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Falzea Angelo
Efficacia giuridica [XIV, 1965]
Sommario: 1. Avvertenza generale.
Parte I. - CENNI STORICI
2. Origine della terminologia.
3. Delineazione del problema.
4. Soluzioni storiche principali.
5. Prospettive e orientamenti.
Parte II. - METODOLOGIA
6. Programma della parte metodologica.
Sez. I. - IL PROBLEMA DELL'EFFETTO GIURIDICO.
7. La teoria dell'effetto giuridico di fronte a due alternative:
Sein o Sollen, essere fisico o dover-essere ideale.
8. Risultati positivi preliminari: carattere assiologico e
struttura ipotetica della norma
giuridica. L'effetto giuridico come valore condizionato.
9. Per una terza alternativa possibile, oltre l'essere fisico e
il dover-essere ideale: l'effetto
giuridico come valore reale.
10. Risoluzione del problema dell'effetto giuridico nel problema
del diritto in genere.
Sez. II. - LE QUATTRO CONCEZIONI DEL DIRITTO COME VALORE.
11. Quadro delle concezioni assiologiche del diritto.
12. a) La concezione ideale sostanziale.
13. b) La concezione ideale formale.
14. c) La concezione reale soggettiva.
15. d) La concezione reale oggettiva.
Sez. III. - CONSEGUENZE E COROLLARI PER LA TEORIA
DELL'EFFETTO.
16. La teoria dell'effetto giuridico come criterio di decisione
tra le quattro concezioni assiologiche del diritto.
17. Principio di convenienza dell'effetto al fatto.
18. Teoria della rilevanza giuridica. a) Il sistema e le norme
specifiche.
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19. b) La determinazione dell'effetto dal punto di vista
dell'intero sistema positivo.
20. c) La determinazione dell'effetto dal punto di vista delle
norme specifiche.
21. d) Opposte esigenze metodologiche nella determinazione
dell'effetto: l'esigenza sintetica
o sistematica; l'esigenza analitica o esegetica.
22. Distinzione tra efficacia e rilevanza.
23. Significato teorico generale della nozione di rilevanza
giuridica.
24. Considerazione terminologica finale.
Parte III. - DOGMATICA
25. Programma della parte dogmatica.
Sez. I. - PRESUPPOSTI GENERALI DELLA TEORIA DOGMATICA
DELL'EFFICACIA.
26. Presupposti logici: la teoria delle proposizioni
normative.
27. Presupposti fenomenologici: a) il quadrinomio fondamentale
della fenomenologia
giuridica: soggetti oggetti atti fatti.
28. Presupposti fenomenologici: b) le situazioni in genere.
29. Presupposti fenomenologici: c) le situazioni temporali.
30. Presupposti assiologici: l'assiologismo generico.
Sez. II. - DEFINIZIONE DOGMATICA DELL'EFFETTO GIURIDICO.
31. La norma giuridica.
32. Definizione preliminare dell'effetto giuridico.
33. Analisi dell'effetto: a) confronto tra il fatto giuridico e
l'effetto giuridico.
34. Analisi dell'effetto: b) confronto tra il fatto giuridico e
la componente di fatto
dell'effetto giuridico.
35. Analisi dell'effetto: c) punti di collegamento, soggettivi e
oggettivi, tra fatto giuridico ed
effetto giuridico.
Sez. III. - LA SITUAZIONE GIURIDICA.
36. Effetto giuridico e situazione giuridica.
37. La figura del dovere.
38. La figura del potere.
39. Le situazioni giuridiche intersoggettive.
40. Situazione giuridica e aspettativa giuridica.
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41. Il problema dogmatico della rilevanza giuridica.
42. Punto di vista metodologico e punto di vista dogmatico nella
teoria della rilevanza.
Sez. IV. - IL TEMPO DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE.
43. Aspetti virtuali e aspetti attuali delle situazioni
giuridiche.
44. Tempo degli aspetti virtuali: nascita delle situazioni
giuridiche.
45. Tempo degli aspetti attuali: realizzazione delle situazioni
giuridiche.
46. Aspetti speciali del tempo delle situazioni giuridiche:
pendenza e retroattivit.
Sez. V. - LE TRASFORMAZIONI GIURIDICHE.
47. La trasformazione delle situazioni giuridiche.
48. Le trasformazioni legali e le trasformazioni necessarie.
49. Le trasformazioni legali e i tipi di efficacia giuridica: A)
l'efficacia costitutiva e i
sottotipi della costituzione modificazione ed estinzione.
50. Le trasformazioni legali e i tipi di efficacia giuridica: B)
l'efficacia dichiarativa.
51. I sottotipi dell'efficacia dichiarativa. a) Il
rafforzamento.
52. b) La specificazione.
53. c) L'affievolimento.
54. Le trasformazioni legali e i tipi dell'efficacia giuridica:
C) l'efficacia preclusiva.
55. La preclusione che rimuove l'incertezza dovuta al tempo:
usucapione e prescrizione.
56. La preclusione che rimuove l'incertezza dovuta alla
contestazione. a) I fatti di
accertamento.
57. b) La transazione.
1. Avvertenza generale.
Lo sviluppo dell'argomento di questa trattazione, un argomento a
cui fa capo tutta senza eccezioni la teoria generale del diritto,
va ristretto in questa sede, come ovvio, ai soli punti principali e
pi generali di cui manca tra l'altro nella scienza giuridica
italiana una trattazione tematica di sufficiente ampiezza e
profondit, trattazione che non manca per le numerosissime materie
speciali connesse di dogmatica o di diritto positivo. Il problema
dell'effetto giuridico in ultima istanza il problema pi generale
della scienza del diritto, anzi - come vedremo pi oltre - lo stesso
problema del diritto visto su piano strettamente scientifico. Nella
nostra letteratura ma non in altre letterature (non nella
letteratura tedesca per esempio) ricerche a questo livello di
generalit sono rimesse quasi esclusivamente ai
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filosofi (infatti, la discussione pi approfondita e pi
importante della teoria dell'effetto giuridico dovuta in Italia a
un filosofo del diritto) (1) . Nel debito conto era comunque da
tenere e si tenuto, implicitamente nel testo, esplicitamente nelle
note, ma sempre con rigorosa discriminazione metodica tra ci che e
ci che non scientificamente utilizzabile, il pensiero filosofico
italiano e straniero su alcuni temi assolutamente centrali per
l'intero nostro discorso. Soprattutto la tesi diventata communis
opinio secondo la quale ci che in termini di causalit si chiama
l'effetto giuridico in pi corretti termini niente altro che un
peculiare valore, il valore peculiarmente giuridico, richiedeva una
non superficiale presa di contatto con la teoria filosofica dei
valori, anche considerato il larghissimo impiego che se ne fa,
specialmente in Germania, tanto nella filosofia del diritto quanto
nella metodologia (e persino nella dogmatica) della scienza del
diritto.
Dopo una breve introduzione, di carattere prevalentemente
storico (Parte I), la trattazione sar divisa, secondo il criterio
teorico chiarito pi oltre (v. 6, in fine), in una parte
metodologica (Parte II) e in una parte dogmatica (Parte III): le
due parti sono in larga misura indipendenti e possono essere lette
indipendentemente (2) : ciascuna di esse preceduta da un breve
programma che varr ad orientare preliminarmente sull'insieme degli
argomenti trattati e sul loro ordine di sviluppo. 2. Origine della
terminologia.
Non mancano nelle fonti romane espressioni in cui si trova
accennata l'idea di una causazione o generazione di effetti
giuridici. Si parla per esempio di causae ex quibus obligationes
nascuntur, di causae dominii adquirendi, di causae lucrativae e di
concursus duarum causarum lucrativarum, di fattispecie che pariunt
obligationem o pariunt actionem. Usate e intese senza troppo
rigore, espressioni del genere non possono del resto non essere
frequenti, perch sono legate alle esigenze espressive del
linguaggio del giurista e sgorgano da queste esigenze prima di ogni
riflessione sul loro esatto senso logico. D'altro canto comunemente
riconosciuto che la teoria dell'effetto giuridico, nella forma
tecnica in cui oggi figura nel corpo delle dottrine generali del
diritto, non risale oltre il secolo scorso; mentre, allo stato
degli studi storici di cui oggi disponiamo sulle nostre categorie
giuridiche generali, lecito lasciare come problema se in altra
forma logicamente e giuridicamente importante la teoria non sia gi
apparsa e giunta ad elaborazione sufficiente in tempi anteriori.
Stando alla linea storica accertata, il germe della teoria si trova
nei primi tentativi compiuti dalla dottrina nella seconda met del
XVIII secolo per la definizione e classificazione degli atti
giuridici (3) , e pi ancora negli studi che i Pandettisti
dedicavano nella parte generale delle loro trattazioni alle
trasformazioni (costituzione, modificazione, estinzione) dei
diritti soggettivi e delle obbligazioni. Era facile osservare che
all'origine di queste trasformazioni stanno determinati fatti, i
cosiddetti fatti giuridici (juristische Tatsachen) - siano essi
fatti naturali oppure, come pi spesso avviene, atti dell'uomo e in
particolare dichiarazioni di volont (tra le quali la pi importante
e studiata sar il negozio giuridico come
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tipica manifestazione dell'autonomia dei privati) -. Non meno
facile era osservare che a questi fatti, della natura o dell'uomo,
si accompagnano costantemente determinate situazioni giuridiche,
doveri poteri diritti. Ne risultava spontanea l'idea che queste
situazioni giuridiche fossero effetti o conseguenze di quei fatti e
che tra fatti ed effetti dovesse esistere uno specifico rapporto di
causalit. Cos gradualmente si costituisce la nomenclatura oggi a
tutti familiare: fatto giuridico, effetto giuridico, rapporto di
causalit giuridica (4) . Una scorsa ai trattati dei Pandettisti
mostra le tracce di questa formazione graduale. 3. Delineazione del
problema.
L'intuizione originaria piuttosto vaga e malcerta che sta al
fondo di questa nomenclatura che mentre dei due termini del
rapporto di causalit giuridica, il primo termine, il fatto
giuridico, non ha nulla che essenzialmente lo distingua dagli altri
fatti osservabili nel mondo reale e materiale, invece il secondo
termine, l'effetto giuridico, qualcosa che peculiare al mondo del
diritto, qualcosa che ha un'esistenza squisitamente giuridica e che
non materialmente determinabile come pu essere l'effetto di una
qualunque causa fisica. Era da attendersi, tuttavia, che da quella
intuizione a un chiaro e ben determinato concetto di una esistenza
giuridica sui generis o comunque distinta dall'esistenza materiale
non fosse facile n immediato il passaggio. E infatti non mancano
ondeggiamenti nella letteratura pi antica (5) : ondeggiamenti per
cui l'effetto giuridico viene confuso con l'effetto materiale: ad
esempio, invece dell'obbligazione si considera effetto
l'adempimento o l'esecuzione forzata; invece del diritto di
godimento la fruizione del bene; invece della soggezione alla pena
l'esecuzione della pena (6) . Attraverso queste fluttuazioni
terminologiche, che naturalmente tendono a scomparire con
l'assodarsi e il consolidarsi della nomenclatura (7) , si delinea
quello che nella seconda met del secolo scorso apparir come il
problema di fondo della teoria dell'effetto con tutte le questioni
connesse. Che cosa propriamente l'effetto giuridico? Qual il suo
tipo peculiare di esistenza? Su quale piano e in qual modo opera la
causalit giuridica? E qual la relazione esatta tra causalit
giuridica e causalit fisica? 4. Soluzioni storiche principali.
