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ALFABETO EBRAICO BIBLICO
Dario Giansanti
LINGUA E LETTERATURA EBRAICA
L'ebraico è una lingua appartenente al ramo semitico della
grande famiglia afroasiatica. È inoltre la lingua della Bibbia, e
solo per questa ragione meriterebbe di essere studiata al di fuori
dei circoli dei filologi e dei teologi. Lingua dalle origini
remotissime, le prime tracce dell'ebraico si trovano in antiche
iscrizioni rinvenute dagli archeologi nella regione dell'odierna
Palestina. In epoca classica rimase ancora come lingua del culto,
allorché la lingua della Palestina era l'aramaico. Dopo la Diaspora
degli Ebrei e la loro dispersione tra i gentili, per quasi due
millenni l'ebraico postbiblico rimase relegato nelle sinagoghe,
oppure usato come lingua letteraria nelle opere rabbiniche. Dopo la
fondazione dello stato d'Israele, l'ebraico è tornato a nuova vita,
caso quasi unico nella storia delle lingue, sviluppandosi
nell'odierno neoebraico.
Lingua semitica, dunque affine all'arabo, l'ebraico presenta
tutte le principali caratteristiche di questo grande gruppo
linguistico. Foneticamente, uno stop glottale, una serie di
aspirate e faringali, varie consonanti faringalizzate. Dal punto di
vista grammaticale predomina il triletterismo: ogni parola è
caratterizzata da tre consonanti radicali, e declinazione e
coniugazione sono affidate alle variazioni interne delle vocali.
Assai simile all'arabo nel consonantismo, l'ebraico presenta però
uno sviluppo mirabile del sistema vocalico.
LESSICO FONDAMENTALE UOMO ĀDĀM CIELO ŠĀMAYĪM ACQUA MAYĪM DONNA
IŠŠĀH TERRA ẸRẸSS ALBERO ĒSS PADRE ĀB SOLE ŠẸMẸŠ CANE KẸLẸB MADRE
ĒM LUNA YĀRĒAHH GATTO HHĀTÛL
L'ALFABETO
Come la maggior parte delle scritture semitiche, l'alfabeto
ebraico è di tipo abjad, cioè esclusivamente consonantico. Consta
infatti di 22 lettere, tutte consonanti, il cui numero e ordine si
trova già nelle Lamentazioni di Geremia e in altri carmi alfabetici
della Bibbia, quali i Salmi. La scrittura procede da destra a
sinistra. Le lettere sono caratterizzate da una o più tozze linee
orizzontali dalle estremità oblique o arrotondate, connesse da
linee verticali più sottili, dalle
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caratteristiche estremità tracciate a forma di clava. Molto
lettere hanno forme molto simili, ragione per cui è necessario fare
attenzione alla presenza di grazie e al tipo di connessione tra
elementi orizzontali o verticali.
Nelle antiche scritture, le parole non potevano essere spezzate
per andare a capo (tra gli Ebrei la parola scritta assumeva una
particolare sacralità che ne impediva di fatto la frammentazione);
alcune lettere venivano peròe opportunamente allungate finché la
parola non arrivava alla fine del rigo. Negli stampati odierni
quest'uso è ormai scomparso.
L'alfabeto ebraico viene ancora usato, praticamente immutato,
per scrivere l'odierno neoebraico. Nel corso dei secoli è stato
anche usato per scrivere le parlate dei luoghi di residenza degli
Ebrei, come ad esempio il ladino (il dialetto spagnolo degli Ebrei
di Spagna) e lo jiddisch (la parlata tedesca degli ebrei
dell'Europa centro-orientale).
IL SISTEMA CONSONANTICO
Le 22 lettere dell'alfabeto ebraico sono tutte consonanti:
Il sistema presenta le tipiche classi di suoni (aspirate,
glottidali e faringali) delle lingue semitiche. In particolare
notiamo l'importante lettera segnata in trascrizione con lo spirito
dolce del greco:
Si tratta della famosa ālẹp, l'importante consonante muta tipica
delle lingue semitice, compreso l'antico egiziano. All'inizio di
parola funge semplicemente da aggancio vocalico (in questo caso
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viene omessa in trascrizione), mentre nel mezzo della parola
corrisponde invece a un colpo di glottide, praticamente ad un
istantaneo arresto nell'emissione del suono.
La lettera h [hē] rappresenta la fricativa glottale sorda.
Corrisponde all'aspirazione iniziale della parola inglese
"house".
