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1 . Generalità
Specie chimiche isolate hanno una loro energia; più questa
energia è bassa e più un
elemento si definisce stabile.
Due elementi che interagiscono e si por-
tano a livelli energetici più bassi, forma-
no una nuova specie chimica detta mo-lecola; la forza attrattiva
che li tiene
aggregati è definita legame.
Come si formano i legami
Gli elementi si devono innanzitutto avvi-cinare. Man mano che
diminuisce la di-
stanza tra i nuclei, aumenta la repulsione
tra que-sti in quanto hanno cariche di stesso segno.
Gli elettroni interposti tra il primo ed il se-condo elemento
d’altro canto, risentono
invece delle forza attrattive dei due nuclei.
Nel momento in cui le forze di attrazione e
repulsione si bilanciano, si forma il legame e le specie
chimiche si stabilizzano, elimi-
nando energia.
Tale distanza chiaramente non ha un valore
costante, ma varia in funzione del volume atomico della specie e
degli elementi che
entrano in reazione ed è chiamata distanza
di legame. Più energia viene eliminata e più il legame
sarà forte. Per rompere il legame sarà ne-
cessario fornire una quantità di energia det-ta energia di
legame (kJ/mol) pari a quella liberata.
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2 . Classificazione dei legami
3 . Teorie sul legame chimico
Già nella seconda metà dell’Ottocento erano state elaborate
delle teorie di legame: una delle più accreditate era quella
del-
la valenza di Edward Frankland (1825-99). Con la scoperta degli
elettroni nel 1897 e dei raggi X, le teorie sul legame
chimico si modificarono. In particolare, fu presto chiaro che
gli
elettroni erano coinvolti nel meccanismo di formazione del
le-
game e che ogni elemento della tavola periodica aveva un
e-lettrone in più rispetto al precedente.
Nel 1904 Richard Abegg (1869-1910) aveva capito che i gas
nobili erano molto poco reattivi perché possedevano una grande
stabilità elettronica , pertanto tutti gli elementi acqui-
stavano o cedevano elettroni in modo da raggiungere la stes-
sa configurazione stabile dei gas nobili. In pratica, Abegg
uti-lizzava già quella che oggi è nota come
regola dell’ottetto:
- gli atomi hanno la tendenza di condividere o scambiare e-
lettroni in modo da raggiungere otto elettroni nel livello
elettroni-
co più esterno.
Con questa teoria si riusciva a spiegare il meccanismo di
forma-
zione degli ioni, ma non la formazione del legame oggi noto come
covalente, per esempio nel caso di due atomi di ossigeno che si
uniscono a formare la molecola O2.
Furono Lewis e Irving Langmuir nel 1916 a proporre
indipendentemente l’uno dall’altro una teoria di legame più
completa di quella di Abegg.
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Quando formano un legame, gli atomi tendono a completare il
livello esterno e a rag-
giungere l’ottetto e lo possono fare in due modi: donando o
cedendo elettroni (detti di
valenza), oppure mettendo in comune uno o più elettroni con
l’atomo con cui formano il legame.
Per rappresentare il legame tra due atomi, Lewis propose una
particolare simbologia.
Si tratta di un metodo semplice per descrivere gli elettroni nel
guscio di valenza di un atomo, quindi si evidenzia solo la
configurazione elettronica esterna tralasciando
quella interna completa.
I primi 4 elettroni di valenza, rappresentati da punti, sono
posti uno alla volta attorno al simbolo dell’atomo; se vi sono
altri elettroni di valenza, questi vengono accoppiati a
quelli già presenti:
4 . Legami forti Specie chimiche isolate attraverso i legami
forti
formano aggregati atomici definiti molecole,
altamente stabili, capaci di esistere come unità indipendenti in
tutti gli stati di aggregazione
della materia: solido, liquido e gassoso. Riprendiamo l’esempio
già considerato inizial-
mente della molecola più semplice, quella dell'idrogeno
(H2).
