GIOVANNI ALDEGHI – GIANLUIGI RIVA ANTICHE CARTE: LA VALLE S. MARTINO NEI DOCUMENTI DELL'ARCHIVIO DELLA PIEVE DI GARLATE-OLGINATE OLD PAPERS: S. MARTINO VALLEY IN THE DOCUMENTS OF THE ARCHIVE OF THE PIEVE OF GARLATE-OLGINATE Estratto da "Archivi di Lecco” N. 3 Luglio-Settembre 1993 In questa serata abbiamo pensato, visto l'interessamento dei dirigenti la Comunità Montana della Valle S. Martino nel ricercare le origini e le tradizioni del territorio, di contribuire a questo sforzo presentando alcuni documenti che si trovano nell'archivio parrocchiale di Olginate e che interessano questa Valle. In questo archivio sono conservati, fra gli altri, documenti che riguardano sei parrocchie della Val S. Martino: Vercurago, Calolzio, Rossino, Erve, Carenno, Lorentino. Di una settima cioè Somasca, vi sono invece solo poche carte perché, pur appartenendo anch'essa alla stessa Pieve, era ed è retta da clero regolare, quindi sottoposta solo in parte all'autorità del Prevosto e Vicario Foraneo di Olginate, nelle mani del quale passavano tutti i documenti che dalla Curia di Milano dovevano pervenire ai Curati delle parrocchie della Pieve, e viceversa. A questo compito il Prevosto assommava anche una funzione più strettamente giuridica riguardante il comportamento degli ecclesiastici, o i fatti che coinvolgevano laici, ma che si svolgevano in luoghi consacrati e quindi sottratti alla giustizia secolare. Nel recente riordino dell'archivio, ad ognuna di queste parrocchie è stata intestata una sezione, mentre altri documenti si trovano nelle parti che riguardano l'attività della Pieve e la sua amministrazione: Visite pastorali, verbali delle Congregazioni plebane, ecc.. Essi sono una parte degli oltre 30000 documenti raccolti e catalogati in 4500 voci che li descrivono singolarmente e per gruppi omogenei. Per ogni singola voce è stata compilata una scheda computerizzata nella quale sono contenuti: la collocazione del documento, il nome dell'autore, il numero di protocollo, il titolo della sezione, il luogo di conservazione, la data, lingua con cui è steso, la sua classificazione (originale, copia o fotocopia), il luogo di provenienza, un piccolo riassunto del contenuto, gli argomenti trattati nel documento. Questi dati, ormai tutti inseriti in un computer, facilitano la ricerca veloce di un documento o gruppi di documenti aventi la stessa base di ricerca, ed è quello che si è fatto per trovare documenti che riguardano le parrocchie della Val S. Martino, alcuni dei quali saranno qui di seguito presentati. A conclusione di questa rapida introduzione, occorre dire che, purtroppo, la parte più preziosa di questo Archivio non è più in loco ma è stata trasferita a Milano, nell'Archivio Storico Diocesano. Si tratta di circa 150 pergamene datate tra la fine del XIV e l'inizio del XVI secolo, che lì formano il "Fondo Pergamene di Olginate".
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ANTICHE CARTE: LA VALLE S. MARTINO NEI DOCUMENTI DELL'ARCHIVIO DELLA PIEVE DI GARLATE-OLGINATE // OLD PAPERS: S. MARTINO VALLEY IN THE DOCUMENTS OF THE ARCHIVE OF THE PIEVE OF GARLATE-OLGINATE
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GIOVANNI ALDEGHI – GIANLUIGI RIVA
ANTICHE CARTE: LA VALLE S. MARTINO NEI DOCUMENTI
DELL'ARCHIVIO DELLA PIEVE DI GARLATE-OLGINATE
OLD PAPERS: S. MARTINO VALLEY IN THE DOCUMENTS
OF THE ARCHIVE OF THE PIEVE OF GARLATE-OLGINATE
Estratto da "Archivi di Lecco”
N. 3 Luglio-Settembre 1993
In questa serata abbiamo pensato, visto l'interessamento dei dirigenti la Comunità Montana della Valle
S. Martino nel ricercare le origini e le tradizioni del territorio, di contribuire a questo sforzo
presentando alcuni documenti che si trovano nell'archivio parrocchiale di Olginate e che interessano
questa Valle.
