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Jul 07, 2018

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luiggilamantia
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    UGO MINNECIDottore di ricerca

    STRUTTURA DEL DOLO: CONTEGNO DEL  DECIPIENS  E CONSENSO DEL DECEPTUS 

    SOMMARIO: 1. La struttura del dolo: 1.1. Il raggiro come vicenda complessa: a) La falsarappresentazione indotta. — 1.2. b) Il contegno del deceptor.  — 1.3. c) Il riflesso dell’errore

     provocato sul consenso. — 2. Il contegno del decipiens: 2.1. La contrarietà alla regola della buona fede oggettiva. — 2.2. La duplice anima del raggiro. — 2.3. La necessità della malafede soggettiva. — 2.3.1. La mala fede soggettiva quale condizione necessaria ma non

    sufficiente. — 2.3.2. La colpa grave. — 2.4. Il raggiro e la reticenza. — 2.4.1.L’identificazione del raggiro con un contegno positivo avente la forma della macchinazione.Lo pseudo problema del dolo buono. — 2.4.2. La qualificazione della reticenza alla luce dellariscoperta delle clausole generali. — 2.4.3. L’idoneità della reticenza ad integrare a certecondizioni il dolo. — 2.4.4. Il limite dell’ignoranza colpevole. — 3. Il riflesso del raggiro sulconsenso del deceptus: 3.1. La distinzione tra dolo determinante e dolo incidente: a) Lasalvaguardia della volontà psicologica. — 3.2. b) Il riferimento alla volontà ipotetica. — 3.3.Dolo incidente e dolo parziale. — 3.4. L’incidenza del dolo parziale sul contratto.

    1. – 1.1. — Che l’alterazione del processo volitivo del deceptus attraversol’induzione in errore rappresenti il tratto saliente del dolo è rilievo che si impone in

    modo inequivoco alla luce dell’inquadramento stesso del raggiro nell’ambito deivizi del consenso 1.

    A riguardare la figura esclusivamente sotto l’angolo visuale del difetto dellavolontà o della sua formazione irregolare, si rischierebbe tuttavia di non afferrarel’essenza di una complessa vicenda che trova nel contegno del deceptor   il  puntod’attacco, nella provocata falsa rappresentazione lo snodo successivo, nel riflessoesercitato dall’errore sulla determinazione a contrattare del deceptus l’estremofinale. Non deve perciò stupire se l’attenzione dell’interprete rimangaessenzialmente attratta da tutto ciò che si trova al di qua e al di là della falsarappresentazione (indotta), ossia dal segmento iniziale e da quello terminale dellasequenza appena indicata.

    Con una punta di paradosso, si potrebbe quasi asserire che il momento vero e proprio dell’errore (provocato) non sollevi particolari problemi, salva la precisazione per la quale, a differenza da quanto previsto dall’art. 1429 c.c. in temadi errore essenziale 2 assumerà rilievo, almeno in linea di principio, qualsiasi falsa

     1 () Precisa R. SACCO , I costituenti del contratto , in Il contratto di SACCO -DE NOVA, Torino,

    1993, tomo I, p. 420, che « il raggiro è un fatto che determina il vizio del consenso del contraente,il vizio vero e proprio è dato dall’errore indotto dal raggiro ».

    2  () La questione relativa alla natura, esemplificativa ovvero tassativa delle ipotesi in cui sisnoda l’art. 1429 c.c. sembra ormai essersi risolta nel secondo senso. Osserva V. R OPPO,  Il 

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     scene,  interrogarsi sulla rilevanza del raggiro omissivo, porsi il problema dellaconfigurabilità del c.d. — sia consentito il bisticcio di parole — dolo colposo, non

    significa abbandonarsi a speculazioni astratte, bensì toccare il nervo scoperto diuna vicenda dai contorni ancora decisamente incerti.

    Tali problemi non erano certamente ignoti alla dottrina della prima metà delsecolo 7, ma non può negarsi che oggi si carichino di risvolti ben più pregnanti. Inaltri termini, se allora la loro proposizione rispondeva essenzialmente ad unaesigenza geometrica di (più precisa) demarcazione dei confini della figura, adessoil loro esame si arricchisce di un interesse tutto particolare, riannodandosi al temadei c.d. obblighi di informazione nel corso delle trattative precontrattuali; tema portato in tempi recenti alla ribalta dal diffondersi del modello di contrattazione tradiseguali e cioè tra un contraente professionale da un lato e uno inesperto dall’altro8.

    1.3. — La sensazione che « gli antichi e i moderni trattatisti [abbiano] esauritotutto ciò che poteva dirsi intorno all’enunciato soggetto, e [che non rimanga] altro,se non compendiare in brevi ricordi i precetti che i medesimi ci hanno lasciati » 9

     potrebbe riaffiorare allorché si passi ad esaminare l’ultimo segmento dellasuccessione ricordata. A prima vista, invero, non sembrerebbe che ci sia molto daaggiungere alla corrente affermazione per la quale, a seconda che l’errore provocato si riverberi su una clausola essenziale o accessoria dell’accordo, sirientrerà rispettivamente nel dolo determinante (art. 1439 c.c.) ovvero nel doloincidente (art. 1440 c.c.) 10, con la conseguenza, nel primo caso, dell’annullabilitàdel vincolo instaurato, mentre nell’altro, ferma la validità del contratto concluso, ildecipiens sarà tenuto soltanto a risarcire i danni.

     7 () Il pensiero corre, naturalmente, allo studio di A. TRABUCCHI,  Il dolo  nella teoria dei

    vizi del volere, Padova, 1937.8  () Al riguardo, A. DEL FANTE ,  Buona fede  prenegoziale e principio costituzionale di

     solidarietà,  in  Rass. dir. civ., 1983, p. 157, secondo la quale « la responsabilità prenegoziale èuno strumento per il tramite del quale si può ovviare alla disparità di fatto, allo squilibrioeconomico-sociale (eventualmente) esistente tra i contraenti, tendendo, con l’apposizionedell’accento sull’obbligo di buona fede della parte più forte piuttosto che su quello della parte piùdebole (eccettuato il comportamento doloso di quest’ultima) alla giustizia sostanziale del rapporto».

    Per un approfondito studio sugli obblighi prenegoziali di informazione, si veda G. GRISI, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990.

    9 () G. GIORGI, La teoria delle obbligazioni, cit., p. 124.10  () Che il dolo possa provocare un errore incidente « ossia un errore che cade esclusivamente

    sulle singole modalità dell’accordo, ma non impedisce che il soggetto si sarebbe ugualmentedeterminato a stipulare l’atto », è sottolineato, ad esempio, da L. BIGLIAZZI GERI, U. BRECCIA,F.D. BUSNELLI, U. NATOLI, Fatti e atti giuridici, Torino, 1987, tomo II, pp. 687-688, per ribadireche « la differenza di disciplina tra il dolo determinante e il dolo incidente è netta. Il doloincidente non rende annullabile il negozio. Residuerà esclusivamente una responsabilità per risarcimento del danno (art. 1440) a carico del soggetto che ha posto in essere i raggiri ». SpiegaC.M. BIANCA , Il contratto , cit., p. 626, che « il dolo incidente è il dolo che non è determinantedel consenso, ma che incide sul contenuto del contratto ».

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    Ad un esame più approfondito, tale distinzione non sfugge tuttavia a talune perplessità. Fin da ora si può in effetti sottolineare come al di là del tralaticio

    esempio del venditore che avrebbe preteso un corrispettivo maggiore ovvero delcompratore che avrebbe pagato un prezzo minore, se in entrambi i casi non fosseintervenuto il raggiro dell’altra parte 11  — ipotesi in cui il danno viene pacificamente identificato con la differenza tra l’importo pattuito e quello ipotetico —, il rimedio risarcitorio foggiato dall’art. 1440 c.c. finisca per rivelarsi nellamaggior parte delle situazioni poco incisivo, se non addirittura spuntato: riesceinfatti difficile determinare in che consista il pregiudizio da ristorare allorché ildeceptus sia artatamente indotto ad accettare una clausola compromissoria o unalimitazione alla facoltà di opporre eccezioni.

    Con un certa prudenza, verrebbe quasi di asserire che in molte delle ipotesi incui il raggiro si rifletta su una clausola c.d. accessoria dell’accordo, renderebbe un

    miglior servigio alla vittima una tutela in forma specifica — preordinata in modointelligente a colpire il singolo precetto adulterato — piuttosto che una reazione dinatura risarcitoria; rilievo, quest’ultimo, che, se non deve essere ingigantito, è purtuttavia idoneo ad insinuare quanto meno un dubbio in ordine all’effettivafedeltà della distinzione tradizionale rispetto al dato normativo.

    D’altro canto, che il dolo incidente  permanga una figura spuria, non ancoracompletamente risolta, è dimostrato dalla stessa dottrina, la quale, se è unita nelqualificare l’art. 1440 c.c. come una norma eccezionale, è poi divisa al momento dispiegare rispetto a quale regola 12.

    All’esito di queste brevi osservazioni, sembra dunque potersi conveniresull’opportunità di un approfondimento dell’indagine sul dolo; indagine — semprealla luce di quanto appena emerso — da orientarsi sul duplice canale da un lato delcontegno del deceptor ,  dall’altro del riflesso dell’errore provocato sulladeterminazione a stipulare del deceptus.

    2. – 2.1. — Nell’ipotesi in cui il dolo provenga da uno dei contraenti, ladottrina non ha difficoltà a ricondurre il raggiro all’interno della culpa incontrahendo derivante dalla violazione del generale obbligo di correttezza impostoalle parti dall’art. 1337 c.c. durante la fase delle trattative e la formazione del

     11   () L’esempio risale al diritto intermedio; sul punto, M. BELLOMO , voce « Dolo (diritto

    intermedio) », in Enc. del dir ., XII, s.d., ma Milano, 1964, p. 730.12  () La figura del dolo incidente ha suscitato nella più recente dottrina notevole interesse. Vi è

    chi — M. MANTOVANI, Vizi incompleti del contratto e rimedio risarcitorio , Torino, 1995, p. 129ss. — scorge il carattere eccezionale dell’art. 1440 c.c. « nella parte in cui preclude l’ingressoall’azione di annullamento (... il contratto è valido),  pur in presenza di un fattore turbativo dellavolontà che concretamente riunisce in sé tutti i requisiti del vizio determinante del consenso, mache il legislatore considera come se non fosse tale », rinvenendo, di contro, nella previsionedell’obbligo risarcitorio, solo una diretta applicazione dell’art. 1337 c.c. Altri – G. D’AMICO ,

     Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto ,  Napoli, 1996, p. 118 — coglie, invece, la singolarità della norma proprio nel momento in cui questa ricollega unasanzione risarcitoria ad un comportamento che di per sé non dà luogo ad invalidità del contratto.

