Alla fine della sua infinita opera, Rembrandt dipinge una tavola enorme di 2 metri e mezzo per due metri che raffigura il ritorno del figlio. Un quadro che presenta le figure a grandezza originale e che ha un cuore pulsante di luce nell’abbraccio dei due protagonisti. Il padre è chinato verso il figlio e lo benedice con il suo corpo che lo accoglie, con le sue mani che sembrano non volere più lasciarlo andare. Il manto rosso, ornato di nappe, avvolge le spalle curve, quasi a riparare, a fare da tetto, a questo abbraccio e disegna così un ovale: il quadro nel quadro, l’icona dell’a- more misericordioso che riesce a mostrarsi soltanto nel racconto. Il genitore è stanco, affaticato dalla veglia: i suoi occhi sono quelli di un cieco o quasi: si sono consumati nel pianto, è lui che ha pianto di più. Le sue mani sono insolitamente diverse tra loro: una sembra sottile e delicata come quella di una donna, mentre l’altra è robusta e virile. Sono il segno dell’amore tra l’uomo e la donna, di questo amore che è forte come la morte e che è figura dell’amore divino. La mano della “madre” accarezza e consola il figlio, mentre quella del “padre” lo protegge e copre la ferita, quasi a medicarla con il solo contatto. Il figlio è piagato, con i capelli rasati a zero come un detenuto, un pazzo. Il suo corpo è segnato delle sofferenze che ha dovuto patire, ha ricevuto dei duri colpi anche sulla nuca, le sue vesti sono strappate, logore. In primo piano i suoi piedi, piedi arcuati che spingono tutta la figura contro il ventre generoso e rassicurante del padre. Un piede è scalzo, ha perso il calzare, mentre l’altro mostra che la strada compiuta è stata lunga e faticosa, la sua scarpa è a bran- delli. Il volto del figlio è sereno, quasi sognante, sta assaporando la dolcezza di quel momento, di quell’accoglienza così gratuita e inaspettata. Finalmente è giunto alla casa dove poter vivere “sereno e tranquillo, come bimbo svezzato in braccio a sua madre” (SAL. 131). Accanto due personaggi riccamente vestiti sono i testimoni del fatto, osser- vano la scena con attenzione, come a voler ricordare ogni minimo particolare di essa, stanno nella casa come i servi che vedono e vivono della vita della famiglia pur restandone estranei. Nascosto, in penombra, un altro viso si affaccia: si intravedono solo gli occhi e il viso. Chi è questa figura? Forse è il figlio maggiore che non può credere ai propri occhi, forse è il nostro viso riflesso mentre guardiamo il quadro e ascol- tiamo la parabola. Chiunque sia questa figura sfuggente non è ancora illumina- ta dalla luce dell’abbraccio, forse deve ancora decidere cosa fare, se credere o meno a questo sorprendente e sconfinato amore misericordioso. Rembrandt, Il ritorno del figliol prodigo La Chiesa sent e la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre. . Il Signore tiene sempre aperte le sue braccia a misericordia, sopra i figli della sua creazione . . papa francesco Giovanni 23 o film Dove il cuore umano si svela capace di comunione tra le pieghe drammatiche dell’esistenza, dove essere fraterni controcorrente fa accadere una piccola epifania... ecco dove ci conducono le storie raccontate in questi film. IL RESPONSABILE DELLE RISORSE UMANE Drammatico, durata 103 min Israele, Germania, Francia 2010 ST. VINCENT Commedia, durata 102 min USA 2014 IL SALE DELLA TERRA Documentario, durata 100 min Brasile, Italia, Francia 2014 SELMA - LA STRADA PER LA LIBERTÀ Storico, durata 127 min Gran Bretagna 2014 Sono molti i salmi che cantano la misericordia di Dio: ognuno può essere la preghiera che ha sulle labbra il figlio che ritorna alla casa del padre o dell’altro che a casa ci è sempre rimasto. Nella storia dell’umanità sono infiniti i racconti di guerre, genocidi, distruzioni. Ma ci sono anche, come fili d’erba nel deserto, racconti di riconciliazione e di rinascita. Di fraternità ricomposte. Tra tutte le arti, la musica