1 IL LAVORO ALCHEMICO Premettiamo che il Lavoro Alchemico dell'uomo su sé stesso deve consistere innanzitutto nella purificazione da tutte le emozioni negative che pervadono la sua personalità. La lamentela, l'odio, la rabbia, la gelosia e ogni genere di giudizio e fastidio verso gli altri devono essere scomparsi prima che egli possa avventurarsi nei mondi spirituali. In queste dimensioni superiori l'aspirante viene sottoposto a ogni sorta di attacchi emotivi e mentali da parte delle forze ostili che vi abitano e che egli stesso suscita per risonanza. Solo un perfetto equilibrio di emozioni e pensieri potrà renderlo capace di difendersi e di distinguere la realtà dalle allucinazioni. ______________ il ricordo di se’ ( parte I ) ...In quel periodo avevo cominciato a leggere i libri di Gurdjieff e Ouspensky. Un giorno stavo dialogando con un mio amico, quando a un certo punto vidi che era addormentato. Mi parlava con veemenza dei fatti del giorno, ma non era sveglio. "Qualcosa" parlava al suo posto mentre lui dormiva. Ne provai orrore. Quello era il mio migliore amico... avevamo vissuto insieme momenti belli e brutti per anni. Ciò significava che anche io ero in quello stato. In quell'istante decisi che avrei dedicato il resto della mia vita a cercare di svegliarmi. Non c'è altro modo per sfuggire alla morte, all'infuori del ricordo di sé. Robert Earl Burton introduzione al ricordo di sé Entriamo nel vivo dei processi alchemici atti a trasmutare l‟uomo in qualcosa di splendidamente superiore. Affrontiamo quindi per la prima volta anche il concetto di « risveglio » dell‟essere umano. Il primo passo verso l‟acquisizione della liberazione e dell‟immortalità consiste in un accurato lavoro di « risveglio »; l‟individuo deve cioè rendersi pienamente conto che allo stato attuale sta dormendo. Quando ci destiamo al mattino in realtà non ci svegliamo, ma passiamo da uno stato di sogno a un altro: è il sonno verticale; un sonno, cioè, che permette la posizione verticale, il movimento, il parlare, lo studiare... purtuttavia è ancora ben lungi dall'essere un reale stato di veglia. Si tratta di una condizione di perpetuo rintronamento nella quale non si pensa, ma si è pensati, non si provano
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IL LAVORO ALCHEMICO
Premettiamo che il Lavoro Alchemico dell'uomo su sé stesso deve
consistere innanzitutto nella purificazione da tutte le emozioni
negative che pervadono la sua personalità. La lamentela, l'odio, la
rabbia, la gelosia e ogni genere di giudizio e fastidio verso gli altri
devono essere scomparsi prima che egli possa avventurarsi nei mondi
spirituali. In queste dimensioni superiori l'aspirante viene sottoposto a
ogni sorta di attacchi emotivi e mentali da parte delle forze ostili che vi
abitano e che egli stesso suscita per risonanza. Solo un perfetto
equilibrio di emozioni e pensieri potrà renderlo capace di difendersi e
di distinguere la realtà dalle allucinazioni.
______________
il ricordo di se’
( parte I )
...In quel periodo avevo cominciato a leggere i libri di Gurdjieff e Ouspensky. Un giorno stavo
dialogando con un mio amico, quando a un certo punto vidi che era addormentato. Mi parlava con
veemenza dei fatti del giorno, ma non era sveglio. "Qualcosa" parlava al suo posto mentre lui
dormiva. Ne provai orrore. Quello era il mio migliore amico... avevamo vissuto insieme momenti
belli e brutti per anni. Ciò significava che anche io ero in quello stato. In quell'istante decisi che
avrei dedicato il resto della mia vita a cercare di svegliarmi.
Non c'è altro modo per sfuggire alla morte, all'infuori del ricordo di sé.
Robert Earl Burton
introduzione al ricordo di sé
Entriamo nel vivo dei processi alchemici atti a trasmutare l‟uomo in qualcosa di splendidamente
superiore. Affrontiamo quindi per la prima volta anche il concetto di « risveglio » dell‟essere
umano.
Il primo passo verso l‟acquisizione della liberazione e dell‟immortalità consiste in un accurato
lavoro di « risveglio »; l‟individuo deve cioè rendersi pienamente conto che allo stato attuale sta
dormendo.
Quando ci destiamo al mattino in realtà non ci svegliamo, ma passiamo da uno stato di sogno a un
altro: è il sonno verticale; un sonno, cioè, che permette la posizione verticale, il movimento, il
parlare, lo studiare... purtuttavia è ancora ben lungi dall'essere un reale stato di veglia. Si tratta di
una condizione di perpetuo rintronamento nella quale non si pensa, ma si è pensati, non si provano
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emozioni, ma si è da esse trascinati, non si gestisce il proprio corpo, ma si subisce la sua fisiologia.
Se vogliamo lavorare per evadere dalla prigione è imperativo innanzitutto che sappiamo di essere
all'interno di una prigione. Il più grande ostacolo al risveglio è che l'uomo pensa di essere già
cosciente e pienamente libero! Per avere la certezza di essere in uno stato di prigionia è necessario
vederlo con i propri occhi e, magari, rimanerne scioccati. L'ideale sarebbe riuscire a SENTIRE
EMOTIVAMENTE l'addormentamento. Questo fornisce l'energia occorrente per iniziare a lavorare
su di sé.
I seguenti esercizi si basano sul « ricordo di sé ». Lo sforzo di ricordarci di noi stessi nell'arco della
giornata ci permette di vedere come siamo fatti e in quale stato viviamo tutti i giorni; serve a farci
comprendere che durante il giorno "dormiamo" e di conseguenza non siamo mai coscienti di noi.
Viviamo dentro un‟allucinazione; non vediamo la realtà e non possediamo alcun potere occulto in
grado di modificarla semplicemente perché dormiamo. Il "ricordo di noi stessi" ci permette di
evitare di lasciar scorrere nell'inconsapevolezza la nostra esistenza quotidiana, portando alla luce
anche le zone più nascoste di noi.
Cosa è il « ricordo di sé »? Non lo si può spiegare a parole: lo si capisce facendo gli esercizi. Come
vedremo più avanti, si tratta di essere presenti qui-e-ora almeno in corrispondenza di determinate
occasioni che vengono stabilite a priori. Un uomo risvegliato è un uomo che si ricorda di sé sempre,
è un uomo che è sempre presente qui-e-ora per ventiquattro ore al giorno... anche nel sonno. Il
ricordo di sé è infatti un livello di coscienza superiore che si può raggiungere solo sforzandosi di
ricordarsi di sé!
L'errore principale della filosofia e della psicologia moderna risiede nell'aver ignorato un quarto
stato di coscienza oltre i tre già noti all'uomo ordinario. Gli stati di norma conosciuti sono: sonno
verticale (quello ritenuto a torto il normale stato di veglia dell'uomo), sonno profondo, sogno.
Nessuna psicologia e nessuna filosofia sono proponibili se non si considera la possibilità nell'uomo
di un quarto stato: lo stato di ricordo di sé, che è poi il reale stato di veglia.
Il ricordo di sé - è il 'terribile segreto' dell'Ars Regia che tutti gli alchimisti si sono preoccupati di
tenere occulto nei loro scritti: è il « regime », l'« agente universale », il « fuoco lento » a cui la
materia deve essere sottoposta per ottenere una trasformazione.
Premettiamo che l'effettivo stato di ricordo di sé è uno stato EMOTIVO SUPERIORE, non un
fenomeno intellettuale. Quando nel corso della presente trattazione ci riferiremo al ricordo di sé, ci
staremo in realtà riferendo ai nostri tentativi di ricordarci di noi, cioè all'unico stato attualmente
possibile per il neofita: uno stato ancora principalmente mentale, in cui ci si sforza di essere presenti
per ricordarsi di sé. Con l'espressione « ricordo di sé » intendiamo quindi riferirci allo sforzo di
ottenere questo stato, e non allo stato stesso. Attraverso gli sforzi ripetuti sarà però possibile attivare
il 'centro emotivo superiore' ( il Cuore ) e quindi entrare nel reale ricordo di sé... e questo è il nostro
scopo.
Attraverso lo sforzo di ricordarci di noi tocchiamo con mano la totale assenza di Volontà che ci
contraddistingue... ma non dobbiamo abbatterci a causa dei pessimi risultati. Il nostro lavoro
consiste nello sforzarci ogni giorno di riuscire, non nell'ottenere un risultato, il risultato non
interessa minimamente i nostri scopi.
Il ricordo di sé è il fenomeno più importante della Magia, dell'Alchimia e dell‟esoterismo in genere.
Compreso questo, l‟uomo possiede la chiave per farsi progressivamente strada in altri stati di
coscienza e acquisire nuovi poteri. Il ricordo di sé costruisce il « corpo astrale », o « corpo lunare »,
che permette la sopravvivenza dopo la morte, e anche il « corpo di gloria », cioè l'anima
dell'individuo, che permette l'immmortalità assoluta. Sono due livelli iniziatici successivi. L'unico
modo che abbiamo per capire cosa è il ricordo di sé è fare degli esercizi; esso non può essere
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compreso attraverso una spiegazione intellettuale come un qualunque altro concetto. Si può
conoscere la meccanicità solo cercando di contrastarla: se noi siamo nati in catene, se siamo nati in
una prigione, fino a quando non proviamo a uscire e ci accorgiamo che è difficilissimo, non
abbiamo alcuno strumento per capire di essere nati dentro un carcere. Fino a quando stiamo zitti e
buoni dentro la nostra prigione tutto fila liscio, solo quando tentiamo di superare il muro
perimetrale, e non ci riusciamo, comprendiamo che non siamo liberi e non lo siamo mai stati.
Attraverso il persistente sforzo teso al ricordo di sé si produce una trasmutazione alchemica che
consente di costruire i "corpi sottili" e di trasferire in essi la nostra coscienza. Tali corpi
sopravvivono alla morte del nostro corpo fisico. Stiamo quindi parlando di sopravvivenza alla morte
e successivamente di « immortalità assoluta ».
Il nostro obiettivo consiste nel lavorare alla fabbricazione dei "corpi sottili", e al trasferimento della
coscienza dalla mente al Cuore, dove risiede il nostro vero Sé. Ciò si ottiene grazie ai ripetuti sforzi
tesi verso il ricordo di sé, il controllo dell'immaginazione negativa, la trasmutazione delle emozioni
negative in emozioni superiori (le emozioni del Cuore) e il lavoro con l'energia sessuale.
Tuttavia è bene sottolineare che praticando tali metodi non ci stiamo limitando ad agire soltanto per
il « corpo di gloria », poiché stiamo anche lavorando alla fissazione dei corpi "inferiori": l'« astrale
» (o emotivo) e il « mentale », che nell'uomo ordinario non sono interamente sviluppati. Del « corpo
mentale » si parla poco e anche io non mi soffermerò sulla costruzione di tale corpo, ma è bene si
sappia che esiste questo passaggio intermedio fra il corpo astrale e il corpo dell'anima. La fissazione
completa di tali corpi consente di ottenere poteri sovranormali.
la pratica del ricordo di sé
1 -- Si tratta di ricordarsi di sé più a lungo che si può durante lo svolgimento di un'azione prolungata
nel tempo. Un esercizio classico è il ricordo di sé mentre
-- laviamo i piatti;
ma le varianti possono essere molte:
-- spazziamo il pavimento,
-- scendiamo le scale,
-- ci laviamo i denti,
-- ci facciamo la barba,
-- ci depiliamo,
-- mangiamo un panino,
-- facciamo la doccia,
oppure nel tragitto fra l‟automobile parcheggiata e il posto di lavoro, o fra casa nostra e la fermata
dell‟autobus... Ogni attività che abbia una durata non eccessiva può essere utilizzata come esercizio.
