12 La grammatica è dottrina ricevuta? 1. Da dove viene la grammatica scolastica? È ormai consolidato l'uso di parlare di 'grammatica tradizionale'. In effet- ti, questo termine comporta un'eccessiva semplificazione, in quanto con- trappone in modo estremamente sbilanciato la grammatica 'moderna' – qualunque cosa questo significhi esattamente: quella dell'ultimo secolo? – a tutta quella precedente, che ha avuto uno sviluppo di più di due mil- lenni. Inoltre, il pensiero grammaticale pre-moderno non è stato unifor- me, avendo conosciuto un continuo sviluppo nel tempo ed essendo pre- senti almeno due linee di pensiero diverse, una principalmente di tipo in- duttivo, l'altra di tipo deduttivo. Nel tempo non sono cambiate solo le concezioni e le pratiche, ma anche le motivazioni. Come molte altre discipline della cultura occidentale, anche la gram- matica (o la riflessione linguistica in senso lato) affonda le sue radici nel mondo greco; anzi, le fondamenta sono rimaste quelle ereditate dalla cultura greca. Tuttavia, è molto difficile attribuire con precisione e sicu- rezza ad agenti storici i singoli elementi della grammatica ricevuta. La ragione è in parte che si conosce poco delle concezioni linguistiche della Grecia presocratica, in parte che le attestazioni sono di difficile interpreta- zione, essendo il pensiero linguistico mescolato per molti secoli con quello filosofico (in particolare logico- epistemologico) e retorico; in parte, ancora, che si tratta spesso di concezioni approssimative, che possono essere considerevolmente diverse da come sarebbero state intese più tardi. La conseguenza è che è molto fa- cile sopravvalutare i contributi dei grandi filosofi greci, anche a causa della venerazione di cui ancora godo- no, o di fraintenderne il pensiero, retroattivando concezioni che sono state sviluppate molto più tardi. Le prime riflessioni grammaticali conosciute sono di provenienza filosofica, quindi collaterali: l'interesse primario per il linguaggio consisteva nel suo rapporto con la realtà. Ad Aristotele si deve la prima codifica- zione di una certa sistematicità, tripartita, degli elementi della frase conosciuti più tardi come 'parti del di- scorso', la distinzione tra soggetto e predicato (sebbene è dubbio che questi termini avessero il valore che hanno nella grammatica scolastica moderna) e le categorie flessive (caso, numero, genere, ecc.). La scuola filosofica che più si distinse per gli studi di grammatica (e in genere per l'interesse per il lin- guaggio) è quella stoica. La ragione sta nel fatto che gli stoici ritenevano che la conoscenza consistesse nella conformità delle idee con ciò che esiste realmente nel mondo. In altre parole, il linguaggio era visto come la base della logica. Su questa tradizione si innestò la Scuola Alessandrina, sebbene partisse da motivazioni molto diverse: il fine era quello di preservare la "vera" lingua greca (da loro identificata in quella dei poemi omerici) dalla corruzione. Questa scuola produsse nel II secolo a.C. le prime grammatiche greche sistemati- che: quella di Dionisio Trace (di particolare rilevanza per la morfologia) e quella di Apollonio Discolo (di particolare rilevanza per la sintassi), che furono il modello grammaticale per tutta l'antichità.
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La grammatica è dottrina ricevuta?
1. Da dove viene la grammatica scolastica?
È ormai consolidato l'uso di parlare di 'grammatica tradizionale'. In effet-
ti, questo termine comporta un'eccessiva semplificazione, in quanto con-
trappone in modo estremamente sbilanciato la grammatica 'moderna' –
qualunque cosa questo significhi esattamente: quella dell'ultimo secolo?
– a tutta quella precedente, che ha avuto uno sviluppo di più di due mil-
lenni. Inoltre, il pensiero grammaticale pre-moderno non è stato unifor-
me, avendo conosciuto un continuo sviluppo nel tempo ed essendo pre-
senti almeno due linee di pensiero diverse, una principalmente di tipo in-
duttivo, l'altra di tipo deduttivo. Nel tempo non sono cambiate solo le
concezioni e le pratiche, ma anche le motivazioni.