L'atomo di idrogeno ha configurazione elettro-
nica 1s: è cioè costituito da un protone ed un elettrone. Quando
due atomi di idrogeno si av-
vicinano l'uno all'altro, le forze di attrazione che
il nucleo di un atomo esercita sulla nuvola elettronica
dell'altro vanno via via aumen-
tando man mano che diminuisce la distanza fra di loro (vedi il
grafico a lato dell'Ener-gia potenziale, Ep, in funzione della
distanza fra i nuclei). Giunti ad una distanza di
0.74 Å, l'attrazione è massima, mentre la repulsione fra i due
nuclei è ancora relati-
vamente bassa. In queste condizioni, le nuvole elettroniche dei
due atomi si fondono in modo che i due orbitali atomici danno
origine ad un nuovo orbitale, orbitale di va-
lenza o molecolare, che ospita entrambi gli elettroni e occupa
una regione dello spa-
zio che comprende i due nuclei. Al di sotto di questa distanza,
la repulsione internu-cleare prenderebbe a crescere rapidamente,
per cui i due nuclei tendono a rimanere
alla distanza di minima energia potenziale.
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Legami forti ed elettronegatività
Quanto abbiamo appena illustrato, relativamente all’attrazio-n e
eser-
citata dai nuclei sugli elettroni di legame, rientra
nell’ottica
dell’elettronegatività introdotta da Pauling intorno agli anni
‘30
E’ chiaro che se il legame interessa specie
chimiche uguali, come nell’esempio prece-dente gli elettroni
interposti tra i nuclei si di-
spongono alla stessa distanza tra questi, in quanto i due a-
tomi di idrogeno hanno stessa elettronegatività. Gli elettroni
dei due atomi (elettroni di legame) vengono pertanto condi-
visi ed il legame prende il nome di legame covalente puro.
Se le specie chimiche coinvolte
nel legame sono invece diverse, ma a bassa differenza di
elettronegatività,cioè compresa tra 0 e 1,6 - gli elettroni
di legame non si distribuiranno simmetricamente tra i nu-
clei, ma saranno più spostati verso l’elemento più
elettro-negativo. Un esempio rappresentativo
può essere quello dell’acido cloridrico HCl,
in cui il cloro è l’elemento più elettronega-tivo. La molecola
si dirà polare in quanto
presenterà una parziale polarità positiva
(+) dalla parte dell’idrogeno (elemento
meno elettronegati-vo) ed una parziale polarità negativa (-)
dalla par-
te del cloro. Il legame si dirà covalente polare o
eteropolare.
Qualora la differenza di elettronegatività
tra gli elementi coinvolti nel legame ab-
bia valori elevati, cioè superiori a 1,6 - gli elettroni di
legame saranno catturati
dall’elemento più elettronegativo che di-
venterà uno ione stabile a carica negati-va. Conseguentemente
l’altro elemento, avendo perduto uno o più elettroni esterni
avrà carica positiva. Tale legame si dirà ionico o salino in
quanto tipico dei sali cioè di
quelle molecole binarie formate da metallo e non metallo.
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4 .1 Legame covalente
Nel legame covalente due o più specie chimiche uguali o diverse
tra di loro, mettono
in comune due o più elettroni (purché a differenze di
elettronegatività consentite cioè
inferiori a 1,6). Questo avviene per completare il livello
energetico nel rispetto della regola dell’ottetto. Quando gli
elettroni vengono messi
in compartecipazione, non gireranno più in un orbitale
atomico, ma in un orbitale molecolare. Si rappresenta con una
coppia di puntini interposta tra i simboli degli
elementi o con una linea.
Legame singolo omopolare
Riprendiamo l’esempio dell’idrogeno gassoso
H2 dove vengono coinvolti nel legame due sottolivelli s. Due
atomi di
idrogeno appartenendo al
primo gruppo hanno en-trambi un solo elettrone
all’ultimo livello.
Nel momento in cui si forma il legame, gli elettroni spaiati
vengo-no condivisi a spin opposti, in un unico orbitale detto
orbitale mo-
lecolare. Gli elettroni di legame del sottolivello s, si
disporranno in
una nube avvolgente la distanza tra i due nuclei.