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    contratto 13. Il contegno del decipiens  si  concreta invero in una slealtà idonea aturbare il regolare svolgimento del rapporto precontrattuale; si tratterebbe, anzi, del

    « prototipo delle violazioni cui mostra il proprio sfavore l’art. 1337 c.c. » 14.A tale esito è consentito approdare muovendo dalla concezione tanto

    integrativa quanto valutativa della buona fede e cioè tanto dalla tesi che individuanella clausola generale dell’art. 1337 c.c. la fonte di doveri ulteriori rispetto aquelli introdotti da norme di ius strictum 15, quanto dall’interpretazione che svolgela regola medesima in uno strumento valutativo a  posteriori di un datocomportamento — strumento avente il proprio punto di messa a fuoco nel principio di socialità, di cui all’art. 2 Cost. — 16; potendosi vedere nel raggiro — 

     13   () Descrive il dolo come « comportamento contrario alla regola di buona fede nelle

    trattative e nella formazione del contratto » F. BENATTI,  La responsabilità precontrattuale,Milano, 1963, p. 66; enumera il dolo tra le varie ipotesi di responsabilità precontrattuale, C.M.BIANCA , Il contratto , cit., p. 177.

    14  () L’inciso è di R. SACCO , Il contratto , cit., tomo II, p. 238.15   () Scrive C. CASTRONOVO ,  L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e

    torto , in Studi in onore di L. Mengoni, Milano, 1995, I, p. 164, che « quello che sinteticamente siraffigura con il sintagma culpa in contrahendo risulta dunque costituito di obblighi generati dalla

     buona fede o, se si vuole, nei quali si concretizza l’obbligo generale di buona fede, tali daconsentire di parlare di rapporto alla stregua di una obbligazione ex lege nonostante manchi unobbligo di prestazione ». Svolge la clausola dell’art. 1337 c.c. in una serie di obblighi dicomunicazione, di informazione, di custodia L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità

     precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, II, p. 369, con l’ulteriore precisazione che trattasi di «

    singoli atteggiamenti di un complesso rapporto obbligatorio, in cui si traduce, variamentespecificandosi secondo le circostanze e la natura del regolamento negoziale avuto di mira,l’impegno reciproco delle parti fissato dall’art. 1337 c.c. di comportarsi secondo buona fede ».

     Nello stesso senso, F. BENATTI ,  La responsabilità precontrattuale, cit., p. 42, il quale annoveraanche gli obblighi di segreto. Al riguardo, altresì, C. TURCO ,  Interesse negativo e tutela

     precontrattuale, Milano, 1990, p. 225 ss.Sulla funzione integrativa della buona fede rispetto al vincolo obbligatorio, di recente, C.

    CASTRONOVO, Trust  e diritto civile italiano, in Vita not ., 1998, p. 1332, dove la precisazione per la quale « la buona fede accresce il rapporto obbligatorio sul piano della complessità strutturale,come tipicamente accade con gli obblighi di protezione che ne sono forse il frutto più sicuro e

     pregnante ».16  () Al riguardo, U. NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio , Milano, 1974, tomo I, p.

    1 e ss.; nonché U. BRECCIA,  Diligenza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio ,Milano, 1968, p. 88 ss. Precisa L. BIGLIAZZI GERI, voce « Buona fede nel diritto civile », in  Dig.disc. priv., Sez. civ., II, Torino, 1988, p. 172, che « nel principio di correttezza e buona fede[andrebbe scorto] un metro oggettivo ed elastico di valutazione a posteriori, affidato al giudice, diun fatto (e dunque anche del contratto, in quanto fatto giuridico) e/o di un comportamento; non,dunque, l’espressione di un dovere generico e/o la fonte di specifici obblighi integrativi né lostrumento di controllo legato ad una visione tipologica della realtà, ma un criterio volto acontenere le conseguenze negative di un’applicazione formalistica del diritto sul piano dellaconciliazione di interessi confliggenti secondo una misura insuscettibile di determinazioneaprioristica, ma destinata a precisarsi, di volta in volta, secondo le caratteristiche particolari diogni singola vicenda nel quadro complessivo delle circostanze anche sopravvenute del casoconcreto;... in tale prospettiva la clausola generale di buona fede viene ad assumere il valore distrumento capace di fungere da correttivo dei rigori dello ius strictum tramite una valutazione

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    senza che l’una o l’altra immagine costringa poi ad itinerari divergenti — sia unaforma di violazione di quegli obblighi di lealtà ed informazione che una parte della

    dottrina deduce dalla direttiva di buona fede — impregiudicata qui la questione sesi tratti di una responsabilità contrattuale o aquiliana 17 — sia un comportamentoaccompagnato da un accentuato alone di antisocialità.

    La percezione del ricorrere della culpa in contrahendo nella vicenda del dolonon è, naturalmente, priva di conseguenze. Ne deriva infatti, la rappresentazionedel raggiro — al di là di ogni ulteriore qualificazione — come di un illecito precontrattuale e quindi la disponibilità per il deceptus (anzitutto) del rimedio(proprio della responsabilità  ex  art. 1337 c.c.) risarcitorio nella misura del c.d.interesse negativo 18.

     degli interessi coinvolti nella singola vicenda diversa da quella che conseguirebbe al puro esemplice accertamento della formale corrispondenza di un fatto e/o comportamento ad unaastratta previsione di legge e di consentire, pertanto, in un contesto la cui coloritura è offerta dainuovi principi fondamentali dell’ordinamento (artt. 2, 3, 4, 32, 36, 37,41, comma 2o, 42, comma2o Cost.) e dall’esigenza di socialità che in essi si esprime, quel contemperamento di oppostiinteressi che un miope impiego dello strumento normativo renderebbe inattuabile ».

    17   () Al riguardo, se vi è ancora chi (R. SACCO ,  Il contratto , cit., tomo II, p. 255) situa lavicenda della culpa in contrahendo  sul fronte extracontrattuale nel presupposto che « se l’art.1337 c.c. non esistesse, la slealtà non verrebbe forse repressa ex  art. 2043 c.c. — ma cosìincorrendo nel rischio paventato da C. CASTRONOVO, L’obbligazione senza   prestazione ai confinitra contratto e torto , cit., p.  222, nota 138, di rappresentare il combinato disposto degli artt. 1337e 1338 c.c. come una sorta di inutile superfetazione dell’art. 2043 c.c. –-, appare tuttavia

     preferibile la tesi (L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, cit., p. 364) per la quale l’assoggettamento della relazione sociale prodromica alla conclusione del contrattoall’imperativo della buona fede da parte dell’art. 1337 c.c. non può che intendersi come « l’indicesicuro che questa relazione si è trasformata sul piano giuridico in un rapporto obbligatorio il cuicontenuto si tratta appunto di specificare a stregua di una valutazione di buona fede ». Si è

     peraltro obiettato da V. CUFFARO, voce « Responsabilità  precontrattuale », in  Enc. del dir. ,XXXIX, s.d., Milano, 1988, p. 1270, che il riferimento alla responsabilità contrattuale sirivelerebbe, ad un più attento esame, fragile, atteso che la norma dell’art. 1337 c.c. « nonsegnando una puntuale commisurazione delle posizioni soggettive cui si indirizza, non prescriveuna prestazione specifica ». Vero è tuttavia, come dimostrato in un recente studio di C.CASTRONOVO, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto , cit., p. 164 e p.231, nota 156, che la mancanza di un obbligo primario di prestazione non è di per sé d’ostacoloalla sussistenza di un vincolo obbligatorio, ben potendo la buona fede assurgere a nucleo

    essenziale di un obbligo di comportamento il cui contenuto andrà modellandosi nel divenire delrapporto in una serie di specifici obblighi di volta in volta rispondenti all’affidamento e interessereciproco delle parti; allo stesso modo, C. TURCO ,  Interesse negativo e responsabilità

     precontrattuale, cit., p. 170.A ciò si aggiunga l’osservazione di F. BENATTI , Culpa in contrahendo, in Contr. e impr. ,

    1987, p. 304,  secondo cui « i doveri espressi dalla buona fede dell’art. 1337 c.c. tendono alla promozione e al soddisfacimento dell’altrui aspettativa e quindi hanno anche uno scopo positivo,

    con ciò differenziandosi da quelli facenti capo all’art. 2043 c.c. che sono diretti esclusivamente a

     proteggere, non a realizzare l’altrui interesse, e pertanto hanno solo uno scopo negativo ».18  () Il ricorso all’espressione interesse negativo risale al tempo in cui vi era la convinzione

    che le uniche figure di culpa in contrahendo fossero da un lato la mancata rivelazione di cause diinvalidità del contratto, dall’altro lato il recesso ingiustificato dalle trattative. Nel ricostruire la

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    La riparazione del danno segna, dunque, concettualmente, la prima rispostadell’ordinamento in termini di tutela in favore della vittima dell’inganno, anche se,

    non essendo calibrata specificamente sul dolo, essa non colpisce il cuoredell’affare, operando piuttosto, in un modo che può apparire non del tutto centrato,ai margini dello stesso, all’esterno, cioè, dei confini dell’accordo. Il ristoro dellespese o delle occasioni di lucro, rispettivamente affrontate o sfumate per effetto delraggiro, non intacca infatti l’operazione compiuta, bensì va a coprire il suocontorno, o meglio il sostrato nel quale il vincolo macchiato si è innestato.

    2.2. — Se non deve essere sopravvalutata sotto il profilo remediale — essendo probabile che il deceptus  s i  avvarrà di quegli ulteriori e più incisivistrumenti di tutela offerti dall’ordinamento 19  —, cionondimeno la riconduzione

     

    vicenda, scrive V. CARBONE,  Mutamenti giurisprudenziali alla tradizionale limitazione dellatutela precontrattuale, in Corr. giur ., 1993, p. 562, che « non potendo il danno risarcibiledeterminarsi in relazione all’esecuzione del contratto invalido o non concluso (c.d. interesse

     positivo) si è ritenuto di rapportarlo all’interesse alla non conclusione del contratto o interessenegativo, così da porre il soggetto danneggiato nell’identica posizione in cui si sarebbe trovatoqualora non avesse concluso il contratto invalido ovvero non   fosse stato impegnato in quellatrattativa: id quod interest contractus initium non fuisse, sia come danno emergente (speseeffettuate in vista del perfezionamento dell’accordo) sia come lucro cessante (perdita difavorevoli occasioni dello stesso oggetto) »; al riguardo, altresì, A.M. M USY , voce «Responsabilità  precontrattuale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XVII, Torino, 1998, p. 409.

    Con l’allargamento delle ipotesi di culpa in contrahendo   (in  specie, con il riconoscimentodella compatibilità della responsabilità precontrattuale con una  valida stipulazione, come nel caso di uno svolgimento della trattativa non  conforme ai canoni di normalità ed efficienza ) la

    formula interesse negativo avrebbe perduto, per una parte della dottrina, la propria valenza precettiva, trasformandosi, come precisa F. BENATTI , Culpa in contrahendo, cit., p. 306, in unalocuzione « meramente descrittiva per indicare il danno nascente dalla violazione dei doveri

     precontrattuali, senza alcun valore in ordine all’entità di tale danno e dei criteri attraverso cuidebba essere specificato »; salvo aggiungersi che « il problema della determinazione del danno daculpa in contrahendo è solo un problema di diritto positivo: da noi va risolto a stregua degli artt.1223, 1225 e 1227 c.c. ».

