TUTTO IL MONDO E’MASCHERATA “Il mondo è una mascherata. Il volto, l’abbigliamento, la voce, tu9o è menzogna. Ognuno vuole sembrare ciò che non è, tu= ingannano e nessuno conosce se stesso.” Siamo nella seconda metà del ‘700: la Spagna è acclamata come vera e propria su perpotenza europea, capace di sedersi accanto ai poten< della terra ma anche di comba?ere ad armi pari contro di loro, pronta a riba?ere sul campo di ba?aglia alle insolen ze dell’Austria, dell’Inghilterra, della Francia. A Madrid arrivano Anton Raphael Mengs e GiambaHsta Tiepolo, i più celebri pi?ori del secolo, a tes<monianza del vivacis simo clima culturale che si respirava nella Spagna illumini s<ca e illuminata dal regno di Carlo III. Nel Se?ecento si era instaurata la dinas<a dei Borbone , la quale fece notevoli sforzi per rinnovare le is<tuzioni statali. Agli inizi dell'O?ocento la Spagna poi verrà invasa dalle truppe napoleoniche. Questo evento porterà ad una vi?oriosa ma devastante guerra d'indipendenza che indebolirà fortemente la Spagna per creare le premesse per l'emancipazione delle colonie americane. In questo clima si forma la personalità di Francisco Goya (1746 1828), inizialmente avventuriero, rissoso vagabondo, donnaiolo, torero, poi festoso e mondano protagonista dell’Illuminismo se?ecentesco. Per poi ripie gare verso un mondo personale guardato con gli occhi del sognatore e del vi sionario e chiudersi in una in<ma, malinconica, tormentata e ribelle solitudine. Fu uomo di Corte, deciso a ripercorrere le orme del “faro” Velazquez. Interpre te di una società e di un mondo gaio ed elegante, ma anche preda della solitu dine, della malaHa, della propria sordità e dei propri fantasmi. Ossessionato dall’incubo di una realtà senza suoni, soffrì per la sua patria, per la sua gente e per le ingius<zie, i soprusi e le miserie del mondo. Conobbe la mediocrità e la comba?è, in nome di una stre nua fiducia nella libertà e nella autonomia di giudizio. Provò la abissale paura di non essere capito e di non riuscire a capire, il terrore di finire schiavo e di essere sopraffa?o dai mostri del proprio inconscio. Ma non smise mai di credere nella forza della ragione. Non smise mai di credere nell’uomo, anche se derise e maltra?ò l’umanità intera me?endone in evidenza gli aspeH più brutali, più infami e oscuri. Francisco GOYA Y LUCIENTES Cordoba, Moschea Goya, self-portrait
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TUTTO IL MONDO E’MASCHERATA
“Il mondo è una mascherata. Il volto, l’abbigliamento, la voce, tu9o è menzogna.
Ognuno vuole sembrare ciò che non è, tu= ingannano e nessuno conosce se stesso.”
Siamo nella seconda metà
del ‘700: la Spagna è acclamata come vera e propria su-‐
perpotenza europea, capace di sedersi accanto ai poten<
della terra ma anche di comba?ere ad armi pari contro di
loro, pronta a riba?ere sul campo di ba?aglia alle insolen-‐
ze dell’Austria, dell’Inghilterra, della Francia. A Madrid
arrivano Anton Raphael Mengs e GiambaHsta Tiepolo, i
più celebri pi?ori del secolo, a tes<monianza del vivacis-‐
simo clima culturale che si respirava nella Spagna illumini-‐
s<ca e illuminata dal regno di Carlo III. Nel Se?ecento si
era instaurata la dinas<a dei Borbone, la quale fece notevoli sforzi per rinnovare le is<tuzioni statali. Agli inizi
dell'O?ocento la Spagna poi verrà invasa dalle truppe napoleoniche. Questo evento porterà ad una vi?oriosa
ma devastante guerra d'indipendenza che indebolirà fortemente la Spagna per creare le premesse per
l'emancipazione delle colonie americane.
