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[442] LIBRO QUARTO
DE VICER CHE GOVERNARONO LA SICILIA SOTTO I PRINCIPI
BORBONI.
Avvengach in questo secolo, di cui scriviamo, non abbiano sempre
regnato i sovrani della casa Borbone, essendovi state due
interruzioni, luna dallanno 1713 allanno 1718, e laltra da questo
anno sino al 1734, ci piaciuto nondimeno di chiamare questa epoca
Borbona, cos perch i principi di questa real famiglia non
riputarono giammai per legittimi i possessi di Vittorio Amedeo duca
di Savoja, e dellaugusto Carlo VI di Austria, quantunque non
abbiano abrogate quelle delle loro leggi, che sono conformi al
giusto; come perch pi lungamente vi regnarono Filippo V, e i di lui
successori della schiatta Borbona, sotto la monarchia de quali
continua felicemente la nostra isola nel governo del clementissimo
Ferdinando III a godere una invidiabile pace.
CAPO I.
Il duca di Veraguas vicer. Dopo che il duca di Veraguas si
assicur, cherano cessati nella nostra nazione i vecchi pregiudiz
contro
i Francesi, e trov che la nobilt, e i consoli delle arti erano
soddisfatti del testamento del re Carlo II, e pronti a riconoscere
Filippo duca di Angi per loro legittimo monarca, ordin che se ne
facesse col solito ceremoniale la pubblica acclamazione. Stabil per
questa solennit il d 17 del mese di gennaro 1701, nel qual giorno
fu Filippo V riconosciuto per re di Sicilia. Noi ci dispensiamo dal
descrivere minutamente questa funzione, e perch altre volte
labbiamo raccontata {(1) Nel libro antecedente cap. XII.}, e perch
evvene la relazione alle stampe scritta dal canonico Antonino
Mongitore {(2) Il trionfo palermitano nella solenne acclamazione
del re Cattolico delle Spagne, e di Sicilia Filippo V.}, da cui
siamo avvisati, che una pari pompa non si era pi veduta, nella
quale non meno i magistrati, i nobili, e gli ecclesiastici, che i
mercadanti, i cittadini, e il basso popolo appalesarono con feste,
e lusso la loro divozione verso il nuovo re.
Mentre in Palermo capitale della Sicilia, e per tutto il regno
si acclamava il re Filippo V, egli continuava a starsene a Parigi.
Il re Cristianissimo suo avo non si era ancora determinato, se
dovesse accettare il testamento di Carlo II, che gli era arrivato
contro ogni sua espettazione. Temea egli che le potenze europee non
singelosissero al vedere la famiglia Borbona elevata a cos alto
grado di grandezza collo accrescimento della vastissima monarchia
di Spagna, che oltre i suoi regni possedeva il nuovo mondo, e
nellItalia lo stato di Milano, e i regni delle due Sicilie. Stiede
perci lunga pezza dubbioso, se dovesse aderirvi, ovvero contentarsi
della ripartizione convenuta colla Inghilterra, e colla Olanda. Si
determin ci non ostante di aderire al testamento, quantunque il suo
gran cancelliere Pontchartain, e il duca di Beauvilliers avessero
cercato di dissuadernelo. Fidava egli nella infermit di Guglielmo
re dlnghilterra, che abbandonato avea la cura degli affari politici
nelle mani de suoi ministri, cherano facili a guadagnarsi, n
amavano nello stato critico, in cui si trovava il loro sovrano,
dimpegnarsi in una nuova guerra; e nella debolezza degli Olandesi,
che separati dalla Inghilterra non erano in grado, ancorch si
fossero uniti collo imperadore Leopoldo, di sostenerla, e poteano
paventare di essere assaliti dalle truppe borbone nei Paesi Bassi.
Furono cos ragionevoli questi motivi, da quali si era mosso lanimo
di Luigi XIV, che i primi a riconoscere Filippo per re delle Spagne
furono appunto glInglesi, e gli Olandesi {(3) Voltaire Essai sur
lHistoire Gnrale tom. VI, Sicle de Louis XIV, chap. 17, pag.
55.}.
Assai pi pericolosa era la conservazione [443] de paesi, che
Filippo possedeva in Italia, e particolarmente nel ducato di
Milano, che i Tedeschi potevano agevolmente assalire; e bisognava
tenere amiche le potenze confinanti, cio il duca di Savoja, il duca
di Mantova, ed i Veneziani; affinch potessero gli eserciti francesi
passarvi liberamente. Venne a capo il re Cristianissimo di
guadagnarsi Vittorio Amedeo, proponendogli il maritaggio della di
lui figliuola col nuovo monarca di Spagna, e il duca di Mantova
Carlo Gonzaga a forza di denaro, che si profuse con esso, e co suoi
familiari. I Veneziani non volendo unirsi a Gallispani si
contentarono di restarsene neutrali. Assicurati glinteressi di
Filippo in Italia, part questo principe per Madrid, dove arriv a 18
di febbrajo di questo anno 1701. La lieta notizia del di lui arrivo
giunse nella nostra capitale a 19 del seguente marzo, e lo stesso
giorno ne fu dato lavviso al pubblico colle salve reali fatte dalle
soldatesche spagnuole nella piazza del regio palagio, e dopo
desinare nella cattedrale scese il duca di Veraguas, dove fu
intuonato linno ambrosiano dallarcivescovo, presenti il senato, il
sacro consiglio, e la nobilt, per cos fausto avvenimento {(1)
Mongit. Diario Mss. di Pal. t. II, pag. 51.}.
Malgrado che il re Cristianissimo avesse prevenuta in tutte le
maniere la guerra, or collegandosi con alcune potenze che poteano
suscitarla in favore dellimperadore al nuovo re di Spagna, or
facendo dichiarare le altre per la neutralit; pur laugusto
Leopoldo, riputando lesi i suoi diritti, si prepar a conquistare
colle armi quella monarchia, che credea dovuta per giustizia a s, e
a suoi figliuoli. Si cominci secondo il
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consueto a battagliare co manifesti, e poi si venne ai fatti.
Non del nostro argomento il riferire quanto allora accadde fra le
potenze belligeranti per lo spazio di tredici anni, e solo secondo
le opportunit ne diremo qualche motto, quando vi hanno qualche
parte i nostri vicer, e questo regno.
Noi eravamo tranquilli, trovandoci lontani dal centro delle
azioni militari, che doveano tantosto cominciare a sentirsi, ed
eravamo intenti a dare le riprove del nostro attaccamento al nuovo
re Filippo, e della nostra dispiacenza al trapassato Carlo II. Per
conto di questo nel mese di aprile gli furono celebrati in tutte le
cattedrali, ed in parecchie altre chiese del regno, i funerali, e
sopra tutto nella capitale gli furono resi gli ultimi doveri con
una pompa, e magnificenza straordinaria {(2) Mongit. Diario di Pal.
t. II, pag. 51.}. Al re Filippo poi fu eretta al primo del seguente
maggio una statua di marmo bianco {(3) Questo simulacro, ch di
finissimo lavoro, non ha avuto luogo fisso. Lanno 1718, entrate nel
regno le armi austriache, fu levato dal suo zoccolo, e buttato in
un magazzino della regia zecca nella piazza della Marina. Ritornata
la Sicilia sotto il dominio dei Borboni lanno 1734, quando fu
assunto al nostro soglio linvitto Carlo III, fu cavato dal luogo
abbietto in cui stava, e fu rimesso con nuovo piedistallo nel suo
antico posto. Di poi lanno 1786, essendosi adornata la spiaggia
marittima di Porta Felice, cui si diede il nome di Piazza Borbona,
fu trasportato in essa, e collocato sopra un nuovo zoccolo simile a
quelle statue dei due Carli II, e III, e del regnante Ferdinando
III nostro amabilissimo sovrano.}, che fu collocata sopra un
nobile, e bene intagliato piedistallo ornato di figure, ed
iscrizioni, e fu situata dirimpetto la porta della Doganella di
Palermo {(4) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 59.}.
Continuava il duca di Veraguas nello esercizio della carica
viceregia o per una tacita conferma, o per cedola speditagli da
Madrid, che noi non sappiamo; giacch n i nostri giornalisti ce lo
accennano, n ne reg archiv della cancellaria, e del protonotaro
rinviensi alcuna carta, che additi di essere stato egli confermato
nello impiego. Pi rilevanti affari occupavano allora la corte di
Madrid, che non potea certamente rivolgere lanimo al governo di
Sicilia. Ma questo duca invece di rendersi migliore in questo
cambiamento di governo, per acquistarsi la grazia del nuovo re, e
per attirarsi lamore de Siciliani, divenne peggiore, e fu in odio a
tutta la nazione. Cambiando di condotta non pens che ad
arricchirsi, per quel che portava la fama, spolpando il regno, e
vendendo le grazie, che debbono essere gratuite, e glimpieghi, che
non giusto di accordare, che alle persone meritevoli. Confer
certamente a rendere malcontenti i nazionali la ingordigia del
marchese di Cassenica suo figliuolo, che fu intento sempre a far
denari {(5) Costui per molti anni avea esercitato il mestiere di
mercadante di carbone, Ne comperava egli tutta la quantit, chera
trasportata nella capitale, ed indi ne mesi dinverno lo vendea a
suo conto, ed a carissimo prezzo. Lultimo anno poi del governo del
padre comper tutte le ulive, cherano attorno alla campagna di
Palermo, ne fe estrarre lolio, e questo mand fuori del regno; e
perci avvenne, che diminuitasene la quantit, crebbe a dismisura il
prezzo di esso a grandissimo danno del popolo, che altamente ne
mormor (Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 65).}.
Le doglianze de nostri contro lavarizia del vicer, e del di lui
figliuolo giunsero finalmente a Madrid, e penetrarono nel gabinetto
del re. Il viceregnato di Sicilia una [444] carica molto
rispettabile, e per lautorit di cui si gode, e per i lucri che se
ne ricavano; n saranno mancati a quella corte dei personaggi, che
volentieri agognassero allacquisto di questo posto. Non era poi
malagevole di rappresentare al monarca, che il Veraguas era
attaccato alla casa dAustria, da cui era stato esaltato, e perci
nemico della famiglia reale de Borboni. Premea a Filippo V lo avere
in Sicilia, dove era minacciato di poter soffrire la guerra, un
governante, che fosse affezionato alla sua schiatta, e che sapesse
farsi amare da popoli, tenendoli contenti, e tranquilli. Laonde si
determin a privare del governo della Sicilia il duca di Veraguas, e
a sostituirgli un soggetto, che fosse secondo le sue brame. Si
seppe la di lui rimozione a 28 di giugno; e tutto il regno, e
Palermo pi di ogni altra citt ne rest lieta, dove sino che non
part, ebbe egli ad inghiottire bocconi amari {(1) Furono sparse per
questa citt, dietro allavviso di essergli stato dato un successore,
alcune canzonette satiriche, che offendevano la di lui riputazione;
ed essendo arrivata, prima chegli abbandonasse questo regno, la
festa di Santa Rosalia, nella quale celebravasi linvenzione del
corpo di questa Verginella con fuochi artifiziati, e con
illuminazioni, macchinette sparse per la citt, ed allusive a questa
beata, giunse lardire di alcuni insolenti cittadini ad apporre cos
nellartifizio di fuoco, come nelle suddette macchinette alcuni
simboli, cherano tanti motteggiamenti della condotta di questo
viceregnante. (Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 75).}. Si
allontan malcontento da questa capitale ai 22 di agosto, poich era
arrivato il suo successore, e andossene in Ispagna, dove mori pieno
di dispiacenza {(2) Vuolsi chei, essendosi imbarazzato nelle
turbolenze nate in Ispagna, sia stato aspramente redarguito dal re
Filippo V, che lo chiam infedele, e traditore; e chei rest cos
colpito dal sovrano rimprovero, che ritornato a casa, dopo poche
ore se ne mor. (Mongitore in una nota mss. alla Cronol. dei Vicer
dellAuria della libreria del senato di Palermo L. Q. q. E. 51, pag.
219).} sullentrare dellanno 1711.