Si tratta di fermare il lavorìo della mente, il "dialogo interno" della mente, tutte le volte che ci
ricordiamo, e sforzarci poi di rimanere presenti più a lungo possibile prima di ricadere
nell'identificazione con i pensieri e le immagini mentali. Dobbiamo concentrarci su quello che
stiamo facendo rimanendo coscienti di noi, senza vagare con il pensiero. Non dobbiamo lasciare che
il corpo fisico esegua il lavoro da solo meccanicamente, dobbiamo accompagnare la sua attività con
la nostra presenza qui-e-ora. Il corpo fisico sa lavare benissimo i piatti anche se intanto la mente
pensa all'ultimo film che ha visto, ma lo scopo dell'esercizio è che TUTTO L'ESSERE lavi i piatti,
non solo un corpo; dobbiamo rimanere pienamente coscienti di ciò che facciamo come se il corpo
senza il nostro aiuto cosciente non potesse farlo. Mentre il corpo lava i piatti la mente deve essere lì
con lui, e non vagare per associazioni di pensiero come è abituata a fare.
Per esempio, ricordiamoci di noi mentre ci spogliamo e ci svegliamo. Che sia la mattina prima di
andare al lavoro, la sera quando torniamo, poco prima di andare a letto nell'indossare il piagiama,
quando ci troviamo nello spogliatoio della palestra o della piscina... dobbiamo restare "presenti a
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noi stessi" metnre ci infiliamo o ci togliamo i vestiti, cioè completamente presenti a quello che
stiamo facendo, senza farci distrarre da altri pensieri o da persone che richiamano la nostra
attenzione. All'inzio può essere utile ripetersi: "Mi sto infilando i pantaloni... e sono presente... mi
sto ricordando di me... non sono distratto da altro...".
Negli istanti in cui riusciamo a essere presenti sappiamo già che a breve ripiomberemo nel sonno.
Ogni momento di presenza è una conquista. Mentre laviamo i piatti o ci spogliamo a tratti siamo
presenti e a tratti ci identifichiamo con il contenuto della mente sognando a occhi aperti,
immaginando situazioni e dialoghi assortiti... ma per ora siamo schiavi e non possiamo evitarlo, non
abbiamo sufficiente Volontà per evitarlo, possiamo solo sforzarci di "tornare in noi" appena ce ne
ricordiamo e prolungare questo stato di presenza finché ci è possibile. Noteremo presto che questi
esercizi sono quindi un continuo andare e venire da uno stato di presenza a uno di assenza. Una
continua lotta per rimanere desti. E la lotta contro la meccanicità è ciò che ci serve per provocare la
« cottura alchemica » delle sostanze che vanno a formare i nostri "corpi sottili".
Nei primi tempi sarebbe bene non mischiare i differenti esercizi: è meglio concentrarsi per un‟intera
settimana su un unico esercizio e poi cambiare. Sette giorni è il periodo ideale. Dopo sette settimane
si conclude un ciclo e se ne può cominciare uno successivo, mantenendo gli stessi esercizi oppure
sostituendone qualcuno.
L'attenzione divisa. Praticando gli esercizi ci si accorge che il ricordo di sé implica il verificarsi di
un particolare fenomeno detto « attenzione divisa », cioè la capacità di prestare attenzione a ciò che
si sta facendo e contemporaneamente a se stessi. L'attenzione prende così due direzioni: una verso
l'esterno e una verso l'interno. Nel corso della vita normale invece l'attenzione è monodirezionale,
cioè la coscienza è interamente persa nell'evento esterno. Se una persona ci sta parlando noi siamo
concentrati su di lei, la nostra coscienza è interamente PERSA in lei, annullata nell'avvenimento
esterno. Quando ci si sforza di rimanere presenti ci si accorge che è possibile parlare con una
persona prestando attenzione a quanto dice, e contemporaneamente ricordarsi di sé, cioè essere
presenti a se stessi. Si può cioè tenere una parte dell'attenzione sempre rivolta verso l'interno.
Questo sforzo fa sì che dentro di noi si strutturi il corpo dell'anima - e che la nostra coscienza
divenga perciò immortale - e che il nostro centro di consapevolezza si sposti in esso. Accade che
noi diveniamo progressivamente l'entità che osserva l‟apparato psicofisico al lavoro, e non si
identifica più interamente con esso, non si annulla più in esso. Questa entità è la coscienza
extracerebrale, ciò che in oriente viene definito « il testimone », l'osservatore imparziale. Il nostro
disidentificarci dalla macchina biologica, il rimanere presenti come osservatori mentre il corpo e la
mente fanno qualcosa, fa sì che creiamo nuovi "corpi sottili" da abitare e simultaneamente ci
identifichiamo con essi, cioè spostiamo la nostra coscienza in essi. I due processi vanno di pari
passo.
Se mentre camminiamo per strada ci proponiamo fermamente di rimanere « svegli » fino
all‟incrocio successivo, ma dopo qualche minuto sorprendiamo la nostra mente a fantasticare sopra
gli argomenti più svariati, allora ancora una volta ci siamo „dimenticati di noi‟... ci siamo
„addormentati‟.
Non abbiamo il controllo della nostra mente! Non abbiamo il controllo delle nostre emozioni! Non
viviamo la vita che scegliamo noi, ma solo quella della nostra macchina biologica.
A questo punto l‟assenza di libero arbitrio diviene per noi un fatto indubitabile. Non dobbiamo
affidarci alle teorie di qualche filosofo per decidere se l‟uomo possiede oppure no una libera
Volontà. Lo possiamo sperimentare sulla nostra pelle!
Ma fino a quando non vengono attuate nella pratica, queste rimangono solo parole prive di utilità!
Questo sito non è un ricettacolo di teorie esoteriche, ma un costante richiamo a lavorare su di sé!
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2 -- Questa seconda categoria di esercizi è molto differente dalla precedente: non si tratta infatti di
ricordarsi di sé per un periodo prolungato (mentre laviamo i piatti o mentre camminiamo per
strada), bensì di ricordarsi di sé in corrispondenza di azioni distribuite lungo la giornata, e che
possono anche giungere all'improvviso (non possiamo infatti sapere quando squillerà il telefono o
quando qualcuno ci rivolgerà la parola).
Una mattina ci alziamo e prendiamo una decisione risoluta: "Oggi, mentre sono in ufficio, voglio
ricordarmi di me tutte le volte che giro la maniglia di una porta per aprirla". Questo significa che
ogni volta in cui stiamo aprendo una porta dobbiamo essere presenti e pensare: "Ecco, sono
presente, sono cosciente di stare aprendo questa porta".
Tornati a casa, oppure alla sera prima di andare a dormire, analizziamo la giornata e verifichiamo
quante volte siamo riusciti a ricordarci di noi aprendo una porta. Se aprendo una porta non ci siamo
mai fermati a pensare: "Ecco, ora ci sono, sono presente, sto aprendo la porta", allora non ci siamo
mai ricordati di noi. Abbiamo aperto le porte nell'inconsapevolezza più totale, cioè nello stesso stato
di sonno in cui abbiamo compiuto tutte le altre azioni nel corso della giornata.
Aprire le porte con consapevolezza rappresenta un esercizio efficace perché ci si costringe a restare
presenti in un momento in cui è difficile esserlo, in quanto stiamo passando da un ambiente a un
altro. Questo è solo un esempio e le varianti adottabili sono molteplici. Possiamo fare sforzi per
ricordarci di noi tutte le volte che:
-- apriamo la portiera di un'auto per salire o scendere,
-- saliamo o scendiamo da un autobus,
-- ci alziamo da una sedia o ci sediamo,
-- squilla un telefono (sia nostro che di altri),
-- portiamo il bicchiere alla bocca per bere qualcosa,
-- azioniamo la freccia alla guida dell'auto,
...e così via.
Anche per questa pratica vale la regola dei sette giorni e delle sette settimane. I due diversi generi di
esercizi possono essere alternati di settimana in settimana, in modo che dopo quattordici settimane
abbiamo completato un ciclo di sette esercizi diversi per ognuno dei due tipi. Le varianti possiamo
anche inventarle noi: scegliamo una qualunque azione e ci imponiamo di ricordarci di noi tutte le
volte che la svolgiamo, tenendo conto del fatto che l'esercizio serve solo fino a quando ci costringe
a compiere uno sforzo; quando ci abituiamo perde la sua efficacia e si deve passare a un altro.
All'inizio probabilmente non ci ricorderemo mai, o addirittura non ci ricorderemo nemmeno di
analizzare la giornata alla sera per verificare se qualche volta siamo stati presenti durante il giorno.
Ma se tutte le mattine per giorni e giorni ci riproponiamo di farlo, la situazione presto migliorerà. E'
importante ribadire che un uomo risvegliato vive permanentemente in quello stato di ricordo di sé
che noi fatichiamo a riprodurre solo per qualche istante nella nostra giornata, mentre stiamo
mangiando o nel momento in cui squilla un telefono. Essere svegli significa, tra le altre cose, anche
questo: ricordarsi continuamente di essere presenti.
Non facciamo esercizi per ottenere risultati, i risultati non contano nulla, il risveglio non è altro che
un costante TENDERE VERSO il risveglio, pertanto il nostro obiettivo è restare sempre in uno
stato di sforzo verso il risveglio, e non raggiungere il traguardo di ricordarci di noi, né un qualunque
altro traguardo. La trasmutazione alchemica si produce a causa dello sforzo, non del risultato. Il
lavoro alchemico è un salto nel vuoto, è l'accettazione della propria eternità. Ma a questo stadio è
difficile comprendere tale affermazione.
continua...
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il ricordo di se’
( parte II )
Ricordati di te stesso, idiota!
(Gurdjieff, nascosto dietro le quinte, a Orage che sta parlando sul palco)
Se non possiamo controllare la macchina, siamo la macchina.
Robert Earl Burton
esercizi di ricordo di sé più avanzati
Dopo aver acquisito dimestichezza con gli esercizi precedenti, si possono fare tentativi con esercizi
che richiedono maggiore impegno. Ad esempio, molti trovano più difficile ricordarsi di sé quando
sono in compagnia di altre persone. Fino a quando svolgono gli esercizi in solitudine riescono a
mantenere una sufficiente concentrazione su se stessi, ma nel momento in cui devono prestare
attenzione a ciò che fa o dice un'altra persona piombano nel sonno più completo.
Facciamo un esempio. Quando laviamo i piatti di norma non occorre un notevole grado di
concentrazione, questa è infatti un'attività prevalentemente meccanica, il corpo la compie quasi da
solo, tanto che la maggior parte del tempo possiamo permetterci di pensare a tutt'altro fantasticando
con la mente. Un po' come accade quando si guida su un'autostrada senza traffico: si può pensare ad
altro o parlare con il passeggero, eppure la parte più meccanica del nostro cervello continua a
guidare senza problemi.
Se vogliamo svolgere l'esercizio di ricordo di sé mentre stiamo lavando i piatti dobbiamo portare
l'attenzione su di noi oltre che sulle consuete azioni necessarie a lavare i piatti ( attenzione divisa ).
Dal momento che tali azioni non ci impegnano mentalmente o emotivamente, ma solo fisicamente,
l'esercizio risulterà relativamente - relativamente alla dimestichezza che abbiamo acquisito con tali
esercizi - semplice. Dovremo infatti impiegare molte energie per dirigere l'attenzione verso
l'interno, ma relativamente poche per fare sì che il nostro corpo continui a lavare i piatti.
Se invece stiamo ascoltando una persona che parla siamo molto impegnati a livello mentale, e
spesso lo siamo anche a livello emotivo. Se poi siamo noi a parlare, l'impegno è totale. In tali
frangenti dividere l'attenzione fra esterno e interno diventa complesso. Sarà sufficiente provare per
accorgersi di quanto sia difficile. Se mentre il nostro interlocutore parla noi ci sforziamo di
ricordarci di noi, inevitabilmente perdiamo alcuni frammenti del suo discorso. Se la paura di
perdere parte di ciò che sta dicendo l'altro è molta, saremo costretti a smettere di fare sforzi per il
ricordo e farci assorbire completamente da ciò che dice ( identificarci ).
L'unico modo per migliorare consiste nel provare e riprovare instancabilmente, magari cominciando
con i dialoghi al telefono - in quanto la presenza fisica dell'interlocutore è fonte di ulteriore disturbo
per il ricordo di sé. Se possiamo guardare in faccia l'altra persona, e lei può guardare noi, siamo
molto più coinvolti e identificati con la situazione che si sta svolgendo, mentre al telefono il numero
di sensi interessati all'esperienza è minore.