In questo clima si forma la personalità di Francisco Goya (1746-‐
1828), inizialmente avventuriero, rissoso vagabondo, donnaiolo, torero, poi
festoso e mondano protagonista dell’Illuminismo se?ecentesco. Per poi ripie-‐
gare verso un mondo personale guardato con gli occhi del sognatore e del vi-‐
sionario e chiudersi in una in<ma, malinconica, tormentata e ribelle solitudine.
Fu uomo di Corte, deciso a ripercorrere le orme del “faro” Velazquez. Interpre-‐
te di una società e di un mondo gaio ed elegante, ma anche preda della solitu-‐
dine, della malaHa, della propria sordità e dei propri fantasmi. Ossessionato
dall’incubo di una realtà senza suoni, soffrì per la sua patria, per la sua gente e
per le ingius<zie, i soprusi e le miserie del mondo. Conobbe la mediocrità e la comba?è, in nome di una stre-‐
nua fiducia nella libertà e nella autonomia di giudizio. Provò la abissale paura di non essere capito e di non
riuscire a capire, il terrore di finire schiavo e di essere sopraffa?o dai mostri del proprio inconscio.
Ma non smise mai di credere nella forza della ragione. Non smise mai di credere nell’uomo, anche se derise e
maltra?ò l’umanità intera me?endone in evidenza gli aspeH più brutali, più infami e oscuri.
congenita nell’uomo. Goya ritrasse il lusso e la disperazione, il
sacro ed il profano, la vita e la morte, il bru?o ed il bello...
Il suo è un dipingere con la libertà di poeta i mo? dell’anima.
Non si lascia condizionare dagli schemi neoclassici, perfezionis<
della sua epoca, anteponendo la descrizione interiore, il fa?o
soggeHvo ai parametri da< dall'esterno. Diversi pi?ori avevano
raffigurato anche una realtà inconscia, con i suoi <mori e le sue
speranze, come Hieronymus Bosch (1450-‐1516), ma si tra?ava di dar forma simbolica ad un sen<re colleHvo.
Francisco Goya comincia da sé, si interroga, affonda nel suo inconscio per tro-‐
vare delle risposte o almeno per liberare le domande e le esigenze dello spiri-‐
to. Una realtà interiore negata o sconosciuta da chi non la vuole , non riesce,
non può individuare.
Non manca in Goya una lucida cri<ca alla realtà del suo tempo, l'il-‐
luminis<ca ragione, anzi, vede ben oltre l'apparenza e ne dà tes<monianza.
Questa sua auten<cità/originalità non gli impedirà di diventare un pi?ore ri-‐
cercato dalle cor< in quanto un
buon senso pra<co lo porterà a
districarsi abilmente nelle difficol-‐
tà. Cosa serve infaH la fama e la
gloria quando tu?o viene divorato
dalla morta gola del tempo?
Goya porta sulla tela la guerra della resistenza spagno-‐
la alle armate napoleoniche, prima speranza di libertà in tu?a
Europa, poi rivelatesi lo
strumento di sopraffazione
di un mitomane.
Vo l t a i r e p a ra gone rà
l'umanità a ba?eri in lo?a
tra loro. Se non distrugge-‐
Francisco
GOYA Y LUCIENTES
Goya, I duchi di Osuna, 1788
Goya Retrato de Fernando VII con manto real, 1814
Goya, Viejos comiendo sopa, 1819
Goya, Che altro si può fareGoya, Questo è peggio
ranno il loro piane<no terrestre avranno il tempo per crescere. L’Europa sarà insanguinata
da contese di sta< ed ideologie. Al posto della ragione l'imposizione della forza bruta. Goya assi-‐
ste impotente al "sonno della ragione che produce mostri".
