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Archivio selezionato: Dottrina
COLPA PENALE, “LEGGE BALDUZZI” E “DISEGNO DI LEGGE GELLI-
BIANCO”: IL MATRIMONIO IMPOSSIBILE TRA DIRITTO PENALE E GESTIONE
DEL RISCHIO CLINICO
Cassazione Penale, fasc.1, 2017, pag. 0386B
Ombretta Di Giovine
Classificazioni: MEDICINA LEGALE - Responsabilità professionale medica
Sommario 1. Premessa: dalla quasi impunità all'“eccesso di attenzione” verso il medico. —
2. Quelli che sembravano punti fermi in materia di colpa penale. —3. La legge Balduzzi. —
4. Le reazioni di dottrina e giurisprudenza. —5. Il disegno di legge Gelli-Bianco. —6.
Gestione del rischio clinico e rilevazione dell'errore. —7. Lo scontro tra filosofie:
preventiva (quella della gestione del rischio clinico) e repressiva (quella penale). —8. Dalla
responsabilità delle persone fisiche alla responsabilità degli enti in ambito sanitario? Il
finale triste della favola.
1. PREMESSA: DALLA QUASI IMPUNITÀ ALL'“ECCESSO DI ATTENZIONE”
VERSO IL MEDICO La parabola della giurisprudenza in materia di responsabilità medica viene ripercorsa dalla
Corte di cassazione in una recente sentenza in cui il giudice di legittimità, pur guardandosi
dall'esprimere apprezzamenti, riconosce che ad un iniziale atteggiamento di pressoché
sistematica indulgenza verso la classe medica ha fatto seguito un ripensamento radicale (1).
La fase “aurea” passò attraverso l'applicazione, al “blocco” dell'attività sanitaria, dell'art.
2236 c.c. (2), disposizione in linea con la teorica della colpa civile (almeno sino alla fine degli
anni Novanta), ma la cui utilità penalistica – come preciserò – si sarebbe potuta ritenere
superata in virtù dei sofisticati arnesi concettuali messi a punto dalla dottrina penalistica (non
varrebbe nemmeno la pena di richiamarla, se il discorso sul grado della colpa non avesse –
inaspettatamente, dal mio punto di vista – riacquistato attualità).
Comunque sia, una volta rimosso con argomenti non proprio chiari (3)“l'ingombro”
concettuale di tale disposizione, l'espressione della mutata sensibilità giurisprudenziale non
poté trovare un argine nella causalità penale, poiché questa – nonostante i plurimi tentativi
dei giuristi – non riesce ad affrancarsi dal regno della logica e delle concezioni
condizionalistiche le quali, com'è stato di recente ribadito proprio nell'epistemologia medica
(4), si basano su un ragionamento circolare e si rivelano quindi, per forza di cose,
epistemicamente inadeguate nelle materie complesse (5).
Diversamente dicasi della colpa penale, della quale soltanto tratterò in questo contributo e
che, essendo un concetto che non spartisce alcunché con la logica (ha debiti soltanto con la
più malleabile tradizione giuridica), è più reattiva al contesto valoriale, comprensivo dei
“cambi di umore” della magistratura nei confronti della classe medica, per un verso, ma anche
della concezione di fondo della medicina imperante in un certo momento, per altro verso.
Ebbene, il primo aspetto è prevalso sul secondo: è cioè accaduto che, nel plasmare la
categoria, la giurisprudenza abbia perpetuato se stessa, ignorando il passaggio da una visione
c.d. idiografica della medicina ad una medicina evidence based e comunque, nel bene o nel
male, più standardizzata. Mentre, invece, come tutti sappiamo, dovrebbero essere proprio la
colpa e, per chi le distingue, la colpevolezza a farsi carico del contenimento degli eccessi
giurisprudenziali in malam partem.
Anticipando il cuore delle mie riflessioni sosterrò che, in tale direzione, il legislatore ha
cercato e si accinge a fare più della dottrina.
2. QUELLI CHE SEMBRAVANO PUNTI FERMI IN TEMA DI COLPA PENALE
Scuola Forense 2017 - Modulo Avv. Maurizio Anselmi - Materiale Riservato
Qualche anno fa, nell'affrontare questo complesso tema, nemmeno avrei precisato che la colpa
trova nel codice (art. 43) una definizione, posto che essa è in linea con la teorica dominante
al momento dell'emanazione del codice penale; che molta acqua è passata sotto i ponti e che
da allora la teoria della colpa penale ha fatto enormi balzi in avanti.
Non essendo immaginabile anche solo accennare allo stato attuale del pensiero penalistico
sul punto (6), mi limito ad osservare che, quantomeno in dottrina, sino a poco tempo fa
sembrava raggiunto l'accordo su alcuni punti.
La colpa ha una dimensione innanzitutto oggettiva, attinente al fatto tipico (da evitare o da
compiere). Tale dimensione consiste nell'inosservanza di regole cautelari le quali possono
essere scritte (colpa specifica) oppure desunte da usi sociali (colpa generica), «senza che ciò
incida sull'essenza della colpa, la quale rimane sempre identica» (questa precisazione tornerà
utile nel prosieguo) (7).
Ciò premesso, quanto alla colpa generica, la distinzione tra imprudenza, imperizia e
negligenza, di lana caprina, sembrava relegata nel capitolo storico del diritto penale (certo,
veniva menzionata nelle trattazioni sulla colpa che però nelle centinaia pagine a seguire se ne
disinteressavano). Basti pensare che le diverse manifestazioni della colpa non sono
perfettamente distinguibili (si sovrappongono) e che quest'ultima può consistere anche di tutte
e tre insieme (8).
Di che cosa consta allora la colpa generica? Nella sua misura oggettiva (quella di cui ho finora
parlato), la colpa generica è prevedibilità ed evitabilità dell'evento alla stregua di un homo
eiusdem condicionis et professionis. Incidentalmente, l'ambito sanitario ha rappresentato un
utile serbatoio cui attingere esempi spendibili a lezione con gli studenti (dove, esaltando le
diverse specializzazioni, si insegna, per es., che se un ortopedico si perita in una
appendicectomia, è allo standard del chirurgo generale che deve attenersi, diversamente
configurandosi una c.d. colpa per assunzione ecc.).
Al di là di tali banalità e premesso che la colpa medica (a differenza di altri settori) è stata per
lungo tempo terreno di coltura della colpa generica, un Leitmotiv dottrinale (quantomeno)
degli ultimi decenni è stato la condanna del deficit di tipicità della colpa. In effetti, i suddetti
giudizi sulla prevedibilità ed evitabilità, soprattutto se assunti in una dimensione (io la
chiamo) naturalistica (come possibilità materiale di prevedere) e non squisitamente normativa
(9), sono fortemente manipolabili, in cattiva o buona fede.
Limitando questa scontata ricognizione all'ipotesi di buona fede, la prevedibilità, e con essa
la colpa generica, era infatti ritenuta il regno dell'insight bias, vale a dire l'ambito in cui più
si attiva quella celeberrima distorsione cognitiva che porta (il giudice) a giudicare con il senno
del poi, ritenendo prevedibile un evento per il solo fatto che si è inverato (nonostante le
probabilità statistiche non fossero favorevoli) (10). Un caso giudiziario oramai stereotipico
(11), assurto anche alle cronache giornalistiche, esemplifica tale distorsione cognitiva. «Il
paziente è stato ricoverato in ospedale per un infarto, ma è sempre possibile prevedere che al
primo episodio segua altro, più grave ed eventualmente letale. Se il medico non lo prevede e
dimette il paziente, anche seguendo standard previsti in GL, allora è in colpa». Ad esiti diversi
si sarebbe potuti giungere assumendo, più correttamente, che la colpa generica è non tanto
“possibilità” quanto “doverosità” della previsione.