Provando ci accorgeremo che nel momento in cui la mente deve comprendere il significato delle
parole dell'altro, o deve pensare alla risposta da dare, perde la capacità ricordarsi di sé: o fa una
cosa, o fa l'altra. Non siamo abituati a dividere l'attenzione perché siamo sempre vissuti
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nell'identificazione completa con la nostra mente. Nessuno ci ha mai detto che possiamo essere
un'"entità esterna" che osserva la mente al lavoro.
Riusciamo a osservare il corpo che lava i piatti, ma ci è difficile osservare la mente mentre compie
un ragionamento. Nell'istante in cui la mente deve rispondere, la nostra coscienza, che magari fino a
un attimo prima era riuscita a restare presente, e quindi divisa, si riidentifica al cento per cento con
la mente pensante.
Questo è dovuto al fatto che noi possediamo ancora uno scarso controllo sulla nostra mente e sulle
nostre emozioni, mentre ne abbiamo uno molto maggiore sul corpo fisico. Controllo e
identificazione sono inversamente proporzionali: meno siamo identificati - cioè meno siamo
coinvolti - con qualcosa, più ne abbiamo il controllo.
Un buon esercizio in preparazione al ricordo di sé in compagnia di altre persone può essere svolto
mentre si guarda la televisione. In questo caso si è meno coinvolti perché ci si esercita in solitudine,
ma allo stesso tempo si lavora sulla disidentificazione dalla mente, cioè sul ricordarsi di sé mentre
la mente segue i dialoghi di un film o di una qualsiasi trasmissione. All'inizio non è semplice
nemmeno questo, ma in ogni caso è preferibile cominciare a compiere questo genere di sforzi
davanti alla tv, uno strumento con il quale non dobbiamo interagire in maniera attiva, che buttarsi
subito nel mezzo di una conversazione dove il coinvolgimento è decisamente maggiore e il ricordo
di sé diviene un'impresa titanica.
Altra possibilità è quella di sforzarsi di ricordarsi di sé mentre si legge. Ci si accorgerà presto che
nei momenti in cui si porta l'attenzione verso l'interno si perde il significato di ciò che si sta
leggendo. Più precisamente: una parte di noi è ancora capace di svolgere una funzione automatica di
lettura, ma la mente che deve comprendere il significato non riesce a lavorare in due direzioni
contemporaneamente: o si ricorda di sé, o afferra il significato. E' consigliabile esercitarsi
inizialmente con letture poco impegnative dal punto di vista del significato.
Ricordarsi di sé ogni volta che si inizia a parlare a qualcuno costituisce un altro buon esercizio.
Appartiene alla categoria degli esercizi "istantanei". Il momento in cui parleremo ci coglierà sempre
di sorpresa. Sul lavoro qualcuno ci farà una domanda e la risposta uscirà da noi meccanicamente.
Solo al termine della conversazione ci accorgeremo di non esserci ricordati di noi quando abbiamo
pronunciato le prime parole.
Risulta interessante analizzare cosa accade in questo caso. Per esempio, decidiamo fermamente che
ci ricorderemo di noi tutte le volte che rivolgeremo la parola a qualcuno durante le prossime tre ore.
Non dobbiamo ricordarci di noi durante l'intera conversazione, il che costituirebbe già il passo
successivo, ma solo al momento di pronunciare le prime parole. Nonostante il nostro fermo
proposito, quando qualcuno ci interpellerà, le parole usciranno dalla nostra bocca come se fossero
attirate dalle parole del nostro interlocutore, come se fossero una conseguenza inevitabile delle sue
parole. Ciò dimostra che la nostra risposta in realtà non è mai pensata, ma è solo frutto di una
reazione meccanica alla domanda dell'altro, o all'evento che abbiamo commentato.
Il nostro parlare è sempre una reazione meccanica all'avvenimento esterno, perché noi, come
coscienza, veniamo bypassati dalla nostra mente. La coscienza osservatrice ( il testimone ) e la
mente razionale sono due cose completamente diverse. Non riusciamo a frenare la reazione
meccanica della nostra mente, non ci ricordiamo nemmeno di farlo, perché il nostro parlare è un
meccanismo che funziona nello stesso modo da decenni, e tutti intorno a noi ne sono ugualmente
schiavi, pertanto non abbiamo un valido metro di paragone. Notiamo un evento esterno e reagiamo
meccanicamente, pensando o parlando senza aver realmente pensato in maniera cosciente, cioè con
tutto il nostro essere in stato di presenza.
Possiamo veramente accorgerci che i nostri pensieri e le nostre parole sono meccanici - cioè
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reazioni meccaniche a stimoli sensoriali esterni – solo quando proviamo a fermarli coscientemente
per mezzo di tali esercizi. Altrimenti questa rimane una teoria come tante.
Le conseguenze del parlare in stato di sonno anziché in stato di ricordo di sé sono sotto i nostri
occhi tutti i giorni: i rapporti sociali su questo pianeta sono semplicemente disastrosi; e si va dal
rapporto di coppia ai rapporti internazionali fra gli Stati.
Un altro buon esercizio consiste nel pensare "Io sono" non meno di una volta ogni ora, per tutto il
giorno. Questo serve a permeare di ricordo di sé l‟intera giornata. Sarebbe meglio accompagnare il
pensiero con un'inspirazione (pensando "Io") e un'espirazione (pensando "sono").
Ricordarsi di sé ogni volta che si pronuncia la parola "Io" costituisce un esercizio molto avanzato e
difficile da mettere in pratica. Purtuttavia a un certo grado del cammino sarà possibile eseguirlo e la
sua efficacia è assicurata.
Anche mentre si mangia ci si può ricordare di sé. L‟esercizio consiste nel rimanere presenti dal
momento in cui si porta il cibo alla bocca a quando si inghiotte il boccone. Portare la propria
attenzione sulla masticazione condiziona in maniera notevole l‟assimilazione delle sostanze
nutritive da parte dell‟organismo; la presenza fa sì che cogliamo con maggiore profondità i sapori,
estraiamo molta più energia dagli alimenti e di conseguenza percepiamo molto prima il senso di
sazietà.
Ricordarsi di sé mentre si mangia spesso risulta difficoltoso per la presenza di altre persone che ci
rivolgono la parola. In tal caso la buona regola di “non parlare con la bocca piena” può venirci in
aiuto per consentirci di svolgere il nostro esercizio prima di dover rispondere a qualcuno.
Un contributo al ricordo di sé viene dato dallo sforzo di compiere delle semplici operazioni
invertendo il lato con cui si compie l‟azione. Per esempio, possiamo sforzarci di mangiare per una
settimana con la mano sinistra invece che con la destra (o viceversa per chi è mancino) portando il
cibo alla bocca con la mano sinistra e tagliando il pane con la mano sinistra. Lavarsi i denti, farsi la
barba o depilarsi con la sinistra è un altro buon metodo per costringersi a rimanere presenti durante
queste attività.
All'interno di una scuola esoterica è possibile esercitarsi fra allievi, e questa è in effetti la soluzione
migliore. Risulta infatti più semplice ricordarsi di sé mentre si ascolta o si parla con qualcuno che
sappiamo si sta a sua volta sforzando di ricordarsi di sé. Questo permette di acquisire una certa
sicurezza 'in famiglia', e sarà poi meno complicato fare sforzi quando ci si sposta all'esterno della
scuola.
concentrare lo sforzo
Una importante raccomandazione è necessaria: concentrare tutto lo sforzo durante il tempo che si è
deciso di dedicare all'esercizio e non cercare di ricordarsi di sé anche al di fuori di questo tempo.
Per quanto riguarda la prima serie di esercizi, se ad esempio decidiamo di ricordarci di noi tutte le
volte che ci alziamo da una sedia, dobbiamo decidere in anticipo per quanto tempo fare sforzi in
questa direzione.
Possiamo farlo per tutta la mattina, o durante le ore di lavoro in ufficio, o solo nel percorso
dall'ufficio a casa, o esclusivamente dal momento in cui varchiamo la soglia di casa fino all'ora di
cena, oppure possiamo decidere di fare sforzi per le prossime due ore indipendentemente da dove ci
troveremo.
E' importante stabilire un limite di inizio e fine. Non è di alcuna utilità fare sforzi indiscriminati per
tutto il giorno, perché si perde in capacità di concentrazione e l'esercizio non risulta altrettanto
efficace. A meno che non si stiano praticando esercizi che per la loro natura richiedono
un'estensione illimitata (ad es. l'esercizio dell'"Io sono"). Dobbiamo avere molta pazienza e
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procedere per gradi, non dobbiamo farci prendere dall'ansia di voler fare tutto subito. Questa risulta
a lungo andare la tecnica migliore per svegliarsi. Sono consigli che nascono dalla mia esperienza
diretta.
Per quanto concerne gli esercizi di "ricordo di sé prolungato" vale lo stesso principio. Se decidiamo
di ricordarci di noi mentre spazziamo il pavimento non dobbiamo fare alcun tentativo né prima né
dopo. Se decidiamo di farlo per il tempo in cui viaggiamo sull'autobus, dal momento in cui
scendiamo dobbiamo interrompere gli sforzi.
Tuttavia nel breve tempo in cui decidiamo di concentrare gli sforzi tutta la nostra energia deve
essere veicolata in quel tentativo. Se decidiamo di compiere sforzi per due ore, dobbiamo
considerare quelle due ore come le ultime due ore della nostra vita. Sprecheremmo le nostre ultime
due ore di vita per vagare con l'immaginazione da un pensiero all'altro senza alcuno scopo?
Qualunque cosa succeda in quelle due ore noi ci ricorderemo di noi stessi! Questo deve essere
l'atteggiamento. Sforzi prolungati per troppe ore lungo la giornata non portano a nulla. Sforzi
concentrati ma potenti portano inevitabilmente al risveglio.
Approdare a un nuovo stato di coscienza significa anche entrare consapevolmente in una nuova
dimensione: la quarta dimensione. Questa dimensione è stata esaurientemente descritta da poeti,
scrittori e chiaroveggenti, e la letteratura in merito è vasta (si vedano Arthur E. Powell e P.D.
Ouspensky fra tutti). Penetrare in questa dimensione è come conquistare una fortezza nemica:
dobbiamo organizzare dei raid mirati e potenti. Non possiamo combattere tutto il giorno con tutte le
nostre truppe, perché ci esporremmo eccessivamente al fuoco nemico e dopo una settimana
saremmo esausti. Attacchi di poche ore, ma portati regolarmente tutti i giorni, prima o poi ci
consentiranno inevitabilmente di aprire una breccia nel muro nemico. Una volta aperta una breccia
nella quarta dimensione, sarà più semplice penetrarvi le volte successive.
continua...
_________________
il ricordo di se’
( parte III )
Ricorda te stesso sempre e dovunque. Il ricordo di sé produce precisi mutamenti chimici che
provocano la comparsa dell'essenza dell'essere umano.
P.D. Ouspensky
L'attenzione divisa non produce risultati immediati e i centri superiori non possono sopraggiungere
senza lo sforzo perseverante di molti anni. Svegliarsi è difficile, ma può essere fatto. E' impossibile
svegliarsi senza dedicarsi totalmente alla propria evoluzione. Si è in errore se si pensa che siano
sufficienti delle mezze misure.
Robert Earl Burton
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vedere il sonno
Un risultato importante che si ottiene dagli esercizi di ricordo è quello di toccare con mano il
proprio stato ipnotico. Possiamo comprendere che se siamo svegli solo nei momenti in cui ci
sforziamo di ricordarcelo, allora dormiamo e viviamo come burattini per tutto il resto della giornata.
Prendiamo decisioni nel sonno, lavoriamo nel sonno, studiamo nel sonno, facciamo l'amore nel
sonno, intratteniamo i rapporti umani nel sonno.
Praticando gli esercizi, dopo un po‟ di tempo, ci ricorderemo di noi - cioè saremo coscientemente
presenti - anche al di fuori dei momenti stabiliti per l'esercizio. Magari camminando per strada
improvvisamente ci ricorderemo di noi ("Ecco, sono presente, cammino e mi ricordo di me, non sto
vagando fra i pensieri come al solito"), senza averlo prestabilito e senza aver fatto uno sforzo. In tal
caso potremo approfittare della situazione mantenendo quello stato di presenza più a lungo possibile
prima di ricadere nel sonno, ma, come detto in precedenza, non si devono fare sforzi al di fuori
dello spazio riservato agli esercizi.