Come molte altre discipline della cultura occidentale, anche la gram-
matica (o la riflessione linguistica in senso lato) affonda le sue radici nel mondo greco; anzi, le fondamenta
sono rimaste quelle ereditate dalla cultura greca. Tuttavia, è molto difficile attribuire con precisione e sicu-
rezza ad agenti storici i singoli elementi della grammatica ricevuta. La ragione è in parte che si conosce poco
delle concezioni linguistiche della Grecia presocratica, in parte che le attestazioni sono di difficile interpreta-
zione, essendo il pensiero linguistico mescolato per molti secoli con quello filosofico (in particolare logico-
epistemologico) e retorico; in parte, ancora, che si tratta spesso di concezioni approssimative, che possono
essere considerevolmente diverse da come sarebbero state intese più tardi. La conseguenza è che è molto fa-
cile sopravvalutare i contributi dei grandi filosofi greci, anche a causa della venerazione di cui ancora godo-
no, o di fraintenderne il pensiero, retroattivando concezioni che sono state sviluppate molto più tardi.
Le prime riflessioni grammaticali conosciute sono di provenienza filosofica, quindi collaterali: l'interesse
primario per il linguaggio consisteva nel suo rapporto con la realtà. Ad Aristotele si deve la prima codifica-
zione di una certa sistematicità, tripartita, degli elementi della frase conosciuti più tardi come 'parti del di-
scorso', la distinzione tra soggetto e predicato (sebbene è dubbio che questi termini avessero il valore che
hanno nella grammatica scolastica moderna) e le categorie flessive (caso, numero, genere, ecc.).
La scuola filosofica che più si distinse per gli studi di grammatica (e in genere per l'interesse per il lin-
guaggio) è quella stoica. La ragione sta nel fatto che gli stoici ritenevano che la conoscenza consistesse nella
conformità delle idee con ciò che esiste realmente nel mondo. In altre parole, il linguaggio era visto come la
base della logica. Su questa tradizione si innestò la Scuola Alessandrina, sebbene partisse da motivazioni
molto diverse: il fine era quello di preservare la "vera" lingua greca (da loro identificata in quella dei poemi
omerici) dalla corruzione. Questa scuola produsse nel II secolo a.C. le prime grammatiche greche sistemati-
che: quella di Dionisio Trace (di particolare rilevanza per la morfologia) e quella di Apollonio Discolo (di
particolare rilevanza per la sintassi), che furono il modello grammaticale per tutta l'antichità.
Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici
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I grammatici romani imitarono i modelli greci con pochi adattamenti, quelli motivati dalle differenze tra
greco e latino, e li perfezionarono. Questa tradizione produsse qualche secolo più tardi le grammatiche di
Donato (c. 400 d.C.) e Prisciano (c. 500 d.C.), che – come le grammatiche alessandrine – prendevano come
modello la lingua latina dei classici. Queste grammatiche, in particolare quella di Prisciano, sono state alla
base della teoria, pratica e insegnamento scolastico della grammatica per tutto il medioevo (anche in virtù
dell'immensa importanza del latino nell'istruzione) e, indirettamente, fino ai giorni nostri.
Una linea di pensiero in parte divergente è quella che, a più riprese e con le dovute differenze, provenne
dall'area dell'Île de France, di carattere speculativo e universalista. La prima fase, intorno al XIII secolo, è
detta dei 'modisti', perché mirava ad accertare i modi del pensiero attraverso il linguaggio ed era di deriva-
zione aristotelica. Il termine 'speculativo' va inteso proprio in questo senso: le categorie linguistiche rispec-
chierebbero quelle della realtà. Si tratta, in altre parole, di un approccio di tipo deduttivo. Qualche secolo più
tardi (intorno al seconda metà del XVII secolo) questa linea di pensiero prese forma nella grammatica gene-
rale (o ragionata/razionale) di Port Royal, in cui 'generale' non ha nulla a che vedere col tentativo di scoprire
leggi universali che regolano tutte le lingue, ma nell'assunto che il linguaggio è prodotto dalla ragione e che
le differenze tra le lingue umane sono solo accidentali, variazioni di un sistema generale. Queste grammati-
che ebbero molto successo, specialmente in Francia, specialmente durante l'Illuminismo.
La grammatica che viene insegnata tradizionalmente nelle scuole dell'Occidente è il risultato di queste e-
sperienze linguistiche variegate, che hanno dato luogo a un sistema non necessariamente coerente né traspa-
rente. Una conseguenza è che non è facile, e a volte persino impossibile, stabile con ragionevole certezza a
quale scuola risalga uno specifico elemento del sistema. Un altro aspetto della questione è che questo sistema
viene tradizionalmente insegnato in modo acritico a scolari in età acritica: tipicamente, fino a qualche gene-
razione fa si insegnava a partire dalla seconda elementare, cominciando con l'analisi grammaticale, per pro-
seguire con l'analisi logica in IV elementare e l'analisi del periodo in V elementare (attualmente, quest'ulti-
ma si insegna normalmente a partire dalla I media). Tutti questi fattori contribuiscono all'idea largamente dif-
fusa che la grammatica sia una sorta di dottrina ricevuta, che non avrebbe senso discutere, meno che mai as-
soggettare a criteri di adeguatezza scientifica. Infatti, quasi unanimemente la grammatica non è considerata
una disciplina descrittiva, ergo falsificabile, ma prescrittiva, o comunque "data".