CAPO II. Giovanni Emanuele Fernandez Paceco duca di Ascalona
vicer proprietario, Francesco del Giudice vicer
interino, e capitan generale del regno. Lo eletto nuovo vicer di
Sicilia fu Giovanni Emanuele Fernandez Paceco marchese di Villena,
e duca di
Ascalona, chera uno dei pi favoriti servidori della casa
Borbone. La cedola reale, con cui era assunto a questa carica, fu
sottoscritta dal re a Madrid a 26 di maggio {(3) Reg. del proton.
dellanno 1700.1701, VIII. ind. pag. 149.}. Prima per che venisse da
Spagna in Sicilia, pass qualche tempo; ed ei non giunse in Palermo
che a 25 di luglio, condottovi da un vascello francese. Nel d
seguente and servito dal senato alla cattedrale, dove
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lettosi, ed esecutoriato il dispaccio reale, fe il solito
giuramento in presenza del sacro consiglio, e della nobilt, e prese
possesso della nuova carica {(4) Nello stesso registro e pagina.}.
Non volle egli dimorare la notte nel regio palagio, giacch temea,
che durante il sole in leone laria potesse esser nociva alla sua
salute, e perci in quei pochi giorni, che dimor in Palermo,
andossene sempre a dormire a bordo dello stesso vascello, su cui
era venuto.
Questo fu lapparente motivo, per cui questo vicer disse di voler
portarsi in Messina, dove laria pi pura; come fece, essendosi
partito dalla capitale al primo del seguente agosto. Ma una cagione
pi interessante lo spinse a fare questa mossa. I Messinesi dopo di
essere ritornati sotto il giogo degli Spagnuoli, vedendosi
spogliati dal conte di Santo Stefano di tutto ci, che rendea
rispettabile la loro patria, come noi abbiamo avvertito nel libro
antecedente {(5) Capo XXXV.}, nudrivano in cuore un segreto
dispiacere contro quella nazione; ma sino che visse Carlo II, la di
cui statua rammentava loro ogni momento ci, che poteano aspettarsi,
se tornavano a muoversi, soffrivano tacitamente la loro disgrazia.
Entrato al possesso del regno Filippo duca dAngi, e nipote del re
Cristianissimo, ricevettero con trasporto questo nuovo sovrano, e
immaginarono di potere sotto un principe della casa Borbone, e
diretto da Luigi XIV, [445] cheglino aveano acclamato una volta per
loro monarca, spezzare le catene, colle quali erano stati avvinti
da ministri spagnuoli, e ritornare nel primiero loro splendore.
Stando in questa lusinga fecero arrivare cos alla corte di
Versaglies, che a quella di Madrid le loro istanze, colle quali
dimandarono le seguenti cose; 1 che fossero loro restituiti i beni
confiscati; 2 che fosse accordato luso delle armi; 3 che si
confermassero tutti i privilegi, che anticamente godea la loro
citt; e 4 che fosse abbattuta la statua di Carlo II, chera un
monumento perenne della loro fellona, e che dal bronzo di essa si
rifabbricasse lantica gran campana del duomo. Queste dimande, e
precisamente lultima, chera la pi temeraria, furono rigettate; n
eglino per allora poterono nulla ottenere {(1) Mongit. Diario di
Pal. t. II, pag. 73.74.}.
Delusi dalle loro prime speranze, ma sempre intenti, come con
ammirabile costanza costumano di fare, a procurare i vantaggi della
loro patria, anche a costo dinnalzarla sulle altrui rovine,
cominciarono ad inventare alcune frottole, che fecero arrivare sino
a Parigi. Sparsero dunque in quella corte, che Sancio Miranda loro
governadore accoppiatosi agli altri Spagnuoli, cherano di presidio
a Messina, stavano tramando una congiura, ed erano determinati di
tagliare a pezzi quei cittadini, come affezionati alla casa di
Borbone, e di dar poi la citt in potere dellimperadore Leopoldo.
Divulgarono ancora, che in Palermo era nato un tumulto suscitato da
nobili, per cui il duca di Veraguas era stato costretto per
salvarsi, a ritirarsi a Castellammare. Queste, ed altre fanfaluche
si spargeano, o si faceano spargere da Messinesi nelle corti di
Versaglies, e di Madrid; e ci ad oggetto di rendersi benemeriti al
re Cristianissimo, e al monarca Cattolico, e far loro credere,
cheglino fossero i soli aderenti a gigli di Francia. Cominciarono
allora ad udirsi nuovamente gli odiati nomi de Malvizzi, e dei
Merli, e si osservava alla giornata uno universale dispregio contro
gli onorati Spagnuoli.
Non fu difficile di fare almeno sospettare ne gabinetti di
Francia, e di Madrid, che vi potesse essere qualche fermento in
Messina: e perci furono fatte replicate premure al duca di
Ascalona, affinch preso appena il possesso del viceregnato si
recasse a quella citt. Arrivatovi egli ridusse quel popolo al
pacifico stato che si desiderava; vi concili le fazioni che aveano
cominciato a risorgere, e diede saggie provvidenze per lavvenire.
Siccome per si accorse, che la troppa severit del Miranda lo rendea
poco accetto, lo rimosse dallimpiego, e gli sostitu Giovanni di
Acugna, uomo di dolcissimi costumi, prudente, ed insieme
coraggioso, di cui i Messinesi restarono appieno soddisfatti.
Quietati cos gli animi di quei cittadini, e dato ordine a tutto,
partissene a 19 di novembre, e facendo il viaggio per terra, arriv
in Palermo a 26 dello stesso mese, dove fu accolto da Palermitani
con singolare piacere.
Si apr in questo istesso anno il teatro della guerra in Italia,
essendo calate dalle Alpi molte truppe francesi per difendere lo
stato di Milano, ed avendo laugusto Leopoldo spedita unarmata sotto
il comando del principe Eugenio per invaderlo. Ma oltre alla guerra
patente, che si facea fra gli Austriaci, e i Gallispani, se ne
tramava unaltra per vie occulte, e sotterranee da partitar della
casa dAustria, per indurre i Napolitani, ed i Siciliani a scuotere
il giogo dei Borboni, e inalberare lo stendardo dello imperadore.
Non appartiene al nostro scopo ci che accadde in Napoli {(2) Si era
veduto per le piazze di Napoli qualche cartello, in cui leggevansi
le parole dei Giudei presso s. Giovanni (cap. XIX): non habemus
regem, nisi Caesarem. Vi venne poi il barone di Sassinet segretario
del cardinal Grimani, che sostenea in Roma glinteressi
dellimperatore, il quale unito a Carlo di Sangro sollev il popolo.
Ma furono tosto dissipati i sollevati dalla nobilt, e dallo eletto
del popolo, e furono carcerati il Sassinet, e il Sangro. Questi fu
decapitato, e quegli fu mandato in Francia.}, solo ci contenteremo
di raccontare ci che avvenne in Sicilia.
Dimorava in Roma Gennaro Antonio Cappellani prete napolitano,
uomo dotto non meno nelle pi gravi scienze, che nellamena
letteratura. Questi introdottosi nella casa del conte di Lamberg,
chera lambasciadore di Cesare alla santa sede, gli sugger, chera
cosa agevole il sollevare i Siciliani, i quali quanto amavano gli
Spagnuoli, altrettanto aveano in odio i Francesi, e si esib per le
corrispondenze, che avea nel nostro regno, a suscitarli contro la
casa Borbone ogni volta, che fosse accompagnato dalle [446]
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commendatizie della corte. Fu accettato il progetto, e
lambasciadore imperiale, dandogli molte lettere, senza disegnazione
di persona, per valersene opportunamente, quando vi trovasse
disposti gli animi, lo sped in Sicilia con abito secolaresco. Venne
il Cappellani in Messina, e confid la sua commissione ad un prete
messinese suo amico di cognome Al, il quale lo dissuase dal tentare
limpresa in quella citt, dove, ritrovandosi il vicer duca di
Ascalona, era difficile di riuscirvi, e gli sugger di provarsi ad
eseguirla pi presto in Palermo, dove dicea, che fosse un buon
numero di baroni affezionati alla casa dAustria. Ader al consiglio
il prete napolitano, e venuto nella capitale, svel la sua
commessione ad Alessandro Filangeri principe di Cut, sul di cui
appoggio contava, che potesse venire a capo del suo disegno. Questo
onesto, e fedele servidore del re, chera uno de principali
cavalieri della Sicilia, inorrid alla proposizione che gli veniva
fatta; e come era saggio, ed accorto, per meglio servire il re
Cattolico, e per non dare ombra a quel traditore, sinfinse di
applaudirvi, e lo preg a ritornare in sua casa nel giorno seguente,
per parlarne a pi fermo, e per tirare tutte le linee necessarie,
affinch ogni cosa riuscisse a seconda de desider del conte di
Lamberg, e della corte cesarea. Cadde nella rete il peraltro astuto
Cappellani, e promise di tornarvi. Intanto il principe di Cut ne fe
inteso il governo, per di cui ordine il detto prete fu arrestato,
mentre saliva le scale di questo cavaliere, e immediatamente
confess la sua commissione, e fu posto nelle carceri. Gli furono
trovate addosso le mentovate lettere dellambasciadore, per le quali
accordava, che si facesse qualunque trattato a favore della casa
dAustria: compromettendosi di farlo confermare dallaugusto
Leopoldo. Il processo fu compilato al Cappellani durante il governo
del duca di Ascalona, ma la sentenza non fu proferita, n eseguita,
che sotto il reggimento del cardinal del Giudice, come fra poco
diremo.
La tumultuazione di Napoli, che abbiamo accennata, e che accadde
nel mese di settembre 1701, indusse la corte di Madrid a spogliare
del viceregnato il duca di Medinaceli, chera assai odiato in quella
citt, e a destinarvi il nostro duca di Ascalona, dalla di cui
prudenza, e dolci costumi lusingavasi che sarebbe per render
contenti i Napolitani. Filippo adunque a 22 di novembre
sottoscrisse in Barcellona la cedola, con cui lo elesse vicer di
Napoli, e lo stesso giorno ne segn unaltra, per la quale scelse per
vicer interino, e capitan generale il cardinal Francesco del
Giudice. Ma la partenza del duca di Ascalona non accadde, che
nellanno 1702. Volle egli aspettare larrivo del detto cardinale,
che giunse in Palermo portato da quattro galee nostre siciliane a 6
di febbrajo di detto anno.
Nel giorno seguente part il duca di Ascalona colle stesse galee
per Napoli, lasciando la nazione dispiaciuta di dover perdere cos
saggio, ed amabile governante; e nello stesso giorno and il
cardinale alla cattedrale a prender possesso dellinterino governo,
dove fu letto il dispaccio reale della sua elezione, il quale per
non fu registrato nellofficina del protonotaro, che a 15 dello
stesso mese {(1) Reg. del proton. dellanno 1701.1702, IX ind. pag.
40.}. Appena preso questo possesso, ricomparve a 9 del medesimo
febbrajo in Palermo il duca di Ascalona, il quale dopo un felice
viaggio, mentre era vicino ad approdare in Napoli, cambiandosi il
vento fu costretto a tornare indietro, e a riprendere quel porto,
da cui era partito. Ma a 13 ripigli il cammino di Napoli, e vi
arriv fortunatamente in due giorni {(2) Mongit. Diario di Pal. t.
II, pag. 96.}.
Il viceregnato del duca di Ascalona non ebbe altro periodo, che
quello di sei mesi, ed undici giorni. Fu egli ammirabile per la
maniera dolce, con cui trattava tutti i ceti, per la vigilanza,
colla quale avea locchio sempre intento ad ogni menoma cosa, per il
suo disinteresse, per la sua piet; ma sopratutto per lamore della
giustizia. Le citt di Palermo, e di Messina possono contestare il
rigore, chegli us contro coloro che amministravano infedelmente
lannona, avendo nella prima deposti a 10 di dicembre 1701, tre
senatori di famiglie distinte, e un altro agli 8 di gennaio del
seguente anno 1702 e carcerati tutti questi nel regio castello;
perch scopr, cheglino erano venali, e si accordavano co venditori a
danno del pubblico, chera costretto a comprare i viveri di pessima
qualit, e a carissimo prezzo; e avendo dato lo stesso gastigo per
la [447] medesima cagione a due eletti della seconda {(1) Mongit.