    Si è peraltro osservato (C. TURCO , Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, cit., p.282) che « interesse negativo e interesse positivo non divergano tanto sul piano qualitativo,quanto sotto l’aspetto direzionale ». Entrambi, infatti, si riannodano ad una pretesa giuridica adun’altrui prestazione dovuta, che, in caso di interesse negativo, « non attiene peraltrodirezionalmente ai vantaggi connessi all’acquisizione del bene ed alla relativa utilizzazionefunzionalmente successiva alla conclusione ed esecuzione del contratto (interesse positivo) »,

     bensì, riallacciandosi ad un contegno conforme a buona fede della controparte « quale entità o bene di per sé idoneo a soddisfare l’interesse tutelato, concerne le utilità collegate ad un corretto ediligente svolgimento del rapporto prenegoziale ed essenzialmente afferenti alla possibilità(pregiudicata dalla violazione della buona fede) di una utilizzazione alternativa del bene o della

     prestazione e, più in generale, degli altri beni (attività, tempo, denaro) coinvolti nella trattativa ».19  () Come si vedrà meglio più avanti, accanto alla (generica) tutela risarcitoria nella misura

    dell’interesse negativo — conseguente al rinvenirsi nella vicenda concreta di una ipotesi diresponsabilità precontrattuale — il combinato disposto degli artt. 1439 e 1440 c.c. offre aldeceptus due ulteriori forme di reazione, qualitativamente più raffinate, in quanto mirate adintaccare l’affare. Se questa incidenza è sicuramente visibile nella prima disposizione, là dove èconcessa alla vittima del raggiro attraverso il riconoscimento dell’azione di annullamentoaddirittura il potere di travolgere il vincolo macchiato, qualche dubbio al riguardo potrebbe

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    del raggiro all’interno della culpa in contrahendo lascia chiaramente trasparire sul piano dogmatico la duplice anima del dolo 20, quella anfibia natura che consente di

    riguardardo sia come vizio della volontà che come vero e proprio illecito.Da segnalare che storicamente proprio quest’ultimo profilo è stato il primo ad

    essere colto. Nel diritto romano, invero, il rigido formalismo tipico del ius civileimpediva che si avesse riguardo al processo di formazione della volontà e quindialle sue possibili perturbazioni: « Il contratto concluso sotto l’effetto del raggiroera iure civili valido e nessuna rilevanza spiegava il contegno sleale di una delle parti ai fini del giudizio di validità dell’atto » 21. L’enucleazione dell’actio doli -– intervenuta intorno al 66 a.c. —, lungi dal segnare un’apertura verso unarivalutazione della c.d. volontà interna, rispecchia piuttosto, come si evincechiaramente dalla natura penale del rimedio, l’apprezzamento del dolo come figuraspecifica di delitto, di un contegno cioè intollerabile per la coscienza sociale in

    ragione del suo obiettivo disvalore e quindi meritevole di essere perseguito 22. invece sorgere allorché si passi all’art. 1440 c.c., atteso che, nell’inciso finale, la norma disponeche « il contraente di mala fede risponde dei danni ». Verrebbe cioè quasi di pensare che si trattidi una forma di tutela sostanzialmente sovrapponibile a quella tipica della culpa in contrahendo .Basta tuttavia riflettere sulla conformazione che assume in questa situazione il danno risarcibile

     — come si è già accennato, la differenza tra il prezzo pattuito e quello che sarebbe stato indicatoin mancanza del raggiro — per rendersi conto che la fattispecie dell’art. 1440 c.c. — secondoquanto rileva A. GENTILI,  La risoluzione parziale del contratto , Napoli, 1990, p. 256 — « di

     propriamente risarcitorio non abbia granché: il danno risarcibile non è infatti — come in tutti glialtri casi di risarcimenti connessi alle vicende negoziali — una conseguenza di tali vicende delcontratto, bensì è il contratto stesso o meglio il suo squilibrio interno; e il risarcimento è piuttosto

    un adeguamento conseguente alla rimozione del vizio caduto sulle condizioni diverse », cioè adire, un meccanismo perequativo diretto a ripristinare la corrispondenza economica tra lecontrapposte prestazioni del sinallagma. Tanto nell’ipotesi dell’art. 1439 c.c., quanto in quelladell’art. 1440 c.c. a rimanere dunque nel centro del mirino è sempre l’affare: per essere nel primocaso demolito, nell’altro adeguato.

    20  () Sottolinea la duplice natura del dolo, concepibile tanto come vizio della volontà quantocome illecito, A. TRABUCCHI,  Il dolo nella teoria dei vizi del  volere, cit., p. 326 ss. Osserva V.R OPPO ,  Il contratto, Bologna, 1977, p. 217, che « oltre l’annullabilità del contratto, il dolo

     produce una seconda conseguenza a tutela della parte ingannata. Questa può chiedere ilrisarcimento dei danni subiti a causa dell’inganno ». Allo stesso modo, G. GRISI,  L’obbligo

     precontrattuale di informazione, cit.,  p. 296, secondo cui « il contegno doloso non è solo lato sensu antigiuridico, ma configura un illecito vero e proprio illecito che sembra logico riconnettere

    al sistema della responsabilità precontrattuale ». Riferisce della « normale, quantunqueaccessoria, riconnessione di effetti risarcitori ad atti nei quali il dolo rileva fondamentalmentecome fatto invalidante » A. GENTILI, voce « Dolo », in Enc. giur ., XII, Roma, 1989, p. 1.

    21   () Così M. MANTOVANI, Vizi  incompleti del contratto e rimedio risarcitorio , cit.,  p. 33. Nello stesso senso F. CASAVOLA, voce « Dolo (diritto romano) », in  Noviss. Dig. it ., VI, s.a., maTorino, 1957, p. 148, il quali puntualizza che « in diritto classico il negozio viziato da dolo èvalido; né il fatto che il Pretore intervenga a colpire il comportamento doloso concedendo alla

     parte che ne è stata vittima l’actio de dolo o l’exceptio doli  può  far pensare alla sua annullabilità». Per una approfondita disamina del trattamento del dolo nel diritto romano, G. CRISCUOLI,  Il criterio discretivo tra dolus malus e dolus bonus, in Ann. Palermo, 1957, p. 5 ss.

    22   () Osserva G. VISINTINI,  La reticenza nella formazione dei contratti , Padova, 1972, p. 7,che la ragione della creazione del rimedio « risiedeva nell’intento di repressione di un delitto e

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    Se il carattere criminoso tende gradualmente a sbiadire, rimane comunqueferma la valutazione in termini di riprovevolezza, come si evince, a guardare la

    nuova morfologia dell’actio,  dalla centralità acquisita — con la Scuola deiGlossatori — dall’elemento della restitutio,  in ciò dovendosi individuare unaforma di riparazione della lesione patrimoniale subita dalla vittima in conseguenzadel comportamento illecito del decipiens 23.

    È solo con il trapasso dei valori illuministici nel pensiero giuridico che siassiste ad una rilettura della vicenda. Una volta riconosciuta alla volontà delsoggetto il fondamento dell’efficacia vincolante del negozio, nella percezione delraggiro l’aspetto distorsivo del consenso finisce per prendere il sopravvento sulcarattere illecito della condotta del decipiens; conseguendone l’inquadramento deldolo nell’ambito dei c.d. vizi della volontà 24.

    2.3. — Nell’insieme dei vari illeciti precontrattuali, il contegno del decipiens

    si distingue per la sua spiccata riprovevolezza, dovendo essere accompagnato dauno stato soggettivo di mala fede.

    La necessità dell’ulteriore requisito dell’agire malizioso si ricava in mododiretto dal disposto dell’1440 c.c., che addossa l’obbligo risarcitorio sul contraentedi mala fede;  ma a non voler stravolgere il significato delle parole, lo stessotermine raggiro ,  di cui all’art. 1439 c.c., orienta con sufficiente fermezza nellostesso senso.

    L’induzione in errore imputabile a titolo di sola colpa, come nel caso delrilascio per leggerezza di informazioni inesatte, non rientrerà pertanto nel dolo — con ciò dovendosi escludere la configurabilità del c.d. dolo colposo   25  —, pur 

     non già nella natura viziante del dolo nei confronti del negozio ».23  () Al riguardo, M. MANTOVANI, I  vizi incompleti del contratto e il rimedio risarcitorio , cit.,

     p. 39.24  () Così M. MANTOVANI, op. ult. cit ., p. 62,  la quale osserva che « la valutazione del dolo

    non è più (od esclusivamente) condotta in relazione alla riparazione di una lesione, bensìspontanea formazione della volontà negoziale ». Al riguardo, altresì, P. ZANI ,  L’evoluzione

     storico-dogmatica dell’odierno sistema dei vizi del volere e delle relative azioni di annullamento,in Riv. it. scienze giur ., 1927, p. 493 ss.

    25   () In senso contrario, però, R. SACCO ,  Il contratto , cit., tomo I, p. 422 — e di seguito L.CORSARO , L’abuso del contraente nella formazione del contratto , Perugia, 1979, p. 153, nonché,A. GENTILI, voce « Dolo », cit., p. 3 —, in base al rilievo per  il quale, in mancanza dell’art. 1439c.c., l’inganno sarebbe comunque represso da una norma, l’art. 2043   c.c., che accomuna, inordine al trattamento, illeciti dolosi e colposi; sul dogma dell’equivalenza tra dolo e colpanell’ambito della responsabilità aquiliana, P. CENDON,  Il dolo nella responsabilitàextracontrattuale, Torino, 1974.

    Al di là del valore intrinseco dell’argomento — rispetto al quale, peraltro, l’osservazione di R.CAVALLO BORGIA,  Della simulazione, della nullità del contratto e dell’annullabilità del contratto , cit., p. 447, secondo cui una ricostruzione storica e sistematica dell’istituto « conducelinearmente a ricusare l’affermazione che la figura del raggiro colposo possa costituire dolo » —,da segnalare altresì il timore di C. COLOMBO , Il dolo nei contratti: idoneità del mezzo fraudolentoe rilevanza della condotta del deceptus, in Riv. dir. comm ., 1993, I, p. 386, che il riconoscimentodella vocazione invalidante del dolo colposo, in uno con quella del raggiro omissivo, finisca per determinare una « sovrapposizione inutile fra le norme dettate in tema di dolo e quelle dettate per 

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    integrando una ipotesi di culpa in contrahendo; chi si trovi a lamentarsene potrà pertanto accedere alla sola tutela risarcitoria nei limiti dell’interesse negativo,

    tipica della responsabilità precontrattuale 26.La struttura complessa del dolo solleva, peraltro, la questione se la mala fede

    debba permeare con la medesima intensità ciascun momento della vicenda e quindicolorare allo stesso modo la condotta dell’agente, le conseguenti rappresentazionidella controparte, la falsità di queste rappresentazioni e il nesso causale fra questerappresentazioni e il comportamento del deceptus 27. Un ragionevole equilibrio trala duplice ma contrapposta esigenza di evitare tanto la  probatio diabolica quantol’evaporazione del requisito induce a richiedere — epperò al tempo stesso acontentarsi — che (almeno) il contegno dell’autore del raggiro sia sorretto daquello stato soggettivo che i penalisti denominano dolo eventuale, intendendosicon questa espressione la situazione di chi si rappresenta il pericolo (nel nostro

    caso, l’induzione in errore della controparte) riconnesso alla propria condotta e,

     l’errore », vero essendo che ogni errore (essenziale e) riconoscibile potrebbe essere riguardato, insenso invertito, come una reticenza colposa.

