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IL TEMA DELLA PALAZZINALABORATORIO D’IDEE E DI SPERIMENTAZIONI
PROGETTUALI
Palazzina. Questo termine, entrato nell’uso nel Rinascimento
come vezzeggiativo di palazzo designò alle sue origini piccoli
edifici posti all’interno di parchi e giardini destinati ad of
frire asilo durante feste e partite di caccia ... La palazzina,
figlia del «villino signorile»... iniziò così negli anni ’20 la sua
parabola distruttiva nei confronti dell’organismo città,
sostituendo il tessuto con-tinuo tipico della città antica, un
tessuto discontinuo in cui i volumi edilizi sono accostati l’uno
all’altro senza che alcuna relazione formale li colleghi divisi
solo da un’esile striscia di verde, di solito suddivisa dalle alte
murature erette sui confini dei lotti ... (P. Portoghesi, L’angelo
della storia, Laterza, Bari 1982).La principale motivazione di
“palazzine romane” è quella di affrontare il «tema della
valutazione economica di tale tipo edilizio». Ed anche di
riguardare quest’ulti-mo sotto un nuovo angolo visuale, per
considerare e dibattere della possibilità di conservazione e di
restauro di dette palazzine. La ricerca è destinata ai
proprieta-ri–possessori, assai spesso inconsapevoli di abitare
opere d’arte. Anche agli studiosi ovviamente, appassionati delle
“atmosfere” alle quali s’ispiravano gli autori. È destinata alla
nuova e diversa borghesia quella che si dovrebbe, a detta di molti,
ripresentarsi in un immediato futuro sulla scena italiana; è
destinata a coloro che in-tendono l’architettura come costruzione
di qualità e tassello essenziale della cultura. Per questo le
palazzine debbono essere riportate nel loro proprio alveo di
ricerca: il frenetico sviluppo edilizio di Roma e le conseguenti
novità legislative che allora s’imposero. Ma qualsivoglia
operazione specificatamente tecnica, storica, sociologi-ca,
politica, letteraria non potrebbe essere valida se rinunciasse a
indagare circa le vere ragioni che hanno spinto, all’inizio del
Novecento, a ricorre a tale tipo edilizio. Manca forse oggi, una
più approfondita analisi di certe espressioni, dei precipui
caratteri distintivi degli imprenditori–costruttori di palazzine,
delle qualità (non solo tecniche, ma soprattutto intellettuali)
degli architetti e ingegneri che progettarono e realizzarono
palazzine di qualità per almeno cinquanta–sessanta anni. Dai primi
esperimenti al quartiere Pallavicini, a nord–est di Villa Borghese,
giudicate con favore dall’amministrazione municipale, si passò
infatti rapidamente, all’applicazione costante di regole spesso
provvisorie, eppure sufficienti ad innescare una produzione
inarrestabile. Ebbe inizio così, la più straordinaria avventura
edilizia che Roma possa annoverare tra le non poche “occasioni
architettoniche” della sua storia urbana, con caratteri di
originalità incondizionati e illimitati. Oggi la palazzina è una
semplice (a volte assai banale) volumetria che ha perso il valore
intrinseco della costruzione progettata. Le responsabilità?
L’incultura, gli immobi-liaristi, la corsa famelica al mattone,
l’incapacità di costruttori e di imprenditori di realizzare
architetture, mentre per alcuni di essi contano solo i metri
cubi.
1 - C. M. Busiri Vici, Palazzina in via Pinciana, 1914-152 - L.
Fratino, Progetto di casa ampliabile e flessibile, 1948 - Vari modi
di mutare il soggiorno a mezzo di pareti flessibili in doppia
lamiera ondulata3 - M. Paniconi, G. Pediconi, Complesso
residenziale in via Cassia Antica, 1961
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BORGHESIA E ATMOSFERE
La ricerca ruota intorno ai documenti, analizzandoli, cercando
di mostrare le intenzioni progettuali e, soprattutto,
concettualizzando le ragioni di una progettazione destinata alla
borghesia, esclusiva destinataria del tipo a palazzina d’autore.