2. Natura della sintassi
Uno degli aspetti della grammatica tradizionale che più ha attirato le critiche
da parte dei linguisti contemporanei è la sua giustificazione delle categorie
linguistiche. Per capire questo, conviene partire da un assunto di base riguardo
alla natura della sintassi, che possiamo considerare assiomatico: la sintassi
consiste nei principi con cui le parole si combinano. La ragione di questa
enunciazione è che la sintassi, come si ricorderà, è un meccanismo che, a par-
tire da un numero limitato di parole, crea un numero illimitato di frasi. Inoltre,
grazie alla sua proprietà fondamentale, la ricorsività, è in grado di creare, in
linea di principio, frasi infinitamente lunghe, come avviene per i numeri. Questo comporta che l'apprendi-
mento di una lingua non consiste nella memorizzazione di tutte le frasi possibili (esattamente come non si
possono imparare a memoria tutti i numeri possibili). Non consiste nemmeno nella memorizzazione di sche-
mi, perché, in virtù della ricorsività, anche gli schemi sono infiniti.
Questo introduce la seguente domanda: secondo quali principi si combinano le parole? Il candidato imme-
diato, sulla base della pratica della grammatica tradizionale, è che il principio con cui le parole si combinano
è il significato, ovvero che una frase è grammaticale se ha senso. È facile mostrare che questo assunto è fal-
so. Si considerino le frasi seguenti:
a. ?Una virtù sta bevendo una pietra con lenta fretta.
b. *Fretta sta lenta con virtù una pietra una bevendo.
Nessuna delle frasi in (1) ha senso; tuttavia, mentre (a) è grammaticale (può essere pronunciata come una
frase normale, con un ritmo normale e un'intonazione normale), (b) non lo è (non c'è modo di assegnarle un
ritmo e un'intonazione normale). Eppure le parole che compongono (a) e (b) sono identiche. Se fosse il senso
che determina la grammaticalità, non ci sarebbe modo di capire la differenza di giudizio che le due frasi rac-
colgono. La differenza tra le due è che (a) non permette un'interpretazione ovvia del suo significato, mentre
(b) è un'insalata di parole. Si osservino, infatti, le frasi seguenti che, al contrario, sono formate da parole che
Marco Svolacchia
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insieme hanno perfettamente senso (le prime due risultano anche facilmente interpretabili) e che tuttavia ri-
sultano agrammaticali:
a. *Sembra Gianni contento. b. *Dove Gianni è andato? c. *Chi sei stato chiamato dopo che è arrivato?
A conferma di ciò, basta cambiarne l'ordine e le frasi diventano grammaticali:
a. Gianni sembra contento. b. Dove è andato Gianni? c. Sei stato chiamato dopo che è arrivato chi?
Della coppia di frasi sinonime in (1) sotto solo la prima è grammaticale: la presenza di 'di' in (b) la rende a-
grammaticale; al contrario, in (2) (b) risulta agrammaticale per l'assenza di 'di':
1. a. Gianni vuole andare al mare. b. *Gianni vuole di andare al mare.
2. a. Gianni ha voglia di andare al mare. b. *Gianni ha voglia andare al mare.
Conclusioni simili si possono trarre dal contrasto tra (a), una frase grammaticale, e (b), agrammaticale, in cui
manca il complemento diretto di 'catturò':
a. Un poliziotto catturò un ladro. b. *Un poliziotto catturò.
All'inverso, con un verbo come 'cammina' non è possibile aggiungere un complemento diretto:
a. Gianni cammina. b. *Gianni cammina la strada.
Come si vede, non è il senso delle parole che compongono una frase che ne determina la grammaticalità, ma
proprietà diverse, di natura formale (ordine delle parole, presenza di elementi grammaticali, ecc.). La conclu-
sione è che una frase è ben formata a prescindere dal senso delle parole che la compongono.
3. Sintassi e significato
Si noti che questo non significa che la sintassi non abbia nulla a che fare col significato.
Al contrario. Si osservino le frasi seguenti:
a. Un poliziotto catturò un ladro. b. Un ladro catturò un poliziotto.