è il linguaggio della pace e della riconciliazione. Cantare insieme, ascoltare sinfonie coinvolgenti avvicina i cuori, rende nuovi. E numerosi sono i concerti nati con questo intento. Spesso i poeti cantano a nome di tutti la tragedia dell’umano lasciando aperto quello spiraglio bianco in fondo a ogni rigo: possibilità per ciascuno di cogliere speranza e luce nascoste tra le tenebre. Porgi l’orecchio, Signore, alle mie parole: intendi il mio lamento. Sii attento alla voce del mio grido, o mio re e mio Dio, perché a te, Signore, rivolgo la mia preghiera. Al mattino ascolta la mia voce; al mattino ti espongo la mia richiesta e resto in attesa. Tu non sei un Dio che gode del male, non è tuo ospite il malvagio; gli stolti non resistono al tuo sguardo. Tu hai in odio tutti i malfattori, tu distruggi chi dice menzogne. Sanguinari e ingannatori, il Signore li detesta. Io, invece, per il tuo grande amore, entro nella tua casa; mi prostro verso il tuo tempio santo nel tuo timore. Guidami, Signore, nella tua giustizia a causa dei miei nemici; spiana davanti a me la tua strada. Non c’è sincerità sulla loro bocca, è pieno di perfidia il loro cuore; la loro gola è un sepolcro aperto, la loro lingua seduce. Condannali, o Dio, soccombano alle loro trame, per i tanti loro delitti disperdili, perché a te si sono ribellati. Gioiscano quanti in te si rifugiano, esultino senza fine. Proteggili, perché in te si allietino quanti amano il tuo nome, poiché tu benedici il giusto, Signore, come scudo lo circondi di benevolenza. Lo so ti devo punire magari sparendo io lo so, ma non è sparando che io ti perdonerò non lo farò sarà perché tu sei debole vulnerabile questo si sa sarà perché abbiamo tanto da passare accanto nel mon- do che va sarà perché ciò che è tolto mi rende molto migliore di te sarà perché ciò che è stato non ha cambiato mai niente di me. Lo so, ma non è sparando che io ti perdonerò non lo farò. Sarà un’avventura ma non ho paura di quello che c’è sarà che ciò che è tolto mi rende molto migliore di te sarà che ciò che è stato non ha cambiato non ha cambiato non mi ha cambiata non è cambiato. (Andrea Mirò, Il centro dei pensieri) Andiamo di primo mattino usciamo dalla notte lavate le mani e il cuore e sul volto riflessa la gloria della sua Schekinah! [...] Andiamo leggeri, prodigiosamente leggeri, per non offender la terra, e nulla àlteri il ritmo del misurato respiro. E con l’alito appena a bolle di luce diciamo «Gesù, figlio di Dio» - «abbi pietà di noi» - perché tutta la terra sia irrorata dalla infinita pietà. Tutte le ferite fasciate sozzure e immondizie bruciate nella Gehenna, colmate tutte le solitudini. O anche senza a nulla pensare, lasciare libero Iddio che usi grazia come a Lui piace: poiché noi non sappiamo, non sappiamo! È già grazia essere amati, e più ancora lasciarsi amare; e scendere al centro del cuore e portare la veste nuziale e tornare all’innocenza primeva, tornare ad essere in pace. [...] Amen. (David Maria Turoldo, Nel segno del Tau) salmo 5 poesia ballata del pellegrino narrativa IL TEMPO DELLA VITA Marcos Giralt Torrente ELLIOT, PP. 185 DOMANI SORGERÀ IL SOLE Ishmael Beah NERI POZZA, PP. 272 TERRA DEL MIO SANGUE Antije Krog NUTRIMENTI, PP. 528 MISERICORDIA. NEL CUORE DELLA RICONCILIAZIONE Adriana Valerio GABRIELLI EDITORI, PP. 104 musica La Canzone Del Perdono preghiera
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. 185 narrativa G - GMG 2016gmg2016.wpglauco01.glauco.it/wp-content/uploads/2015/10/...DOMANI SORGERÀ IL SOLE Ish mael Beah N E ri p ozza, pp. 272 TERRA DEL MIO SANGUE Antije Krog
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Alla fine della sua infinita opera, Rembrandt dipinge una tavola enorme di 2 metri e mezzo per due metri che raffigura il ritorno del figlio. Un quadro che presenta le figure a grandezza originale e che ha un cuore pulsante di luce nell’abbraccio dei due protagonisti.