Diario di Pal. t. II, p. 81, 87.}.
Era gi, nello entrare al reggimento di Sicilia il cardinal del
Giudice, compilato il processo dal tribunale della gran corte al
prete Cappellani, e gli era stata gi data la sentenza di morte. Ma
la esecuzione di questa fu differita per alcune cagioni fino a 27
del seguente mese di marzo. Siccome costui, che andava in abito
secolare, attestava di essere sacerdote, e che perci non poteva
essere condannato dal tribunale laico, prima che fosse degradato
per sentenza da giudici ecclesiastici, fu duopo di scrivere a
Napoli per sapere, se fosse vero quanto egli asseriva. Venute le
risposte, che assicuravano questa verit, ne fu rimessa la causa
alla corte arcivescovale. Monsignor Ferdinando Bazan, chera nostro
arcivescovo, volendo procedere con oculatezza in un affare cos
spinoso, scelse per suoi assessori i pi dotti jurisperiti di
Palermo, ed esaminata la reit di costui, col loro voto a 18 di
febbrajo sentenzi che fosse degradato, e di poi consegnato alla
corte secolare. Questa degradazione fu prorogata per una
controversia suscitatasi da coloro, che doveano assistere il
prelato in questa cerimonia {(2) Erano stati chiamati ad assistere
allarcivescovo i sei canonici detti di s. Giovanni degli Eremiti, i
quali per labazia annessa al loro canonicato, sono riputati come
abati mitrati. Costoro pretesero giusta la forma dei canoni, che
doveano essere prima chiamati per essere ancora eglino giudici
nella sentenza della degradazione, e perci si negarono di
assisterlo. Furono quindi scelti altri sei abati di diverse
religioni, i quali furono dello stesso avviso, n vollero
intervenirvi; e del pari risposero altri abati, che vi furono
invitati. Per togliere questo ostacolo, fu stabilita una
congregazione di teologi, i quali decretarono (non so, se
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contro le regole della chiesa), che non fosse necessario, che i
vescovi, e gli abati, che assistevano a questa funzione, dovessero
intervenire come giudici nel proferirsi la sentenza.}, sopita la
quale fu il Cappellani degradato a 27 dello stesso mese, e la sera
fu strozzato nel quartiere degli Spagnuoli, e nel giorno di
appresso fu appeso il di lui cadavere ad un palo nella piazza del
Papireto {(3) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 96.}.
Gli affari del re Cattolico non andavano molto felicemente. Un
passo falso dato dal re Cristianissimo, che alla morte di Giacomo
Stuardo sbalzato dal trono dInghilterra, riconobbe per legittimo re
il di lui figliuolo, che pure era chiamato Giacomo, distrasse gli
animi deglInglesi dalla Francia, e perci dalla Spagna. Guardavano
pure con occhio invidioso le altre potenze, anche neutrali, lo
sterminato potere della casa Borbone; e perci temendo di non
esserne soverchiate, fecero una confederazione lOlanda,
lInghilterra, la Danimarca, e lo Impero, che facea paura anche per
il numero degli eserciti, che si erano obbligate di mettere in
piedi nella gi entrata primavera. Gli affari dItalia erano in
peggiore stato; il maresciallo di Villaroy, che comandava le truppe
gallispane, era prigione, e il principe Eugenio avea gi presa
Cremona per sorpresa. Si pens che fosse espediente, sebbene molti
ministri dei due gabinetti di Versaglies, e di Madrid fossero di
diverso avviso, che il re Filippo venisse in Italia, dove la sua
presenza, e le sue dolci maniere avrebbono potuto attirargli lamore
de suoi vassalli, e cos fu risoluto {(4) Murat. Ann. dItalia allan.
1702, t. XII, p. 9.}.
Si seppe dal cardinale del Giudice la partenza del re Filippo V
per lItalia nel fine del mese di marzo, e tosto ne avvis
larcivescovo monsignor Ferdinando Bazan, che con suo editto ordin,
che ne giorni 2, 3, e 4 di aprile si esponesse per tutte le chiese
della diocesi laugusto Sagramento dello altare, accordando quaranta
giorni dindulgenza a coloro che vi andassero a pregare Dio per il
prospero viaggio di S.M., e comand ancora a tutti i sacerdoti
secolari, e regolari, che aggiungessero alla messa la colletta pro
iter agentibus {(5) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 112.}.
Giunse il re Filippo V felicemente a Baja presso Napoli ai 16 dello
stesso mese di aprile, e vi si trattenne per dar tempo a Napolitani
di fare i necessar preparamenti, per ricevere, come conveniva, cos
gran monarca {(6) Ci reca meraviglia come il Giannone, tessendo la
sua Storia Civile di Napoli, dopo la morte di Carlo II, fino
allanno 1722, non faccia verun motto dellarrivo del re Filippo in
quella citt, n della pompa con cui fu ricevuto, n della dimora che
vi fece, n della partenza per la Lombardia.}. Senebbe lavviso in
Palermo a 21, e il cardinale viceregnante ordin, che si facessero
le illuminazioni per la citt, e a 23 tenne cappella reale nel
duomo, dove fu cantato linno ambrosiano in rendimento di grazie
allAltissimo per questo fausto avvenimento {(7) Mongit. ivi.}.
Molti Siciliani si affrettarono di portarsi [448] in quella
citt, a fine di conoscere il proprio sovrano, e di baciargli le
mani. Ma soprattutto vi andarono quei Messinesi, che si trovavano
esuli dalla loro patria, i quali dalla di lui benignit ottennero di
ritornarvi, e di riacquistare i beni, che si erano loro confiscati,
trattine quelli cherano stati alienati dalla camera, e si erano
venduti a particolari {(1) Amico in Auctario ad Fazel. t. III p.
317 Caruso Mem. Stor. lib. X, t. III, vol. II, pag. 265.}.
La guerra, che si era intrapresa in Italia, non fu meno
dispendiosa delle altre, che sostenevano i Gallispani nella Spagna,
e nei Paesi Bassi. Perci erano necessar de sussid per sostenerla, e
inoltre mancavano alle truppe i cavalli per montare i reggimenti di
cavalleria. Il cardinale del Giudice fu dunque incaricato di
provvedere a bisogni del re, e perci con suo bando de 4 di maggio
ordin in primo luogo, che tutti coloro che nel regno avessero
cavalli, cos nobili, che ignobili, fossero tenuti dentro lo spazio
di quattro giorni di rivelare per gli atti della regia segrezia, o
delle corti de capitani, e delle universit di qualunque citt, o
terra, il numero, che ne possedevano, ancorch servissero per uso di
carrozze, o di calessi, sotto la pena di perderli, se trascuravano
di palesarlo: e ci ad oggetto di potersi scegliere quelli, che
potessero servire per la guerra nel Milanese, pagandosi dalla corte
al giusto prezzo {(2) Mongitore Diario di Pal. t. II, pag. 127.}.
Rispetto poi ai sussid che ricercava il re, convoc per i 21 del
medesimo mese lordinario parlamento, affine di provvedersi nella
miglior forma alle angustie, nelle quali trovavasi il regio
erario.
Radunatisi nel prescritto giorno i tre ordini del regno nella
sala del regio palagio, il cardinale con una eloquente orazione
pales a medesimi le urgenze, nelle quali si trovava il sovrano per
le molte guerre, che stava sostenendo nelle Fiandre, e in Italia,
per conservarsi sul capo il serto reale; rappresent poi, che questo
monarca si era conferito di persona nel regno di Napoli, per poi
passare in Lombarda alla testa de suoi eserciti, affine di
discacciarne i Tedeschi, e di far godere a suoi vassalli la desiata
pace. Chiese quindi loro quei possibili soccorsi, che in questi
bisogni potesse il regno somministrare {(3) Mongitore Parlamenti di
Sic., t. II, p. 110.}. Congregatisi perci i parlamentar, per
cercare i modi di soddisfare al proprio dovere, e di compiacere il
loro re, senza che vi fosse fra i medesimi discrepanza alcuna,
determinarono di offrire, e di prorogare i consueti donativi
ordinar triennali; di confermare per altri nove anni il dazio sopra
la macina nella forma prescritta nel parlamento dellanno 1605, e
per le presenti contingenze della guerra esibirono un donativo
straordinario di dugento mila scudi per una sola volta: facendo le
scuse, se non offerivano di vantaggio, stante la povert, a cui era
ridotto il regno per le traverse sofferte da terremoti, daglincend,
dalle guerre, e dalla sterilit de tempi {(4) Lo stesso ivi pag.
113.}. In questa occasione ebbe S.E. il donativo di once mille, e
il di lui cameriere maggiore, e gli uffiziali reg ottennero i
consueti regali.
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Prima che si radunasse il mentovato parlamento, e precisamente a
18 dello stesso mese di maggio partirono per Napoli quattro nostre
galee, per unirsi colla squadra reale, ad oggetto di accompagnare
il re in Lombarda. Queste di poi dopo di averlo servito sino al
Finale, ritornarono a 5 di luglio, e condussero cinquecento soldati
napolitani per guarnire le nostre fortezze, sul dubbio che
glimperiali non tentassero la invasione del nostro regno {(5)
Mongitore Diario di Pal. t. II, pag 120.}. Scrivono i nostri
storici {(6) Caruso Mem. Stor. lib. X, P. III, tom. III, vol. II,
p. 265. Amico in Auct. ad Fazel. t. III, p. 317.}, che il re
Filippo, mentre stava in Napoli, pensava di venire a visitare la
Sicilia, e che ne fu distolto dagli affari di Lombarda; ma noi non
abbiamo fondamento di crederlo; n sembra verisimile, chei
trasferitosi in Italia per assistere in Lombarda alla imminente
campagna, potesse meditare di allontanarsi, portandosi nel nostro
regno.
Mentre il re Filippo battagliava con esito per lo pi felice in
Lombarda, per cui furono pi volte rese solennemente le grazie al
Dio degli eserciti nel regno {(7) Mongitore ivi pag. 140, e seg.},
comparvero in Palermo a 18 di luglio quattro vascelli da guerra
francesi, con due brulotti, de quali era supremo comandante, col
titolo di generalissimo di mare, il conte di Tolosa {(8) Scrissero
il Caruso, e lAmico (nei citati or ora luoghi) che il conte di
Tolosa fosse venuto in Sicilia per ricompensare in parte il
desiderio dei Siciliani di vedere il proprio principe. Se questi
due storici avessero rapportato, che i nostri nazionali si fossero
in parte racconsolati dal dispiacere di non vedere il proprio re,
conoscendo uno della stessa stirpe, comunque nato da illegittimi
natali, la loro riflessione sarebbe comportabile, ma stranissimo
pensamento, che il conte di Tolosa sia stato spedito in Sicilia a
questo fine.} [449] bastardo del re Cristianissimo Luigi XIV, e
perci zio del nostro monarca; ed erano seco il conte di Etre, e
molti altri rispettabili comandanti. Battevano eglino i mari
dItalia, per tenerli sicuri da nemici, e per visitare, e
fortificare le piazze darmi. Il cardinale del Giudice fece le
possibili dimostrazioni a questi nobili ospiti: li tratt pi volte
con lauti desinari nel regio palagio: li condusse seco in carrozza
per la citt: rallegr la ciurma de vascelli con generosi rinfreschi:
diede una festa di musica, e nel partire, che fe il conte di Tolosa
per Messina, lo provvidde abbondantemente di viveri. Il senato
ancora di Palermo non trascur di fare a questo real principe i suoi
complimenti, avendogli fatto il dono, come costuma co grandi
personaggi, di molti bacili di frutta, e di confetture {(1) Mongit.
Diario di Pal. t. II, p. 123, e seg.}.