Queste due lettere sono rispettivamente la faringale sorda e
sonora, quest'ultima resa in trascrizione come lo spirito aspro del
greco. Il loro punto di articolazione è più arretrato di quanto non
sia per h. Consistono in una sorta di raschio ottenuto col
passaggio forzato dell'aria attraverso la gola. In particolare, la
sorda hh [hhēt] suona come una specie di h fortemente strozzata,
mentre la sonora ´ [´ayin] si ode come un curioso schiacciamento
della vocale successiva.
È una consonante uvulare, una sorta di k articolata in fondo al
velo palatino, simile alla c italiana di "cubo". La lettera q [qōp]
va tenuta ben distinta da k che è invece il normale suono velare di
"china".
Le consonanti faringalizzate formano un gruppo tipico delle
lingue semitiche. Tale gruppo si era piuttosto ridotto nell'ebraico
biblico, dove rimanevano soltanto le consonanti tt e ss [ttēt e
ssādẹ] a costituire le rispettive forme faringalizzate delle
normali dentali t ed s.
Ricca la serie delle sibilanti. In particolare, z [zayin]
corrisponde alla s sonora italiana di "rosa" e s [sāmẹk] si
pronuncia come la s sorda di "sole".
La penultima lettera, anch'essa una sibilante, consiste in
realtà in due lettere. Sta a distinguerle la posizione di un punto
posto sopra la lettera, anteriormente o posteriormente: ś [ śīn] si
pronuncia ancora come la s sorda di "sole", mentre š [ šīn]
corrisponde al suono sc(i) dell'italiano "sciocco".
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Per concludere, w e y [waw e yod] sono semiconsonanti, come la u
e la i delle parole italiane "uovo" e "ieri".
DĀGẸŠ LENE
Un punto posto nel corpo della lettera, chiamato dāgẹş serve a
distinguere l'intensità della pronuncia delle consonanti, in
diversi modi, come ora vedremo.
Un asse di opposizione, nella fonetica ebraica, gioca sul
contrasto tra consonanti occlusive e fricative. Essa riguarda le
sei consonanti b g d k p t [bēt, gimẹl, dālẹt, kap, pē e tāw], le
quali possono presentare sia la pronuncia occlusiva che quella
fricativa.
Si chiama dāgẹş lene il punto, posto nel corpo della lettera,
che attua la distinzione:
Quando le consonanti b g d k p t sono dotate del dāgẹş lene,
hanno suono occlusivo, pronunciandosi come da trascrizione.
Quando tali consonante sono prive del dāgẹş lene, la durata del
loro suono si prolunga nel tempo e da occlusive si trasformano
nelle rispettive fricative. In trascrizione vengono talvolta
segnate bh gh dh kh ph th (o utilizzando v ed f in luogo di bh ed
ph), ma più correttamente si usa porre una lineetta sotto la
lettera per indicarne l'avvenuta trasformazione:
• Nel caso delle occlusive labiali p e b, il loro suono viene
adesso soffiato tra le labbra, arretrando contemporaneamente in
posizione labiodentale, sicché le rispettive fricative p e b
vengono a udirsi come la f italiana di "faro" e la v italiana di
"vento".
• Nel caso delle occlusive dentali t e d, le rispettive
fricative t e d finiscono per rassomigliare al th sordo e sonoro
dell'inglese "thing" e "that".
• Nel caso delle occlusive velari sorda e sonora k e g, le
rispettive fricative k e g corrispondono al ch tedesco di "Bach" e
alla g spagnola di "general".
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DĀGẸŠ FORTE
Al contrario del lene, il dāgẹš forte riguarda tutte le
consonanti tranne ` h hh ´ r [ ālẹp, hē, hhēt, ´ayin e rēš].
Come il lene, il dāgẹš forte consiste anch'esso in un punto
posto nel corpo della lettera, ma in questo caso nota la
geminazione della consonante, che viene ad avere un suono
rafforzato.
Vediamo qualche esempio di raddoppiamento:
Anche una delle sei consonanti occlusive b g d k p t [bēt,
gimẹl, dālẹt, kap, pē, tāw], già dotata di dāgẹš lene, può essere
geminata dal dāgẹš forte: in tal caso i due dāgẹš si fondono in un
unico punto nel corpo della lettera. Solo la pratica può aiutare il
lettore a distinguere la presenza del dāgẹš forte in una consonante
già naturalmente dotata di dāgẹš lene; si tenga comunque presente
che una consonante geminata è sempre preceduta da una vocale
breve.
