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IL JAZZ: storia di eroi
11 -Charles Mingus Jr.-
Nogales (Arizona), 22 aprile
1922 – Cuernavaca
(Messico), 5 gennaio 1979
Forse più di qualunque
altro jazzista, per Mingus si può
dire che la sua musica è
assolutamente e
completamente autobiografica.
Le componenti caratteriali,
passionali e il suo orgoglio
negro, sono la sua musa
ispiratrice: densa di una
passione istintiva, primordiale, quasi animalesca.
Uomo dalle passioni estreme, ha consegnato al suo fare musica, la
missione del riscatto personale, di una razza, dell’artista ghettizzato e
incompreso, in uno slancio perennemente al limite della paranoia e
dell’esagerazione estrema. Il suo caro amico e sodale dal punto di
vista culturale e intellettuale, Max Roach ha detto di lui (a ragione)
che aveva attitudine al “drammatico”.
Charles Mingus non era un maestro di diplomazia, mai ha rinunciato a
dire quello che pensava e all’agire di conseguenza. Non metteva in
conto le perdite che potevano derivarne, sia in termini professionali (i
contratti stracciati, l’aperto boicottaggio degli impresari musicali, le
liti furibonde con i suoi stessi musicisti), sia nelle relazioni personali
anche se, la sua profonda umanità non lo ha mai veramente
allontanato da nessuno, anzi. Mingus uomo e musicista è stata una
contraddizione vivente, un coacervo di personalità che va oltre una
“normale doppiezza”.
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E’ lui stesso che lo racconta nella propria autobiografia, in una seduta
con lo psicologo. -In altre parole io sono tre. Il primo, sempre nel
mezzo, osserva tutto con fare tranquillo, impassibile, e aspetta di
poterlo raccontare agli altri due. Il secondo è come un animale
spaventato che attacca per paura di essere attaccato. Il terzo infine è
una persona gentile, traboccante d’amore che lascia entrare gli altri
nel sancta sanctorum del proprio essere e si fa insultare e si fida di
tutti e firma contratti senza leggerli e accetta di lavorare per pochi
soldi o anche gratis, e quando si accorge di cosa gli hanno fatto gli
viene voglia di uccidere e distrugge tutto quello che gli sta intorno
compreso se stesso per punirsi per essere stato così stupido (1).
Mingus parrebbe essere uno dei pochi cognomi di discendenza
africana, anche se potrebbe essere quello ereditato da suo nonno
Daniel (questo succedeva a tutti gli schiavi neri) direttamente dai
padroni bianchi di origine tedesca ai primi dell’ottocento (Stefano
Zenni in- Charles Mingus -Stampa Alternativa 2002). Comunque
anche a prescindere da una ipotetica purezza del nome, certo è che
non corrispondeva la purezza della razza. Il padre Charles Mingus Sr.
-era infatti figlio di un nero e di una svedese, ed era grigio come il
caucasico più pallido dagli occhi nocciola e i capelli color sabbia. La
madre, invece, era di sangue cinese e pellerossa. Cosicché Mingus
era un mulatto, un negro pallido tendente al giallo, risultato dei
molteplici incroci. Una posizione decisamente infelice nella società
americana di allora (2). Il giovane Mingus ebbe testimonianza diretta
di questa sua difficile posizione quando si sentì apostrofare da alcuni
ragazzini messicani con il termine “negro”; ancor di più qualche anno
dopo quando, con il violoncello sottobraccio uscendo dalle prove, un
gruppo di adolescenti neri lo apostrofò chiamandolo con disprezzo
“negro, mezzo-giallo color merda”.
In questo periodo, siamo intorno al 1933-34, nel sobborgo nero di
Los Angeles, Watts, dove abitava Charles, gli episodi di razzismo
erano all’ordine del giorno, era la normalità, brutale e quotidiana. Era
anche l’incubazione di una sorta di bomba sociale innescata, che
culminerà nel 1965 con la rivolta del ghetto nero e la conseguente
repressione della polizia, tra le più violente mai verificatesi in
America.
Tra gli elementi che peseranno sulla personalità di Mingus, la
formazione adolescenziale avrà un posto determinante. Egli, per la
condizione della sua pelle, vivrà una duplice esclusione sociale. Se da
un lato la comunità bianca, a cui il padre despota spingeva i figli, lo
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rifiutava in quanto nero (basta un solo avo nero) anche se di pelle
chiara; la comunità nera del ghetto lo scansava perché borghese e
per la pelle chiara.
Non per nulla il titolo della sua autobiografia, “Peggio di un bastardo”,
riassumerà al contempo una condizione e un celato senso di
frustrazione di una persona di grandissima umanità e genialità
artistica, che si sente sola e quasi inascoltata. Certo rispetto ai fatti
descritti, l’alone paranoico e vittimistico che si costruisce attorno
Charles Mingus, abbonda sul piano dei fatti che vi si narrano, ma
sicuramente si può dire che sul piano emotivo la realtà fosse proprio
quella.
Crescendo e anche affermandosi sul piano artistico, Mingus reagì a
questa sua condizione, come abbiamo accennato, con impeti di rabbia
violenta e autodistruttiva e con gesti clamorosi. Sono innumerevoli i
fatti che lo vedono protagonista di alterchi sul palcoscenico con
qualche suo musicista che non suonava come lui voleva. E’ capitato
che addirittura interrompesse il brano a metà e lasciasse il palco, non
senza aver apostrofato il malcapitato di turno. Oppure le sue violente
liti con i proprietari dei locali che pretendevano una musica a
“misura” dei loro clienti, o che con una scusa qualsiasi “tiravano” il
prezzo concordato; non si faceva intimorire Mingus e parte degli
arredi del club andavano immediatamente fuori uso.
Anche chi, come Leonard Feather critico musicale e organizzatore,
conosceva e apprezzava le sue capacità artistiche, si dovette
arrendere al carattere rissoso e paranoico di Mingus, rifiutandosi ad
un certo punto di interessarsi della sua musica e di organizzargli i
concerti. Ma Charles Mingus era anche uomo profondamente solo e di
questa sua grande solitudine aveva molta paura. Continuamente alla
ricerca di chi sapesse ascoltarlo e gli mostrasse comprensione, trovò
in Nat Hentoff, anche lui come Feather grande critico musicale, una
sponda amicale sincera e profonda, a cui Mingus restò legato per
lungo tempo. Sapeva essere generoso Charles con quanti sentiva che
poteva fidarsi e onestamente sapevano comprenderlo sino in fondo.
Uno dei pochi musicisti a cui si legò (l’altro fu Dannie Richmond) in
modo profondo e denso di ammirazione anche per la statura umana
dell’uomo, fu Eric Dolphy, straordinario sassofonista e clarinettista,
morto giovanissimo (36 anni) di diabete. Dolphy fu personaggio
schivo e austero, dotato di una straordinaria tecnica strumentale e di
qualità compositiva di non poco rilievo, fu a fianco di Mingus in tante
indimenticabili performance concertistiche in America e soprattutto in
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Europa. Per certi versi restano indimenticabili le loro esibizioni al
Festival Jazz di Juan les Pins ad Antibes e poi a Parigi nel 1964.
Charles Mingus come lo era nella vita, un originale, lo è stato
anche nella sua arte. La sua musica non ha fatto scuola, perché era
inimitabile, pur essendo riconoscibilissima la fonte a cui Mingus si
rifaceva. In musica è stato uno straordinario conservatore-
rivoluzionario, se l’ossimoro non spaventa, ma è difficile trovare un
altro termine per dire della caratteristica di fondo della sua musica. Il
blues, la tradizione di New Orleans e della Chiesa negra,
l’ammirazione mai cessata per Duke Ellington, la folgorazione del
genio Parkeriano, furono i suoi costanti riferimenti di fondo.
Eppure tutto quello che ha composto è riconoscibilissimo per
originalità e caratteristiche uniche; non ricalca Mingus, elabora con
passione e con intenti di fondo che si spingono ben oltre la musica
stessa. Quasi non esiste una composizione di Charles Mingus, che
non abbia un suo substrato politico e sociale, ma anche psicologico. Il
contrabbassista e l’uomo Mingus sono inscindibili e quando non è
direttamente lui a intervenire nelle note di copertina, demanda il
compito al suo psicologo, dottor Pollock. Ma Charles Mingus non si
limita ad esplicitare il suo pensiero militante con le note e le poesie
che accompagnano i suoi dischi. La sua rabbia esplode nelle
composizioni, nell’inventiva ironica e tagliente contro il governatore
razzista dell’Arkansas Faubus. Il suo riflettere sulle condizioni
dell’uomo moderno, le ritroviamo nel brano Pithecanthropus Erectus,
che poi da il titolo all’album stesso, composto quasi fosse una breve
suite, descrive in quattro movimenti -in cui si ripercorrono le tappe
dell’evoluzione dell’uomo, condannato a un ineluttabile declino dalla
sua superbia: il complesso di superiorità che si impadronì di lui dal
momento in cui egli assunse, in mezzo agli altri animali, la posizione
eretta-(3). Evolution/Superiority-Complex/Decline/Destruction.
Charles Mingus rimase estraneo alla influenza del Free,
nonostante ne anticipò, per certi versi, alcune caratteristiche come
l’amore per le improvvisazioni collettive e ancor di più per quella
musica quasi gridata e densa di una feroce invettiva sociale. Il suo
Pithecantrhopus Erectus è del 1956, Ornette Coleman arriva con
l’album manifesto Free Jazz nel 1960; mentre per il Bop, Mingus
arrivò quasi alla fine. Fu uno dei protagonisti di quell’evento, che nel
1953 a Toronto, fu da tutti concordemente considerato il canto del
cigno del Be Bop. Quindi Mingus si propone come musicista che
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difficilmente può essere confinato nella cerchia di un genere o di un
movimento jazzistico definito.