Nel seguente ottobre fu costretto il cardinale del Giudice a
portarsi sollecitamente in Messina, dove cominciavano a sbucciare
alcuni semi di sedizione. La grazia concessa da Filippo V a loro
banditi, per cui si accordava a medesimi il ritorno nella patria, e
la restituzione de beni confiscati, chera stata procurata agli
stessi dal re Cristianissimo, non andava a genio de ministri reg, i
quali credendo di farsi merito col sovrano, difficoltavano di
rendere i beni incamerati. Rappresentarono eglino al cardinale
viceregnante, che lerario regio, consegnando i beni sequestrati, ne
avrebbe sofferto un considerabile danno: avvegnach co frutti di
essi beni si erano pagati in passato i soldi alle truppe della
cittadella, e delle castella, che prima si guarnivano a spese di
Messina; e che, mancando questi, il real patrimonio dovea soffrire
laggravio di somministrare da s il denaro per la manutenzione delle
mentovate soldatesche. Il cardinale, che non potea da s risolvere
questo spinoso affare, ne scrisse al re Filippo V. Questo sovrano
ne consult il suo avolo Luigi XIV, il quale rispose, che le grazie
reali non possono ritirarsi; e che perci ordinasse a suoi ministri
la pronta esecuzione di quanto ei per la mediazione sua accordato
avea a Messinesi, e cos fu fatto.
Questa favorevole determinazione del sovrano fe ingallozzire
quei cittadini, i quali credendo gi di essere ritornati nel
possesso de loro privilegi, cominciarono a gloriarsi di quanto
ottenuto aveano a pro della patria contro le risoluzioni della casa
dAustria, a parlar male della nazione spagnuola, e a mettere di
nuovo in campo le fazioni di Merli, e di Malvizzi. N di ci contenti
pretesero, che si togliesse la statua di Carlo II, e si rifondesse
lantico campanone, facendone vive istanze al conte di Tolosa, di
cui abbiamo poco fa fatta menzione. Questo real principe cerc di
disingannarli: avvertendoli, che cos facendo correvano risico di
cadere nello sdegno delle due corti di Spagna, e di Francia.
Trovandoli nonostante ostinati, ne scrisse a Luigi XIV suo padre,
il quale rispose, chei nellottenere agli esuli il ritorno, e la
restituzione de beni, non avea mai inteso che fossero restituiti
alla loro citt i privilegi, de quali era stata giustamente
spogliata.
Per occorrere adunque a nuovi disturbi il cardinal del Giudice
part da Palermo ai 10 di ottobre, e and a Messina. Ivi prima di
ogni altra cosa con un severissimo editto viet a quei cittadini
luso delle armi; e di poi prendendo informe de capi sediziosi, e
fatto fare loro il processo, li gastig, ed arrec alla citt la
sospirata quiete. Sopito il nascente tumulto, pens di visitare le
due fortezze di Agosta, e di Siracusa, per osservare in quale stato
mai fossero, e vi si port nel seguente mese di novembre, e dopo di
avervi date le convenienti provvidenze, ritorn a risedere nella
istessa citt di Messina {(2) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 151,
e seg.}.
Fermossi in questa citt, per rendere pi soda la tranquillit,
sino a primi di aprile del seguente anno 1703, e di poi fe ritorno
in Palermo, dove giunse a 19 dello stesso mese. Volea egli visitare
le piazze della valle di Mazara, cio Trapani e Marsala, per vedere
se erano in istato da difendersi. Imperversando sempre pi la guerra
fra gli Austriaci, e i Gallispani, era a temersi che la flotta
anglo-olandese, che sostenea le pretenzioni dellimperadore
Leopoldo, non tentasse, per dare un diversivo alla Spagna,
dinvadere il [450] regno di Sicilia; e perci era necessario
dinvigilare alla custodia del medesimo. In questo intendimento
part
- 337 -
il detto porporato a 26 dello stesso mese; ma prima che vi
arrivasse, fu costretto a ritornare. Fu egli richiamato dalle
istanze fattegli dal pretore, e da ministri reg, che gli avvisarono
che si fosse veduta ne nostri mari una flotta nemica. Vi ritorn
egli dopo cinque giorni, che nera partito, cio ai 31 dello stesso
mese. Si seppe poi, che il timore suscitatosi in Palermo era
panico, e che la creduta squadra non era, che un convoglio di navi
mercantili olandesi scortato da sette vascelli da guerra {(1)
Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 158, e seg.}. Non si allontan
nonostante il cardinale dalla capitale per far la meditata visita;
nuove urgenze ve lo trattennero, come or ora diremo.
Giovanni Mauro della terra di Giuliana, che facea la professione
di cocchiero, dopo di aver servito molti anni in Palermo, andossene
in Roma, dove introdottosi alla presenza dellambasciadore cesareo,
gli fe sperare, che avea modo di far voltare tutta la Sicilia a
favore dellimperadore, tostoch egli lavesse accompagnato colle sue
lettere commendatizie. Noi non sapremmo decidere qual fosse
maggiore, se la temerit di costui, che si compromettea di attirare
i Siciliani ad acclamare per sovrano laugusto Leopoldo, o la
dabbenaggine dellambasciadore, che fid in questo vile uomo, e si
lusing che vi potesse riuscire. Il fatto fu, chei fu rimandato in
Palermo con lettere del ministro cesareo, che facea delle grandi
promesse a coloro, che avessero agevolata la sollevazione. Lo
sconsigliato cocchiero arrivato nella capitale fe capo a Giuseppe
del Bosco principe della Cattolica, cui forse avea servito. Gli
promise egli il viceregnato perpetuo di Sicilia, se entrava in
questa congiura. Questo accorto, e saggio cavaliere, seguendo le
pedate del principe di Cut, di cui abbiamo in questo istesso capo
parlato, finse di volervi aderire; ed ordin al Mauro, che
ritornasse pi tardi per stabilire le maniere, colle quali potesse
sicuramente eseguirsi il proposto disegno, e intanto ne fe inteso
il cardinale del Giudice, da cui ottenne il permesso di farlo
carcerare, quando veniva in sua casa. Preso costui confess il suo
delitto, e pales i maneggi, che allo stesso fine avea fatti in
Napoli, e senza indugio fu condannato alle forche, essendosi veduto
appeso alle medesime il d 14 del mese di giugno, senza che in citt
se ne fosse nulla penetrato.
Questi maneggi, che di tratto in tratto si faceano in Sicilia da
ministri imperiali, per suscitarvi de movimenti, e le flotte
formidabili degli Anglo Olandesi, che passeggiavano ne nostri mari,
faceano a giusta ragione temere al vicer del Giudice, che non fosse
per iscoppiare qualche rivoluzione, o che non fosse per accadere
qualche invasione de nemici; e perci non solamente si determin di
non partire dalla capitale, ma stim ancora, che fosse espediente
dintimare a baroni il servizio militare, come ne promulg il bando a
30 di giugno {(2) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 163.}. Ordin
inoltre, che si formassero delle trincee dietro il real castello, e
che i due baluardi dello Spasimo, e del Vega fossero custoditi dai
colleg delle arti, facendo a vicenda le guardie or luno, or laltro
in buon ordine, e colle necessarie armi {(3) Mongit. Diario di Pal.
t. II, pag. 163.}.
Crescevano di giorno in giorno i sospetti, e a 20 del seguente
luglio arriv la notizia, cherano comparse ne mari della Licata
centonovanta vele, le quali erano di poi passate ne mari di
Trapani. A questo avviso, oltre di essersi date le provvidenze
necessarie per tutto il regno, furono per ordine viceregio posti in
armi tutti gli artisti, si piantarono delle trincee alla Porta
Felice, e fu ristorato, e ridotto in miglior forma un forte del
castello, che trovavasi rovinato dalle ingiurie del tempo, cui fu
apposta la seguente iscrizione:
D. O. M. PHILIPPO V.
Hispaniarum, et Siciliae Rege Augusto. Invicto Propugnaculum
Ad tuitionem Arcis Panormitanae Jam antea extructum, injuria
temporis exinde penitus collapsum
Franciscus Tit. S. Sabinae Cardinalis Judice Prorex, et Capit.
Generalis Regni Siciliae
In aptiorem formam extrui curavit Anno Recup. Sal.
MDCCIII. [451] Siccome poi vi erano alcuni ceti di cittadini,
che non erano uniti in consolati, cos il senato di
Palermo ingiunse loro, che si armassero per la difesa della
comune patria, e furono dallo stesso magistrato destinati i
capitani per ogni quartiere della citt, sotto i quali militar
dovessero.
Cess presto il timore, in cui si era, essendo arrivata la certa
notizia, che le navi apparite nelle acque di Trapani, e della
Licata non erano che mercantili. Nondimeno non si trascur di stare
con vigilanza, e di continuare le guardie per la citt. Cooperaronsi
al bene della patria molti ancora di coloro, che non erano
obbligati al servizio militare, i quali a proprie spese mantennero
degli uomini a cavallo, affine di custodirla. Tali furono molti
cittadini benestanti, e facoltosi, e parecchi mercadanti, e perfino
il capitolo della cattedrale, il collegio de parrochi, il giudice
della monarcha, i gesuiti ora soppressi, e i filippini presentarono
i loro
- 338 -
uomini a cavallo, de quali ne fu fatta la rassegna a 13 di
ottobre nel piano di s. Uliva, e si trovarono al numero di
novantadue {(1) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 166.}. Che bel
monumento di amore verso la patria, ed il sovrano!
Pass tutto lanno 1703 fra furori di Marte: la Lombardia, la
Savoja, il Trentino, la Germania, la Spagna, il Portogallo erano,
come tanti teatri di guerra, dove gli uomini si scannavano a
migliaja, e le citt erano saccheggiate e spopolate: dichiarandosi
la fortuna ora a favore di un partito, ed ora dellaltro. Perci dee
attribuirsi a beneficio del cielo, che la Sicilia sia rimasta
libera da codeste calamit, e non abbia sofferto altro, che certe
necessarie spese, per mettersi in istato di difesa, e guarentirsi
dal timore di potere essere improvisamente assalita.
Entrando poi lanno 1704 continuarono le guerre fra Gallispani, e
la formidabile lega dellaugusto Leopoldo, che avea tratte al suo
partito tutte quasi le potenze di Europa. Ma nel nostro regno si
stiede in una certa sicurezza da ogni invasione; giacch le armate
intente in cos lontani paesi a battersi non faceano temere, che
potessero cos presto rivolgersi contro la nostra isola. Mentre
eravamo in questa tranquillit fu il cardinale del Giudice promosso
allo arcivescovado di Morreale. Era morto nellet decrepita di
ottantacinque anni a cinque di giugno dellanno antecedente Mr.
Giovanni Roano, che presedea a quella chiesa {(2) Mongit. in
additionibus ad Pirrum pag. 99.}, e il re Filippo V avendo in
considerazione i servig prestati da questo porporato alla corona
nel viceregnato di Sicilia, lo nomin alla vacante chiesa. Il
pontefice Clemente XI si trov imbarazzato alla presentazione, che
gliene fu fatta dallo ambasciadore di Spagna. Non avea egli ancora
riconosciuto per re di Sicilia il monarca Filippo V, e
lambasciadore cesareo, che trovavasi in Roma, facea vive istanze a
nome dellaugusto Leopoldo, affinch non fosse attesa la nomina del
re Cattolico; pretendendo, che appartenesse alla corte di Vienna la
scelta del nuovo arcivescovo. Ma finalmente questo papa si determin
a consentire alla elezione del cardinal del Giudice, ed a 16 di
gennajo 1704 lo preconizz nel concistoro, che tenne: spedendogli
colle bolle anche la dispensa di potersi consecrare in Palermo. Era
allora arcivescovo di questa citt monsignor fra Giuseppe Gasch
dellordine de minimi, chera subentrato nella cura arcivescovale a
monsignor Bazan morto agli 11 di agosto dellanno 1702. Questi
adunque assistito da due prelati, cio da monsignor Asdrubale
Termini, e da Mr. Bartolomeo Castelli, il primo vescovo di
Siracusa, e laltro di Mazara, fece la solenne funzione di
consacrare il cardinale nella chiesa di Casa Professa degli espulsi
gesuiti a 10 del seguente febbrajo {(3) Mongit. Diario di Pal. t.