Essa ha rappresentato un primato tutto italiano, e romano in
particolare. Di cui oggi do-vremmo andare orgogliosi per la
sperimentazione che fu operata. Forse la palazzina romana ha
sdoganato la borghesia del Novecento, ne ha segnato il futuro.
Anche se, attualmente, il tema sapiente della palazzina non è più
“ripetibile”. Lo sarebbe solo a condizione di liberarla dalla
damnatio memoriae che, per decenni, ha colpito la palazzina
considerata – a torto o a ragione – la causa della “speculazione
edilizia e fondiaria” di Roma. Le migliori palazzine sono destinate
alle riviste spe-cializzate; in tutte le pubblicazioni di
architettura del Novecento veniva documentata la “fine del
cantiere” e l’imminente consegna ai proprietari del bene. Immagini
di straordinaria forza espressiva. Non manca mai, davanti al
portone, l’automobile d’epoca, diversa da periodo a periodo e
simbolo di prestigio. Interessantissimo il riflesso: casa di
qualità per un’utenza agiata, auto di pregio per la ricca
borghesia.Quadrante 11 - G. Capponi, Palazzina Nebbiosi al
Lungotevere, particolare della scala2 - Soluzioni d’angolo anni
‘303 - L. Moretti, Viale della Pineta 11, Ostia, 19324 - P.
Aschieri, Palazzina in piazza Trasimeno 6, 1931-325 - Ritratto a
schizzo di P. Aschieri6 - M. Tufaroli-Luciano, Palazzina in via
Panama , 1935
Quadrante 27 - U. Luccichenti, Via Panama 86, 1936-378 - M. De
Renzi, G. Calza Bini, Palazzina Furmanik, Lungotever e Flaminio 18,
1941-42, disegno oroginale9 - L. Santarella, Il Cemento Armato,
frontespizio del testo degli anni ‘3010 - A. Libera, Via San
Fiorenzo 2, 1936-37 (villino tipo A)11 - Scorcio di casa popolare
anni ’3012 - M. Ridolfi, W. Frankl, Palazzina Colombo in via San
Valentino, 1936
Quadrante 313/14/15 - U. Luccichenti, Complesso in piazzale
delle Medaglie d’Oro 45-74, 1949-53
Quadrante 416 - M. Ridolfi, W. Frankl, M. Fiorentino, Via
Giovanni Paisiello 38, 1948-5017 - U. Luccichenti, Via Fratelli
Ruspoli 10, 1941-47
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GLI INEDITI
Palazzine romane è inoltre costituito di materiali reperiti
dagli studenti di Roma Tre presso gli Uffici del Comune di Roma.
Una ricerca paziente, che ha portato alla luce i progetti delle
palazzine presentati per le “licenze edilizie”. Cioè, i disegni
preparati dagli architetti per tale indispensabile “atto
autorizzativo”. Essi sono di vario genere: molto tecnici con
informazioni dedicate alle misurazioni più che alla qualità,
normalmente privi di prospettive e/o orpelli figurativi, perché
destinati ai tecnici comunali abilitati alle autorizzazioni. Oggi
diremmo, disegni per il permesso di costruire.
1 - M. Piacentini, Via Savoia 82, 19202 - L. Moretti, Viale
della Pineta 11, Ostia, 19323 - U. Luccichenti, Piazzale delle
Muse, 1938-40
4 - P. Sforza, Palazzina in via B. Oriani 67, 19355 - P.
Aschieri, Palazzina in piazza Trasimeno 6, 1931-32, disegno
originale6 - A. Busiri Vici, Via Bruxelles 47, 1934-36
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GLI INEDITI
1 - U. Luccichenti, Via Fratelli Ruspoli 10, 1941-47, disegno
originale2 - L. Moretti, Palazzina Il Girasole, viale Bruno Buozzi
64, 1950, pianta originale3 - M. Paniconi, G. Pediconi, Via dei
Monti Parioli 32, 1951, disegno originale4 - L. Piccinato, S.
Radiconcini, B. Zevi, Via dei Monti Parioli 13-15, 1948, pianta
originale con soluzione interna di arredo5 - M. Paniconi, G.
