mondo della causalità (spazio tempo) e quello della sincronicità (senza spazio e senza tempo). L’Europa, patria degli “Occidentali” Viene ora da chiedersi quale sia la “dominante della coscienza collettiva” delle popolazioni celtiche e quali siano gli dèi archetipi ai quali essa attinge. Marco Massignan, nel suo “La religione dei Celti”xxi ci fa notare la molteplicità degli dèi e, di conseguenza, la compresenza e l’intreccio di numerosi archetipi e, tuttavia, evidenzia come “i soli due nomi di divinità ricorrenti ovunque, dalla Spagna alla Germania” siano quelli di Lug (divinità complessa, che assomma in sé molti aspetti delle divinità maschili) e della Dèa Madre. A questo proposito è interessante quanto scrive Oriano Spazzoli, ossia che “i Celti ritenevano che le divinità non si potessero rappresentare in alcun modo, essendo loro attribuita la capacità di trasformarsi”.xxii Prima di proseguire, dobbiamo necessariamente fare i conti con alcuni parametri storici relativi alle culture che, a mio parere, hanno maggiormente influito sulla formazione di quella celtica: l’origine, l’espansione, la cultura e le divinità degli Indoeuropei; i Baschi, la loro espansione, la loro cultura e la loro tradizione religiosa; la diffusa presenza del culto della Dèa Madre neolitica; le relazioni intense con il mondo greco e, più in generale, con le culture del bacino del Mediterraneo.

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E’ interessante notare, a questo proposito, che nell’area della civiltà preariana dell’Indo, ossia quella dravidica, è stata ritrovata “la figura di una divinità cornuta che sarebbe un prototipo di Siva, seduta nella posizione della meditazione che fu quella del Buddha storico, ma che gli è precedente di almeno due mila anni”. xxiii La Civiltà della Valle dell’Indo, ossia quella di Harappa, Mohenio Daro, Mergahr, Lothal, si presenta come la ramificazione di una più vasta civiltà mediterranea che prima del terzo millennio a.C. si estendeva dalla Spagna fino alla zona del Gange. In questo contesto la religione dravidica si basava sul culto della Dèa Madre e del Dio Siva, su quello degli alberi sacri, della vacca, del cobra e di simboli sessuali intesi come continuità del genere umano ed era significativo il rito della cremazione dei morti. Dobbiamo considerare che tutte le pratiche dello sivaismo sono sconosciute ai Veda ariani e che lo sivaismo ha avuto influenze nel periodo protostorico su tutto il mondo mediterraneo e mesopotamico. Consideriamo ora, brevemente, le influenze del mondo greco. Gli scambi tra Greci e Celti furono intensissimi. Nel 600 a.C. i Feaci fondarono il porto di Marsiglia, che costituiva una via privilegiata di collegamento con la Britannia attraverso la Francia. Nel 500 a.C. troviamo i Celti alleati dei Greci in tutte le guerre. Alessandro Magno, in procinto di intraprendere la conquista dell’Asia, nel 334 a.C., stabilì un patto con i Celti che abitavano il Golfo dello Jonio per salvaguardare i territori greci da attacchi durante la sua assenza (da Tolomeo Sotère, Storia delle guerre di Alessandro). Riguardo agli Indoeuropei, la cui origine maggiormente accreditata è la kurganica (Gimbutas), che ne vuole l’epicentro nella parte nord-orientale del Mar Nero, la loro espansione è avvenuta nell’Europa del Nord tra il 3.500 e il 2.500 a.C. e, nello stesso periodo, ha riguardato anche l’India.

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Il centro di diffusione degli