Sempre con riferimento alla misura oggettiva, sembrava caduta nell'oblio (in dottrina come
nel lessico giurisprudenziale) altresì la distinzione tra colpa grave e colpa lieve (12). Né
personalmente penso si trattasse di una perdita grave, visto che la limitazione della
responsabilità ai casi di colpa grave perde senso e ragion d'essere una volta che si convenga
sul fatto che la colpa va valutata, oltre che alla stregua dello specialista di riferimento, “sempre
in concreto” (e tenendo a mente la specificità qualitativa della medicina). Non è la colpa un
concetto che più di altri si ciba del contesto fattuale e che dipende quindi da una serie di
variabili, relative alla specializzazione del medico, alla storia clinica del paziente, alla
“variabilità individuale” della malattia e alle circostanze in cui si è verificato l'evento
avverso? Abbandonata l'illusoria speranza di definire con formule pseudo-tipizzanti e in
astratto i gradi della colpa, almeno in dottrina si sarebbe detto pacifico che non versasse in
colpa il medico, casomai giovane, il quale si fosse trovato a fronteggiare un'operazione
difficile in situazioni di difficoltà (ciò che oggi sarebbe una «colpa lieve» non punibile).
Coesa era la dottrina anche nel denunciare la necessità di considerare le circostanze fattuali
soggettive. L'unica differenza – cui in questa sede si può soltanto accennare – è che, secondo
i più, tale valutazione confluirebbe nella c.d. misura soggettiva della colpa anche quando
fattori circostanziali quali l'urgenza, la stanchezza, l'indisponibilità di supporti adeguati,
l'inadeguata esperienza nel fronteggiare casi difficili, ecc., possono condurre ad un esito
assolutorio; secondo altri, invece, la «prevedibilità ed evitabilità alla stregua dell'agente
concreto» potrebbe soltanto innalzare (mai abbassare) lo standard della cautela doverosa (se
un'operazione chirurgica la realizza un luminare del settore, questi dovrà usare una diligenza
maggiore del chirurgo specialista “medio”) (13), mentre tutto ciò che ha a che fare la
“inesigibilità” del rispetto di cautele oggettive dovrebbe rifluire nella colpevolezza, in quanto
“scusante” (nessuna delle due opzioni sistematiche è peraltro aproblematica). Comunque sia,
quel che interessa è che tali circostanze soggettive sfuggivano alla considerazione delle
sentenze, che raramente ne teorizzavano la rilevanza nella parte di diritto e comunque mai
indagavano nel fatto profili diversi da quelli strettamente riconducibili alla violazione della
cautela oggettiva.
Pertanto, nel momento in cui la prevedibilità – questo monstrum – ha cominciato ad essere
pervasiva (ravvisata nella quasi totalità dei casi) e l'evitabilità anche, la responsabilità del
medico è esorbitata dai suoi argini per diventare un fenomeno quantomeno fastidioso per i
medici stessi, poi preoccupante per il Sistema Sanitario ed infine dannoso per le principali
vittime della “medicina difensiva”, e cioè per i pazienti (14).
Quel che mi preme qui evidenziare è però che, oltre a coltivare una visione taumaturgica del
medico e della medicina, la giurisprudenza non aveva realizzato come la responsabilità
medica fosse sempre più governata da cautele scritte e non fosse quindi più dominio della
colpa generica, essendo invece da tempo diventata – al pari di altri settori prima di lei –
appannaggio prevalente di quella specifica (tornerò sul punto).
Nemmeno aveva avvertito l'eco di tutto quel movimento (di portata invero generale) che
aveva condotto negli anni Novanta del secolo scorso all'affermazione della EBM. E non si
era resa conto della sostanziale trasformazione della medicina, che oggi solitamente
presuppone (o dovrebbe): la collaborazione tra medico di famiglia e strutture ospedaliere;
l'interazione tra specializzazioni differenti e a volte tra diverse strutture ospedaliere; la
realizzazione del “percorso” terapeutico (non solo del singolo intervento) in équipe; il
crescente predominio della tecnica sull'intuito e sull'esperienza del singolo medico a livello
diagnostico e non soltanto... e chi più ne ha più ne metta.
Quando la dottrina penalistica, con i suoi fisiologici tempi di riflessione ed approfondimento,
cominciava a prendere atto di tali cambiamenti, teorizzando il problema della medicina
difensiva (15), per un verso, e concentrando in modo quasi ossessivo la sua attenzione sul
“fenomeno” delle linee guida (d'ora in poi GL), per altro verso, il legislatore invece agiva.
3. LA LEGGE BALDUZZI Oramai quattro anni orsono la legge Balduzzi si è ripromessa di aprire gli occhi a questa
giurisprudenza un po' retro. Per colpa del solito malcostume di sciatteria stilistica, ha usato
una formula testuale sicuramente infelice, e cioè ha disposto (art. 3), per quel che qui
interessa, che «L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività
si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde
penalmente per colpa lieve».
Dicevo, la formulazione è poco perspicua e, si potrebbe pensare, anche ingenua: come se,
rianimando artificialmente il messaggio dell'art. 2236 c.c., fosse possibile far tornare in vita
anche l'originaria benevolenza dei giudici nei confronti della classe medica (il formante
legislativo sopravvaluta sempre il suo potere su quello giurisprudenziale!).
Fatto sta che dal contesto storico e legislativo in cui era stato emanato il provvedimento
legislativo era desumibile alla disposizione un senso piuttosto chiaro (e minimale) che – come
ho sostenuto più ampiamente altrove (16)– avrebbe dovuto essere quello di un monito, di una
mera direttiva interpretativa.
In prima battuta, lo traduco così: «tu, giudice, nel valutare la colpa, ricorda che esistono regole
oggettive di comportamento, siano esse lo formulate come raccomandazioni o contenute in
protocolli ovvero tramandate nella migliore letteratura scientifica, ecc.: regole che tu non puoi
ignorare, sostituendole con altre di tua creazione o invocando il tuo intuito in materia
sanitaria».
Un siffatto avvertimento sottende un dato pacifico per i medici, ma non per l'opinione
pubblica ed evidentemente nemmeno per la magistratura; forse neppure per tutta la dottrina
(17): il rischio terapeutico, sommandosi al rischio della patologia, può portare ad eventi
avversi anche quando la condotta sia stata ottemperante, vale a dire quando le cautele
standard risultino osservate (18). Ciò in virtù della (mai troppo sottolineata) specificità della
biologia (cui attinge la medicina), che la rende non assimilabile a domini disciplinati da leggi
non meramente probabilistiche.
Come dire, in medicina il rischio è minimizzabile ma non può essere azzerato poiché «una
quota di eventi avversi non è eliminabile dal sistema. E neanche è eliminabile una quota di
errori». Nella letteratura sul rischio in medicina è da tempo pacifico che, sempre in ragione
delle specificità di questo tipo di attività, una certa percentuale di errori è “inevitabile”, e
pertanto – a rigor di logica penalistica – dovrebbe essere ritenuta non rimproverabile, non
addebitabile (quantomeno) al medico (il grande problema di politica legislativa resta stabilire
se, chi, a che titolo e in che misura ne debba rispondere (19)).
In seconda battuta, volendo, si sarebbe potuto ampliare il contenuto del monito ad attribuire
rilievo a quelle circostanze fattuali soggettive che si sono dette fluttuare nell'aere
dell'irrilevanza giuridica, ricordando che la responsabilità del sanitario esula “anche quando
l'adempimento si sia rivelato ex post imperfetto, come talvolta accade per l'intervento di
fattori che rendevano inesigibile un approfondimento ulteriore del problema clinico (20).
Tutto qui. Nessuna esenzione speciale da responsabilità. Nessuna deroga al sistema. “Nessuna
decriminalizzazione”. Soltanto l'appello a un buon senso giudiziario, e precisamente il
suggerimento di contrastare il naturale senno del poi nella ricostruzione della cautela
doverosa, aprendosi alle evidenze scientifiche standardizzate per un verso; di considerare i
fattori soggettivi inerenti alla situazione concreta, per altro verso. Di tener conto, insomma,
delle acquisizioni teoriche in tema di colpa.