In questo archivio sono conservati, fra gli altri, documenti che riguardano sei parrocchie della Val S.
Martino: Vercurago, Calolzio, Rossino, Erve, Carenno, Lorentino. Di una settima cioè Somasca, vi
sono invece solo poche carte perché, pur appartenendo anch'essa alla stessa Pieve, era ed è retta da
clero regolare, quindi sottoposta solo in parte all'autorità del Prevosto e Vicario Foraneo di Olginate,
nelle mani del quale passavano tutti i documenti che dalla Curia di Milano dovevano pervenire ai
Curati delle parrocchie della Pieve, e viceversa. A questo compito il Prevosto assommava anche una
funzione più strettamente giuridica riguardante il comportamento degli ecclesiastici, o i fatti che
coinvolgevano laici, ma che si svolgevano in luoghi consacrati e quindi sottratti alla giustizia secolare.
Nel recente riordino dell'archivio, ad ognuna di queste parrocchie è stata intestata una sezione, mentre
altri documenti si trovano nelle parti che riguardano l'attività della Pieve e la sua amministrazione:
Visite pastorali, verbali delle Congregazioni plebane, ecc..
Essi sono una parte degli oltre 30000 documenti raccolti e catalogati in 4500 voci che li descrivono
singolarmente e per gruppi omogenei. Per ogni singola voce è stata compilata una scheda
computerizzata nella quale sono contenuti: la collocazione del documento, il nome dell'autore, il
numero di protocollo, il titolo della sezione, il luogo di conservazione, la data, lingua con cui è steso, la
sua classificazione (originale, copia o fotocopia), il luogo di provenienza, un piccolo riassunto del
contenuto, gli argomenti trattati nel documento. Questi dati, ormai tutti inseriti in un computer,
facilitano la ricerca veloce di un documento o gruppi di documenti aventi la stessa base di ricerca, ed è
quello che si è fatto per trovare documenti che riguardano le parrocchie della Val S. Martino, alcuni dei
quali saranno qui di seguito presentati.
A conclusione di questa rapida introduzione, occorre dire che, purtroppo, la parte più preziosa di questo
Archivio non è più in loco ma è stata trasferita a Milano, nell'Archivio Storico Diocesano. Si tratta di
circa 150 pergamene datate tra la fine del XIV e l'inizio del XVI secolo, che lì formano il "Fondo
Pergamene di Olginate".
Una di queste interessa la Val S. Martino e precisamente il paese di Erve, dove un certo Antonio vende
ad un certo Pietro un terreno prativo situato in una località detta "Laguzo" per 38 lire imperiali. Non è
possibile risalire alla data esatta in cui questo atto è stato redatto da Pietro Giovanni Moioli, notaio di
Calolzio, perchè la pergamena è mancante della parte iniziale ed inoltre rovinata e parzialmente
illeggibile. È invece chiaro il nome dei confinanti col terreno venduto: un certo Vitallis fq. Zanni Regij
de Bollis de Erve e ser Beltramo detto Comarde figlio del fu ser Jacobo della famiglia dei Rota. Di
quest'ultimo sappiamo, da altri documenti, che è vivente a Calolzio nel 1494 e questo ci permette di far
risalire la pergamena alla seconda metà del 1400.1
Ma prima di presentare altri documenti riguardanti singoli paesi della Valle vale la pena di soffermarci
su di un atto notarile che è forse la testimonianza più importante, insieme ad un registro contabile che
vedremo in seguito, per ricostruire la storia religiosa della Valle.2 È datato 1438 e raccoglie la
deposizione di tredici persone chiamate dal Prevosto della chiesa plebana dei Santi Stefano e Agnese di
Garlate, don Bartolomeo Riva, a testimoniare nella controversia che lo opponeva ai suoi parrocchiani
delle chiese o cappelle di San Martino di Calolzio, San Bartolomeo di Somasca, San Michele del
Monastero di Foppenico, San Damiano di Sala e Santa Maria del Lavello, (rappresentati dal loro
procuratore, Cristoforo da Calolzio) durante il processo canonico discusso davanti a Francesco della
Croce, Vicario Generale dell'arcivescovo di Milano Francesco Piccolpasso. Agli abitanti di questi
luoghi che esigevano che queste chiese fossero staccate da Garlate ed unite in un unica parrocchia retta
da un Rettore o Curato, il Prevosto ribatteva, attraverso le testimonianze raccolte dal notaio Giovanni
de Rocchi di Olginate, che tutte queste chiese e cappelle appartenevano alla parrocchia di Garlate e da
tempo immemorabile erano officiate dal Prevosto pro tempore o dai suoi Canonici.