II, pag. 184.}.
Fu questanno, e il seguente ancora 1705 assai funesto al monarca
di Spagna. Perduto avea egli la forte piazza di Gibilterra, di cui
si erano impossessati glInglesi: e quantunque nellanno seguente
1705 avesse tentato di riprenderla per mare, e per terra, furono
nondimeno vani tutti gli sforzi chei vi fece, avendo glInglesi
conservato questo importante acquisto {(4) Voltaire Essai sur
lHistoire Gnrale tom. VI, cap. 20, pag. 112, 113.}. Ma rest vieppi
costernato dalla perdita di Catalogna, e del regno di Valenza, dove
era arrivato larciduca Carlo sostenuto non meno dalle sue truppe
tedesche, che dalle milizie inglesi, e vi era stato riconosciuto
per re di Spagna. In quanto a noi, essendo scorso gi il triennio,
in cui ci avea il cardinale del Giudice cos lodevolmente governati,
ed essendo chiamato alla cura [452] pastorale della sua chiesa di
Morreale, il re destin il nuovo viceregnante, eleggendo a questa
carica Isidoro della Cueva, e Bonavides marchese di Bedmar. Il
dispaccio reale fu sottoscritto in Madrid a 5 di aprile 1705 {(1)
Reg. del protonot. dellanno 1704.1705, XII ind. pag. 118.}.
CAPO III. Isidoro della Cueva, e Bonavides marchese di Bedmar
vicer.
Arriv questo nuovo vicer in Palermo nel d 15 di luglio del detto
anno, accompagnato da quattro galee; ma non prese possesso, che nel
giorno seguente; e dopo il cardinale del Giudice recossi alla sua
chiesa di Morreale. And dunque al solito in detto giorno, dopo di
aver fatta lentrata pubblica nel cocchio del senato di questa citt,
alla cattedrale, e fatto ivi il giuramento, previa la lettura della
cedola reale, si ritir al regio palagio. La detta carta reale non
trovasi registrata nellofficina del protonotaro che a 21 {(2) Nello
stesso reg. pag. 118.} dello stesso mese {(3) Il signor de Burigny
(Hist. de Sicile liv. IX, XII, t. II, p. 423), non fe veruna
menzione di questo vicer, e suppose erroneamente, che il successore
del cardinal del Giudice, cui d cinque anni di viceregnato, fosse
stato il marchese de los Balbases, che come diremo fu sostituito al
Bedmar.}. Il cardinale non si trattenne molto tempo nella sua
chiesa, ma ne part nel mese di dicembre, per portarsi a Napoli, e
poi passare a Roma. Infatti a 28 di esso mese si pose alla vela,
servito da tre galee, ed onorato fino a bordo dalla presenza del
vicer, e di tutta la nobilt di Palermo {(4) Mongit. Diario di Pal.
t. II, pag. 202.205.}.
La monarchia Borbona, che sul principio del secolo si era resa
cos formidabile, parea in questo anno, e nel seguente 1706, che
andasse a tramontare. Il re Filippo tentato avea indarno di
riprendere la citt di Barcellona, dove stavasi acclamato per
sovrano larciduca Carlo, ed era stato costretto a levare lo
assedio, e a ritirarsi a Madrid. Presa da Tedeschi la citt di
Alcantara, non si tenea pi ivi sicuro, e gli fu di mestieri per
consiglio de suoi generali, di sloggiarne per allora, sebbene vi
sia in capo a poco rientrato. Intanto erano
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venute in potere dei Tedeschi Alicante, e Cartagena. Nelle
Fiandre del pari le armate gallispane aveano avuta la peggio: molte
citt aveano gi riconosciuto larciduca per sovrano {(5) Voltaire
Essai sur lHistoire Gnrale cap. 20, t. VI, pag. 116, e seg.
Murator. Annali dItalia allanno 1706, t. II, pag. 41. 42.}: e
nellItalia erano svaniti tutti i progressi fatti dalle stesse
truppe: si era levato lassedio di Turino, e tutto il Milanese per
il valore dellimpareggiabile principe Eugenio riconosceva per suo
sovrano il ridetto arciduca {(6) Murat. Ann. dItalia allanno 1706,
tom. II, pag. 39, e 40.}.
Le notizie di questi rapidi progressi degli eserciti imperiali,
e delle disfatte delle truppe gallispane arrivava di mano in mano
nella nostra isola, e rattristavano gli animi dei Siciliani. Il
marchese di Bedmar non lasci da una parte di suggerire
allarcivescovo, che in tanti disastri era necessario di placare il
Dio degli eserciti, e di pregare per la prosperit delle armi del
re; alle quali insinuazioni inerendo il santo prelato prescrisse
con suo editto, che agli 11 di aprile si facesse una solenne
processione, e si cantasse la messa per implorare la divina
protezione {(7) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 205.}; e dallaltra
continuando la fama a recare delle nuove del pari disgradevoli,
chiam a 10 di agosto la nobilt, cui prescrisse il servigio militare
per la difesa del regno, e nel d 18 dello stesso mese comand, che i
colleg degli artisti di Palermo si mettessero in armi, a fine di
guardare i baluardi: assegnando ogni giorno tanti consolati, quanti
erano i forti, che difender dovevansi {(8) Lo stesso ivi.}.
In capo a pochi giorni giunse la consolante notizia, che il re
rinforzato da nuove truppe era ritornato alle porte di Madrid, ne
avea fatto ritirare gli alleati, e vi era rientrato glorioso. A
questo lieto avviso fu cantato nel d 25 di esso agosto linno
ambrosiano in rendimento di grazie per cotale avventuroso ritorno
del sovrano nella sua regia, collassistenza del vicer, del sacro
consiglio, del senato, e della nobilt, e nel d 29 per tutte le
chiese della capitale fu esposto il Sagramento dellaltare, e fu
cantata la solenne messa. Ma mentre si facevano questi
ringraziamenti, si ud la perdita di Alicante, e di Cartagena, e le
sconfitte ricevutesi dalle armi gallispane in Lombarda: cose tutte,
che funestarono lallegrezza de Siciliani.
Al dispiacere delle disgrazie del re [453] Cattolico accoppiossi
quello delle dimestiche disavventure, che soffriva la Sicilia. Era
molto tempo, che un certo Antonio Catinella della citt di Mazara,
che facea la professione di muratore, era divenuto capo di banditi,
e con un numeroso seguito di compagni tenea in soggezione non
solamente la capitale, ma tutta ancora la intera isola. Era egli
per la sua agilit detto volgarmente Salta le viti. Non stavano
nemmeno sicuri i chiostri delle monache, giacch egli avea la
destrezza, con non pi che due stiletti, di montare sulle pi alte
muraglie, e di entrare ne monasteri, sebbene non molestasse punto
la pudicizia di quelle vergini, e solo restasse contento del denaro
chelleno aveano. Mr. Francesco Ramirez vescovo di Girgenti avea
fatto in modo, chegli abbandonasse la Sicilia. And infatti a Roma;
ma in capo a qualche tempo ritorn segretamente alla sua patria, ed
ivi scalate le muraglie della badia di quelle monache, ne rub tutto
il denaro, e part.
Il marchese di Bedmar, volendo liberare il regno dalle rubere di
questo malandrino, fece ogni opra per averlo nelle mani; ed avendo
saputo chera in Toscana, facendo delle pratiche col gran duca venne
a capo, che fosse carcerato in Livorno, e rimandato in Sicilia.
Compilatoglisi il processo, fu egli condannato a morte, e agli 11
di maggio fu appiccato. Costui era un uomo di un umore stravagante.
Non molestava punto i poveri, e andava in traccia dei ricchi, e de
facoltosi: protestando che li rubava per discolpare la loro
coscienza. Col denaro poi, che traggea da suoi furti, sollevava
spesso i meschini, e maritava le zitelle {(1) Mongit. Diario di
Pal. t. II, p. 208.}.
Un altro disastro soffriva la capitale, e tutta la valle di
Mazara da qualche tempo. Le tonnare, che sono per noi uno
interessante articolo di commercio, non davano da molti anni le
solite pescaggioni de tonni; e questa scarsezza era nociva al
regno, dove non entrava il denaro, che solea trarsi dalle vendite
delle tonnine, e insieme a particolari, cherano padroni delle
medesime, ed a pescatori, che vi guadagnavano il pane. Fu dunque
creduto, che fosse duopo di benedire il mare, e se ne dimand il
permesso alla santa sede, che Clemente XI accord con breve spedito
a 30 di aprile 1706 {(2) Non so su qual fondamento siesi allor
creduto che per benedire il mare fosse necessaria la permissione
del papa. Questo un diritto, che hanno tutti i pastori, e credo che
i vescovi labbiano di poi riconosciuto, essendo accaduti ai d
nostri simili benedizioni, senza che se ne fosse cercata la licenza
da Roma.}. Larcivescovo Gasch, cui fu diretto, nel d 30 di maggio
and in processione dal duomo sino alla Porta Felice, dove fe la
benedizione del mare secondo le forme prescritte dal rituale {(3)
Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 209.}. Non sappiamo se il vicer
fu presente a questa funzione, n se Dio siesi compiacciuto di
accordare la desiata pescaggione.
Stavasi il mentovato vicer nella maggiore sollecitudine per
conservare questo regno al re Cattolico; e siccome arrivavano di
giorno in giorno le funeste notizie delle disfatte dei Gallispani,
temea che non fosse per comparire inaspettatamente la flotta
anglo-olandese per conquistarlo allarciduca Carlo. Scrisse perci
efficaci lettere alle corti di Versaglies, e di Madrid, richiedendo
soccorsi di truppe, e di munizioni da guerra, per mettersi in ogni
evento in istato di difesa. Non ne riport che delle vane promesse.
Luigi XIV, e il re Filippo non credeano, che potesse essere
minacciata la nostra isola, e perci fecero rispondere da loro
- 340 -
ministri, che non vi erano per allora codesti sospetti; e che se
mai si fosse penetrato, che i nemici avessero in animo dinvadere la
Sicilia, non si sarebbe allora trascurato di provvedere a bisogni
della medesima. A questi timori vi si aggiungea quello delle truppe
istesse, che stavano di guarnigione nellisola. Erano queste
spagnuole, e nella buona parte conservavano una certa affezione
verso la casa di Austria; laonde sospettava il Bedmar, che
comparendo le aquile imperiali, costoro, in vece di respingerle,
piuttosto desertassero, e si unissero sotto gli stendardi
austriaci. Il loro numero montava a quattro mila, ed erano divisi
in quaranta compagnie, ciascheduna delle quali costava di cento
uomini; e tutti non ubbidivano, che a due supremi capi, cio ad un
maestro di campo, e ad un sargente maggiore. Il vicer adunque, per
metter freno a queste milizie, pens di cambiarne lordine, e le
divise in tanti battaglioni, ciascheduno de quali era composto di
dodici compagnie, di quaranta soldati per una, in guisa che non
contenesse, che [454] soli 480 uomini. Destin ad ogni battaglione
il suo colonnello, e ad ogni compagnia un capitano coi suoi
uffiziali subalterni, chei scelse, costandogli la loro abilit, e
laffezione verso la casa Borbona. Cre ancora uno ispettore
generale, il quale invigilasse sopra la condotta economica dei
colonnelli, e de capitani, e curasse che i soldati fossero ben
vestiti, e puntualmente pagati. Questa riforma, che diede sul naso
a vecchi uffiziali, assicur il Bedmar da ogni sospetto di
ammutinamento.