Anzi, anticipando concetti che riprenderò di seguito, il legislatore del 2012, messo alla gogna
e tacciato d'ignoranza giuridica, in realtà, semplicemente mirava a comportamenti c.d. ruled-
based e si è concentrato sul caso di “applicazione sbagliata di buone regole” (regole, cioè,
che abbiano un'utilità scientificamente provata in una certa situazione). Con una punta di
malignità, si potrebbe allora chiosare che è stato piuttosto l'interprete a misconoscere il
richiamo della legge a situazioni dotate di preciso (e ormai risalente) riscontro nella letteratura
di rilievo mondiale sul rischio e sull'errore nei sistemi complessi (21), influenzato ancora una
volta da una visione endosistemica che trova nella realtà sempre meno appigli.
Provocazioni a parte, per le ragioni esposte, l'art. 3 della legge Balduzzi poteva ritenersi non
innovativo del diritto vigente: il sistema, se correttamente applicato, consentiva di
argomentare, nelle ipotesi liminari, che non vi fosse colpa ed avrebbe dunque portato alle
medesime conclusioni perseguite dalla novella del 2012 mediante la buffa esenzione per colpa
lieve.
Invece...
4. LE REAZIONI DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA
Una dottrina ha lamentato l'introduzione di un privilegio odioso in favore della classe medica
(22). Altri hanno formulato (invero comprensibili) dubbi sull'efficacia della novella sul piano
della politica criminale («non è che in questo modo si finisce proprio con l'incentivare la
medicina difensiva promovendo l'appiattimento su GL e quindi la burocratizzazione dell'agire
medico?») (23). Altri ancora hanno prospettato interrogativi suggestivi ma inquietanti, del
tipo: «se la GL è stata osservata, ciò vuol dire che non c'è colpa, ma può esistere una colpa
senza colpa»? (24)oppure, «posto che la Balduzzi disciplina i casi di adempimento imperfetto
(casi molto simili a quelli all'attenzione del medico, ma ex post rivelatisi diversi), che cosa
accade se invece il medico per colpa lieve non riconosce che il caso è inquadrabile in una GL
e non la applica?» (25).
Quel che è peggio, prendendo particolarmente alla lettera il dato testuale, si è cominciato a
discettare sulle possibili implicazioni di teoria generale della legge Balduzzi, violando la
legge del rasoio di Occam in relazione almeno ai seguenti aspetti.
È stato sostenuto che la legge Balduzzi avrebbe ritagliato l'area della responsabilità penale,
dando luogo ad un'abolitio criminis parziale con riguardo alla colpa lieve (con intuibili
conseguenze in termini di riapertura dei processi, di allungamento dei tempi e di dispendio di
energie economiche e lavorative. Non certo a sorpresa, la maggioranza delle sentenze della
Cassazione dichiara la prescrizione del reato) (26), quasi si creda davvero possibile tracciare
con precisione matematica e in astratto – e cioè a priori – il confine tra colpa grave e colpa
lieve.
Prioritariamente, appunto, si è riesumata la distinzione stessa tra colpa lieve e colpa grave
(qualcuno non ha nemmeno risparmiato l'ipotesi, di reminiscenza romanistica ma superata
anche nel diritto civile, di una tripartizione, tra colpa lieve, ordinaria e grave o, che è lo stesso,
lievissima, lieve e grave (27)). Ho già spiegato le ragioni per cui, a mio (molto) personale
avviso, di tale distinzione si poteva fare a meno. Ora adduco un esempio che vede protagonista
proprio la legge Balduzzi. In uno dei pochi casi di assoluzione in virtù della stessa, non era
stato disposto l'elettromiocardiogramma (ma solo l'elettrocardiogramma) di un paziente che
clinicamente presentava sintomi aspecifici, come astenia, ipotensione (una volta con sincope),
edemi declivi, dispnea da sforzo e nel parlare; di conseguenza, non era stata rilevata la
miocardite che portò poi a morte il paziente. La Corte ha ritenuto ci fosse colpa lieve ed ha
assolto, ma, in realtà – come riconosce la dottrina che segnala questa sentenza (e che ironizza
sull'apparente ravvedimento della giurisprudenza) (28)– nel caso di specie si sarebbe potuti
giungere tranquillamente ad affermare che non c'era colpa tout court.
Sempre per amor di categorizzazione, la dottrina ha dissepolto la formulazione codicistica e
il distinguo tra imprudenza, imperizia e negligenza (29)della cui fumosità abbiamo già
trattato.
Ancora, sono state nettamente contrapposte le “buone pratiche mediche” (intese peraltro nei
modi più disparati e di cui si è sottolineata la vaghezza concettuale e, in alternativa, la
discendenza dal più tecnico concetto anglosassone di best practices) alle GL, sul cui ruolo e
sulla cui natura l'attenzione si è concentrata in modo quasi ossessivo. Anche per tal via si è
però deformato il senso della riforma, che voleva con ogni probabilità fare dei due termini
una endiadi (30)(ricordando che, se direttive di massima esistono, a queste deve attenersi il
giudizio sulla colpa, a meno ovviamente che non risulti che il medico possedesse una sfera di
cristallo).
Quanto alle GL, alcuni hanno poi tentato di negarne il rilievo normativo, argomentando che,
in caso positivo, la loro violazione darebbe luogo a colpa specifica e che, laddove per contro
si rivelino mere raccomandazioni, e cioè indirizzi di comportamento, la colpa resterebbe
generica, con la conseguenza che della sua esistenza continuerebbero a decidere gli ineffabili
giudizi sulla prevedibilità ed evitabilità (31).
Rinviando ad un momento successivo la valutazione sulla correttezza delle premesse di
siffatto ragionamento, mi limito ad osservare che, “a forza di distinguere”, si è data la stura a
defatiganti quanto inutili discettazioni interpretative. Soprattutto, sono state avallate alcune
posizioni giurisprudenziali di retroguardia tese a consolidare lo status quo ante.
Nelle sentenze che sono seguite alla riforma si è infatti precisato quel che sembrava ovvio, e
cioè che la valutazione cui il giudice è chiamato deve vertere su «la misura della divergenza
tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi, sulla base della norma
cautelare che si doveva osservare» e, quanto al grado della colpa, che tale divergenza deve
essere «ragguardevole» o «rimarchevole» o «notevole» (e poco manca che si cominci a
distinguere pure i diversi significati di questi aggettivi).
Almeno a parole, si è aperta inoltre la strada alla considerazione di fattori soggettivi,
ammettendo che «possono venire in rilievo, nel determinare la misura del rimprovero, sia le
specifiche condizioni del soggetto ed il suo grado di specializzazione, sia la situazione
ambientale, di particolare difficoltà, in cui il professionista si è trovato ad operare», dando
così la stura alla considerazione, in sede di colpa, di fattori che afferiscono all'esigibilità della
condotta conforme al dovere (e che, come già rilevato, miglior collocazione troverebbero
nella colpevolezza, ma ciò qui non rileva) (32).