Nei momenti di ricordo, osservandoci con attenzione, possiamo cogliere la differenza fra lo stato di
coscienza in cui ci ricordiamo di noi e lo stato in cui eravamo un attimo prima, quando non ci
ricordavamo e stavamo dormendo. E' indispensabile portare avanti questo lavoro sul cogliere la
differenza fra i due stati di coscienza. Dovremmo farlo ogni volta che ci è possibile, ossia ogni volta
che ce ne ricordiamo.
Se stiamo scendendo dall'autobus e ci ricordiamo di noi per un istante, se riusciamo cioè a essere
presenti e non compiamo nel sonno quell'azione ("Ecco, ci sono, sono presente e sto scendendo
dall'autobus"), possiamo sforzarci di prolungare questo stato cogliendo la differenza tra come siamo
adesso e come eravamo qualche minuto prima sull'autobus: "Cosa facevo? A cosa ho pensato per
tutto il tempo del viaggio? Se io sono presente solo ora, allora chi pensava e chi compiva le azioni
al mio posto fino a poco prima? Nel sonno avrei potuto picchiare qualcuno reagendo a un'offesa,
avrei potuto decidere di cambiare lavoro, o avrei potuto invaghirmi di una persona e risolvermi in
seguito di sposarla."
Vivere nel sonno è pericoloso, ma lo si può comprendere solo a un certo grado di risveglio. L'uomo
comune, che non ha mai provato a svegliarsi, non puo‟ essere cosciente del pericolo derivante dal
trascorrere la propria vita nel sonno. D'altronde le cronache quotidiane illustrano in maniera
soddisfacente le conseguenze della vita nel sonno. Siamo sonnambuli che camminano dormendo sul
cornicione di un palazzo a venti metri da terra! Finché dormiamo sembra che vada tutto bene.
Se, ad esempio, mentre mangiamo un panino proviamo a fare l'esercizio di ricordo di sé, possiamo
confrontare i momenti in cui siamo coscienti delle azioni che compiamo con quelli in cui invece
mangiamo pensando a tutt'altro, e quindi in effetti non mangiamo nel vero senso del termine, perché
il nostro corpo fisico mangia meccanicamente senza che noi ne siamo coscienti ("Adesso mangio e
sono presente, porto il panino alla bocca e lo mordo, e ne sono cosciente. Ma un attimo prima dove
ero mentre mangiavo? Perché la mia autocoscienza non era qui con me?").
Il risveglio consiste nello sforzo di ricordarsi di sé e nel successivo confronto fra i momenti di
ricordo, di effettiva presenza, e i momenti precedenti di sonno, di assenza. Se riusciamo a sentire
dentro di noi in modo EMOTIVO questa sottile ma enorme differenza allora abbiamo compreso la
differenza fra un essere umano che dorme e un essere umano che cerca di svegliarsi. Questo
significa toccare con mano il proprio stato ipnotico, e sovente qualcuno ne rimane sconvolto.
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volontà [thelema]
Il secondo scopo degli esercizi è sviluppare un ottimo grado di forza di Volontà - in greco Thelema,
come viene definita negli insegnamenti di Aleister Crowley - indispensabile in tutti gli aspetti del
lavoro su di sé. Quando lavoriamo sull'immaginazione negativa (il "dialogo interno" della nostra
mente) e sulle emozioni negative, possiamo sfruttare la Volontà costruita grazie al ricordo di sé.
Rammentiamo che l'uomo addormentato non possiede vera forza di Volontà, egli fa ciò che la vita
gli permette di fare; questo può anche consentirgli di divenire casualmente un uomo colto e di
successo, ma non di acquisire un reale potere sugli eventi circostanti. Il fatto che dobbiamo
compiere degli sforzi immani per combattere la meccanicità dei nostri atti e ricordarci di noi, è la
dimostrazione di questa nostra incapacità di volere. Pensiamo di essere liberi di volere perché
decidiamo cosa ordinare al ristorante, mentre in realtà non decidiamo nemmeno quello, i nostri
meccanismi inconsci decidono, e loro decidono in base alle informazioni presenti nell‟ambiente.
Fingiamo di volere, mentre ci lasciamo trascinare da forze più grandi di noi.
La forza di Volontà non è altro che la capacità di utilizzare l'energia. Gli esercizi sul ricordo
aumentano la nostra capacità di disporre dell'energia. Quando cominciamo a svolgere questi esercizi
per noi è un giorno storico, sacro, perché per la prima volta opponiamo resistenza cosciente alla
meccanicità che ci ha sovrastati durante tutta la nostra vita. Per la prima volta ci sforziamo di
decidere qualcosa: "Voglio essere io a stabilire cosa pensare e quando pensarlo, voglio decidere io
se arrabbiarmi o no, se avere paura o no. Non voglio più essere schiavo". Un uomo nuovo sta
nascendo in noi e ora vuole essere padrone in casa sua.
Dobbiamo diventare degli specialisti del ricordo di sé. Ci sono persone brave a giocare a scacchi,
altre brave in uno sport, altre ancora nel cucinare dolci o suonare uno strumento, e alcune sanno fare
molto bene il loro particolare lavoro... noi siamo specializzati nel ricordo di noi stessi. Ci
accorgeremo presto che ogni altra questione è di minore importanza. Non importa che lavoro
facciamo per mantenerci, la nostra specializzazione deve diventare il ricordo di noi stessi. Questa è
la nostra preoccupazione più grande: svegliarci. E solo se questa attività diviene il nostro centro di
gravità permanente per anni, allora possiamo sperare di svegliarci. Avere un lavoro o essere
disoccupati non è di alcuna importanza se non si è svegli. Avere un partner o essere single non fa
differenza finché si dorme. Nel sonno è tutto uguale.
Ogni singolo sforzo compiuto nel tentativo di svegliarsi provoca una TRASMUTAZIONE
ALCHEMICA: durante questi tentativi di ricordo di sé si viene a creare un notevole attrito fra
l'abitudine meccanica della nostra esistenza e il nostro voler diventare coscienti. Questo attrito
genera un « fuoco », e questo Fuoco agisce sui nostri atomi per creare nuovi elementi più sottili che
costituiranno i "corpi superiori", compreso il corpo dell'anima o « corpo di gloria ». Tale
trasmutazione coinvolge anche lo sviluppo dei corpi emotivo (astrale) e mentale, con la conseguente
acquisizione di siddhi, i poteri inerenti il mago: capacità di viaggiare in astrale, materializzare e
smaterializzare oggetti, invocare ed evocare entità presenti sul piano astrale e sui piani più alti.
Quel punto di luce che è l'anima comincia ad aggregare gli atomi per costruire il suo nuovo corpo e
il nostro centro di consapevolezza inizia a spostarsi in quella direzione, il nostro Cuore comincia ad
aprirsi. Il primo giorno in cui compiamo sforzi qualcosa cambia per sempre in noi. Ovviamente, se
gli sforzi si limiteranno a pochi mesi di tempo e non proseguiranno, non accadrà nulla di tangibile,
ma un seme è stato comunque gettato.
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difficoltà
Quando si inizia la pratica di esercizi per il ricordo di sé si possono verificare due condizioni in
particolare: si incontrano subito grosse difficoltà e non ci si ricorda nemmeno di fare gli esercizi,
oppure si riesce molto bene per qualche giorno o settimana, ma poi si subisce un rapido calo di
energia e si abbandona tutto. Entrambi i comportamenti sono perfettamente normali.
Per qualcuno all'inizio sarà difficile persino il ricordarsi di stabilire al mattino appena sveglio in
quali occasioni si sforzerà di ricordarsi di sé durante il giorno. E' necessario trovare la forza di
Volontà per eseguire almeno i passi iniziali. Il fatto che durante il giorno non riusciamo a essere
presenti nemmeno una volta è perfettamente normale, ma se non ce lo imponiamo con forza non
abbiamo speranza di migliorare. E' vitale non abbattersi in questa fase, per quanto possa durare a
lungo, e ribadire ogni giorno il proprio desiderio di ricordarsi di sé.
Teniamo a mente che lo scopo è sforzarsi, tendere verso, non raggiungere il risultato voluto.
Paradossalmente l'esercizio funziona solo fino a quando non siamo in grado di farlo bene e ci
sforziamo di farlo.
Quando si riesce anche per una sola volta a essere presenti mentre si sta compiendo una delle azioni
descritte negli esercizi, si deve assaporare quel momento cercando di prolungarlo: "Ecco, sono vivo,
sono presente qui-e-ora, mi sto ricordando di me, sono in uno stato di coscienza diverso da quello in
cui ero prima e diverso da quello in cui sarò fra qualche istante". All'inizio il lavoro è soprattutto
mentale, si è costretti a ripetersi frasi simili, in cui si afferma di essere presenti; con il tempo
diventerà uno stato interiore: ci si sentirà presenti senza alcun bisogno di ripeterselo; poi diverrà un
fatto emozionale (EMOZIONALE SUPERIORE), e solo questo sarà il vero ricordo di sé!
Grazie al contatto con un sistema di pensiero nuovo e all'entusiasmo iniziale che ne deriva accade
spesso che si riesca a svolgere anche più esercizi nella stessa giornata e che ci si accorga subito
della differenza fra i momenti di presenza e quelli di sonno. Altrettanto spesso però accade che
l'entusiasmo iniziale svanisca e si perda totalmente interesse per gli esercizi, se non addirittura per il
lavoro su di sé in generale. I cali di energia devono essere previsti, perché sono ciclici e rispettano
leggi ben precise su cui noi non abbiamo potere. Ma già il solo fatto di sapere che tali cali devono
obbligatoriamente arrivare serve a non far precipitare l'individuo nell'abbattimento più completo.
I cali devono avvenire perché così vogliono le leggi naturali, che sono cicliche. L'attenzione non va
concentrata sul tentativo di evitarli, bensì sui metodi per uscirne velocemente grazie a nuove
immissioni di energia: leggere un libro, vedere un film particolare, parlare con persone che sono
anche loro impegnate nel lavoro, assistere a conferenze... La necessità di contrastare i cali ciclici di
energia è forse il principale motivo per cui non è possibile lavorare da soli e a un certo punto è
indispensabile trovare una scuola.
Quando si intraprende la strada del risveglio e si decide di iniziare con gli sforzi per ricordarsi di sé,
accade di frequente che agli sguardi dei nostri conoscenti - paradossalmente - si appaia come più
distratti e meno presenti. Ciò è normale e accade perché non siamo abituati allo stato di ricordo di
noi stessi, che è uno stato di attenzione divisa. Il fatto di dividere l'attenzione, all'inizio, e per un
lungo periodo, impiega tutte le nostre energie, per cui succede spesso di dimenticare oggetti, di
scordare gli appuntamenti, di girare nella via sbagliata, di non afferrare ciò che il nostro
interlocutore sta dicendo. Sembriamo più assenti agli occhi degli altri proprio perché ci stiamo
sforzando di fare qualcosa che non abbiamo mai fatto e nessuno fa mai: essere presente.
Inoltre il risveglio ci modifica caratterialmente: tutto ciò che è superfluo nella nostra macchina
biologica progressivamente scompare. Di conseguenza alcuni potranno trovarci meno interessanti, o
più noiosi, o più seri. In realtà non stiamo diventando meno interessanti, è solo che
disidentificandoci dalla macchina e identificandoci con l'anima, non rispecchiamo più le aspettative
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della società, la quale si fonda sulle caratteristiche della macchina biologica: l'essere al centro
dell'attenzione, l'essere competitivi, il discutere con coinvolgimento degli argomenti futili più alla
moda in un dato momento, esprimere inutili opinioni su qualunque avvenimento... e così via. D'altra
parte diventeremo sempre più interessanti e riconoscibili agli occhi di chi ha intrapreso un percorso
di risveglio come noi, o di chi possiede anche solo una visione più profonda dell'esistenza rispetto
alla norma.
economizzare l'energia
L'uomo ha in sé la capacità di costruire un nuovo corpo che gli permette di cogliere la quarta
dimensione, una realtà completamente diversa da quella che percepisce nelle condizioni ordinarie,
una realtà che agli altri risulta accessibile solo per mezzo delle droghe, ma per fare ciò ha bisogno
di una quantità notevole di energia. All'inizio tale energia viene ricavata semplicemente dalla
drastica riduzione degli sprechi. Un uomo infatti, possiede già nella sua macchina biologica
l'energia necessaria a iniziare il lavoro su di sé, ma non ne può disporre perché la disperde
continuamente in attività inutili e dannose.