Indoeuropei e le successive fasi di espansione - Schemi tratti da Vikipedia

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Rinviando, per quanto riguarda le varie teorie in merito, agli studi specialistici, in questo ambito ci interessa evidenziare il fatto che, se da un lato, come ci ricorda Mircea Eliade, una “fonte importante di documentazione è costituita, per gli studiosi, dai frammenti delle diverse mitologie indoeuropee”xxiv, dall’altro questa comparazione, per le culture geograficamente più distanti dal mondo celtico, e in particolare mi riferisco a quelle indo iraniche, non può essere spinta oltre il II millennioxxv. Possiamo, dunque, oltre al nucleo originario della cultura indoeuropea, riferirci ai Rg Veda. Già il Brahmana (1000-800 a.C.) vede gli dèi vedici “radicalmente svalutati”.xxvi Dobbiamo, tuttavia, e lo faremo nel corso di questo lavoro, tener presente la possibilità che sia esistita una contaminazione tra le due culture per il tramite del mondo greco, che ha sicuramente avuto un’influenza significativa su quello celtico. “Oltre i confini dell’impero persiano, tra i Greci, si verificò la nascita e la fioritura (800-500 a.C.) di una moltitudine di stati monarchici secolari (anziché ieratici), da Atene fino al Bengala: centinaia di piccoli stati, ciascuno con una fortezza e con una città, governata da una famiglia reale e da consigli degli anziani, da assemblee dei cittadini, da una guardia di palazzo, da un clero templare, da una piccola nobiltà contadina e commerciale, e piena di negozi, di abitazioni e – negli stati più prosperi – di monumenti e di parchi. E a un certo punto ecco apparire – in queste piccole capitali – saggi itineranti, ciascuno con un seguito di devoti e ciascuno convinto di aver risolto – una volta per tutte – il mistero del dolore: Kapila (forse nel 600 a.C. ), Gosala (fiorito nel 535 a. C. ), Mahavira (morto intorno al 485 a.C.), il Buddha (563-483 a.C.), Pitagora (582-500 a.C.), Senofane e Parmenide (anch’essi del sesto secolo) ed Empedocle (500-430), ‘il taumaturgo che se ne andò tra gli uomini come un Dio immortale, incoronato da nastri e ghirlande’. Oltre a questi personaggi, apparvero figure più oscure, di cui non si può dire se fossero uomini o dèi: Parshva (872-772 a.C.). Rishabha, Orfeo e Dioniso. Negli insegnamenti di questi saggi, sia in India che in Grecia, compaiono numerosi miti caratteristici che erano sconosciuti ai primi Ariani. Per esempio: l’idea della ruota delle rinascite, che è fondamentale sia per l’Orfismo che in India; l’idea dell’anima imprigionata nel corpo (‘il corpo è una tomba’ dicevano gli Orfici) e della sua liberazione attraverso l’ascetismo; e infine il concetto che il peccato porta all’inferno e che la virtù conduce all’estasi e quindi alla conoscenza e alla liberazione assolute. Eraclito (500 a.C.) parlava della vita come di un fuoco che brucia in eterno, proprio come il Buddha (vissuto nello stesso periodo) nel suo ‘sermone del fuoco’. La dottrina degli ‘elementi primi’ è comune ad entrambe le tradizioni: fuoco, aria, terra e acqua fra i Greci; etere, aria, fuoco, acqua e terra fra gli Indiani. Gli Orfici, come gli Indiani, utilizzavano l’immagine dell’uovo cosmico ed anche del danzatore cosmico. Già nelle parole di Talete (640-546 a.C. ) si trova l’idea che l’universo, una specie di anima, sia pieno di spiriti. E, nel Timeo di Platone, il corpo dell’universo è descritto in modo simile a quello dei Giainisti,

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come ‘una Creatura vivente di cui tutte le altre creature viventi, separatamente e come famiglie, sono parti’ “. xxvii I rapporti tra i Celti ed i Greci sono intensissimi. Una breve cronologia ne traccia un’idea, approssimativa ma sufficiente a farci capire come ci sia stata una reciproca influenza della quale è necessario tener conto.

• 600 a.C. / 460-440 a.C. ca. : Periodo Halstattiano Recente • 600 a.C. I Focesi fondano Marsiglia, che diventa un porto importante per i

collegamenti con la Britannia tramite la Francia. Nel porto greco di Massilia (Marsiglia) viene scritto il "Massiliote Periplus" in cui vengono descritte due isole lontane : Ierne (Irlanda) e Albion (Inghilterra)

• 500 a.C. Testimonianze della presenza della Cultura Celtica dall'Inghilterra, alla Francia, la Spagna Occidentale, la Germania Meridionale, fino al Mar Nero.

• 450 a.C. Erodoto parla di Celti nella Spagna Occidentale e nei pressi della sorgente del Danubio.

• 460/440 a.C. ca. - 270-250 a.C. - Periodo Lateniano Antico

• • 400 a.C. I Celti attraversano le Alpi e scendono in Italia • • 387-386 a.C. Battaglia sull'Allia. I Celti a Roma. • • 369-368 a.C. Mercenari celti in Grecia (menzionati da Senofonte)

• Alessandro Magno, in procinto di intraprendere la conquista dell’Asia, nel

334 a.C. stabilisce un patto con i Celti che abitavano il golfo dello Ionio per salvaguardare i territori greci durante la sua assenza da attacchi nemici (vedi Tolomeo Sotère. Storia delle guerre di Alessandro).