Storicamente le risposte date al problema si riducono a tre
gruppi principali. La concezione pi propriamente causale propugnata
dal Lotmar (8) che ne attribuisce l'origine ai giuristi romani, ed
ripresa vigorosamente dallo Zitelmann (9) , il quale mette in
rilievo che le norme giuridiche hanno, non meno delle leggi
fisiche, la struttura di proposizioni ipotetiche o condizionali e
collegano quindi ad un evento condizionante, la causa, un evento
condizionato, l'effetto (10) . Tuttavia anche da questi autori il
rapporto tra causalit giuridica e causalit fisica concepito
soltanto come un parallelismo o un'analogia (11) che lascia integra
la differenza tra i relativi tipi di leggi.
Dopo il Lotmar, ma qualche anno prima dell'apparizione
dell'opera dello Zitelmann, la concezione causale per decisamente
avversata dallo Schlossmann. Secondo questo autore, appartenendo il
diritto al
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mondo dello spirito e non a quello della materia, ogni identit o
parallelismo tra causalit giuridica e causalit fisica si deve
escludere. E quindi nel rapporto tra i fatti giuridici e i diritti
soggettivi corrispondenti non di causalit deve parlarsi, ma
piuttosto di un nesso psicologico di motivazione, nel senso che la
situazione di fatto viene a costituire psicologicamente il motivo
del vincolo giuridico stabilito dal legislatore (12) . In tal modo
lo Schlossmann introduce una concezione psicologica che poi, in
vario modo atteggiata, si ritrover in altri autori (13) .
Una minore nettezza di contorni ha, di fronte alle due
concezioni precedenti, un terzo gruppo di dottrine la cui
caratteristica comune sta principalmente nel rifiuto tanto della
spiegazione causale quanto della spiegazione psicologica del
rapporto tra il fatto e l'effetto giuridico. Da un lato si avverte
l'impossibilit di ridurre l'effetto giuridico ad effetto fisico;
d'altro lato si insiste sulla impossibilit di attribuire
all'effetto giuridico un'esistenza soltanto psichica e quindi
soggettiva: si tratta di garantire tanto il carattere immateriale
quanto l'oggettivit dei vincoli e delle relazioni che l'ordine
giuridico costituisce. A questo duplice obiettivo tende anzitutto
la teoria logica, sostenuta da vari autori, dell'effetto giuridico
e della cosiddetta causalit giuridica. La quale causalit da
intendere dunque come pura condizionalit logica: essa serve a
definire su puro piano logico ci che costituisce la ragione o il
fondamento (Grund) di una determinata conseguenza (Folge). La
teoria logica rimane oscillante tra un'analisi logico-formale (di
cui tra l'altro non tutto accettabile, come vedremo, per la
metodologia del giurista) e una tesi, diciamo cos, ontologica che
nega l'esistenza reale, tanto fisica quanto psichica, dell'effetto
giuridico e ne afferma la mera esistenza ideale (14) . Ben pi
deciso, nel senso dell'esistenza ideale dell'effetto, il
deontologismo (formalistico) del Kelsen, del quale si discuter a
lungo pi oltre. Qui basti ricordare che il Kelsen nega l'esistenza
reale dell'effetto muovendo dalla concezione della norma come
dover-essere e contrapponendo il dover-essere (Sollen) all'essere
(Sein) e alla realt del mondo empirico (15) .
Questi cenni storici sono sufficienti a precisare i termini in
cui si pone oggi il problema dell'effetto giuridico. Ai nostri
fini, teorie minori o versioni minori delle teorie principali (16)
, possono restare senza danno fuori quadro (17) .
Ma non sar inopportuno ricordare che molte teorie su questo
tema, apparse tra la fine del secolo scorso ed i princpi
dell'attuale, hanno accolto l'influsso combinato degli studi di
logica che andavano fiorendo proprio in quel periodo (18) e del
celebre scritto di Schopenhauer, dedicato alla quadruplice radice
del principio di ragion sufficiente. In quest'opera sono analizzati
i principali modi di connessione e di conseguenzialit di cui lo
spirito umano si serve per mettere ordine nel mondo delle sue
rappresentazioni, e fra questi vi sono la causalit, la motivazione
psicologica, la ragione logica e via dicendo: cio appunto, quei
modi di connessione che abbiamo visto valorizzati nelle suesposte
teorie dell'effetto giuridico. 5. Prospettive e orientamenti.
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Osserviamo per concludere queste considerazioni introduttive che
l'esame dei precedenti storici ci offre, non ancora un risultato,
ma gi una prospettiva utile e una indicazione definita sul campo in
cui bisogner cercare da ultimo la soluzione del nostro problema di
fondo. Allo scopo, occorre solo ribadire un punto gi svolto e
metterne in luce tutta la portata. Si visto che fatto giuridico ed
effetto giuridico hanno - ci si passi l'espressione - una carica di
giuridicit assai differente. Il fatto giuridico resta
essenzialmente il medesimo fatto che esso su piano pregiuridico. La
rilevanza che il diritto accorda a un evento fisico, a un atto
dell'uomo, a una dichiarazione di volont, non muta essenzialmente
la loro natura. Non cos per l'effetto giuridico. Un vincolo
giuridico non pensabile fuori del piano giuridico. Obbligazione,
propriet, patria potest, e via esemplificando: non hanno senso
fuori del mondo del diritto. L'effetto giuridico dunque un fenomeno
essenzialmente giuridico, anzi il fenomeno giuridico per
eccellenza: il nucleo ultimo - si pu dire - della giuridicit. Non
difficile intendere il significato di questo accertamento, ai fini
del nostro problema. In ultima istanza, il problema dell'effetto
giuridico non e non pu essere altro che il problema stesso della
giuridicit, cio: il problema stesso del diritto. dunque vano
sperare che si possa raggiungere una chiara teoria dell'effetto
giuridico senza risalire da ultimo a una dichiarata e ben
determinata concezione del diritto.
Su che, sostanzialmente, in forma pi o meno esplicita, la
letteratura sul tema concorde. stata proposta l'obiezione che in
tal modo si cerca di spiegare obscurum per obscurius, si rimena una
questione complessa a un'altra ancora pi complessa di cui non
agevole venire a capo (19) . Mettiamo da parte il fatto che il
tentativo di eludere lo sbocco naturale di un problema non pu non
condurre a difficolt ancora maggiori di quelle che si vogliono
evitare (20) . Esentiamoci pure dall'osservare che la complessit
dei problemi non pu arrestare una ricerca scientifica, fra l'altro
perch problemi troppo semplici non sono nemmeno problemi e non
sollecitano vere e proprie ricerche. Resta comunque, a togliere
ogni esitazione residua, la riflessione che la via del tutto
obbligata. Non ci vuole molto a persuadersene considerando che, a
tutto concedere, una teoria dell'effetto giuridico sar almeno una
teoria della norma giuridica e che tentare una teoria della norma
giuridica prescindendo da ogni concezione del diritto logicamente
contraddittorio.
materia di dubbio legittimo, se una questione che per essere
adeguatamente risolta esige addirittura il ricorso a una concezione
generale del diritto rimanga ancora di competenza del giurista (21)
. Dal canto opposto, pure lecito dubitare se una concezione
generale del diritto sia proprio di esclusiva competenza dei
filosofi (22) . un dato di fatto, intanto, che di una tale
concezione nessun giurista teorico ha saputo fare a meno,
nell'affrontare i problemi di fondazione della propria scienza.
Nello stesso tempo giusto riconoscere che la vena filosofica di
questi grandi giuristi e teorici del diritto non stata mai
eccessivamente profonda (23) . Ma la verit che, nel caso, il lato
filosofico di una concezione del diritto non quello che veramente
importa. Se si considerano pi da vicino nei loro procedimenti e
nei
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loro risultati, queste indagini giuridiche generali, ci si
accorge subito che, sebbene in esse temi filosofici siano toccati
inevitabilmente e di continuo, il loro vero significato assai pi
vicino di quanto a prima vista non sembri agli interessi
scientifici del giurista. Almeno in due sensi, secondo noi, lecito
affermare l'interesse strettamente giuridico di queste indagini:
anzitutto, nel senso mediato che esse tendono a dar le basi di
successive costruzioni dogmatiche; ma anche, e pi immediatamente,
nel senso che gi in atto esse definiscono indirizzi metodologici
interni della ricerca giuridica. Specie nell'esigenza metodologica,
la quale del resto virtualmente contiene le posteriori istanze
dogmatiche, il giurista possiede un criterio immanente per
decidere, e prima ancora per discutere in modo orientato, i suoi
problemi di fondazione (24) . Noi vedremo infatti che questo il
doppio risultato di una teoria dell'effetto giuridico: un risultato
mediato, diciamo cos, pre-dogmatico; e immediatamente e
direttamente, un risultato metodologico. 6. Programma della parte
metodologica.
Questa parte distinta in tre sezioni. Nella sezione I viene
esposto il problema dell'effetto giuridico. Si muove dalle note
considerazioni critiche di Kelsen, secondo il quale le nozioni di
effetto e di causalit vanno ristrette alle leggi fisiche da cui
dominato il Sein, l'essere inteso come realt fisica; e non sono
estensibili alle norme giuridiche che esprimono un Sollen, un
dover-essere ideale. Sono cos precisate due alternative estreme del
problema: ci che, bene o male, si chiama effetto giuridico
appartiene all'essere fisico o al dover-essere ideale? Gi il
rifiuto della prima alternativa stabilisce due risultati positivi
preliminari, il carattere (genericamente) assiologico e la
struttura ipotetica delle norme giuridiche, e permette di
configurare l'effetto giuridico come un valore condizionato. Ma la
seconda alternativa non obbligata, perch, almeno ipoteticamente,
una terza alternativa risulta possibile: la concezione dell'effetto
giuridico come valore non meramente ideale ma reale, valore legato
alla realt biologica psichica spirituale della vita umana. E qui il
problema dell'effetto giuridico si risolve nel pi generale problema
del diritto come valore.
Nella sezione II sono esposte quattro concezioni assiologiche
principali. La decisione in favore dell'ultima - il diritto come
valore reale oggettivo - fondata nella sezione III su riflessioni
metodologiche, evidenti soprattutto nell'mbito della dottrina
dell'effetto giuridico. Questa dottrina viene sviluppata e conclusa
nel principio della convenienza dell'effetto al fatto e nella
teoria della rilevanza giuridica. 7. La teoria dell'effetto
giuridico di fronte a due alternative: Sein o Sollen, essere fisico
o dover-essere ideale.
Storicamente la nozione di effetto giuridico ci apparsa
collegata alla teoria della causalit giuridica e al problema
generalissimo, addirittura filosofico, che questa teoria solleva.