Questo legame, molto forte, è detto legame (sigma).
Un altro esempio di legame singolo è quello tra due atomi di
cloro per la formazione di
cloro gassoso Cl2. Qui vengono coinvolti nel le-
game due sottolivelli di tipo p. Il cloro è un e-lemento del
settimo gruppo e pertanto ha sette
elettroni all’ultimo livello.
Il caso è analogo al precedente. I due elettroni
spaiati vengono messi in comune e si forma
anche qui un legame singolo con la formazione di un orbitale
molecolare. L’unica variabile sono
gli orbitali coinvolti nel legame: per i due atomi
di cloro sono quelli del sottolivello p.
Anche in questo caso gli elet-troni di legame si dispongono
in una nube che circonda la li-
nea immaginaria che unisce i due nuclei.
Il legame è molto forte ed è un
legame di tipo
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Legame singolo eteropolare
Due elementi diversi a bassa differenza di elettronegatività
possono condividere un
lettrone spaiato in orbitali di sottolivelli p (le modalità di
formazione sono analoghe a quelle del caso precedente del cloro
gassoso Cl2) oppure formano l’orbitale molecolare
con un orbitale di sottolivello s ed uno di sottolivello p. Un
esempio può essere quello
dell’acido cloridrico HCl. Anche in questo caso si forma un
legame forte di tipo
La differenza con i casi precedenti è che le specie coinvolte
non sono uguali e quindi
risulta diversa la simmetria del legame. In questo caso gli
elettroni di valenza sono più
attratti dal cloro che ha un’elettronegatività maggiore rispetto
a quella dell’idrogeno, pertanto la molecola presenterà un
dipolo.
Legami singoli covalenti, nella maggior parte dei casi,
coinvolgono più
di due elementi. Un esempio è quello offerto dalla molecola
d’acqua
H2O. L’ossigeno mette in comune un elettrone spaiato di un
orbitale p con quello dell’orbitale s dell’idrogeno e l’altro
elettrone singolo
dell’altro orbitale p con un altro idrogeno.
Anche in questo caso si formano due legami di tipo e la
molecola risulta polare con un + dalla parte degli idrogeni
meno elettronegativi e un - dalla parte dell’ossigeno.
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Legame doppio
Si forma quando due specie chimiche mettono in comune
ciascuno due elettroni spaiati. Un caso potrebbe essere
quello dell’ossigeno molecolare O2. Il primo legame che si
forma è di tipo , il secondo invece determina la formazione
di un orbitale molecolare in cui gli elettroni si collocano
e-
sternamente rispetto alla linea congiungente i due nuclei.
Tale legame, più debole del precedente è chiamato (pi
greco).
Legame triplo
In questo caso le due specie chimiche mettono in comune
ciascuno tre elettroni spaiati. Un esempio potrebbe esse-re
quello dell’azoto molecolare N2. Il primo legame che si
forma è di tipo , gli altri due legami sono di tipo
Legame covalente dativo
Il legame dativo detto anche di coordinazione è un particolare
legame covalente che si
instaura tra due elementi di cui uno mette in compartecipazione
una coppia di elettro-
ni non impegnata in alcun legame (lone pair) e l’altro un
orbitale vuoto.
Diversamente dal legame covalente, quello dativo si forma tra
due non metalli di cui
uno ha già raggiunto l’ottetto. E’ proprio quest’ultimo
(elemento donatore) che mette
a disposizione il suo lone pair con l’altro elemento (elemento
accettore). Il vantaggio nel legarsi risiede nel fatto che il
legame aggiuntivo stabilizza maggiormente la mole-
cola portandola a livelli energetici più bassi.
Il legame dativo si rappresenta graficamente con una freccia che
parte dal donatore e va verso l’accettore. La freccia indica che
sono stati messi in comune due elettroni,
pertanto va considerata in modo analogo ad un doppio legame; per
questo motivo
molti autori rappresentano il legame dativo anche con due linee
(forma però meno
corretta).
Vediamo degli esempi.