Il suo primo obiettivo deve essere quindi il risparmio di energia. Questo gli consentirà di disporre
della quantità di energia necessaria a fare sforzi per il ricordo di sé. Gli sforzi per ricordare se stessi
necessitano di molta energia. Tali sforzi con il tempo produrranno episodi di reale ricordo di sé, e
questi faranno affluire ulteriore energia da reimpiegarsi nel lavoro.
Per risparmiare energia dobbiamo lottare contro le abitudini che ci costringono a disperderla.
Sprechiamo energia provando emozioni negative di ogni sorta (quando siamo in ansia, quando ci
arrabbiamo con qualcuno, quando siamo nervosi, quando siamo depressi, ecc), sprechiamo energia
lasciandoci ossessionare dall'immaginazione negativa (pensiamo a episodi spiacevoli che
potrebbero accadere a noi o ai nostri cari, costruiamo dialoghi immaginari nella nostra testa,
alimentiamo inutili fantasie di ogni sorta, realizzabili o irrealizzabili, ecc) e sprechiamo energia
utilizzando male il nostro corpo (nel compiere ogni movimento contraiamo molti più muscoli di
quelli necessari, assumiamo posture sbagliate, ecc).
Emozioni negative e immaginazione negativa verrano trattate nei successivi capitoli, mentre
riguardo all'energia che viene sprecata a causa di un cattivo utilizzo del corpo accenneremo
qualcosa subito.
Ogni giorno disperdiamo una grande quantità di energia nella contrazione di muscoli che non sono
interessati nel movimento che stiamo compiendo, oppure nella contrazione sproporzionata dei
muscoli interessati in tale movimento. Ad esempio, nel semplice atto di piantare un chiodo in una
parete contraiamo un inimmaginabile numero di muscoli che non dovrebbero venire coinvolti in
quell'atto (muscoli del viso, delle spalle, delle gambe, ecc) e contraiamo sia i muscoli necessari che
quelli non necessari con un'intensità sufficiente a trainare il vagone di un treno!
Le posture che assumiamo durante il giorno e il nostro modo di camminare sono scandalosamente
antieconomici. In particolare la contrazione dei muscoli del viso, che non è quasi mai necessaria,
accompagna tutte le nostre attività (probabilmente avete i muscoli della fronte contratti anche
adesso che state leggendo) e causa una fuoriuscita continua di preziosa energia. Ci sono molte
persone che vivono l'intera giornata con la fronte aggrottata, lo sguardo corrucciato o la mandibola
serrata; tanti digrignano i denti anche di notte.
Tutti viviamo con i muscoli del collo e delle spalle - il trapezio - perennemente contratti. Se in
questo momento portate la vostra attenzione alle spalle e provate a rilassarle vi accorgete di averle
tenute contratte, senza motivo, fino ad ora.
Rientra nell'opera di economizzazione dell'energia portare periodicamente durante la giornata la
nostra attenzione sui muscoli del volto e cercare di rilassarli. Lo stesso deve essere fatto per il collo
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e le spalle. Ogni qualvolta ce ne ricordiamo, la postura che abbiamo assunto in un dato momento -
per parlare, per scrivere o per aspettare il bus - deve essere osservata scrupolosamente, mettendo
l'accento sui muscoli che non dovrebbero essere contratti e invece o sono, poiché non siamo
consapevoli del nostro corpo e questo è quasi un estraneo per noi.
la gestione dell'energia
Un ultimo appunto riguarda l'afflusso di energia che accompagna gli esercizi di ricordo di sé. Un
individuo che decide di fare sforzi a lungo e in maniera intensa consuma molto energia, ma allo
stesso tempo il frutto di questi sui sforzi - il ricordo di sé - introduce energia e innalza la sua
frequenza vibratoria. Se egli non è seguito da qualcuno che è‟ più avanti di lui sul percorso del
risveglio (e qui si ripresenta la necessità di lavorare all'interno di una scuola) non sa come utilizzare
questa nuova energia, la quale, se non correttamente indirizzata, si riversa nella personalità
ingigantendone le caratteristiche.
L'individuo potrebbe andare incontro a maggiore irritabilità, nervosismo, mal di testa, crisi
depressive, sbalzi d'umore, disarmonia nella capacità decisionale (scelte improvvise condotte in
maniera irrazionale). E' dunque necessario che chi svolge tali esercizi si tenga sotto costante
osservazione, diventi lo spettatore e l'analizzatore di se stesso, dei suoi pensieri e delle sue
emozioni, in modo da accorgersi di quando il suo carattere inizia a manifestarsi con toni esasperati.
Quando si rilevano tali disarmonie è consigliabile interrompere ogni esercizio e concentrarsi
esclusivamente sugli altri aspetti del lavoro di risveglio: osservazione delle emozioni negative e
controllo dell'immaginazione negativa.
Testi sull'argomento:
LA QUARTA VIA
P.D. Ouspensky, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1974 (1921-1946)
FRAMMENTI DI UN INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO
P.D. Ouspensky, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1976 (1915-1923)
IL RICORDO DI SE'
Robert Earl Burton, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1994 (1991)
LA MACCHINA BIOLOGICA UMANA
E. J. Gold, Edizioni Crisalide, Spigno Saturnia (LT) 1999 (1991)
IL LAVORO PRATICO SU SE STESSI
E. J. Gold, Edizioni Crisalide, Spigno Saturnia (LT) 2004 (1989)
SUFI: LA PRESENZA QUI E ORA
K.E. Helminski, Edizioni Amrita, Torino 1998 (1992)
Tutto ciò che è stato detto finora su immaginazione negativa ed emozioni negative è servito a
introdurre un « ambiente mentale » indispensabile affinché possa iniziare la loro trasmutazione.
Parallelamente agli sforzi sul ricordo di sé, l'operatore alchemico dovrà infatti portare avanti un
lavoro di trasmutazione delle sue emozioni negative.
Cominciamo col ripetere che nella nostra officina alchemica vogliamo fabbricare un veicolo per
l'anima, il che si accompagna allo spostamento del centro di consapevolezza dell'individuo dalla
mente al Cuore (il Centro Emozionale Superiore, secondo G.I. Gurdjieff). La mente è l'organo
attraverso cui percepisce la macchina, mentre il Cuore è l'organo del « corpo di gloria » attraverso
cui percepisce l'anima. Per fare ciò sfruttiamo il ricordo di sé e le preziose materie prime a nostra
disposizione: le emozioni negative della macchina. Rabbia, invidia, gelosia, senso di sconforto,
senso di inadeguatezza, paura, ansia, stress... sono il materiale su cui possiamo lavorare per
fabbricare i nuovi corpi. In ciò sta il senso di tutta l'Alchimia. Ma per poterlo fare dobbiamo
ricordarci di noi.
Prima fase. A questo stadio non è ancora possibile lavorare all'interno dell'emozione negativa,
perché di norma è troppo difficile ricordarsi di sé nel bel mezzo di un'arrabbiatura o di una fase
depressiva. Lo scopo è lavorare non appena ci si ricorda di farlo, non appena ci si disidentifica un
pò dalla situazione di sofferenza, il che può avvenire a qualche minuto o a qualche ora dall'apice
dell'emozione negativa; meglio se avviene quando la macchina sta ancora fremendo a causa della
frustrazione, dello stress o della rabbia da poco provate.
Appena ci si ricorda, ci si deve sforzare con tutta la Volontà di sostituire l'immaginazione negativa e
l'emozione negativa - che viaggiano sempre in coppia - con pensieri che rappresentano una nuova
visione di quanto sta accadendo. Le azioni da compiere sono queste:
a) -- ricordarsi di sé, ossia ricordarsi di essere « presenti » qui-e-ora;
b) -- cercare di non farsi coinvolgere nei pensieri sfrenati della mente (immaginazione negativa),
collegati all'emozione negativa che stiamo provando. Disidentificarsi dai pensieri significa guardarli
come se fossimo spettatori esterni dell'attività frenetica di una macchina di cui noi siamo solo ospiti;
c) -- assumere un nuovo atteggiamento mentale. Adesso spieghiamo come.
Tutte le volte che non siamo in uno stato di Gioia, che non siamo innamorati del mondo e soffriamo
per una qualche ragione, il motivo è che non riusciamo a vedere quanto sta accadendo intorno a noi.
Lamentiamoci, arrabbiamoci, deprimiamoci, proviamo la nostra paura o lo sconforto, gridiamo il
nostro fastidio, facciamo insomma tutto quanto siamo soliti fare, ma una volta tornati in noi, anche
se accade dopo qualche ora, ci sediamo e pensiamo: "Quello che mi è successo - la mia sofferenza -
non è dovuto a qualcosa che non va bene nel mondo esterno, ma al fatto che io non riesco ancora a
vedere il mondo come veramente è" e poi affermiamo con forza: "Ne ho abbastanza di questa
allucinazione, IO VOGLIO VEDERE IL MONDO COME VERAMENTE È".
Ribadiamo per maggiore chiarezza: non appena ce ne ricordiamo, il prima possibile, ci fermiamo un
attimo e assumiamo un atteggiamento che lentamente cambierà la nostra vita: "Se non sono nella
Gioia è perché sto vedendo brutto, sbagliato, qualcosa che invece è bello" "VOGLIO VEDERE
QUESTA BELLEZZA". Se abbiamo la forza di volontà di pensare queste cose, anche se non siamo
ancora del tutto convinti della loro veridicità, anche se siamo ancora scettici, stiamo comunque
operando una radicale trasformazione in noi.
Quando abbiamo un motivo di preoccupazione, un'angoscia, un'ansia, un fastidio, quello è il
momento per ricordarsi che non stiamo percependo la realtà autentica. È ovvio che non possiamo
esserne certi; all'inizio sarà solo una frase priva di senso, potrà apparirci come un'affermazione
moralistica che stride con quanto noi abbiamo di fronte in quel momento - e che ci appare del tutto
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sbagliato e ingiusto - ma non importa, ciò che importa è che ogni volta
a) -- ci ricordiamo di noi;
b) -- non ci identifichiamo con i pensieri della nostra macchina;
c) -- ci ripetiamo che la sofferenza deriva da una nostra visione falsata della realtà.
Dobbiamo almeno darci la possibilità remota che possa essere così; la possibilità che, forse, quando
vediamo l'errore in noi o fuori di noi non stiamo guardando correttamente: gli altri non ci stanno
facendo del male e non ce l'hanno con noi. È sufficiente darsi la possibilità, lasciare uno spiraglio
aperto e non lasciarsi sopraffare interamente dal 'senso dello sbagliato e dell'ingiusto'. Questo
atteggiamento si chiama FEDE.
All'inizio sembra non accadere niente: noi ci arrabbiamo, poi più tardi ci ricordiamo che "l'altro è
perfetto ma io non riesco a vederlo", ma nonostante questo la volta successiva ci infuriamo con lui
esattamente come prima, e continuiamo a vedere l'esistenza piena di ingiustizie esattamente come
prima.
Infuriarsi, angosciarsi o provare ansia è giusto; in questa prima fase non dobbiamo smettere, né
rammaricarci perché non riusciamo a smettere. Il lavoro consiste proprio nell'assumere appena ci è
possibile il giusto atteggiamento mentale, non nello smettere di essere infuriati. Smettere di provare
l'emozione negativa in questa fase non è utile, è invece utile diventare presenti, osservare bene cosa
ci accade e ricordare di mutare il nostro modo di rapportarci agli eventi. È un lavoro molto sottile,
dove non ci si pongono obbiettivi, ma qualcosa accade... lentamente e in silenzio.
Una volta che abbiamo analizzato in maniera razionale l'evento che ci è accaduto (un incidente
stradale, l'abbandono da parte del partner, un'ingiustizia sul lavoro, ecc.) - abbiamo cioè ricavato gli
elementi di utilità pratica e abbiamo pianificato il da farsi per il futuro - ogni immaginazione
negativa riguardante quell'evento va sistematicamente contrastata, perché non è utile a comprendere
meglio l'accaduto ed è dannosa in quanto causa di ulteriori emozioni negative. L'esperienza insegna
che rimuginare per ore o giorni su quanto successo riproduce all'infinito lo stato d'animo negativo
provato in precedenza e ne aggiunge di nuovi (senso di colpa, desiderio di vendetta, sconforto, ecc.