Esiste realmente una causalit giuridica? Quale la sua natura, e
quale la sua precisa definizione, in un quadro di concetti
utilizzabili eventualmente anche per il giurista dogmatico? La
teoria nasce dal presupposto o almeno
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dalla ipotesi di un parallelismo tra leggi che determinano il
mondo fisico e leggi che valgono per un mondo giuridico: come le
leggi fisiche esprimono in definitiva rapporti di causalit fisica,
cos anche le leggi giuridiche dovrebbero esprimere rapporti di
causalit giuridica. fondato questo parallelismo? L'obiezione
principale, in cui concordano autorevoli studiosi e su cui
soprattutto fa leva Kelsen (25) , si riassume nell'argomentazione
seguente. Una legge fisica esprime veramente un rapporto causale,
cio un rapporto tra l'essere di un fenomeno e l'essere di un altro
fenomeno, per esempio tra il calore del sole e il disgelo, secondo
la struttura logica generale: se in un certo tempo dato il fenomeno
A (il calore solare), nel tempo successivo avverr effettivamente il
fenomeno B (il disgelo). Una legge giuridica mette invece in
rapporto l'essere di un fenomeno non pi con l'essere ma col mero
dover-essere (Sollen, Sein-Sollen) di un altro fenomeno. Da un
contratto regolarmente concluso segue giuridicamente il dovere di
pagamento; ma non segue di necessit il pagamento effettivo, che in
concreto pu bene mancare. Esiste dunque una differenza essenziale
tra la proposizione fisica il calore solare produce il disgelo e la
proposizione giuridica il contratto regolarmente concluso produce
il dovere di pagamento. Nel primo caso la conseguenza una
conseguenza reale (il disgelo segue effettivamente). Nel secondo
caso la conseguenza rimane meramente ideale, un mero dover-essere o
dover-fare a cui pu non corrispondere un fare effettivo.
Precisamente, la prova che il dovere di pagamento una necessit
ideale e non una necessit reale sta nel fatto che il pagamento pu
non avvenire in realt, non dunque realmente necessario. anche vero
che se il contraente non paga, sorge nell'altro contraente il
potere di promuovere l'azione esecutiva e negli organi dello Stato
il dovere di attuare l'esecuzione forzata a danno del debitore
inadempiente. Ma questo secondo dovere, per quanto presidiato da
forti garanzie, non neppur esso una necessit reale: esso pure un
dovere ideale che in realt pu restare ineseguito. Logicamente,
tutti i mezzi ulteriori di tutela, tutte le ulteriori sanzioni a
cui si vorr ricorrere per ottenere la finale realizzazione del
diritto, non faranno che perpetuare senza fine la catena dei
rimandi dall'essere al dover-essere. La struttura logica generale
della proposizione giuridica resta quindi fissata in questi
termini: se in un certo tempo dato il fenomeno A (il contratto),
l'ordine giuridico esige (esigenza: necessit ideale, non reale!)
che nel tempo successivo avvenga il fenomeno B (il pagamento o in
genere l'adempimento).
Nel suo fondo l'argomentazione cos riferita sostanzialmente
corretta ed di grande utilit per la metodologia giuridica. Il
giurista si occupa in via di principio delle conseguenze, diciamo
pure, ideali delle norme ch'egli studia e non deve preoccuparsi di
stabilire se queste conseguenze si produrranno realmente. Un
problema, quest'ultimo, del tutto diverso, e rimesso, se mai, al
politico o al sociologo. In linea di metodo, compito del giurista
in quanto giurista di acclarare le esigenze che il diritto pone;
mentre d'altra parte un'ovvia verit di fatto che in moltissimi casi
tali esigenze restano irrealizzate, cosicch la loro necessit -
vista in questa luce - chiaramente ideale, non reale. Tanto il
principio di metodo quanto il dato di fatto vanno riconosciuti
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senza riserve. E la prima conclusione che se ne pu trarre che la
cosiddetta causalit giuridica, qualunque cosa sia, non riducibile
sic et simpliciter alla stretta causalit fisica; che l'effetto
ideale stabilito dalle norme giuridiche non l'effetto reale
stabilito dalle leggi fisiche; che insomma la distinzione tra
effetto fisico ed effetto giuridico fondamentale e non va
trascurata (26) . 8. Risultati positivi preliminari: carattere
assiologico e struttura ipotetica della norma giuridica. L'effetto
giuridico come valore condizionato.
Questa conclusione fissa un risultato importante a cui lecito
dare un'enunciazione ancora pi definita. A differenza della legge
fisica, la quale stabilisce una necessit di fatto e perci incide
sul mondo dei fatti, la norma giuridica pone un dover-essere che si
riferisce al piano dei valori. L'espressione dover-essere (Sollen,
Ought) ci porta immediatamente all'idea di valore. Ogni norma di
condotta, giuridica o etica, definisce un valore dell'agire umano.
Ci ammesso generalmente, da filosofi e teorici del diritto delle pi
varie scuole e tendenze (27) . Il presupposto assiologico latente
in ogni dover-essere riconosciuto persino da Kelsen, di cui sono
ben note le resistenze ad ogni interpretazione etico-materiale dei
fenomeni giuridici. Anche per Kelsen (e fatte salve ulteriori
precisazioni del suo punto di vista) la legge positiva in quanto
norma un dover-essere e quindi un valore (28) . vero che, poi,
quando si tratta di determinare pi precisamente ci che caratterizza
un mondo giuridico positivo, la categoria del valore pu essere e
viene intesa assai variamente, e impiegata in diversi e opposti
modi: in senso formale e in senso materiale, in senso ideale o in
senso reale. Vedremo che proprio nel tema della causalit giuridica
le possibili interpretazioni, discriminazioni e specificazioni sono
di grande rilevanza. In ogni caso resta fermo che un assiologismo
generico comune alle concezioni pi correnti e accreditate del
diritto e della norma giuridica (29) (30) . E si pu dire fin d'ora
che, qualunque cosa sia la causalit giuridica, la nozione di
effetto giuridico deve essere vista sul terreno di questo
assiologismo generico e la differenza tra effetto giuridico ed
effetto fisico deve riportarsi alla differenza, allo stato ancora
approssimativa, tra piano dei fatti e piano dei valori. In altri
termini, se l'effetto fisico esprime una necessit di fatto,
l'effetto giuridico esprime una necessit assiologica, la necessit
di un valore: appunto un'esigenza, un dover-essere.
Accanto a questo primo risultato un secondo risultato, non meno
positivo e importante, emerge dalle considerazioni svolte. Le quali
mettono in chiaro non solo una differenza essenziale tra effetto
giuridico ed effetto fisico, ma anche un punto effettivo di affinit
e somiglianza. Si affermato che le norme giuridiche sono leggi
assiologiche, mentre le leggi fisiche sono anassiologiche. Dal
canto opposto bisogna per riconoscere che alle leggi fisiche e alle
leggi giuridiche, nonch alle rispettive proposizioni, comune quanto
meno un rapporto logico di condizionalit. Le strutture formali che
abbiamo cercato di fissare qui addietro sulla base di
corrispondenti esemplificazioni (al calore del sole segue il
disgelo, al contratto regolarmente concluso segue l'obbligo di
adempimento) mostrano gi
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con sufficiente chiarezza che in entrambi i casi un nesso si
costituisce tra un antecedente e una conseguenza, tra un fenomeno
condizionante (il calore del sole, il contratto regolarmente
concluso) e un fenomeno condizionato (il disgelo, l'obbligo di
adempimento). Le proposizioni giuridiche sono infatti, come mostra
facilmente nella generalit dei casi l'analisi logica del linguaggio
legislativo, proposizioni condizionali o ipotetiche. E anche questo
comunemente riconosciuto dalle pi varie scuole e tendenze (nel
continuo parlare che si fa delle norme, come imperativi ipotetici o
giudizi ipotetici) (31) .
Si possono riunire i due risultati in una formulazione
riassuntiva: mentre le proposizioni della fisica enunciano rapporti
di condizionalit tra due fatti, nelle proposizioni giuridiche sono
espressi rapporti di condizionalit tra un fatto e un valore: pi
analiticamente: tra un fatto del mondo reale e un valore dell'agire
umano. Ci che si chiama effetto giuridico o conseguenza giuridica
non dunque altro che un valore condizionato. Il valore di un
determinato atto umano (nel nostro esempio, il pagamento o
adempimento) condizionato in generale a un determinato fatto della
realt (il contratto regolarmente concluso). Se avviene il fatto,
l'atto assume valore. Questo un vero e proprio condizionamento. Ma
mentre il fatto avvenendo entra nella realt, l'atto non entra
ancora nella realt, entra soltanto nel piano dei valori. Ci che
sembra essere in discorso quindi un condizionamento ideale, non un
condizionamento reale, comunque non un condizionamento reale di
tipo fisico. 9. Per una terza alternativa possibile, oltre l'essere
fisico e il dover-essere ideale: l'effetto giuridico come valore
reale.
Viene qui spontaneo domandarsi se il dilemma tra condizionamento
ideale e condizionamento fisico reale veramente obbligato, in modo
da escludere una terza alternativa che potrebbe essere poi quella
pi adatta ad avviare a una soluzione il problema della causalit
giuridica. Il valore giuridico esclude senza dubbio un
condizionamento di tipo fisico. Ma esclude veramente ogni forma di
condizionamento reale? Il rapporto di condizionalit che la norma
esprime soltanto ideale? Sebbene questa voglia essere una questione
di fondo o di sostanza, opportuno, per impostarla con tutta la
chiarezza desiderabile, prender le mosse da una questione
terminologica pregiudiziale. In ipotesi, quali significati potrebbe
avere il termine causa nella espressione causalit giuridica? Poich
fuori del campo fisico l'uso del termine incerto e fluttuante, la
precisazione dei possibili significati al di l di questo campo
ammette un largo margine di arbitrio. Se consideriamo che tanto le
proposizioni giuridiche quanto le proposizioni causali della fisica
esprimono rapporti condizionali e che sotto il titolo generale
della condizionalit siamo gi in grado di distinguere un
condizionamento ideale e un condizionamento reale e in
quest'ultimo, almeno ipoteticamente, un condizionamento fisico e un
condizionamento reale non meramente fisico, abbiamo davanti a noi
tre vie possibili per precisare il significato del termine causa
nel quadro dei rapporti condizionali. In astratto potremmo
deciderci per l'una o l'altra delle tre definizioni seguenti:
-
a) causalit carattere esclusivo del condizionamento fisico
(eventualmente inteso nel senso deterministico pi rigoroso) (32)
;
b) causalit carattere comprensivo di ogni condizionamento reale
anche non fisico, in contrapposto a un condizionamento meramente
ideale (33) ;
c) causalit equivale addirittura a condizionalit, reale o
ideale, fisica o non fisica (34) .
Delle tre definizioni forse la prima troppo ristretta, l'ultima
troppo larga, rispetto alle accezioni del linguaggio corrente.