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Caso dello ione ossonio o idrogenione H3O+. Partiamo dalla
molecola d’acqua.
L’ossigeno, come
si vede dalla figu-ra ha ben due lo-
ne pair, pertanto
mette in comune
una coppia di e-lettroni con lo io-
ne idrogeno che,
avendo perso l’elettrone ha l’orbitale vuoto. Il legame dativo
nella formula è eviden-ziato dalla freccia.
Caso degli acidi del cloro. Partiamo dall’acido ipocloroso
HClO.
In questo caso il cloro ha ben tre lone pair,
in grado quindi poten-
zialmente di formare fino a tre legami dati-
vi. Se lo facciamo rea-
gire con un altro atomo di ossigeno si osserva però che
quest’ultimo non dispone di orbitali vuoti. Si ammette quindi che
l'ossigeno possa subire una transizione dalla con-
figurazione più stabile, prevista dalla regola di Hund ad una
configurazione, meno
stabile nella quale un elettrone viene spostato da un orbitale p
semisaturo, generando
un orbitale vuo-to, all’altro orbi-
tale p semisa-
turo.
In questo modo l'ossigeno possiede ora un orbitale p vuoto che
può utilizzare come
accettore di un doppietto elettronico per formare un ulteriore
legame chimico con il
cloro di tipo dativo, per dare l’acido cloroso HClO2.
Il passaggio dell’
ossigeno ad una
configurazione me-
no stabile richiede ovviamente ener-
gia, ma questa
viene più che com-pensata dall’ au-
mento di stabilità che si ottiene con la formazione di un
ulteriore legame.
Il cloro ha ancora due coppie di elettroni non impegnati in
alcun legame pertanto può
legarsi per ben due volte con altri due atomi di ossigeno con
legame dativo. Le modalità di formazione dei legami sono analoghe a
quelle appena descritte.
Avremo pertanto le
seguenti molecole:
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4 .2 Legame ionico
Si instaura tra due elementi che hanno differenze di
elettronegatività superiori a 1,9.
E’ chiamato anche legame salino perché è il legame tipico dei
sali, ma è presente
anche negli ossidi acidi, cioè in composti formati da metallo
più ossigeno (si parla comunque sempre di
metallo e non metallo).
I metalli difatti hanno la caratteristica di cedere
facilmente elettroni e i
non metalli quella di acquistarli.
Quando questi elementi interagiscono formano quindi ioni ed il
legame non è altro che
l’attrazione elettrostatica tra il catione e l’anione
neoformati. Tali
ioni si dispongono alternandosi regolarmente in strutture
cristalline ordinate, molto stabili. La geometria del cristallo
dipende dal tipo di
ioni che lo compongono.
E' opportuno specificare che con il legame ionico non si formano
molecole: una molecola infatti è un aggregato di atomi e non di
ioni. La formula di un composto ionico, ad esempio NaCl, non
sta
quindi ad indicare una molecola, ma semplicemente il rapporto di
combinazioni tra ioni positivi e negativi nella struttura
cristallina affinchè questa
risulti neutra.
Il legame ionico è in genere un legame forte, ed è tanto più
forte quanto maggiore è la carica elettrica posseduta dagli ioni
coinvolti, e quanto minore è la distanza fra essi.
La distanza fra gli ioni è determinata a sua volta dalle loro
dimensioni. Facciamo un
esempio per chiarire quanto appena detto. NaCl fonde a 801 °C,
mentre CaO (ossido di calcio), che è pure un solido ionico, fonde
alla temperatura di 1580 °C. La notevole
differenza dei punti di fusione dei due composti dipende dalla
forza dei legami e trova
giustificazione nel fatto che gli ioni Ca++ e O-- che
caratterizzano la struttura dell'ossido di calcio, non solo
posseggono carica doppia di quella degli ioni Na+ e Cl-, ma
sono
anche molto più piccoli.
Il cristallo ionico è:
• duro (non si lascia penetrare) • rigido (non si piega) •
fragile (si frattura senza deformarsi)
• un solido cristallino con temperatura di fusione alta
Queste
proprietà sono dovute alle in-
tense forze at-
trattive che
mantengono gli ioni in posizioni
specifiche in
tutto il cristallo.