Queste testimonianze sono interessanti perché ritornano all'indietro per quasi 60 anni, fino al 1380
circa, e ci fanno conoscere fatti, situazioni e nomi di Curati di alcune chiese della Valle S. Martino
come Lorentino, Rossino e Vercurago che già alla fine del 1300 erano costituite in parrocchie
autonome, pur continuando a far parte della Pieve di Garlate. Veniamo così a sapere che a Vercurago,
nel 1438, era rettore prete Danilo de Averaria e prima di lui erano stati curati Ambrogio da Curte,
Percivalis de Benalis ed un certo frate Pietro, i quali officiavano anche le chiese di Calolzio e Somasca
su incarico del Prevosto di Garlate.
A Lorentino era Curato Sozius de Plazonibus de Caprino e prima di lui Giovanni de Moioli di
Lorentino i quali, per delega del Prevosto, officiavano anche le chiese di S. Michele di Foppenico e S.
Damiano di Sala.
Dalle testimonianze del Curato di Lorentino e del signor Stefano d'Adda di Olginate si viene anche a
sapere che la località del Lavello e la sua chiesa era, già dalla seconda metà del 1300, diroccata e
disabitata.
Ser Perutus de Benalis, abitante a Somasca, dichiara che suo padre Guido detto Corigioni era stato
battezzato nella chiesa di S. Agnese di Garlate e, descrivendo il percorso seguito dai suoi padri per
portarlo a Garlate, dice che dapprima si recarono al Cornello poi a Rossino e da lì a Garlate.
Prete Antonio de Torgionibus, da 22 anni Curato di quel luogo, racconta che, per conto del Prevosto
Gregorio da Besana (che resse la chiesa di Garlate tra il 1416 ed il 1428 circa) aiutava i Cappellani a
celebrare i funerali dei defunti di Calolzio, del Cornello e di Foppenico; tutti questi funerali si tenevano
nella chiesa di Rossino.
Queste notizie ci portano a formulare l'ipotesi che fino all'inizio del 1400 gli abitanti delle località
sopraddette facessero riferimento a quest'ultima chiesa, avendo Calolzio solo una piccola cappella
dedicata a S. Martino, quella che S. Carlo, nella sua visita del 1583, ordinò di abbattere perché 1 A.S.D.: Fondo perg. Olginate 2 A.P.Ol.: P-BF/ VII, cart.1 n° 1840
fatiscente. Questa Cappella era situata in un luogo che ancora nella Visita Pastorale del 1722 era detto
alli "Cariggi o Carali" in territorio di Corte.
Solo 5 anni dopo la stesura di questo documento, nell' ottobre del 14433, veniva concesso che le chiese
sopra nominate fossero officiate da un Rettore, istituendo di fatto la parrocchia di Calolzio, atto che
però ebbe piena applicazione solo nel 1452.4
Passiamo ora a presentare, in rapida sintesi alcuni documenti, tra i più significativi, e qualcuno anche
curioso, riguardanti i paesi della Valle.
Cominciamo da Erve, il paese della Valle più difficile da raggiungere, almeno fino al nostro secolo:
questo fatto è annotato diligentemente negli atti di due Visite Pastorali compiute nel 1685 dal card.
Federico Visconti e nel 1722 dal card. Benedetto Odescalchi. Entrambi situano questa parrocchia "in
una valle a malapena accessibile, con malagevoli sentieri."5
I Parroci che si sono succeduti a guidare questa piccola Comunità ci hanno lasciato, sopratutto tra il
XVII ed il XVIII secolo, numerosi "Stati della Cura" in cui sono annotati le attività religiose,
l'amministrazione della parrocchia, lo stato delle chiese. Da questi documenti si può ricavare anche
l'andamento demografico del paese. Nel 1639, pochi anni dopo la grande peste, il paese si stava
ripopolando: su 305 abitanti ben 139 erano ragazzi, come annota il Curato Carlo Invernizzi "essendo
nati dalla peste in qua molti figlioli". 6
Un secolo dopo, nel 1742, si era arrivati a 545 abitanti dei quali però 116 assenti dal paese, il 20% del
totale, perché emigrati per lavoro, a testimonianza della vita grama e piena di stenti che si conduceva in
questa sperduta valle.