Ciò vero, il sistema immunitario della giurisprudenza ha però sviluppato potenti difese
rispetto a quella che è stata vissuta come una sorta di aggressione da parte del legislatore,
articolando stilemi argomentativi che ricorrono nelle sentenze in modo alternativo oppure
congiunto. Del tipo:
a) la legge Balduzzi, innova, è vero, ma non è sufficiente verificare che la condotta del medico
ottemperi ad una GL perché la legge richiede un altro requisito, e cioè che la colpa sia lieve
e questa non è un'ipotesi di colpa lieve; (33).
b) la legge Balduzzi, innova, è vero, ma è applicabile nelle sole ipotesi di imperizia e quello
che mi trovo a giudicare è un caso di imprudenza o – più spesso – di negligenza (34)(l'idea
che la “novazione legislativa” concernesse la sola imperizia si è sviluppata a partire
dall'assunto che le GL mirino a prevenire la sola imperizia del sanitario. Passiamo ora a queste
ultime);
c) nel caso all'attenzione di questa Corte la GL c'era e prescriveva una condotta che
effettivamente è quella cui il medico si è attenuto, ma tale GL non può ritenersi attendibile
(credibile), poiché preposta al perseguimento di finalità di contenimento della spesa e non al
prioritario interesse della salute del paziente, tanto è vero che questo è morto oppure sta
peggio. Di conseguenza, la GL non può essere posta alla base di un'assoluzione per difetto di
colpa specifica (35)(senza troppo distinguere tra GL e GL e dimenticando che alle cautele
non c'è un limite astratto, ma solo quello concreto, delle finanze statali);
d) (versione più sofisticata) nel caso di specie la GL era esisteva, era credibile e prescriveva
la condotta effettivamente realizzata dal medico, ma a ben guardare, doveva riferirsi a
situazioni diverse da quella alla sua attenzione, se è vero che un evento avverso si è verificato
(ed io posso ben dirlo perché giudico ex post) (36). In questo modo tuttavia ci si dimentica –
un vuoto di memoria preoccupante nel penalista – che la colpa andrebbe accertata in un'ottica
esclusivamente prognostica, e si continua a fingere che l'evento avverso in medicina sia
azzerabile.
Per fortuna, cominciano a cogliersi piccoli segni di cambiamento. Recenti approdi
giurisprudenziali hanno demolito la premessa del ragionamento, notando come le GL siano
riferibili altresì a profili di diligenza e di prudenza e concludendo quindi che la limitazione
alle sole ipotesi di imperizia non è sostenibile (37).
Sono rimasti però in piedi gli altri assunti, in particolare quelli relativi alla distinzione tra
colpa grave e colpa lieve e alla natura delle GL: suscettibili – come ho detto – di vanificare il
senso della riforma Balduzzi perpetrando le interpretationes abrogantes di cui ho detto.
5. IL DISEGNO DI LEGGE GELLI-BIANCO Su quest'ultimo profilo entra in gioco la riforma allo studio del Parlamento. Alludo
ovviamente al disegno di legge Gelli-Bianco (di seguito, solo “d.d.l. Gelli”), che dispone
l'introduzione nel codice penale di un: «Art. 590-ter. – (Responsabilità colposa per morte o
lesioni personali in ambito sanitario). – L'esercente la professione sanitaria che, nello
svolgimento della propria attività, cagiona a causa di imperizia la morte o la lesione personale
della persona assistita risponde dei reati di cui agli articoli 589 e 590 solo in caso di colpa
grave.
Agli effetti di quanto previsto dal primo comma, è esclusa la colpa grave quando, salve le
rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e
le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge».
Tralascio facili previsioni. Per un verso, la disposizione verrà probabilmente stigmatizzata
come l'espressione della deleteria tendenza legislativa alla clonazione del tipo (dopo
l'omicidio stradale, ora anche quello medico. E, un domani, inseriamo nel codice anche
l'omicidio del datore di lavoro, quello del tifoso ultras e così via?). Per altro verso, i
“dirittopenalecentrici” la riterranno fondante l'economia complessiva del provvedimento:
giudizio che, come specificherò meglio di seguito, sarebbe esagerato.
In realtà, è evidente che il testo rappresenta una riformulazione, linguisticamente in alcuni
punti più piana, della legge Balduzzi. Quella, come abbiamo visto, afferma che non risponde
per colpa lieve il sanitario che si sia attenuto alle GL o alle buone pratiche mediche; questo
limita alla colpa grave la responsabilità del medico e poi esclude la colpa grave quando il
comportamento sia risultato ottemperante alle GL o alle pratiche medico-assistenziali. Ma la
dottrina ha anche già segnalato alcuni “peggioramenti”:
a) il d.d.l. menziona la sola “imperizia”, e lo fa sulla scia della già richiamata giurisprudenza
formatasi sotto il vigore della Balduzzi. Poco perspicuamente, peraltro, visto che, come
abbiamo appena visto, su questo punto quell'orientamento sta già dando segnali di cedimento.
Allo scopo di evitare le letture vanificanti di cui si è detto, sarebbe auspicabile un
ravvedimento legislativo, che elimini il richiamo all'imperizia. In alternativa, ribaltando il
ragionamento della (chiamiamola:) giurisprudenza dominante, si dovrebbe convergere sulla
posizione di chi in dottrina nota che, anche nelle ipotesi di negligenza e di imprudenza medica,
residuino pur sempre profili di imperizia c.d. mascherata (38);
b) ancora, la riforma incide direttamente sul regale corpo codicistico. Non c'è dubbio che tale
scelta assecondi una biasimevole tendenza all'uso del codice in chiave meramente simbolica
(allo scopo cioè di dare rilievo mediatico alla riforma, falsamente nobilitandola). Alcuni
hanno anche evidenziato l'irragionevolezza della decisione di delimitare l'ambito della
responsabilità colposa ai soli omicidio e lesioni, che sono le ipotesi colpose più ricorrenti
nell'attività sanitaria, ma non le uniche (sono state richiamate, ad esempio, l'interruzione
colposa di gravidanza; art. 19 l. n. 194/1978, e l'esposizione ingiustificata a radiazioni
ionizzanti; art. 14 d.lg. n. 187/2000) (39). Ora, certamente la scelta di incidere sulla parte
speciale del codice penale (riservata alle scelte di incriminazione) rende più arduo il tentativo
di ridimensionare la portata della riforma ravvisando in questa, come già prima nella legge
Balduzzi, un mero criterio di valutazione volto ad evitare condanne temerarie, che come tale
non innova l'esistente. Ma proverei comunque a difendere questa tesi e a contenere il disagio
in una dimensione prevalentemente “estetica”, poiché continua a sembrarmi difficile misurare
il peso della colpa con un bilancino e decidere in questo modo l'area della irrilevanza penale
more geometrico, mediante a priori logici (in altre parole, ragionevoli assoluzioni non
potrebbero escludersi nemmeno per le fattispecie colpose non toccate dalla “riforma”,
esattamente come ben potremmo continuare ad imbatterci in argomentate condanne per
omicidio e lesioni in presenza di una colpa tutt'altro che grave);
c) altra differenza è che la riforma svincola il discorso sul grado della colpa dal rispetto delle
GL e buone pratiche, l'osservanza di queste rappresentando una mera esemplificazione di
colpa non grave. In altre parole, la colpa grave parrebbe l'asticella sotto la quale qualunque
ipotesi di imperizia (?) medica non è punita, salvo precisare che colpa grave non può esistere
se sono state osservate le GL o le buone pratiche. Invero, come ho detto, questa soluzione
sembra plausibile anche ora, sotto il vigore della Balduzzi, sebbene non corrisponda
all'interpretazione affermatasi a livello giurisprudenziale e nemmeno dottrinale (40);
d) la quarta innovazione consiste nel fatto che nel d.d.l. Gelli le «buone pratiche» sono
espressamente aggettivate come medico-assistenziali. Non può escludersi che in tal modo il
legislatore intenda valorizzare questo importante parametro di valutazione, rimasto quasi in
sordina nel dibattito sulla legge Balduzzi, dove – come ricordato – è stato sovrastato in
sonorità dalle GL;
e) la quinta novità – extra-testuale e più rilevante – risiede nel diverso status delle GL, definite
«raccomandazioni» e nel contempo – senza contraddizione – istituzionalizzate in un sistema
ufficiale che attribuisce un crisma particolare a quelle pubblicate sul sito dell'ISS ed elaborate
da società scientifiche accreditate presso il Ministero della sanità (41). Ebbene, premesso che
questa presa di posizione è stata ispirata dal fenomeno della proliferazione delle GL
(denunciato in coro) e dall'intento di operare una cernita al loro interno (42), segnalo come
essa abbia ciò nondimeno suscitato allarme in una dottrina penalistica (43), sulla base del
presupposto, già accennato, che a ritenere le GL dotate di efficacia vincolante, la colpa
medica, da generica quale sarebbe stata, diverrebbe specifica, implicando così perniciosi
automatismi interpretativi.
