Aggredire la superficialità. Viaggio ad Auschwitz degli studenti di Scuola Secondaria di Primo Grado di Montalto e Pescia Romana, marzo 2015. Progetto finanziato dall’Amministrazione Comunale di Montalto di Castro – Assessorato alla Cultura. È bene chiarirlo subito. Questo viaggio nella memoria sarebbe bene compierlo tutti, almeno una volta nella vita. Per essere meno superficiali e per dare senso e autenticità ad ogni manuale di storia! Qualcuno dice che arrivi ad Auschwitz-Birkenau con la storia studiata, e capisci che qui puoi studiarla in un’altra maniera. Confermo. Il viaggio in Polonia promosso dall’Assessorato alla Cultura di Montalto è stato un vero e proprio laboratorio sperimentale, tanto per gli studenti delle classi Terze quanto per i loro accompagnatori insegnanti. Si legge e studia la Shoah in classe attraverso i libri, in un modo che risulti comprensibile a degli adolescenti che si affacciano per la prima volta, alla loro età, ad alcuni drammi della storia del Novecento; vedi che l’argomento incuriosisce, che la narrativa letta in aula coinvolge i ragazzi, che c’è fame di sapere, che qualcuno si commuove anche, davanti alla conoscenza, alla vergogna, alla consapevolezza, alla pietà. Poi la sorpresa di poter fare un viaggio nei luoghi della memoria. Una gita, come se ne fanno tante? Veramente no. Certo, è fantastico prendere l’aereo e andare all’estero, visitare una città come Cracovia, visitare le famose miniere di sale, patrimonio dell’Unesco, scegliere il souvenir da portare a casa; ma la vera sorpresa per noi insegnanti è scoprire che i ragazzi vivono con trepidazione l’attesa per una giornata in particolare, quella dedicata alla visita dei campi di concentramento. È il baricentro di questo viaggio, ce ne accorgiamo dai discorsi degli alunni, dalle chiacchierate informali, dai messaggini sui cellulari con le famiglie. Arriva il giorno prestabilito, siamo ad Auschwitz. Nel parcheggio dei tanti pullman c’è una babele di lingue incredibile. Poi si entra nel campo, e c’è un silenzio pressoché assoluto, nonostante le centinaia e centinaia di visitatori in gruppi, ognuno con la propria guida, ognuno con un auricolare dove ascolta la spiegazione, i numeri della tragedia. Rimaniamo tutti basiti davanti ad una macchina dell’orrore così ben congeniata e oliata. Camminiamo tra i reticolati e i blocchi di detenzione, tra sguardi attoniti. Alcuni visitatori portano fiori. Altri si commuovono, a una distanza di settanta anni dai fatti accaduti lì. Alcuni sono lontani parenti, la maggior parte no. Se togli un attimo le cuffie, il silenzio torna ad essere sovrano, ed il motivo è che questo è un luogo sacro, cimitero nazionale polacco. Entriamo dentro ai blocchi di detenzione adibiti a museo e scopriamo il “privato dei deportati”, che si avvia a diventare pubblico (per i milioni di visitatori che percorrono ogni anno quei luoghi muniti di fotocamere e