Nel più antico "Stato della Cura" tra quelli conservati nell’archivio di Olginate, datato 1604, viene
minutamente descritta anche la chiesa di Santa Maria. Eccone alcuni brani: "la giesa è con due porte, è
sofittata d'assi, vi sonno duoi vasi per l'aqua santa, uno per porta, ha due finestre grandi con le sue
invidriate (...) vi è la capella maggior con la ferata di ferro et è depinta... "; segue poi un inventario dei
paramenti e delle suppellettili sacre e termina con la somma annua percepita dal Curato come congrua,
50 scudi che era una somma abbastanza miserevole anche a quei tempi.7
Inoltre vi è un documento del 1651 riguardante un litigio che vide coinvolto il Curato con scambi di
parole volgari ed un accenno a un lancio di sassi contro lo stesso Curato. 8
Passiamo a Carenno, stessa altezza di Erve ma diversa posizione, più favorevole alle coltivazioni tanto
che nella seconda metà del 1500 era il paese più popolato della Valle. In compenso era molto più
turbolento di Erve: vi avvenivano spesso litigi e risse, anche con uso di armi da fuoco.
Ma prima di passare a questi fatti non si può non citare un documento risalente al 1489.9
A quel tempo gli abitati e le chiese di S. Pietro di Carenno e di S. Brigida di Lorentino costituivano un
unica parrocchia che però era retta da due diversi rettori (presumibilmente uno stava in Carenno e uno
in Lorentino). Nel gennaio di quell'anno il sacerdote Angelo Rota del fu Tonali rettore, forse, della
chiesa di Carenno, attraverso il suo procuratore Martino Brini rassegna le sue dimissioni nelle mani del
Prevosto di Garlate, Giovanni de Bassi, il quale gli subentra in via provvisoria. È una strana decisione,
ma sappiamo da altri documenti che, nello stesso anno, la chiesa di S. Pietro di Carenno venne staccata 3 A.S.D.: Visite, Olginate, vol. 11 q.5; A.P.Cal. 4 A.P.Ol.: VM/II – Registro visita pastorale 1615 5 A.P.Ol: VM/IV, n°3488 e P-P/I, cart.4 n°256 6 A.P.Ol.: P-P/ I, cart.3 n° 247 7 A.P.Ol.:P-P/I cart.2 n°235 – vedi doc. n°1 8 A.P.Ol.: P-P/ I, cart.2 n°239 9 A.P.Ol.: P-P/ XVII, cart.6 n° 2337
da Lorentino e costituita in parrocchia autonoma ed è quindi probabile che queste dimissioni furono
dettate proprio dal fatto che si era in attesa di questa separazione.
Ritornando ai litigi, occorre dire che quando questi fatti avvenivano in luoghi sacri, (e luoghi sacri
erano considerati oltre alle chiese anche il sagrato ed il cimitero) le persone coinvolte incorrevano nelle
censure e pene emanate dalle autorità ecclesiastiche di Milano, quindi facenti parte di uno Stato estero.
Questa situazione non era gradita alle autorità Veneziane che controllavano la Valle e che si
opponevano al fatto che i loro sudditi fossero giudicati e prendessero ordini da persone, sia pure
ecclesiastiche, appartenenti ad un altro Stato. Questo obbligava il Prevosto di Olginate, nelle veste di
Vicario Foraneo della pieve, a destreggiarsi in queste situazioni per non provocare le autorità
Veneziane. E questo è confermato da quanto successe a Carenno nel 1594.10 All'inizio di quell'anno
avvenne nella chiesa di S. Pietro e Biagio di Carenno una rissa tra i componente di due clan famigliari
a causa di una tresca tra una ragazza ed un uomo sposato appartenenti alle due diverse famiglie.
Incontrandosi in chiesa durante la messa, i due gruppi cominciarono a scambiarsi ingiurie, poi schiaffi e
pugni, ed infine sfoderarono spade e coltelli causando grande panico e scandalo tra i fedeli.