Pediconi, Via dei Monti Parioli 32, 1951, disegno originale
6 - M. Paniconi, G. Pediconi, Via dei Monti Parioli 32, 1951,
tempera di una soluzione progettuale7 - S. Radiconcini, B. Zevi,
Via Giuseppe Pisanelli 1, 1950-52, prospettiva di una prima
soluzione8 - M. Paniconi, G. Pediconi, Via dei Monti Parioli 32,
1951, disegno originale9 - M. Paniconi, G. Pediconi, Via dei Monti
Parioli 32, 1951, tempera di una soluzione progettuale
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CAPPONI - NEBBIOSI
Il fronte principale è in travertino, per richiamare la
monumentalità del sito; mentre sono di carattere convenzionale gli
altri prospetti, lavorati a finto marmo. Tali soluzioni
restituiscono, al contempo, la misura dell’abilità delle maestranze
degli anni Venti e Trenta e la “preziosità” dei materiali: se
confrontati con il costo della manodopera, questi elementi
rappresentano una scelta decisiva, dovuta anche alla capacità
dell’autore di prospettare al committente un edificio altamente
qualitati-vo. La bellissima scala a chiocciola dell’atrio è in
cemento armato ed è rivestita in marmo, con lavorazione a
“marmorino” (eseguita con polvere di marmo) per il corrimano e il
battiscopa.
La palazzina, che si rivelerà tra le più rappre-sentative del
periodo e che fu costruita in un momento di passaggio e di
sperimentazione degli Venti e Trenta del Novecento, mostra, genera
e introduce in modo evidente - come la pubblicistica del tempo
sottolineò - non sol-tanto la volontà di ricerca di un linguaggio
nuovo, ma anche il dialogo con la storia della città, le tecniche
tradizionali, l’uso del cemento armato (vera eccezione per le case
private dell’epoca), all’interno dello “sperimentalismo
costruttivo” che permeava l’architettura romana in quel
periodo.
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LIBERA - OSTIA
Nel villino B (comunemente detto palazzina B di Libera a Ostia,
Lungomare Duilio) il forte dinamismo, impresso ai balconi da un
ardito impiego della mensola, denota al di là della suggestione
costruttiva, la ricerca di Libera della forma esatta. L’impiego di
materiale innovativo comporta - in questo caso il cemento armato -
il rispetto della sua vocazione costruttiva. Il tema della
sopraelevazione, infatti, è risolto con un aggetto, allo scopo di
eliminare i piedritti in facciata ed ottenere lo svuotamento
dell’angolo sul loggiato; soluzione che, in quel periodo, troverà
esito ottimale nella quasi coeva palazzina Furmanik di Mario De
Renzi e Giorgio Calza Bini al Lungotevere Flaminio. Realizzata nel
1933 dalla Società Immobiliare Tirrena, la palazzina di Libera
rappresenta una “scommessa”. La Società Tirrena, gui-data
dall’eminente figura di Pietro Campilli, intravide la possibilità
di ricavi addirittura maggiori rispetto a quanto il mercato di
allora potesse prospettare. Campilli seppe cogliere l’occasione di
chiamare il giovane architetto trentino Adalberto Libera di 29 anni
a progettare due palazzine (inserite nel lotto di proprietà e per
le quali era stato indetto un Concorso di Architettura, dove Libera
si classificò terzo), fiutando che il progettista sarebbe stato
prossimo al successo professionale. La palazzina di Ostia è la
prima occasione di Libera di lavorare da solo.