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Caratteristiche dei composti ionici:
- I composti ionici sono tutti solidi a temperatura ambiente -
Non conducono la corrente allo stato solido ma sono tutti buoni
conduttori di
corrente elettrica allo stato fuso o in soluzione.
Nonostante siano presenti ioni,
questi rimangono fissi in posi-
zioni determinate all’interno del cristallo, al massimo
possono
vibrare, ma allo stato fuso, l’e-
nergia cinetica maggiore con-sente lo spostamento degli ioni
e quindi la conducibilità elettri-
ca. In acqua gli ioni vengono i-
dratati (circondati da molecole d’acqua) in base alla
polarità
opposta, cioè l’ossigeno della
molecola acqua attrae con il
suo lo ione Na+ circondando-
lo, viceversa gli idrogeni dell’ac-qua circondano il Cl-.
4 .3 Legame metallico
I metalli sono elementi chimici i cui atomi si presentano con
pochi elettroni all’ultimo
livello energetico; questi elementi, avendo bassa affinità
elettronica e basso potenziale
di ionizzazione hanno elettroni esterni particolarmente mobili,
pertanto facilmente si trasformano in ioni positivi.
Tali ioni poi si dispongono in
modo ordinato all'interno di una struttura tridimensionale
nella quale una nube di e-
lettroni delocalizzata circola avvolgendo gli ioni positivi
e
mantenendoli compatti.
Il legame che tiene uniti ioni
positivi ed elettroni è detto legame metallico. Tanto più
numerosi sono gli elettroni mobili, tanto più forte sarà il
legame metallico.
Questo modello spiega in modo coerente tutte le proprietà dei
metalli, come per
esempio la malleabilità (capacità di essere trasformato in
lamine sottili), la duttilità
(capacità di essere trasformato in fili sottili) e in genere la
facile lavorabilità di queste sostanze. L'alto grado di
deformabilità dei metalli è determinato infatti dalla
distribuzione uniforme degli elettroni mobili che da un lato
permette lo scivolamento
degli ioni positivi lungo i piani reticolari e dall'altro
garantisce la loro coesione.
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Inoltre, l'elevata conducibilità elettrica e termica si
giustifica immediatamente
con la notevole mobilità di cui sono dotati gli elettroni:
l'azione di un campo elettrico
provoca infatti l'immediato trasferimento degli stessi lungo il
metallo e analogamente l'aumento di temperatura in una zona del
metallo determina l'aumento della loro
energia cinetica e la conseguente trasmissione del movimento a
quelli presenti nella
parte più fredda.
Infine la tipica lucentezza metallica si spiega immaginando che
la luce costringa gli elettroni a saltare sui numerosi livelli
energetici vuoti e molto vicini gli uni agli altri
degli ioni che costituiscono il metallo, per poi ricadere ai
livelli inferiori, restituendo
l'energia sotto forma di fotoni di vario tipo, cioè di luce di
tutti i colori. Le caratteristiche metalliche degli elementi si
vanno attenuando procedendo lungo il
Sistema Periodico, da sinistra a destra. Ciò si giustifica
considerando che gli elettroni
di valenza aumentano progressivamente in quella direzione
riempiendo gli orbitali più esterni.
5 . Legami deboli Sono legami di natura elettrostatica, che si
instaurano tra molecole della stessa
specie o di specie diverse già formate. Per questo motivo sono
detti anche legami in-termolecolari. Nonostante hanno meno di un
ventesimo di energia in meno rispetto ai
legami forti e quindi si possono rompere con molta facilità,
sono molto importanti per-
ché contribuiscono a determinare le proprietà fisiche dei
composti. In macromolecole come il DNA o le proteine investono un
ruolo essenziale nella loro struttura, perché
nonostante siano deboli, quando agiscono simultaneamente
conferiscono stabilità alla
molecola e allo stesso tempo flessibilità, importantissima nei
processi biologici.