Niente di più opinabile (44).
La (tendenziale) trasformazione della colpa medica da generica in specifica – fenomeno a
mio avviso innegabile – non produrrebbe effetti di sorta sul piano pratico, essendo pacifico
che la colpa specifica concorre con quella generica, sicché, una volta esclusa la prima, nulla
impedisce al giudice di ravvisare la seconda (dunque, nessun automatismo, nemmeno sotto
questo punto di vista).
Non comporterebbe però conseguenze rilevanti nemmeno sul piano teorico.
Premesso infatti che la colpa specifica non è un “tipo di colpa” bensì “un tipo di accertamento
della colpa”, la quale rimane unica nella sua essenza di violazione di cautele doverose, è
appena il caso di osservare che nessuna regola porta su scritto “sono utilizzabile” oppure “non
sono utilizzabile” ai fini del giudizio sulla colpa specifica in un eventuale giudizio penale.
Sempre (non soltanto nell'ambito della responsabilità medica) sarà croce e delizia
dell'interprete e cioè del giudice, decidere, “di volta in volta”, se una data prescrizione rilevi
ai fini del giudizio sulla colpa specifica. A tal fine, il giudice dovrà verificare alcune
condizioni le quali non si esauriscono certo nella vincolatività della regola... ammesso che di
vincolatività possa parlarsi nel caso di “raccomandazioni”/linee guida (né credo che il
“medico di cultura men che infima” penserà mai che le GL vadano applicate anche se non
sono pertinenti... e comunque, il nuovo legislatore – non si sa mai – lo ha precisato).
Anzi, se proprio vogliamo, almeno nelle discipline, la supposta “obbligatorietà” della regola
non rappresenterebbe un elemento dirimente, apparendo, piuttosto decisivo che si tratti di
regola cautelare” (45); che abbia uno spettro cautelare ben definibile cui sia riconducibile
l'evento concretamente verificatosi; che abbia contenuto modale; che sia scientificamente
valida (ed è difficile negare che questo apprezzamento sia agevolato dal “bollino” apposto
sulla regola da un'autorità statale mediante il meccanismo previsto dalla legge).
La rilevanza penale della regola nel giudizio sulla colpa verrà poi da sé, senza apriorismi.
Dunque, il “tendenziale” passaggio della colpa medica da sistema di colpa generica a sistema
di colpa specifica non rappresenta una deminutio per il diritto penale. Al contrario, andrebbe
favorevolmente salutato, visto che GL e buone prassi facilmente individuabili possono
orientare la valutazione il giudice, almeno in prima battuta (è appena il caso di precisare che
l'aiuto di periti e consulenti continuerà ad essere indispensabile, poiché solo un esperto è in
grado di ricostruire il fatto e giudicare la pertinenza della buona regola con il caso concreto)
e che tutto ciò non può che implicare un arricchimento della tipicità colposa (che tanto si
lamenta essere evanescente) (46).
Se preoccupazioni desta la riforma, dunque, non sono penalistiche: il d.d.l. Gelli riproporrà i
dubbi di sempre, che si pongono almeno da quando si è sviluppato il sistema delle GL in uno
con la evidence based medicine (e che starà, come sempre, all'equilibrio degli operatori
esorcizzare): rischi di burocratizzazione, appiattimento, fuga dalla responsabilità etica e
quindi dalla medicina. Ma tra le varie “fughe” non ve n'è una dal diritto penale il quale, “nel
migliore dei mondi possibili”, si dovrebbe estinguere, come dirò, per altre ragioni, più...
fisiologiche.
In conclusione parziale sul punto, il d.d.l. Gelli fa un altro passo in avanti, mettendo a punto
alcuni profili della legge Balduzzi, di cui rappresenta dunque uno sviluppo logico e il tentativo
di congiungere la prospettiva tradizionale, dell'ex post factum, tipica della responsabilità
individuale, con una visione più attuale della medicina, incentrata su rischio e sinergie.
Ritengo pertanto doveroso dare atto al legislatore che sta cercando di adeguarsi al mutamento
dei tempi, cercando di instaurare un legame tra il vecchio e il nuovo, un trait d'union tra la
logica tradizionale in cui si muove il sistema penale, e la realtà attuale della medicina. Ci è
riuscito o ci riuscirà?
6. GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO E RILEVAZIONE DELL'ERRORE Per tentare di abbozzare una risposta al quesito, riserverò qualche riflessione, brutalmente
sintetica, al contesto legislativo di cui ho sinora soltanto alluso e che a mio avviso rappresenta
la “novità vera” della riforma, avvertendo peraltro che tale novità non è nel testo dell'articolo,
bensì nel “contesto” legislativo in cui tale articolo si pone, ed ha a che fare con il “cambio di
filosofia” che pervade il provvedimento.
Più esplicitamente, l'auspicio è che l'interpretazione dell'articolo dedicato dal d.d.l. Gelli al
diritto penale sia influenzato dalla linea di tendenza espressa dal disegno di legge stesso il
quale – così declama il suo art. 1 – è incentrato su: “prevenzione” e gestione del “rischio”
clinico, termini che, insieme a “identificazione” e “tracciabilità”, costituiscono le parole
chiave nel gergo della teoria dei sistemi complessi.
Non si tratta di concetti nuovi per la sanità. Almeno a partire dal 2004, una commissione
tecnica istituita (con d.m. del 2003) presso il Ministero della sanità su “Risk management in
sanità. Il problema degli errori” (47)ricordava:
la distinzione di Rassmussen (1987) tra errori umani che intervengono in: a) Skill-based
behavior (commissione istintiva dell'atto, che deriva da comportamenti routinari); b) Ruled-
based behavior (comportamento ottemperante a regole ritenute idonee a prevenire certi
eventi. Il problema che si pone in questo genere di attività consiste nel riconoscere la
pertinenza del caso alla regola); c) Knowledge-based behavior (comportamento messo in atto
di fronte a situazione sconosciuta e che richiede il maggiore sforzo per attualizzare le
conoscenze e superare il problema);
la celeberrima tassonomia dell'errore umano elaborata dallo psicologo James Reason (1990)
che, sulla scia di Rassmussen, distingue tra: slips, lapses e mistakes, a seconda che l'errore
intervenga nelle fasi dell'esecuzione, dell'immagazzinamento (nella memoria) e della
pianificazione (noto che tra i mistakes rientrano le applicazioni erronee di una buona regola).
Questi sono tipi di errore di base. I mistakes, poi, possono derivare da una violazione
intenzionale della regola, e si distinguono da situazioni più rare e gravi, di c.d. violazione
(sempre intenzionale), in cui rientrano violazioni di routine, violazioni eccezionali e veri e
propri atti di sabotaggio (48).
Si potrebbe provocatoriamente osservare che, a prescindere dalle mutevoli teorizzazioni
concettuali (credo però che Reason sia ancora attuale), si tratta di categorie forse più utili
all'interprete di quanto non siano le citate distinzioni penalistiche tra imprudenza, imperizia e
negligenza; colpa lieve e colpa grave ecc.