Comunque, l'interesse che possono avere per noi presto esaurito,
perch da esse risulterebbero soluzioni ovvie del problema della
causalit giuridica: dalla prima una soluzione ovviamente negativa,
perch certo il cosiddetto effetto giuridico non fisicamente
causato; dalla terza una soluzione ovviamente positiva, se vero che
la proposizione giuridica , come infatti , una proposizione
condizionale e se l'effetto giuridico non che il valore
condizionato espresso da questa proposizione.
Resta perci da considerare soltanto la seconda definizione che
pure con molta probabilit la pi vicina all'uso comunemente invalso.
Secondo questa definizione rappresenta un fenomeno di causalit ogni
influsso comunque spiegato da una forza su altre forze, ogni
spiegamento reale di energie anche non fisiche, quindi ogni
processo reale di condizionamento su piano biologico psichico
sociale. Una causalit potrebbe avere senso fuori del piano fisico,
senza tuttavia esaurirsi o risolversi in una mera condizionalit
ideale. Ritorna ora in campo il problema della causalit giuridica
per un lato che sembra assai sostanziale e importante. La struttura
condizionale o ipotetica delle norme giuridiche esprime un
condizionamento soltanto ideale o un condizionamento che a suo modo
reale, pur non essendo fisico?(35) .
La difficolt del problema non tanto quella di trovare fuori del
piano fisico un condizionamento reale, ma di mostrare come questo
condizionamento possa essere un condizionamento di valori, di
valori reali e non meramente ideali. Che cosa saranno in linea di
fatto, e dove saranno, i valori reali condizionati ai quali
dovranno riferirsi in ipotesi gli effetti delle norme giuridiche?
La loro esistenza non immediatamente intuitiva. Comunque, se non si
vuole pregiudicare illegittimamente il problema in un senso dato,
giusto che questa esistenza non sia negata fin dall'inizio. logico
allora che non si debba cominciare col rendere incolmabile la
distanza tra valore e realt e con l'esasperare la loro dualit in un
irriducibile dualismo. Diametralmente opposto alla realt, il valore
gi in partenza un'entit irreale, un mero ideale. (Ancora meno
felice, perch scientificamente vaga e filosoficamente superata,
l'opposizione tra l'essere e il dover-essere (36) . Opposto
all'essere tout court il dover-essere diventa un non-essere cio
addirittura un nulla. vero che, secondo il significato storico di
quella opposizione, essere equivaleva essere reale o addirittura
essere fisico. Ma quel significato che Kelsen poteva utilizzare,
come ancora attuale al suo tempo, ha perso oggi la sua base storica
e la nomenclatura corrispondente si conserva nell'uso pi che altro
per comodit terminologiche). dunque un presupposto necessario,
perch i valori definiti negli effetti delle norme giuridiche
-
possano configurarsi come valori reali condizionati, che il
rapporto generale tra realt e valore sia interpretato non come un
contrasto irriducibile tra due mondi - l'uno soltanto reale,
l'altro soltanto ideale - ma come una distinzione scaturiente dallo
stesso mondo reale, una distinzione che si atteggia eventualmente
come opposizione, in forza di una tensione dinamica interna a
determinate sfere di realt.
A chi osservi che la sfera di realt in cui si trova il diritto
la sfera della vita umana, riesce piuttosto semplice supporre che i
valori della vita umana stiano all'origine dei valori del diritto.
Questi ultimi, abbiamo visto, si presentano allo stato di esigenze,
e anche i valori della vita umana si manifestano come esigenze.
Ogni vita ha i suoi valori, perch ha le sue esigenze; le quali
senza dubbio sono condizionate alle variabili situazioni di fatto,
cosicch una stessa necessit vitale assume contenuti diversi e si
specifica in diverse esigenze temporalmente circostanziate via via
che cambiano le situazioni di fatto. La realt della vita chiarisce
pianamente, non solo il momento esigenziale e il carattere
condizionato dei valori, ma anche e soprattutto la tensione
dinamica interna donde sorge lo scarto tra l'essere e il
dover-essere. In s prese, le esigenze sono assolutamente reali. Ci
che invece pu essere o non essere reale la loro soddisfazione. In
concreto non necessario ma possibile e frequente che la
soddisfazione manchi o non sia completa: che il Sollen non si
traduca in Sein o si traduca in misura ridotta. Lo scarto tra
l'essere e il dover-essere ha la sua origine reale in questa
continua possibilit di insoddisfazione o di non completa
soddisfazione. Naturalmente lo scarto si accentua, quanto pi alta e
spirituale la forma di vita, quanto pi elevate e complesse si fanno
le sue esigenze, quanto pi riesce facile astrarre in pure idee e in
corrispondenti ideali i contenuti di queste esigenze, soprattutto
attraverso la potenza simbolica del linguaggio. E poich solo l'uomo
possiede un linguaggio di alta potenza simbolica, anche legittimo
dire che solo nell'uomo il valore acquista risalto in autonome
strutture ideali, senza per ci essere meno un valore reale
dell'uomo, una esigenza della sua vita e della sua azione (37) .
10. Risoluzione del problema dell'effetto giuridico nel problema
del diritto in genere.
Questa, riferita ai valori giuridici, ancora una tesi pi
affermata che dimostrata, una ipotesi ch'era necessario prospettare
di fronte all'ipotesi opposta. Ma intanto ci si pu rendere conto
che questa tesi, non meno dell'altra, rispetta i termini obbligati
del problema. Siamo in un piano non meramente fisico, che il piano
della vita in genere e della vita umana in particolare. Abbiamo la
possibilit di dare un senso alla opposizione tradizionale tra il
dover-essere e l'essere. Troviamo quindi dei valori e si tratta
certamente di valori condizionati. Solo in un punto, ma in un punto
fondamentale, la nuova tesi dissente dall'altra: nell'affermare la
realt e non la mera idealit dei valori (38) .
Fin d'ora, comunque, chiaro che le due tesi fanno capo a due
diverse e contrapposte concezioni del diritto. Al fondo di entrambe
le concezioni si trova un presupposto comune, il presupposto che il
diritto valore; ma se si accentua il dualismo tra valore e realt,
ogni
-
valore, incluso il valore giuridico, diventa meramente ideale;
mentre se la dualit riconosciuta ma non si esaspera in dualismo,
l'assunto del carattere reale dei valori giuridici tutt'altro che
insostenibile (39) . Anzi a favore di questo assunto sta l'opinione
corrente della positivit del diritto, positivit che, pure intesa
con diverse specificazioni, coincide sostanzialmente con realt,
realt storica o empirica; mentre non pu degradare che a mera
validit all'interno di un sistema ideale, per gli assertori della
concezione ideale del diritto (40) .
Si aggiunga che il contrasto fondamentale tra realt e idealit si
atteggia in vari modi a cui corrispondono, con sufficiente
precisione, altrettante concezioni generali del diritto,
effettivamente rappresentate nella storia del pensiero giuridico.
La dottrina che afferma la realt del diritto si presenta infatti
ora soggettivamente (psicologismo, volontarismo, ecc.) ora
oggettivamente orientata (sociologismo, storicismo, ecc.). La
dottrina opposta che insiste sulla idealit dei valori giuridici, a
sua volta, si scinde almeno in due varianti, come bene ha mostrato
Kelsen: secondo che i valori ideali rimangano su piano formale e
relativo ( questa appunto la tesi di Kelsen) o accampino invece un
significato etico-materiale, siano cio valori assoluti di giustizia
nel senso delle dottrine giusnaturalistiche (41) .
Come avevamo previsto, le soluzioni possibili del problema della
causalit giuridica o, che lo stesso, le varie teorie dell'effetto
giuridico sono in ultima analisi le varie possibili concezioni del
diritto. Ciascuna di queste concezioni d una diversa prospettiva
del problema. Dalla realt o idealit dei valori giuridici abbiamo
visto dipendere la realt o idealit del condizionamento tra fatto ed
effetto. A sua volta il condizionamento reale assume diverse forme,
secondo che si tratti di un condizionamento soggettivo, per esempio
di un nesso psicologico di motivazione, o di un condizionamento
oggettivo, connesso alle strutture istituzionali di una determinata
societ storica: dove chiaro che nella opposizione tra realt e
idealit si innesta l'altra opposizione tra soggettivit e oggettivit
dei valori giuridici (42) . In diverso modo, pure, pu atteggiarsi
il condizionamento ideale, secondo che i valori giuridici vengano
interpretati come valori ideali formali o come valori ideali
etico-materiali. Ciascuna di queste alternative rappresenta una
diversa soluzione possibile del nostro problema. da concludere
insomma che una soddisfacente teoria dell'effetto giuridico non pu
essere attinta altrove che a una complessiva e globale concezione
del diritto. 11. Quadro delle concezioni assiologiche del
diritto.
Prospetteremo ora schematicamente le quattro concezioni
principali del diritto come valore: - la concezione ideale
sostanziale (etico-materiale), la concezione ideale formale, la
concezione reale soggettiva, la concezione reale oggettiva -
mettendo in rilievo le rispettive conseguenze metodologiche da cui
soltanto possibile trarre (come si avvertito nella introduzione) un
criterio preferenziale scientificamente fondato. 12. a) La
concezione ideale sostanziale.
-
Il diritto un valore ideale etico-materiale. la tesi che pu
essere attribuita all'indirizzo principale del giusnaturalismo (43)
. La conseguenza metodologica sarebbe un illimitato ricorso a
criteri ideali di giustizia per la soluzione dei problemi di
diritto positivo. In linea di fatto nessun giusnaturalista ha
preteso di trarre, e di applicare con tutto rigore, una conseguenza
del genere. anche noto che nelle concezioni giusnaturalistiche,
passate e presenti, un campo di larga autonomia viene riservato al
diritto positivo. Nondimeno, il significato metodologico della tesi
appare chiaro, se si ricorda che fino al secolo scorso era
dominante la concezione ora non pi accettata, a stregua della quale
i princpi giuridici generali occorrenti per colmare le lacune del
sistema vanno attinti dal diritto di natura (44) . 13. b) La
concezione ideale formale.
Se il diritto un valore ideale formale, come assume Kelsen (45)
, il sistema positivo formalmente determinato, per esempio
attraverso codici e leggi scritte, dovr costituire un limite
insuperabile per l'indagine del giurista e nessun richiamo sar
consentito a ci che sta oltre la forma. Chiaramente, l'assunto
sostenibile solo in presenza di un formalismo cos logicamente
perfetto da assicurare la coerenza o incontraddittoriet e la
completezza del sistema (46) . Questi due caratteri, coerenza e
completezza (gi cos difficili a trovare in un formalismo matematico
di sufficiente potenza espressiva), sono senz'altro da escludere
nel formalismo giuridico, di cui Kelsen stesso riconosce le
deficienze logico-formali. D'altra parte, poich l'esigenza logica
rimane valida in ogni metodologia giuridica (anche per Kelsen),
chiaro che il sistema completo e coerente dovr essere cercato oltre
la forma. E infatti, anche a prescindere dai procedimenti analogici
e dal ricorso ai princpi generali, i metodi pi elementari di
interpretazione dnno luogo a vere e proprie operazioni di rettifica
dell'elemento formale difettoso, in funzione di una ratio legis o
mens legis che comunque un elemento sostanziale: lex minus dixit
plus voluit oppure lex plus dixit minus voluit (47) . 14. c) La
concezione reale soggettiva.