Non potendo perseguire i colpevoli, attraverso il braccio secolare per via della giurisdizione estera, la
Curia di Milano si limitò ad intimare loro di presentarsi a Milano per essere giudicati. Sennonché
questa ordinanza provocò la reazione dei Rettori di Bergamo i quali proibirono, a Martino di Caresano
e suo figlio Martino, a Paolo Valsecchi, Rocco Fontana, Giacomo Castelletto e Sebastiano Padovano,
tutti di Carenno, di ubbidire a questo ordine sotto "pena della disgratia della Serenissima Signoria et
della confisca de loro beni". A questo punto la Curia milanese non potendo avere tra le mani i colpevoli
comminò loro la scomunica, salvo poi, dopo pochi mesi, riammetterli ai sacramenti, previa una salutare
penitenza pubblica.
Infatti il 27 aprile 1594 il Vicario Generale dell'Arcivescovo diede istruzioni al Prevosto Giò Antonio
Maria Vimercati in merito alla vicenda di Carenno: "Molto reverendo signor. Con questa do’ facoltà a
Vostra Signoria d'assolvere quelle persone di Carenno per parte de Martino che comisero quello
scandalo nella chiesa de detto luogo, dandoli penitenza di dimandare tutti uniti, perdono al populo
publicamente del scandolo dato, et ancho altra penitenza salutare che parerà a V.S....".
Una annotazione del Prevosto in calce alla lettera conferma che la penitenza e relativa assoluzione fu
attuata il 9 maggio ed in più fu fatto obbligo ai rei "di dire 5 pater e tante ave marie tutti i veneri et
mercore sino a S. Pedro proximo." 11
Ma ancora nel 1653, per un fatto analogo avvenuto sul sagrato e nel cimitero della stessa chiesa, il
conflitto giurisdizionale tra i due Stati impediva l’intervento diretto della Curia milanese. Infatti il
Vicario Criminale, Giovan Battista Ravelli, consigliava al Prevosto di Olginate, don Giovanni Battista
Ferrario, che era anche Vicario della “Santa Inquisizione”12 di: "destreggiarsi perchè è nel dominio
veneto in temporalibus, per schifare la giurisditione, per non lasciare fare pregiuditio ne all'uno ne
all'altro."13
Altri documenti ci presentano invece una Carenno, se non all'avanguardia, almeno al passo con i tempi
in fatto di istruzione scolastica. Verso il 1650 il sacerdote Giò Francesco Poletti, avendo in passato
ottenuto il dottorato in Roma ed insegnato morale e teologia, ed essendo residente in Carenno, per
evitare "l'otio" chiese il permesso alla Curia di Milano di potere tenere una scuola di Grammatica.14
10 A.P.Ol.: P-P/IV, cart.1 n° 397-398, vedi doc.n°2 11 Ibidem 12 A.P.Ol.: P-AT/I, cart.6 n° 1455 13 A.P.Ol.: P-P/ IV, cart.3 n°413 14 A.P.Ol.: P-P/ IV, cart.1 n°400
Quasi un secolo dopo tra il 1731 ed il 1733 una vertenza tra Giacomo Carsana, vecchio maestro
patentato, ed il suo aiutante, Aurelio Rosa, il quale cercava di aprire un altra scuola sottraendo così
alunni al vecchio maestro, ci conferma che già da tempo in Carenno esisteva una scuola, fornendoci
anche i dettagli sul suo funzionamento. Il Curato, Carlo Mariani, interviene nella vicenda per evitare il
formarsi di due scuole: "per alcuni riguardi spirituali et temporali che certamente insorgerebbero" e
riesce ad ottenere che i due gestiscano insieme la scuola facendogli sottoscrivere un accordo, che però,
nel 1733, sarà poi disatteso dal Rosa. La scuola era frequentata mediamente da 48 alunni, ma ogni
giorno ne mancavano da 4 a 8 per malattia od altri motivi. L'accordo prevedeva che se il numero dei
ragazzi fosse stabilmente al disotto dei 40, la scuola fosse gestita dal solo Carsana, in casa del quale si
tenevano le lezioni, ma aumentando questo numero quest'ultimo avrebbe dovuto accettare l'aiuto del
Rosa che avrebbe avuto come paga un terzo delle rette versate dagli alunni. La scuola cominciava al
mattino mezz'ora dopo l'Ave Maria e subito dopo il mezzogiorno ed era aperta fino al 15 di marzo
quando: "all'aprirsi della primavera li figlioli sogliono sminuirsi". Se uno dei due maestri si fosse
assentato per lavorare i campi doveva essere escluso dall'insegnamento. (Il Rosa possedeva molti campi
ed aveva un solo figlio di 10 anni avviato a far il sarto e quindi aveva tempo libero solo in inverno
quando non si lavorava nei campi). Inoltre i due maestri dovevano accompagnare tutti i giorni, con la
bacchetta in mano, gli alunni ad ascoltare: "con la più possibile modestia la santa messa."15
Della Parrocchia di Vercurago, nell'archivio plebano di Olginate, vi sono alcuni antichi documenti,
consultati anche dal sacerdote Mario Tagliabue negli anni precedenti la guerra, per la sua ricerca su
Cremellina. Si tratta di atti di nomina del Rettore della locale chiesa a cui spettava anche di celebrare
nelle Cappelle di S. Giovanni di Cornedo (l'attuale chiesa detta del Beato Serafino di Chiuso) e di S.