Il padre è chinato verso il figlio e lo benedice con il suo corpo che lo accoglie, con le sue mani che sembrano non volere più lasciarlo andare. Il manto rosso, ornato di nappe, avvolge le spalle curve, quasi a riparare, a fare da tetto, a questo abbraccio e disegna così un ovale: il quadro nel quadro, l’icona dell’a-more misericordioso che riesce a mostrarsi soltanto nel racconto.
Il genitore è stanco, affaticato dalla veglia: i suoi occhi sono quelli di un cieco o quasi: si sono consumati nel pianto, è lui che ha pianto di più. Le sue mani sono insolitamente diverse tra loro: una sembra sottile e delicata come quella di una donna, mentre l’altra è robusta e virile. Sono il segno dell’amore tra l’uomo e la donna, di questo amore che è forte come la morte e che è figura dell’amore divino. La mano della “madre” accarezza e consola il figlio, mentre quella del “padre” lo protegge e copre la ferita, quasi a medicarla con il solo contatto.
Il figlio è piagato, con i capelli rasati a zero come un detenuto, un pazzo. Il suo corpo è segnato delle sofferenze che ha dovuto patire, ha ricevuto dei duri colpi anche sulla nuca, le sue vesti sono strappate, logore. In primo piano i suoi piedi, piedi arcuati che spingono tutta la figura contro il ventre generoso e rassicurante del padre. Un piede è scalzo, ha perso il calzare, mentre l’altro mostra che la strada compiuta è stata lunga e faticosa, la sua scarpa è a bran-delli. Il volto del figlio è sereno, quasi sognante, sta assaporando la dolcezza di quel momento, di quell’accoglienza così gratuita e inaspettata. Finalmente è giunto alla casa dove poter vivere “sereno e tranquillo, come bimbo svezzato in braccio a sua madre” (Sal. 131).
Accanto due personaggi riccamente vestiti sono i testimoni del fatto, osser-vano la scena con attenzione, come a voler ricordare ogni minimo particolare di essa, stanno nella casa come i servi che vedono e vivono della vita della famiglia pur restandone estranei.
Nascosto, in penombra, un altro viso si affaccia: si intravedono solo gli occhi e il viso. Chi è questa figura? Forse è il figlio maggiore che non può credere ai propri occhi, forse è il nostro viso riflesso mentre guardiamo il quadro e ascol-tiamo la parabola. Chiunque sia questa figura sfuggente non è ancora illumina-ta dalla luce dell’abbraccio, forse deve ancora decidere cosa fare, se credere o meno a questo sorprendente e sconfinato amore misericordioso.
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La Chiesa sente la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre. .
Il Signore tiene sempre aperte le sue braccia a misericordia, sopra i figli della sua creazione. .
papa francesco
Giovanni 23o
film
Dove il cuore umano si svela capace di comunione tra le pieghe drammatiche dell’esistenza, dove essere fraterni controcorrente fa accadere una piccola epifania... ecco dove ci conducono le storie raccontate in questi film.
IL RESPONSABILE DELLE RISORSE UMANEDrammatico, durata 103 minIsraele, Germania, Francia 2010
ST. VINCENTCommedia, durata 102 min USA 2014
IL SALE DELLA TERRADocumentario, durata 100 min
Brasile, Italia, Francia 2014
SELMA - LA STRADA PER LA LIBERTÀStorico, durata 127 min
Gran Bretagna 2014
Sono molti i salmi che cantano la misericordia di Dio: ognuno può essere la preghiera che ha sulle labbra il figlio che ritorna alla casa del padre o dell’altro che a casa ci è sempre rimasto.
Nella storia dell’umanità sono infiniti i
racconti di guerre, genocidi, distruzioni. M
a ci sono anche, come fili d’erba nel
deserto, racconti di riconciliazione e di rinascita. Di fraternità ricom
poste.
Tra tutte le arti, la musica è il linguaggio
della pace e della riconciliazione. Cantare insiem
e, ascoltare sinfonie coinvolgenti avvicina i cuori, rende nuovi. E num
erosi sono i concerti nati con questo intento.