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MORETTI - ASTREA
Nelle prima parte dell’attività professionale di Moretti si
assiste, tra i molti suoi progetti, ad una raccolta
“classicistica”, ad un inventario di elementi stilistici neces-sari
all’autore, prima di spiccare il volo verso un’autonoma,
indipendente linea creativa. Sono da considerarsi tali esperienze,
vere e proprie sperimentazioni. Allo scoppiare della Seconda Guerra
Mondiale Moretti scompare dalla scena. Subito dopo il conflitto, le
sue posizioni fortemente conservatrici lo conducono all’arresto e
alla reclusione nel carcere di San Vittore a Milano, dove incontra
il conte Adolfo Fossataro. Usciti di prigione e scontata la
detenzione in carcere (1945-46), i due fondano la Cofimprese con il
programma di realizzare progetti firmati da Moretti attraverso il
finanziamento di Fossataro. All’interno del tema più complesso
della casa, Moretti affronterà e risolverà da par suo e con la
massima attenzione nel secondo dopoguerra, un simile cimento. Si
conoscono con certezza, perché inserite nel suo curriculum, tre
palazzine progettate a Roma negli anni Cinquanta e Sessanta di
Luigi Moretti: il Girasole, l’Astrea, e la palazzina San Maurizio.
Nell’Astrea si assiste ad uno sconvolgimento dei piani e dei
volumi: al centro della facciata, la parete si flette come una
lastra in procinto di staccarsi; la figurazione che ne segue
dissimula, negli sguinci, le finestre dei servizi facendo esplodere
la solidità del blocco murario. I presupposti compostivi
dell’Astrea sono portati al culmine della spregiudicatezza
figurativa e della drammatizzazione spaziale. Oggi, purtroppo,
l’Astrea è un caso: l’incuria e l’inconsapevolezza dei
proprietari-possessori (tra cui due architetti!) sono
caratteristiche talmente negative, da disperare si possa tentare un
ripristino.
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PELLEGRIN - PIAZZALE CLODIO
La palazzina di Piazzale Clodio è altamente rappresentativa del
clima storico-culturale nel quale fu concepita e si presta a caso
di studio proprio perché racchiude in sé tutte le contraddizioni
della sua epoca. Abbandonata la chiarezza distributiva degli
edifici anteguerra, le palazzine post belliche sono caratterizzate
da distribu-zioni interne molto flessibili, in modo da
corrispondere alle più varie richieste degli acquirenti. Esistono
in gran quantità ripostigli, corridoi e disimpegni, spazi che sono
facilmente gestibili da un appartamento all’altro. Un argomento a
parte, poi, è il tema della chiostrina, tanto esecrata dagli
architetti quanto obbligatoria per legge, che viene aperta nel
tentativo di eliminarla. La palazzina di Piazzale Clodio comprende
tutti questi elementi, e, pur avendo risentito di certi mali del
suo tempo, è tuttavia frutto di una progettazione di qualità. Essa,
inoltre, costituisce un caso emblematico per due questioni
irrisolte. Prima questione, il celebre rifiuto di uno degli autori,
Luigi Pellegrin (l’altro, che firmerà il progetto, è l’Arch. Angelo
Cecchini), che prese le distanze da questo edificio escludendolo
addirittura dal suo cur-riculum. In Piazzale Clodio si sceglie il
“compromesso” tra progettisti, costruttori e utenti che hanno come
prezzo una riduzione delle qualità costruttive e formali che
certamente ha contribuito al distacco di Pellegrin dall’opera.
Questa ragione risulta, quindi, strettamente collegata all’altra
questione irrisolta: quella riguardante il prematuro e ripetuto
degrado della palazzina. Anche in questo caso si può fornire una
spiegazione basata sulla scarsa qualità dei materiali utilizzati,
il che ricondu-ce al rapporto committenza-progettazione. Ma, senza
dubbio, non risolve completamente le motivazioni di un perenne e
costante degrado della palazzina, che a sua volta, impedisce di
cogliere la complessità dell’edificio e la raffinata progettazione
che si cela dietro di essa. Poiché l’edificio non è stato
sottoposto a nessun tipo di manutenzione dagli anni Sessanta fino
ad oggi (è abitato quasi esclusivamente da magistrati!), è
possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che esso versa
in tali condizioni praticamente da sempre. L’intento principale
della presente documentazione è di dimostrare come un intervento di
restauro, per quanto gra-voso, possa consentire una sicura
rivalutazione dell’opera, e sia tale da ammortizzare i costi nel
giro di pochi anni. Con un ricavo certo per gli
inquilini-possessori, e con conseguente aumento di valore del
bene.