Barnaba di Cremellina, anche se quest'ultima cappella e località già dalla fine del 1300 non esisteva
più. Si può desumere che in questi atti quest'ultima vi figurasse come titolo onorifico più che come
affermazione della esistenza della stessa.
Nel 1491 il sacerdote Pietro de Benaglio del fu Petrolo rassegna le dimissioni dalla carica. A sostituirlo
viene proposto, da parte della parentela dei Benaglio, a cui spetta la scelta del Rettore della chiesa di
Vercurago, il sacerdote Martino de Bolis "de nobili genere procreatum" e già rettore della chiesa di
Fuipiano in Valle Imagna. Il 4 agosto il Bolis viene ufficialmente presentato, nella chiesa di Santa
Margherita di Olginate, al Prevosto di Garlate, Giovanni de Bassi, al quale spettava da antichissimo
tempo di dare il suo assenso alla nomina. In questi atti sono elencati tutti i componenti l'antica e potente
famiglia dei Benagli a partire dal Conte Marco del fu Guidoto a Bernardino Sozzi del fu Giacomo ed
altri residenti in Bergamo, oltre a quelli abitanti in Calolzio, Vercurago e Somasca.16
Un documento della metà del Seicento ci apre, invece, uno squarcio di luce su di una triste realtà di
quei tempi: i molti omicidi che si compivano nella Valle. Solo a Vercurago, nella zona antistante la
Chiusa, tra il 1590 ed il 1629 si contarono 5 omicidi e diversi ferimenti di persone.
Il documento in oggetto, dell'ottobre del 1649, oltre a descrivere l'atto dell'omicidio, è uno specchio di
una visione alquanto notarile della vita e della morte di un uomo. 17
In quel giorno, a Vercurago, viene assassinato, mentre si trovava nella sua "canepa", cioè nel
seminterrato della casa, un notabile del luogo, Giovan Andrea Borello fu Crisostomo del casato dei
Benaglio. Colpito, verso le sette di sera, da una archibugiata sparatagli attraverso una finestrella che si
apriva sulla strada, il Borello muore praticamente sul colpo. Poiché egli non si era confessato nella
Pasqua precedente, secondo le norme ecclesiastiche vigenti a quel tempo non era possibile dargli 15 A.P.Ol.: P-P/ IV, cart.5, n°431; vedi doc.n°3
16 A.P.Ol.: P-P/ II, cart.1 n° 296-297
17 A.P.Ol.: P-P/ II, cart.2 n° 306, vedi doc.n°4
sepoltura in luogo sacro e per questo il Prevosto di Olginate e Vicario dell’Inquisizione, don Giovan
Battista Ferrario, aveva proceduto ad interrogare le persone presenti al fatto per appurare se "in articulo
mortis num dederit saltem signa contritionis nec non ad effectum ut eiusdem sepulture dari nec non
possit" cioè se avesse dato segno di contrizione prima della morte, per sapere se si potesse dargli
sepoltura in luogo sacro.