Ed allora vale la pena di riconoscere nell'uomo, in sé, ques< demoni per non esserne assogge?a<. In svariate
opere Goya dà sfogo alle sue immagini oniriche, talvolta orride, di difficile interpretazione in quanto è facile
proie?are in esse le proprie associazioni inconsce anziché risalire alle mo<vazioni originarie.
Tra queste opere, qua?ro diverse serie di acquefor11:
"I capricci", che me?ono a nudo il lato bes<ale e oscuro dell'uomo.
I "Disastri della guerra", ciclo di o?antadue acquefor< realiz-‐
zate dal pi?ore tra il 1814 e 1820. Le incisioni-‐ che ispirarono a
Goya i due capolavori del Prado “Il 2 maggio 1808: la lo8a contro i
mamelucchi” e “Le fucilazioni del 3 maggio1808”-‐ si presentano
come uno squarciante urlo muto. Il tra?o nervoso e graffiante dà
vita a immagini “sporche”, che sembrano nate dire?amente dalla
fuliggine della polvere da sparo o dalla terra bruciata del campo di
ba?aglia. Quelle del maestro spagnolo sono classificabili come vere
e proprie “istantanee dell’orrore”, antenate degli odierni reportage
di guerra, nelle quali Goya mostra come il confli?o riesca a <rare
fuori il peggio della natura umana, senza alcuna dis<nzione di parte
tra invasori e invasi, tra vincitori e vin< (l’atroce serie delle “Mu<la-‐
zioni”).
1 La tecnica dell'acquaforte era nota fin dai tempi an4chi e veniva impiegata per incidere decorazioni sulle armi. Alcuni dei primi ad u4lizzarla per le stampe d'arte sono sta4 Albrecht Dürer in Germania e il Parmigianino in Italia.È una tecnica calcografica molto diffusa consistente nel corrodere una lastra di metallo (zinco di solito; rame per grandi 4rature, come nel passato) con un acido, per ricavarne immagini da trasporre su un supporto (carta normalmente) per mezzo di colori. La lastra di spessore necessario, disponibile in commercio, viene ripulita e smussata ai bordi con carta smeriglio, poi sgrassata nella parte lucida con ovaHa intrisa, per esempio, con bianco di Spagna (carbonato di calcio) sciolto in acqua. Cosparsa uniformemente con un coprente a protezione dall'acido (cera, asfalto, gomma, mas4ce...) viene affumicata con un mazzo di candele. Quindi si incide il disegno nel materiale proteLvo con una punta soLle (a mano libera o ripassando una bozza su carta decalcante chiara), per meHere a nudo il metallo in corrispondenza dei segni che appariranno sulla carta grazie all'inchiostro. S'immerge la lastra in acido (dopo averne cospar-‐so di coprente la faccia posteriore) iniziando la morsura, che può essere faHa a più riprese scoprendo man mano le par4 da incidere, per oHenere scavi diversamente profondi. L'acido incide il metallo solo dove non proteHo. Giudicata completa la lastra, la si lava con benzina od acquaragia, la si asciuga e la si 4ene come matrice del disegno da replicare. La stampa avviene al torchio calcografico su carteinumidite prima, cospargendo di inchiostro grasso con un tampone di pelle la lastra e scaldandola un poco per favorire la pene-‐trazione della 4nta nei solchi e la sua cessione alla carta, previa pulitura delle par4 che dovranno risultare bianche sul foglio stampato.
Tra gli o?anta Capricci compos< nel 1797, dobbiamo
ricordare questo fondamentale disegno. Raffigura probabil-‐
mente lo stesso Goya che, mentre dorme con la testa abban-‐
donata tra le braccia sul tavolo, viene assalito da una folla or-‐
renda di uccellacci no?urni, gufi, cive?e. E’ rappresentato in
questa tavola il cuore stesso della tema<ca dei Capricci, che si
snoda a?orno al confli?o tra razionalità e irrazionalità. Un
ammonimento per gli Sta<, per la Spagna stessa, che -‐lascian-‐
dosi sommergere dai vizi e dalla corruzione-‐ rischiano di nau-‐
fragare e di trascinare nella catastrofe tu?o ciò che di sano
ancora esiste.