Si potrebbe dire, con una qualche forzatura, che dal punto di vista
filologico, la sua opera si pone come cerniera tra il Bop e il Free, ma
distinguendosi con una propria peculiare originalità.
La sua personalità difficile, scontrosa e al limite dell’aggressività, dai
modi irruenti e quasi violenti, era un tutt’uno con l’altra generosa e
dolcissima, bisognosa d’amore e di considerazione, lo portò a
sperimentare con audacia e genialità una sua personale ricerca
musicale, un suo modo di comporre e concepire la musica quasi come
una sorta di missione.
Anche nella metodologia delle esecuzioni, Charles Mingus aveva una
sua particolare forma: acquisita una piena consapevolezza di
bandleader e compositore, Mingus si limitava ad una informazione
generale sulle caratteristiche fondamentale della sua composizione.
Ne delineava il tema al pianoforte, lasciando ampio spazio per
l’improvvisazione dei suoi musicisti. La questione fondamentale per
lui rimaneva quella, si potrebbe dire, dell’animus del brano stesso,
del “sentimento” che diventava il collante per le individualità dei
componenti del gruppo stesso. Mingus lasciava totale libertà ai suoi
musicisti, nel senso che ognuno poteva esprimersi al massimo delle
proprie capacità e al contempo sentirsi interprete di un disegno
artistico totalmente svincolato dalle classiche convenzioni stabilite a
priori.
Il valore di Charles Mingus compositore e innovatore lo ritroviamo a
metà degli anni cinquanta quando nel già citato Pithecantropus
Erectus, racconta il cammino evolutivo dell’uomo, concependo il
brano con tinte fortemente espressioniste, dove le atmosfere
melodiche cambiano bruscamente e la libertà espressiva del gruppo
anticipa alcuni tratti caratteristici del Free Jazz. Ancora di quel
periodo è la trasfigurazione in chiave descrittiva, che rimanda alle
suggestioni del “caos” metropolitano, della romantica canzone A
foggy day di Gershwin. Le sirene dei battelli, i fischietti dei poliziotti,
rumori di ogni genere che il passante incontra quotidianamente nella
grande metropoli avvolta dalla nebbia, sono i componenti di un
quadro musicale modernissimo che raffigura la San Francisco vista
dagli occhi visionari e futuristi di Charles Mingus.
Per certi versi si può dire che Charles Mingus affidava al suo
fare musica un compito che andava ben oltre le cose terrene, per
spingersi in un territorio esoterico e mistico, quasi si sentisse
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investito di una missione spirituale. Più chiaramente Mingus,
attraverso la sua musica, praticava una sorta di rivalsa artistica
verso quelle che a lui parevano forme di ingiustizia perpetuate
dall’uomo bianco, di cui si sentiva vittima.
In verità Charles Mingus era uomo di acuta intelligenza e di fine
intelletto a cui non sfuggiva la propria condizione di dissociato, e
proprio per questa sua amara consapevolezza, anche quando nessuno
più metteva in discussione la sua statura di musicista, ebbe la
necessità di capire, conoscere e tentare di guarire da una sorte di
perenne angoscia esistenziale che lo accompagnava sino da bambino.
Non può spiegarsi altrimenti il suo volontario ricovero nell’ospedale
psichiatrico di New York, permeata certo da un –impudico
esibizionismo che gli era caratteristico, ha voluto lui stesso fornire al
largo pubblico la chiave per penetrare nella sua psiche turbata -(4).
Charles Mingus nasce a
Nogales, nell’Arizona, il 22 aprile
del 1922. Sua madre Hariett,
muore qualche mese dopo, il
padre si risposa abbastanza
presto e il giovane Charles
crescerà con la matrigna che
chiamerà sempre “mama”.
Non ha ancora un anno Charles
quando il padre, che faceva il
capomastro, trovato un impiego
presso l’ufficio postale di Los
Angeles, si trasferisce con tutta la
famiglia nel ghetto nero di Watts
di quella grande città. Charles ha due sorelle maggiori, Vivian e Grace
e un fratellastro, Odell Carson, tutti e tre sono musicisti: Vivian suona
il pianoforte, Grace il violino e Odell, la chitarra. Ebbe quindi la
fortuna, il piccolo Charles di ritrovarsi circondato dalla musica sin
dalla più piccola età. Questo era dovuto al fatto che il padre, aveva
inculcato nei figli che una sana educazione borghese attraverso la
musica, naturalmente quella classica, fosse il giusto viatico per
l’accettazione sociale nella comunità bianca. Per Charles fu scelto il
trombone, ma dopo svariati tentativi di approccio, vuoi per la
grossolanità, per un bambino piccolo, di quello strumento, sia per
altrettanti equivoci con il suo insegnante, viene abbandonato e al suo
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posto subentra il violoncello. Dopo un qualche periodo in cui imparò a
strimpellare qualcosa con quel nuovo strumento, assieme alle sorelle
costituisce un trio che accompagna le funzioni religiose che si
tenevano nella chiesa metodista del quartiere.
In quel periodo la radio era il mezzo con cui oltre alle notizie generali,
si poteva sentire anche la musica. Il giovane Charles una sera sentì
attraverso quello strumento, una musica particolare, a suonarla una
grande orchestra: era jazz, l’orchestra quella di Duke Ellington.
Rimase folgorato Mingus, per lui una sorta di rivelazione, che nel
tempo si trasformerà in ammirazione e ispirazione artistica continua.
Ma la musica “nera” in qualche modo faceva già parte del mondo del
giovane Mingus, egli aveva avuto occasione con la matrigna, di
frequentare anche la Holiness Church, dove per la prima volta egli
ebbe modo di incontrare i gospel e il blues e quindi rimanere colpito
da quel trasporto quasi primitivo e selvaggio con cui la comunità
seguiva gli incitamenti del predicatore di turno.
Ricordi forti per il giovane Charles, mai scorderà quella atmosfera e il
corale sentimento che pervadeva la comunità di credenti; più di una
sua composizione, anche tra le più notevoli, valga per tutte la
straordinaria Better giti t in your soul, riprenderà quel mistico clima di
passione e preghiera.
Quando, all’età di quindici anni, Charles si iscrive alla Jordan
High School, trova subito posto nell’orchestra sinfonica, dove nella
sezione violini, già suona la sorella Grace. Non sarà un buon periodo
questo per il giovane Mingus: conoscerà ancora una volta il clima di
emarginazione e di scherno ad opera dei compagni più grandi di lui.
Non veniva accettato per il colore “non deciso” della sua pelle: non
completamente bianco, né totalmente nero. Pervaso da un forte
sentimento di frustrazione, il giovane Charles arrivò persino a lisciarsi
i capelli come fosse un bianco e ad arricciarli per essere un vero
negro, ma ugualmente nessuno se lo filava. - Ogni volta che,
guardandosi allo specchio, si chiedeva: “Cosa sono io?” gli sembrava
di vedere una serie di etnie -indiana, africana, messicana, asiatica e
una certa percentuale bianca, di cui suo padre si era sempre vantato.
Lui voleva essere una cosa o l’altra, e invece era un po’ di tutto,
senza essere niente di preciso: senza una razza, un Paese, una
patria, degli amici- (5). Tra tanta avversità, un raggio di sole. In
quella scuola Charles Mingus, dopo qualche anno, incontra Buddy
Collette, diciottenne e quindi di un anno più grande di lui. Buddy era
già in quel periodo un più che promettente sassofonista e soprattutto
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un ottimo flautista jazz, divennero subito amici, lo rimarranno per
sempre. Fu proprio Buddy Collette a convincere il giovane Mingus a
lasciare il violoncello con argomentazioni forti che toccarono il cuore
sensibile di Mingus. L’incontro non avvenne a scuola, bensì in strada,
precisamente sul luogo di lavoro di Charles. Egli infatti, d’estate per
mettere da parte qualche soldo, faceva il lustrascarpe sulla 103a.
strada; Buddy e i suoi amici musicisti lo avvicinarono e lo convinsero
a lasciare quello strumento (il violoncello) da bianchi e a entrare nel
loro gruppo come contrabbassista, quello si (il contrabbasso) che era
uno strumento, certo meno aristocratico, ma da vero negro! Fu
tramite il suo vecchio amico trombonista Britt Woodman che incontrò
come primo insegnante il bassista Red Callender e successivamente
Herman Reinschagen primo contrabbasso della Filarmonica di New
York. Nonostante Callender fosse più vecchio di lui di soli due anni,
aveva già sviluppato un’ottima tecnica strumentale e riuscì a iniziare
Mingus ai fondamentali del contrabbasso. Essendo i due quasi
coetanei nacque anche una profonda amicizia, nel tempo mai
interrotta e quei due dollari a lezione che Mingus pretese di pagare,
pare che si trasformassero, per i due amici musicisti, in gelati e uscite
al cinema.
Fu un periodo intenso e ricco di soddisfazioni per Mingus, c’era ancora
l’orchestra della scuola, poi la piccola band di Collette, il tempo che
gli rimaneva lo spendeva nelle esercitazioni casalinghe, dove
incominciava anche a sviluppare una certa tendenza alla
composizione.
Ma fu durante la frequentazione del conservatorio privato del maestro
Lloyd Reese, che Charles Mingus prese le vere e importanti lezioni di
armonia e composizione. Reese, borghese colto e raffinato aprì la sua
scuola a molti musicisti che poi diventarono grandi jazzisti, tra gli altri
è d’obbligo ricordare, oltre Buddy collette, Eddie Davis, Dexter
Gordon, lo stesso Ben Webster e poi un ragazzo di colore che, per
pagarsi la retta, tagliava le siepi e rasava l’erba dei vicini di casa.
Quel ragazzo si chiamava Eric Dolphy e, anche se con Mingus, non
stabilirono una speciale amicizia allora, i loro destini si sarebbero
incrociati circa venti anni dopo, dando vita ad un sodalizio artistico e
umano di grande spessore.