Il racconto delle tre persone che erano con lui al momento dello sparo, il chierico Giuseppe Benaglio di
Vercurago, Carlo Biffi di Oggiono e Bernardo Volpe di Somasca, è tragicomico e descrive la paura e il
panico che si era creato nella canepa dopo lo sparo. La domanda più persistente loro rivolta era di
questo tenore: "se detto Borello morisse senza dire parolla alcuna, ne dare alcun segno di contritione"
ma il primo pensiero dei presenti fu quello di fuggire e non di prestare attenzione se il Borello dicesse
qualcosa, quindi davanti all’inquisitore cercano di barcamenarsi abbozzando che forse il moribondo ha
espresso il suo pentimento.
Il chierico Giuseppe Benaglio, dopo aver sentito lo sparo così vicino che: "ci venne la fiamma della
polvere sino sopra la tavola et si smorzò la candella", scappò verso l'uscita della cantina dove "ivi
restando io dubioso chi di noi fuosse colpito, cominciai prima di fare riflessione a me stesso, e poi
accorgendomi d'haver appresso detto Carlo Biffo a lui dimandai con somessa voce s'era lui colpito, et
in quel mentre sentissimo il signor Borello che fece una voce come di spirante, et così dissi io è colpito
il signor Borello et alhora gionse al uschiola la di lui serva con la candella in mano, et riguardando
perciò tutti detto signor Borello il medessimo già era spiratto, a tanto che se bene mi si gli accostai io
et gli dissi si ricordasse del Signor Iddio non m'avidi però che mi dasse ascolto...".
Ed è su quel rantolo "come di spirante" che divergono le interpretazioni dei testi. Il Benaglio afferma di
aver capito che il Borello disse "O Jesus" mentre il Biffo dichiara che "gli pare dicesse Oimè Jesus ma
non lo sò di sicuro." Sollecitato a chiarire il perchè non è sicuro il teste fa capire che in fondo non è un
cuor di leone, e lo "smaritio o timore o spavento mi portò fuora di me che ero lì attacato a lui e
dubioso anch'io d'essere colpito".
Anche dalla testimonianza del Volpe affiora la paura ed il panico provato al momento dello sparo.
Infatti fra le altre risposte egli dice: "Lui può havere e fatto atti et detto parole, che a dirla la verità, io
non gli diedi ascolto, tanto restai atterito in sentire rimbombare quella caneva per quella botta
dell'archibugiata, et dico a Vostra Signoria che tanto rimbombò e fece tanto fracasso, che ancor che
puossa essere che gridasse e gridasse forte, io con tutto ciò non lo puotei sentire ..." e si giustifica
dicendo: "se non fuosse morta la candella, la quale morse per il colpo, forsi non mi sarei sbigotito
tanto, et haverei atteso a quanto che lui faceva et diceva .."
Molto sottile ed umoristica è la sua risposta al Prevosto che gli chiedeva se per lui il Borello sia morto
"con dolore de suoi peccati sì o no" egli dice che siccome il dolore materiale per i propri peccati non si
sente "non si può dire ne bene ne male caro signor Prevosto."
Anche il parroco di Vercurago viene interrogato sulla condotta morale del suo parrocchiano ed egli
minimizza la mancata comunione pasquale del Borello dicendo che "non ho osservato in lui vitio grave
di bestemmia (...) non l'ho interdetto perchè di volta in volta che io l'ho avisato in persona o l'ho fatto
avisar d'altri, ha sempre risposto che voleva confessarsi ..."
Non sappiamo con certezza dove infine il signor Borello sia stato sepolto. Però abbiamo una supplica
inviata al Prevosto Ferrario dai parenti più prossimi del Borello, i signori Paolo Castagna di Chiuso e
Andrea Zambelletti di Corte, affinché si permetta la sua sepoltura, se non in chiesa, almeno nel
cimitero. In calce al documento che raccoglie la deposizione dei testi, un appunto riporta i risultati di
una votazione fatta tra i sacerdoti della Pieve delegati a decidere sulla sepoltura. Esso dice : "in chiesa 3
cum dubio, in cemeterio 8 cum dubio, fora nessuno", il che ci autorizza a pensare che infine il signor
Andrea Borello sia stato sepolto nel cimitero di Vercurago.
