2.1.5 LA COMBUSTIONE DI COMBUSTIBILI SOLIDI Fasi nella combustione del carbone La descrizione completa della combustione del carbone richiede la modellazione di almeno due fasi distinte: ⇒ la devolatilizzazione del carbone ⇒ l’ossidazione del residuo solido della devolatilizzazione (char). In realtà il fenomeno è ben più complesso, poiché coesistono diversi meccanismi la cui esistenza e durata sono funzioni del tipo di applicazione (letto fisso, fluido, trascinato). La fig.2.9 riporta uno schema rappresentativo del processo. Ogni step ha tempi e temperature caratteristiche che dipendono, oltre che dalle condizioni operative, anche dal combustibile usato. Di seguito si descriveranno i fenomeni caratteristici del carbone. Questi sono qualitativamente analoghi per tutti i tipi di combustibili solidi, anche se l’importanza relativa e le peculiarità di ciascuno step vanno trattati per lo specifico combustibile. Figura 2.9: schema dei meccanismi che possono avvenire durante la combustione di una singola particella di carbone
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2.1.5 LA COMBUSTIONE DI COMBUSTIBILI SOLIDI Fasi nella ... · 2.1.5 LA COMBUSTIONE DI COMBUSTIBILI SOLIDI ... come modello preliminare per ottimizzazioni successive o come confronto
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2.1.5 LA COMBUSTIONE DI COMBUSTIBILI SOLIDI
Fasi nella combustione del carbone
La descrizione completa della combustione del carbone richiede la modellazione di almeno due fasi distinte:
⇒ la devolatilizzazione del carbone
⇒ l’ossidazione del residuo solido della devolatilizzazione (char).
In realtà il fenomeno è ben più complesso, poiché coesistono diversi meccanismi la cui esistenza e durata
sono funzioni del tipo di applicazione (letto fisso, fluido, trascinato). La fig.2.9 riporta uno schema
rappresentativo del processo. Ogni step ha tempi e temperature caratteristiche che dipendono, oltre che
dalle condizioni operative, anche dal combustibile usato. Di seguito si descriveranno i fenomeni caratteristici
del carbone. Questi sono qualitativamente analoghi per tutti i tipi di combustibili solidi, anche se l’importanza
relativa e le peculiarità di ciascuno step vanno trattati per lo specifico combustibile.
Figura 2.9: schema dei meccanismi che possono avvenire durante la combustione di una singola particella di carbone
Devolatilizzazione
L’umidità viene rilasciata a bassa temperatura (intorno ai 100°C), mentre gas e tar (catrame, cioè prodotti a
maggiore peso molecolare, liquidi a temperatura ambiente ma gassosi alla temperatura di processo, ed
espulsi in fase vapore) sono rilasciati a temperature più elevate (dipendenti dal rango del carbone, ma in
ogni caso superiori ai 350-400°C).
La particella può subire cambiamenti strutturali svariati: può rammollire (softening), rigonfiare (swelling),
restringersi (shrinking), aumentare o diminuire la sua area superficiale e modificare la distribuzione
dimensionale dei pori.
Ciò che rimane dopo il processo di devolatilizzazione è il char; la particella di char è in genere molto porosa,
con caratteristiche che variano a seconda del carbone parente e delle condizioni di pirolisi.
Confronto delle immagini al microscopio elettronico di una particella di carbone tal quale e quella del char dopo
devolatilizzazione (ottenuta in un reattore a filamento, 1400°C, 20000°C/s)
La fase di devolatilizzazione è importante ai fini della combustione, per i seguenti motivi:
⇒ la devolatilizzazione controlla la distribuzione dei prodotti (gas, tar, char);
⇒ il tar che si forma contiene composti organici ossigenati o idrocarburi; il gas contiene CO2, CO, CH4,
H2 e idrocarburi leggeri; si forma anche acqua come prodotto di pirolisi; alle alte temperature di
combustione questi composti sono tutti volatili che tendono a degradarsi ulteriormente (con
formazione di gas leggeri per tar-cracking) o vanno verso l’ossidazione in fase omogenea;
⇒ il tar è la sorgente primaria della fuliggine (soot): controlla quindi lo scambio termico per
irraggiamento nella zona di fiamma dei volatili;
⇒ il char residuo risulta impoverito in ossigeno e idrogeno mentre ha un contenuto in carbonio più
elevato rispetto al carbone iniziale; la reazione eterogenea per la sua ossidazione è lo stadio lento
del processo, dipende dalla quantità e dalle caratteristiche (strutturali e morfologiche) del char
formatosi durante il processo di devolatilizzazione.
Di seguito si riportano i risultati di uno studio sulla singola devolatilizzazione di diversi carboni con le rese nei
macro-prodotti in funzione della temperatura e la speciazione della fase gassosa.
Comparison of coal pyrolysis product distributions at various temperatures from three independent investigators:for Suuberg et al. d=74-1000 µm, in helium, 102-104 atm, HR< 104 K/s;for Blair et al. d=500-600 µm, in helium/argon, 1 atm, HR =2-8 104 K/s;for Solomon and Colket, d> 100 µm, vacuum, 0.01 atm, HR < 103 K/s(HC = hydrocarbons, T = tar, L = liquids)
La devolatilizzazione è influenzata fortemente (per quanto riguarda la composizione e la resa relativa nei
prodotti, la cinetica globale e le temperature caratteristiche) dalla storia termica delle particelle (temperatura
del reattore e velocità di riscaldamento), dalle dimensioni e dalla natura del combustibile.