5 .1 Legame idrogeno
Il legame idrogeno è un particolare legame che
si instaura tra due molecole che abbiano un di-polo, definito
anche come legame dipolo-dipolo.
Diversamente da un generico legame dipolo-
dipolo, per verificarsi necessita di determinate
condizioni:
- L'atomo di idrogeno deve essere legato,
mediante legame covalente, ad un
elemento molto elettronegativo, pertanto il legame risulta
fortemente
polarizzato e l'idrogeno acquista un +
- L’elemento cui è legato l'idrogeno deve
essere molto elettronegativo (es: O, N,
F) e presentare almeno una coppia di elettroni non impegnata in
legame
Così l'idrogeno verrà attratto con la formazione di un legame
più intenso rispetto ad
una semplice interazione dipolo-dipolo e tale legame viene
evidenziato graficamente
con tre puntini.
Il caso sicuramente più rappresentativo è quello offerto dalla
molecola d’acqua.
Nonostante il legame idrogeno che si instaura nell'acqua abbia
una forza di circa
quindici volte minore rispetto ad un normale legame covalente e
una distanza di legame media notevolmente maggiore ha un’influenza
fondamentale sul suo stato di
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aggregazione. Sono proprio i legami idrogeno
presenti nell’acqua a determinare le proprietà
dell’acqua come la coesione, l’adesione,la temperatura di
ebollizione etc.
Nell'acqua liquida i
legami idrogeno si formano e si
distruggono continuamente ed ogni molecola di acqua
può formare due+due legami idrogeno. Nel ghiaccio, per la minore
agitazione termica, la struttura
tridimensionale tende ad essere tetraedrica e ciascuna
molecola di acqua forma quattro legami idrogeno stabili. Tale
fattore determina distanze fisse e costanti tra
molecole, con spazi intermolecolari maggiori nel
ghiaccio, piuttosto che nel liquido. Questo è il motivo
per cui nel passaggio da liquido a solido, l’acqua aumenta di
volume,
diversamente dagli altri liquidi. In NH3 (ammoniaca) il legame
idrogeno è più debole perchè
l'elettronegatività dell'azoto è minore rispetto a quella
dell'ossigeno. Molto forte risulta invece in HF (acido
fluoridrico),
anche se bolle a una temperatura inferiore a
quella dell'acqua per la
presenza tra molecola e molecola di un solo legame idrogeno.
Importanza del legame idrogeno
Se non ci fosse il legame idrogeno l'acqua bollirebbe a circa -
100°C, ben 200 gradi di
differenza rispetto alla realtà.
Interviene anche in moltissime sostanze di
natura organica (es. proteine e DNA).
La struttura delle proteine è stabilizzata
dalla formazione di legami a idrogeno tra
l'idrogeno ammidico (-NH) di un legame peptidico e l'ossigeno
carbossilico (-C=O)
che lo sovrasta. La struttura terziaria di
alcune proteine ed enzimi viene mantenuta
anche con il contributo di questo tipo di legame.
L'accoppiamento delle basi, nel DNA, è
ottenuto e in parte mantenuto, da un certo numero di opportuni
legami idrogeno che si
instaurano tra le coppie Adenina-Timina (2
legami idrogeno) e Guanina-Citosina (tre legami idrogeno).
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5 .2 Legame ione dipolo
E’ anche questo un legame debole dovute a forze elettrostatiche
che si esercitano fra
uno ione e più molecole polari. Un catione sarà circondato dalla
parziale carica negati-
va di una molecola dipolare, così l’anione dalla parziale carica
positiva di una molecola dipolare.
Il legame dipolo dipende:
- Dalla distanza tra ione dipolo - Dalla carica dello ione
- Dalle dimensioni della molecola
dipolare E’ chiaro che la forza di attrazione sarà
maggiore se la distanza tra ione e dipolo
è minima, se la carica dello ione è alta,
se le dimensioni del dipolo sono ridotte. Nel momento in cui si
forma il legame,
le specie chimiche liberano energia sta-
bilizzando il complesso.