    26  () Da rammentare, peraltro, il discutibile orientamento della giurisprudenza (ad es. Cass., 16aprile 1994, n. 3621, in Resp. civ. prev., 1994, p. 1085 ss., con nota di C. AMATO ,  La buona fedenella formazione del contratto ,  ma anche Cass., 21  maggio 1976, n. 1842, in  Mass. Foro it.,1976; Cass., 18 ottobre 1980, n. 5610,  in Riv. dir. comm ., 1982, II, p. 167; Cass., 11 settembre1989, n. 3922, in  Rep. Foro it ., 1989, voce « Contratto in genere, n. 111 » che individua nellavalida stipulazione del contratto un limite all’applicabilità dell’art. 1337 c.c.

    Sottolinea S. PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standards, a cura di G. PATTI-

    S. PATTI, in Comm. cod. civ. diretto da P. SCHLESINGER , Milano, 1991, p. 96,  che alla base diquesto indirizzo vi è il convincimento per il quale « nei casi in cui il contratto venga conclusovalidamente... tutti i comportamenti posti in essere dalle parti nella fase antecedente il momentod’incontro delle dichiarazioni, anche se astrattamente censurabili, purché non cagioninol’invalidità del contratto, siano irrilevanti sotto il profilo risarcitorio, in quanto superati dalraggiungimento dell’accordo cioè dalla pattuizione di un determinato regolamento negoziale ».

     Nella direzione della giurisprudenza, l’ulteriore osservazione, G. D’AMICO , Regole di validitàe principio di correttezza nella formazione del contratto , cit., p. 99 ss., che  se è vero che « leregole sui vizi del consenso (e in ispecie, quelli riguardanti la violenza morale e il dolo)sanzionano in presenza dei presupposti da essi previsti, delle tipiche ipotesi di scorrettezze

     precontrattuali, sembra ragionevole pensare che — difettando quei presupposti, e, dunque,esclusa l’invalidità del contratto per vizio del consenso — la scorrettezza che, in ipotesi, abbiacaratterizzato il comportamento di una delle parti in fase precontrattuale debba ritenersi come tale

    giuridicamente irrilevante ».In senso contrario, tuttavia, il persuasivo rilievo di F. BENATTI, Culpa in contrahendo, cit., p.

    288, per il quale « non si riuscirebbe davvero a comprendere per quale motivo, una volta stabilitoche i contraenti devono osservare nelle trattative una condotta improntata a correttezza, ilcomportamento sleale e disonesto dovrebbe consistere soltanto nella formazione di un contrattonullo o annullabile ». Su questa linea, da ultimo, Cass., 16 ottobre 1998, n. 10249, in  Danno eresp. civ., 1999, p. 242, secondo cui « il perfezionamento di un contratto non esclude in se laresponsabilità ai sensi dell’art. 1337 c.c. per i danni derivati dal ritardo della sua formazione, se inviolazione del principio di buona fede, per il quale, a maggior ragione se una parte è un’impresaesercente in condizioni di monopolio legale, sussiste l’obbligo di non rinviare ingiustificatamentela conclusione ».

    27  () Il problema è così impostato da R. SACCO , Il contratto , cit., tomo I, p. 422.

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    ciònonostante, si determina ad agire ugualmente, accettandone il rischio. In altritermini, a sostanziare la malizia basterà la consapevolezza della potenzialità

    decettiva del proprio atteggiarsi 28.2.3.1. — Il (previo) riferimento alla buona fede oggettiva potrebbe, in verità,

    apparire superfluo. Verrebbe quasi di pensare che un comportamentointenzionalmente diretto ad indurre la controparte in errore risulti intrinsecamentescorretto e quindi — anche senza l’intermediazione dell’art. 1337 c.c. — ex sedecisivo ed immediatamente rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 1439 c.c.,oltre che ai fini del risarcimento dei danni; con il corollario di elevare la mala fedesoggettiva a condizione non solo necessaria ma anche sufficiente del raggiro.

    A tale conclusione perviene, in effetti, una autorevole dottrina 29, riflettendosu una delle forme — sia consentita l’anticipazione — in cui può manifestarsi ilraggiro e cioè sulla reticenza intenzionale. Proprio su questo terreno, si rivela

    tuttavia fuorviante rinunciare al parametro qualificatorio della buona fedeoggettiva per basarsi esclusivamente sulla malizia. Non deve infatti sfuggire chel’omessa comunicazione consapevole non si concreta sempre in un comportamentoscorretto, come può, ad esempio, succedere allorché nella contrattazione inter  pares, la notizia tenuta riservata sia il frutto di particolari e apposite ricerche 30. Anon adoperare il diaframma dell’art. 1337 c.c., si priverebbe fatalmente l’interprete proprio del criterio per discernere la situazione che si è appena prospettata daquella in cui la reticenza intenzionale integri — ad esempio — un intollerabileabuso del contraente professionale nei riguardi della controparte inesperta.

    2.3.2. — Un discorso a parte merita, naturalmente, il trattamento da riservareall’ipotesi in cui l’induzione in errore non dipenda da malizia bensì sia imputabilea colpa grave.

    La comprovata irriducibilità ontologica di quest’ultima rispetto alla mala fede 

    28  () In questi termini, G. DONATIVI, Il dolo tra vizi del consenso ed elemento soggettivo dellaresponsabilità per inadempimento, in Giur. it ., 1997, I, 1, c. 505 ss.

    29  () L. BIGLIAZZI GERI , voce « Buona fede nel diritto civile, cit., p. 179, nota 95.30   () Avverte G. GRISI,  L’obbligo precontrattuale di informazione, cit., p. 88, che è

    fondamentale « valutare la posizione assunta da ciascuna in relazione alla possibilità (che possono essere diverse) di accesso alla conoscenza di quei fattori che rivestono decisivaimportanza nel rapporto che si intende costituire. Poiché, ove dovesse accertarsi la sussistenza diun forte squilibrio, appare logico, oltre che giuridicamente doveroso, pensare di graduare lamisura di incidenza dell’onere di informazione al fine di ricreare una situazione di sostanzialeequilibrio ». Allorché « l’accesso alla conoscenza e la disponibilità dei mezzi di informazioneappaiano garantiti, in misura sostanzialmente paritaria, ad ambedue le parti » potrà invece trovareapplicazione il suggerimento (A.T. K RONMAN, Errore e informazione nell’analisi economica del diritto contrattuale, in Pol. dir ., 1980, p. 291 ss.) di sottrarre all’area del duty of disclosure i datiche la parte si è procurata con dispendio di mezzi e di costi.

    Che la notizia frutto di particolari e apposite ricerche esorbiti, nel limite tendenziale inter  pares, dal dovere di informazione completa e sincera è sostenuto, quale corollario dell’art. 41,comma 1o Cost., anche da A.A. DOLMETTA , Exceptio doli generalis, in  Banca, borsa, tit. cred .,1998, p. 170; in senso analogo, R. SACCO , Il contratto , cit., tomo I, p. 436.

    Sul tema, altresì, G. VILLA, Errore riconosciuto, annullamento del contratto ed incentivi allaricerca di informazioni, in Quadr ., 1988, p. 286 ss.

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    31 impedisce di risolvere la questione attraverso il semplice riferimento al brocardo, — tramandatoci dalla tradizione — lata culpa dolo aequiparatur .  Vero piuttosto

    che l’estensione alla colpa grave della disciplina prevista per la malizia potràavvenire solo sulla base di serie e giustificate ragioni. Premessa la necessità,nell’affrontare il problema, di itinerari diversi a seconda dell’impostazionedogmatica recepita in ordine alla buona fede, si può sin d’ora anticiparel’opportunità — emergente in ogni caso, qualunque sia l’inquadramento prescelto — dell’assoggettamento di entrambe le figure al medesimo trattamento 32.

    A scorgere, infatti, nel principio di socialità, di cui agli artt. 2 e 3, comma 2oCost., una dimensione propria non solo della buona fede oggettiva — comeinsegna la tesi valutativa — ma anche — secondo un ulteriore sviluppo dellamedesima lettura 33  — di quella soggettiva — con l’implicazione di recuperareanche per quest’ultima la posizione del o dei soggetti contrapposti attraverso il

    riferimento ad un giudizio di diligenza destinato ad operare a posteriori — , non viè dubbio che, nella scala dei comportamenti antisociali, la colpa grave finisca per collocarsi in una posizione del tutto prossima a quella occupata dall’agiremalizioso.

     Nel seguire, invece, la concezione integrativa della buona fede oggettiva,occorre distinguere a seconda che si ritenga che l’art. 1337 c.c. faccia sorgere unvero e proprio rapporto obbligatorio durante la fase delle trattative, ovvero concretiil precetto del neminen laedere. Nel primo caso, l’accostamento della colpa graveal dolo è sollecitato dal riscontro in entrambe le situazioni di un intollerabilespregio del vincolo assunto, ad opera del debitore, come lo stesso legislatore hadimostrato di apprezzare nella formulazione dell’art. 1229, comma 1o c.c. 34. 

    31   () La dimostrazione si deve a G. CIAN , Lata culpa dolo aequiparatur, in questa  Rivista ,1965, p. 155., il quale avverte che « il fatto che il legislatore assoggetti dolo e colpa grave allastessa disciplina giuridica non è sufficiente per affermare l’equiparazione giacché per questa ènecessaria la presenza di una ontologica correlazione tra le due figure, per cui il legislatore, unavolta assoggettata ad un certo regime l’una, non può non applicare il medesimo anche allaseconda, a pena di dettare una norma incompleta ed inefficace ».