Ma qui interessa piuttosto mettere l'accento sul disegno di recepire a livello legislativo
l'impostazione di fondo della raccomandazione. Il legislatore, prendendo coscienza della
necessità di attribuire rilievo cogente alle raccomandazioni che circolano da tempo su risk
analysis e risk management, vorrebbe cioè attuare la pretesa normativa che tutte le strutture
familiarizzino con alcune idee, tra cui quella che l'errore è inevitabile – errare è umano (49)–
nel senso che un certo tasso di errori nelle attività complesse è fisiologico e che l'errore umano
è solitamente un errore attivo, in un rapporto di prossimità spazio-temporale con l'evento (per
questo è più facile scoprirlo), ma rappresenta la punta dell'iceberg o il momento finale di una
filiera di cause nella quale si insinuano errori latenti, che sono di natura organizzativa.
Soprattutto, come da tempo suggerisce la celebre (perché evocativa) immagine/teoria del
“formaggio svizzero” elaborata dal pluri-citato Reason, rimarranno pur sempre nel sistema
alcune falle (i buchi del formaggio). La strategia unica possibile è dunque quella di
sovrapporre i sistemi di controllo (altre fette), nella speranza che le loro falle (i buchi delle
fette) non si allineino e non lascino quindi filtrare l'errore, con conseguenze negative per la
salute o la vita del paziente, riuscendo, al contrario, ad intercettarlo.
7. LO SCONTRO TRA FILOSOFIE: PREVENTIVA (QUELLA DELLA GESTIONE
DEL RISCHIO CLINICO) E REPRESSIVA (QUELLA PENALE) Alla luce di quel che si è detto, dovrebbe apparire chiaro che il diritto penale del sanitario è
una specie di morto che sopravvive soltanto perché mantenuto artificialmente in vita da una
“giurisprudenza-dott. Frankestein”, pervicace e affetta da un grave problema identitario:
convinta cioè che suo scopo sia assicurare ristoro – in termini di risarcimenti pecuniari – alle
vittime, reali o presunte del sistema, e dimentica che essa dovrebbe invece accertare
responsabilità.
Il diritto penale antropomorfico andava bene finché si trattava di disquisire dell'operato di
medici condotti e tutto-fare, di medici-monade, ma oggi non “funziona” più (“funzione”: altra
parola-chiave in una delle più famose teorie dei sistemi complessi, quella luhmaniana, dove
soppiantò il lemma “causa”, ritenuto inadeguato per la sua aspirazione ad una spiegazione di
stampo deterministico).
Non funziona nell'era dell'iper-specializzazione e dell'équipe. Non funziona nell'era
dell'interazione tra medici di famiglia e strutture ospedaliere, nonché tra diverse strutture di
ospedaliere. Non funziona nell'era della tecnologia medica, dei mezzi di diagnostica “super-
efficienti-ma-non-si-sa-quanto-costosi” in termini economici e soprattutto di salute umana.
Non funziona nell'era della super-super-prevenzione, della medicina preventiva che poi
trascende in “difesa” preventiva.
Se infatti è vero che gli errori nella massima parte dei casi sono errori latenti e che questi sono
errori del sistema, ebbene il diritto penale tradizionale per evitarli può davvero poco, essendo
per sua storia tarato sull'errore attivo. E questo – come detto – è quello più facilmente
identificabile, perché solitamente prossimo all'evento sul piano spazio-temporale e, sempre
solitamente, riconducibile a singole persone fisiche, ma nella gran parte dei casi rappresenta
il frutto di una concatenazione di errori latenti.
Il nuovo approccio, dunque è prevalentemente calibrato sulla prevenzione; l'approccio penale
tradizionale sulla repressione. Il nuovo approccio è tarato sull'errore di sistema; l'approccio
penale va a caccia dell'errore della persona. E, ad onta di ogni sforzo del legislatore, è difficile
ridurre i diversi approcci ad unità.
Basti pensare che, come generalmente riconosciuto, all'analisi dell'errore di sistema è
essenziale una dimensione etica, che trapela pensando al fatto che, in questa prospettiva,
l'errore diventa fonte di apprendimento e occasione per un miglioramento, permettendo di
attuare meccanismi di controllo, a volte anche semplici (come le check list) (50), che
consentono di ridurre gli errori stessi e/o la loro ricorrenza.
Per fare emergere gli errori devono quindi esistere e funzionare sistemi di auditing e incident
reporting (ovviamente segretati (51)), ma soprattutto è necessario stimolarne la denuncia da
parte di chi li ha compiuti; quindi promuovere la condivisione di tali esperienze con gli altri
operatori e non solo. Ciò implica un sovvertimento dell'attuale paradigma culturale, poiché
dalla naturale tendenza all'occultamento dell'errore, indotto dal timore di una risposta
giudiziaria, si dovrebbe passare al promovimento della sua emersione e alla discussione sulle
modalità/strategie per evitarne il ripetersi, in un clima di condivisione e di cooperazione
“anche con il paziente”, che andrebbe prima responsabilizzato e poi messo a parte
dell'eventuale errore. Una nuova “cultura” che – com'è evidente – si scontra con il timore di
denunce e di procedimenti penali, che oggi domina all'interno della classe medica.
Sospendo dunque ogni entusiastico giudizio sulle ricadute giuridiche della riforma al
momento in cui queste saranno più chiare. E mi limito ad un auspicio: speriamo che i
cambiamenti legislativi agevolino non la prova dell'errore e quindi la facile affermazione di
responsabilità in capo a singoli, bensì, al contrario, la penetrazione anche nella giurisprudenza
penale della consapevolezza che la sanità risponde alla definizione di “sistema complesso”:
che i suoi problemi vanno inquadrati in quella cornice concettuale e quindi risolti alla luce
delle coordinate tracciate dalle teorie dei sistemi complessi, piuttosto che ascrivendo
improbabili responsabilità ex post a singoli individui, abbandonati a se stessi e, qualche volta,
veri capri espiatori.
Ove tale consapevolezza dovesse effettivamente farsi strada (e, come detto, grazie all'operato
della Cassazione, nella sapiente persona di Rocco Blaiotta, sta maturando la speranza che ciò
possa accadere), è possibile che il diritto penale del sanitario si estingua o, senza enfasi, che
si contragga notevolmente, limitandosi alle vere ipotesi di vera e propria misconduct (che
incidentalmente meriterebbero forse un trattamento più severo di quello che ricevono oggi),
in favore di altre, più istituzionali e meno mascherate, forme di compensazione dei danni (52).
8. DALLA RESPONSABILITÀ DELLE PERSONE FISICHE ALLA
RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI IN AMBITO SANITARIO? IL FINALE TRISTE
DELLA STORIA Che si estingua il diritto penale delle persone fisiche le quali esercitano professioni sanitarie,
dicevo. Ciò perché in molti casi in cui il singolo non è rimproverabile, lo potrebbe invece
essere l'organizzazione.
L'area del diritto penale naturalmente preposta a giudicare di errori latenti, di allocazione di
risorse, sperperi e funzionalità – sempre ovviamente che esitino in un evento avverso – è
infatti il diritto penale degli enti, creatura (in termini relativi) ancora giovane e – mi spingo a
dire – quasi neo-nata con riferimento all'ambito di responsabilità colposa (che è stata
introdotta la prima volta nel 2008), campo di elezione del penale sanitario. Per proseguire
nelle metafore, ancora in fase di gestazione sembra poi il diritto penale dell'ente sanitario,
posto che consta una sola condanna di Cassazione di un ospedale, oltretutto per truffa (53).
Ciò premesso, risk analysis, risk management, come anche compliance, audit, follow up,
remediation etc. formano già il lessico operativo del d.lg. n. 231/2001 e dei relativi sistemi di
compliance il cui tratto è una (come dirò, troppo) forte connotazione preventiva.
Questo però non significa affatto connubio tra gestione del rischio clinico e responsabilità
penale.