• 300 a.C./ 160-140 a.C. Periodo Lateniano Medio

• 332 a.C. trattato di pace tra i Senoni e Roma. • 310 a.C. vittoria riportata sugli Illiri . inizio insediamento nei Balcani. • 298 a.C. spedizione celtica in Tracia e sconfitta sul monte Haemus

(Bulgaria) • 295 a.C. sconfitta della coalizione di Senoni, Etruschi, Umbri e Sanniti da

parte dei Romani a Sentinum • 284 a.C. i Senoni assediano Arezzo

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• 283 a.C. Romani sconfiggono i Senoni ale fonti del torrente Misa (fondazione della Colonia Sena Gallica)

• 283 a.C. sconfitta dei Boi • 280 a.C. il territorio dei Triballi e la Tracia vengono invasi dai Celti di

Kerethrios, l'Illiria e la Macedonia dai Guerrieri di Bolgios e la Peonia dalle truppe di Brennos e Akichorios.

• 279 a.C. I Celti a Delfi. • 278-277 a.C. Gruppi celtici passano in Asia Minore • 275 a.C. vittoria di Antioco I Sotere sui Galati d'Asia Minore • 233-232 a.C. Guerra di Attalo I di Pergamo contro i Galati • 225 a.C. vittoria romana sui Boi cispadani. Una parte di loro torna

nell'Europa Centrale.

• 160-140 a.C./ 10 A.c. ca. Periodo Lateniano Recente • 125 a.C. Creazione della Provincia (Gallia Narbonese) • 120 a.C. I Cimbri Germanici e Teutoni attraversano territori celtici. • 101 a.C. sconfitta dei Cimbiri a Vercelli • 70 a.C. ca. I Germani di Ariovisto nell'Est della Gallia. • 58-51 a.C Giulio Cesare conquista la Gallia • 52 a.C Vercingetorige eletto capo dei Galli a Bibracte • 50 a.C vittoria dei Daci sui Boi della Pannonia • 15 a.C. Spedizione alpina di Druso. Roma conquista i territori celtici a sud

del Danubio. • 9 a.C. conquista Romanica del Norico.

• 10 a.C. / 400 d.C. Periodo Romano Celtico • 43 L'Imperatore Romano Caludio invade l'Inghilterra • 60 l'Inghilterra diventa una provincia romana. • 200 prima introduzione del cristianesimo • Interpretatio Romana • Riferimenti a divinità celtiche mostrate nello stile tipico romano:

rappresentazioni a figura intera accompagnate da attributi specifici. • 400-800 d.C. • Primo periodo Cristiano • 406 L'imperatore Onorio ritira le ultime truppe romane dall'Inghilterra. • 431 il Papa invia Palladio come Vescovo agli Irlandesi • 400-450 tribù germaniche tra cui, Visigoti, Ostrogoti e Vandali compiono

saccheggi e razzie nel Continente, La Gallia romana si disintegra. • 563 Vengono fondati i monasteri di Derry, Iona e Durrow. • 793 Il monastero di Lindisfarne viene saccheggiato dai Vichinghi

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• 795 L'incursione nell'Isola di Lambay segna l'inizio dell' Età Vichinga.

Diverso il ragionamento per quanto riguarda i Baschi. Recenti studi genetici e linguistici hanno stabilito una stretta parentela tra Baschi, Guanchi, Berberi ed Egizi. Il genetista Arnaiza Villena ha chiamato questo insieme di popoli “cultura usko – mediterranea”, una cultura che adottava un culto da lui definito della “Porta dell’oscurità”: un corpo di credenze associato alla Grande Madre e al culto delle acque. Ricerche di genetica indicano ormai chiaramente che la maggior parte degli odierni europei ha antenati che vivevano in Europa già nell’epoca glaciale e che, analogamente a quanto suggeriscono gli studi linguistici, il ripopolamento d’Europa occidentale dopo la glaciazione ebbe prevalentemente origine “dal rifugio del nord della penisola iberica e del sud della Francia, ossia in Euzkadi, i Paesi Baschi. Va sottolineato che la lingua basca non appartiene alla famiglia indoeuropea, come le lingue del gruppo ugro-finnico: finlandese, estone, ungherese. Il basco, sia detto per inciso, da recenti studi viene associato al sumero e rientrerebbe nella famiglia linguistica “sino-tibetana, così come l’ainu, la misteriosa lingua dell’isola di Hokkaido in Giappone, già confrontata col basco a cui è molto simile”.xxviii Il basco, secondo lo studioso Colin Renfrew, sarebbe la lingua degli uomini che popolarono le terre europee a seguito dell’espansione dall’Africa dei primi sapiens all’incirca 40 mila anni fa. In questa fase l’espansione “fu caratterizzata dallo stabilirsi del popolo basco, la cui lingua è considerata da Renfrew la prima parlata in Europa. Essa era molto più diffusa di oggi. Veniva infatti parlata sia nella penisola iberica, sia nell’attuale Francia. Alcuni addirittura la collocano nella maggior parte dei territori mediterranei”.xxix La ripopolazione d’Europa dopo l’ultima glaciazione, ossia nel periodo magdalenianoxxx, oltre a riguardare l’intera Europa nord occidentale (una linea riguarda in modo specifico l’Italia settentrionale) è passata, attraverso lo stretto di Gibilterra, nell’Africa del Nord. Accostarsi alla religione della Dèa Madre dei Baschi, Mari, significa, pertanto, affrontare anche il rapporto con le divinità dell’Africa del Nord. Su “Le Scienze”xxxi Elisabeth Hamel, Peter Foster e Theo Vennemann, in proposito scrivono: “Ricerche di genetica molecolare indicano che la maggior parte degli odierni europei ha antenati che vivevano in Europa già nell’epoca glaciale. E che, analogamente a quanto suggerito dagli studi linguistici, il ripopolamento d’Europa occidentale dopo la glaciazione ebbe prevalentemente origine dal “rifugio” nel nord della penisola iberica e nel sud della Francia”.