    32   () Più precisamente, pur senza obliterare l’alterità ontologica tra le due figure, sembratuttavia corretto nell’attuale stagione giuridica, anche alla luce di un necessario ripensamentodegli istituti alla stregua dei valori costituzionali — in specie con riguardo agli artt. 2 e 3, comma2o Cost. —, scorgere già nella colpa grave la soglia di un disvalore qualitativamente più intenso e

    dunque suscettibile della stessa (più) rigorosa disciplina tradizionalmente prevista per il dolo.33  () Il riferimento è a L. BIGLIAZZI GERI, voce « Buona fede nel diritto civile », cit., p. 188, la

    quale aggiunge che l’inserimento della buona fede soggettiva « nel contesto contrassegnato dal principio costituzionale di socialità, nel rivalutare la posizione del o dei soggetti contrappostitramite il recupero della diligenza e dunque della scusabilità dell’errore farebbe infatti sì che lanaturale unilateralità di un criterio normativo di rilevanza di un unico interesse si attenui,spostandosi — grazie all’intervento di un metro obiettivo di giudizio (la diligenza) destinato adoperare a posteriori — verso la caratteristica bilateralità della buona fede oggettiva ». In sensocritico, A. NICOLUSSI,  Appunti sulla buona fede soggettiva con particolare riferimentoall’indebito, in  Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 22 ss., il quale, tra l’altro, rimprovera « l’estensionedella regola di diligenza oltre l’ambito dell’adempimento dell’obbligazione ».

    34  () A fondamento della nullità — sancita dall’art. 1229, comma 1o c.c. — delle clausole di

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    il mendacio configura un comportamento doloso solo se, valutato in relazione allecircostanze di fatto e alle qualità della condizione dell’altra parte, sia

    accompagnato da una condotta costituita da malizie e astuzie volte a realizzarel’inganno voluto ed idonee in concreto a sorprendere una persona di normalediligenza » 38, la Suprema Corte ha, proprio di recente, trovato il modo di ribadireche « allorché si deduca che il dolo consiste in una reticenza, occorre che ad essa siaccompagni tutta una condotta in cui si manifestino le malizie e le astuzie volte arealizzare l’inganno » 39.

    2.4.1. — Al fondo della posizione appena ricordata, vi è la percezione,maturata con il tramonto del dogma del volere nella sua accezione originaria, chenel nostro ordinamento la tutela del consenso, lungi dall’essere generalizzata,richieda modalità di offesa, per così dire, qualificate.

    L’emersione del principio dell’affidamento, accanto al riguardo per la

    volontà, non solo ha generato una soluzione di compromesso tra esigenze spessoantitetiche — sulla quale adesso non è il caso di soffermarsi 40 — ma prima ancoraha giuridicizzato un dato — il consenso — fino a quel momento tendenzialmenteassunto nella sua materialità.

    Per tutto il tempo in cui la volontà è stata guardata nella sua dimensionenaturalistica, l’alternativa proposta all’interprete si rivelava in fondo semplice: non potendo esistere se non libera, la volontà o esiste ed è libera, o non è libera edallora non esiste nemmeno 41; con il processo di formalizzazione, il consenso sitrasforma invece in costrutto giuridico, rispetto al quale rimane di appannaggioesclusivo dell’artefice l’individuazione delle ipotesi patologiche.

      38  () Cass., 28 ottobre 1993, n. 10178, in Corr. giur ., 1994, p. 351; successivamente, Cass., 24gennaio 1996, in Giur. it ., 1997, I, 1, c. 502 ss.

    39  () Cass., 9 giugno 1995, n. 6545, in Guida al diritto , 1995, n. 47, p. 65. In senso analogo,Cass., 11 ottobre 1994, n. 8295, in Corr. giur ., 1995, p. 47.

    40  () Se l’art. 1362 c.c. tiene ancora in assoluto riguardo la volontà dei contraenti — là dove prescrive che nell’interpretare il contratto, si deve indagare quale sia stata la comune intenzionedelle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole —, la previsione, anziché della nullità,della sola annullabilità del negozio — e subordinatamente alla presenza di determinatecircostanze — per il caso dell’errore ostativo (art. 1433 c.c.) ovvero dell’incapacità di intendere evolere (art. 428 c.c.) riflette il prevalere di un approccio più attento alle esigenze tipiche del

     principio di affidamento.

    Che poi si debba parlare di soluzione eclettica del legislatore — in tal senso D. BARBERO ,Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino, 1958, tomo I, p. 393, nota 2, per il quale« questo è uno dei casi in cui l’interprete deve fare i conti con l’empirismo del legislatore, guidatoda esigenze pratiche a scostarsi da una rigida e formale coerenza con le sue stesse premesse »;nonché L. CARIOTA FERRARA , Il negozio giuridico nel diritto privato italiano ,  Napoli, s.d., p. 68ss. —, ovvero sia consentito riconoscere al sistema una propria coerenza interna — così,soprattutto, V. P IETROBON,  Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, cit., p.  282,muovendo da una concezione di volontà rilevante come intenzione « di fare una dichiarazionenegoziale, cioè di pronunciare, di tenere un comportamento significativo rispetto ad un conflittodi interessi e in relazione al regolamento di esso » — è questione che ancora affatica la dottrina.

    41   () L’intero processo è descritto da V. P IETROBON,  Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, cit., p. 34 ss.

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    Si diffonde così il convincimento che sotto il profilo morfologico il dolodebba consistere in una condotta decettiva di carattere commissivo (ulteriormente)

    sorretta da una adeguata mise en scene 42.Per la verità, solo l’irrilevanza della reticenza (raggiro omissivo) si presenta

    come una implicazione di carattere eminentemente dogmatico risultante da duefattori eterogenei ma convergenti verso il medesimo esito, e cioè da un latol’assunzione ad oggetto di indagine del solo modello di contrattazione inter partes43 —  rispetto al quale il precetto latino honeste vivere si rivela regola di condotta per la fase delle trattative del tutto soddisfacente —, dall’altro il tentativo — ispirato da una iniziale diffidenza nei confronti delle clausole generali — diridimensionare il più possibile la direttiva dell’art. 1337 c.c. 44.

    La necessità della forma della machinatio risponde invece all’esigenza pratica(ancor oggi) avvertita dalla giurisprudenza di avvalersi, allorché si tratti di valutare

    l’incidenza che determinate situazioni possano aver esercitato sui processi psichici,di massime esperienziali improntate all’id quod plerumque accidit .  Con laconseguenza di qualificare come dolo buono quel raggiro (ad esempio, il meromendacio) che, proprio per il fatto di presentare una struttura elementare, debbaritenersi, secondo una valutazione fatalmente parametrata sul normale corso dellecose, ininfluente nel caso concreto. Che, peraltro, il corredo di artifici estratagemmi idoneo ad ingannare un uomo medio non debba intendersi qualeineluttabile requisito strutturale della fattispecie invalidante 45, lo dimostra la

     42  () Osserva V. P IETROBON, op. ult. cit ., p. 101, che « è principio caratteristico delle moderne

    legislazioni quello per cui il dolo vizio consiste in un positivo raggiro ai danni di un contraente enon in un semplice dolo negativo. Alla scomparsa dell’actio de dolo e alla sua sostituzione con lafigura del dolo vizio del consenso, si è accompagnata anche la necessità di determinareconcettualmente la nozione di dolo, restringendola al raggiro previsto dall’art. 1439 c.c. ».

    43   () Precisa S. MAZZAMUTO ,  L’attuazione degli obblighi di fare, Napoli, 1978, p. 37, chenella visione tradizionale « i soggetti dello scambio sono liberi di autodeterminarsi attraverso ilcontratto e debbono soltanto rispettare le regole del giuoco, le quali sono concepite nel

     presupposto della parità formale dei contraenti e non impongono di adeguare il regolamentod’interessi a parametri di valutazione sociale »; per aggiungere che « il contratto inteso comeincontro di volontà autonome che si accordano al fine di attuare una generale circolazione dellemerci attraverso il mercato e una mobilità dei soggetti all’interno del mercato stesso presuppone,infatti, un maximum di astrazione delle caratteristiche individuali dei soggetti e degli oggetti dello

    scambio »; al riguardo, altresì, P. BARCELLONA,  Diritto privato e  processo economico,  Napoli,1977, p. 256 ss.44   () Sul tormentato destino delle clausole generali nel nostro ordinamento, A. DI MAJO,

    Clausole generali e diritto delle obbligazioni, in  Riv. crit. dir. priv.,  1984, p. 539 ss.; C.CASTRONOVO, L’avventura delle clausole generali , in Riv. crit. dir. priv., 1986, p. 21 ss; nonchéP. GUARNERI, voce « Clausole generali », in  Dig. disc. priv., Sez. civ., II, Torino, 1988, p. 403 ss.

     Naturalmente, sotto il codice del 1865, la mancanza di una regola analoga a quella dell’attualeart. 1337 c.c. consentiva di escludere con una certa tranquillità (A. T RABUCCHI,  Il dolo nellateoria dei vizi del volere, cit.,  p. 535 ss.) la configurabilità, nella fase delle trattative, di ungenerale obbligo di informazione di un contraente verso l’altro.

    45   () Il punto è colto da R. SACCO ,  Il contratto , cit., tomo I, p. 442, il quale scrive che « sirespinge la domanda di annullamento fondata su un dolo buono quando si ritiene che in concreto

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    disponibilità degli stessi giudici ad annullare il contratto, senza dar peso al grado dielaborazione del raggiro, ogni volta che, tenuto conto delle condizioni di salute

    della vittima, ovvero della modesta estrazione sociale del deceptus,  oppure dei particolari rapporti di fiducia intercorrenti tra le parti, sia stato raggiunto ilconvincimento dell’intervenuta alterazione del consenso 46. Segno, quest’ultimo,

     il dolo buono non abbia ingannato nessuno »; con l’ulteriore precisazione, peraltro, che « ilconvincimento del giudice, che Tizio non è caduto nella trappola, si fonderà su un id   quod 

     plerumque accidit   che, di fatto, finirà per rassomigliare al criterio dell’astratta idoneitàdell’artificio ad ingannare ».

    Favorevole alla rilevanza (anche) invalidante del raggiro che abbia effettivamente fuorviato, a prescindere dal suo grado di sofisticazione, G. CRISCUOLI, Il criterio discretivo tra  dolus  bonuse dolus malus, in Ann. Univ. Palermo , 1957, p. 133 ss., secondo cui « il termine raggiro va inteso,

    nella nostra materia, in senso ampio e generale per indicare qualunque mezzo che cagionil’inganno della vittima, per cui anche l’alligatio falsi  può costituire raggiro ove cagioni taleeffetto. L’animus decipiendi che ha determinato l’uso della bugia ne spiega in pieno il carattereamorale e la natura del dolo contribuisce alla comprensione del mendacio quale mezzo di inganno»; con l’implicazione di riscontrare il dolus bonus solo allorché (p. 166) « una parte contraenteabbia l’intenzione di ingannare ed usi dei raggiri me non cagioni l’inganno della controparte,sicché il negozio si presenta da tutte le parti voluto così come fu contratto ».