Ancora pochi anni fa mi sarei spinta ad ipotizzare che (anche) la soluzione all'annoso
problema della responsabilità del sanitario potesse essere cercata sul terreno della
responsabilità degli enti, eliminando l'esenzione in favore degli enti pubblici e svincolando,
in via interpretativa o per intervento del legislatore, la responsabilità dell'ente da quella delle
persone fisiche, in modo da consentire la condanna di un ente rimproverabile per la mancata
organizzazione, anche nel caso di assoluzione dell'individuo che ha violato la cautela
doverosa in modo, però, non colpevole.
In fondo, è l'ente che si organizza o meno in modo da evitare sprechi e da gestire le sue risorse
economiche e di professionalità fornendo una risposta efficiente alla domanda di sanità che
proviene dal territorio. È l'ente che consente e deve vigilare sulla migliore ripartizione di
mezzi e personale tra reparti e all'interno dei singoli reparti. È l'ente che promuove o ostacola
la migliore collaborazione tra le diverse professionalità all'interno della stessa struttura e in
sinergia con strutture affini e complementari. È l'ente che opera scelte o non controlla scelte
le quali, sul piano procedurale, possono favorire l'annidarsi di errori latenti. È dunque, l'ente
il soggetto che merita il rimprovero in caso di eventi avversi che dipendano da errore umano
attivo scusabile, perché affonda in errori latenti.
Trascurerò la considerazione (di mero fatto) che probabilmente la sanità pubblica non sarebbe
in grado di sostenere – nell'attuale momento storico – i costi economici della compliance
aziendale ai fini 231.
Sorvolo anche sulle nubi che da qualche tempo si sono addensate attorno alla stessa utilità
dello strumento – per come effettivamente atteggiatosi – nell'ottica della risposta giudiziaria
(e quindi, in prospettiva temporale, della prevenzione dei reati). Se le intenzioni del legislatore
erano le migliori, i sistemi di compliance in alcune aziende (quelle che hanno preso la legge
sul serio) hanno raggiunto livelli di formalizzazione altissimi, infittendo progressivamente la
ragnatela delle cautele, scritte in una prospettiva che anticipa in misura a volte parossistica
l'evento e che trascende quindi ogni concreta “prevedibilità” dello stesso (54). Ed è ormai
chiaro che in tale ragnatela resterà impigliato lo stesso ragno che l'abbia tessuta e cioè, fuor
di metafora, l'ente (nel nostro caso, la struttura sanitaria).
Delle due, l'una: l'accertamento giudiziario può atteggiarsi in chiave “formale” oppure
“sostanziale”. Nel primo caso, più regole sono auto-positivizzate, più è facile che si incorra
in una loro violazione e quindi più è facile (anche grazie all'insight bias) che siano ravvisate
responsabilità penali al verificarsi (di fatto casuale) dell'evento. Nel secondo caso (ove si
prenda atto della non pertinenza del modello colposo antropomorfico), il giudizio retroagirà
alla “condotta di vita” dell'ente, rivelandosi ancora più sfumato e manipolabile di quello
espresso in relazione ad un fatto – circoscritto nei presupposti e dal punto di vista temporale
– realizzato da una persona fisica (senza che, come contraltare, all'ente venga un surplus di
legalità, posto che, al di là di un certo livello di formalizzazione, la cautela viene vissuta
dall'ente come mero costo e adempiuta in chiave burocratica) (55). Cose note.
Ciò che non convince della comprensione nell'alveo del d.lg. n. 231/2001 degli ospedali
pubblici e su cui vorrei richiamare l'attenzione, è la sua “ingiustizia”, essendo poco plausibile
– anche de iure condendo – che venga coinvolto nella risposta penale l'ente che più di ogni
altro sarebbe tenuto ad una “buona organizzazione” e che andrebbe dunque rimproverato in
caso contrario: vale a dire, lo Stato, che opera, a monte, la ripartizione delle risorse tra i suoi
comparti ed impartisce le direttive per la loro utilizzazione.
Il finale della storia, allora, non è dei più felici. La struttura della responsabilità degli enti
condivide con il sistema di controlli del management del rischio clinico molto sul piano
linguistico, ma non quel che più conta, e cioè la filosofia ispiratrice che, nel penale – in
“qualunque penale” –, è e con ogni probabilità resterà, ad onta di ogni sforzo (56),
eminentemente repressiva. Come dire, “il matrimonio non si può fare”.
Note: (*) Rielaborazione e aggiornamento della relazione su “L'evoluzione giurisprudenziale in
tema di responsabilità professionale medica”, III Congresso Nazionale Società Scientifica
COMLAS su “L'evoluzione della disciplina medico-legale e le garanzie per i cittadini e per
gli operatori sanitari”, Università di Foggia (Dipartimento Studi Umanistici), 29 settembre –
1° ottobre 2016.
(1) Sez. IV, 11 maggio 2016 - 6 giugno 2016, n. 1040, Denegri, in
dirittopenalecontempornaneo.it, 27 giugno 2016, con nota di Cupelli, La colpa lieve del
medico tra imperizia, imprudenza e negligenza: il passo avanti della Cassazione (e i rischi
della riforma alle porte).
(2) Art. 2236 c.c. (Responsabilità del prestatore d'opera): «Se la prestazione implica la
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei
danni, se non in caso di dolo o di colpa grave».
(3) Argomenti del tipo: «il 2236 c.c. è norma civilistica e quindi non può applicarsi in
materia penale» (come se possa esistere una responsabilità penale che non sia prima civile e
che, per di più, dà luogo a risarcimento del danno!) oppure «l'applicazione dell'art. 2236 c.c.
alla materia medica darebbe luogo ad un'irragionevole disparità di trattamento rispetto ad
altri settori, pure caratterizzati da problemi tecnici di particolare difficoltà» (come se,
applicandolo in ambito sanitario, divenisse per questo inapplicabile altrove).
(4) È dubbio «se sia possibile analizzare la causalità mediante controfattuali e mondi
possibili senza far ricorso a nozioni a loro volta causali»: R. Campaner, La causalità tra
filosofia e scienza, Clueb, 2012, p. 38.
(5) Non approfondirò queste osservazioni, sebbene mi renda conto che possono apparire
sibilline, perché ho affrontato il tema, in questa stessa sede congressuale, lo scorso anno a
Lucca. V. Di Giovine, La causalità tra scienza e giurisprudenza, in Riv. it. med. leg., 2016,
p. 29 ss.
(6)... su cui tantissimo è stato scritto. Rinvio quindi il lettore a poche e fondamentali opere:
vd. quantomeno Forti, Colpa ed evento nel diritto penale, Giuffrè, 1990; Giunta, Illiceità e
colpevolezza nella responsabilità colposa, Cedam, 1993; Castronuovo, La colpa penale,
Giuffré, 2009. Nella manualistica, per tutti, Fiandaca - Musco, Diritto penale, Parte
generale, 6aed., Zanichelli, 2009, p. 542 ss.
(7) Per una diversa sistematica, vd. tuttavia Donini, L'elemento soggettivo della colpa.
Garanze e sistematica, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2013, p. 124 ss., il quale nega l'esistenza
della misura oggettiva nella colpa e muove, nella sua proposta, dal dato, condiviso ed
unanimemente denunciato, che la misura soggettiva, appiattendosi su criteri di ascrizione
oggettivizzanti, risponde ad esigenze di prevenzione generale, piuttosto che di garanzia
dell'imputato.
(8) Non per nulla la migliore manualistica a stento cita la tripartizione, soffermandosi
invece ampiamente sul profilo della violazione di cautele doverose e sui criteri per il suo
accertamento. Fiandaca - Musco, Diritto penale, Parte generale, cit., p. 545 s.
(9) Di Giovine, Il concorso della vittima nel delitto colposo, Giappichelli, 2003, pp. 409 ss.