Quindi alla scuola di Reese, Mingus apprese non solo le basi di
composizione e arrangiamento, ma tramite quel grande maestro
aveva acquisito una grande fiducia nella possibilità che la
combinazione prodotta da più suoni da un numero imprecisato di
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musicisti, può essere annotata e che quindi anche al contrario, un
una serie di suoni prodotta (pensata) nella testa di un singolo, può
essere scritta e conseguentemente riprodotta da diversi musicisti.
Convinzione che resterà in Mingus per molti anni e lo spingerà quasi
da subito a dedicarsi alla composizione.
Charles Mingus crescendo aveva compiuto passi in avanti anche
rispetto alla sua personalità, sempre in bilico tra un senso di
frustrazione, dato dal suo sentirsi un emarginato, e gli scatti di aperta
ribellione che ne conseguivano. L’incontro con Buddy Collette, far
parte di una band che qualche ingaggio lo conquistava, la
frequentazione del padre di Buddy, lo “irrobustirono” anche dal punto
di vista dell’educazione sentimentale. Il mai sopito amore infantile per
Lee-Marie sfocia in un rapimento e la conseguente fuga avventurosa
in Messico. Il padre di lei era così ostile al giovane Charles che arrivò
persino a sparargli mandandolo all’ospedale, picchiò anche la figlia
che perse il bambino, e allontanò da Charles Lee-Marie, mandandola
all’estero.
Abbastanza sconvolto da quegli avvenimenti, Charles Mingus lascia il
ghetto di Los Angeles e si reca a S. Francisco. Qui ha delle occasioni
per mettersi in mostra anche in una grande orchestra, ma per tirare
avanti dovette inventarsi altri lavori tra cui anche il postino. Pare che
sia di quel periodo, siamo intorno al 1939, che nasce una sua
composizione orchestrale dal titolo Half-Mast Inibition, registrata poi
solo nel 1960.
Finita quell’esperienza il giovane Charles rientra a Watts, ma trova
dei cambiamenti in famiglia, dove al padre avevano amputato una
gamba e aveva anche lasciato la moglie per andare a vivere con
un’altra donna. Questi avvenimenti, seppur dolorosi, permisero a
padre e figlio di ritrovarsi e avviare una comunicazione sincera e
confidenziale come mai lo era stata. Intanto anche la sua vecchia
band si era smembrata, chi era partito per il servizio militare, altri
che suonavano altrove, chi, i più fortunati, a proseguire l’avventura a
New York.
Nel 1940 Mingus, si sposa con Canilla Jones Gross una ragazza
di colore, che nell’autobiografia si chiamerà Barbara Jane Parker,
presto il rapporto coniugale si fece difficile. Anche Mingus, come molti
musicisti, un po’ per la vita da girovaghi e la frequentazione dei locali
dove le opportunità non mancavano di certo, si lasciò andare a diversi
incontri extraconiugali. Suonò ancora con gli amici di sempre Collette
e Woodman e si impegnò moltissimo con lo strumento acquisendo
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abilità tecnica e velocità di esecuzione, non trascurando l’esercizio
anche al pianoforte. E‘ anche il periodo che impegnandosi a fondo con
il contrabbasso, per diventare “il più bravo” di tutti, scopre poi che lo
strumento non è il fine ultimo e che è la sua persona che orienta la
musica che si sente dentro. Pensiamo che sia di questo periodo una
sorta di presa di coscienza di quello che poi diventerà la sua mission
artistica: comporre e suonare sotto dettatura della sua passione, dei
suoi sentimenti più profondi ed estremi.
In quello stesso anno, le sue esperienze di musicista si fanno
notevoli, conosce tramite Red Callender i fratelli Young, Lester il
grande sassofonista e Lee batterista, entrando a far parte del loro
complesso con cui suona sino al 1941. Proprio Lee lo mise in contatto
con il grande pianista cieco Art Tatum che aveva intenzione di
formare un duo e cercava un contrabbassista; dopo varie prove
anche positive a casa del pianista, non si riuscì a trovare alcun
ingaggio per il duo, ma Charles Mingus rese pubblico ringraziamento
al pianista per quanto, quel seppur breve periodo, fu importante per
la sua crescita artistica.
Ha poco più di venti anni Charles Mingus, quando nel 1943
entra a far parte dell’orchestra del grande Louis Armstrong, che
lascerà spontaneamente dopo alcuni mesi quando viene a sapere di
una tournée da fare nel Sud degli Stati Uniti. Non aveva nessuna
intenzione Mingus di prendersi insulti e scherni di stampo razzistico -
Non avevo proprio nessuna intenzione di andare in quella merda di un
posto, a prendermi merda da qualcuno del Sud. Così Louis decise che
sarebbe stato meglio se avessi lasciato l’orchestra-(6).
Quando qualche tempo più tardi l’ex clarinettista di Duke Ellington,
Barney Bygard mette su in California una propria orchestra, Mingus è
chiamato a farne parte e tra le altre cose avrà poi, in seno a quella
Big Band, l’occasione di suonare a fianco del grande Kid Ory, mitica
figura del jazz di New Orleans.
Con i fratelli Jacquet (Illinois e Russel), Charlie entrò per la prima
volta in studio di registrazione e sempre in California, nel 1945,
collabora con il trombettista bop Edward McGhee, arrivato laggiù
qualche tempo prima con il gruppo di Coleman Hawkins. Fu proprio
tra la fine di quell’anno e i primi del 1946 che il Be Bop sbarca in
California con il gruppo di Dizzy Gillespie, dove svettava la
carismatica figura di Charlie Parker. Fu quindi al club Billie’s Berg di
Hollywood che Mingus vide e sentì per la prima volta Bird e questa,
dopo Ellington fu la seconda folgorazione. Testimone di quella grande
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ammirazione fu Miles Davis che nella sua autobiografia afferma che
Mingus non mancò una sola serata al club per sentire Charlie Parker.
Non solo Davis disse dell’ammirazione di Mingus per Bird ma, in
occasione di alcune jam session dove Mingus si esibì al contrabbasso,
affermò anche delle grandi capacità del musicista di Nogales e che già
allora si intravedeva quel grande genio che poi sarebbe diventato.
E’ importante sottolineare come in questo periodo, lo spessore
artistico e soprattutto la vena di compositore di Mingus si affacciano
in modo preciso e sicuro agli occhi di musicisti già affermati e con
notevoli esperienze già consumate. Sta di fatto che, quando per le
tragiche e note vicende, Charlie Parker viene ricoverato al Camarillo,
Mingus si unì a Miles Davis e Lucky Thompson, e con loro oltre che
fare dei concerti scriveva dei pezzi che sottoponeva agli altri musicisti
con piglio sicuro, quasi già esercitandosi a essere quel grande leader
che diverrà non molto tempo dopo; riportiamo la testimonianza dello
stesso Miles Davis -...Lui scriveva dei pezzi che provavamo assieme,
Lucky, io e lui....Io gli contestavo spesso il fatto che amasse tanto
questi cambiamenti di accordi bruschissimi nei suoi pezzi...lui
sorrideva e diceva: “Miles, limitati a suonare le stronzate che ho
scritto, come le ho scritte”- E io lo facevo....Mingus suonava qualcosa
di veramente diverso...Allora io lo prendevo per i fondelli: “Mingus
perché stai suonando in questo modo?”... Ma lui sorrideva con quel
sorriso così dolce, e continuava a fare quello che stava facendo.
Mingus era veramente diverso da tutti gli altri, era un genio puro (7).
In quel 1946 Mingus svolse una
grande attività come strumentista.
Abbiamo detto del suo incontro con i
Boppers e poi anche come membro di
un’orchestra di undici elementi tra cui
spiccavano i nomi di Lee Young alla
batteria e Lucky Thompson al
sassofono. Ci fu anche un tentativo da
parte di Charles Mingus di formare un
proprio gruppo insieme al suo amico
Woodman, Buddy Collette e lo stesso
Thompson, ma la mancanza di ingaggi
fece naufragare il progetto.
I maggiori riferimenti di Mingus contrabbassista erano in quel periodo
Oscar Pettiford, uno dei primissimi boppers, suo coetaneo che
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suonava anche il violoncello con la tecnica del pizzicato dove era un
maestro. Altro riferimento importante per il musicista Mingus fu il
grande contrabbassista Jimmy Blanton che, arrivato giovanissimo (19
anni) nell’orchestra di Duke Ellington, rivoluzionò attraverso una
tecnica prodigiosa, non solo l’uso dello strumento, ma ne indicò un
ruolo da protagonista nell’ambito del Jazz, imponendolo a livello
solistico oltre che ritmico, Blanton morì a soli 34 anni per una
polmonite.
Naturalmente si faceva sentire l’influenza del Duca che soprattutto sul
piano della composizione spingeva il giovane Mingus alla perfezione
formale, tipica della West Coast e alle ardite sperimentazioni che
tendevano alla combinazione del linguaggio jazzistico con le tendenze
classiche, soprattutto degli impressionisti francesi, Debussy in primo
luogo.
Se si può affermare che questi anni sono, dal punto di vista
della crescita e dell’affermazione di un proprio linguaggio musicale,
piuttosto rilevanti per Charles Mingus, lo stesso non si può dire per la
sua vita privata.
Il matrimonio con Canilla si concluse e Charles lasciò Los Angeles per
recarsi a San Francisco dove si sistemò in una pensione per cercarsi
poi un lavoro come autista di taxi, ma la sua giovane età (non aveva
ancora compiuto i 25 anni) gli impedì di farlo, trovò un impiego come
postino e si arrangiava a suonare qualche volta la sera. Nel tentativo
di regolarizzare la sua iscrizione al sindacato dei musicisti, Mingus
incorse in qualche problema che in sostanza lo lasciò isolato e senza
la possibilità di avere un minimo di proposte professionali. Quando
capì che da lì a qualche settimana non avrebbe più avuto i soldi
neanche per pagarsi la pensione, tornò a Los Angeles.