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Nel grafico de Le Scienze, n.407 si vedono le linee di direzione dell’espansione delle linee genetiche dopo l’epoca glaciale (cultura maddaleniana) . Tre quarti di tutti gli europei derivano in linea femminile da una popolazione che risale a epoca anteriore all’ultima glaciazione ed è strettamente imparentata con i Baschi.

Almeno tre quarti della popolazione odierna d’Europa discende in linea femminile dagli antichi europei, che sicuramente arrivarono dal Medio Oriente prima del culmine dell’ultima glaciazione, avvenuto 20 mila anni fa. “Secondo i nostri dati – scrivono Elisabeth Hamel, Peter Foster e Theo Vennemann – i più antichi europei devono essersi sviluppati circa 50 mila–80 mila anni fa in Asia Minore. Ne segue che gli antichi europei si collocano sulla linea del moderno Homo Sapiens e non dell’uomo di Neanderthal. “ E continuano: “… dal punto di vista genetico i Baschi si differenziano dai restanti europei solo per il 25 per cento. Ciò significa – in completo contrasto con le teorie fino ad ora accreditate – che le popolazioni che giunsero in Europa durante il Neolitico influirono relativamente poco sul patrimonio genetico di quelle europee”. “E’ possibile che la lingua vascone abbia avuto origine solo dai gruppi di sopravvissuti all’epoca glaciale nell’Europa sud-occidentale, uno degli ultimi teritori abitabili a nord dei Pirenei e delle Alpi. Quando i ghiacciai cominciarono a sciogliersi dopo il culmine dell’ultima glaciazione, 18 mila anni fa, queste popolazioni si spinsero a poco a poco verso l’Europa centrale e settentrionale”.

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Il dato genetico è suffragato da quello linguistico.

Le lingue indoeuropee sono diffuse dall’Irlanda all’India. Quasi tutte le lingue arlate in Europa fanno parte di questa famiglia. Tra le eccezioni ci sono

finlandese, estone e ungherese, che appartengono al gruppo ugro-finnico e il basco, del tutto isolato. Schema tratto da Le Scienze quaderni n.108

p La cittadina di Ebersberg - scrivono Elisabeth Hamel e Theo Vannemann su Le Scienze (n.407 del luglio 2002- è in Baviera e il suo nome in tedesco significa «monte del cinghiale», ma attenzione, avvertono i due autori, il significato oggi attribuito al nome della città è fuorviante. La denominazione non risale al Medioevo e nemmeno all'epoca celtica, ma probabilmente ai Vasconi, un popolo che si insediò nella regione subito dopo l'ultima glaciazione, muovendo dal sud della Francia. Molti nomi di centri abitati, fiumi, montagne, valli e regioni in Europa, secondo Elisabeth Hamel e Theo Vannemann, potrebbero infatti “derivare da lingue pre-indoeuropee e in particolare, come risulta da studi recenti, dalla antica lingua basca. Ciò confermerebbe che un tempo quasi tutta l'Europa sia stata abitata da

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popoli imparentati che gli odierni Baschi: i Vasconi, appunto, i Baschi dell'anti-chità secondo la denominazione latina”.