     Nello stesso senso, altresì, F. R EALMONTE , La rilevanza del dolus bonus: un’altra occasione perduta, nota a Cass., 28 ottobre 1993, n. 10718, in Contratti,  1994, p. 132 ss. Più sfumato,invece, C. SCARSO , Criteri distintivi tra dolus bonus e dolus malus , nota a Cass., 1 aprile 1996,n. 3001,  in  Nuova giur. civ. comm ., I, 1997, p. 382, secondo cui « opererebbe una sorta di

     presunzione iuris tantum  di non influenza della condotta tenuta dal presunto deceptor nei casi incui si ritenga che l’inganno posto in essere non avrebbe sorpreso una persona di normale

    avvedutezza ».Ritiene, invece, che il valore semantico del termine raggiro « inserisce autonomamente nellanormativa il requisito della media diligenza come elemento di misura del raggiro », A. VALENTE ,

     Note critiche e nuovi  profili del  dolo negoziale, in  Rass. dir. civ., 1996, p. 163 ss.Riconosce al raggiro concretamente decettivo ma privo di una adeguata elaborazione una

    rilevanza solo sul piano risarcitorio, V. CARBONE, Raggiri e artifizi nella compravendita di azioniquotate in borsa, nota a Cass., 29   agosto 1991, n. 9227 , in  Le società, 1992, p. 767 ss.; ID.,Vendita di azioni: l’errore di valutazione economica, nota a Cass., 29 agosto 1995, n. 9067 , inCorr. giur ., 1995, p. 158 ss.

    46   () Secondo Cass., 1 aprile 1996, cit., « le dichiarazioni precontrattuali con le quali unocerchi di rappresentare la realtà nel modo più favorevole ai propri interessi non integrano gliestremi del dolus malus quando, nel contesto dato, non sia ragionevole supporre che l’altra parte

     possa aver attribuito a quelle dichiarazioni un peso particolare, considerato il modesto livello diattendibilità che, in una determinata situazione di tempo, di luogo e di persone, è da presumereche possa essere riconosciuta a certe affermazioni consuete negli schemi dialettici di unatrattativa »; in direzione analoga Cass., 11 marzo 1996, n. 1955, in Gius, 1996, p. 1082 ss., connota di G. GIACALONE, per la quale « a produrre l’annullamento del contratto non è sufficienteuna qualunque influenza psicologica sull’altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, oanche semplici menzogne che abbiano comunque avuto una efficienza causale sulladeterminazione volitiva della controparte e quindi sul consenso di quest’ultima ».

    Per il riferimento alle condizioni di salute della vittima, alla modesta estrazione sociale deldeceptus, oppure ai preesistenti rapporti di fiducia tra le parti, si vedano, rispettivamente, Cass.,20 ottobrre 1964, n. 2626, in  Foro it ., 1965, I, c. 358; App. Genova, 22 gennaio 1972, in Giur.mer ., 1974, I, p. 384 ss.; Cass., 29 agosto 1991, n. 9227, in Corr. giur ., 1992, p. 306 ss., con notadi C. COLOMBO ,  Annullamento per dolo di una compravendita di azioni avvenuta fuori borsa ;

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    del fatto che la figura del dolus bonus, lungi dal collocarsi in una posizioneintermedia (quale concreta induzione in errore priva di adeguata mise en scène) tra

    il contegno probo e il dolo vero e proprio, si presenta piuttosto come la fotografiadi ciò non è stato, e cioè di un inganno che non ha effettivamente ingannato.

    2.4.2. — Con l’avvio del processo di rivalutazione delle clausole generali, lavischiosità della tradizione avrebbe comunque indotto una parte della dottrina arimanere fedele all’equazione dolo — raggiro commissivo, salvo riconnettere per la vicenda della reticenza intenzionale una tutela di carattere risarcitorio,espressione di una ormai accettata responsabilità precontrattuale 47. In questaottica, si perviene all’estremo di elaborare la categoria dei c.d. vizi incompleti del contratto  per ricomprendervi tutte quelle ipotesi — e quindi anche il raggiroomissivo — in cui « pur non essendo presenti tutti i requisiti che integrano talunadelle ipotesi tipiche di vizio — e per le quali perciò l’impugnativa è esclusa –-, il

    corretto assetto di interessi che risulta dal contratto appare comunque il frutto diuna decisione in qualche modo deformata in ragione dell’influenza spiegata dallacondotta sleale e disonesta di una delle parti, nella fase che ha preceduto laconclusione del contratto » 48.

    Una prima breccia sul fronte tradizionale è stata aperta dal rilievo secondo ilquale « non è pensabile che il diritto riconosca validità ad un contratto quando isuoi effetti tornino sostanzialmente in favore di una persona che si è macchiata didisonestà in occasione della conclusione di esso e a svantaggio di chi, per essersicomportato correttamente, di quella disonestà è rimasto vittima » 49; di qui ilsuggerimento di affiancare almeno la reticenza intenzionale agli altri vizi delconsenso 50.

    Per quanto suggestivo, il tentativo non ha però convinto, non solo alla luce delcontrasto con il principio di tassatività delle cause di annullabilità, ma anche per ladifficoltà di conciliarsi con il disposto dell’art. 1440 c.c. (dolo incidente), nonchédegli artt. 1494 c.c. e 1578 c.c. (risarcimento del danno per mancatacomunicazione dei vizi afferenti alla cosa rispettivamente venduta e data inlocazione), in cui, pur dandosi comportamenti contrari a buona fede durante la fasedelle trattative, il contratto parrebbe rimanere fermo.

    Anzi, proprio il riferimento alle ultime disposizioni ha offerto lo spunto per ribadire la distinzione tra norme da un lato di validità dall’altro risarcitorie, le prime riguardanti direttamente la fattispecie del negozio — avendo per fine

    immediato quello di garantire la certezza sull’esistenza di fatti giuridici —, le

      per ulteriori indicazioni giurisprudenziali, L. Gaudino,  Il dolo negoziale, in  Nuova giur. civ.comm ., 1990, II,  p. 377 ss. Così V. Pietrobon,  Errore, volontà e affidamento nel negozio

     giuridico, cit., p. 104.47  () Così V. PIETROBON, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, cit., p. 104.48  () M. MANTOVANI, I  vizi incompleti del contratto e il rimedio risarcitorio , cit., p. 187.49   () Sintetizza così il nucleo di questa posizione V. PIETROBON,  Errore, volontà e

    affidamento nel negozio giuridico, cit., pp. 105-106.50  () In tale direzione, G. VISENTINI, La reticenza nella formazione dei contratti, cit., p. 121.

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    seconde destinate ad apportarvi solo un temperamento — essendo preordinate adistribuire i vantaggi e svantaggi prodottisi in occasione del contratto, secondo

    l’onestà di ogni parte — 51. Nel valorizzare la clausola generale di cui all’art. 1337 c.c., una autorevole

    dottrina 52 ha invece prospettato — con percorso logico inverso — l’allargamentodei confini del dolo fino a ricomprendervi anche il raggiro omissivo,riscontrandovi — a guisa di minimo ma anche sufficiente comune denominatore — un comportamento contrario a buona fede.

    All’esito di questa lettura vi è, evidentemente, l’identificazione del raggirocon l’induzione in errore imputabile — non a caso si viene ad ammettere laconfigurabilità anche del dolo colposo —. Se il principio di tassatività delle causedi annullabilità rimane salvo, non può però sfuggire che la premessa dalla qualetale lettura muove — il paventato riconoscimento di una zona franca in cui

    determinate slealtà non troverebbero altrimenti sanzione — si rivela quanto menoopinabile, posto che anche nell’impostazione tradizionale, quelle scorrettezze,come la reticenza, pur essendo — in tesi — inidonee a viziare il contratto, lungidall’essere per ciò solo tollerate, darebbero comunque luogo — come si è appenavisto — ad una tutela di carattere risarcitorio.

    A ciò si aggiunga il rilievo per il quale il legislatore italiano, come ogni altrolegislatore, non ha regolato il vizio del consenso ,  ma ha regolato varie ipotesitipiche, ossia i vari vizi del consenso ; appiattire il dolo sulla semplice induzione inerrore censurabile ex art. 1337 c.c. finirebbe fatalmente per scolorire la figura finoal punto da renderla del tutto generica — come dimostra l’inevitabile ammissibilitàanche del dolo colposo  —.

    2.4.3. — Attesa l’irriducibilità del raggiro alla mera falsa rappresentazioneimputabile — non fosse altro per la necessità, sotto il profilo soggettivo, dellamalizia, o almeno, della colpa grave —, vero è tuttavia che l’identificazione deldolo con un contegno commissivo risente del pericoloso apriorismo logico dielevare ad esclusivo momento di osservazione il modello di contrattazione inter  pares,  modello che, oltre a non essere il solo, nell’attuale traffico giuridico, si staaltresì rarefacendo.

    L’arbitraria reductio ad unum del dato fattuale finisce per neutralizzarel’aspetto più saliente della regola di buona fede oggettiva e cioè l’attitudine — giusto il suo fondamento costituzionale negli artt. 2 e 3, comma 2o 53  ad «

     51  () V. P IETROBON, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, cit.,  p. 106; nonché

    G. D’AMICO , Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto , cit., p.8, il quale osserva che « l’affermata autonomia del giudizio di validità rispetto al giudizio dicorrettezza postula che, date determinate regole di validità, non dovrebbe essere possibile — fuoridalle ipotesi tipizzate (e per l’appunto, formalizzate) dal legislatore — far discendere da unascorrettezza in contrahendo per quanto grave e riprovevole sul piano morale e/o rilevante per leconseguenze economiche l’invalidità dell’atto ».

    52  () R. SACCO , Il contratto , cit.,  tomo I, p. 420 ss.53   () La determinazione contenutistica della buona fede oggettiva ha non poco affaticato la

    dottrina; per una ragionata panoramica delle varie posizioni,  A.A. DOLMETTA , Exceptio doli

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    assumere contorni specificamente differenti a seconda delle peculiari connotazionidi ciascuno dei soggetti concreti della fattispecie » 54, salva, naturalmente, la

     precisazione che non si tratta di sconfinare nella esasperazione casistica bensì diconcretizzare la direttiva secondo classi di rapporti seriali —.