E’ questo il legame che si instaura du-
rante i processi di dissociazione per effetto di un solvente
polare, cioè quando una molecola si scinde in ioni sotto
l’influenza di un dipolo e la solubilizzazione di sali. Un
esempio classico di tale processo è l’idratazione degli ioni del
sale da cucina NaCl
sciolto in acqua: in soluzione, gli ioni sono circondati da
molecole d’acqua che rivolgo-
no la loro estremità polarizzata di segno opposto alla carica
dello ione.
5 .3 Legami di Van der Waals
Sono legami deboli di natura elettrostatica che si instaurano
tra molecole in cui sono
presenti legami covalenti. La natura di queste interazioni tra
le molecole fu individuata dallo scienziato olandese J.D. van der
Waals, al quale per questa scoperta fu attribuito
il premio Nobel nel 1910. Il suo lavoro fu proseguito dallo
scienziato tedesco F.
London che giunse a formulare una legge che descrive queste
forze, per tale motivo vengono anche chiamate forze di dispersione
di London.
Tali legami si formano solo a condizione che le specie chimiche
siano a distanza
ravvicinata, è per questo che sono detti anche legami a corto
raggio.
Nonostante tali forze intermolecolari siano dotate di scarsa
energia, la loro
esistenza è fondamentale nel determinare gli stati di
aggregazione delle sostanze e sono anche responsabili di altre
notevoli proprietà dei composti molecolari, come ad
esempio la loro struttura cristallina, il punto di fusione, il
punto di ebollizione, i calori
di fusione e di vaporizzazione, la tensione superficiale e la
densità. Le forze intermolecolari, in aggiunta a quanto detto,
giocano un ruolo importante
nello stabilizzare le forme tridimensionali delle macromolecole
biologiche (enzimi e
proteine).
Le forze intermolecolari possono essere permanenti o
transitorie.
Le prime sono dovute all’interazione di specie chimiche
contenenti un dipolo che si mantiene stabilmente nella molecola: in
questa categoria rientra il legame idrogeno.
Le seconde si presentano grazie ai moti termici in grado di
provocare rapide
oscillazioni delle nuvole elettroniche che determinano la
formazione di dipoli momentanei.
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Legame dipolo-dipolo
Si instaura tra molecole dipolari permanenti
che si orientano in modo che i dipoli opposti
dell’una e dell’altra si attraggano tra di loro.
Si verifica
nei liquidi e nei solidi; nei gas invece l’energia cinetica
delle molecole non consente che si formi un complesso
stabile.
Legame dipolo-dipolo indotto
Si instaura tra una molecola in cui è presente un dipolo
permanente ed un’altra
apolare facilmente polarizzabile per
induzione (dipolo momentaneo).
Legame dipolo indotto-dipolo indotto
Sono legami che si instaurano tra molecole inizialmente apolari
che possono diventare
dipoli temporanei. Sono i legami più deboli tra quelli
elettrostatici, comunemente distinti dagli altri come forze di
London o di dispersione.
Sappiamo che gli elettroni, anche se statisticamente distribuiti
in modo uniforme, sono
in continuo movimento. Quando, in un dato istante, gli elettroni
si trovano casualmente più addensati in un lato della molecola, la
distribuzione delle cariche non
risulta più uniforme. La molecola si trova ad avere due poli
elettrici istantanei (dipolo
indotto): un polo negativo dalla parte in cui si sono addensati
gli elettroni ed un altro positivo
dove le cariche del nucleo non sono
perfettamente neutralizzate dalle cariche degli
elettroni.
La molecola risulta polarizzata diviene un dipolo elettrico,
influenza le molecole vicine, che diventano temporaneamente
anch'esse dei dipoli elettrici. Questi dipoli elettrici
istantanei si attirano vicendevolmente, ma le loro attrazioni
diventano significative solo quando le molecole sono molto vicine,
cioè quando le sostanze si trovano allo
stato liquido o
allo stato solido.