“La teoria - scrivono Elisabeth Hamel e Theo Vannemann - è stata confermata anche da studi genetici: gli attuali Baschi non sono affatto un gruppo «a parte», non imparentato con gli altri popoli europei. Al contrario: nell'intera popolazione europea si ritrova in misura sbalorditiva una eredità genetica in comune con i Baschi. Questi risultati smentiscono le precedenti ipotesi relative ai modelli di insediamento in Europa durante gli ultimi 10-15.000 anni, all'indomani cioè dell’ultima glaciazione che ebbe il culmine 20.000 anni fa”. Per lungo tempo gli scienziati non sono riusciti a rilevare alcuna parentela dei Baschi con le altre popolazioni europee, discendenti in prevalenza - secondo l'interpretazione attuale - da popolazioni giunte in Europa dall'Asia centrale o dal Medio Oriente, non più tardi di 10.000 anni fa; popolazioni che avevano portato con sé l'economia rurale e le lingue indoeuropee. Si riteneva che gli indoeuropei, con la loro superiorità numerica, avessero assorbito o soppiantato la popolazione indigena. “Già nel XIX secolo – scrivono i due autori - i linguisti scoprirono che molti nomi di fiumi, torrenti e laghi erano estremamente antichi, e da tempo era noto che le prime popolazioni usassero dare agli elementi geografici del loro ambiente nomi che ne indicavano solamente la natura, come «fiume», «montagna», «acqua», senza alcuna altra connotazione; le popolazioni più recenti ripresero poi il toponimo senza capirne il significato. Nel caso singolo, comunque, è spesso difficile riconoscere da quale livello idiomatico provenga il nucleo verbale delle odierne denominazioni europee. I nomi dei centri abitati, invece, sono stati sempre considerati molto più recenti. Secondo alcuni studiosi, molti nacquero agli inizi dell'epoca storica, e varie fonti testimoniano un'origine medioevale”. “Per i nomi dei fiumi e di altri elementi geografici – continuano Hamel e Vannemann - vale la regola che siano tanto più antichi quanto più sono frequenti. In tutta Europa molti nomi di corsi d'acqua conservano in maniera evidente uno stesso nucleo verbale: si trovano nomi in al-/alm-, come Aller, Alm o anche Elz, un tempo Alantia. Un altro gruppo è costituito dai nomi in var-/ver-, che si ritrovano per esempio in Werre o Warne. Altrettanto numerosi sono i nomi in sal-/salm-, come la Saale. Esiste poi un grande gruppo di nomi in is-/eis-, come Isar e Isarco, e in ur-/aur-, come Urach e Aurach. La stessa cosa vale però anche per molti nomi di città. L'elenco dei codici di avviamento postale in Germania registra 7 comuni che si chiamano Ebersberg, 9 Ebersdoif, 16 Ebersbach. In totale sono elencati 80 nomi di città che iniziano con eber. Anche in Francia si trovano decine di città con analoghi elementi verbali; condizionati dalla diversa area linguistica, i nomi suonano leggermente diversi. Comunque Ebréon, Ibarolle, Evrune, Ivry, Ivors, Averdon, Avricourt, Avrolle, Yvré e molti altri si possono ricondurre, secondo le nostre ricerche, alle stesse radici linguistiche”.

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“Che i nomi dei centri abitati a nord delle Alpi, dall'Europa centrale fino alla Gran Bretagna e alla Scandinavia meridionale, mostrassero una sorprendente impronta

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comune – fanno osservare i due autori - era parso degno di nota già a metà del secolo scorso al linguista Hans Krahe (1898-1965). Egli considerava questi nomi «fossili... di un'epoca antica e spesso da lungo tempo trascorsa» e ne cercava le radici nelle antiche lingue indoeuropee. Si trattava di deduzioni spesso poco soddisfacenti, tanto più che gli Indoeuropei giunsero in Europa relativamente tardi. Secondo l'archeologo inglese Colin Renfrew, queste popolazioni non erano altro che i primi agricoltori europei, con i quali cominciò l'ultima fase dell'Età della pie-tra, ossia il Neolitico. Se si suppone che molti toponimi d'Europa abbiano avuto origine da popolazioni precedenti agli Indoeuropei, poi scomparse, bisogna prendere in considerazione anche i gruppi insediatisi in Europa subito dopo l'ultima glaciazione. I primi agricoltori iniziarono a colonizzare il continente euro-peo solo 7000 anni fa, ma i territori spopolatisi nell'ultima glaciazione erano stati ripopolati molto prima: il primo insediamento noto agli archeologi successivo al culmine della glaciazione si trova nella regione tedesca di Freiburg e risale a oltre 18.000 anni fa. Non c'è dubbio che queste popolazioni avessero dato un nome ai fiumi e alle località dei loro dintorni: non si può quindi escludere che alcuni toponimi risalgano a quell'epoca” “L'attribuzione agli Indoeuropei dei nomi dei corsi d'acqua si scontra – dicono Hamel e Vannemann - anche con il fatto che in Spagna alcuni di questi nomi contengono elementi verbali presenti in Europa a nord delle Alpi: gli Indoeuropei, infatti, si spinsero così a sud-est solo nel I millennio a.c. Secondo i linguisti alcuni nomi di fiumi iberici derivano dal basco; noi sosteniamo che ciò sia vero anche per i nomi dei corsi d'acqua nel resto d'Europa. Il vocabolario basco contiene infatti i caratteristici elementi lessicali - is, ur e ibar (tutti con un riferimento semantico all'acqua) - che si riscontrano in molti nomi di fiumi europei. Un ulteriore indizio della derivazione basca è dato dalle vocali presenti in questi nomi. Quasi la metà degli antichi nomi di fiume inizia con una vocale, nella maggior parte dei casi una a (talvolta solo in una forma nominale antica); e in ogni caso i nomi contengono molto spesso la lettera a. Anche la i o la u ricorrono spesso nei nomi di corsi d'acqua. Tutto ciò è atipico per l'antico indoeuropeo: in questa lingua raramente le vocali erano all'inizio delle parole e quelle più frequenti erano la e e la o. Nel basco, al contrario, circa un terzo delle parole inizia per a, e molte contengono alloro interno una o più a. Anche la i e la u all'inizio delle parole sono molto frequenti”.