Ma paradossalmente i “mostri pieni di vita” di Goya preludono
non a una visionarietà fantas<ca e staccata dal vero, bensì pre-‐
ludono al realismo. Il loro scopo primario è ancora quello di
salvare la ragione: quasi tuH i soggeH dei Capricci hanno una
didascalia, scri?e che la corredano, a so?olineare il significato
nascosto della tavola.
Nel 1775 Goya e la moglie lasciano Saragozza per recarsi a Ma-‐
drid. Qui, grazie all'interessamento del cognato Francisco Bayeu,
Goya entra a lavorare presso la Real Fábrica de Tapices de Santa
Bárbara. Come primo incarico gli è richiesto di realizzare insieme
a Ramón Bayeu (fratello minore di Francisco) nove cartoni per gli arazzi2 des<na< alla tenuta di caccia El Par-‐
do del re Carlo III. I cartoni hanno come tema la caccia, sport molto amato da re Carlo III e dai suoi predeces-‐
sori, tanto che già Diego Velázquez aveva realizzato nel secolo precedente una grande tela su questo tema,
raffigurante Filippo IV in una caccia al cinghiale.
2 L'arazzo è una forma di arte tessile che si pone a metà strada tra l'ar4gianato e la rappresentazione ar4s4ca. Tecnicamente è un tessuto a dominante di trama (poiché a lavoro finito l'ordito non si vede) realizzato a mano su un telaio e des4nato a rives4re le pare-‐4. Solitamente di ampio formato, rappresenta grandi disegni molto deHaglia4.Il disegno preparatorio, o cartone, di un arazzo veniva realizzato da un piHore, anche di una certa fama: il risultato finale dipendeva dall'abilità dell'ar4giano incaricato dell'esecuzione. Il termine italiano "arazzo" deriva dal nome della ciHà francese di Arras, dove, nel Medioevo, venivano prodoL i migliori arazzi.
Pardo. Gli arazzi dovevano rappresentare scene campestri, soggeH popolari e di diver<mento. InfaH i cartoni
raffigurano persone che danzano, lo?ano, bevono, fanno dei picnic, giocano a carte o con degli aquiloni.
Il Parasole introduce le figure di majo3 e maja e ci appare come uno dei cartoni più felici della serie. Eseguito
per un arazzo des<nato a decorare un sopra porta, è originale per la composizione della scena, per l’a?eg-‐
giamento malizioso della fanciulla e del cavaliere che sos<ene l’ombrellino. Fresco e brillante, straordinaria-‐
mente luminoso il colore, come il sorriso della giovinezza. Il paesaggio che rappresenta le verdi colline madri-‐
lene sembra quasi trasparente.
Tu?a la scena è un pretesto per creare una composizione immersa nella luce. Ciò che sembra interessare
Goya è il contrasto tra luce dire?a e luce riflessa, tra il volto in pieno sole dell’uomo e quello, nella luce rifles-‐
sa dell’ombrello, della donna. I toni dei colori rivestono un ruolo fondamentale, quasi magico: il verde del-‐
l’ombrello, il giallo-‐ocra della giacca del cavaliere, il rosso del gilet e quello dell’acconciatura della dama, l’az-‐
zurro del corpe?o e il giallo dilagante della gonna. Sul bianco della veste che copre la gonna risalta la macchia
nera del cagnolino, mentre il colore luminoso del mantello è valorizzato dal collo di pelliccia.
E’ una vera festa delle trasparenze dell’atmosfera, declinata secondo gli accostamen< dei tan< colori
presen<.
3 I majos e le majas sono i giovani uomini e le giovani donne popolani spagnoli -‐rappresenta4 sempre con folcloris4ci costumi-‐ che, malgrado provengano dai ce4 più bassi della società, esprimono grande dignità ed eleganza.