). Ricordiamo che il senso di colpa che si prova dopo un'emozione negativa è altrettanto dannoso
che l'emozione stessa, quindi anch'esso va immediatamente contrastato.
Lavorare nei momenti che seguono la fase acuta di un'emozione negativa significa innanzitutto
comprendere appieno l'origine e la dannosità di tale fenomeno per noi e per gli altri. In quei
momenti è molto utile ricordarsi che: "La mia mente sta dando un'interpretazione scontata e fasulla
di quello che è realmente successo, ed è questa interpretazione a farmi stare male, non ciò che è
successo" "La mia mente non è sotto il mio controllo e oltre a farmi stare inutilmente male per delle
ore, sta riempiendo di escrementi l'atmosfera terrestre" "Se voglio compiere un'opera di
trasformazione su me stesso devo imparare a vedere la realtà con il Cuore, perché fino a quando è la
macchina a decidere cosa devo vedere, io sarò un suo schiavo" "VOGLIO VEDERE LA
REALTA'".
Il modo migliore per sbarazzarsi dell'immaginazione negativa è pensare di buttarla via lontano da
noi come se avessimo sorpreso un pipistrello che ci succhia il sangue dal collo e lo strappassimo via
con violenza. Perché questo è quello che si sta verificando nella realtà! Poi è importante tenere la
mente occupata in altre attività: leggere, andare al cinema, guardare la televisione, fantasticare...
tutto è meglio che riprodurre uno stato d'animo di rabbia, ansia, paura o senso di colpa.
Compiendo questo sforzo contro la meccanicità dell'immaginazione negativa stiamo lavorando a
livello alchemico; il Fuoco sta compiendo la sua opera. La nostra volontà di percepire il mondo in
maniera differente sviluppa attrito contro la volontà dei corpi di continuare a pensare come hanno
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sempre fatto: questo attrito è un Fuoco che agisce sulle sostanze presenti nella macchina biologica
per creare delle nuove sostanze che vanno a costituire il corpo dell'anima.
Ovviamente i nostri primi tentativi di pensare in maniera diversa all'evento che ci è accaduto
andranno continuamente a vuoto; sarà un continuo passare da pensieri come "Io voglio vedere la
realtà, se la vedessi non starei male" a pensieri come "Sono maledettamente sfortunato, la vita è
proprio uno schifo, le disgrazie capitano tutte a me, è inutile che mi prenda in giro con tutte queste
filosofie consolatorie, se avessi fra le mani quel farabutto gli darei io una lezione". Questa
alternanza non è qualcosa di negativo, è giusto che sia così; ricordiamo infatti ancora una volta che
è lo sforzo ad alimentare il Fuoco, non il risultato. Non dobbiamo cadere nella trappola di pensare al
lavoro su di sé inquadrandolo nei nostri vecchi schemi di pensiero, come se ci stessimo occupando
dell'amministrazione di un'azienda o di un campionato di calcio. Qui non è un particolare risultato a
produrre gli effetti migliori.
Un lavoro contro natura
Ipotizzare che stiamo trascorrendo la nostra vita tra fastidi, preoccupazioni e angosce solo perché
non siamo capaci di vedere il mondo autentico sembra assurdo, e ci appare tanto più assurdo quanto
più siamo presi nell'allucinazione e non riusciamo a concepire un'esistenza fuori dallo stato di
allucinazione. In effetti il lavoro su di sé è assurdo, è forse ciò che di più assurdo può essere
concepito: esso dice che il mondo è splendido in ogni suo aspetto, e che per vederlo dobbiamo
cambiare l'organo con cui lo guardiamo. Esiste qualcosa di più folle di una simile considerazione?
È forse bene rammentare che il lavoro su di sé non costituisce per l'uomo un'attività naturale, ma
un'accelerazione forzata. Noi stiamo accelerando l'evoluzione, siamo i pionieri del nuovo
paradigma, violiamo un numero consistente di leggi terrestri a cui sottostà la macchina biologica: le
leggi legate alla sopravvivenza. Gli atomi della macchina si ribellano a questo lavoro, perché
vengono costretti a fare qualcosa di completamente innaturale per loro; non provare paura e
sospetto è un comportamento innaturale per il nostro apparato psicofisico.
Quando ci si sforza di sentire che il mondo è Bello tutta la macchina resiste, si rifiuta, si difende,
perché pensare una cosa del genere per lei è pericoloso, va contro la sua sopravvivenza. Il nostro
apparato psicofisico sa che morirà, quindi è costruito in modo da diffidare di tutto e di tutti, è
programmato per reagire con la paura e con l'aggressività; se questi meccanismi non avessero
funzionato alla perfezione fino ad oggi, non saremmo sopravvissuti per milioni di anni su un pianeta
del genere.
Adesso, compiendo un'azione INNATURALE per la nostra macchina, una parte di noi vuole
imporre un nuovo modo di pensare fondato sull'amore, sulla collaborazione, sull'altruismo. Un parte
della coscienza vuole convincere l'altra parte che il mondo non è una fonte di pericolo da cui
difendersi, ma una fonte di Bellezza, e che gli altri, qualunque cosa facciano, non sono pericolosi,
ma belli. Nel fare questo l'uomo sviluppa un NUOVO CORPO e NUOVI ORGANI DI SENSO che
partono dal Cuore... e sfonda la porta della dimensione spirituale, la quarta dimensione.
Cristallizzare un nuovo corpo
"Sono arrabbiato solo perché non vedo la realtà. Sono cieco. Non mi è accaduto quello che credo io.
La mia mente mi fa vedere degli episodi che in realtà non hanno il significato che lei crede" "IO
INVECE VOGLIO VEDERE LA REALTA'". Questa può esser detta una « formula alchemica ».
Cominciare a ragionare in questo modo dopo un'emozione negativa, non appena ci si ricorda di
farlo, permette con il tempo di trasmutare proprio la sostanza di cui è composta l'emozione negativa
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in 'occhi per vedere il Bello'.
Spiegheremo meglio questa affermazione descrivendo cosa accade alchemicamente. Se, ad
esempio, stiamo provando rabbia, ciò vuol dire che la nostra macchina è pervasa della sostanza
della rabbia sia sul piano emotivo, che su quello mentale (qui si manifesterà come immaginazione
negativa) che su quello fisico (qui si manifesterà con vari fenomeni a livello circolatorio e
muscolare). Se noi cerchiamo di ostacolare tali manifestazioni imponendoci di essere « presenti »,
cioè ricordarci di noi, e sforzandoci di passare a una nuova visione della realtà, creiamo una certa
dose di attrito, questo attrito è un Fuoco che agisce sulla sostanza prodotta dalla rabbia e fa in modo
che si produca una nuova sostanza che si cristallizza nel nuovo corpo in costruzione.
Nel nuovo corpo questa non sarà più rabbia, bensì una specifica emozione superiore che è risultata
dalla trasmutazione della nostra rabbia. Così come la personalità provava rancore quando si sentiva
vittima di un'ingiustizia, allo stesso modo ora l'anima prova una nuova emozione superiore -
qualcosa di gioioso e compassionevole - di fronte alla stesso atto, in quanto i suoi « nuovi sensi »
sono in grado di cogliere il Vero e non interpretano più come ingiusto quell'atto.
In altre parole, per ogni manifestazione negativa che viene osservata coscientemente e, quando
possibile, contrastata, si costruisce una sorta di « senso sottile » appartenente al corpo dell'anima,
che l'anima utilizza come 'occhio' per percepire nuovi aspetti di bellezza nel mondo e per provare
una corrispondente emozione superiore.
La trasmutazione è dunque operata da un cambiamento radicale della prospettiva da cui si osserva
la realtà. Il punto di vista del Cuore ha bisogno di essere nutrito con questi nuovi pensieri. La mente
ha bisogno di essere polarizzata verso i nuovi principi appartenenti alla visione del Cuore. Il
processo è lungo perché si tratta di convertire - questa è l'autentica « conversione religiosa » - gli
schemi meccanici, che sono incisi negli atomi stessi della macchina, in « nervi sottili » del Cuore; e
all'inizio l'unico strumento che abbiamo per farlo è la mente.
Si sarà notato a questo punto che il lavoro di risveglio non è un lavoro psicologico, morale o
spirituale, bensì un lavoro squisitamente fisico, che si produce attraverso la creazione di sostanze
che sono fisiche e di corpi che sono fisici - sebbene appartenenti a una fisicità meno grossolana di
quella cui siamo abituati.
Se non trascuriamo mai di agire in questo modo in coincidenza delle emozioni negative, cioè se non
le giustifichiamo mai e non le lasciamo passare inosservate, vedremo diminuire progressivamente il
lasso di tempo che trascorre da quando accade l'evento emotivo a quando ritorniamo in noi e
iniziamo a pensare in questo nuovo modo. Il nuovo modo di intendere la realtà che provoca la
nostra trasformazione.
In virtù di tale lavoro di avvicinamento all'apice dell'emozione, a un certo punto saremo in grado di
agire direttamente sull'emozione sforzandoci di non manifestarla all'esterno, e creando così un
attrito ancora maggiore. Ma ciò fa parte della fase successiva.
Altri esempi di nuovi schemi di pensiero: "Se non sopporto una persona o una situazione quella
persona e quella situazione non c'entrano. Non li sopporto perché vivo in un'allucinazione dove non
vedo cosa accade e proietto all'esterno dei fastidi che fanno parte della mia macchina" "Se qualcuno
o qualcosa mi dà fastidio è perché io proietto su di lui un meccanismo che appartiene in realtà al
mio apparato psicofisico; il fastidio è un difetto della lente attraverso cui percepisco il mondo".
"Il brutto e lo sbagliato fanno parte di un mio difetto di percezione. La verità mi può essere
comunicata solo dalla visione del Cuore".
"Se mi sembra che quella persona stia facendo qualcosa di sbagliato vuol dire che secondo me
l'esistenza si è sbagliata nel crearla. Il mio dire che qualcuno sbaglia implica che secondo me certe
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persone sono degli 'errori della Vita', e io pretendo di decidere quali sono errori e quali no.
Dimentico che niente è oggettivamente sbagliato, ma sono io a dividere in modo arbitrario fra
giusto e sbagliato secondo i fastidi e le antipatie della mia macchina".
Costringere la mente a pensare in maniera corretta riguardo le emozioni negative crea un nuovo «
ambiente mentale » polarizzato in direzione del Cuore. La personalità reagisce con emozioni
negative a certi eventi perché pensa: "Lui sta sbagliando, potrebbe comportarsi in un altro modo ma
non lo fa. Questa situazione non è giusta", oppure pensa: "Io non sono all'altezza. Farò una brutta
figura e tutti rideranno di me. Non potrò mai fare questa cosa". Per correggere queste visioni
alterate si devono introdurre nuovi pensieri: "Devo ammettere che io attualmente non ho gli
strumenti di percezione adatti a vedere cosa accade intorno a me. Il fatto che qualcuno possa
sbagliare, truffarmi, offendermi o ridere di me è il risultato di una mia allucinazione, derivante dal
fatto che percepisco il mondo attraverso sensi non ancora convertiti".
Spesso iniziamo a pensare a disgrazie che possono capitare ai figli o al partner, o al pianeta intero,
quindi ci sentiamo ansiosi, frustrati o impotenti. Le immagininazioni che alimentano la paura di
essere traditi sono altrettanto dannose. Ogni volta che ci sorprendiamo in una immaginazione
negativa questa va scrollata di dosso con decisione e buttata dove le spetta: nel cesso.
Ad esempio in questo periodo la frustrazione e il senso di impotenza per quanto accade nel mondo
sono forme di sofferenza molto diffuse. Esse sono completamente inutili e dannose: se possiamo
fare qualcosa per gli altri o per il pianeta smettiamo di piangere e iniziamo a farlo oggi stesso; se
invece la nostra posizione non ci consente di fare qualcosa per il pianeta smettiamo di piangere e
facciamo qualcosa per chi ci circonda.
La sofferenza non è nostra, e questo vale per ogni genere di sofferenza, è sempre qualcosa che si
trova nell'atmosfera e che la nostra macchina assorbe fornendole nuova energia e rispedendola
nell'ambiente più forte di prima. Non è scritto da nessuna parte che dobbiamo soffrire quando ci
accade qualcosa. Si buttano via i pensieri inutili e si agisce; non si piange.