Un gruppo di ricerca della Ludwig-Maximilian Universitat a Monaco di Baviera ha iniziato a esaminare con lo stesso criterio l'origine dei nomi di centri abitati, individuando - di nuovo - un rapporto con parole o elementi verbali baschi. E in effetti non è raro incappare in vocaboli baschi usati come toponimi o all'interno di essi, specie nel caso di città situate in una posizione favorevole, per le quali si può supporre una certa antichità.

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“Spesso – fanno osservare i due autori dell’accurato studio linguistico pubblicato da “Le Scienze “ - nel nome dei corsi d'acqua e delle strutture del paesaggio si nasconde un'antica parola che significa «acqua», «corso d'acqua» o che indica la

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forma del paesaggio. Ritorniamo all'esempio del vocabolo «eben». Una delle città in eber-, Ibarolle, si trova in una valle dei Pirenei. Poiché la parola basca ibar significa «valle, foce del fiume», già in passato i linguisti attribuirono questo significato al nome. E l'Ebrach, sul quale si trova Ebersberg dell'Alta Baviera, si chiamerebbe semplicemente «fiume», o meglio «fiume-fiume» perché il suffisso -ach altro non è che la parola dell'antico alto tedesco per «fiume» (e si noti la parentela con il latino aqua). Le nostre ricerche indicano come molte delle città in eber- abbiano nomi da ricondurre a una popolazione di lingua vascone. Millenni dopo popolazioni di lingua diversa mutarono il nome in modo che avesse per loro un senso: il basco ibar divenne così in tedesco eber. Molti altri nomi di città si possono comprendere facendo riferimento all'acqua: per esempio, le molte denominazioni che contengono l'elemento is. In basco questa sillaba, usata soprattutto nelle parole composte, significa «acqua» o «corso d'acqua». In Baviera si trovano le cittàdi Ismaning (già Isamaninga), Ism (sull'Isen, un tempo Isana) ed Eisolzried (già Iso1tesried); in Svizzera le città di Ism e Isel. Abbiamo comunque rilevato anche nomi che hanno altri riferimenti: la parola basca aran significa «valle». Denominazioni che contengono questo elemento lessicale sono diffuse in tutta l'Europa. Nell'Inghilterra meridionale si trova la città di Arundel, in Norvegia - e anche in Svezia - Arendal. In Germania c'è una dozzina di città come Arnach, Arnsberg, Arnstem, Arensburg, Ahrensburg. Anche Ohrenbach nell'Odenwald, che un tempo si chiamava Aranbach, si può annoverare tra queste, e altrettanto Mohrenstein, nell'Alto Palatinato, un tempo Marnstein (da «am Arnstein», ossia «sulI'Arnstein»). Secondo la tradizione popolare alcune di queste città prendono il nome da una persona, tale Arno. Ma ciò suona strano: di solito sono le persone a trarre il nome dal luogo di origine, e non viceversa. Altre città in arn- derivano apparentemente il loro nome da Aar, il «nobile» (in antico alto tedesco arn). Allo stato attuale delle ricerche, tutte le città in arn si trovano in zone alle quali si addice la parola basca arano. Anche Ahrensfelde (presso Ahrensburg), nell'Holstein orientale, si trova al margine di una valle, attualmente parte di un'area protetta”.