La differenza di senso tra (a) e (b) non sta nelle parole che le compongono, ma nell'ordine delle stesse: in (a)
la posizione di soggetto della frase è occupata da 'poliziotto', in (b) da 'ladro'; questo determina una differen-
za di ruolo semantico nella frase ('chi fa qualcosa a chi').
Ancora, si consideri la frase Il bimbo mangia le fragole in giardino, che può essere ambiguamente inter-
pretata come in (a) o in (b):
1a. Il bimbo mangia le fragole che sono in giardino. 1b. Il bimbo mangia le fragole stando in giardino.
L'ambiguità di (1) non è di natura lessicale (i.e. non dipende dall'ambiguità di senso di una parola) ma sintat-
tica: l'elemento 'in giardino' si può "riferire" (il termine tecnico è 'ha portata su') sia al complemento di
'mangia' ('le fragole') sia all'intero predicato verbale 'mangia le fragole'. Il problema è che la grammatica tra-
dizionale, nello specifico 'l'analisi logica', non è in grado di render conto di questa ambiguità (e di un numero
infinito di frasi di questo tipo). Questo vuol dire che non solo non è in grado di spiegare la ragione di questa
ambiguità, ma nemmeno, banalmente, di descriverla. Per capire questo, si osservi come verrebbero analizza-
te le due possibili interpretazioni della frase:
a. Il bimbo mangia le fragole (che sono) in giardino. VERBO OGGETTO STATO IN LUOGO
SOGGETTO PREDICATO
b. Il bimbo mangia le fragole (stando) in giardino. VERBO OGGETTO STATO IN LUOGO
SOGGETTO PREDICATO
Come si vede, entrambe le interpretazioni vengono analizzate in modo identico. Questo risultato non è acci-
dentale né episodico, ma evidenza un limite intrinseco molto importante della grammatica scolastica (dell'a-
nalisi logica, nello specifico): essere debolmente relazionale. Che cosa significa esattamente 'relazionale'?
Un'analisi relazionale consiste nell'indicare la relazione di ciascun elemento con il resto degli elementi della
frase cui appartiene.
Perché l'analisi logica è relazionale? Perché indica la relazione che alcuni elementi della frase intrattengo-
no con altri. Gli esempi più chiari sono i complementi del verbo, come l'oggetto diretto e indiretto (è implici-
to che sono retti da un verbo, i.e. dipendono da un verbo), l'attributo (p.e. 'attributo del soggetto/oggetto',
ecc.), l'apposizione (p.e. 'apposizione del soggetto/oggetto', ecc.). Per quanto riguarda l'aggettivo, ad esem-
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pio, l'analisi logica non si limita a indicare che è un "attributo" (i.e. che si riferisce a/ha portata su un altro
elemento), ma specifica di quale elemento.
Perché l'analisi logica è debolmente relazionale? Perché non specifica la relazione di molti altri elementi,
in particolare dei complementi aggiunti (i.e. quei "complementi" che non dipendono dal verbo, i.e. che in re-
altà non sono affatto complementi) e degli avverbi. Proprio il primo caso è il lupus in fabula: l'incapacità da
parte dell'analisi logica di disambiguare una frase come in (1) sopra nasce proprio dall'incapacità di indicare
in quale relazione sia il complemento aggiunto col resto della frase. Un esempio di ambiguità di portata rela-
tiva a un avverbio è 'Luca ha deciso di andare al cinema tardi.', in cui l'avverbio può avere portata sia su 'an-
dare al cinema' (gli va di andare al cinema a uno degli ultimi spettacoli) sia su 'deciso di andare al cinema'
(si è deciso tardi ad andare al cinema, senza specificare a quale spettacolo).