Spesso i poeti cantano a nome di tutti la tragedia dell’umano lasciando aperto quello spiraglio bianco in fondo a ogni rigo: possibilità per ciascuno di cogliere speranza e luce nascoste tra le tenebre.
Porgi l’orecchio, Signore, alle mie parole:intendi il mio lamento.
Sii attento alla voce del mio grido,o mio re e mio Dio,perché a te, Signore, rivolgo la mia preghiera.
Al mattino ascolta la mia voce;al mattino ti espongo la mia richiestae resto in attesa.
Tu non sei un Dio che gode del male, non è tuo ospite il malvagio;gli stolti non resistono al tuo sguardo.
Tu hai in odio tutti i malfattori,tu distruggi chi dice menzogne.Sanguinari e ingannatori, il Signore li detesta.
Io, invece, per il tuo grande amore,entro nella tua casa;mi prostro verso il tuo tempio santonel tuo timore.
Guidami, Signore, nella tua giustiziaa causa dei miei nemici;spiana davanti a me la tua strada.
Non c’è sincerità sulla loro bocca,è pieno di perfidia il loro cuore;la loro gola è un sepolcro aperto,la loro lingua seduce.
Condannali, o Dio, soccombano alle loro trame,per i tanti loro delitti disperdili,perché a te si sono ribellati.
Gioiscano quanti in te si rifugiano,esultino senza fine.
Proteggili, perché in te si allietinoquanti amano il tuo nome,poiché tu benedici il giusto, Signore,come scudo lo circondi di benevolenza.
Lo so ti devo punirem
agari sparendoio lo so, m
a non è sparandoche io ti perdonerònon lo faròsarà perché tu sei debolevulnerabile questo si sasarà perché abbiam
o tantoda passare accanto nel m
on-do che vasarà perché ciò che è toltom
i rende molto m
igliore di tesarà perché ciò che è statonon ha cam
biato mai niente
di me.
Lo so, ma non è sparando
che io ti perdonerònon lo farò.Sarà un’avventuram
a non ho paura di quello che c’èsarà che ciò che è toltom
i rende molto m
igliore di tesarà che ciò che è statonon ha cam
biatonon ha cam
biatonon m
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non è cambiato.
(Andrea Mirò, Il centro dei pensieri)
Andiamo di primo mattinousciamo dalla notte lavate le mani e il cuore e sul volto riflessa la gloria della sua Schekinah!
[...] Andiamo leggeri, prodigiosamente leggeri, per non offender la terra, e nulla àlteri il ritmo del misurato respiro.
E con l’alito appenaa bolle di luce diciamo«Gesù, figlio di Dio» -«abbi pietà di noi» -perché tutta la terrasia irrorata dallainfinita pietà.
Tutte le ferite fasciate sozzure e immondizie bruciate nella Gehenna, colmatetutte le solitudini.
O anche senza a nulla pensare, lasciare libero Iddio che usi graziacome a Lui piace:poiché noi non sappiamo, non sappiamo!
È già graziaessere amati, e più ancoralasciarsi amare; e scendereal centro del cuoree portare la veste nuzialee tornare all’innocenza primeva,tornare ad essere in pace. [...] Amen.
(David Maria Turoldo, Nel segno del Tau)
salmo 5
poesia
ballata del pellegrino
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IL TEMPO DELLA VITAMar cos Giralt Tor renteElliot, pp. 185
DOMANI SORGERÀ IL SOLEIsh mael BeahN
Eri pozza, pp. 272
TERRA DEL MIO SANGUEAntije Krog
NutrimENti, pp. 528
MISERICORDIA. NEL CUORE DELLA RICONCILIAZIONEAdriana Valerio
GabriElli Editori, pp. 104
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preghiera
Il voltodel Padreper contemplare la misericordia custodita nei vangeli
luca 15,11-321...
v med i t a z i o n i p e r g i o van i dentrolaparvla
Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile
Conferenza Episcopale
Italiana @Circonvallazione Aurelia, 50 - 00165 ROMA
dentro la parola è una collana pensata per i giovani, per chi è in ricerca, per chi ha sete e non si accontenta di ciò che è già dato. Ogni numero si compone di più sguardi e più percorsi che conducono oltre la superficie delle parole, per cogliere ciò che è invisibile e sta al cuore dell’annuncio cristiano.I molti linguaggi suggeriti compongono un insieme poetico, evocativo, che non coinvolge solo la ragione, ma anche la dimensione estetica, contemplativa, affettiva della vita di fede in Gesù di Nazareth.