Il diritto un valore reale soggettivo, pi propriamente un valore
posto dalla volont umana mediante un comando autoritario o un
libero contratto, secondo le due principali varianti (non di rado,
del resto, connesse e intrecciate) del volontarismo giuridico. La
conseguenza metodologica che l'interpretazione delle norme si
riduce a una quaestio voluntatis ossia al problema
dell'accertamento della cosiddetta intenzione del legislatore
soggettivamente intesa. Nel secolo scorso questa teoria soggettiva
della intenzione fa frequenti comparse (48) ma stata superata sul
finire del secolo per opera dei sostenitori della teoria oggettiva
dell'interpretazione (49) . Oggi ormai chiaro metodologicamente che
il senso di una norma giuridica non pu essere desunto dalle
rappresentazioni di una coscienza soggettiva o dagli scopi
soggettivi di una o pi volont (50) .
Notoriamente la teoria della norma come comando va incontro a
un'altra obbiezione. Ogni comando recettizio, esso rivolto da un
superiore a un inferiore, che, per eseguirlo, deve prenderne
-
conoscenza. La norma cos risulterebbe soggettiva in doppio
senso, avendo, non soltanto un'origine soggettiva nell'intenzione
del legislatore, ma anche una destinazione soggettiva: la
conoscenza dei cittadini che la debbono eseguire. Il che urta
contro il noto aforisma, ignorantia iuris non excusat (51) . 15. d)
La concezione reale oggettiva.
Il diritto un valore reale oggettivo: una realt che l'uomo trova
nella sua vita, e definisce nel suo linguaggio e nella sua cultura,
come base di valori positivamente validi al di l di ogni volont
arbitraria e di ogni mera soggettivit. Se si conviene di chiamare
interesse questo valore oggettivo reale, secondo la felice
intuizione di Jhering che opponeva interesse a volont (una
intuizione per rimasta incompleta e utilizzata piuttosto per il
diritto soggettivo che per il diritto oggettivo) (52) lecito dire
che il fondo del diritto l'interesse (53) . Un ordinamento
giuridico positivo non che un sistema di interessi derivante da una
vita comune e reso oggettivamente accertabile da una comune
esperienza e cultura.
La conseguenza metodologica fondamentale stata messa bene in
luce dalla Interessen-Jurisprudenz (54) , pure con qualche eccesso
e non senza unilateralit. Alla base di ogni norma - si sostiene,
sulle orme di Jhering - deve scorgersi un problema di vita e di
interessi di vita, che non pu essere n inteso n risolto dal
giurista senza un riferimento alla realt sociale e alle sue
esigenze. In altri termini, il significato delle norme si estende
alla sostanza degli interessi sociali di cui la comunit giuridica,
Stato o altro che sia, persegue la tutela. E certo, se la forma
adottata per oggettivare le norme nella comune esperienza e
cultura, in particolare la forma simbolica del linguaggio
legislativo (55) , non tanto perfetta da garantire la coerenza e la
completezza del sistema giuridico, non si vede altro modo per
ottenere una sufficiente completezza e coerenza se non quello di
riferirsi alla sostanza degli interessi sociali in gioco.
D'altro lato, contro le eccessive tendenze sostanzialistiche di
una Interessen-Jurisprudenz che, non vigilata a dovere, potrebbe
condurre a un diritto libero privo di ogni seria garanzia formale
(56) , resta valido il canone, a cui in concreto obbedisce ogni
vero giurista, del razionale equilibrio tra la sostanza e la forma:
tra la sostanza vitale delle esigenze in campo e la forma culturale
che queste esigenze assumono attraverso pratiche, consuetudini,
istituzioni, leggi scritte. Anche questa una conseguenza
metodologica diretta della nostra definizione. Un ordinamento
positivo un insieme di interessi che senza dubbio nasce dalla vita
comune ma che si manifesta - e deve manifestarsi per essere
positivamente valido - nella comune esperienza e cultura. Cos vero
che la sostanza trascende la forma, dentro e non oltre, per, il
limitato raggio delle correzioni e integrazioni logicamente
possibili del sistema formale, ossia nell'mbito di tutto ci che
logicamente necessario per rendere coerente e completo il sistema.
Con questa riaffermazione dell'esistenza e dell'importanza di un
momento logico indispensabile nella metodologia del giurista
(logico-sostanziale oltre che logico-formale, e costitutivo oltre
che espositivo e ordinatorio) - si ottiene un ragionevole
contrappeso al
-
primato della vita sulla logica che la Interessen-Jurisprudenz
proclama e un piano di possibile intesa con una, non meramente
classificatoria e scolastica, Begriffs-Jurisprudenz.
Un terzo ordine di conseguenze verso le quali la tesi della
oggettiva realt del diritto deve orientare la metodologia
scientifica del giurista, si esprime col principio che il diritto
non pu essere avulso dalla totalit delle sue condizioni reali.
Queste condizioni non si esauriscono nell'attualit della vita
associata ma hanno spesso carattere storico o genericamente umano.
certo che la realt sociale in atto non comprensibile nelle sue
strutture giuridiche pi profonde (per esempio, nelle sue strutture
costituzionali) senza il richiamo a una realt storica pi ampia (57)
. Lo studio del sistema vigente pu quindi rendere necessario
l'inquadramento del sistema in una intera classe di sistemi; ed
proprio questa la necessit che fonda, nella misura in cui esiste ed
effettivamente dimostrabile, l'impiego di metodi storici e
comparativi nella scienza del diritto. Del resto, nemmeno da
escludere che certi presupposti ancora pi profondi dei valori
giuridici si trovino oltre ogni et storica determinata, nella
generale realt esperienza e razionalit umana. Il che reintroduce
nello studio del diritto il meglio dell'istanza giusnaturalistica
sotto un profilo puramente realistico.
Tuttavia, per rimanere su piano realistico, bisogna sottolineare
due criteri restrittivi di questo ricorso alla storia o
all'esperienza umana. Il quale ricorso anzitutto non potr essere
dissociato da basi oggettive, formali o testuali, sia pure
largamente intese; e in secondo luogo, potr avere funzione non solo
positiva e diretta ma anche inversa e negativa: per mostrare, cio,
in alcuni casi la concordanza ma in altri casi la discordanza tra i
valori del sistema vigente e i valori tradizionali accolti in
passato e comunemente ricevuti tra gli uomini. Insomma, che gli
orientamenti pi profondi e generali del sistema segnano o invertano
il senso della tradizione storica o della comune esperienza umana
non in nessun caso un'assunzione dogmatica, ma tema volta per volta
di discussioni e dimostrazioni scientifiche positive. 16. La teoria
dell'effetto giuridico come criterio di decisione tra le quattro
concezioni assiologiche del diritto.
Resta da stabilire adesso, decidendo anche qui in funzione delle
diverse conseguenze metodologiche, quale tra le quattro concezioni
del diritto addietro discusse la pi adatta a spiegare il meccanismo
della causalit o condizionalit giuridica e la natura della
relazione tra fatto ed effetto nelle norme giuridiche.
Lasciamo da parte la concezione giusnaturalistica, che su
terreno positivo non potrebbe essere accolta oltre i termini
limitati sopra messi in chiaro. Tra l'altro, si avrebbe difficolt
ad intendere come valori ideali etico-materiali a cui nella
tradizione giusnaturalistica si suole attribuire carattere assoluto
e incondizionato siano compatibili con un fenomeno di
condizionamento. vero tuttavia che gi storicamente (per esempio in
Sant'Agostino) si trovano tracce di un diritto naturale ipotetico,
condizionato, relativo, e che nel giusnaturalismo contemporaneo,
anche sotto l'influsso dell'assiologia
-
di N. Hartmann, il concetto di un condizionamento ideale
d'ordine etico-materiale si va affermando (58) .
La seconda concezione dei valori giuridici, come valori ideali
formali nel senso di Kelsen, dovrebbe affidare al fatto giuridico
soprattutto la funzione di condizionare formalmente, in origine
sulla base di una ipotetica norma fondamentale, il potere dei
soggetti pubblici o privati, delegati ad emanare le norme
secondarie. In genere, il fatto dovrebbe essere destinato
essenzialmente a stabilire le condizioni formali per la validit
dell'effetto. In contrario facile osservare che la struttura del
fatto manca troppo spesso dei requisiti formali indispensabili allo
scopo. Kelsen stesso costretto a riconoscere che il giurista non pu
limitarsi a un'analisi meramente formale delle norme.
Pi ricche e pi naturali sono state invece le applicazioni che ha
avuto, anche su piano dogmatico, la concezione del diritto come
valore soggettivo, della volont o della conoscenza o del
sentimento, e in particolare la concezione imperativistica. Qui il
rapporto tra fatto ed effetto giuridico viene spiegato, abbastanza
plausibilmente, come un condizionamento psicologico: cio come il
nesso psicologico di motivazione che si costituisce tra uno scopo
della volont o un giudizio o un sentimento e le rappresentazioni
della coscienza relative alle circostanze connesse del mondo reale.
A una spiegazione particolarmente chiara del rapporto tra fatto ed
effetto si presta la teoria della norma come imperativo ipotetico.
Il fatto l'ipotesi a cui l'imperativo condizionato. L'effetto o
meglio il concretarsi dell'effetto si ha quando, verificatasi
l'ipotesi, l'imperativo diventa incondizionato. L'efficacia
giuridica consiste dunque nel diventare incondizionato
dell'imperativo ipotetico (59) e nello scaturire della prescrizione
giuridica concreta dall'astratta norma. Si indicato il punto in cui
queste spiegazioni psicologiche, perfettamente plausibili in
teoria, risultano insufficienti. La loro insostenibilit chiara su
terreno metodologico: una volta escluso che nello studiare la norma
il giurista debba preoccuparsi di accertare l'intenzione soggettiva
del legislatore, anche il nesso psicologico di motivazione che pu
intercedere tra le due parti della norma diventa irrilevante. Ancor
minore rilievo ha poi la circostanza (non utilmente, anzi talora
con risultati assurdi, messa a fuoco da autorevoli scrittori) (60)
, che questo nesso di motivazione si trasferisca o meno dalla
volont del legislatore alla volont del destinatario della norma.
Piuttosto da riconoscere che il significato soggettivo di queste
tesi finisce con l'attenuarsi di molto, e spesso resta solo
metaforico, nelle applicazioni giuridiche concrete.
