7/15/2019 37 Poesie - Giuseppe Ungaretti http://slidepdf.com/reader/full/37-poesie-giuseppe-ungaretti 1/56 Giuseppe Ungaretti Nacque ad Alessandria d'Egitto nel 1888 da genitori lucchesi. Orfano di padre, fu cresciuto dalla madre tra molte difficoltà economiche. Nel 1912, compiuti gli studi medi, si iscrisse alla Sorbona a Parigi frequentò poeti e pittori d'avanguardia (da Apollinaire a Picasso, da Papini a Soffici a Palazzeschi). Interventista, partì volontario per il Carso: la trincea palesò la sua vocazione poetica. Sposato con Jeanne Dupoix, dal 1936 al '42 insegnò letteratura italiana all'università di San Paolo (Brasile). Nel 1939 morì il figlio Antonietto. Rientrato in Italia, ottenne, per "chiara fama", la cattedra di letteratura italiana contemporanea all'università di Roma. Si è spento a Milano nel 1970.
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A casa mia, in Egitto, dopo cena, recitato il rosario, mia
madre ci parlava di questi posti.La mia infanzia ne fu tutta meravigliata.La città ha un traffico timorato e fanatico.In queste mura non ci si sta che di passaggio.Qui la meta è partire.Mi sono seduto al fresco sulla porta dell'osteria con dellagente che mi parla di California come d'un suo podere.Mi scopro con terrore nei connotati di queste persone.Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene, il sangue dei mieimorti.Ho preso anch'io una zappa.
Nelle cosce fumanti della terra mi scopro a ridere.Addio desideri, nostalgie.
So di passato e d'avvenire quanto un uomo può saperne.Conosco ormai il mio destino, e la mia origine. Non mi rimane più nulla da profanare, nulla da sognare.Ho goduto di tutto, e sofferto.
Non mi rimane che rassegnarmi a morire.Alleverò dunque tranquillamente una prole.Quando un appetito maligno mi spingeva negli amori mortalilodavo la vita.Ora che considero, anch'io, l'amore come una garanzia dellaspecie, ho in vista la morte.
Ha una corona di freschi pensieri,Splende nell'acqua fiorita.
MERIGGIO
Le montagne si sono ridotte a deboli fumi e l'invadentedeserto formicola d'impazienze e anche il sonno turba e anchele statue si turbano.
SERA
Mente infiammandosi s'avvede ch'è nuda, il florido carnatonel mare fattosi verde bottiglia, non è più che madreperla.Quel moto di vergogna delle cose svela per un momento,dando ragione dell'umana malinconia, il consumarsi senzafine di tutto.
NOTTE
Tutto si è esteso, si è attenuato, si è confuso. Fischi di treni partiti.Ecco appare, non essendoci più testimoni, anche il mio veroviso, stanco e deluso.
A una proda ove sera era perenneDi anziane selve assorte, scese,E s'inoltròE lo richiamò rumore di penneCh'erasi sciolto dallo striduloBatticuore dell'acqua torrida,
E una larva (languivaE rifioriva) vide;Ritornato a salire videCh'era una ninfa e dormivaRitta abbracciata a un olmo.
In sé da simulacro a fiamma veraErrando, giunse a un prato oveL'ombra negli occhi s'addensavaDelle vergini comeSera appiè degli ulivi;Distillavano i ramiUna pioggia pigra di dardi,
Qua pecore s'erano appisolateSotto il liscio tepore,Altre brucavanoLa coltre luminosa;Le mani del pastore erano un vetroLevigato da fioca febbre.
Amore, mio giovine emblema,Tornato a dorare la terra,Diffuso entro il giorno rupestre,È l'ultima volta che miro(Appiè del botro, d'irruentiAcque sontuoso, d'antri
Funesto) la scia di luceChe pari alla tortora lamentosaSull'erba svagata si turba.
Amore, salute lucente,Mi pesano gli anni venturi.
Abbandonata la mazza fedele,Scivolerò nell'acqua buiaSenza rimpianto.
Morte, arido fiume...
Immemore sorella, morte,
L'uguale mi farai del sognoBaciandomi.
Avrò il tuo passo,Andrò senza lasciare impronta.
Mi darai il cuore immobile
D'un iddio, sarò innocente, Non avrò più pensieri né bontà.
Quando su ci si butta lei,Si fa d'un triste colore di rosaIl bel fogliame.
Strugge forre, beve fiumi,
Macina scogli, splende,È furia che s'ostina, è l'implacabile,Sparge spazio, acceca mete,È l'estate e nei secoliCon i suoi occhi calcinantiVa della terra spogliando lo scheletro.
«Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto...»E il volto già scomparsoMa gli occhi ancora viviDal guanciale volgeva alla finestra,E riempivano passeri la stanzaVerso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo...