Salvatore Fiume, Il figlio prodigo Arcabas, Il figlio perduto e ritrovato
Un abbraccio tra due uomini, tra due ordini di colori. Il padre stringe a sé il figlio, lascia che trovi finalmente riparo nel suo petto e il figlio con la mano aperta sembra ricevere e trattenere questa miseri-cordia. I colori del padre sono i colori del cielo che nell’abbraccio accolgono quelli del figlio, i colori della terra: nel perdono si riconcilia ciò che da sempre appariva distante e contrapposto...
Inizialmente facciamo fati-ca a distinguere la figura di destra: non ha contorni
definiti, nemmeno una forma, mentre il figlio ingi-nocchiato ci appare subito
chiaro. Due occhi, ecco tutto quello che riusciamo a comprendere di questo padre, perché del padre si tratta, e le grandi mani affusolate che sembrano sciogliersi al contatto del
corpo del figlio. Solo occhi e mani, ecco il padre che
ha vegliato...
meditazione “Sentirsi nei panni di un altro”. Questa è la definizione spiccia di empatia, del sentire-con, del con-patire. E sembra facile quando siamo noi a scegliere l’altro di cui vestire i panni. La meditazione che segue non ci lascia scampo: ci cuce addosso gli abiti da lavoro quotidiano del fratello, l’altro figlio. Non è “il vestito più bello” delle lacrime asciugate e del sospiro rinfrancato. È la veste del risentimento e della logica spietata che chiede conto della giustizia che non vede. Vestirne i panni significa interrogarsi su di sé, compiere un esame di coscienza guardandosi allo specchio e scoprire nostri i sentimenti del figlio maggiore...
Può essere utile rileggere il vangelo di luca 15,11-32...
“Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito
a un tuo comando...”Il f
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“Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto
sano e salvo”
non è posto per chi è costretto a questo veleno che si deposita sulle labbra. Non entrerò in quella casa. Ma una domanda però voglio fartela. Una sola poi mi con-cederò al Nulla… adesso chi ci pensa a me? E a quelli come me? Chi pensa a me, ai figli maggiori di ogni tempo, ai Giuda che non ci stanno, ai giovani troppo ricchi che se ne vanno? Chi pensa a noi, Dio della mi-sericordia, chi pensa a noi, povera umanità che ca-pisce bene cosa chiedi ma che semplicemente non riesce? Tu che dici di essere Dio perché non proteggi tutta la gente che non oserà mai chiederti la sua parte di eredità? Perché non proteggi chi non lascerà mai il confine sicuro del precetto e che certo, sa benissimo che tu chiedi amori senza rete, ma semplicemente non troverà mai il coraggio di lanciarsi?
E allora smettila di allargare quelle braccia come tu fossi già in croce, e che ti arrivi amaro questo lamen-to per tutti gli uomini che subiranno questa ingiustizia che tu ti ostini a chiamare amore. Se non entro a fare festa con voi, se non accetto lo scandalo del perdono, non è per orgoglio ma per un sottile atto di giustizia. A modo mio. Una giustizia a caro prezzo, come quelle che piacciono a te. Io adesso me ne vado, camminerò fin nel cuore di questa notte che è scesa ad avvolgerci per il semplice e unico motivo che voglio restare in te come nostalgia, assenza, malinconica, mancanza. No, non troverai pace. Voglio che ogni giorno il tuo cuore soffra pensando a un figlio che non c’è più. Voglio es-sere io quel figlio. Il povero che non ha avuto il corag-gio di abbandonarsi alla tua follia.
È inutile, non entrerò. Sì, lo so che basterebbe arren-dersi. Lo so che tu chiedi solo di lasciarmi amare. Ma è proprio questo il punto. Non so lasciarmi. E prendo tut-to quello che ho, un po’ di rabbia e di rancore e me ne vado. Nel cuore di una notte muta che non mi concede nulla se non questo manto di niente spesso e pesante. Le nuvole coprono la luna, stanotte. E adesso cammi-no le vie dei giovani ricchi, dei figli maggiori e di tutti i Giuda del mondo. “Uscì, ed era notte” (Gv 13,30), fateci tutte le poesie che volete ma a voi rimane un Dio che si ostina a volersi padre, rimane un abbraccio inchiodato ad una croce, rimane un Dio senza pace, malinconico e vuoto.