Qui ebbe la fortuna di rincontrare i suoi amici Woodman e Joe Confort
che ormai da un po’ suonavano nell’orchestra del grande Lionel
Hampton che proprio in quel momento doveva sostituire uno dei
contrabbassisti. Hampton fu pienamente soddisfatto dall’audizione
fatta da Mingus e quindi trovò un ottimo impiego come musicista ma
anche un buon rapporto professionale con Hampton che sarebbe
durato un qualche anno. Mingus ebbe l’occasione di farsi notare
anche come compositore e un suo brano, Mingus Fingers fu
apprezzato dallo stesso Hampton che non esitò ad inserirla nel
repertorio dell’orchestra.
Il brano venne poi anche inciso ma a Mingus non arrivò nessun
beneficio economico perché la moglie di Hampton pretese la
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pubblicazione a nome del solo marito; la pubblicazione era
importante per Mingus e quindi, malvolentieri dovette sottostare a
quella sorta di ricatto.
Fu con quell’orchestra che Charles Mingus arrivò per la prima volta a
New York, fu proprio alla fine del 1947 e in quell’occasione incontra
anche Fats Navarro da poco chiamato a far parte della banda. Tra
Mingus e il giovane trombettista della Florida si stabilì un grande
rapporto di amicizia e di affinità culturali intensissimo che finì solo
quando l’ancor giovane Fats morì solo tre anni dopo, stroncato da una
forma di tubercolosi a causa della sua forte dipendenza dall’eroina. In
tema di razzismo e di “avversità verso l’uomo bianco” parlavano la
stessa lingua. Fats e Charles e la camera che dividevano da buoni
fratelli diventava quasi tutte le sere a fine lavoro, il luogo amaro delle
riflessioni di due giovani musicisti neri altamente consapevoli del
mondo in cui erano costretti a sopravvivere. -“ Accidenti, siamo loro
proprietà Mingus, se non siamo loro proprietà ci spingono fuori scena.
Per l’uomo bianco il jazz è un grosso affare, e tu non ti puoi muovere
senza di lui. Noi siamo solo le formiche operaie. Lui ha i giornali, le
agenzie, le compagnie discografiche e tutti i posti che vendono jazz al
pubblico. Se tu non sei disposto a venderti e cerchi di combattere,
non ti assumono e trasmettono una cattiva immagine di te con quella
falsa pubblicità...” -(8).
Altro incontro importante, durante l’estate del 1948 per Mingus, fu
quello con Billie Holiday che, anch’essa artista sublime ma schiava
della droga, soffriva per una esistenza difficile ed infelice, non lontana
quindi dalla sensibilità perennemente offesa dello stesso Charles e
per i loro bruschi caratteri. Per lei Mingus scrisse anche una canzone
che Billie però non incise mai, Eclipse.
Nel 1949, dopo essere rientrato a Los Angeles e conclusa la sua
esperienza con Hampton, Mingus incontra Donna Parker, una
bellissima ragazza bianca che stando a quanto riportato nella sua
biografia, si dichiara disposta a prostituirsi per lui, in modo che possa
realizzarsi come musicista. Dando ampio credito a Mingus, quindi lo
ritroviamo non solo con una donna, bensì con due, pronte a
“sacrificarsi” per l’artista e la sua carriera. La seconda è addirittura il
suo primo amore Marie-Lee che ritrova a Sausalito, vicino a San
Francisco e che sostanzialmente, stando sempre al suo raccontare, lui
e il cugino Billy rapiscono, e, lei dimostrandosi felicissima, “entra in
società” con Donna per la stessa causa. La premiata ditta Donna-Lee
quindi “si venderà” perché Mingus possa ritornare a New York, dove
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le opportunità per un jazzista sono molte di più di quanto non possa
offrire la West Coast. Sulla veridicità o meno di questa vicenda
Mingus, in un colloquio con il grande critico Arrigo Polillo che, non
perfettamente convinto volle sincerarsi alla fonte, con una certa
solennità disse che era tutto vero (pag. 697 Jazz di A. Polillo).
Ma il ritorno di Mingus a New York non fu per nulla facile, certo
riprese contatti con i musicisti che aveva conosciuto durante la
permanenza con l’orchestra di Hampton e ne incontrò di nuovi, tra cui
i pianisti Lennie Tristano e Thelonious Monk e il batterista Max Roach,
con cui poi stringerà una solida e duratura amicizia. Ma gli ingaggi
scarseggiavano e Mingus mal sopportava le condizioni da
“mantenuto” che gli derivava dal “lavoro” delle due donne, o meglio
l’abito del magnaccia non poteva essere vestito da uno come lui, non
era nel suo animo: non poteva perdere ogni tipo di sentimento, né di
sensibilità. Scappò Mingus da New York, vergognandosi di quello che
stava diventando, delle serate sprecate a bere e a “vendere” le sue
donne, delle risse scatenate in quei locali frequentati dai bianchi. Ma
alla fine del 1949 Charles Mingus viene chiamato dal vibrafonista Red
Norvo per far parte del suo trio insieme al chitarrista Tal Farlow, due
musicisti bianchi e, soprattutto Norvo sicuramente noto e apprezzato
dal pubblico e dalla critica. Già nell’orchestra di Woody Hermann e poi
con Benny Goodman, Red Norvo offrì a Mingus l’opportunità di farsi
conoscere in gran parte degli Stati Uniti, sia per i numerosi dischi
incisi in quel periodo, sia per i tanti concerti in altrettante città. Agli
inizi del 1951 il trio di Norvo arriva a New York dove si esibisce con
successo in molti club, ma quando al “Rosso” viene proposto uno
special a colori in televisione, comunicò a Mingus che per la TV gli
serviva un contrabbassista bianco! Figuriamoci Charles, lo sotterrò di
urla e di insulti e naturalmente se ne andò arricchendo ancora di tristi
episodi il suo rapporto con “i bianchi”. Pare che la ragione per cui
Mingus non poteva andare in televisione fosse dovuta anche alla sua
mancata iscrizione al sindacato dei musicisti di New York. Certo era
comunque che in quel periodo, la preoccupazione degli inserzionisti
pubblicitari in tv era rivolta proprio al pubblico del Sud, sicuramente
razzista e segregazionista al massimo. Era comunque difficile far
ragionare uno come Charles Mingus che, già allora iniziava a
manifestare una sorte di turbe ossessiva e nevrotica rispetto a ogni
questione che minimamente implicasse il colore della sua pelle; anche
avendo mille ragioni, Mingus non riusciva a contenersi e gli effetti
della sua collera erano uguali a quelli di una bomba a grappolo.
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Volle comunque restare a New York dove, dopo un breve rientro in
California per un precedente impegno contrattuale con Norvo, a
settembre del 1951 lo troviamo al Birdland. Suona in quel club con
Miles Davis, Art Blakey, Eddie "Lockjaw" Davis, Big Nick Nicholas e
Billy Taylor al piano, sarà sempre con il pianista Taylor in novembre
allo Storyville di Boston in trio con il batterista Marquis Foster e
quindi a dicembre, il 18, in studio di registrazione nuovamente a New
York con il Melvin Moore septet.
Mingus ebbe occasione di suonare di nuovo con Charlie Parker che lo
aiutò molto nella decisione di restare a New York. Bird incoraggiò
Mingus a non mollare del tutto la musica, quando per poter
sopravvivere in città questi fu costretto a svolgere altri lavori, tra cui
anche fare le consegne di Pepsi Cola con un camioncino e poi di
nuovo il postino. Fu proprio Parker che riuscì a convincerlo a mollare
il lavoro alle poste e dedicarsi completamente alla musica, soprattutto
alla composizione, capacità che Bird ammirava molto in Charles
Mingus.
Intanto nello stesso 1951 Charles si sposa per la seconda volta, la
consorte si chiama Celia Nielson, il matrimonio durerà sino al 1957,
ma Celia avrà un ruolo molto importante nella gestione economica e
commerciale della casa discografica che il marito metterà in piedi l’
anno successivo.
Un altro fatto importante, per la carriera di Mingus, nel 1951 è
l’incontro e la relativa frequentazione con Lennie Tristano, il pianista
reso cieco da una forma terribile di influenza, di origini italiane. In
quel periodo Tristano si stava ritirando dalla scena concertistica per
dedicarsi esclusivamente all’insegnamento. Frequentò quindi Mingus,
la casa di Tristano insieme ad altri musicisti che poi diventarono
piuttosto noti, proprio per l’influenza del grande pianista bianco che
fu un profondo innovatore e sperimentatore: lezione che Mingus
ricorderà negli anni successivi della sua carriera.
Nel 1952 assieme al batterista Max Roach e con l’aiuto di un
amico dello stesso, fonda una casa discografica, la Debut, una
impresa lodevole ma piena di rischi e che in definitiva non ebbe una
grande fortuna. I due musicisti svilupparono un’amicizia profonda e
una solida intesa sul piano culturale e politico rispetto alla condizione
dei neri d’America. L’impresa era coraggiosa, soprattutto per due
musicisti di colore che in questo modo concreto davano battaglia alle
grandi case discografiche dominate dai bianchi. Tentavano in questo
modo di porre la questione dell’indipendenza artistica e commerciale
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della loro musica, Mingus poi storicamente non riuscì ad avere, in
tutta la sua carriera un buon rapporto con le majors discografiche.
Aperta sfida quindi, più tardi Max Roach realizzò con la Debut la
famosa Freedom Now Suite, autentico manifesto politico musicale
militante da cui deriverà anche il nome il movimento politico
“Freedom now” (Libertà subito). Con la Debut registrarono, nei suoi
cinque anni di vita, non solo Mingus e Roach, ma giovani talenti (non
solo neri) tenuti ai margini dal mercato e musicisti non più
giovanissimi che venivano trascurati dal mercato discografico
ufficiale. La seduta di inaugurazione avvenne nello studio di Lennie
Tristano al 317 East 32nd Street di Manhattanil 12 aprile del 1952 e
tra gli altri, oltre Mingus parteciparono il batterista Al Levitt, il
sassofonista Lee Konitz. Ancora a settembre Mingus registra, sempre
nello studio di Tristano, con un quintetto a suo nome, di cui fa parte
anche Max Roach, ma l’attività di Mingus musicista non si ferma alla
propria casa discografica.