Siccome poi era anche necessario, che le fortezze del regno
fossero ristorate, e proviste di artiglieria, di polvere, di palle,
e di altre munizioni da guerra, ed altronde il regio erario non era
in grado di somministrare da s il denaro necessario a queste
provvigioni; perci si determin detto vicer a convocare un generale
parlamento, cherano oramai scorsi cinque anni, che non si radunava,
affine di trovare i mezzi da conservare il regno. Ne fu fatta
lapertura in Palermo a 10 di febbrajo 1707 nella solita sala del
regio palagio, dove unitisi i tre ordini dello stato udirono dalla
bocca dello stesso vicer le disavventure della corona di Spagna
assalita da tanti formidabili nemici, e il pericolo, in cui si
trovava il regno, di essere invaso: e per conseguenza la necessit,
in cui era, di essere fortificato, e provveduto, affine di
resistere alla temuta invasione. A queste cause richiese, che i
parlamentar, per assicurare la isola, non solamente confermassero i
consueti donativi, ma offerissero ancora al monarca qualche
straordinario sussidio, per iscansare con questo i pericoli, da
quali erano minacciati. Soggiunse, che oltre di dover precaversi da
danni, che soffrir poteano da nemici della corona, era di mestieri
di dar riparo a mali interni, che affligevano il regno, e
arrecavano un sensibile detrimento al pubblico commercio. Correano
in fatti molte monete falsificate; e quelle, cherano di giusta
lega, trovavansi mancanti per la solita frode di tosarle: e perci
ne negoziati era duopo di pesarle, e di rifare ci che mancava; la
qual cosa non solamente era dannosa a compratori, ma nuocea inoltre
alla sollecita spedizione delle vendite, e delle compre, per il
tempo che vi si doveva consumare, e facea ostacolo alla libert del
traffico {(1) Mongit. Parl. di Sic. t. II, p. 118.119.}.
Convenendo i parlamentar della risposta, che dar doveano al
vicer, nel d 18 dello stesso mese si presentarono al medesimo, e
gli palesarono, cheglino erano contenti di prorogare i donativi
ordinar cos triennali, che gli altri, che si rinnovavano di nove in
nove anni, de quali si fatta menzione nel riferire gli antecedenti
parlamenti, e che per riguardo al sussidio straordinario, che si
dimandava, erano disposti di offerire al monarca dugento mila
scudi, i quali fossero impiegati in parte per ristorare le
fortificazioni, e provvederle degli attrezzi militari da guerra, e
in parte per fabbricare la nuova moneta di argento, giusta gli
ordini cherano venuti dalla corte, e colla ripartizione che viene
accennata negli atti di questa assemblea; in cui ebbe il Bedmar le
solite mille oncie di regalo, e il suo cameriere maggiore co reg
uffiziali la consueta riconoscenza {(2) Mongit. Parl. di Sic. t.
II, p. 122, e seg.}.
Questo fu lultimo solenne atto fatto dal marchese di Bedmar nel
suo viceregnato; giacch in questo istesso anno 1707, avendo
ottenuto dalla corte il permesso di ritirarsi {(3) Cercano i
politici, per qual motivo il marchese di Bedmar abbia richiesto
alla corte di essere isgravato del governo di Sicilia, dove non gli
era accaduto verun sinistro, e dove era amato dalla nazione. Il
Caruso (Mem. Stor. lib. IX, t. III, vol. II, pag. 217) opin, chegli
alle notizie delle disgrazie accadute alla corona di Spagna in
Napoli, le di cui piazze erano in potere dei Tedeschi, temendo una
invasione in Sicilia, n trovandosi abbastanza forte per difenderla,
abbia sotto il pretesto di cagionevole salute dimandato il suo
congedo. Lo stesso scrisse il p. Abate Amico (In Auct. ad Fazellum
tom. III, pag. 318), che suol seguire le pedate del Caruso. Ma
luno, e laltro si sono ingannati, come si fa palese dalla data dei
tempi. Il conte Daun si accost a Napoli ai 7 di luglio, e lacquisto
delle piazze di esso regno non accadde, che parte nel mese
suddetto, e parte nei seguenti mesi di agosto, e settembre,
essendosi resa Gaeta nellultimo di questo mese. Larrivo del nuovo
vicer in Palermo fu ai 13 di luglio, e la partenza del marchese di
Bedmar ai 23 dello stesso mese. Come dunque sar possibile, che
dietro la perdita del regno di Napoli abbia egli chiesta la sua
dimissione? Assai prima adunque la dimand, e forse dopo le vittorie
del Piemonte, e lo acquisto della Lombardia, che accaddero assai
prima, e poterono indurre il di lui animo a cercare di essere
disgravato dal viceregnato; e perch forse temea qualche disastro
alla Sicilia sprovista delle necessarie truppe, chei non amava, che
accadesse durante il suo governo.}, part da Sicilia, che rest
dispiaciuta della [455] di lui lontananza, essendo rimasta assai
contenta della dolcezza, e della giustizia con cui la
governava.
CAPO IV. Carlo Antonio Spinola, e Colonna marchese di Balbases,
e duca di Sesto vicer.
- 341 -
Dopo var ricorsi fatti dal marchese di Bedmar, perch il re si
compiacesse di dargli il successore nel viceregnato di Sicilia,
finalmente Filippo V si determin di soddisfarlo, e a 3 di aprile
1707 elesse per vicer di Sicilia Carlo Antonio Spinola, marchese di
Balbases, come costa dalla cedola reale sottoscritta in detto
giorno nella citt di Madrid {(1) Reg. delluffizio del protonot.
dellanno 1706.1707, XIV ind. pag. 72.}. Questi non arriv in
Palermo, che a 13 di luglio seguente, accompagnato da due galee
della squadra del duca di Tursi. Non volle egli prender possesso
della sua carica per venerazione al marchese di Bedmar, se prima
questi non partisse, il quale nel d 23 del medesimo mese mont sulle
stesse galee, al bordo delle quali lo volle accompagnare il nuovo
vicer. Partito il Bedmar, il marchese di Balbases and
immediatamente alla cattedrale, dove fe il solito giuramento, e
cominci ad esercitare lautorit viceregia {(2) Mongit. Diario di
Pal. t. II, p. 215.216.}. La cedola fu poi registrata nellofficina
del protonotaro a 28 dello stesso mese {(3) Nello stesso registro,
e pagina.}.
Le prime cure di questo cavaliere si rivolsero alla difesa della
citt di Messina, chera la pi esposta ad essere invasa, dietro i
primi acquisti fatti dalle truppe cesaree nel regno di Napoli, e
della Calabria. Perci a 12 del seguente agosto vi sped due
compagnie di cavalleria per impedire ogni sbarco, che le medesime
far potessero dalla vicina citt di Reggio {(4) Mongit. Diario di
Pal. t. II, p. 216.}. Non tutte le piazze del regno di Napoli erano
venute in potere degli Alemanni; la citt, e la fortezza di Gaeta si
sostenevano tuttavia contro gli assedianti, e solo erano cominciate
a mancare le vettovaglie. Il nostro marchese di Balbases sollecito
deglinteressi sovrani, anche fuor della Sicilia, vi sped a 21 dello
stesso mese cinque galee della squadra siciliana, cariche di
viveri, ed in particolare di farina, le quali arrivarono
opportunamente per disfamare quella citt {(5) Mongit. Diario di
Pal. t. II, pag. 216.}; la quale nondimeno non potendo reggere pi
lungo tempo alle replicate sorprese, fu poco dopo presa di assalto,
e saccheggiata insieme col castello {(6) Murat. Ann. dItalia
allanno 1707, tom. XII, pag. 47.}.
Il seguente mese di settembre fu apportatore di liete notizie. A
12 di esso giunse lavviso che larmata cesareo-savojarda, che era
andata allo assedio di Tolone, e la flotta anglo-olandese, che
bloccava quel porto, erano state respinte; larmata dal valore delle
truppe francesi, e la flotta da contrar venti; e costrette perci
luna, e laltra a ritirarsi. Arriv dopo tre giorni la feluga del
dispaccio da Madrid, la quale rec la piacevole notizia, che la
regina di Spagna a 25 dello antecedente mese di agosto avea
felicemente dato alla luce un figliuolo, il quale assicurava la
successione della monarchia di Spagna in questa branca della casa
Borbona. Per questi due fausti avvenimenti fu cantato allora nella
cattedrale linno ambrosiano collo intervento del vicer, dello
arcivescovo, del senato, del sacro consiglio, della nobilt; le
soldatesche fecero le solite salve reali, i castelli reg coi
baluardi della citt diedero colle loro artiglierie i segni del
comune giubilo, la citt comparve la sera illuminata, e fu fatta la
grazia a tutti gli Spagnuoli, che trovavansi in prigione, di essere
scarcerati.
Queste dimostrazioni fatte al primo avviso della nascita del
serenissimo infante Ferdinando non erano bastevoli per attestare
lallegrezza dei Siciliani, e sopratutto dei cittadini della
capitale; e perci il senato di Palermo col consenso del marchese di
Balbases determin di fare per questo felice parto delle grandiose
feste, le quali, acci si preparassero con magnificenza, furono
differite sino al seguente mese di novembre {(7) Mongit. Diario di
Pal. t. II, p. 217.218.}. Arrivato questo mese si di principio nel
d 12 da rendimenti di grazie, e fu fatta una divota processione,
nella quale furono portate attorno le reliquie dei santi protettori
della citt, e di poi furono cantati i solenni [456] vespri nella
cattedrale. Nel seguente giorno fu tenuta cappella reale nello
stesso tempio, dove cant la messa pontificale larcivescovo Mr.
Gasch. La stessa messa fu replicata nel d 14 per tutte le altre
chiese, e in esse furono recitate le litanie, ed altre preci per lo
stesso obbietto. Terminate le feste sacre, duranti le quali fu
sempre alla notte illuminata la capitale, si godettero le profane,
le quali consisterono nella solenne cavalcata secondo il costume di
quel tempo, in tre giuochi del toro nella piazza del regio palagio,
ed in un elegante fuoco artifiziato, a spese per del regio
patrimonio nella stessa piazza {(1) Mongit. Diario di Pal. t. II,
pag. 219.}.
Dopo queste dimostrazioni di gioja il vicer cominci ad
inghiottire degli amarissimi bocconi. Nel d 7 di gennaro 1708, la
viceregina Isabella la Cerda, ed Aragona se ne mor. Era questa dama
venuta da Civitavecchia nellanno antecedente, ed era arrivata ai 20
di settembre condotta dalle galee di Sicilia {(2) Lo stesso ivi
pag. 219.}. Ne fu egli dolentissimo; ma per non affligere la citt,
ordin che fosse privatamente seppellita nella chiesa del convento
di s. Teresa fuori la Porta Nuova. Nondimeno la nobilt, e il
ministero vest di lutto per quaranta giorni, e le campane delle
chiese non desisterono dal suonare a morto. Un guajo peggiore gli
arriv ai 13 del seguente maggio, in cui corse rischio di essere
ucciso, o per lo meno imprigionato. Volea egli godere della pesca
dei tonni, che dovea in quel giorno farsi alla tonnara
dellArenella, ch un divertimento assai piacevole, e si fa con un
apparato magnifico {(3) Per soddisfazione degli stranieri, che non
hanno cognizione di questa pescaggione, eccone la breve descrizione
tratta dallopera dellabate Arcangelo Leanti (Stato presente della
Sicilia cap. 4, tom. I, pag. 175). Gli ordegni necessarj per
pescare i tonni sono principalmente le reti, le quali sono formate
di certe funicelle disposte a foggia di camere, che sono afforzate,
e sostenute da diverse ancore. Quattro sono queste camere. La prima
alla parte di ponente, ed ha una porta che d lingresso ai tonni; da
questa passano i detti pesci nella seconda, che
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vien nominata sala: dopo di questa verso levante viene una terza
camera, e poi la quarta, che vien detta la camera della morte.
Dietro queste camere vanno stese lunghe corde, che sono nominate la
coda della tonnara, e sono attaccate al terreno, le quali
mantengono fermo tutto questo marino edifizio. Le porte si chiudono
quando abbisogna. Vengono adunque i tonni a schiere, ed entrando il
primo nella prima camera, seguito tosto dai suoi compagni. Quando
ven una sufficiente quantit, il rais, che il capo dei marinari, e
invigila con diligenza allarrivo di questi animali, ed entrati che
sono, chiude la porta. Cercano i tonni vedendosi chiusi di
scappare; ma siccome sono timidi, di muso delicato, e di vista
debole, toccando le corde si arretrano, e girando attorno entrano
nella seconda, e nella terza camera, le di cui porte sono patenti,
e finalmente nella camera della morte. Sotto a questa evvi una rete
pi grande, e lavorata con maglia pi stretta, che chiamasi corpo.