Come abbiamo visto il dāgẹš può interessare tutte le consonanti,
tranne ` h hh ´ r [ ālẹp, hē, hhēt, ´ayin e rēš]. Le gutturali h e
hh [hē e hhēt] possono però essere pronunciate rafforzate senza che
la geminazione venga rappresentata graficamente dal dāgẹš: si parla
in tal caso di "geminazione implicita" o "virtuale". Ne è segno,
ancora una volta, la presenza di una vocale breve precedente.
Le consonanti senza dāgẹš venivano un tempo contrassegnate da
una lineetta orizzontale posta sulla lettera, chiamata rapẹ, segno
che la consonante andava pronunciata debolmente. Nelle Bibbie
moderne lo si omette come superfluo o lo si adoperta solo per
evitare ambiguità.
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CONSONANTI FINALI
Le cinque consonanti k m n p ss [kap mēm nûn pē ssādẹ] hanno una
forma specifica da utilizzarsi quando la lettera cade alla fine
della parola:
SCHEMA GENERALE
Ed ecco uno spaccato generale dell'alfabeto ebraico, con le
forme alternative e la loro pronuncia:
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SISTEMA VOCALICO
L'ebraico, al contrario dell'altra grande lingua semitica,
l'arabo, che è piuttosto povera di vocali, presenta uno spettro
vocalico insolitamente ricco e variegato. Le vocali fondamentali
sono sette:
Qui, ẹ ed e sono rispettivamente la e aperta e chiusa
dell'italiano "pèsca" e "pésca"; ọ ed o sono rispettivamente la o
aperta e chiusa dell'italiano "però" e "pero".
Vi è inoltre la vocale neutra schwa, che in trascrizione è
segnata con una piccola e posta in esponente.
In ebraico le vocali possono essere brevissime, brevi, medie e
lunghe. Tra i vari gruppi vi è differenza non solo di lunghezza, ma
anche di colore, essendo le vocali brevi e brevissime generalmente
aperte, mentre le medie e le lunghe sono chiuse. Tra medie e
lunghe, inoltre, non v'è differenza di lunghezza, essendo entrambe
le classi pronunciate ugualmente lunghe; la differenza piuttosto è
etimologica, essendo le lunghe derivate da antichi dittonghi. Non
tutti i gruppi comprendono le sette vocali, come ora vedremo.
• Le brevissime vengono contrassegnate con un accento breve:
• Le brevi non presentano diacritici:
• Le medie sono contrassegnate con un macron:
• Le lunghe con un circonflesso:
VOCALI BREVI
La scrittura tradizionale ebraica non segna le vocali, e quando
si leggevano le Scritture bisognava evitare al massimo le
ambiguità. Le notazioni vocaliche vennero introdotte soltanto verso
il VII secolo dai "puntatori" [naqdanîm]. Costoro idearono e
applicarono al testo consonantico tradizionale un sistema di punti
e lineette, da disporre sopra o sotto le lettere, allo scopo di
facilitare e assicurare la retta pronuncia del libro sacro.
Ne sortì un sistema assai preciso e complicato, per quattro
serie di vocali: lunghe, medie, brevi e indistinte.
I diacritici posti a indicare le vocali brevi sono: patahh,
segōl, hhîrẹq, qāmẹss e qibbûss.
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Vediamo qualche esempio:
VOCALI MEDIE
Le vocali medie sono distinte dai seguenti diacritici: qāmẹss,
ssērê, hhîrẹq e hhōlẹm.
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Si sarà notato che ci sono due segni in comune tra la serie
delle brevi e quella delle medie; il qāmẹss indica qui la ā media e
là la o breve, l'hhîrẹq indica qui la ī media e là la i breve. In
pratica, però, non esiste confusione perché le vocali medie e brevi
càpitano in contesti diversi (ma qui il discorso si fa complicato
giacché entra in gioco la posizione dell'accento tonico e il tipo
di sillaba). In caso di ambiguità si usa un segno chiamato mẹtẹg
"freno", il cui compito è di rallentare la velocità di pronuncia
del qāmẹss o del l'hhîrẹq, distinguendo così le brevi dalle
medie.
Vediamo alcuni esempi di vocali medie:
Quando un punto hhōlẹm (cioè una ō media) è seguito da una šīn
palatale, oppure quando è preceduto da una śīn sorda, il punto
hhōlẹm si fonde col punto della šīn.
VOCALI LUNGHE
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Le vocali lunghe si compongono delle medie più la semivocale yōd
o wāw. Questo perché le lunghe derivano da antichi dittonghi (ay,
ey, ow, etc.) il cui secondo elemento si è perso. La pronuncia è in
ogni caso indistinguibile da quella della vocale media. Alcune di
queste vocali lunghe, come â lunga, sono usate solo raramente.