A voi rimanga il Dio degli arresi.
Certo che ti avrei anche perdonato, bastava poco. Ba-stava niente.
Certo che ti avrei perdonato, in fondo mi sono affe-zionato a te, ai tuoi lungi silenzi, a quella malinconica inquietudine che ti porti cucita addosso e che riesci solo a far tacere ma mai, mai, a trattenere dai tuoi oc-chi sempre troppo velati e umidi.
Certo che ti avrei perdonato, se solo tu me lo avessi chiesto. Se solo tu mi avessi concesso, semplicemen-te, di esserci. Con te. Quando lui è tornato. E invece mi contemplo finire, in questo vuoto tramonto che, in-ciampando, strappa dal cielo ogni idea di possibile alba. E non credere che sia facile morire, alla fine di una vita che non ho forse mai visto davvero nascere. Era così impossibile trattenerti, semplicemente aspet-tare, evitare quella che immagino una goffa corsa in-contro a quel fallimento che ti ostini a chiamare figlio?
Certo che ti avrei perdonato, bastava aspettarmi. Qualche minuto e lui ci avrebbe visto insieme capisci? Ti chiedevo solo questo: che lui ci trovasse insieme. E io sarei stato perfetto e bellissimo, un sorriso, un ab-braccio, e l’intima gioia che si prova nello stare dalla parte dei giusti. Di chi concede leggerezza e com-prensione. Non fare quella smorfia, sarà il vizio della tua gente “per i secoli dei secoli”…
Certo che ti avrei perdonato ma adesso non posso, davvero, adesso non posso perdonarti più. Adesso, che non riesco più nemmeno a chiamarti… “padre”. Non avevo mai sentito morire una parola sulle labbra, è amaro il suo gusto lo sai? È una Genesi al contra-rio, le parole si accartocciano in un silenzio aspro e poi muoiono crepitando come foglie secche. È la vita che si sbriciola prima di tornare a essere pulviscolo di caos. Io, quella sera, mi accartocciai, nell’istante esat-to in cui non riuscii a chiamarti “padre”, nemmeno per l’ultima volta. Nemmeno per bestemmiarti.
Si sbriciolava tra le labbra la possibilità dell’Ultima Vol-ta mentre il vento disperdeva ogni ricordo diluendolo in una musica lontana e profumata; si perdeva così, senza solennità, la speranza del tuo unico abbraccio. Affogato dalle risa scomposte dei servi e dal silenzio imbarazzato di colui che era stato costretto a tornare. Nemmeno lui capiva cosa stava succedendo, come potevo accettarlo io? E così la primogenitura della fe-licità non era più mia. E io sceglievo di restare, fuori. Immobile. Finalmente lontano.
Partito come ogni mattina figlio unico, tornavo, per la
prima volta, orfano. E sentivo che stavo morendo an-che io. Sulle mie labbra bianche e fredde, dove avevo appena deposto l’unica idea buona che avevo di te, ripiegavo i miei pochi progetti e quella vaga sensazio-ne di una giustizia divina che mi aveva fino ad allora sostenuto. Perché tu non sarai più padre per me.
Non credere che sia la tua misericordia a farmi male, non credere che non sappia che anche io sono essere fragile e che anche io ho bisogno del tuo perdono, non credere che sia così stupido. E non sono nemmeno geloso di questo mio fratello e tu lo sai. La sua inade-guatezza alla vita mi fa solo pena. Io sono arrabbiato solo con te, ho sentito sulla mia pelle come brucia non comprenderti più!