Quando dunque arrivata lora della pescaggione, i marinari alzano a
pelo dacqua il corpo sotto la camera della morte, e con esso i
tonni, che vi sono dentro, i quali vedendosi ristretti senza che
abbiano modo di scappare, si dibattono disperatamente, e mettono
sossopra le acque, con qual moto vengono bagnati i numerosi
spettatori: fino che arrivati a tiro dei pescatori, questi con
uncini di ferro li feriscono, e li cavano fuori del corpo,
mettendoli nelle barche, che stanno attorno. Si giunge delle volte
a prenderne delle migliaia in brevissimo tempo, e con una
destrezza, che fa meraviglia, e spesso vi si pescano ancora dei
pescispada, coi quali i tonni si accomunano.}; e dovea portarvisi
sopra una delle nostre galee. Or molti condannati al remo, alla
testa dei quali era un trapanese, che chiamavasi Simone Morto,
tramarono lardita impresa, quando il vicer fosse andato ad
osservare quella pescaggione, di sollevarsi, e di metterlo in ceppi
con tutta la nobilt che laccompagnava, e di viato veleggiare per
Napoli, affine di presentare questa preda al conte Daun governatore
cesareo, che vi comandava, sperando di ottenerne un premio, o per
lo meno la grazia di essere liberati dalla galea. A buona sorte del
vicer questo nero attentato non ebbe effetto. Il comito della reale
capitana, dovendo condurre questo signore al mentovato spettacolo,
non stando sicuro dei remiganti, e dubitando che nella confusione,
ch inseparabile da quella pescaggione, eglino non tentassero, o per
disubbidienza, o per altro pravo motivo, di far pericolare la detta
galea, dimand che simbarcassero su di essa delle soldatesche, le
quali in ogni evento potessero far rispettare i suoi ordini; e cos
fu fatto. I congiurati vedendosi contro ogni loro espettazione
cinti di soldati armati, non si arrischiarono di mettere in pratica
quanto aveano meditato, e rest cos salvato il vicer, e la sua
comitiva. Ritornata la galea in porto, vi fu del bisbiglio fra i
sollevati, che si rimproveravano lun laltro di essere stati troppo
pigri, e timidi; e intanto si animarono fra [457] di loro, giacch
era fallito il primo colpo, di tentarne un altro. Doveano eglino lo
stesso giorno rimorchiare un vascello destinato a portare alcune
compagnie di soldati a Messina; pensarono adunque di menarle, se
potea loro riuscire, a Napoli, o per lo meno di scapparsene in
quella citt. I loro discorsi non furono cos occulti, che non
fossero stati ascoltati da altri, che non erano della congiura.
Questi ne avvisarono tosto il comito, che ne di parte al
comandante, il quale avendo fatti carcerare, e mettere alla tortura
i rei, trov che fosse vera la congiura. Furono appiccati al Molo
due schiavi, e un forzato, cherano dei principali sollevati, nel d
19 di maggio. Simone Morto il loro capo ebbe la sorte di salvarsi
colla fuga, e di scansare il meritato gastigo {(1) Mongitore Diario
di Pal. t. II, pag. 325.}.
Fu pi sensibile al cuore di questo vicer la tumultuazione
accaduta pochi giorni dopo in Palermo. Egli cui era stata confidata
la custodia del regno nostro, temendo a ragione, che trovandosi
glimperiali con un buon nerbo di truppe possessori di tutto il
regno di Napoli, e della Calabria, non tentassero dinvaderlo,
essendo agevole il tragitto da Reggio in Messina; e paventando
ancora la flotta anglo-olandesa, che di leggieri potea fare uno
sbarco nelle citt marittime dellisola, e particolarmente nella
capitale, chera mal difesa, scritte avea efficacissime lettere alla
corte di Madrid: ricercando che se gli mandassero delle truppe,
colle quali avesse potuto provvedere non solo alla citt di Messina,
ma a quella di Palermo ancora, e alle altre, che fossero soggette
alla invasione dei nemici. Accudendo il gabinetto di Madrid alle
giuste premure di questo governante, sped nove navi, fra vascelli,
e tartane, sulle quali furono imbarcati tre mila soldati, parte
spagnuoli, parte francesi, e parte irlandesi. Arrivarono queste
milizie in Palermo ai 28 di aprile, e il marchese di Balbases,
trovandosi abbastanza provisto, sped otto compagnie di cavalleria
in Messina, dove maggiore era il pericolo, oltre quelle che vi si
erano antecedentemente mandate, le quali partirono lo stesso
giorno, e nel d seguente per il loro destino; e le altre trattenne
presso di s {(2) Lo stesso ivi pag. 330.}.
Fra quei che restarono in Palermo, furono glIrlandesi che erano
comandati dal maresciallo di campo conte di Maon. Questo cavaliere
si era acquistata molta riputazione in Italia nella difesa di
Cremona, e di poi era stato adoprato dalla corte di Spagna contro i
rubelli di Valenza. Ma era fama, che egli in questa citt si fosse
mostrato troppo condiscendente coi suoi soldati, permettendo loro
il saccheggio, e perdonando ai medesimi le pi atroci crudelt usate
contro quei sventurati cittadini. Correa anche voce, che dal
saccheggio non fossero state neppure esenti le chiese di Dio, e che
il Maon fosse stato a parte di tutto il bottino. Questa opinione
vera, o falsa che fosse stata, fe guardare di mal occhio dal popolo
il reggimento deglIrlandesi, e il comandante di esso: temendo di
non ricevere un pari trattamento a quello dei Valenziani.
Aggiungeasi a questi sospetti la persuasione, che costoro fossero
Francesi; poich lunione fra la Spagna, e la Francia, e il
linguaggio, che costoro adopravano per farsi capire, chera il
francese, fecero credere aglidioti cheglino veramente fossero di
quella nazione. Fomentavano questo errore i malcontenti, i quali
confermando la plebe in questa credenza, faceano rinascere nei loro
cuori il vecchio odio dellanno 1282, e le gelosie, che furono
allora la principal cagione, per cui i Francesi tutti cherano in
Sicilia, furono barbaramente trucidati.
- 343 -
Contribu in qualche modo a far credere che fosse vero quanto si
andava divulgando lo stesso marchese di Balbases, il quale si era
determinato di affidare la custodia dei baluardi della citt alle
truppe venute da Spagna, fra le quali erano glirlandesi. Noi non
sappiamo da che mai siesi mosso il vicer a questo pensamento, se
perch era in qualche diffidenza del popolo palermitano, come lasci
scritto il contemporaneo canonico Antonino Mongitore {(3) Diario di
Pal. t. II, pag. 336.}, ovvero perch credesse, chessendo queste
truppe agguerrite, avrebbono meglio maneggiate le armi, e le
artiglierie in difesa della citt. Vuolsi da alcuni, chei vi si
fosso indotto, non solamente per tenere in freno i cittadini, ma
inoltre per un principio di economia; giacch intendea disgravare
lerario regio del mantenimento di queste soldatesche, che [458]
meditava di far pagare alla citt, alle chiese, e alle persone
facoltose; giacch servivano per la loro difesa.
Questa determinazione, chei gi stava per eseguire, giunse alle
orecchie dei consolati, ossia dei collegi degli artisti, i quali
credeano di avere la prerogativa, che la difesa e la custodia dei
baluardi della citt si dovesse affidare a loro medesimi, come
sempre si era fatto in tutte le urgenze, in cui si era trovata la
capitale. Ingelositi adunque costoro, che pensasse di spogliarli di
questo preteso loro antico privilegio, e temendo inoltre, che
dandosi il possesso dei bastioni ai soldati stranieri, la citt
resterebbe esposta al loro arbitrio, o per lo meno sarebbe stata
aggravata con pesantissime contribuzioni per i soldi di queste
truppe, e degli uffiziali, che le comandavano, risolvettero di fare
i loro dovuti ricorsi. Molti consoli, previe le conferenze intorno
a questo affare, si presentarono al pretore, che reputano come loro
capo, e gli significarono, che la risoluzione che diceasi presa dal
marchese di Balbases feriva i loro diritti; e pregaronlo, che
trovasse modo di dissuaderlo, e di far s, che le fortezze della
citt, secondo il vecchio costume, fossero custodite, e difese dai
loro collegi. Era in questa carica il duca di Cesar Calogero
Gabriello Colonna Romano, il quale facendo poco conto della loro
rimostranza, rispose ai medesimi in termini generali, ed
equivoci.
Intanto fu osservato che si spazzavano i magazzini allo Spasimo,
e si racconciavano: sopraintendendo al lavoro il procurator fiscale
del patrimonio Giuseppe di Agati. Sono questi magazzini contigui
alle case dei pescatori, i quali richiesero per qual motivo si
pulissero; e fu loro risposto, che si preparavano per abitazione
dei soldati. Bast questa risposta per mettere in iscompiglio tutta
quella contrada. Vivono i pescatori con molta gelosia delle loro
mogli, e delle loro figliuole, e perci mal soffrivano di avere dei
vicini cos scostumati. Accrebbesi il rumore negli altri consolati,
i quali sebbene non avessero, stando lontani da quei contorni,
questo particolare interesse, sospettavano nondimeno, che loggetto
di collocarsi ivi le soldatesche, era appunto per metterle pi a
portata di occupare i tre baluardi del Tuono, del Vega, e dello
Spasimo, cherano da presso ai magazzini. Laonde tutti di accordo
tornarono a presentarsi al pretore, e richiesero a vive istanze,
che fossero loro consegnati i detti baluardi. Il duca di Cesar
disse loro, che codesto non era uno affare da risolversi su due
piedi, e che bisognava consultarlo; e chiese perci qualche giorno
per soddisfarli. Parve ai consoli, che il pretore cercasse con
questa dilazione di addormentarli, e siccome dubitavano che di
momento in momento non potessero i soldati impossessarsi di quei
forti, nel qual caso sarebbe stato pi malagevole il farnele
sloggiare, si radunarono nella chiesa della Vittoria per risolvere
nelle presenti circostanze ci che fosse duopo di fare; e dopo var
discorsi conchiusero, che fosse espediente di prevenirli, malgrado
che il duca di Cesar non ne avesse loro accordato il permesso. In
questa intelligenza la notte dei 25 di maggio non solo occuparono i
tre mentovati forti, ma quello ancora nominato la Balata, e gli
altri cherano attorno alla citt. Il duca udendo questa novit, corse
subito ai bastioni, per persuadere gli artisti ed evacuarli; ma
cant ai sordi. Eglino non solamente ricusarono di ubbidire, ma
chiusero perfino la porta in faccia al loro capo {(1) Mongit.
Diario di Pal. t. II, pag. 341.}.
Il marchese Balbases, che rest dispiaciutissimo, come ognuno pu
immaginarsi, di questa insolenza, volendo darvi riparo, fe venire
al regio palagio il pretore, alcuni dei principali nobili, il
consultore, il conte di Maon, e gli altri supremi comandanti. I
militari furono di avviso, che fosse necessario di fare mano bassa
contro gli artisti, acci intimorendosi ubbidissero, e
abbandonassero gli occupati baluardi; e si esibirono a far questo
macello colla cavalleria, che aveano gi pronta sotto le armi. Ma il
consultore, il capitano della citt, e molti altri nobili fecero
riflettere a S.E., che nelle critiche circostanze, nelle quali la
sola Sicilia era rimasta al monarca di Spagna, il menare le mani
sarebbe stato lo stesso, che commuovere la citt ad inalberare lo
stendardo della casa dAustria, e irritare i cittadini, i quali
avrebbono potuto rinnovare leccidio del 1282 contro glIrlandesi,
creduti volgarmente di nazione francese, e contro la stessa persona
del vicer, che li sosteneva, cantando il notturno dopo il vespro.