Esempi:
VOCALI BREVISSIME
L'ultimo gruppo di vocali dell'ebraico è quello delle brevissime
o indistinte.
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Queste sono caratterizzate da un segno chiamato šewa mobile,
costituito da due puntini verticali posti sotto la lettera.
Lo šewa mobile è due specie: lo šewa "semplice", indicato per
segnare la vocale semimuta (la e francese di "petit"), e lo šewa
"composto", così chiamato perché combinato con patahh, segōl e
qāmẹss forma una serie di tre semimute colorate rispettivamente con
le vocali a e o e pronunziate assai rapidamente.
Esempi:
ASSENZA DI VOCALE
Identico nell'aspetto allo šewa mobile, che nota la vocale
semimuta, è lo šewa quiescente, che indica in realtà assenza
assoluta di suono vocalico.
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Vediamo qualche esempio:
Di norma lo šewa quiescente non viene mai segnato nelle
consonanti finali di parola, tranne che nella kap (si vedo
l'esempio precedente).
A distinguere lo šewa quiescente dallo šewa mobile interviene in
certuni casi il segno meteg, "freno", che cade sulla sillaba
precedente qualora la vocale sia lunga o breve. Ma vedremo meglio
in seguito l'uso del mẹtẹg.
VOCALE FURTIVA
Quando il diacritico patahh, che normalmente segna la vocale a
breve, si trova sottoposto ad una consonante gutturale in fin di
parola, allora assume il timbro di una "a" piuttosto vaga,
pronunciata prima della consonante e fusa con la vocale precedente
in una specie di rapido dittongo. Si tratta del cosiddetto patahh
furtivo:
Vediamo qualche esempio:
IL MAQQẸF
Il maqqẹf è una linea grassetta posta in alto tra due parole per
formarne un gruppo fonetico. In tal caso la parola che precede il
maqqẹf perde l'accento, diviene proclitica e spesso è costretta ad
abbreviare qualche sua vocale.
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ACCENTAZIONE
Il sistema di accenti dell'ebraico biblico è straordinariamente
complesso e concettualmente diverso da quello delle lingue basate
sull'alfabeto latino. Gli accenti usati nella Bibbia hanno una
triplice funzione:
1. Funzione musicale, per indicare il tono recitativo con cui il
testo sacro doveva venir letto. Col tempo però la nozione melodica
è andata perduta.
2. Funzione tonica, in quanto indicavano la sillaba su cui
poggiava l'accento tonico delle singole parole (e questo un po'
come in italiano).
3. Funzione pausale, per correlare le parti del periodo e
guidare all'esatta comprensione del testo. Gli accenti pausali
potevano essere sia disgiuntivi per separare gli elementi del
periodo (e in questo erano analoghi ai nostri punti
d'interpuntizione), sia congiuntivi per indicare il nesso esistente
tra una parola e la seguente.
La bizzarria di questo sistema, almeno dal nostro punto di
vista, sta nel fatto che in pratica nella scrittura ebraica il
"punto" e la "virgola" non vanno messi alla fine del periodo, ma
come accenti sulla sillaba tonica dell'ultima parola.
Vi erano inoltre accenti non tonici, che venivano applicati alla
lettera iniziale o finale della parola (si parla dunque di accenti
prepositivi o pospositivi) senza riguardo alla sillaba tonica.
Gli accenti disgiuntivi erano:
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Gli accenti congiuntivi:
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Si tenga comunque presente che nei tre libri poetici della
Bibbia (Salmi, Giobbe, Proverbi), il sistema di accenti era
differente. Se nel verso vi erano due grandi pause, queste erano
segnate dai seguenti accenti:
Attenzione. In certi casi, alcuni accenti (come zāqēp) venivano
disposti su una qualunque lettera, senza riguardo alla reale
accentuazione, ma semplicemente per distinguere quella parola da
un'altra omofona.
IL MẸTẸG O "FRENO"
L'accento mẹtẹg ["freno"] è una linea verticale simile al sillûq
che, posta sotto una vocale media o lunga, indica che su quella
vocale cade un accento secondario.
Il mẹtẹg è molto utile perché, per una serie di motivi legati al
fonetismo degli accenti, aiuta a fare molte importanti
distinzioni.
Una vocale col mẹtẹg è spesso separata dalla tonica da uno šewa
mobile: il mẹtẹg è dunque un indizio sicuro per identificare lo
šewa mobile; in assenza del mẹtẹg si ha invece lo šewa
quiescente.