L'unica che sul nostro tema conduca a risultati teoricamente
corretti e metodologicamente utili , per noi, la quarta concezione
del diritto: la concezione secondo cui il diritto (positivamente
inteso) un sistema di interessi, cio di valori reali oggettivi che
deriva, per la sua sostanza, da una vita comune e si manifesta, pi
o meno formalmente, in una comune esperienza e cultura. Nella
grande maggioranza dei casi gli interessi di cui la comunit
giuridica si assume la tutela sono valori reali condizionati, non
solo in concreto ma anche in astratto, in funzione delle diverse
situazioni del mondo astrattamente
-
configurabili. Il rapporto di condizionalit che troviamo posto
nella norma tra il fatto e l'effetto esprime dunque un
condizionamento assiologico reale (61) . chiaro che il fatto la
situazione condizionante del mondo, mentre l'effetto l'interesse
giuridico condizionato. Ma, per meglio definire la natura di questo
condizionamento assiologico reale, occorre aggiungere che, mentre
il fatto in quanto astratto tipo di situazione del mondo configura
un ben determinato problema generale di vita e prospetta una
definita costellazione di interessi individuali o collettivi in
vario rapporto reciproco, l'effetto deve rappresentare una
soluzione adeguata del problema e un armonico contemperamento degli
interessi in gioco. Con un tale modo di concepire la relazione tra
fatto ed effetto si ottiene una idea-chiave ricca di sviluppi
metodologici. Il problema di cui ora si parla non uno fra i tanti
problemi che il giurista si possa proporre, ma molto di pi: il
modello logico, la forma canonica a cui sono riducibili i
principali problemi della scienza del diritto. Questa forma
canonica fondamentale di problema si trova espressa
nell'interrogativo spesso ricorrente tra i giuristi pratici: quid
iuris, se...? dove appunto la particella ipotetica se... introduce
la fattispecie, il fatto giuridico in quanto fatto condizionante, e
il quid iurische si tratta di determinare l'effetto giuridico
cercato.
Intorno a questa idea-chiave si raggruppano varie conseguenze
metodologiche importanti. Ci limitiamo a indicarne alcune tra le pi
immediate sotto due titoli generali: a) principio di convenienza
dell'effetto al fatto; b) teoria della rilevanza giuridica e
distinzione tra efficacia e rilevanza. 17. Principio di convenienza
dell'effetto al fatto.
Come la soluzione deve rispondere al problema, cos l'effetto
deve convenire al fatto. Un effetto impossibile senz'altro escluso.
Tra pi effetti possibili secondo la lettera di un testo ambiguo
prevale l'effetto migliore, cio pi conveniente alla soluzione
pratica del problema. Non sempre, tra effetti specifici opposti
ugualmente autorizzati da un testo di legge, un titolo
preferenziale di maggiore convenienza sussiste in atto. Se si
ricorda che il problema a cui il giurista guarda ha carattere
generale e ammette una soluzione soltanto generale, non si trover
strano che a quel dato livello di generalit manchi spesso ogni base
per una scelta attuale tra le prospettive pi determinate e
specifiche del futuro. L'effetto allora si attegger genericamente e
neutralmente rispetto alle specificazioni alternative eventuali,
lasciando che sull'uno o l'altro modo della sua realizzazione
decida da ultimo la libert e l'autonomia dei soggetti (un
condizionamento assiologico reale non porta mai a una
predeterminazione assoluta, non diciamo di fatti, ma nemmeno di
valori!). Come si vede, le varie implicazioni qui svolte del
principio di convenienza non sono che corollari, applicati alla
relazione tra fatto ed effetto, dei criteri assiologici oggettivi
comunemente utilizzati per la interpretazione delle norme:
prevalenza del senso sul non senso, prevalenza del senso migliore
sul senso peggiore,favor libertatis.
Uno sviluppo ulteriore e pi complesso del principio di
convenienza quello che possiamo contraddistinguere come
principio
-
di adattabilit dell'effetto. Questo principio fa luce su un
punto importante dei rapporti tra profilo assiologico-formale e
profilo assiologico-materiale o sostanziale. L'idea di convenienza
importa gi una certa subordinazione del primo al secondo profilo.
La subordinazione si accentua quando si parla di adattamento della
forma alla sostanza. In virt di questo adattamento l'effetto
risulta da una vera e propria integrazione della lettera dei testi
nello spirito del sistema. Si supponga, per fissare meglio le idee,
che la base formale originaria sia una legge scritta e che il testo
di legge attribuisca un'efficacia determinata a una fattispecie
complessa costituita di una serie di elementi. Cosa avviene, se un
elemento della serie manchi nel tempo richiesto o presenti
irregolarit o anomalie o comunque variazioni rilevanti? Su piano
logico e strettamente formale la fattispecie venuta meno, perch
essa risulta dalla totalit degli elementi previsti. Quindi dovrebbe
venir meno senza residui l'effetto. Ma chi guardi alla reale
disciplina giuridica di qualsiasi fattispecie importante - negozio
o sentenza, provvedimento amministrativo o legislativo, procedure
elettorali, attivit processuali, ecc. - si rende conto della
insostenibilit pratica di un principio del genere, rigido e
anelastico. In fattispecie di notevole complessit (e si osservi che
l'importanza pratica porta sempre con s una certa complessit di
disciplina) ben raro il caso di un concorso assolutamente regolare
di tutti gli elementi richiesti. D'altra parte, anche in assenza di
norme che prevedano opportuni rimedi per salvare l'efficacia degli
atti compiuti, quale giurista oserebbe sostenere che la minima
deviazione dal modello legale porti a una totale nullit e mancanza
di effetti? Ne risulterebbe in pratica una enorme dissipazione di
energie spese a vuoto, che nessun ordinamento giuridico potrebbe
ammettere. Ma la verit che qui sul profilo assiologico-formale
prende legittimamente il sopravvento il profilo
assiologico-materiale e il principio che ne deriva ben diverso da
quello della totale inefficacia. Si tratta in concreto di vedere
che cosa importa per il valore complessivo del risultato la
deviazione occorsa in un dato elemento, in qual senso questa
deviazione alteri i termini del problema originario e richieda una
nuova soluzione giuridica. Questo sar un esame da compiere caso per
caso, fattispecie per fattispecie. E pu anche darsi che in ultima
analisi l'assenza di requisiti assolutamente essenziali conduca a
riconoscere la totale inesistenza della fattispecie e quindi la
mancanza di un qualsiasi effetto: come avviene, ad esempio, nel
matrimonio o nell'adozione. Tuttavia la tendenza generale sar
quella della massima conservazione possibile della efficacia,
adattata naturalmente alle deviazioni o variazioni caso per caso
diverse. Il principio di adattabilit dice appunto che ogni norma di
legge contiene oltre il suo rigido modello formale un criterio
sostanziale pi elastico di orientamento dell'efficacia e che nei
limiti volta per volta pi o meno ampi in cui consentito lo scarto
del criterio sostanziale dal modello formale l'effetto deve potersi
adattare alle variazioni della fattispecie. Il regime delle
anomalie dei negozi e in genere degli atti giuridici pu ritenersi
una immediata applicazione del principio di adattabilit, cos come
il regime dell'interpretazione e l'esigenza di conservazione a cui
esso si ispira. Non sarebbe difficile vedere che in fondo ogni
procedimento
-
analogico si riduce allo stesso principio, solo che il punto di
applicazione si sposti dalla singola norma a un complesso di norme
e via via a parti sempre pi ampie del sistema. 18. Teoria della
rilevanza giuridica. a) Il sistema e le norme specifiche.
Proprio dal rapporto tra norma e sistema opportuno muovere per
il chiarimento di questa teoria. Un sistema giuridico un insieme di
direttive del comportamento umano, un insieme costituente una
totalit organizzata e complessa le cui parti pi elementari possono
continuare a chiamarsi col nome tradizionale di norme. (Le norme
vengono qui intese genericamente come direttive del comportamento
umano, appunto, e non specificamente come imperativi o comandi nel
senso del moderno imperativismo). Il rapporto tra norma e sistema
dunque un rapporto di parte a tutto: il sistema la totalit delle
norme, la norma la parte pi elementare del sistema.
L'esistenza di questo rapporto risulta evidente a qualunque
studioso dei fenomeni giuridici almeno per certi immediati profili.
Si vede bene che l'ordine giuridico globalmente preso non un blocco
monolitico: esso ha partizioni, articolazioni, distinzioni interne
che tuttavia non sono irrelate ma stanno insieme in un tutto
connesso e coerente. Perci si parla e si deve parlare di sistema:
etimologicamente la parola sistema suggerisce l'idea di una totalit
composta o complessa che tiene insieme e connette pi parti. Fin qui
considerazione empirica reale e considerazione logica dei fenomeni
giuridici procedono affiancate. L'idea logica di sistema
corrisponde a una realt empirica effettiva: per l'esperienza reale,
non meno che per la riflessione logica, un sistema giuridico in
quanto non una unit indivisibile, una totalit divisibile in parti.
Ma logicamente le parti del sistema si trovano esse pure esposte al
dilemma: o sono indivisibili o sono divisibili in parti ulteriori,
le quali parti ulteriori a loro volta o saranno indivisibili o
dovranno ancora dividersi in altre parti. Cos procedendo a
partizioni via via minori, ci si fermer in qualche punto o si andr
all'infinito? Tenuto conto che il diritto risponde a problemi
pratici e che una soluzione di questi problemi non si otterrebbe
mai se occorresse cercarla all'infinito, sembra ovvio che la
conoscenza empirica e scientifica del diritto debba potersi
arrestare in qualche punto. Il punto di arresto, l'unit ultima
indivisibile del sistema giuridico, sar precisamente la norma.
Perci il pensiero giuridico tradizionale tende a considerare la
norma come l'atomo del sistema. In concreto, poich i sistemi
giuridici moderni sono espressi nel linguaggio delle leggi e dei
codici, alla norma-atomo dovrebbe corrispondere, logicamente e
realmente, la proposizione atomica cio assolutamente elementare del
linguaggio legislativo.
Che in ogni modo sia possibile e utile costruire il modello
logico della proposizione giuridica fondamentale ed elaborare una
teoria logica della norma a base della scienza del diritto,
senz'altro fuori questione. Ma veramente indispensabile dal punto
di vista logico e metodologico considerare la norma come un atomo
reale del sistema giuridico? E soprattutto: quali sono le effettive
possibilit di isolare questo atomo reale, sia pure con ragionevole
approssimazione, sul piano di una considerazione empirica e
scientifica? Per poter giungere
-
a una proposizione giuridica atomica ben isolata e distinta da
tutte le altre proposizioni del sistema, noi dovremmo poter
distinguere attraverso il linguaggio legislativo norma da norma cos
nettamente come distinguiamo sistema da sistema. La realt del
linguaggio legislativo odierno ci pone davanti a una ben diversa
situazione di fatto. Almeno quando si tratta di ordinamenti
giuridici statali o analoghi noi distinguiamo subito sistema da
sistema. Non ci riesce difficile accertare che il tale o talaltro
testo di legge appartiene al nostro diritto o al diritto francese o
tedesco o romano. Criteri rigorosi escludono in pratica ogni
confusione possibile tra sistemi diversi. Invece non esiste un
criterio altrettanto rigoroso che ci metta in grado di distinguere
norma da norma all'interno dello stesso sistema e ci consenta di
tracciare una linea precisa di confine tra norme diverse. Mentre il
sistema una unit logica ben isolata anche empiricamente, tale non
la norma, almeno nello stato attuale del linguaggio legislativo e
sempre che non si voglia confondere la norma con l'articolo di
legge preso nella sua pura esteriorit. 19. b) La determinazione
dell'effetto dal punto di vista dell'intero sistema positivo.