Somasca, assieme al Lavello era ed è il centro devozionale e religioso della Valle S. Martino.
In Somasca svolse il suo apostolato S. Girolamo Emiliani e alla Congregazione da lui fondata venne
affidata, dal card. Carlo Borromeo, la cura dei suoi abitanti quando, nel 1566, Somasca venne eretta in
parrocchia autonoma staccandola da Calolzio.
Nell'archivio di Olginate, vi è un documento molto interessante legato alla memoria di S. Girolamo.
Si tratta di una deposizione fatta il 5 agosto 1624 davanti al Vicario foraneo delle Pievi di Lecco e
Olginate, don Giovanni Battista Longo, dal possidente e pescatore Costantino Pescarenico abitante in
Olginate. Il Pescarenico, aderendo all'invito fatto a coloro che possono provare i meriti del Beato
Girolamo Emiliani fondatore della Congregazione di deporre sui fatti: "in occasione della venuta del
Signor Vicario Generale", testimonia su ciò che aveva sentito dire da suo nonno sui prodigi fatti dal
beato. Egli racconta il prodigio della botte sempre piena di vino, fatto famoso in Olginate e tramandato
da generazione in generazione, tanto che fino a pochi decenni fa si diceva "la sarà mia la böta del
Pescarena" per dire di una cosa che non finiva mai.
Il beato Girolamo che tutti "per bona vita che menava lo tenevano per santo", passava spesso per
Olginate e molte volte si fermava nella chiesa di Santa Margherita a spiegare la dottrina cristiana agli
abitanti. Un giorno d'estate il Santo, accompagnato da 35 o 36 orfani, stava uscendo dalla chiesa
quando venne invitato da Battista Pescarenico detto il Moro, nonno di Costantino, a dissetarsi nella sua
casa. Però la moglie, di nome Diamante, sapeva che aveva in casa poco vino perchè il "vasello era in
setono (mezzoritto) et con pocho vino perchè quello anno non se ne haveva fatto per la tempesta .." e
quindi si oppose alla pretesa del marito di dare da bere a tutta quella gente. Ma di fronte alla insistenza
di questi, che non voleva far brutta figura davanti al Miani che stimava tanto, si mise a spillare il vino e
con somma sua sorpresa questo bastò per tutti e dalla botte continuò ad uscirne fino al nuovo raccolto
"et deto vasello se bene era in setono li stette sempre dentro vino sin al novo raccolto dell'altro vino."
Prosegue poi raccontando che anche un suo figlio di nome Fermo, prete e cappellano in S. Margherita
di Olginate, guarì per intercessione di S. Gerolamo da una malattia così grave che “all'hora non
l'haveria datto per una lira di trolli.” Essendo un giorno andato a Somasca a portare dei pesci a quei
Padri e parlando con loro della malattia del figlio fu da essi consigliato di pregare il Santo che faceva
grandi miracoli. Costantino accettò il suggerimento e quindi pregò il cuciniere, un certo messer Andrea,
di recarsi "in quello loco dove il Beato Gerolamo faceva penitentia a pigliare del'aqua da una
fontanella dove beveva il Beato mentre viveva ..."
Il cuciniere ritornò con "sei cugiali" di quell'acqua che Costantino fece poi bere al figlio il quale
"comenciò subito a migliorare et in breve per li meriti del Beato sorse sanno da detta infermità." 18
Per la storia questo prete Fermo divenne poi parroco di Vercurago e quindi, dal 1631, di Calolzio, dove
morì nel 1651.
Di Lorentino, la cui chiesa è di antichissima origine, tanto da far dire all'inizio del 1600 che "la
fondatione de la chiesa parrocchiale di Santa Brigida di Lorentino non si trova nè homo antico ne sà",
può essere interessante la descrizione dell'edificio sacro fatta nel 1608 dal curato, il rev. Battista
Ravasio. 19
L'altare maggiore di questa chiesa era posto "ne la capela vechia ovata e tutta dipinta con Dio padre in
mezo con il figlio che incoronano la Madonna, con angeli che sonano la viola e piato, e li 4
evangelisti, soto l'arco vi sono 8 perfeti con l'agnello in mezo e S. Lorenzo e S. Stefano e diverse altre
piture.” Il Curato prevedeva che l'anno seguente questa Cappella maggiore o Presbiterio venisse