Per capire in che cosa consista un'analisi sintattica pienamente relazionale si osservino le seguenti rappre-
sentazioni, che sono in forma di diagramma ad albero, il mezzo di rappresentazione più utilizzato nella sin-
tassi contemporanea, in cui (1a) rappresenta l'interpretazione le fragole che sono in giardino e in cui (1b)
rappresenta l'interpretazione mangia le fragole stando in giardino (il triangolo delimita le parole che fanno
parte del costituente indicato dall'indicatore sintagmatico (F = frase; SN = sintagma nominale; SV = sintagma
verbale; SP = sintagma preposizionale; V = verbo):
(1a) F
SN SV
V SN
SN SP
Il bimbo mangia le fragole in giardino
(1b) F
SN SV
SV SP
Il bimbo mangia le fragole in giardino
Si noti che la superiorità di questa analisi rispetto a quella tradizionale non dipende dalla tecnica rappresen-
tazionale (che pure ha la sua importanza, sebbene secondaria). Lo stesso risultato si può ottenere con le pa-
rentesi quadre, un'altra tecnica molto utilizzata:
1a. Il bimbo mangia [SN [SN le fragole] in giardino] 1b. Il bimbo [SV [SV mangia le fragole] in giardino]
Le due rappresentazioni sono perfettamente equivalenti, ma hanno tipicamente un uso diverso. Il diagramma
ad albero produce rappresentazioni più facili da decodificare, ma più difficili da codificare: richiede grafica e
molto spazio nel testo. Viceversa, le parentesi sono molto facili da codificare (si potrebbe utilizzare una
semplice macchina da scrivere) e occupano poco spazio nella pagina, ma sono difficili da decodificare; per
questo si utilizzano preferibilmente quando le strutture sono molto semplici o vengono rappresentate in mo-
do molto essenziale (come negli esempi sopra), pena l'illeggibilità.
Si noti che la frase ambigua di cui sopra non è una curiosità (o un'eccezione, per usare un termine tradizio-
nale), ma uno tra gli infiniti esempi che si possono fare. Si osservi a questo proposito l'esempio seguente,
'Piero accompagna una ragazza in bicicletta', anch'esso strutturalmente ambiguo tra le interpretazioni (a) e
(b):
2a. Piero accompagna una ragazza che è in bicicletta. 2b. Piero accompagna una ragazza e lo fa in bicicletta.
Anche in questo caso l'analisi logica non è in grado di render conto dell'ambiguità. Segue la rappresentazione
mediante un diagramma ad albero delle due strutture:
(2a) F
SN SV
V SN
SN SP
Piero accompagna una ragazza in bicicletta
(2b) F
SN SV
SV SP
Piero accompagna una ragazza in bicicletta
È importante notare che l'aggiunto 'in bicicletta' non può avere, in questa frase, portata sul soggetto (i.e. 'Pie-
ro, che ha la bicicletta, accompagna una ragazza'). Per rendersi conto di questo, si osservi il seguente esem-
pio, L'uomo osserva un bimbo con un cannocchiale, ancora ambiguo tra l'interpretazione (a) e (b):
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3a. L'uomo osserva un bimbo che ha un cannocchiale. 3b. L'uomo osserva un bimbo e lo fa con un cannocchiale.
Si confronti l'interpretazione (b) con la frase Un uomo con un cannocchiale osserva un bimbo, in cui l'ag-
giunto ha portata sul soggetto, rappresentata come segue:
(4) F
SN SV
SN SP
Un uomo con un cannocchiale osserva un bimbo
Questa frase, in effetti, è anch'essa ambigua, ma per ragioni diverse, potendo avere le interpretazioni seguen-
ti:
4a. L‟uomo ha un cannocchiale (in mano, appeso al collo, ecc.), ma non lo usa per osservare il bimbo.
4b. L‟uomo ha un cannocchiale e lo usa per osservare il bimbo.
L'interpretazione in (4b) equivale a quella in (3b), ma l'interpretazione in (4a) è impossibile in una frase co-
me (3) sopra, in cui l'aggiunto è adiacente all'oggetto.
Come si spiega questo fenomeno apparentemente misterioso? La risposta è semplice: quando l'aggiunto è
adiacente al soggetto ha portata sullo stesso. Questo significa che lo espande sintatticamente e nel contempo
ne restringe la referenza: la classe degli elementi a cui l'espressione 'un uomo con un cannocchiale' si può ri-
ferire è più ristretto della classe degli elementi a cui l'espressione 'un uomo' si può riferire (questa frase è ve-
ra se e solo se chi osserva un bimbo è un uomo col cannocchiale, non semplicemente un uomo). Pertanto, la
frase non dice nulla a proposito del fatto che l'uomo possa avere usato il cannocchiale per osservare il bimbo
o meno; dice solo che l'uomo ha un cannocchiale. Perché allora è possibile anche l'interpretazione in cui l'ag-
giunto sembra avere portata sul predicato (i.e. 'l'azione di osservare il bimbo è con un cannocchiale')? In real-
tà, l'ambiguità non è strutturale (l'aggiunto non può avere portata sul predicato in quella posizione), ma origi-
na dai meccanismi inferenziali: sappiamo che un uomo osserva un bambino e sappiamo che ha un cannoc-
chiale; traiamo allora l'inferenza che il cannocchiale venga utilizzato a quello scopo. A conferma di questo, si
osservi una frase strutturalmente equivalente, ma con un diverso elemento aggiunto al soggetto: 'Un uomo
con una cravatta osserva un bambino.' Questa frase può solo significare che un uomo ha una cravatta, non
che la utilizza per osservare il bimbo. Perché no? Perché in questo caso l'inferenza strumentale è esclusa,
perché sappiano che le cravatte non possono essere utilizzate per osservare. Piuttosto, l'inferenza che traiamo
in questo caso è che l'uomo indossi la cravatta (invece di portarla in mano, per esempio), perché sappiano
che normalmente le cravatte vengono indossate.