    In altri termini, se la stipulazione tra eguali si  presta in linea di principio adessere retta dal precetto honeste vivere — in ciò essenzialmente concretandosi laclausola dell’art. 1337 c.c. —, allorché intervengano nella conclusione soggetti in posizione asimmetrica, il riferimento alla buona fede determinerà, alla luce del principio della solidarietà costituzionale, che si addossino sul contraente professionale, in funzione di riequilibrio, obblighi di informazione (buona fedeintegrativa), ovvero, che si ritenga conforme a correttezza un contegno attento adesplicitare i vari profili dell’affare (buona fede valutativa), in modo da non indurreo non mantenere in errore lo stipulante inesperto; in tale situazione, la consapevole

    mancanza di informazione (che, naturalmente, abbia indotto o mantenuto in errorel’altra parte) assurgerà al rango di attività decettiva non meno grave di quellacostituita dalla predisposizione di sofisticati raggiri per il caso dell’accordo inter  pares e, quindi, di per sé idonea ad integrare il dolo seppur nella forma del raggiroomissivo 55.

     generalis, cit., p. 160 ss. Al riguardo, si è fatto riferimento ora ai principi della morale e dell’eticaappartenenti al comune senso di giustizia (V. P IETROBON,  Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico,  cit., p. 89 ss.), ora alle regole del costume mercantile (F. GALGANO,  Leobbligazioni e i contratti, in  Diritto civile e commerciale, Padova, 1993, vol. II, tomo I, p. 488)ovvero ai valori sociali propri di una data società, (C. CASTRONOVO,

     L’avventura delle clausole generali, cit.,   p. 29) ovvero ancora agli standard sociali orientati ai valori costituzionali (L.MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in  Riv. crit. dir. priv., 1986, p. 12 ss.)ora nella solidarietà costituzionale (A. DEL FANTE , Buona fede prenegoziale e principiocostituzionale di solidarietà , cit., p. 155 ss.).

    Da segnalare che il riferimento alla morale finisce per concepire la buona fede oggettiva comeun rimedio estremo, situato sulla border line del sistema e preordinato a reagire alla patenteingiustizia del caso singolo. Dal canto suo, il rinvio (in senso generico) agli standard socialivalorizza i c.d. corpi sociali e cioè quelle aggregazioni intermedie, rappresentative dei valoricondivisi in un dato periodo storico e destinate a rompere il binomio Stato-individuo. L’aggancioalla solidarietà costituzionale eleva invece la buona fede — quasi che si trattasse di una navetta inmoto continuo tra il vertice e la base della piramide — a strumento di attuazione dei valori più altidel sistema nella fattispecie concreta.

    54   () Il rilievo è di A.A. DOLMETTA , Exceptio doli generalis, cit., pp. 169-170, il qualeaggiunge che « balza agli occhi evidente l’intimo legame che corre tra l’art. 2 Cost. e laGrundnorm dell’intero sistema, come scritta nell’art. 3, comma 2o. Correlativamente, apparechiara la gratuità del rilievo per cui la buona fede sembra presupporre un mondo di eguali. Alcontrario, nel sistema vigente la buona fede è, giusta le norme costituzionali appena richiamateche danno valore decisivo alle differenze economiche e sociali intercorrenti tra i soggetti,  primadi tutto ,  una solidarietà tra diversi, come tale, destinata ad assumere contorni specificamentedifferenti a seconda delle peculiari connotazioni di ciascuno dei soggetti concreti della fattispecie».

    55  () Osserva al riguardo G. GRISI, L’obbligo precontrattuale di informazione, cit., p. 103, che« in definitiva, posso aver consapevolmente voluto tenere il mio  partner  precontrattualeall’oscuro su una certa circostanza, ma se tale comportamento, valutato nella sua oggettività, è

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    L’idea della machinatio — quale sintomo di una più intensa violazione dellaregola di buona fede — si rivela pertanto figlia di un approccio parziale al

     problema; vero è piuttosto che la riprovevolezza del contegno del decepiens andràmisurata non su un campione precostituito bensì in relazione al contenuto assuntodalla clausola dell’art. 1337 c.c. nella vicenda concreta 56.

     inidoneo a trarre in inganno una persona di normale accortezza (per essere, ad esempio, lacircostanza taciuta scopribile senza eccessivi sforzi dalla controparte...), non è immaginabile chene consegua l’invalidità del negozio posto in essere...; diverso è il caso in cui il contraente espertosorprenda la buona fede del contraente inesperto, occultandogli circostanze decisive per la

     prestazione del consenso, o, comunque, condizionanti la sua volontà. La sorpresa, in talievenienze, cozza con l’imposta osservanza delle regole di correttezza, al punto da rendereconfigurabile la violazione dell’obbligo di informazione e — presenti taluni presupposti — il

    dolo rilevante quale causa di annullamento dello stipulato contratto ».56  () Da segnalare che finisce per integrare una figura speciale di dolo omissivo la vicenda delraggiro del terzo noto al contraente che, tacendo o comunque non richiamando l’attenzione dellacontroparte, ne abbia tratto vantaggio; vicenda di per sé idonea, in forza dell’art. 1439, comma 2oc.c., a determinare l’annullabilità del vincolo.

    Se invece l’intervento dell’extraneus non è stato colto dall’altra parte, ferma la validità delnegozio, si riconosce al deceptus una azione risarcitoria nei confronti del terzo. Nel ricondurre ilrimedio alla tutela aquiliana — non essendo riscontrabile alcun previo rapporto obbligatorio tra lavittima e l’autore dei raggiri, V. R OPPO , Il contratto , cit., p. 217 —, all’interprete non è rimastoche invocare, a giustificazione dell’ingiustizia del danno,  la lesione del c.d. interesse alla libertànegoziale (C.M. BIANCA ,  Il contratto , cit., p. 161), ovvero la violazione del diritto all’integritàdel patrimonio (al riguardo A. DI MAJO,  Ingiustizia del danno e diritti non nominati, nota aCass., 4 maggio 1982, n. 2765 , in Giust. civ., 1982, I, p. 2739 e ss.), salvo scorgervi una figura

    eccezionale di danno meramente patrimoniale — su tale figura, identificabile, in via di primaapprossimazione, con una perdita arrecata senza l’offesa di una situazione giuridica previamentericonosciuta, da ultimo, G. PONZANELLI, Il risarcimento del danno meramente patrimoniale nel diritto italiano, in Danno e resp., 1998, p. 728 ss.

    Esaminando la questione sotto il peculiare angolo visuale della c.d. informazione-servizio (ecioè dell’informazione resa da un soggetto particolarmente qualificato, ad esempio una banca, pur in assenza di un previo impegno al riguardo nei confronti del destinatario), si è di recenteosservato (F.D. BUSNELLI, Itinerari europei nella terra di nessuno tra contratto e fatto illecito: laresponsabilità da informazione inesatte, in Contratto e impr. , 1991, p. 561 ss.), che « esistononell’ordinamento italiano criteri normativi che consentono, in tema di responsabilità dainformazioni inesatte, di configurare come ingiusto il danno derivante dalla lesionedell’affidamento incolpevole di un destinatario ragionevolmente prevedibile ».

    Riconduce, invece, la vicenda dell’informazione-servizio nell’alveo della responsabilitàcontrattuale — e dunque, in tale forma, risponderebbe il terzo deceptor qualificato — C.CASTRONOVO, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto , cit., p. 229 ss., ilquale, nel richiamare il concetto di responsabilità di stato, scrive che « lo  status che rileva èancora una volta quello del soggetto professionale, alle cui conoscenze tecniche ci si affida e chetali conoscenze non può mettere a frutto nel fornire l’informazione. Un soggetto così qualificato ètenuto alla perizia e diligenza previste dall’art. 1176 c.c., anche se non è obbligato a nessuna

     prestazione nei confronti di colui che ha chiesto l’informazione. L’assenza previa del vinculumiuris sta infatti a denotare che il soggetto professionale non è obbligato a nessuna prestazione neiconfronti di colui che ha chiesto l’informazione, può ben non fornirla proprio perché non vi ètenuto. Nel momento però in cui l’informazione viene data, questa non può non essere corredatadalla stessa perizia e diligenza che la contrassegnerebbero ove essa fosse oggetto di un obbligo di

     prestazione ».

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    2.4.4. — In senso contrario non varrebbe opporre — sulla scorta di quellagiurisprudenza secondo cui, in applicazione del principio vigilantibus iura succurrunt   57,  la buona fede riceve protezione solo se non sia costituita danegligenza o ignoranza — la configurabilità di un onere di diligenza nei confrontidel contraente inesperto; con l’implicazione di scriminare la reticenza deldecepiens ogni volta che la vittima avrebbe potuto procurarsi l’informazione conl’uso dell’ordinaria sollecitudine 58.

    A parte il rilievo che non si potrebbe comunque prescindere dalla condizioneconcreta del deceptus — quasi a dire, con un traslato, dalla diligentia quam suis  —,occorre peraltro aggiungere che non solo il limite dell’ignoranza colpevole non èmenzionato dall’art. 1439 c.c., ma nel sistema è dato altresì rinvenire una serie diindici contrari.

    La responsabilità del venditore è ad esempio esclusa — per effetto del

    combinato disposto degli artt. 1491 e 1494 c.c. — solo in presenza di vizi facilmente riconoscibili; con la conseguenza che l’alienante si troverà a rispondereanche per la mancata comunicazione di anomalie che l’acquirente avrebbe potutoscoprire con l’ordinaria diligenza.

    Analogamente, in capo al locatore la responsabilità di cui all’art. 1578 c.c.non sorge solo in caso di omessa denunzia di vizi noti o facilmente riconoscibilidal conduttore 59.

    È vero che l’art. 1338 c.c. subordina alla circostanza che l’altra parte abbiaconfidato senza colpa nella validità del contratto il risarcimento da parte delcontraente che nel corso delle trattative abbia taciuto una causa di invalidità nota oche avrebbe dovuto conoscere; ma, sarebbe con ogni probabilità affrettatoscorgervi il punto di emersione di un generale onere di diligenza, trattandosi di unanorma riferibile ai soli obblighi di informazione relativi a cause di invalidità e

     Sul tema, di recente, G. PEDRAZZI,  Inesatte informazioni economiche: quale responsabilità

     per la banca?, nota a Cass., 9 giugno 1998, n. 565 , in Danno resp ., 1999, p. 56 ss.; al riguardo,altresì, Cass., 10 ottobre 1998, n. 10067, in Danno resp., 1999, p. 110.

    57  () Trib. Ferrara, 11 maggio 1992,  in Riv. dir. notar ., 1993, p. 665; Cass., 6 febbraio 1982, n.683, in Mass. Giust. civ., 1982, voce « Contratto in genere », n. 240.

    58   () Scrive C. COLOMBO ,  Il dolo nei contratti: idoneità del mezzo fraudolento e rilevanzadella condotta del deceptus,   in  Riv. dir. comm., 1993, p. 398, che « imporre all’interprete di

    valutare in termini di diligenza anche il comportamento del destinatario delle rappresentazioninon completamente sincere obbedisce ad una precisa esigenza di carattere morale; quella diimporre a coloro che usano lo strumento di autonomia privata una certa cautela e un certo gradodi responsabilizzazione ». Per un riferimento al limite dell’ignoranza colpevole, anche, A.FRANGINI, Polizza fideiussoria e disciplina applicabile, nota a Cass., 11 ottobre 1994, n. 8295 , inCorr. giur . 1995, p. 54 ss.; nonché F. MACARIO, Cessione di quote sociali e dolus bonus  del venditore, nota a Cass., 1 aprile 1996, n. 3001 , in Corr. giur. , 1997, p. 89.