L'origine di queste forze è legata alla, possibilità degli
elettroni di muoversi per creare
i dipoli elettrici. E’ ragionevole quindi pensare che quanto più
le molecole sono grosse tanto più gli elettroni sono numerosi e
distanti dai nuclei: essi possono muoversi
quindi più liberamente e favorire la polarizzazione delle
molecole. Perciò la formazione
di dipoli istantanei è più facile nelle molecole formate da
atomi con numero atomico elevato. E’ ragionevole quindi affermare
che l'intensità delle forze di London aumenta
con l'aumentare delle dimensioni delle molecole apolari. La
conseguenza macroscopica
più evidente è rappresentata dai valori delle temperature di
fusione e di ebollizione: se
aumenta l'intensità delle forze di attrazione tra le molecole,
aumentano anche la temperatura di fusione e quella di
ebollizione.
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APPUNTI DI CHIMICA Legami
Prof.ssa Patrizia Moscatelli Liceo Scientifico Statale Vito
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Formule chimiche
Una molecola viene rappresentata sinteticamente attraverso due
tipi diversi di formu-
la:
- formula grezza o bruta - formula di struttura
La formula grezza ci dà indica-zioni qualitative e
quantitative
sulla molecola, cioè utilizzando
i simboli degli elementi esprime quali e quanti elementi sono
presenti.
La formula di struttura oltre a fornirci queste indicazioni, ci
indica il tipo di legame e
la disposizione spaziale degli elementi che compongono la
molecola.
Per determinare la formula di struttura si possono utilizzare le
strutture di Lewis
con le relative regole. In tal modo possiamo avere una visione
bidimensionale della molecola e indicazioni su come si legano gli
elementi e in quale successione, senza
però avere informazioni dirette sulla geometria e la forma
molecolare (ovvero distanze
di legame, angoli di legame, torsioni, conformazioni, etc.)
STRUTTURA DI LEWIS: REGOLE
1 Si scrive lo scheletro della molecola tenendo presente
che:
- l'atomo di H è sempre terminale (legato ad un solo atomo);
- l'atomo centrale è quello a più bassa elettronegatività.
2 Si contano gli elettroni di valenza degli atomi nella
molecola. (sulla base de-
gli atomi che la costituiscono ed eventualmente tenendo conto di
cariche positive
o negative)
3 Si sistemano per primi (a coppie) gli elettroni di legame.
4 Si completano gli ottetti degli atomi legati a quello
centrale.
5 Se avanzano elettroni si collocano sull'atomo centrale.
6 Se l'atomo centrale non ha 8 elettroni attorno a sé si formano
doppi o tri-
pli legami
ESEMPI
Formula di struttura della formaldeide: CH2O
1. Lo scheletro della molecola prevede gli idrogeni terminali,
il carbonio al centro perché è il meno e-
lettronegativo
2. Si contano gli elettroni di valenza (elettroni
dell’ultimo livello). In questo caso sono 12
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3. Ogni legame singolo coinvolge due elettroni. In questo
caso i legami sono tre e gli elettroni coinvolti in tutto nei
legami sono
quindi 6 ne rimangono da sistemare altri 6.
4. Si completano gli ottetti degli elementi le-
gati a quello centrale. Fa eccezione l’idrogeno che avendo un
solo elettrone nel livello 1s, lo completa
con due soli elettroni che sono
quelli di legame.
5. In questo caso non sono avanzati elettroni
6. L’atomo centrale ha solo sei elettroni (quelli di legame)
deve averne 8. Si spostano
dall’ossigeno e si forma un doppio legame.
Formula di struttura dell’ammoniaca: NH3
1. Lo scheletro della molecola prevede gli idrogeni
terminali,
l’azoto al centro
2. Si contano gli elettroni di valenza (e-
lettroni dell’ultimo livello). In questo caso sono 8
3. Ogni legame singolo coinvolge due elettroni. In questo
caso i legami sono tre e gli elettroni coinvolti in tutto nei
legami sono quindi 6 ne rimangono da sistemare altri 2.
4. Gli idrogeni hanno i livelli energetici completi
con i due elettroni di legame.
5. In questo caso avanzano 2 elettroni che vengono sistemati
sull’elemento centrale