A gennaio del 1953 si avvera un suo grande sogno: entra
nell’orchestra di Duke Ellington. Non ci resta molto, appena due mesi:
litiga in modo furibondo con l’arrangiatore portoricano del Duca, Juan
Tizol, si minacciano a vicenda per una questione di interpretazione di
un accordo di basso, spunta fuori un coltello poi un’ascia che spacca
una sedia. Per il compassato Ellington è troppo, con molto garbo e
con il sorriso sulle labbra ottiene le dimissioni di Mingus: grazie
Charles ma di attaccabrighe in orchestra ne basta uno.
Per la Prestige registrerà con il quartetto del pianista George
Wallington, con alla batteria il fido Roach. Ancora in duo con il
pianista John Mehegan realizza l’album From Barrelhouse To Bop (A
History of Jazz Piano); a dicembre del 1952 è ancora con Charlie
Parker in sestetto in studio a Boston e poi in trio, al "Birdland" di New
York il 23 marzo del 1953, con Bud Powell e Roy Haynes e al "Club
Kavakos" di Washington il 5 aprile successivo.
Forse l’album più conosciuto, insieme al Freedom now Suite di Max
Roach, della Debut fu quello che registrò il famoso concerto alla
Massey Hall di Toronto del 15 maggio del 1953, che lo stesso Mingus
organizzò per conto della società del jazz di Toronto. Concerto per
certi versi storico perché chiudeva il capitolo glorioso del Bop e per gli
stessi musicisti protagonisti di quella leggendaria serata. Infatti, pur
con tutte le problematiche e le incognite che quell’ensemble si
portava dietro, Parker, Gillespie, Powell, Roach e Mingus diedero il
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massimo e regalarono una registrazione che rimarrà negli annali del
jazz.
Dopo solo quattro giorni da quel concerto, Mingus è di nuovo in
studio questa volta con Miles Davis, in quel maggio del 1953 l’attività
di registrazione di Mingus si può dire frenetica e suona con i più
grandi: Charlie Parker, Gillespie, con l’orchestra di Gil Evans, in trio
con Bud Powell e in seguito con Bill Taylor.
Registra quindi per la Debut, un interessante album da titolo Four
Trombones. Mingus riunisce, al "Putnam Central Club" a Brooklyn, il
18 settembre del 1953, un gruppo di musicisti composto da: J.J.
Johnson, Willie Dennis, Bennie Green e Kai Winding ai tromboni, John
Lewis al piano e Art Taylor alla batteria. Nel generale senso di
sperimentazione che Mingus dà a questa registrazione, si coglie un
particolare impasto timbrico, dato dalla presenza di quattro eccellenti
trombonisti e il gusto per una musica rarefatta con richiami a quella
classica, al cool di Tristano e Mulligan.
Sono le prime uscite del suo “Jazz Workshop”, il laboratorio
musicale che raccoglie musicisti di talento, all’avanguardia e senza
riferimenti di genere, bianchi e neri. Mingus mette in mostra la sua
audacia compositiva e il suo talento di sperimentatore, nonché la sua
grandissima padronanza dello strumento, descritta benissimo dal
musicologo Frank Ténot -”Egli pizzica le corde con una potenza e una
velocità incredibili e con dita così agili che a volte sembra di sentire
un chitarrista. Fa sprigionare dal suo strumento uno swing vulcanico
e improvvisa con un’immaginazione sorprendente lunghi assolo che
rimbombano come un temporale” -(9).
A quell’impresa, che più tardi muterà il nome in Composers’
Workshop e ancora poi in Jazz Composers Workshop, parteciperanno
i sassofonisti John La Porta, Teo Macero e il pianista Wally Cirillo,
sono tre italo-americani provenienti dalla scuola di Tristano e che
contribuirono anche con delle proprie composizioni. Macero vestirà
più tardi l’abito di produttore per la Columbia Records, lavorando
anche per Thelonious Monk e Miles Davis e lo stesso Mingus.
In questo laboratorio musicale le idee compositive di Mingus furono
pensate e scritte sempre in modo compiuto prima della esecuzione.
Poco margine, o meglio nessuna possibilità di improvvisazione. Pur
essendo della buona musica, a tratti originale e certamente audace
nella ricerca e nella sperimentazione, lo stesso Charles Mingus
faticava molto a definire il tutto come jazz. Lo confessò apertamente
poi nelle note di copertina del suo album Pithecanthropus Erectus,
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scrivendo:” ...il jazz, per definizione, non può essere eseguito, se ci si
attiene a una parte scritta, con quel feeling che si può trovare solo se
si suona liberamente”.
Questo periodo può essere ancora definito di formazione, ma proprio
nell’audacia di sperimentatore Mingus indica con precisione alcune
caratteristiche che esploderanno nel periodo “maturo”. E’ nelle
composizioni che tratteggiano il cool di Tristano e nelle venature
derivanti dai boppers che fa capolino quella caratteristica polifonia
aggressiva e libera da convenzioni stabilite che sarà una sorta di
marchio di fabbrica della musica di Mingus. La critica non potrà fare a
meno di tributargli i giusti meriti quando uscirà l’album, per la
prestigiosa Atlantic, Pithecanthropus Erectus, indicandolo come il
primo capolavoro e summa del percorso coraggioso seguito sino ad
allora. In qualche modo di questo splendido album, abbiamo già
detto, si può aggiungere a titolo informativo che pur essendo un
organico relativamente ridotto, basso, batteria, sax e piano, ma con
qualche sovraincisione in fase di post produzione, il gruppo
impressiona per la tensione e una polifonia complessiva, tale da
sembrare un’orchestra. Nel complesso, il brano di apertura
(Pithecanthropus Erectus) è un tema inizialmente sommesso, poi
agitato da uno stridente sax quasi impazzito, e infine con variazioni di
tempo esplode nell’improvvisazione collettiva sino a produrre un
crescendo di tensione e dissonanze prefiguranti il Free jazz.
Il preludio di questo album, o parte di esso, lo abbiamo comunque
nelle esibizioni e quindi nelle registrazioni effettuate al Café Bohemia
di New York sul finire di dicembre del 1955. Con un gruppo
completamente nuovo rispetto ai precedenti del Workshop, che vede
Mal Waldron al piano, George Barrow al sax tenore, alla batteria si
alternano Max Roach e Willie Jones. Il repertorio di Mingus viene
arricchito da nuove composizioni: Haitian Fight Song, Love Chant, in
duo con Roach la storica Percussion Discussion. E poi ci saranno delle
travolgenti rivisitazioni di alcuni standard quali, All The Things You
Are, I’ll Remember April e A Foggy Day; quest’ultima stravolta
rispetto all’originale e romantica versione di Gershwin, comparirà
unitamente a Love Chant, in Pithecanthropus Erectus. Per quella
registrazione la sezione ritmica sarà la stessa del Café Bohemia ma
cambiarono i fiati, sono infatti Jack McLean al sax alto e J. R.
Monterose al sax tenore.
L’eclettismo di Charles Mingus riesce a fondere in un linguaggio
musicale originale e coraggioso quale il suo, le radici del jazz
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romantico di New Orleans, la lezione di Ellington, l’audace rivoluzione
Parkeriana, l’influenza degli impressionisti classici e il cool di Tristano.
L’equilibrio finale è dato, non solo dal genio artistico, ma anche
dall’essere irrequieto, passionale estremo e lungimirante che fu
Charles Mingus. Da una miscela razziale di cui era impastato l’uomo
Mingus, il musicista che è in lui diventa catalizzatore di molteplici
linguaggi musicali, dando loro unicità e spessore comunicativo come
pochi altri hanno saputo fare.
E’ di questo periodo la decisione di Charles Mingus di liberarsi,
nell’esecuzione della sua musica, dalla “schiavitù” degli arrangiamenti
scritti. D’ora in poi egli comporrà i suoi pezzi su una “carta mentale”,
spiegando ai suoi musicisti il pezzo da eseguire nella linee
fondamentali e soprattutto nel ”sentimento” che lo anima, lasciando
loro una perfetta libertà di esecuzione e improvvisazione. Mingus
tradurrà questa caratteristica del sentimento che anima il brano,
incitando anche vocalmente i suoi uomini durante l’esecuzione a dare
il meglio di sé; allo stesso modo accentuerà il suo carattere
“dominante” all’interno del gruppo: non solo incitazioni ma anche
rimproveri pubblici, sino ad interrompere la stessa esecuzione per
ripartire da capo.
In questo felicissimo 1956, numerose sono le apparizioni di Mingus e
del suo gruppo in varie città degli States, come è frequente la sua
presenza in studio di registrazione con gruppi a suo nome e come
strumentista in altri. Sono da ricordare in particolare quella del 18
giugno con un gruppo denominato Metronome All Stars e alla fine
dell’anno quelle effettuate con il giovane arrangiatore Quincy Jones, e
quindi con il quartetto del vibrafonista Teddy Charles il 12 novembre
del 1956. Ebbe quindi occasione Mingus di suonare con musicisti in
via di formazione (Quincy Jones, Phil Woods, Zoot Sims), ma anche
con veterani del calibro di Milt Jackson, Lucky Thompson e il pianista
e arrangiatore Hall Overton.