Mirare al sovranaturale
L'essere umano che nel momento in cui prova un'emozione negativa non si abbandona totalmente
ad essa, ma lotta per restare sveglio e presente, comincia a vincere le forze della natura di cui è stato
fino a quel momento inconsapevole schiavo.
Non perdersi completamente nell'emozione a una prima impressione potrebbe apparire come
qualcosa di innaturale e limitante per la libertà dell'essere umano. In realtà non si tratta di una
pratica innaturale, bensì sovranaturale, e chi vi si dedica lo fa perché è già divenuto consapevole
che la libertà per l'uomo che brancola nel sonno della coscienza non è mai possibile.
Continuare a sottostare a ciò che è naturale non può che trattenere l'uomo nell'ambito della
mediocrità. Compiere il sovranaturale lo eleva altresì a « Uomo Nuovo », con i poteri che gli
competono e la capacità di portare un reale aiuto all'umanità nei piani più sottili della realtà.
L'animale è totalmente succube delle leggi di natura, ma l'essere umano può, almeno in parte,
svincolarsi da esse. In fondo questo tentativo è stato il motore dell'intera storia evolutiva della
nostra civiltà. Scienza, arte, tecnologia, medicina sono il frutto degli sforzi dell'uomo indirizzati a
controllare una natura inesorabile. Ora è giunto il momento di imprimere una decisa accelerazione a
questo naturale processo evolutivo.
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LAVORO SULLE EMOZIONI NEGATIVE -
parte II
[43]Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; [44]ma io vi dico:
amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, [45]perché siate figli del Padre vostro
celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra
gli ingiusti. [46]Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i
pubblicani? [47]E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non
fanno così anche i pagani? [48]Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
Mt 5,43-48
Gestione delle emozioni negative
Fino a ora siamo intervenuti nei momenti della giornata seguenti o precedenti le emozioni negative,
avvicinandoci sempre di più a esse, ma adesso si tratta di prendere di petto queste espressioni e
cercare di non manifestarle all'esterno. Non si tratta di non provarle, per ora non provarle non è
possibile; non siamo nemmeno in grado di cogliere l'attimo in cui l'emozione negativa nasce, quindi
cercare di non provarla per ora è fantascienza.
D'altronde se non provassimo emozioni negative, come potremmo usarle per creare sostanze nuove?
Trasmutare è il nostro scopo, non rifiutare o eliminare. Senza le emozioni negative verrebbe a
mancare l'indispensabile materiale per la nostra evoluzione, i metalli da cui far scaturire l'Oro.
L'alchimista che vuole trasmutare il piombo in oro, non prova certo odio o rifiuto verso il piombo,
tutt'altro, per lui è prezioso alla pari dell'oro stesso, in quanto sa che esso contiene in potenza il
metallo più nobile. La circostanza che si trovino in noi delle emozioni negative su cui poter lavorare
è pertanto una benedizione!
Possiamo però sforzarci (e ci accorgeremo presto di quanto non sia facile) di non far uscire
all'esterno l'emozione negativa - pur continuando a considerarla un aspetto prezioso di noi e non un
lato oscuro da schiacciare. Si tratta di tenerla dentro e osservarla, anziché darle libero sfogo urlando
in faccia a qualcuno la nostra rabbia. Si tratta di tenerla dentro e osservarla, anziché darle libero
sfogo pronunciando frasi o compiendo altre azioni che siano dettate dall'emozione negativa che
stiamo provando.
Questo è il senso del detto occulto "cavalcare la Tigre". E' indispensabile osservarsi attentamente
per cercare di capire in quali momenti stiamo parlando o agendo guidati dalla manifestazione di tali
emozioni. Quante frasi diciamo per rabbia, per invidia, per vendetta, per gelosia, per paura di essere
abbandonati, per paura di fare una brutta figura? Non manifestare l'emozione negativa significa non
parlare o agire come conseguenza di emozioni negative che non riusciamo a tenere dentro.
Non manifestarla significa cominciare a p o s s e d e r l a, a farla propria anziché continuare a
subirla. L'emozione negativa non è nostra e la sua manifestazione non è voluta da noi. Essa è
un'entità esterna a noi che ci possiede sfruttando la nostra attitudine a risuonare con lei. Se per
questioni karmiche dentro di noi esiste già una certa predisposizione alla rabbia allora il « demone
della rabbia » può entrare in risonanza con noi e prenderci, usarci per scaricarsi sul piano materiale.
Allora al fine di liberarci è imperativo che noi interveniamo coscientemente e decidiamo con tutta la
volontà di cui siamo capaci di essere noi a possedere lui. In questo modo acquisiremo il potere di
controllo su quel « demone », cioè su quella particolare « forza della natura », e ciò ci metterà a
disposizione nuovi poteri occulti utilizzabili per modificare magicamente la realtà.
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Per non manifestare le emozioni negative è necessaria una buona capacità di essere presenti e svegli
durante tutto l'arco della giornata; si tratta di collegare il ricordo di sé a queste emozioni. Risulta
infatti ovvio che per non manifestarle dobbiamo innanzitutto ricordarci di farlo. Se tutto nella nostra
vita scorre senza attenzione, inosservato, allora non trasmuteremo mai le nostre emozioni, bensì le
rafforzeremo nello stato in cui si trovano. Dobbiamo sforzarci di ricordarci di noi non appena ci
accorgiamo di essere preda di un'emozione negativa e fermarne immediatamente la manifestazione
esteriore.
Per molto tempo ancora non riusciremo a coglierla all'inizio, ma non è questo lo scopo della
presente fase del lavoro; per adesso lo scopo è sorprendersi nel bel mezzo della gelosia, della rabbia
o del desiderio di vendetta. Allora ci si può sforzare di smettere con la manifestazione esteriore
dell'emozione negativa e con i pensieri negativi a essa collegati.
L'emozione va fatta bruciare all'interno, nel « crogiuolo »! Il crogiuolo è il nostro Cuore in
embrione, prima che si trasformi totalmente in Lapis Philosophorum, cioè in una « pietra magica »
capace di trasmutare ogni bruttezza in Bellezza e ogni fastidio in Gioia. E' infatti possibile agire su
un'emozione negativa solo se si crea il giusto « ambiente mentale » e, soprattutto, se la si porta nel
Cuore, cioè se si comincia a osservarla con gli occhi dell'anima.
Lasciamo che il 'fuoco lento' crei il giusto attrito tra l'antico e il nuovo trasformando le vecchie
sostanze nelle nuove che ci sono necessarie. Riportare alla mente il differente modo di pensare
esposto nel precedente capitolo servirà a non giustificare l'emozione negativa e ci fornirà l'energia
necessaria a interromperla. Unicamente in tali condizioni esiste la possibilità che finalmente il
Cuore emerga; esso è al contempo causa ed effetto della trasmutazione. La macchina biologica è la
nostra officina alchemica.
Si tenga presente che certi piccoli fastidi saremo subito in grado di non manifestarli all'esterno, già
dall'inizio del nostro lavoro su noi stessi, mentre per quanto concerne le emozioni più pesanti la
prima fase del lavoro perdurerà forse per anni. Procedendo per tentativi distingueremo presto fra ciò
che siamo già in grado di gestire in una certa misura, ciò su cui possiamo lavorare 'a distanza'
appena ce ne ricordiamo (prima fase del lavoro) e ciò che per ora è meglio lasciar perdere perché
fuori dalla nostra portata.
In ogni caso lavorare con impegno sulle piccole cose ci fornirà l'energia giusta per lavorare in
seguito anche sulle manifestazioni più profonde e radicate. Il nostro obiettivo è accumulare energia
evitando inutili dispersioni. Molte emozioni negative possono essere semplicemente eliminate come
insetti fastidiosi, altre invece saranno usate quali sostanze per la trasmutazione in emozioni
superiori.
Giustificazioni
Una giustificazione molto usata riguardo le emozioni negative è: "Reprimere le emozioni è
dannoso, causa squilibri, e prima o poi queste esplodono tutte insieme."
Chiariamo subito cosa è la repressione. La repressione avviene in due casi principali:
1) quando noi vorremmo esprimere un'emozione ma non possiamo perché l'ambiente sociale ci
impedisce di farlo liberamente;
2) quando noi non riusciamo a esprimere le nostre emozioni perché non siamo capaci di farlo,
siamo così condizionati dalla paura interiore che le emozioni faticano a sgorgare da noi.
In entrambi questi casi la non-manifestazione delle emozioni è INVOLONTARIA: si vorrebbero
esprimere delle emozioni, ma non si può, e a volte non si confessa nemmeno a sé stessi questa
impossibilità. Noi però stiamo parlando di tutt'altro. Qui si tratta di un lavoro COSCIENTE: noi
operiamo con le emozioni negative all'interno di un contesto di lavoro su di sé, dopo aver compreso
la natura delle emozioni negative e la loro grande utilità per il nostro risveglio. Per tale motivo è
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essenziale creare dentro di noi un « ambiente mentale » dove tali manifestazioni non vengono più
giustificate e ricercate: "Ho capito che ne sono schiavo, che non sono io a decidere di provarle, che
loro mi usano, quindi voglio assumerne il controllo e sfruttarle".
Un uomo può lavorare su di sé solo volontariamente, come conseguenza dell'essersi accorto che per
lui è il modo migliore di affrontare la vita. Gli stessi comportamenti possono divenire dannosi
quando risultano inconsapevoli o imposti dall'esterno.
Un'altra giustificazione che contribuisce a tener vive le emozioni negative è la convinzione diffusa
che la loro causa sia esterna e non interna. Questo è forse l'ostacolo mentale più grosso da superare.
Gli uomini sono convinti che le loro emozioni abbiano origine all'esterno e che cambiando la
situazione esterna non proverebbero più quell'emozione negativa: "Mi sono arrabbiato perché lui mi
ha insultato" "Sto male perché il mio partner mi ha tradito" "Sono depresso perché il mondo fa
schifo e la mia vita fa schifo" "Quelle persone mi mettono in imbarazzo" "Sono infastidito da quella
persona così materiale e ignorante" "Odio la prepotenza" "Odio la guerra".
L'emozione negativa non riguarda mai la presenza o l'assenza di una particolare condizione,
altrimenti di fronte alla stessa condizione tutti avrebbero le stesse reazioni; essa riguarda invece la
struttura della nostra macchina, i suoi condizionamenti. Tutte le volte che giudichiamo sbagliato o
ingiusto qualcuno o qualcosa ci predisponiamo a un'emozione negativa. Se nei nostri vecchi e
radicati schemi di pensiero ci sono molte idee di 'ingiusto' e di 'sbagliato' allora proveremo molte
emozioni negative. La causa è nei nostri schemi, cioè nei nostri pregiudizi - i nostri giudizi
preconfezionati su fatti e persone - non certo negli eventi, i quali sono di per sé stessi sempre
neutrali.
Il nostro vecchio modo di vedere il mondo è l'unica causa della nostra sofferenza. Anche se
riusciamo a mutare la situazione esterna, ma i nostri schemi mentali rimangono gli stessi, prima o
poi ci creeremo intorno una situazione analoga dove proveremo sempre le medesime emozioni
negative.
Se il nostro partner si innamora di un'altra persona si possono verificare due situazioni:
a) se la nostra macchina ha registrato in sé un pregiudizio riguardo il tradimento, riterremo sbagliato
quell'evento e proveremo un'emozione negativa (rabbia, paura, desiderio di vendetta, ecc.);
b) se noi non siamo identificati con la macchina, bensì con il Cuore, proveremo le emozioni
superiori che corrispondono, nel Cuore, a quelle che erano negative nella macchina. Ad es.
proveremo gioia per il fatto che il partner si trova in una bella fase di innamoramento, invece di
provare odio perché è innamorato di un'altra persona, e proveremo eccitazione per un futuro da
single tutto da scoprire, invece che paura per essere rimasti soli.
Giustifichiamo con particolare forza la nostra emozione negativa quando a livello razionale siamo
dalla parte della ragione. Immaginiamo di stare attraversando la strada sulle strisce pedonali e con il
semaforo verde. Arriva un'auto pirata che passando con il semaforo rosso ci sfiora e ci fa cadere sul
selciato; a un nostro accenno di protesta l'autista si ferma, grida che il semaforo era verde per lui, ci
insulta e riparte.