Questa situazione ha gran peso per tutta la teoria della
efficacia giuridica. Stando all'inquadramento tradizionale,
l'effetto andrebbe cercato dentro ogni singola norma. Non insegna
forse la dottrina tradizionale che l'effetto una parte della norma,
che il modello logico di ogni norma il rapporto di condizionalit,
in cui la parte condizionante il fatto e la parte condizionata
proprio l'effetto? Il modello logico come tale ineccepibile e noi
stessi addietro lo abbiamo accolto e illustrato. Ma, guardando al
procedimento scientifico reale, mediante cui l'indagine giuridica
accerta l'esistenza di un singolo effetto di legge, ci si rende
conto di questa elementare verit: l'effetto si determina
compiutamente non in funzione della singola norma (qualunque cosa
essa sia) ma in funzione dell'intero sistema. Qui anzi ottiene il
suo impiego metodologico pi definito e importante il concetto sopra
illustrato, del diritto come sistema proteso dalle sue forme verso
la sua sostanza integrale: sistema emergente entro campi di
evidenza socialmente apprezzabili (codici o leggi, consuetudini o
singoli atti esemplari, strutturate istituzioni o fluide relazioni
intersoggettive), ma inserito e radicato nella totalit delle sue
condizioni reali.
Dal punto di vista assiologico-reale l'effetto deve darci la
soluzione di un problema generale di vita; esso definisce un
interesse giuridico che la norma tutela in quanto e solo in quanto
ne risulta in prospettiva il trattamento giuridicamente migliore
della situazione degli interessi sociali o individuali definita
nella fattispecie. Ma se la norma non isolabile dal sistema, a pi
forte motivo l'interesse tutelato dalla norma non sar isolabile
dalla totalit degli interessi di cui consiste il sistema, che
dunque da considerare per intero, almeno potenzialmente, quando si
tratta di determinare il singolo effetto di legge. Certo, la
soluzione di un problema giuridico non sarebbe soddisfacente, se si
limitasse a considerare soltanto gli interessi che emergono da un
settore isolato dell'ordinamento positivo, trascurando del tutto
altri interessi che da altre regioni dell'ordinamento potrebbero
influire sulla
-
decisione del caso in esame e risultare eventualmente poziori.
Ogni problema giuridico si risolve in funzione dell'intero
ordinamento positivo e la soluzione raggiunta solo quando si in
grado di stabilire che l'intero sistema dei valori giuridici esige,
in presenza di una certa situazione, una cert'altra situazione da
realizzare mediante idonea attivit dell'uomo. L'effetto
precisamente il valore che quel modo determinato dell'agire umano
assume in funzione di tutti i valori giuridici del sistema.
L'intero sistema giuridico di interessi che in ogni norma deve
riaffermare la propria unit pu bene configurarsi a sua volta come
un interesse unico, anzi l'interesse fondamentale di cui portatrice
la comunit giuridica. Al posto della kelseniana Grund-Norm
meramente ipotetica e formalistica sarebbe pi giusto mettere un
Grund-Wert come sintesi onnicomprensiva di tutti i valori reali e
sostanziali del sistema, che siano evidenziati nel raggio dei dati
formali o delle loro estensioni legittime. La verit che, per
definire ci che si chiama un diritto positivo, non basta
contrapporre all'essere il dover-essere, al fatto il valore: ma
bisogna contrapporre inoltre ai valori parziali isolatamente presi
un sistema di valori assunto come unit e totalit. Ci quanto dire:
perch si abbia una vera e propria valutazione giuridica, occorre
riferire e assoggettare i diversi valori e interessi umani a un
criterio di valutazione unitario, a quel valore o interesse
fondamentale che rappresentato dall'intero sistema. Che questa
valutazione di secondo grado sia indispensabile perch possa
parlarsi di diritto, risulta pure da una riflessione teorica assai
generale. La valutazione originaria, la scissione e la conseguente
tensione tra il fatto e il valore, tra l'essere e il dover-essere,
si trova gi nelle pi umili forme di vita. Anche nell'esistenza
biologica pi elementare, quella istintiva dell'animale o quella
vegetativa della pianta, i processi vitali sono condizionati ai
valori vitali. Ma solo quando i valori vitali, i diversi bisogni e
interessi di un tipo di vita, vengono a loro volta condizionati a
un criterio di valutazione unitario e fanno capo a un sistema
oggettivo che li assume tutti dentro di s in rapporti vari di
coordinazione o subordinazione, allora e solo allora si ha
propriamente diritto. Di questa valutazione o rivalutazione
sistematica integrale dei valori, esclusivamente una vita
spirituale si rivela capace (certo non senza quel processo di
idealizzazione, quel passaggio dalle strutture reali ad autonome
strutture ideali, che dovuto alla potenza simbolica del
linguaggio); ed perci legittimo ritenere, come si ritiene
comunemente, che non in ogni livello di vita ma solo al livello
della vita spirituale un sistema giuridico si costituisce come
criterio di valutazione tanto dei fatti quanto anche dei valori
(interessi, bisogni, volont, aspirazioni) emergenti dalla realt
pregiuridica. 20. c) La determinazione dell'effetto dal punto di
vista delle norme specifiche.
Bisogna allora concludere che di fronte al sistema positivo
globalmente considerato le norme specifiche non hanno nessuna
esistenza, sia pure relativamente autonoma, e quindi nessuna
importanza per la metodologia e la dogmatica della scienza del
diritto? La cosiddetta norma giuridica sarebbe niente altro che un
astratto schema, un mero modello logico? Si lega ai due precedenti
un terzo
-
interrogativo che pi immediatamente concerne la teoria
dell'efficacia giuridica: proprio vero che per la determinazione
dell'effetto non entri in linea di conto la norma specifica ma
soltanto l'intero sistema? Tutti questi interrogativi richiederanno
per ottenere risposte soddisfacenti - possiamo prevederlo fin d'ora
- una discussione laboriosa e circostanziata. Ma infine la
discussione dovrebbe darci come risultato remunerativo precisamente
ci che cerchiamo: un concetto di rilevanza teoricamente adeguato e
un chiaro fondamento di distinzione tra efficacia e rilevanza.
Ogni tentativo di distinguere comunque, e perci in qualche modo
di isolare, la norma specifica dalla unit del sistema urta contro
una difficolt che non da sottovalutare: la difficolt gi sopra
rilevata. Una volta messo in chiaro che nel linguaggio dei codici
sociali scritti e non scritti la norma non una unit realmente
isolabile come invece il sistema e che non possibile distinguere
norma da norma cos nettamente come sistema da sistema, anche la
distinzione della norma dal sistema perde - la conseguenza sembra
inevitabile - ogni carattere netto e quindi ogni rigore
scientifico. Per capire il nodo della difficolt si osservi che non
basta definire la norma come parte tendenzialmente elementare del
sistema. Il sistema ha un lato formale e un lato sostanziale.
Riferito al linguaggio legislativo, il sistema formale l'insieme
dei segni linguistici, cio l'apparato documentale delle leggi e dei
codici, mentre il sistema sostanziale il corrispondente insieme di
significati e valori. Si tutti d'accordo sul punto che la norma
parte del sistema sostanziale e non del sistema formale. La norma,
in quanto si distingue dall'articolo di legge, non un dato
sensibile, non la forma linguistica esteriore di un segno o di un
insieme di segni, ma il significato non sensibile di certi segni
linguistici. Ora, sarebbe abbastanza facile distinguere, con tutta
la precisione desiderabile, le partizioni del sistema formale che
sono partizioni esterne: e, infatti, si distinguono facilmente
codici da codici, leggi da leggi, articoli da articoli. Senonch
queste partizioni esterne non corrispondono a partizioni interne.
Anche su questo punto si tutti d'accordo: non esiste una
corrispondenza rigorosa che permetta di argomentare dalle
distinzioni formali le distinzioni sostanziali e quindi di
pervenire per questa via a distinguere in modo scientificamente
netto la norma specifica nella unit del sistema.
Trattandosi di accertare la possibilit di distinguere
scientificamente tra norma e sistema e tra le rispettive funzioni
nella determinazione degli effetti giuridici, buon consiglio
guardare anzitutto ci che avviene in concreto nel lavoro
scientifico del giurista. Intanto chiaro che, prima di ogni
distinzione scientifica, pi d'una distinzione empirica e storica
serve a orientare il giurista. Per definizione il sistema non
un'unit monolitica: ha partizioni, sezioni, articolazioni che in
qualche modo sono gi note. Le stesse partizioni esterne sono di
aiuto. Se vero che non esiste corrispondenza rigorosa tra
partizioni esterne e partizioni interne, anche vero che una certa
approssimazione - vaga e imprecisa quanto si voglia - rimane
innegabile e che una parte distinta del sistema formale riesce a
distinguere, grosso modo, una parte del sistema sostanziale. In pi
il giurista aiutato dalle partizioni sistematiche tradizionali
trasmesse
-
dalla cultura giuridica, nonch dalle ulteriori partizioni
sistematiche che egli stesso come teorico della propria scienza in
grado di introdurre.
Ma il punto veramente decisivo che il lavoro scientifico del
giurista diretto a risolvere problemi pratici reali posti dai casi
della vita e che, come sappiamo, gli effetti giuridici intesi nel
loro senso sostanziale non sono che le risposte a questi problemi.
Si consideri ora che i casi della vita reale hanno una certa unit
di significato e conferiscono ai problemi relativi un significato
unitario. Beninteso, l'unit di significato non rigorosa, ma
praticamente sufficiente; essa inoltre si consolida attraverso il
continuo ricorrere del caso e si viene enucleando e fissando prima
nell'esperienza giuridica elementare della comunit (attraverso la
costituzione del nomen iuris) e poi nella riflessione scientifica
del giurista. A questa tendenziale unit del problema fa riscontro
la tendenziale unit della soluzione. Ebbene, la norma specifica che
il giurista riesce ad estrarre dal sistema mediante l'analisi dei
testi vuol essere, appunto, la soluzione di massima del problema:
una soluzione che vale soltanto di massima, una regola che non
manca di eccezioni ma che tuttavia d un orientamento pratico e
scientifico sufficientemente unitario nel modo di trattare il
problema.
Ecco lo schema, certo abbreviato e stereotipato, di quello che
in definitiva il procedimento del giurista. Il problema si stilizza
nella formula: quid iuris in un caso cos-e-cos determinato? Il
giurista risponde che, secondo la norma specifica del caso e salvo
le interferenze di circostanze eccezionali, ci che il diritto
richiede un comportamento cos-e-cos determinato dei soggetti. Si
intende che se il problema proposto all'inizio non avesse un
significato pratico unitario, esso si frazionerebbe in tanti
problemi quanti sono i casi reali praticamente unitari. Ma,
presupposta l'unit del significato pratico, si pu affermare: tanti
problemi, altrettante norme. Resta fermo che queste norme
specifiche non valgono sempre. Ci che il diritto richiede secondo
queste norme, l'interesse o valore giuridico in esse rappresentato,
non sempre l'effetto giuridico. Integrando via via la fattispecie
parziale definita dal caso con fattispecie residue tratte da altre
regioni del sistema, si potranno ottenere via via, in ogni nuovo
stadio del processo di integrazione, norme sempre pi specifiche.