Mingus dà dimostrazione della sua versatilità d’artista e di leader
incidendo anche in trio e con notevoli compagni. E’ in studio di
registrazione a New York nel luglio del 1957 con il grande pianista
Hampton Hawes e il fido Richmond alla batteria per l’album Mingus
Three; ancora in quell’anno, Mingus registra due album importanti,
The Clown e Tijuana Moods. Dalla fine del 1956 è entrato a far parte
del suo gruppo il batterista Dannie Richmond che presto diventerà
oltre che un elemento fisso nei suoi gruppi, anche un amico fidato. Fu
proprio con l’amico Dannie, che per sfuggire ad una forte depressione
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in seguito al fallimento del suo matrimonio con Celia Nielson, Mingus
se ne andò in Messico nella permissiva cittadina di confine di Tijuana
alla ricerca di divertimento e, dove tutto è lecito ed estremo: dalle
disponibilità di fanciulle che non “non chiedevano” più di tanto, ai
fiumi di tequila. L’irrequieto e vulcanico Charles da quella sbornia di
eccessi riuscì a ricavarne spunto per una composizione che, con
genialità e intensità espressiva ne riproponeva clima, situazioni
emozionali ed eccessi (anche di carattere orgiastico). Dentro una
cornice musicale a tratti riecheggiante elementi del folk spagnolo
(Ysabel’s table dance), chiaro riferimento all’atmosfera di un locale
notturno, con suoni di nacchere, vociare di avventori e il
contrabbasso che richiama echi di flamenco. Con il brano Los
Mariachis vengono recuperate le tipiche sonorità dei musicisti da
strada alternandole a stacchi tipicamente jazzistici. Disco
pregevolissimo che sottolinea, se ce ne fosse ancora bisogno, di
quanto la complessa ed eterogenea personalità dell’uomo di Nogales,
sfociasse in genialità musicale unica nel panorama del jazz. Stesso
discorso vale per The Clown, album che descrive con con toni
fortemente espressionisti, con la voce recitante del poeta Jean
Shephred in evidenza, la storia di un clown che fa di tutto per piacere
al pubblico, ma che non riesce a far ridere nessuno se non dopo il suo
suicidio. Storia drammatica e patetica ma, evocativa anche di certe
situazioni umane non del tutto estranee al mondo del jazz. In questo
album anche un omaggio a Charlie Parker (non sarà l’unico di
Mingus), intitolato Reincarnation Of love Bird.
Ultima notazione su questi due album: entrambi di notevole spessore
furono pubblicati molti anni dopo la loro registrazione. The Clown
registrato tra il febbraio e il marzo del 1957 fu pubblicato dall’Atlantic
solo quattro anni dopo, nel 1961. Stessa sorte per Tijuana Moods, in
sala di registrazione per la RCA, uscirà solo nel 1962 e dopo una
petizione scritta degli ammiratori di Charles Mingus.
Intanto nel suo gruppo si alternavano diversi musicisti, anche se
bisogna dire che in questo periodo, oltre il batterista Dannie
Richmond, almeno altri due musicisti di spessore si ritroveranno
spesso, per un po’ di anni, in molti lavori di Charles Mingus, sono il
trombonista e arrangiatore Jimmy Knepper e il pianista Horace
Parlan. Nel 1959 Mingus a febbraio registra per la Atlantic l’album
Blues & Roots, un esplicito omaggio alla musica che Mingus predilige,
a quella delle origini, alle radici: il blues e la spiritualità della musica
della chiesa negra. Nel brano iniziale, Wednesday Night Prayer
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Meeting, Mingus incita con grida ed esortazione i propri musicisti,
come nelle febbrili funzioni faceva il predicatore con i propri fedeli.
In questo album ci
sono due sax, al tenore di
Booker Ervin si è aggiunto
l’alto di Jack McLean, che
torna con Mingus dopo
Pithecanthropus Ercectus.
Tra il 5 e il 12 maggio di
quell’anno, Mingus registra
l’album Mingus Ah Um,
uscirà a settembre. E’ un
altro capolavoro del
musicista di Nogales, è
anche un album dove si fa esplicito l’omaggio verso i musicisti che
ammira, della cui influenza non ha mai nascosto. I partners che
accompagnano Mingus in questo album sono di prim’ordine e si può
dire con certezza, anche piuttosto “allenati” alla collaborazione con il
contrabbassista. Tornano i due sax, ma al posto di McLean c’è John
Handy che suona anche il clarinetto, come l’altro tenore Porter (Shafi
Hadi), al piano Horace Parlan, al trombone Knepper si alterna con
Willie Dannis, e naturalmente Richmond alla batteria.
Molti brani contenuti nell’album sono una dedica amorosa, abbiamo
detto, a musicisti cari a Mingus: Goodbye Pork Pie Hat (Lester
Young), Open Letter To Duke (Duke Ellington), Bird Calls (Charlie
Parker), Jelly Roll (Jelly Roll Morton). Il pezzo che apre l’album,
Better Git In your Soul si ispira direttamente ai ricordi di Mingus
bambino quando seguiva la madre nelle liturgie della Holiness Church
a Watts. Notevole, nell’apertura di questo brano,- l’abilità strumentale
di Mingus, decisiva per il successo di ogni brano dell’opera, come
venga brevemente al proscenio, provocando quasi subito le risposte
del pianoforte di Horace Parlan e del trombone di Jimmy Knepper,
seguite dall’intervento della congregazione al gran completo...in una
sorta di valzer-gospel dalla folle velocità...-(10).
Il brano numero sette, Fables of Faubus è un’autentica, ironica e
inesorabile frustata che l’artista Charlie Mingus infligge al governatore
razzista dell’Arkansas Orval E. Faubus. Questo governatore si rese
famoso per un fatto successo a Little Rock, in Arkansas nel 1957,
quando dei bianchi impedirono a degli studenti di colore l’accesso alla
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scuola pubblica, con la connivenza della polizia locale. Faubus si
opponeva alla storica decisione della Suprema Corte che intimava agli
Stati di integrare gli studenti afro-americani nelle scuole pubbliche. Il
braccio di ferro con il governo federale ed il dipartimento di giustizia
si concluse con la sconfitta di Faubus e dei suprematisti bianchi: il 24
settembre, il presidente Eisenhower federalizza la guardia nazionale
dell'Arkansas e manda i soldati a scortare gli alunni di colore che
finalmente vengono ammessi alle lezioni.
Mingus, nel brano inveisce ironicamente contro il governatore in
duetto con Richmond, ma questa parte (politicamente rilevante e
importante per Mingus) non viene pubblicata dalla Columbia, restia a
diffondere testi che avrebbero potuto respingere un certo numero di
potenziali clienti.
In seguito Dannie Richmond stesso disse che nella registrazione
originale le inventive parlate, non erano così prevalenti, ma che le
stesse vennero inserite per lo più durante i concerti dal vivo. Resta il
fatto comunque che nell’ottobre del 1960 Mingus registra per la
Candid l’album Charles Mingus Presents Charles Mingus, dove spicca
un brano che si intitola Original Faubus Fables, e qui le urla e le
inventive contro il governatore ci sono, eccome! Da segnalare in
questo album la presenza di Eric Dolphy, arrivato da poco a New York
da Los Angeles.
A novembre del 1959 Mingus registra, l’album Mingus Dinasty, il
musicista si vede ancora una volta tagliare dalla Columbia gli assolo
di contrabbasso, riducendo così la durata di molti brani, unica
consolazione per Mingus è che alla Columbia ritrova Teo Macero,
vecchio compagno dei primi Workshop e delle serate con Lennie
Tristano, ora in veste di produttore. In questo album non mancano i
consueti tributi a Ellington con una notevole versione di Mood
Indingo.
Con l’intervento “politico” nel brano Fables of Faubus, Charlie
Mingus non si nasconde più nell’evidenziare i suoi profondi sentimenti
di negro americano e si profonde in una protesta sempre più forte e
appassionata contro la segregazione razziale. Pur avendo ormai colto
il pieno successo artistico, il riconoscimento aperto da parte della
critica e un grande numero di sinceri ammiratori, l’uomo è irrequieto
più che mai. Mingus si fa risucchiare da un vortice che è un misto di
insicurezza e di vera propria ossessione nevrotica rispetto ai problemi
razziali, di cui comunque si sente vittima.-”Ero stanco, teso, non
riuscivo a pensare chi ero, volevo solo sdraiarmi e dormire. Ero come
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un bambino perduto con tanta gente che si accalcava intorno a me e
nessuno che mi amasse-(11).
Questa situazione lo portò dritto in ospedale psichiatrico: fu una
notte, in preda ad una sconquassante crisi di nervi, che bussò ai
cancelli del Bellevue Hospital di New York per chiedere di essere
trattenuto perché bisognoso di cure. Questa iniziativa personale
sottolinea la grande consapevolezza che, in fondo, aveva Charles
Mingus di se stesso e delle sue incongruenze e sofferenze caratteriali.
Troverà in un bianco l’amico vero e disinteressato, un giornalista,
grande critico musicale e un uomo sensibile, sarà appunto Nat
Hentoff a rendere quel soggiorno volontario prodigo di un relativo
beneficio per Charles, a renderlo per un certo periodo più
“mansueto”. Sarà la nascita della piccola casa discografica, la Candid
un motivo in più per Mingus per godersi un minimo di serenità e
sentirsi importante. Hentoff, quale direttore artistico lo chiamerà ad
un’attiva collaborazione, a cui Charles si dedicò con sincera passione.
Comprensione e aiuto che non ottenne da un altro grande critico e
produttore musicale, Leonard Feather.
Con Feather Mingus lavorò per l’album Weary Blues, poi chiamato
ancora all’inizio del 1960 per incidere un album tutto a suo nome per
la Mercury, la rottura. Troppi i musicisti chiamati da Mingus per
quell’occasione, con in testa l’idea di registrare le sue esperienze
precedenti l’incontro con Charlie Parker e i boppers, Mingus contattò
un’intera orchestra diretta da Gunther Schuller e alla Mercury arrivò
un conto salatissimo. Mingus recitò la solita scena drammatica e
penosa, inventandosi pure un cancro inesistente, non se ne fece
nulla! Feather chiuse definitivamente i rapporti con il contrabbassista.