Il senso di questa discussione è che la struttura sintattica è responsabile dell'interpretazione semantica del-
le frasi, i.e. di come le parole si uniscono a comporre significati complessi. Ovviamente, questo non vale solo
per le frasi ambigue; tutt'altro. La ragione per cui si è partiti dalle frasi ambigue è solo per mostrare in modo
chiaro l'inadeguatezza della grammatica tradizionale. Gli stessi principi regolano tutte le strutture possibili.
Si prenda, ad esempio, una frase come la seguente, in cui compare un aggiunto: 'Gianni lesse un libro con la
copertina blu.' Su quale costituente ha portata l'aggiunto? Sembra ovvio che abbia portata sull'oggetto, come
la rappresentazione seguente illustra:
F
SN SV
V SN
SN SP
Gianni lesse un libro con la copertina blu
F
SN SV
SV SP
V SN
Gianni lesse un libro con grande piacere
Si noti, tuttavia, che la struttura di cui sopra è identica a quelle precedenti (un aggiunto che segue un com-
plemento oggetto): perché allora non è ambigua? In realtà, è ambigua, esattamente come le precedenti. La
differenza è che l'interpretazione basata sull'aggiunto che ha portata sul predicato è pragmaticamente strana,
perché è difficile, sebbene non impossibile, dare dell'aggiunto un'interpretazione strumentale: 'Gianni lesse
un libro con indosso una copertina blu'. All'inverso, a una frase come 'Gianni lesse un libro con grande piace-
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re' è essenzialmente impossibile assegnare l'interpretazione in cui l'aggiunto, 'con grande piacere', abbia por-
tata sull'oggetto (i.e. 'un libro del tipo grande piacere'); pertanto, l'interpretazione risulta strumentale.
Come si vede, l'interpretazione di una frase è anche guidata da considerazioni pragmatico-inferenziali, che
fanno sì che un'interpretazione sintatticamente possibile venga scartata (o sfavorita) sulla base delle nostre
conoscenze del mondo e dei meccanismi inferenziali che a esse si applicano per interpretare l'implicito.
Analoghe considerazioni valgono per qualsiasi struttura in cui ricorrono almeno due costituenti su cui un
aggiunto possa avere portata. Ad esempio, un sintagma nominale come '(un) libro di favole di Grimm' è in-
terpretato secondo la seguente struttura, (a), in base al fatto che il lettore/ascoltatore sa che Grimm è un auto-
re di fiabe (non il proprietario o l'autore del libro):
a. SN
SN SP
P SN
SN SP
libro di favole di Grimm
b. SN
SN SP
libro di favole di Pierino
Viceversa, un sintagma come '(un) libro di favole di Pierino' viene normalmente interpretato come sopra, (b),
in cui Pierino è il proprietario del libro, non l'autore.
L'ambiguità di portata degli aggiunti non si limita ai casi presi in esame, in cui i costituenti su cui si può
estendere la portata sono un complemento o l'intero predicato (i.e. il sintagma verbale). Un'altra classe molto
comune di frasi strutturalmente ambigue è quella che contiene una coordinazione, come nel sintagma 'una
ragazza e una signora col cappellino', che può corrispondere alle seguenti due strutture:
a. una ragazza e [SN [SN una signora] col cappellino] b. [SN [SN una ragazza e una signora] col cappellino]
La conclusione di questa lunga discussione è che la sintassi ha in effetti molto a che vedere col significato,
non nel senso che dipende dal significato delle parole (si possono produrre frasi senza senso ma perfettamen-
te grammaticali, e viceversa), ma nel senso che essa regola l'interpretazione semantica della frase, unendo
significati semplici (le parole e i morfemi grammaticali) per creare significati complessi (le frasi). In sintesi,
la sintassi consiste nei principi con cui le parole si combinano e compongono il significato.
Resta da spiegare da dove origini l'ambiguità di portata e perché la grammatica tradizionale è incapace di
renderne conto, in altre parole perché è solo debolmente relazionale.