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“Anche altri nomi di luogo – scrivono Hamel e Vannemann - sembrano essere molto più antichi di quanto attestino le etimologie tradizionali, sebbene a volte ciò susciti reazioni indignate, come è accaduto quando è stato messo in dubbio che Monaco di Baviera derivasse il nome dalla presenza di monaci. Verosimilmente, però, Monaco non fu fondata in epoca cristiana: già prima vi era una Munica, (da città sulla riva). La parola basca mun (nella forma arcaica, bun) significa «riva», «scarpata», «rialzo del terreno». La Monaco antica si trovava su una collina sull'Isar, la Petersbergl. La forma più arcaica dell'elemento bun potrebbe essere sopravvissuta nella parola greca bouno, «montagna», in greco antico bounos, «collina», che, secondo un'interpretazione, è una parola mutuata da un'altra lingua. Tutto ciò conferma la teoria secondo cui gli antichi Europei che attribuirono questi nomi parlavano una lingua imparentata con il basco. Devono essere sopravvissuti all'epoca glaciale in un «rifugio» nell'Europa meridionale, sviluppando una lingua

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comune. L'unico territorio dell'Europa occidentale che può aver assolto questa funzione di rifugio si trova al confine tra la Francia e la Spagna: sono i Paesi Baschi” I sistemi di numerazione in base 20 “Gli antichi Vasconi, però- fanno notare i due autori - non lasciarono ai posteri solo denominazioni geografiche. In molte regioni vi sono ancora tracce del loro antico sistema di numerazione. Gli Indoeuropei portarono con sé il sistema decimale, ma i Baschi ancora oggi contano con un sistema in base venti”. Anche il danese conserva questo antico metodo di numerazione. “A conclusioni sbalorditivamente simili – sostengono Hamel e Vannemann - si può arrivare anche per altra via. Ricerche di genetica molecolare indicano che la maggior parte degli odierni Europei ha antenati che vivevano in Europa già nell'epoca glaciale. E che, analogamente a quanto suggerito dagli studi linguistici, il ripopolamento dell'Europa occidentale dopo la glaciazione ebbe prevalentemente origine dal «rifugio» del nord della Penisola iberica e del sud della Francia”. “È possibile – aggiungono i due autori - che la lingua vascone abbia avuto origine solo dai gruppi di sopravvissuti all'epoca glaciale nell'Europa sud-occidentale, uno degli ultimi territori abitabili a nord dei Pirenei e delle Alpi. Quando i ghiacciai cominciarono a sciogliersi dopo il culmine dell'ultima glaciazione, 18.000 anni fa queste popolazioni si spinsero a poco a poco verso l’Europa centrale e setten-trionale. Erano territori pressochè spopolati, e i nuovi arrivati diedero ai fiumi, alle montagne, alle valli e alle paludi nomi “naturali” della loro lingua. Portavano con sé la cultura maddaleniana, che si diffuse a est fino alla Moravia e alla Turingia. Nella Germania settentrionale si sviluppò una cultura di cacciatori di renne che arrivò fino alla Pomerania e alle Isole Britanniche. Ancora oggi moltissimi nomi di corsi d'acqua dell'Europa orientale si possono probabilmente riferire a varianti del vascone. Anche nella lingua tedesca odierna il vascone ha lasciato tracce. Land (terra, paese) secondo un'antica interpretazione è una parola mutuata dal vascone, e anche Harn (urina), Schenkel (coscia), Garbe (covone), Mure (colata di fango), Anger (prato), Haken (gancio), Krapfen, Latte (asticella), Laden (bottega), Ei-svogel (martin pescatore) - antico fs-anl - e Senne (pascolo alpino) potrebbero appartenere a questo gruppo. In parte queste parole derivano però dal latino: Kiise (formaggio), dal basco gazi, «salato», arrivò al tedesco attraverso il latino caseus. Il latino mons, «montagna», e grandis, «grande», dovrebbero essere parole mutuate dal vascone. Anche l'antica regola che si debba sempre accentare la prima sillaba di una parola potrebbe derivare dal vascone; tale regola ha interessato tutte, e solo, le lingue sviluppatesi da est a ovest: il germanico, il celtico, il latino più antico e l'etrusco, una lingua non indoeuropea”. “Non stupisce – asseriscono Hamel e Vannemann - trovare elementi baschi in Africa settentrionale”.