L’album uscì comunque e risultò anche interessante, trovò persino
posto il brano scritto a suo tempo per Billie Hloday, Eclipse,
l’ennesimo omaggio a Ellington con Take the ‘A’ train, un suo vecchio
pezzo degli anni quaranta, Half-Mast-Inibition e non poteva mancare
il brano politico, Prayer For Passive Resistance, direttamente ispirato
ai sit-in tenuti dai gruppi neri non violenti di Martin Luther King.
L’album si chiamava Pre Bird e vi partecipò anche Eric Dolphy, con cui
ormai Mingus suonava da alcuni mesi allo Showplace, un club del
Village a New York.
A luglio del 1960, insieme al suo amico Max Roach, Mingus organizza
il contro festival di Newport per protestare contro le scelte musicali
commerciali degli organizzatori e in difesa della miglior musica afro
americana. Aderirono all’iniziativa diversi musicisti, tra cui è doveroso
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ricordare il grande Coleman Hawkins, Roy Eldridge e Jo Jones, oltre
quelli della nuova generazione, primo fra tutti Ornette Coleman e il
suo gruppo free. Furono gli stessi musicisti a occuparsi di tutta
l’organizzazione, lo stesso Mingus si occupò della biglietteria,
andando in giro con il cappello a raccogliere i soldi degli spettatori.
Questo contro festival si tenne in un luogo chiamato Cliff Walk Manor,
tutti musicisti che aderirono a tale protesta si diedero il nome di
Newport Rebels. Proprio con questo titolo, in seguito venne inciso
l’album omonimo per la Candid a cui parteciparono Dolphy, Max
Roach, Booker Little, Julian Priester e altri. Memorabile resta il blues
di Roy Eldridge a chiusura dell’album, dove il decano del jazz con il
ruggito della sua tromba dà segno della sua rabbia contro il potere
dei bianchi e la loro arroganza nell’appropriarsi di una musica che
non è la loro.
Nel luglio del 1960 Mingus viene chiamato in Francia al Festival jazz
di Juan Les Pins, e la sua esibizione sbalordisce positivamente sia la
critica che il pubblico di appassionati. Memorabile resta la
performance dove Bud Powell (allora residente in Francia) suonerà il
piano a fianco dello stesso Mingus, Eric Dolphy, Ted Curson, Booker
Ervin e l’immancabile Richmond. Quello storico e memorabile
concerto sarà pubblicato dall’Atlantic, con il titolo Mingus at Antibes,
solo sedici anni dopo, nel 1976!
Charles Mingus è ormai da cinque anni che, con composizioni di
altissimo livello, esibizioni dal vivo con musicisti di prim’ordine e
iniziative pubbliche di grande impegno civile, è all’attenzione della
critica e del pubblico. Pochi sono i musicisti di jazz che, in così poco
tempo, sono riusciti a produrre tanti capolavori. E questa “striscia” di
successi sembra non aver termine. E’ del 1961 un altro grande brano,
Passions Of A Man, contenuto in un album ancora per l’Atlantic, dal
titolo Oh Yeah, dove segnaliamo la partecipazione del grande
polistrumentista Roland Kirk. In Passions of a Man, Mingus dà ancora
fondo, con grande lucidità al suo coraggio di innovatore e
sperimentatore. Si evocano nei contenuti i grandi tormenti dell’uomo:
la lotta tra la vita e la morte, il piacere e il senso di frustrazione sono
evocati dentro un quadro non solo musicale, ma poetico recitativo e
teatrale.
Nel 1962, con una parentesi affettuosa e di profonda ammirazione,
insieme all’amico batterista Max Roach incide un album con il suo
grande “padre” Duke Ellington dal titolo Money Jungle. Si esibisce
spesso al Birdland di New Yok e i suoi concerti sono trasmessi dalla
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radio. E’ di questo periodo l’ingresso nella band di Mingus di Jaki
Byard, con lui, sembra appagare il desiderio di avere un pianista in
sintonia con la sua musica.
Solo un anno dopo siamo all’ennesimo capolavoro: per l’etichetta
Impulse esce The Black Saint and the Inner Lady. Questo lavoro, una
suite in sei movimenti è dedicato, nei contenuti, ancora una volta alla
problematica razziale e concepita per un balletto. La vicinanza a
Ellington si fa notevolmente sentire anche in questo disco, non solo
per il tema evocato che è identico a quello di Black, Brown And Beige,
capolavoro del Duca, ma anche in senso timbrico. La presenza stessa
del trombonista Quentin Jackson, già con Ellington, con la sordina
Wha-Wha, e del sassofonista Charlie Mariano che richiama il grande
Johnny Hodges, garantiscono quel suono Jungle, tipico dell’orchestra
di Duke Ellington.
Bisogna aggiungere che la realizzazione di questo capolavoro di
Mingus, non è stata per nulla lineare, ma alquanto faticosa nella la
stessa registrazione. E’ un collage di frammenti messi a punto dal
produttore stesso Bob Thiele, con un Mingus non particolarmente
paziente e comprensivo, comunque alla fine l’equilibrio tra le sue
parti e l’unità complessiva dell’opera risultano ammirevoli.
L’atmosfera primitiva e selvaggia, carica di tensione emotiva data dal
vulcanico Mingus, sono rese al massimo e un grande merito di
questo è da attribuire alla formidabile ed efficacissima collaborazione
dei solisti.
L’anno successivo, il 1964 vedrà Charlie Mingus e il suo gruppo girare
in lungo e in largo l’Europa, ritorna per l’occasione anche Eric Dolphy,
al sax tenore Clifford Jordan, il trombettista Johnny Coles e gli ormai
fidi Jaki Byard al piano e Dannie Richmond alla batteria. Di questa
felicissima tournée, è obbligo ricordare il grande concerto del 19
aprile a Parigi (Midnight at the Champs-Elysées), registrato dal vivo
in un bellissimo album dal titolo The Great Concert of Charles Mingus.
Numerose furono le esibizioni in altrettanti capitali d’Europa, tra cui
Stoccarda, Berlino e anche Milano, qui il nostro Arrigo Polillo
organizzò due concerti dove si ebbe occasione di sentire dell’ottima
musica. Quando Mingus si esibisce e propone la sua musica, non c’è
alcun dubbio sulla qualità, l’impegno professionale e la perfezione
delle sue composizioni e del contributo di quegli straordinari musicisti
che compongono i suoi gruppi.
Ma con Mingus senza contrabbasso le sorprese sono sempre in
agguato, annotò allora il critico tedesco Joachim E. Berendt sulla
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rivista Down Beat del 18 giugno 1964 -”Mingus al basso, ha
trasmesso al pubblico il suo messaggio nel modo più travolgente e
convincente. Ma cessa di essere convincente quando smette di
suonare. Egli può esprimere il suo odio verso la gente nella sua
musica e, se lo fa in modo così grande, niente da dire. Ma se il suo
odio si esprime nel suo comportamento, allora non è più grande: è
solo penoso e imbarazzante. E, se si considera quale sia lo status di
Mingus nel jazz, è una tragedia” -(12).
Anche Polillo durante quelle due serate a Milano, visse alcuni
momenti di tensione per le stravaganti iniziative del suo scritturato
ma concluse che questi episodi, seppur spiacevoli, furono
ampiamente compensati ascoltando lui e il suo gruppo proporre una
splendida musica.
Quindi una tournée, quella europea a tinte contrastanti, si potrebbe
dire. Da una parte il Mingus personaggio volubile e bizzarro,
perennemente “contro” e difficilmente gestibile per le sue paranoie
caratteriali e psicologiche. Da l’altra il genio musicale che incantava
pubblico e critica con la sua sublime arte e che in buona parte
riusciva a compensare l’altra disastrosa parte di sé. E proprio dal
punto di vista musicale, Mingus fu prodigo anche di novità
compositive e di rifacimenti di suoi brani. Tra i brani presentati in
quei concerti figura una versione esclusivamente strumentale di
Fables of Faubus, il pregiato e trascinante So Long Eric (un invito a
Dolphy a non stare troppo a lungo lontano dal gruppo), e poi una
suite, Meditations, dove prevaleva un’atmosfera dedicata alle vicende
del popolo negro trapiantato con la forza in America, dove la
denuncia per le condizioni dei suoi fratelli si fa ruvida e feroce.
Rientrato a fine aprile del 1964 a New York, Mingus suona al Five
Spot e proprio lì, il 29 giugno lo raggiunge la notizia della morte di
Eric Dolphy che era rimasto in Europa per una serie di concerti e per
alcuni dischi.
La reazione di Mingus è estrema, violenta, butta a terra il suo
nuovissimo contrabbasso, lo calpesta fino a ridurlo a pezzi, non è
esibizionismo il suo: è un mix di rabbia e dolore veri per la scomparsa
dell’amato amico. Al funerale che si tenne a Los Angeles, pianse e si
agitò tantissimo fino al punto di cadere vicino alla tomba; il suo sesto
figlio che nascerà a luglio, si chiamerà Eric Dolphy Mingus.
Invitato a settembre al festival jazz di Monterey, si esibì con un
gruppo composto da dodici elementi ottenendo un successo
strepitoso davanti ad un pubblico di cinquemila persone. In
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quell’occasione presentò il brano Meditations adattandolo in una
versione orchestrale e più addolcita e intitolandolo definitivamente
Meditations On Integration. Deciderà Charlie Mingus di produrre in
proprio l’album di questa straordinaria esibizione al Festival di
Monterey, investendo nuovamente nella scommessa di una casa
discografica indipendente. Onore al coraggio e soprattutto alla
cocciutaggine del genio di Nogales nel voler sfidare il business
musicale e commerciale dei bianchi. Lo aiuterà in questa nuova
impresa la sua nuova donna, la giornalista Susan (Sue) Graham, una
bianca con i capelli biondi che, solo undici anni dopo diverrà la sua
quarta moglie. Sperimentò la vendita per corrispondenza di opere
solo sue, ma nonostante l’incoraggiamento e il sostegno di parte della
stampa e dell’amico Hentoff, dopo un anno dovette porre fine a
quell’impresa rimettendoci anche parecchi soldi.