2
Ora potrò baciare solo in sognoLe fiduciose mani...E discorro, lavoro,
Sono appena mutato, temo, fumo...Come si può ch'io regga a tanta notte?...
3
Mi porteranno gli anniChissà quali altri orrori,
Ma ti sentivo accanto,M'avresti consolato...
4
Mai, non saprete mai come m'illuminaL'ombra che mi si pone a lato, timida,
Non più furori reca a me l'estate, Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,Con le tue stolte glorie:Per uno spoglio desiderio, invernoDistende la stagione più clemente!...
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Già m'è nelle ossa scesaL'autunnale secchezza,Ma, protratto dalle ombre,Sopravviene infinitoUn demente fulgore:La tortura segreta del crepuscolo Inabissato...
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Rievocherò senza rimorso sempreUn'incantevole agonia dei sensi?Ascolta, cieco: «Un'anima è partitaDal comune castigo ancora illesa...».
Mi abbatterà meno di non più udiregridi vivi della sua purezzaChe di sentire quasi estinto in mefremito pauroso della colpa?
Agli abbagli che squillano dai vetriSquadra un riflesso alla tovaglia l'ombra,
Tornano al lustro labile d'un orcioGonfie ortensie dall'aiuola, un rondone ebbro,Il grattacielo in vampe delle nuvole,Sull'albero, saltelli d'un bimbetto...Inesauribile fragore di ondeSi dà che giunga allora nella stanzaE, alla fermezza inquieta d'una lineaAzzurra, ogni parete si dilegua...
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Fa dolce e forse qui vicino passiDicendo: «Questo sole e tanto spazioTi calmino. Nel puro vento udirePuoi il tempo camminare e la mia voce.Ho in me raccolto a poco a poco e chiusoLo slancio muto della tua speranza.Sono per te l'aurora e intatto giorno».
Mio fiume anche tu,Tevere fatale, Ora che notte già turbata scorre;Ora che persistenteE come a stento erotto dalla pietraUn gemito d'agnelli si propagaSmarrito per le strade esterrefatte;
Che di male l'attesa senza requie,Il peggiore dei mali,Che l'attesa di male imprevedibileIntralcia animo e passi;Che singhiozzi infiniti, a lungo rantoliAgghiacciano le case tane incerte;
Ora che scorre notte già straziata,Che ogni attimo spariscono di schiantoO temono l'offesa tanti segniGiunti, quasi divine forme, a splendere Per ascensione dimillenni umani; Ora che già sconvolta scorre notte, E quantoun uomo può patire imparo; Ora ora, mentre schiavo Ilmondo d'abissale pena soffoca; Ora che insopportabile il
tormento Si sfrena tra i fratelli in ira a morte;Ora che osano direLe mie blasfeme labbra:«Cristo, pensoso palpito,Perché la Tua bontàS'è tanto allontanata?»
Ora che pecorelle cogli agnelliSi sbandano stupite e, per le strade
Che già furono urbane, si desolano;Ora che prova un popoloDopo gli strappi dell'emigrazione,La stolta iniquitàDelle deportazioni;Ora che nelle fosseCon fantasia ritortaE mani spudorateDalle fattezze umane l'uomo laceraL'immagine divinaE pietà in grido si contrae di pietra;Ora che l'innocenzaReclama almeno un'eco,
E geme anche nel cuore più indurito;Ora che sono vani gli altri gridi;Vedo ora chiaro nella notte triste.Vedo ora nella notte triste, imparo,So che l'inferno s'apre sulla terraSu misura di quanto L'uomo si sottrae, folle,Alla purezza della Tua passione.
3
Fa piaga nel Tuo cuoreLa somma del doloreChe va spargendo sulla terra l'uomo;Il Tuo cuore è la sede appassionataDell'amore non vano.
Cristo, pensoso palpito,Astro incarnato nell'umane tenebre,Fratello che t'immoliPerennemente per riedificare
Umanamente l'uomo,Santo, Santo che soffri,Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,Santo, Santo che soffriPer liberare dalla morte i mortiE sorreggere noi infelici vivi,
D'un pianto solo mio non piango più,Ecco, Ti chiamo, Santo,Santo, Santo che soffri.
Dalla clessidra muto e va posandosi,E, fugaci, le impronte sul carnato,Sul carnato che muore, d'una nube...
Poi mano che rovescia la clessidra,Il ritorno per muoversi, di sabbia,Il farsi argentea tacito di nube
Ai primi brevi lividi dell'alba...
La mano in ombra la clessidra volse,E, di sabbia, il nonnulla che trascorreSilente, è unica cosa che ormai s'odaE, essendo udita, in buio non scompaia.
Nella povertà della notte, sola,Per me, solo, rifulgi, Nella mia solitudine rifulgi;Ma, per me, stellaChe mai non finirai d'illuminare,Un tempo ti è concesso troppo breve,Mi elargisci una luceChe la disperazione in me