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20Comunque le lingue vasconi non sono le uniche , secondo i due autori, ad aver

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lasciato tracce in Europa. “I filologi hanno scoperto più di un secolo fa influssi delle lingue camito-semitiche in Europa occidentale. Da ciò si può dedurre che, durante la preistoria, alcune popolazioni le portarono nel nostro continente spingendosi lungo le coste fino all'Europa settentrionale: la storia del popolamento europeo ha ancora in serbo molte sorprese”. Vediamo ora, dopo questa lunga citazione di uno studio difficilmente riassumibile, perché già sintetico, quanto Elisabeth Hamel, questa volta in un articolo firmato con Peter Foster, afferma in relazione al lavoro di vari studiosi nel campo genetico. “Il risultato più importante – scrivono i due autori - deriva dalla scoperta che almeno i tre quarti delle odierne popolazioni d'Europa discendono in linea femminile direttamente dagli antichi Europei, che sicuramente arrivarono dal Medio Oriente prima del culmine dell'ultima glaciazione, avvenuto 20.000 anni fa. Secondo i nostri dati, i più antichi tipi europei devono essersi sviluppati circa 50-80.000 anni fa in Asia Minore. Ne segue che gli antichi Europei si collocano sulla linea del moderno Homo sapiens e non dell'uomo di Neandertal. Probabilmente questi antichi Europei furono in grado di sopravvivere al periodo più critico della glaciazione solo nei “rifugi” climaticamente più favorevoli, i più importanti dei quali si trovavano in Ucraina e nell'Europa sud-occidentale. Come abbiamo indicato, una parte considerevole delle popolazioni che si insediarono nell'Ovest e nel Nord del continente dopo la glaciazione (secondo la datazione genetica 10-15.000 anni fa) proveniva proprio dall'Europa sud-occidentale: dal punto di vista genetico i Baschi si differenziano dai restanti europei solo per il 25 per cento. Ciò significa - in completo contrasto con le teorie finora accreditate - che le popolazioni che giunsero in Europa durante il Neolitico influirono relativamente poco sul patrimonio genetico di quelle europee”. “Meno di un quarto degli Europei – dicono Hammel e Foster - avrebbe, in linea femminile, antenati che arrivarono in Europa meno di 10.000 anni fa. In queste popolazioni immigrate, che furono probabilmente i primi agricoltori e allevatori di bestiame, è possibile riconoscere varie ondate, ossia linee genetiche di diverse età: in Europa occidentale si delinea una linea di discendenza che risale a 10.000 anni fa, e in Europa centrale una che risale a 6000 anni fa”.

i Piero Citati, La luce della notte, Mondadori ii Marie Luoise Von Franz, Il pappagallo bianco, Boringhieri iii Marie Louise Von Franz, Alchimia, Boringhieri iv Marie Louise Von Franz, Alchimia, Boringhieri v Marie Louise Von Franz, Alchimia, Boringhieri vi Vedi in proposito le teorie di Gregg Brade e Bruce Lipton vii Marco Massignan, La religione dei Celti, Xenia viii F.Le Roux, C.Guionvarc’h, I Druidi, Ecig ix Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, Ed. L’Età dell’Acquario x Riccardo Taraglio, Il vischio e la quercia, Ed. L’Età dell’Acquario xi Citazione in: Massimo Teodorani, Sincronicità, Macroedizioni xii Citazione in: Massimo Teodorani, Sincronicità, Macroedizioni xiii Vedi Massimo Teodorani, Sincronicità, Macroedizioni xiv Mario Livio, la sezione aurea, Rizzoli.

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xv Citazione in: Mario Livio, La sezione aurea, Rizzoli xvi Citazione in: Mario Livio, La sezione aurea, Rizzoli xvii Jung, Sincronicità, Boringhieri xviii Jung, Sincronicità, Boringhieri xix Brahamana, I° millennio a.C. xx Massimo Teodorani, Sincronicità, Macroedizioni xxi Marco Massignan, La religione dei Celti, Xenia xxii Oriano Spazzoli, Il cielo degli antichi popoli nord-europei: i Celti e i Vikinghi. www.racine.ra.it xxiii Jaques Brosse, Mitologia degli alberi, Bur xxiv Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, Sansoni xxv xxvi Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, Sansoni xxvii Joseph Campbell, Mitologia orientale – Le maschere di Dio – Oscar Mondadori xxviii Yuri Gori, La lingua di Adamo, Archeomisteri n. 32, marzo/aprile 2007 xxix Gori, La lingua di Adamo, Archeomisteri n. 32, marzo/aprile 2007 xxx Ultima fase del Paleolitico superiore in Europa centrale e in Spagna. Il magdaleniano abbraccia un periodo che è compreso tra 18.000 e circa 10.000 anni fa, esteso fino alla fine della glaciazione Würm III, che segna la fine del Paleolitico superiore e il passaggio al Mesolitico. xxxi Numero 407, luglio 2002