Per rifarsi da questo fallimento Mingus prova a trasformare il
locale dove abita in una sorta di scuola di musica, ma dopo un po’
ricevette lo sfratto. Mingus esasperato, tenta di montare un caso
buttandolo sul musicista nero perseguitato richiamando l’attenzione di
giornali e televisione, pare anche scrivendo direttamente al Papa! Era
l’evidente segno di un malessere psichico che andava montando:
pieno di debiti e senza alcun bene materiale, si fece di nuovo
ricoverare in ospedale psichiatrico, di seguito scomparve in California
e per quattro anni pare, sembrò quasi che la terra lo avesse
inghiottito. Solo nel maggio del 1967, a New York il nostro Arrigo
Polillo lo ascoltò al Porkie’s Pub esibirsi con un gruppo ridotto, ma
l’uomo era malfermo in salute e notevolmente ingrassato.
Quando si ripresentò sulle scene, tra il 1969 e il 1970, i molti
appassionati che ebbero l’opportunità di incontrarlo e sentire le sue
esibizioni, si trovarono di fronte un uomo molto diverso, per certi
versi irriconoscibile rispetto dal Mingus di un tempo. Le cure
psichiatriche e gli abbondanti tranquillanti avevano restituito forse un
uomo “più tranquillo”, quasi atipico e senza alcun mordente. La sua
stessa musica pareva svuotata di quello smalto scintillante di un
tempo, priva di qualunque tensione emotiva e della grinta che la
faceva unica nel mondo del jazz. Nel 1970 affronta una nuova
spedizione in Europa, nel gruppo rientra il pianista Jaki Byard ma non
basta, Mingus appare stanco e silente, forse anche imbottito di
tranquillanti si esibisce quasi di malavoglia.
In questo periodo Mingus pubblica la sua autobiografia, il libro
Beneath the underdog (peggio di un bastardo), che comunque riportò
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il nome del musicista sulle prime pagine dei giornali, suscitando
anche l’interesse della critica- C’è almeno un pizzico di tutti i Mingus.
E’ brutale, e sudicio e amaro. E’ sentimentale e autocommiseratore.
Rude e, qua e là, ingiusto...E’ faceto e comico...-(13).
Si avverò anche un suo sogno di sempre, quando al City Center di
New York la celebre compagnia di Alvin Aily mette in scena un
balletto basato su pezzi scritti da lui intitolandolo The Mingus Dances.
In quel periodo furono riediti alcuni dei suoi dischi migliori e alcuni
nuovi i cui brani furono registrati parecchi anni primi. Tra questi è
degno di segnalazione “Let my children hear music” prodotto dalla
Columbia, i cui brani furono eseguiti da un’orchestra di trentatré
persone e con lui al contrabbasso. Nel 1971 la Fondazione
Guggenheim assegnò a Mingus in qualità di compositore una borsa di
studio di 15.000 dollari.
Nel 1973 Charles Mingus rientra in studio per registrare un nuovo
album per l’Atlantic, Mingus Moves. In questa occasione rientra nel
gruppo il batterista Dannie Richmond, allontanatosi nel periodo buio
perché aveva trovato lavoro da altre parti. Ma le novità sono quelle
dell’ingresso nel gruppo di Mingus di alcuni notevoli solisti quali il sax
tenore George Adams e il pianista Don Pullen. Con questa nuova linfa
si potrà sentire di nuovo il Mingus di una volta: tra il 1974 e il 1975 si
esibisce spesso in Italia con dei concerti a cui parteciparono migliaia
di giovani entusiasti, Pescara, il festival jazz di Bergamo al Palazzo
dello Sport gremito di 10.000 persone, identico entusiasmo a Umbria
Jazz. La ritrovata energia e la sua splendida musica di questo
periodo, si accompagnò ad un comportamento corretto e in generale
lontano dalle stramberie e dagli eccessi che lo avevano sempre
contraddistinto. Quasi una nuova rinascita per il vulcanico e
combattente musicista di Nogales, a testimonianza di questo felice
periodo, delle luci che si riaccendono sulla sua grande figura di
jazzista, due nuovi album per l’Atlantic: Changes One e Changes Two.
Tra i pezzi composti da Mingus in questi dischi è obbligo ricordare le
due lunghe suites Sue’s Change e Duke Ellington’s Sound of Love;
non mancano, l’uomo è sempre sulle barricate, alcuni brani del filone
di protesta, ora sul versante del sistema carcerario USA, quali Free
Cell BlockF, Tis Nazi Usa e Rembember Rockefeller At Attica.
Nel 1976 Charlie Mingus fu chiamato a Roma dal regista italiano Elio
Petri per registrare le musiche del suo film Todo Modo. Mingus portò
circa quarantacinque minuti di composizione e si rese disponibile, da
professionista quale era, ad eventuali modifiche; ma alla fine Petri
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pieno di dubbi decise che quella musica non andava bene, scelse
Ennio Morricone.
Mingus questa volta se ne uscì in modo signorile, rispose
semplicemente pubblicando quelle musiche in un album da titolo
Cumbia & Jazz Fusion ottenendo un ottima risposta di critica e nelle
vendite. Adattò in questa occasione quelle musiche ad un altro film
che raccontava delle vicende dei contadini diseredati della Colombia e
dei trafficanti di droga. La “cumbia” è infatti una danza di quel Paese
e il termine jazz & fusion vuole indicare la fusione dei ritmi sud
americani con il jazz.
Siamo agli ultimi fuochi del grande Charles Mingus. Registra, in
quella primavera del 1977, per l’Atlantic l’album Three Or Four
Shades Of Blues più per esigenze di mercato della casa discografica
che non per sue necessità espressive. La riprova è che Mingus appare
molto defilato in un gruppo di dodici musicisti, dove ci sono altri due
contrabbassisti, uno è Ron Carter, l’altro Geroge Mraz, ma la sua
presenza è quasi superflua anche come arrangiatore della sua stessa
musica. Ma ormai l’uomo era provato fisicamente, sempre affaticato,
quasi pareva trascinarsi il fantasma di quel vulcanico, collerico
personaggio che è stato. La “caldaia di emozioni”, così l’aveva definito
l’amico Nat Hentoff, ormai si stava piano piano spegnendo.
Alla fine del 1977 i medici comunicarono alla famiglia di Charles
Mingus che il loro caro era affetto da sclerosi amiotropica laterale,
una malattia incurabile, detta anche “morbo di Gehrig”, dal nome di
un campione di baseball, Lou Gehrig ucciso appunto da questa
malattia. Gli toccò la sedia a rotelle, lui che balzava sul palco come un
felino, nonostante il corpo non filiforme e, quando spesso era in
collera si portava appresso anche lo strumento, che proprio tascabile
non era.
Nell’estate del 1978 il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, volle
festeggiare alla Casa bianca il venticinquesimo anniversario del
Festival di Newport. Mingus, in sedie a rotelle, era tra gli invitati e
quando George Wein, l’organizzatore del ricevimento, lo invitò sul
palco, il leone ormai dalla criniera arruffata, ricevette una lunghissima
ovazione dai numerosi invitati. Il Presidente lo volle abbracciare e
Mingus pianse.
Jerry Mulligan parlò alla moglie Sue di una guaritrice messicana che
aveva salvato una sua amica dal cancro. L’affettuosa e straordinaria
moglie di Charles Mingus decise di partire per Cuernavaca con il
marito e con uno dei figli per essere a disposizione di questa strana
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vecchia che di nome faceva Pachita e usava il voodoo, la psicologia e
svariati infusi come uniche medicine. In quella località dal clima mite
non lontana da Città del Messico, Charles Mingus si sottopose
paziente a tutte quelle cure, non rinunciando comunque, anche a
causa dall’insonnia a farsi trasportare nei locali notturni lì vicino.
Nonostante le molteplici attenzioni, Mingus faceva anche bagni
termali e fangature, il male ebbe ragione dell’uomo. Charles Mingus
morì, stroncato da un collasso cardiaco il 5 gennaio 1979.
Contrariamente a quanto si potesse aspettare da un uomo che nella
vita è stato sempre bisognoso di circondarsi dell’affetto delle persone,
nelle sue ultime volontà Mingus dettò che non voleva un classico
funerale con corteo e folla piangente. Sue Mingus cremò il corpo del
marito e portò le ceneri di Charles Mingus a disperdersi nel Gange, a
testimonianza della grande fede dello stesso nella reincarnazione. Fu
solo una coincidenza, ma lo stesso giorno in cui morì Mingus furono
trovate morte spiaggiate cinquantasei balene, come cinquantasei era
il numero degli anni di Charles Mingus.
Il mondo del jazz restò piuttosto impressionato da questi
avvenimenti, così come per certi fatti, apparentemente fuori dalla
portata di una qualsiasi spiegazione razionale, successi dopo la morte
di Charlie Parker. Tutto questo, altro non era, se non il segno che
anche Charles Mingus ormai faceva parte dei mitologici eroi della
musica afro americana.
Note bibliografiche
1-5-11- Charles Mingus -Peggio di un bastardo -Baldini Castoldi Dalai -2005
2-7-8 - Marco Piccardi -Charles Mingus, l’uomo, la poesia, le passioni, la
musica -Stampa Alternativa Nuovi Equilibri - 1992
3-4-12-13- Arrigo Polillo - Jazz, La vicenda e i protagonisti della musica afro
americana- Mondadori 1975
6- Mario Luzi - Charles Mingus - Lato Side- 1983
9- Pino Candini - I grandi del jazz, Charles Mingus -Fabbri Editori 1979
10 -Brian Prestley in Musica Jazz agosto 2009
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Better Git It In Your Soul "http://www.youtube.com/embed/SPoK1lryfh4"
Original Faubus Fables"http://www.youtube.com/embed/QT2-iobVcdw
So Long Eric "http://www.youtube.com/embed/iY8jWn6porM