Certo che lo so cosa vuoi, vuoi che amiamo, vuoi che si ami l’uomo sopra ogni cosa. Vuoi una passione pe-ricolosa e definitiva per la vita… cosa credi che non abbia capito le tue manie? Tu vuoi il rischio, tu vuoi che siamo funamboli attratti da traversate impossibili, danzatori estremi dell’amore, tu vuoi che il nostro equi-librio sia un costante squilibrio a cercare le braccia del fratello… tu vuoi che viviamo pericolosamente esposti oltre il baratro dell’amore. Tu vuoi che ci perdiamo e che ci innamoriamo. A te non interessa se sbagliamo, a te sta a cuore che riprendiamo a vivere la follia che tu chiami amore, e se non permetti la condanna del fratello è solo perché un uomo condannato potrebbe non avere più le forze per ricominciare a volare… cer-to che ho capito cosa vuoi: tu vuoi parole che danzano sulla bocca del mattino a consegnare pescatori a nuo-ve umanità, tu vuoi che il profumo del pane moltiplichi la nostra voglia di relazioni, tu vuoi che l’uomo beva il vino della festa e che apra gli occhi sulla verità, tu vuoi che le lacrime siano asciugate e che il nostro andare sia libero e leggero.
Tu vuoi follie in nome dell’amore, tu vuoi perdere il controllo per amare senza misura, tu vuoi che la vio-lenza sia seppellita da un atto di coraggio e ti prendi gioco del potere e ridi delle piccolezze umane e apri orizzonti… e ti inchioderanno se continui così! Alza-ti adesso, almeno non umiliarti, perché sei venuto fin qui? Come pretendi che io comprenda? Non servi a niente…
Non servi a niente Signore se tu lavi i piedi a me. Si ripeterà questa scena davanti allo scandalo di un pa-dre che si inginocchia davanti al figlio. Non guardar-mi con quegli occhi, è ancora più patetico il fatto che tu sia uscito a implorarmi. Non entrerò in quella casa,
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Sono molti i salmi che cantano la misericordia di Dio: ognuno può essere la preghiera che ha sulle labbra il figlio che ritorna alla casa del padre o dell’altro che a casa ci è sempre rimasto.
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Spesso i poeti cantano a nome di tutti la tragedia dell’umano lasciando aperto quello spiraglio bianco in fondo a ogni rigo: possibilità per ciascuno di cogliere speranza e luce nascoste tra le tenebre.
Porgi l’orecchio, Signore, alle mie parole:intendi il mio lamento.
Sii attento alla voce del mio grido,o mio re e mio Dio,perché a te, Signore, rivolgo la mia preghiera.
Al mattino ascolta la mia voce;al mattino ti espongo la mia richiestae resto in attesa.
Tu non sei un Dio che gode del male, non è tuo ospite il malvagio;gli stolti non resistono al tuo sguardo.
Tu hai in odio tutti i malfattori,tu distruggi chi dice menzogne.Sanguinari e ingannatori, il Signore li detesta.
Io, invece, per il tuo grande amore,entro nella tua casa;mi prostro verso il tuo tempio santonel tuo timore.
Guidami, Signore, nella tua giustiziaa causa dei miei nemici;spiana davanti a me la tua strada.
Non c’è sincerità sulla loro bocca,è pieno di perfidia il loro cuore;la loro gola è un sepolcro aperto,la loro lingua seduce.
Condannali, o Dio, soccombano alle loro trame,per i tanti loro delitti disperdili,perché a te si sono ribellati.
Gioiscano quanti in te si rifugiano,esultino senza fine.
Proteggili, perché in te si allietinoquanti amano il tuo nome,poiché tu benedici il giusto, Signore,come scudo lo circondi di benevolenza.
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Mirò
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entro
dei
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ieri)
Andiamo di primo mattinousciamo dalla notte lavate le mani e il cuore e sul volto riflessa la gloria della sua Schekinah!
[...] Andiamo leggeri, prodigiosamente leggeri, per non offender la terra, e nulla àlteri il ritmo del misurato respiro.
E con l’alito appenaa bolle di luce diciamo«Gesù, figlio di Dio» -«abbi pietà di noi» -perché tutta la terrasia irrorata dallainfinita pietà.
Tutte le ferite fasciate sozzure e immondizie bruciate nella Gehenna, colmatetutte le solitudini.
O anche senza a nulla pensare, lasciare libero Iddio che usi graziacome a Lui piace:poiché noi non sappiamo, non sappiamo!
È già graziaessere amati, e più ancoralasciarsi amare; e scendereal centro del cuoree portare la veste nuzialee tornare all’innocenza primeva,tornare ad essere in pace. [...] Amen.