    59  () L’attrazione nella sfera degli obblighi precontrattuali di informazione delle ipotesi di cuiagli artt. 1494 e 1578 c.c. si deve a C. CASTRONOVO, Problema e sistema nel danno da  prodotti,Milano, 1979, p. 450 ss.; è stata successivamente recepita da G. GRISI,  L’obbligo precontrattualedi informazione, cit., p. 232, nonché da F. R EALMONTE ,  La rilevanza del dolos bonus: un’altraoccasione perduta , in Contratti, 1995, p. 134.

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    quindi qualificabile come  speciale rispetto alla più ampia clausola di cui all’art.1337 c.c. 60.

    3. – 3.1. — A seconda del punto di incidenza della falsa rappresentazione(indotta) sul consenso della vittima, la vicenda del dolo si rifrange in una serie difigure distinte.

    Traendo ovviamente spunto dal dettato normativo, si suole distinguere tradolo determinante e dolo incidente; per osservare, come già accennato, che nel primo caso il raggiro ricadrebbe su profili essenziali dell’affare — di qui, ilrimedio dell’annullabilità, di cui all’art. 1439 c.c. —, mentre nell’altromacchierebbe solo aspetti accessori dell’operazione — donde, l’esclusiva tutelarisarcitoria accordata dall’art. 1440 c.c. 61.

     60   () Così F. R EALMONTE ,  Doveri di informazioni e responsabilità precontrattuale

    nell’attività di intermediazione mobiliare, in Banca, borsa, tit. cred ., 1994, p.  628, per il quale «se allora la regola contenuta nell’art. 1338 c.c. concorre ad individuare la fattispecie generatricedella responsabilità deve escludersi... la sua sostanziale superfluità rispetto all’art. 1337 c.c.,trattandosi di una norma « che in deroga all’art. 1337 c.c. detta quella regola [del limitedell’ignoranza colpevole] per le sole notizie che attengono alla validità del contratto ».

    Giova peraltro precisare che la relazione tra l’art. 1337 c.c. da un lato e l’art. 1338 c.c.dall’altro ha non poco tormentato la dottrina. A parte l’opinione secondo cui quest’ultima normarifletterebbe solo un omaggio alla tradizione (E. BENATTI, Culpa in contrahendo, in   Contr. eimpresa, 1988, p. 292) ovvero una mera protesi applicativa della precedente (G. VISINTINI,  Lareticenza nella formazione dei contratti, cit., p.  108) vi è da segnalare il suggerimento di C.

    T URCO , Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano, 1990, p. 101 ss., di scorgeretra le due disposizioni un rapporto di complementarità, nel senso che entrambe concorrerebberosu un piede di parità ad edificare il sistema della culpa in contrahendo; soluzione che, tuttavia,sconta la forzatura di elevare allo stesso livello della clausola generale di cui all’art. 1337 c.c. unaregola dall’ambito sicuramente più ristretto e specifico. In una diversa prospettiva, si è asserito daG. GRISI,  L’obbligo precontrattuale di informazione, cit.,  p. 61, che « l’ambito di applicazionedell’art. 1338 c.c. è limitato alle ipotesi in cui, a causa della mancata rivelazione dell’esistenzadella causa di invalidità, le parti abbiano concluso un contratto successivamente invalidato o

     posto nel nulla. Ove il negozio non siasi perfezionato, il fondamento della tutela azionabile afronte dell’inadempimento dell’obbligo precontrattuale di informazione — comunque esso siatteggi a prescindere dalle circostanze non comunicate — va, invece, ravvisato nella regolagenerale dell’art. 1337 c.c. »; lettura che però conduce al discutibile risultato — come avverte G.D’AMICO , Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto , cit., p.  155

     — di identificare il fatto lesivo con la stipulazione del contratto invalido anziché con la mancatacomunicazione delle cause di invalidità. Da ultimo, va rammentata la tesi di G. D’AMICO , op. ult.cit ., pp. 158-159, secondo cui « con la disposizione dell’art. 1338 c.c., il legislatore non può cheavere inteso chiarire che l’unico dovere di informazione di carattere generale (cioè operante a

     prescindere da una specifica previsione normativa) alla cui violazione può darsi rilevanza ai finidella responsabilità precontrattuale è quello avente ad oggetto la esistenza di eventuali cause diinvalidità »; con l’importante corollario che « una corretta interpretazione delle norme degli artt.1337 e 1338 c.c. induce ad escludere l’esistenza di un generale obbligo precontrattuale diinformazione fondato sulla clausola di buona fede ex  art. 1337 c.c.: implicazione, quest’ultima,tutt’altro che lieve — derivandone una vera e propria strozzatura della direttiva dell’art. 1337 c.c.

     — e dunque da meditare con estrema prudenza.61   () Al riguardo, da ultimo, G. D’AMICO , Regole di validità e principio di correttezza nella

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    Senza indugiare troppo sul criterio di volta in volta prescelto per selezionaregli uni e gli altri momenti dell’accordo — ora quello astratto derivante dalla

    scomposizione del negozio giuridico in elementi essenziali, naturali e accidentali62, ora, avendosi riguardo per i tipi contrattuali nominati, quello legale delladistinzione tra essentialia  e naturalia 63, ora, per discernere tra clausole principali esecondarie all’interno degli schemi negoziali c.d. atipici quello concretoconsistente nel rinvio all’intento delle parti 64 —, preme piuttosto sottolineare che,in un primo momento, si è creduto di scorgere la ratio del differente trattamentonell’idea « che nel caso del vizio determinante del consenso la vittima in realtà nonvolle, o comunque non avrebbe voluto, e perciò si giustifica l’annullamento,mentre nel caso di vizio puramente inci-dentale essa avrebbe voluto, ancorché amigliori condizioni, e perciò non si giustifica l’annullamento » 65.

    Trattasi, evidentemente, di una prospettiva, che nel momento in cui ambisce a

    cogliere un diverso atteggiarsi del volere psichico del deceptus, si  rivela, all’untempo, da un lato figlia della più genuina impostazione volontaristica, dall’altrofrutto dell’equivoco di trascurare che « il contratto o è voluto o non lo è; e anchequando si può ipotizzare e dimostrare che sarebbe stato concluso a condizionidiverse, resta il fatto che il contratto attualmente concluso a quelle gravosecondizioni in realtà non sarebbe stato concluso » 66.

    Che pure nell’ipotesi del c.d. vizio incidente i raggiri debbano ritenersi «determinanti del consenso quale fu in concreto manifestato » 67, è del restoconfermato dal rilievo per il quale « se si ammette che la rappresentazione di datecircostanze ha operato in qualche modo nel processo di formazione della volontà,non è più possibile distinguerla dalle altre rappresentazioni che sarebbero statedotate di efficacia determinante. L’introduzione nella vita psichica del principiodeterministico della causalità efficiente impedisce infatti ogni discriminazione tra

      formazione del contratto , cit., p. 114 ss.

    62  () L. CARIOTA  FERRARA , Il negozio  giuridico nel diritto privato italiano , cit.,  p. 109 ss.63  () Al riguardo, A. CATAUDELLA, Sul contenuto del contratto , Milano, 1966, p. 193 ss.64  () M. CASELLA , Nullità parziale del contratto e inserzione automatica di clausole, Milano,

    1974, p. 30.65  () A. GENTILI, op.  ult. cit ., p. 104.

    66   () L. CORSARO ,  L’abuso del contraente nella formazione del contratto , Perugia, 1979, p.157; nello stesso senso, F. LUCARELLI,  Lesione di interesse e annullamento del contratto ,Milano, 1964, p. 68, nota 104, il quale, nel sottolineare « il carattere artificioso della distinzionetracciata dalla dottrina dominante tra dolo determinante e quello incidente » aggiunge « noi noncomprendiamo come gli assertori della teoria volontaristica o consensualistica, per giustificare la

     particolare disciplina del dolo incidente, possano negare che anche in questa ultima ipotesi ricorraquel vizio della volontà o del consenso che ammettono nel dolo determinante. Sia nell’un casoche nell’altro il raggiro dell’altra parte ottiene successo, cioè induce il contraente ingannato aregolare l’accordo in maniera diversa da quella in cui sarebbe stato concluso in condizioninormali ».

    67   () L’inciso è di L. MENGONI ,  Metus causam dans  e  metus incidens,   in  Riv. dir. comm .,1952, I, p. 28.

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    le varie rappresentazioni perché ciascuna di esse costituisce un momentonecessario ed indiscriminabile della successiva 68.

    A ciò potendosi aggiungere l’osservazione più generale secondo cui, perchéun evento si produca, occorrono sempre varie condizioni ed una sola non è maisufficiente e lo diventa solo se riunita a tutte le altre 69: precipitato, quest’ultimo,del principio di equivalenza delle cause introdotto dall’art. 41 c.p. — sulla cuiapplicabilità nel diritto civile la dottrina non nutre dubbi 70 — in virtù del quale « ilconcorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti,dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tral’azione o l’omissione e l’evento ».

    3.2. — Tramontata la velleità di rincorrere nell’ipotesi dell’art. 1440 c.c.l’autentica volontà psichica del deceptus, si  fa strada una lettura più raffinatasecondo cui a colorare la figura del dolo incidente sarebbe piuttosto il riscontro

    nella vicenda concreta di un complesso di circostanze tali da aprire « l’adito allacostruzione di una volontà ipotetica diversamente caratterizzata ma pur semprecorrispondente allo schema negoziale cui appartiene il negozio in concretocompiuto...[che] si sarebbe presumibilmente estrinsecata se il soggetto si fossetrovato in una situazione di normale libertà di volere » 71; operazione ricostruttivaidonea a fornire al legislatore il destro per temperare l’efficacia invalidatrice delvizio del volere e — attraverso l’espediente finzionistico di qualificare come nondeterminante  l’inganno perpetrato — lasciare in vita il contratto, in ossequio algenerale principio di conservazione del negozio.

    In questa prospettiva, il danno viene perciò identificato « tutto, e soltanto,nella diversità tra la condizione contrattuale che si sarebbe avuta, ove non ci fossestata l’attività ingannatoria e quella che, in concreto, a causa di tale attivitàingannatoria si è verificata » 72, per aggiungersi che il rimedio risarcitorioacquisirebbe una valenza « sostanzialmente surrogatoria rispetto ad una modificadiretta del contenuto contrattuale » 73.

     68  () P. BARCELLONA , Profili della teoria dell’errore, Milano, 1962, p. 171.69  () In questo senso, F. STELLA,  Leggi  scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale,

    Milano, 1990, p. 404, per il quale « ogni causa sufficiente è l’insieme delle condizioni necessarie».

    70   () F. R EALMONTE , Il problema del rapporto di causalità nel risarcimento del danno,Milano, 1967, p. 173 ss.

    71  () L. MENGONI, Metus causam dans e metus incidens, cit., p. 28.72   () Così A. R AVAZZONI,  La formazione  del contratto ,  Milano, 1974, p. 35. Precisa C.M.

    BIANCA , Il contratto , cit., p. 628