4. Architettura della frase
Per rispondere alla prima domanda è necessario prendere in considerazione l'architettura generale della frase
e i meccanismi che ne sono alla base. Si prenda una frase complessa come „Mio fratello vuole che Maria va-
da a casa sua‟ e si consideri come viene analizzata dalla grammatica scolastica. La prima osservazione è che
si tratta di un sistema tripartito. Si comincia con l'analisi grammaticale (la tecnica rappresentazionale scelta
per ragioni di chiarezza, una tabella, sebbene non sia tradizionalmente utilizzata nella grammatica scolastica,
è concettualmente equivalente a quelle più informali in uso nella pratica scolastica; le righe inferiori sono re-
lative alla sottocategorizzazione degli elementi):
Mio fratello vuole che Maria vada a casa sua AGG. NOME VERBO CONG. NOME VERBO PREP. NOME AGG.
POSS.
SING. MASC.
SING. MASC.
TRANS.
3 P. SING. PRES. IND.
PROPRIO
SING. FEM.
INTRANS.
MOVIMENTO
COMUNE
SING. FEM.
POSS.
SING. FEM.
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Poi è la volta dell'analisi logica:
Mio fratello vuole che Maria vada a Casa sua VERBO COMPLEMENTO
MOTO A LUOGO
? SOGG. PREDICATO VERBALE
ATTRIBUTO DEL SOGG. SOGGETTO VERBO COMPLEMENTO
SOGGETTO PREDICATO VERBALE
Infine, dell'analisi del periodo:
Mio fratello vuole che Maria vada a casa sua FRASE PRINCIPALE (INDIPENDENTE) FRASE SECONDARIA (DIPENDENTE)
DICHIARATIVA
AFFERMATIVA
DICHIARATIVA
AFFERMATIVA
OGGETTIVA
Perché tre livelli? Per quanto possa sembrare sorprendente, se si considera la questione senza pregiudizi,
nell'insegnamento scolastico questo non viene spiegato. Quello che si intuisce è che l'analisi grammaticale
analizza singole parole (assegnando ciascuna di esse a una specifica classe sintattica, dotata di proprietà che
sono alla base delle proprie possibilità combinatorie), l'analisi logica analizza gruppi di parole (che gravitano
intorno a una parola principale), l'analisi del periodo analizza frasi ('proposizioni'). Tuttavia, sebbene questo
non corrisponda alla pratica tradizionale (fatto che parla da sé), nulla vieta di accorpare le tre analisi in un'a-
nalisi globale, in cui ciascun 'periodo' viene analizzato a partire dagli elementi maggiori fino a quelli minimi
(o viceversa), come la tabella seguente mostra:
Mio fratello vuole che Maria vada a Casa sua AGG. NOME VERBO CONG. NOME VERBO PREP. NOME AGG.
“VERBO” COMPLEMENTO
? SOGG. PREDICATO (VERBALE)
ATTRIBUTO SOGGETTO “VERBO” COMPLEMENTO
“SOGGETTO” PREDICATO (VERBALE)
FRASE PRINCIPALE (INDIP.) FRASE SECONDARIA (DIP.)
Da questo punto di vista, la grammatica tradizionale potrebbe essere equivalente alla teoria sintattica con-
temporanea, come la rappresentazione seguente mostra (la natura dell'elemento contrassegnato da '?', la cui
spiegazione richiederebbe troppo spazio, non verrà qui considerato perché irrilevante):
F
SN SV Det N V ? ? F SN SV V SP P SN
N Det
Mio fratello vuole che Maria vada a casa sua
Non c'è alcuna ragione per partizionare la costruzione della frase in tre fasi diverse. Una frase come 'Un poli-
ziotto catturò un ladro davanti a casa mia.' può essere uniformemente scomposta in unità vieppiù piccole (l'e-
lemento che viene ulteriormente analizzato è quello a destra; S = sintagma; P = parola), come segue:
a. [S un poliziotto] [S catturò un ladro davanti a casa mia].
b. [S catturò un ladro] [S davanti a casa mia]
c. [P davanti] [S a casa mia]
d. [P a] [S casa mia]
e. [P casa] [P mia]
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Come si vede, le frasi sono formate da sintagmi e i sintagmi sono formati da parole. Tuttavia, non c'è nessu-
na barriera tra gli elementi, qualunque sia il loro rango. C'è un'altra ragione più profonda, oltre che la sempli-
cità formale, per rifiutare la tripartizione della grammatica tradizionale. In realtà le due rappresentazioni –
quella della tabella e quella a diagramma ad albero – sono molto diverse: mentre l'analisi tradizionale è line-
are – gli elementi (parole, sintagmi, proposizioni) si succedono semplicemente l'uno con l'altro – la rappre-
sentazione di cui sopra è invece gerarchica e ricorsiva. È gerarchica perché molti elementi non seguono gli
altri, ma sono contenuti negli altri. Il termine che si usa è incassati (da 'cassa', i.e. inscatolati). In effetti, la
sintassi delle lingue umane funziona un po' come le scatole cinesi, in cui ogni scatola è contenuta da un'altra.