Perché in questo caso l'emozione negativa che inevitabilmente proviamo è più forte del solito?
Perché la giustifichiamo di più. Il fatto che la nostra percezione di giusto/sbagliato sia suffragata dal
codice della strada, che è oggettivo, rende tale percezione più profonda, ma non per questo essa è
meno fasulla.
La divisione giusto/sbagliato è fasulla, perché nella creazione non ci sono errori, non possono
esistere persone oggettivamente sbagliate. Il concetto di errore è un parto della nostra mente e della
sua visione alterata, non sintetica, non animica dell'universo. Vecchi e stupidi schemi di pensiero
che ci fanno odiare chi non rispetta le regole o chi è aggressivo, ci costringono a trascorrere ore
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dentro emozioni negative che vanno dalla rabbia al senso di impotenza e dentro immaginazioni
negative in cui pensiamo a cosa avremmo potuto fare a "quel criminale per dargli una lezione".
'Dare una lezione a qualcuno' è proprio una delle giustificazioni più utilizzate dalla mente: "Se
qualcuno non gli dà una lezione e non gli fa capire che sbaglia, lui continuerà a sbagliare", e questo
qualcuno che deve fargli capire che sbaglia siamo sempre noi!
L'educazione degli altri non ci deve interessare, almeno fino a quando non avremo trasmutato la
nostra rabbia in un'emozione superiore, allora avremo la giusta lucidità e sapremo cosa fare per
agire nel mondo. Il discernimento è una qualità che acquisiremo grazie al costante lavoro di
espansione della coscienza.
Il fastidio verso chi è aggressivo o verso chi non rispetta le regole è qualcosa che riguarda
esclusivamente noi, è una nostra caratteristica, uno schema attraverso cui guardiamo il mondo; il
pirata della strada non c'entra niente con quello che noi proviamo, lui fa ciò che può fare in base
agli schemi della sua personalità e muovendosi in linea con gli obiettivi del sua personale percorso
evolutivo - che è differente dal nostro - e non deve certo chiedere il permesso a noi per agire.
Quando vediamo qualcosa di sbagliato e stiamo male per questo, non dobbiamo chiederci quale è la
causa, esterna o interna che sia, di questa sensazione, ma solo concentrarci sul nostro stare male,
sull'emozione negativa e agire su questa riportando alla mente un nuovo modo di pensare. Chi ha
ragione e chi ha torto non ci deve interessare; cosa sia giusto e cosa sbagliato non ci riguarda. Noi
non siamo giudici, stiamo compiendo un lavoro di trasformazione e solo questo deve occupare la
nostra mente.
Mai cadere nelle giustificazioni scontate: "Questa è proprio un'ingiustizia, chiunque al mio posto si
sarebbe arrabbiato". La giustificazione va nella direzione opposta al risveglio e non crea il giusto
attrito utile a edificare un nuovo corpo. Teniamo sempre bene a mente il nostro scopo e non
lasciamoci distrarre dagli eventi mondani.
Emozioni superiori
Lavorando su di sé in maniera onesta si giungerà prima o poi a cogliere l'emozione sul nascere e a
sostituirla con un impeto d'amore. Allora quando sentiremo un insulto provenire da qualcuno, noi
saremo svegli e presenti, pronti a spostare il nostro centro di consapevolezza nel Cuore per cogliere
lo stimolo esterno attraverso i nostri nuovi sensi, provando così una nuova emozione superiore,
qualcosa che appartiene alla sfera della Gioia e dell'amore invece che alla sfera della rabbia e
dell'angoscia.
Questa è la trasmutazione del piombo in oro, la realizzazione della Grande Opera: un'emozione
negativa viene colta all'origine e attraverso un atto di volontà/amore viene immediatamente
trasmutata in perdono, compassione, commozione... Un Uomo Nuovo fa sentire i suoi primi vagiti.
Il binario attraverso cui fino a oggi abbiamo colto qualcosa che credevamo sbagliato, diviene
immediatamente canale di conoscenza del Cuore, il 'centro emotivo superiore', il nostro Lapis
Philosophorum; l'emozione negativa in un istante si trasmuta in emozione superiore e a noi si
spalanca la Bellezza nascosta in quello che prima interpretavamo falsamente come un insulto.
Abbiamo conosciuto attraverso il Cuore. L'amore ha prevalso sulla separatività. Per la prima volta
abbiamo deciso con consapevolezza di conoscere attraverso l'amore invece che per mezzo della
mente e ci si è dischiuso uno spicchio di realtà. Abbiamo il controllo sul « demone » di
quell'emozione: egli è ora ai nostri ordini e noi non lo siamo più ai suoi. Nuovi poteri magici sono
in nostro possesso.
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Se vogliamo che ciò avvenga sempre più spesso dobbiamo assaporare con tutto il nostro essere
questi momenti. Dobbiamo nutrirci di queste emozioni superiori. Fare in modo che rimangano
registrate dentro di noi. In seguito sarà impossibile cercare di descriverle con la mente, ma i nostri
atomi ricordano... e ricordano bene.
Il Cuore nulla ha da spartire con il sentimentalismo; esso è l‟organo dell’intelligenza, facoltà
esclusivamente spirituale, non mentale. Il Cuore è l'« intelletto d'amore », per usare un'espressione
dantesca, e ci dà la conoscenza oltre l'illusione, ci consente di intuire e di creare. Il Cuore ci rende
geni.
Le emozioni superiori non possono però venire affrontate come le altre fasi del processo alchemico.
Mentre all'inizio l'aspirante, sia esso maschio o femmina, si getta nel lavoro in maniera irruente,
pronto a qualsiasi sforzo, con l'intento di « cavalcare la Tigre », adesso è tempo di cambiare
atteggiamento. Il maschile deve fondersi con il femminile a formare l'« androgino ».
L'emozione superiore non può essere provocata con lo sforzo e con il desiderio, essa può
unicamente venire attesa in uno stato di raccoglimento interiore e accolta nel momento in cui
giunge. L'apertura del Cuore implica uno stato passivo, negativo e ricettivo: il Regno dei Cieli non
viene più penetrato, bensì accolto nel proprio « utero ».
Ciò non significa che il Mago debba rinunciare alle sue caratteristiche di guerriero - tutt'altro - ma
solo che egli combatterà con un'irruenza maschile sostenuta da un'energia femminile entrostante. La
sua lotta esteriore sarà una danza interiore.
Quanto detto non comporta alcuna differenza fra l'alchimista maschio e l'alchimista femmina, in
quanto si sta trattando di energie e non di aspetto fisico.
Un Cuore aperto rappresenta una incredibile e preziosa forza, capace da sola di dare origine a una
"nuova vita", quale è appunto il corpo dell'anima. Come si è già detto il Cuore è insieme causa ed
effetto della trasmutazione. Le emozioni superiori sono la conseguenza della cristallizzazione del
corpo dell'anima, ma allo stesso tempo ne sono la causa: ogni attimo di commozione, ogni
esplosione di Gioia o impulso al perdono costruiscono il « corpo di gloria ».
Quando noi cominciamo a padroneggiare le energie interiori invece che essere i loro burattini,
possiamo accumularle e poi indirizzarle coscientemente all'esterno. I « demoni » sono sotto i nostri
piedi. L'insegnamento, la guarigione, l'attività artistica e la lotta contro le forze involutive presenti
sui piani sottili sono le principali vie attraverso cui si possono veicolare tali energie. Allora
evolviamo alla velocità della luce e acquisiamo poteri sovranaturali straordinari. Diveniamo cioè
veri Maghi. L'uomo che riesce a vincere e ad acquistare potere sulla propria personalità
(tradizionalmente simboleggiata dal Serpente o dal Drago) può vincere anche sulle leggi della
natura: guarigione da ogni malattia, sospensione dell'invecchiamento, chiaroveggenza, telepatia,
preveggenza, immortalità, capacità di viaggiare in astrale, trasmutazione dei metalli ecc.
In conclusione vorremmo rammentare ciò che è stato detto all'inizio del capitolo "Le emozioni
negative", dove facevamo notare che la costruzione del corpo dell'anima e l'identificazione con il Sé
si conseguono attraverso due vie:
1) trasmutando le emozioni negative, che ci sottraggono energia e fino a oggi hanno preso il posto
delle emozioni superiori;
2) nutrendosi di emozioni superiori, cioè, in ultima analisi, di ogni sfumatura dell'amore.
Le vie vanno intraprese entrambe perché sono interdipendenti. Una non ha senso senza l'altra.
Il primo « fuoco » a disposizione dell'alchimista è quello del ricordo di sé, il quale permette di
aprire con violenza una breccia nell'addormentamento umano e di creare il giusto attrito fra l'innata
tendenza a dormire della macchina biologica e il desiderio di risveglio dell'anima. Il secondo «
fuoco » è quello dell'amore: questo è il fuoco più potente, quello che brucia ogni scoria e permette
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la completa trasmutazione del piombo in oro.
La via delle emozioni superiori implica anche il nutrirsi di arte, ogni genere di arte che si ritiene sia
in grado di elevare le nostre vibrazioni e di aiutare l'apertura del Cuore - fruire dell'arte ma anche
produrre arte. Nutrirsi di emozioni superiori significa pure ricercarle nella vita quotidiana: nei gesti,
nelle parole e negli sguardi degli altri. Tutti noi siamo già capaci di provare delle emozioni
superiori, ma questi brevi istanti vengono spesso soffocati dalle emozioni negative e si confondono
con esse (l'amore che diventa gelosia, la compassione che diventa pietà, la potenza che diventa
orgoglio...), oppure passano inosservati e classificati come sporadici 'momenti di commozione'.
Incredibilmente molti si vergognano dei momenti di commozione oppure credono che perdonare
qualcuno sia una manifestazione di debolezza anziché di estrema forza. Invece è indispendabile al
lavoro alchemico abituarsi a vivere nel perdono e nella compassione mantenendole vive e
coltivandole come preziosi gioielli. Un'emozione superiore è effetto dell'apertura del Cuore e causa
di ulteriore apertura del Cuore. Una sola emozione superiore provata davanti a un quadro, a una
melodia o alla malattia di qualcuno, vale quanto anni di faticoso lavoro su di sé.
Chi vuole accelerare il proprio progresso dovrebbe tener conto di ciò. Spesso infatti si impiegano
tutte le proprie energie nel lavoro di trasmutazione delle emozioni negative condotto con impegno
giorno dopo giorno, e poi ci si lascia sfuggire l'occasione di compiere in una volta sola una
trasmutazione di proporzioni eccezionali semplicemente abbandonandosi alla commozione di fronte
a un'opera d'arte o perdonando qualcuno che, a nostro parere, ci ha fatto un torto.
Le emozioni superiori non ci sono quindi sconosciute, ma nell'uomo comune sono sporadiche e
affidate al caso. Il lavoro su di sé consente di provocarle coscientemente ogni qualvolta lo si vuole,
fino al punto di poter guardare ogni cosa attraverso i loro occhi.
Le operazioni descritte in questa sezione del sito (osservazione di sé, gestione di immaginazione
negativa ed emozioni negative, immersione nelle emozioni superiori) rappresentano la struttura
portante dell'intera Opus Magna, dai primi passi fino all'Opera al Rosso. Ogni altra pratica è
coadiuvante, ma non fondamentale, per l'ottenimento delle qualità dell'alchimista.
Testi sull'argomento: OFFICINA ALKEMICA - l'Alchimia come via per la felicità incondizionata Salvatore Brizzi, Antipodi Edizioni (2006) IL POTERE DELLA KABBALAH Yehuda Berg, Tea, Milano 2005 (2004) L'APERTURA DEL CAMMINO Isha Schwaller de Lubicz, Edizioni Riza, Milano 1999 (1985) LA QUARTA VIA P.D. Ouspensky, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1974 (1921-1946) LA MACCHINA BIOLOGICA UMANA E. J. Gold, Edizioni Crisalide, Spigno Saturnia (LT) 1999 (1991)
La trasmutazione della sostanza emozionale
Poi l'Eterno Iddio disse: "Ecco l'uomo e' diventato come uno di noi, quanto a conoscenza del bene
e del male. Ma ora, che egli non stenda la mano e prenda anche il frutto dell'Albero della Vita, e ne
mangi e viva per sempre."
Così Egli scaccio' l'uomo, e pose a oriente del giardino d'Eden i cherubini, che vibravano da ogni