Esistono diversi approcci nella modellazione della devolatilizzazione. Il più semplice (che può essere usato
come modello preliminare per ottimizzazioni successive o come confronto fra materiali diversi) è il modello
SFOR (Single First Order Reaction model):
RTEeAk
VVkdtdV
/
)(
−
∞
⋅=
−=
con V∞ la quantità massima di volatili rilasciati nelle condizioni usate, k la costante cinetica espressa in forma
di Arrhenius. In questo caso si assume che l’intero processo sia approssimabile a un’unica reazione. In realtà,
la devolatilizzazione prevede la rottura pirolitica dei legami chimici che degradano la complessa struttura
organica del combustibile in composti via via più leggeri che, a seconda della loro natura e delle condizioni
termiche, sono rilasciati in fase vapore. Il processo è evidentemente molto complesso, ma si può
schematizzare come somma di un numero finito di reazioni in parallelo (modello DAEP somma di n modelli
del primordine) o di una distribuzione di reazioni con variazione infinitesima dei parametri cinetici (modello
DAEM – Distribution Activation Energy Model). Nel primo caso si può considerare il combustibile formato da
diversi macro-costituenti ognuno con specifici parametri cinetici del primordine. Questo modo di procedere si
adatta bene alla devolatilizzazione di biomasse costituite da cellulosa, emicellulosa e lignina. Questi tre
componenti chimici hanno reattività e proprietà specifiche (si veda la figura seguente che confronta la
devolatilizzazione dei 3 componenti in termobilancia) per cui la devolatilizzazione della biomassa si può
vedere come “somma pesata” della devolatilizzazione in base alla composizione chimica iniziale della
biomassa (su base d.a.f.):
YB = xcellYcell + xhemiYhemi + xlignYlign
dove con Y si indica la resa in volatili al generico istante t, x la frazione massiva dei componenti nella
biomassa iniziale; i pedici si riferiscono alla biomass (B) e ai componenti chimici.
0102030405060708090100
100 300 500 700 900T (°C)
W/W
0 (%
) dry
lignin
cellulose
xylan
TG devolatilization runs
Confronto della devolatilizzazione di cellulosa, emicellulosa (xylan) e lignina
Nel modello DAEM (applicabile ai carboni) si suppone che tutte le reazioni coinvolte nella devolatilizzazione
abbiano lo stesso fattore pre-esponenziale A, mentre differiscano per l’energia di attivazione secondo una
distribuzione Gaussiana con un’energia di attivazione media E0 e una deviazione standard σ:
∫∞ −
∞
∞ ⋅⋅∫
=−
0
)(0 dEEfeVVV
t
kdt
σπ
σ
⋅=
−−
2)(
2
20
2
)( EE
eEf
L’introduzione di un parametro in più rispetto al modello SFOR dà maggiore complicazione ma più
accuratezza al modello. Esistono poi modelli ancora più complessi che prevedono schemi di reazione più
dettagliati (con reazioni in serie, in parallelo, consecutive), approcci strutturali basati sull’analisi chimica del
combustibile solido (aromatic clusters, aliphatic bridges) oppure sulla composizione petrografia.
Immagini del rilascio di volatili da una particella (0.52-0.7 mg e 600-710 µm) di un carbone bituminoso durante la rapida
devolatilizzazione (1060 K/s) a diversi istanti e relativa rappresentazione della resa in volatili in funzione della temperatura
misurata (simboli: risultati sperimentali; curva tratteggiata: risultati del modello DAEM con V∞=43.45% del carbone
originale, A= 6.18x1010 s-1, E0= 234.8 kJ/mol e σ= 29.7 kJ/mol) [Ma et al. 2003 – Fuel Proc. Tech.]
Combustione dei volatili
I prodotti che si formano dalla devolatilizzazione sono molteplici: tar, idrocarburi, CO, CO2, idrogeno, vapor
d’acqua, HCN,…; questi prodotti reagiscono con l’ossigeno nelle vicinanze della particella di char,
aumentandone la temperatura e consumando ossigeno. Si forma una fiamma simile a quella che circonda le
gocce di un combustibile liquido che evapora (fiamma a diffusione). La nuvola di volatili che brucia intorno
alla particella solida evita che l’ossigeno possa raggiungere la superficie della particella e quindi previene
l’ossidazione eterogenea del solido.
La combustione dei volatili è molto veloce e quindi non è determinante ai fini della velocità globale del
processo, ma è importante per i seguenti motivi:
⇒ formazione di NOx;
⇒ formazione di fuliggine;
⇒ stabilità della fiamma;
⇒ ignizione del char.
L’approccio seguito per descrivere questa fase è quello di considerare reazioni globali di combustione che
portano a CO2 e acqua.
Immagini di fiamma di polverino di carbone con varie portate di carbone mantenendo fissa la portata di aria (2.32 kg/h)