Pertanto, se è vero che, in ultima analisi, le frasi sono fatte di sintagmi e i sintagmi di parole, non è vero che
le frasi vengono costruite prima unendo le parole in sintagmi, poi i sintagmi in proposizioni, infine le propo-
sizioni in "periodi". Invece, parole, sintagmi e frasi ('proposizioni', se si preferisce) si succedono senza solu-
zione di continuità: nell'esempio di cui sopra, il SV è formato da una parola, il verbo, più una frase intera
(che ha la stessa struttura di quella principale), non una parola. Questo è proprio una manifestazione della ri-
corsività di incassamento (senza il quale sarebbe possibile solo una ricorsività banale, di coordinazione: p.e.,
'Maria è simpatica e intelligente e vivace e...').
Per amore di chiarezza, si riconsideri l'esempio già visto di frase complessa. Secondo la grammatica tra-
dizionale verrebbe analizzata come segue, in cui i numeri esprimono la successione delle due proposizioni:
1 2
Mio fratello vuole che Maria vada a casa sua
FRASE PRINCIPALE FRASE SECONDARIA
Nella sintassi contemporanea la stessa verrebbe analizzata come segue:
[F [SN Mio fratello] [SV vuole [F che Maria vada a casa sua]]]
Si considerino anche le rappresentazioni seguenti (con parentesi la prima, con un diagramma ad albero la se-
conda), in cui è stata resa più perspicua la struttura incassata della frase per finalità didattiche (per semplicità,
ci siamo limitati ad evidenziare gli elementi più interessanti):
F [SN Mio fratello] SV vuole F che Maria vada a casa sua
F
SN SV Det N V ? ? F SN SV V SP P SN
N Det
Mio fratello vuole che Maria vada a casa sua
Come si vede, non esiste una proposizione 'Mio fratello vuole'; la frase principale è l'intera frase 'Mio fratello
vuole che Maria vada a casa sua‟, all'interno della quale è incassata la frase subordinata 'che Maria vada a ca-
sa sua‟. In altre parole, nell'analisi tradizionale la nozione di proposizione principale è sinonima di proposi-
zione indipendente. Si tratta di un errore grossolano: è facile dimostrare che una proposizione principale non
è necessariamente indipendente. Proprio la frase sopra ne fornisce un esempio: 'Mio fratello vuole' non è af-
fatto indipendente. La ragione è semplicemente che non è una "proposizione", i.e. una frase; infatti, è eviden-
te che è incompleta; la frase secondaria non segue la frase principale: è inscatolata ('incassata') nella stessa
(o, meglio, è incassata nel predicato, il SV, della frase principale, il quale a sua volta è incassato nella frase
principale). Viceversa, nella frase 'Luca mangia mentre guarda la TV.', la frase principale, 'Luca mangia', è
Marco Svolacchia
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indipendente, perché completa (la ragione di questo contrasto, il senso di 'frase completa', diventerà chiaro
più avanti): [F [F Luca mangia] mentre guarda la TV].
L'incassamento degli elementi gli uni negli altri non è una proprietà specifica delle frasi, ma di qualsiasi
costituente. Si ricordi il caso degli 'aggiunti', che espandono un elemento delle frase:
F
SN SV
V SN
SN SP
Gianni lesse un libro con la copertina blu
Come si vede, la "scatola" dell'aggiunto 'con la copertina blu' si aggiunge a quella del complemento, venendo
a formare una scatola più grande, quella del complemento espanso (un 'libro con la copertina blu' è un'espan-
sione di un 'libro'; al tempo stesso, è più restrittivo: la frase è vera se e solo se il libro che Gianni lesse aveva
la copertina blu, non semplicemente se fosse un libro).
Resta da spiegare perché l'incassamento è una configurazione così tipica della sintassi delle lingue umane.
La risposta è che esso deriva dal meccanismo combinatorio fondamentale della sintassi, che consiste nell'u-
nire due elementi alla volta ricorsivamente. La prima proprietà prevede solo combinazioni binarie: sono
escluse combinazioni di più di due elementi. Ad esempio, un'espressione come 'tornare a casa subito' si ottie-