Inoltre, cadendo soltanto su vocali medie o lunghe, il mẹtẹg
aiuta a distinguere quelle mozioni vocaliche che possono essere
facilmente confuse, per esempio la ā media dal la o breve (indicate
entrambe dal qāmẹss) o la ī media dalla i breve (indicate entrambe
dall'hhîrẹq).
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L'ERRATA CORRIGE DEI MASSORETI
In certi punti sembrava ai massoreti che il Testo Sacro fosse
errato, e quindi fu creato un apposito diacritico per l'errata
corrige. Questo segno, chiamato qerê (un cerchietto posto sulla
parola sbagliata), rimanda infatti alla lettura corretta che veniva
scritta al lato del testo. Vi era il segno di modificazione, dove
la parola andava sostituita con un'altra, il segno di inserzione di
una parola mancante, il segno di soppressione di una parola
superflua.
Vi era infine il qerê perpetuo per alcune parole più frequenti,
in cui la parola stessa veniva corretta direttamente nel testo.
SEGNI D'INTERPUNTIZIONE
L'unico vero segno d'interpuntizione nell'ebraico biblico è il
cosiddetto sôp pasûq, due punti che venivano posti a segnare la
fine del verso.
VALORE NUMERICO DELLE LETTERE
L'ebraico (come del resto il greco) attribuiva alle lettere dei
particolari valori numerici, sicché in ebraico si potevano
esprimere numeri usando appunto le lettere. Il sistema di
numerazione era puramente addittivo.
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Il fatto di poter convertire le lettere in numeri e viceversa ha
portato, nella mistica ebraica, all'importante metodo divinatorio
detto "gematria", dove si cercavano relazioni tra parole e nomi
della Bibbia correlandone i valori numerici e viceversa. Si tratta
di un campo d'indagine affascinante, che presenta molti
addentellati con le più complesse teorie cabalistiche. Il poco
spazio a disposizione impedisce di approfondire questo interessante
discorso.
IL NOME DI DIO
Normalmente per indicare "Dio" si usano in ebraico varie
espressioni come:
Ădōnāy ["Signore"] è chiaramente un appellativo.
Ēl ["dio"] è un termine generico, valido tanto per Dio quanto
per qualunque divinità pagana. Stupirà sapere che la Genesi usa
anche, nei confronti di Dio, il termine Ẹ̆lōhîm, che altri non è
che il plurale di Ēl; il verbo però viene sempre messo al
singolare.
In Esodo (3: 14), Dio stesso parlando a Mosè si nomina Ẹhyẹh
["Io sono"], da cui il termine derivato Hāyāh ["È", "Colui che
è"].
In quanto al vero Nome Divino, esso non veniva mai pronunciato.
Nel citarlo, le copie della Bibbia usavano il nudo scheletro
consonantico YHWH, tralasciandone volutamente le vocali. È il
cosiddetto Tetragramma, che tanto importanza avrebbe avuto in
seguito nella mistica ebraica:
I massoreti introdussero nel testo biblico un qerê perpetuo e
fecero in modo che, al fine di poter leggere i versi, alle
consonanti del Nome venisse data la vocalizzazione di Ădōnāy.
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Fu così che, con alcuni passaggi fonetici, il Tetragramma
assunse la pronuncia di Yehōwāh, che in realtà è solo una lettura
convenzionale, ma non è la vera pronuncia del Nome. Quale che sia,
la vera pronuncia è dimenticata. È inutile riferire qui le
argomentazioni dei biblisti, che pretendono di ricostruire il Nome
Sacro da sottili analisi filologiche e fonetiche, aiutandosi dagli
accenni degli scrittori classici. Per quel che mi riguarda, se gli
Ebrei hanno voluto nascondere il nome del loro Dio, avranno avuto
le loro buone ragioni.
PATRIARCHI E RE BIBLICI
Concludiamo il nostro lavoro, dando la forma originale del nome
di alcuni dei più noti patriarchi e re biblici:
BIBLIOGRAFIA E LETTURE CONSIGLIATE
• Carrozzini P. Antonio: Grammatica della lingua ebraica.
Marietti 1960 [1984]. • Schölem Gershom: Il Nome di Dio e la teoria
cabalistica del linguaggio. Adelphi 1970
[1998]. • Schölem Gershom: La Cabala. Mediterranee 1992.
UN MONDO DI SCRITTURE
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Le scritture ebraiche: Alfabeto Ebraico BiblicoLe scritture
ebraiche: Alfabeto NeoebraicoLe scritture arabiche: Introduzione Le
scritture arabiche: Alfabeto SudaraboLe scritture arabiche:
Alfabeto AraboLe scritture arabiche: Alfabeto Persiano
L'ANGOLO DI DARIO