Idealmente, l'integrazione procederebbe all'infinito, ma
praticamente (non dimentichiamo che i problemi giuridici sono
problemi pratici) viene un momento in cui la serie dei problemi
intorno ad un tema determinato si esaurisce e in questo momento
l'indagine giuridica si arresta.
Per quali necessit la norma specifica, per quanto incompleta e
da completare, sia insopprimibile nel sistema - mette ora in chiaro
una triplice considerazione, l'ultima soprattutto importante per la
teoria dell'effetto. In virt di un canone formale generalissimo che
tollera assai poche eccezioni il giurista non autorizzato a
sopprimere un testo di legge, a respingerlo come forma priva di
contenuto, sulla base di pure ragioni sistematiche. Salvo il
caso-limite dell'assoluto nonsenso logico e pratico, il testo
resiste e come forma specifica impone il suo contenuto specifico,
cio il suo valore parziale, al sistema che non pu non tenerne
conto. Gi in forza di questo fenomeno risulta dunque
-
evidente che di fronte al sistema si accampa una norma
specifica. Si aggiunga inoltre che il valore parziale costituente
la norma specifica ha logica indipendenza e autonomia rispetto al
valore globale del sistema. La sua indipendenza logica da intendere
esattamente in questo senso: esso non pu ricavarsi dal resto del
sistema per pure operazioni deduttive e rappresenta perci una entit
nuova, prima non contenuta nel sistema se non virtualmente e a
livello indeterminato o generico. Anche qui - bisogna dire - il
principio non manca di eccezioni (si pensi al caso di norme
pleonastiche o meramente esemplificative), ma le eccezioni non sono
molte. Ed ecco ora la considerazione essenziale che mostra
l'importanza delle norme specifiche, nonch dei valori parziali
corrispondenti, nel processo di determinazione degli effetti
giuridici. Se l'effetto giuridico il quid iuris che risolve un dato
problema giuridico, chiaro che in funzione del problema non tutto
egualmente importante nel sistema normativo. Alcune parti del
sistema sono troppo lontane dal senso del problema per influire
praticamente sulla sua soluzione e restano perci neutrali tanto ad
una soluzione data quanto alla soluzione opposta. L'effetto
giuridico, quindi, non ne rimane influenzato. Invece altre parti
del sistema (taluni istituti speciali, talune speciali materie)
dnno criteri pi prossimi e pi pertinenti ad una soluzione
plausibile. Ne risulta in concreto, dentro la totalit dei valori
giuridici, una certa innegabile preminenza di alcuni valori
parziali su altri valori parziali ai fini dell'effetto da
determinare. vero che questa preminenza, questa sorta di
discriminazione e gradazione gerarchica, tra valori influenti e
valori non influenti o meno influenti sull'effetto, deriva in
ultima analisi da una considerazione complessiva o almeno da una
intuizione globale del sistema, spesso affidata all'immediato
sentimento giuridico, la quale considerazione o intuizione mette a
fuoco immediatamente, estraendolo e isolandolo da tutto il resto,
il campo del diritto positivo che pu risolvere il problema e
determinare l'effetto cercato. Ci conferma che il riferimento al
sistema come Grund-Wert, valore fondamentale e globale, rimane
sempre indispensabile. Ma non ne viene pure confermata, al tempo
stesso, l'esistenza e l'emergenza dei valori parziali costituenti
le norme specifiche e la loro influenza preponderante sull'effetto
giuridico? 21. d) Opposte esigenze metodologiche nella
determinazione dell'effetto: l'esigenza sintetica o sistematica;
l'esigenza analitica o esegetica.
Dal punto di vista del metodo, il rapporto tra sistema normativo
e norme specifiche deve tener ferme e ben equilibrate due esigenze
metodologiche apparentemente opposte ma in ultima analisi
convergenti, su cui opportuno richiamare l'attenzione, perch il
loro gioco combinato porta in una luce pi definita e pi
immediatamente apprezzabile, anche per i suoi riflessi tecnici e
dogmatici, la distinzione che gradualmente si va delineando tra
efficacia e rilevanza.
La prima e preminente esigenza metodologica fa capo al concetto
dell'unit del sistema. questo un concetto indispensabile per il
metodo e per la metodologia del giurista (62) . Senza il
riferimento al sistema, inteso in senso assiologico sostanziale,
come il valore pratico onnicomprensivo capace di fornire un
criterio di decisione unitario e
-
costante, il giurista, col solo ausilio dei suoi codici e dei
suoi testi, sarebbe quasi sempre sommerso dalla sterminata variet e
complessit dei problemi pratici, talora privo di ogni risposta
possibile davanti al silenzio della legge, talora indeciso tra le
alternative di un testo ambiguo, talora infine costretto da una
esegesi troppo letterale a una soluzione praticamente assurda.
Affermare che l'effetto giuridico, il quid iuris che d risposta al
problema pratico sollevato da una situazione di fatto, definito
volta per volta in funzione della situazione ma sempre in armonia
con la totalit degli interessi giuridici, significa dire che il
giurista per risolvere i suoi problemi ha costantemente la necessit
di guardare all'unit del sistema: una necessit che alla radice di
ogni considerazione teorica, cio appunto sistematica, del diritto.
La interpretazione sistematica contiene in nuce tutta la
metodologia della scienza giuridica pratica e l'interesse
fondamentale di cui parliamo la chiave di ogni interpretazione
sistematica.
Sebbene l'unit del sistema sia il valore giuridico fondamentale
e il criterio ultimo di decisione degli effetti giuridici, tuttavia
una esigenza metodologica in certo senso opposta ma altrettanto
imprescindibile punta sulla realt dei valori giuridici parziali
contenuti nelle norme specifiche e sulla rilevanza effettiva che
questi valori hanno nella determinazione dell'efficacia. Si
rifletta che la stessa interpretazione sistematica presuppone gi
acquisiti questi valori parziali e li assume come punti di partenza
del processo di integrazione ulteriore. In concreto, nel lavoro
scientifico del giurista, ogni considerazione del sistema
presuppone e deve necessariamente presupporre l'esegesi puntuale,
l'analisi del testo specifico. Il procedimento esegetico, con le
sue analisi minute, non meno essenziale del procedimento
sistematico e sintetico alla metodologia del giurista. Ci si vede
pi precisamente considerando che l'interpretazione sistematica
comunque interpretazione: enucleazione di significati non sensibili
da segni sensibili. La base originaria e necessaria di ogni
interpretazione un insieme di dati sensibili, per esempio un testo
definito o una serie definita di testi. Questi dati sensibili sono
i temi di corrispondenti percezioni dei sensi e a queste percezioni
che sono necessariamente particolari si collegano le prime
immediate interpretazioni che non possono non essere, esse pure,
particolari. Sorgendo un problema pratico, quel primo lavoro
interpretativo analitico che si chiama esegesi mette a fuoco nel
sistema formale (cio: nell'insieme di segni linguistici che
l'apparato documentale delle leggi e dei codici) la serie dei testi
che trattano espressamente il problema. chiaro che, se i testi
analizzati hanno un definito senso pratico, gi in essi si profila
uno schema di soluzione che lascia intravvedere qual il valore
normativo preponderante nella tutela degli interessi in gioco.
Certo, per ottenere la soluzione esauriente del problema non ci si
pu fermare alla interpretazione immediata. Anche quando il senso
del testo soddisfa pienamente gli interessi in considerazione, non
da escludere che altri interessi interferendo dall'esterno riescano
a determinare una soluzione diversa. In ogni caso il valore
immediatamente ottenuto sar un valore parziale che va integrato
dagli altri valori del sistema, cio eventualmente confermato ma
-
eventualmente corretto modificato eliminato. D'altra parte, sia
ben chiaro questo punto: categorie sistematiche, logiche e
assiologiche, princpi teorici o princpi pratici, possono anticipare
le grandi linee e direzioni del sistema; ma il sistema reale non si
ottiene se non come sintesi progressiva di tutti i valori parziali.
vero che il sistema dei valori a sua volta un valore. Si deve anzi
affermare, cos come abbiamo affermato, che quale criterio esclusivo
e autosufficiente di valutazione il sistema il valore o interesse
fondamentale. Con una riserva, tuttavia: che questo valore o
interesse fondamentale sia pensato non come una sorta di principio
primo definito aprioristicamente, donde siano deducibili per virt
di pure operazioni logiche tutti gli interessi giuridicamente
protetti con le relative norme, - ma come una complessa ed
estremamente articolata realt di esperienza che, partendo da forme
particolari e da particolari valori, si costituisce
progressivamente in un processo di continua integrazione e
armonizzazione di interessi (63) . 22. Distinzione tra efficacia e
rilevanza.
Le due esigenze metodologiche fin qui delineate, l'una delle
quali guarda al valore complessivo rappresentato dall'unit del
sistema, mentre l'altra diretta verso i valori parziali contenuti
nelle norme specifiche, trovano dunque la loro conciliazione nella
concreta metodologia della scienza giuridica positiva; e quindi la
loro opposizione , come dicevamo, pi apparente che reale,
costituendo esse due istanze necessariamente complementari di uno
stesso metodo di ricerca. L'analisi positiva dei testi in sede
materiae gi sufficiente per isolare zone di rilevanza e di
influenza per i problemi pratici in considerazione. Essa enuclea
dal sistema normativo norme che sicuramente sono incomplete, ma che
contengono gi momenti caratteristici e tipici per quei problemi,
valori influenti anzi preponderanti sugli effetti da determinare.
Anche in queste norme si prospetta un tendenziale rapporto di
condizionalit, con una parte condizionante ed una parte
condizionata. Non si tratta di un condizionamento pieno e perfetto,
perch norme incomplete non possono avere che fattispecie e
condizioni incomplete, mentre logicamente solo la totalit delle
condizioni pu agire come causa e determinare l'effetto. Le
conseguenze connesse a fattispecie incomplete hanno ancora una
gamma di possibili oscillazioni e sono soltanto potenziali o
tendenziali. Per rendere chiaro il discorso si pu qui parlare, con
una terminologia del tutto provvisoria, di una quasi-condizionalit,
di un quasi-fatto, di un quasi-effetto. Il quasi-fatto non ha
efficacia sicura, perch non la fattispecie totale: ne costituisce
per la parte pi rilevante, una parte tipica, caratteristica, per
cos dire centrale. Perci nemmeno il quasi-effetto sicuramente
l'effetto, pur essendo un valore rilevante - anzi preminente di
regola - nella determinazione dell'efficacia. Insomma, il fenomeno
fondamentale che si tratta di mettere a fuoco che ogni norma
specifica di fronte a cui si trovi il giurista ha una rilevanza
insopprimibile per la produzione di certi effetti e tuttavia presa
da sola non capace di determinare univocamente l'efficacia. La sua
quasi-condizionalit non una condizionalit univocamente determinante
e lascia aperte alternative,
-
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