Fra queste dubbiet fu proposto il temperamento, che gli artisti in
segno di ubbidienza a S.E. sortissero dai baluardi, e che il vicer
si obbligasse da cavaliere di onore, che ve li [459] avrebbe fatto
immediatamente rientrare, per custodirli di suo ordine. Cos fu
eseguito, sebbene i consoli sieno divenuti a dare il primo passo a
grandissimo stento, e dietro delle assicurazioni di tutta la
nobilt. Il marchese di Balbases onoratamente ademp la sua parte;
imperocch, dopo che i consoli abbandonarono quei forti, sped tosto
lordine al pretore, acci li riconsegnasse ai consoli, affinch li
custodissero nei presenti pericoli di guerra {(1) Caruso Mem. Stor.
P. III, lib. X, t. III, vol. II, pag. 274.}.
- 344 -
Stiede la citt in una tale quale quiete per lo spazio di tre
giorni, nei quali continuarono i collegi degli artisti a fare nei
baluardi vicendevolmente la guardia; ma non perci gli animi erano
tranquilli. Il vicer, che suo malgrado avea poste le armi nelle
mani del popolo, era pieno di timore, ed avea fatte raddoppiare le
guardie al regio palagio: il Maon, e gli altri uffiziali maggiori,
che avrebbono desiderato di misurare le loro forze con quelle dei
Palermitani, erano crucciati nel vedersi legate le mani da questo
viceregnante; e gli artisti, ai quali non erano ignoti i loro
disegni, stavano in allarme, temendo di qualche aguato. Nulla
eglino speravano dallaiuto del pretore, che riguardavano come
nemico, e perch di origine era messinese, e perch avea rovinato il
banco pubblico della capitale, avendo consumata una porzione del
denaro per risarcire la moneta ritagliata, senza curare di farnelo
rimborsare, ed avendo somministrate da esso banco ingenti somme
alla regia corte per pagarsi le truppe, dalle quali cagioni era
nato, che il banco fosse fallito, e si fossero sospesi i pagamenti
de bimestri, per cui era cessato il commercio, e molte famiglie
perivano di fame. Non fidavano nemmeno nella nobilt, che vedevano
affezionata al vicer, e agli uffiziali stranieri. Privi perci di
appoggio non credevano di poter prendere consiglio, che da loro
stessi, e riputarono come nemici tutti coloro, che non
appartenevano a loro colleg.
Frattanto accrescevansi i loro timori dalle voci, che spargevano
i malcontenti per la citt: cio che sotto i baluardi vi si fossero
collocate delle mine di polvere, che doveano scoppiare nel medesimo
momento, onde far volare per aria tutti coloro, che li custodivano,
e che nello stesso tempo le soldatesche armate sarebbono entrate in
citt a trucidarvi tutti gli abitanti. Agitati da codesti panici
timori, che suscitavano i nemici della pubblica tranquillit,
stavansi collanimo sospeso, e faceano ogni possibile diligenza, per
isfuggire il minacciato pericolo, ricercando ogni angolo del
baluardo, quando vi entravano di guardia, per osservare se erano
insidiati.
Ora a 28 di maggio circa le ore 22 una compagnia di artisti,
essendo andata a montar la guardia nel bastione del Vega, facendo
le consuete diligenze, trov nascosta in un angolo una piccola
quantit di polvere con del biscotto, ed altri comestibili. La
fantasia, una volta che sia accesa, ci fa vedere degli spettri, che
non esistono; quella poca polve fu capace di alterare la loro
mente, e di far credere, che vi fosse stata apposta dai soldati
francesi, ed irlandesi, che voleano occupare quel posto, comunque
non fosse bastata appena per provigione di quattro uomini. Pieni di
questo stravangante pensamento, senza pi riflettere, cominciarono a
gridare: allarmi allarmi fuori francesi, ed irlandesi. Alle voci di
costoro si mosse tutta la citt a rumore, e corsero i popolani al
forte del Vega per udire cosa fosse accaduta. Di bocca in bocca
passando la insussistente notizia, fu veduta tutta la citt
sossopra, e quasi che avessero le armate soldatesche addosso, che
voleano impossessarsi de bastioni, e far di essi macello, si
dispersero per tutti i quartieri, gridando: allarmi allarmi.
Il marchese di Balbases era sortito dal regio palagio, e
passeggiava nel Cassero. Non era la sua carrozza arrivata alla
piazza Vigliena, che fu avvertito da suoi affezionati del tumulto,
che si era suscitato, e fu pregato a ritornarsene addietro, per non
esporsi aglinsulti del tumultuante popolo, come egli esegu. In
questa occasione fu ammirata la tranquillit danimo del conte di
Maon. Trovavasi egli nella casa del principe di Carini dirimpetto
alla cattedrale, dove ud la commozione della plebe, e che il vicer
si era restituito al regio palagio. Fe tosto venire uno de suoi
cavalli, e montandolo da un poggio presso quella abitazione alla
presenza de sollevati, senza punto sgomentarsi, si mosse a passo
lento, e and a trovare il marchese di Balbases, cui esib lopera sua
per frenare i contumaci; ma questo cavaliere, cui stava a cuore di
non [460] permettere la strage, che ne sarebbe avvenuta, ricus le
di lui generose offerte, e viet che si facesse uso della forza.
Il furibondo popolo diede i primi segni del suo risentimento
contro il pretore duca di Cesar, e marci alla casa senatoria,
chiamandolo messinese, e traditore; e come egli si era affacciato
ad un balcone per calmarlo, gli furono scaricate alcune fucilate,
dalle quali a buona sua sorte non rest colpito; e perci occultatosi
fugg travestito per quella porta, che sporge alla chiesa di s.
Giuseppe de PP. Teatini, che non si apre giammai, e and a
ricoverarsi nel regio palagio. Apertesi dopo la di lui fuga le
porte della casa senatoria, corse la plebe allarmeria, e prese
tutte le armi, che ivi erano, and armata per la citt; ma ebbe
lavvertenza di lasciare alla custodia del banco il collegio de
sarti. Crescendo la sollevazione di ora in ora, il generale delle
galee temendo che i condannati al remo non si rivoltassero, vi si
ritir con truppe per tenerli nel dovere. Dubitava il vicer che
lammutinato popolo non tentasse dinvadere il castello, e perci
ordin che una compagnia dIrlandesi andasse a rinforzare quella
guarnigione. Ma il castellano {(1) Vuolsi che questo castellano
fosse di accordo coi consoli, e che li avesse assicurati, che
restando eglino fedeli al re Cattolico, la citt non sarebbe stata
mai offesa dal cannone del castello: e vi fu chi disse, chei avesse
esibite delle munizioni da guerra ai medesimi, per difendersi
contro glIrlandesi (Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 302).},
sapendo quanto glIrlandesi fossero in odio a Palermitani, ricus
questo soccorso sotto il pretesto, che non potea ricevere, che
guarnigione spagnuola {(2) Mongit. ivi.}.
Non trascurarono gli ecclesiastici di procurare in ogni maniera,
che il popolo si quietasse. Monsignor fra Giuseppe Gasch
arcivescovo di Palermo, uomo veramente santo, ed esemplare,
alludire i primi movimenti
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de sollevati, and di persona al forte del Vega, dove maggiore
era il bisbiglio, e persuadendo, ed esortando cerc di
tranquillarli. Fu ricevuto con quel rispetto, che si dovea ad un
cos venerando pastore, e gli furono aperte le porte, che stavano
chiuse per qualunque altro; ma non ebbe il piacere di ottenere da
loro quanto bramava. Il morbo era nello incremento il pi vigoroso,
ed era di mestieri di aspettare, che il tempo apportasse la desiata
crisi. Ritornossene adunque questo buono arcivescovo crucciato che
le sue insinuazioni fossero state inutili. Intanto la commossa
plebe sincontr in Francesco Ferdinando Gravina principe di
Palagonia, che dalla corte era stato destinato a succedere nel
pretorato al duca di Cesar; ed acclamandolo come padre della
patria, lobblig a venire al palagio senatorio per prender possesso
della carica di pretore.
Sovrastava gi la notte, e si correa risico, che i malandrini
profittassero del disordine, in cui ritrovavasi la citt, e
rubassero le case de cittadini. Mancava il pretore, che senera
scappato, come si detto, al palagio reale, e poi travestito da
monaco, per quanto i vecchi ci hanno raccontato, si era ricoverato
nel monistero di s. Martino delle Scale, lungi sette miglia da
Palermo; e perci i consolati non aveano un capo, che potesse
destinarli alla difesa della citt. Fu dunque spediente di
affrettare il possesso del principe di Palagonia, e il vicer vi
acconsent. Vi venne egli ben tre volte, ma inutilmente; era cos
folto il popolo, che non vi era modo di entrare nella casa
senatoria. Ma Francesco Judica console de sarti, chera alla guardia
del banco, uomo destro, e manieroso, seppe cos bene introdursi
nellanimo di quei plebei, che finalmente venne a capo di farneli
allontanare. Sgombrato il palagio del senato dalla turba de
malcontenti fu chiamato alle ore tre della notte il nuovo pretore,
il quale dal presidente Giuseppe Fernandez de Medrano ottenne a
nome del vicer il possesso della carica {(3) Mongit. Diario di Pal.
t. II, p. 353, e 354.}.
Fremea di rabbia, e di rovella il maresciallo conte di Maon nel
vedersi impedito dalloperare, e dal mostrare il suo coraggio, e
quello delle agguerrite sue truppe; e facea vive istanze la stessa
notte al vicer, acci gli fosse permesso di opporsi a rivoltati; o
perch almeno se gli accordasse la licenza di poter saccheggiare il
quartiere dellAlbergaria, chera il meno forte, per intimorire il
resto degli abitanti. Si unirono alle di lui istanze quelle degli
altri maggiori uffiziali, che non lasciavano dimportunare il di lui
animo, perch vi consentisse. Erano eglino mossi in parte dallo
sdegno che nudrivano [461] contro i Palermitani, che aveano in mira
di allontanarli dalle loro mura; e in parte da un certo punto di
onore; giacch parea loro, non menando le mani in questa occasione,
dincorrere la infame nota di codardi, e di figliuoli della paura.
Il Balbases nondimeno stiede fermo nella sua risoluzione di non
adoprare la forza, e quindi pass la notte, senza che accadesse
verun sinistro, sebbene stasse il governo con molta sollecitudine;
e ci stanti le utili provvidenze date dal nuovo pretore.
Per quanto per il vicer fosse costante nello impedire che le
soldatesche adoprassero le armi contro i cittadini, non pot
nonostante non aderire a consigli di coloro che gli suggerirono,
che almeno si fortificasse nel regio palagio per la propria difesa.
Acconsent adunque che si rivolgessero contro la citt i cannoni de
due forti presso il medesimo palagio eretti lanno 1648 dal cardinal
Trivulzio, di cui si parl nel libro antecedente. La mattina perci
de 29 di maggio, sul far del giorno, furono trovate le artiglierie
de ridetti baluardi rivolte contro la citt, e gli artiglieri pronti
a dar fuoco, quando bisognasse. I consoli vedendo questa novit,
ordinarono, che i cannoni de due bastioni di Montalto, e della
Balata si appuntassero contro il regio palagio, comandando ai loro
artiglieri, che ad ogni menoma mozione, che facessero quei de due
fortini del palagio contro la citt, tempestassero senza
interruzione la casa viceregia, sino a ridurla in un mucchio di
sassi {(1) Mongitore Diario di Pal. pag. 354.}.
Crebbe lo sdegno de consoli sulle ore 14, quando videro entrare
per la Porta Nuova in citt la cavalleria, che si squadron innanzi
al regio palagio, stendendosi sino al seminario de cherici. Allora
Palermo fu nel maggiore iscompiglio; tutti i cittadini si armarono,
e si postarono alle bocche delle strade, che conducevano nel
Cassero, chera del pari pieno di gente armata. Molti di essi si
ritirarono nelle proprie case, che chiusero, e si posero alle
finestre, colle armi alle mani, per difendersi. Le botteghe tutte,
e le chies