(10) «Di qui la preferenza per il parametro, per sua natura sfuggente, dell'agente modello,
autentica incarnazione del senno di poi, attraverso il quale certa giurisprudenza ambisce a
fare dell'istituto della colpa lo strumento con cui perseguire il miglioramento etico e sociale
dell'umanità». Giunta, Protocolli medici e colpa penale secondo il «Decreto Balduzzi», in
Riv. it. med. leg., 2013, p. 328. Mostra apertura nei confronti dello strumento delle GL
anche Di Landro, Le novità normative in tema di colpa penale (l. 189/2012, c.d.
“Balduzzi”). Le indicazioni del diritto comparato, in Riv. it. med. leg., 2013, pp. 848 s., cui
si rinvia per una panoramica di diritto comparato sui punti della “colpa grave” e delle “linee
guida” (dalla quale si desume come, al di là delle diverse soluzioni formali, i problemi siano
sempre gli stessi).
(11) Sez. IV, ud. 23 novembre 2010 (2 marzo 2011), n. 8254, Grassini.
(12) Vd. peraltro la proposta di riforma elaborata dal Centro Studi Federico Stella, che
limita la responsabilità alla sola colpa grave (vd. Forti - Catino - D'Alessandro - Mazzuccato
- Varraso (a cura di), Il problema della medicina difensiva, ETS, 2010, p. 199) e che ha
riscosso un notevole consenso in ambito penalistico.
(13) Anche questa è una posizione minoritaria (Di Giovine, Il concorso della vittima, cit., p.
433 ss.).
(14) Una dottrina, che però è stata anche giurisprudenza, smentisce l'emergenza. Brusco,
Informazioni statistiche sulla giurisprudenza penale di legittimità in tema di responsabilità
medica, in penalecontemporaneo.it, 14 luglio 2016, e, dati alla mano, fa presente come – a
fronte di “un esercito di medici” – i procedimenti in Cassazione siano stati “soltanto” 67 nel
2013; 56 nel 2014; 55 nel 2015. Nel caso di ricorsi dell'imputato o dal responsabile civile i
casi di conferma della sentenza impugnata di condanna sono stati: 35 nel 2013; 27 nel 2014;
27 nel 2015. I casi di accoglimento del ricorso dell'imputato e annullamento della sentenza
di condanna con o senza rinvio sono stati: 14 nel 2013; 14 nel 2014 e 10 nel 2015. In tal
senso, già Brusco, Valutazioni critiche su alcuni aspetti della c.d. legge Balduzzi, in Dir.
pen. proc., 2015, p. 742 s.In realtà, come noto, la massima parte dei procedimenti penali
avviati in primo grado, siano o meno fondati, si arrestano, a volte “miracolosamente”, per
effetto del risarcimento da parte delle assicurazioni (sempre più in sofferenza in ambito
sanitario).
(15) Roiati, Medicina difensiva e colpa professionale medica in diritto penale, Giuffrè,
2012; Di Landro, Dalle linee guida e dai protocolli all'individualizzazione della colpa penale
nel settore sanitario. Misura oggettiva e soggettiva della malpractice, Giappichelli, 2012;
Risicato, L'attività medica di equipe tra affidamento e obblighi di controllo reciproco,
Giappichelli, 2013; Forti - Catino - D'Alessandro - Mazzuccato - Varraso (a cura di), Il
problema della medicina difensiva, cit.; Manna, Medicina difensiva e diritto penale, cit.
(16) Di Giovine, In difesa del c.d. decreto Balduzzi (ovvero: perché non e possibile
ragionare di medicina come se fosse diritto e di diritto come se fosse matematica), in Arch.
pen., 2014, I, p. 1 ss., cui rinvio anche per l'indicazione dei primi commenti alla legge.
(17) Non si tratta di un tema estraneo al discorso giuridico. Per tutti, Merry - McCall Smith,
Errors, medicine and law, 2001, trad. it., L'errore, la medicina e la legge, Giuffrè, 2004.
(18) Seppur escludendo che la colpa si sia trasformata da generica in specifica, ha da subito
evidenziato come la riforma abbia «espresso una preferenza, nell'ambito dell'accertamento
della responsabilità del sanitario, per criteri più certi e verificabili rispetto a quelli dell'homo
eiudem condicionis et professionis» (vero e proprio regno del senno di poi), Giunta,
Protocolli medici, cit., p. 329 s.
(19)... tenendo possibilmente presente che «l'inevitabilità dell'errore umano non dovrebbe
essere guardata come la prova della debolezza umana, ma piuttosto come l'insopprimibile
effetto collaterale della nostra straordinaria capacità di conoscenza e del nostro successo
evolutivo». Merry-McCall Smith, Errors, medicine and law, cit., p. 94.
(20) In effetti, nella dottrina pronunciatasi “a tiepido” sembra cominci a stagliarsi come
prevalente questa lettura. Così, ad esempio, G.A. De Francesco, Al capezzale della colpa
medica (editoriale), in Riv. it. med. leg., 2015, p. 884 ss. Si è scritto che la disposizione
potrebbe trovare ragionevole applicazione nei casi in cui il medico non avrebbe potuto
superare il legittimo affidamento nella linea guida se non a costo di un onere informativo
straordinario o comunque non esigibile in ragione delle sue competenze e specializzazione
(quasi testualmente, Vallini, L'art. 3, 1° comma, della legge Balduzzi: reazioni, applicazioni,
interpretazioni, in Giur. it., 2014, p. 2065). Analogamente, si è osservato che la fattispecie
trova sul terreno della responsabilità in equipe il suo terreno elettivo di applicazione, e che
la colpa lieve potrebbe ricorrere, ad esempio, nel caso del «medico inesperto “abbandonato”
in sala operatoria dal primario» o nel caso dello «specialista che non riconosca, tra le pieghe
di una condotta prima facie rispettosa di linee guida e buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica, l'errore diagnostico di un collega dotato di diversa specializzazione».
In tal senso, Risicato, Linee guida e colpa“non lieve” del medico. Il caso delle attività in
équipe, in Giur. it., 2014, p. 2070. Cfr., inoltre, Bartoli, Ancora difficoltà a inquadrare i
presupposti applicativi della legge c.d. Balduzzi (nota a sent. Sez. IV, 29 ottobre 2015, n.
4468), in Dir. pen. proc., 2016, p. 642 ss. Per una lettura che valorizza i fattori soggettivi,
nettamente, da ultima, Pezzimenti, La responsabilità del medico tra linee guida e colpa “non
lieve”: un'analisi critica, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, pp. 343 ss.
(21) J. Reason, Human Error, Cambridge University Press, 1990; trad. it. L'errore umano,
EPC, 2014, p. 99.
(22) Questa posizione è molto netta in Manna, Medicina difensiva, cit., p. 186 ss.; Manna,
Causalità e colpa cit., pp. 1193 s. Contra, già Di Giovine, In difesa, cit., in part., p. 7 ss.
(23) In tal senso, tra gli altri, D'Alessandro, Contributi del diritto alla riduzione della
medicina difensiva, in Riv. it. med. leg., 2014, p. 935.
(24) È il fortunatissimo titolo dell'articolo di Piras, In culpa sine culpa. A proposito dell'art.
3 co. 1 l. 8 novembre 2012 n. 189 (linee guida, buone pratiche e colpa nell'attività medica,
in dirittopenalecontemporaneo.it, 26 novembre 2012).
(25) Brusco, Valutazioni critiche su alcuni aspetti della c.d. legge Balduzzi, cit., p. 744.
(26) Per tutti, Manna, Medicina difensiva, Pisa Univerity Press, 2014, p. 166 ss.; Manna,
Causalità e colpa in ambito medico fra diritto scritto e diritto vivente, in Riv. it. dir. e proc.
pen., 2014, p. 1197.Pezzimenti, La responsabilità del medico, cit., p. 348; 350 ritiene che la
disposizione in esame configuri una scusante legale. Spunti già in Pulitanò, Responsabilità
medica: letture e valutazioni divergenti del novum legislativo, in diritto penale
contemporaneo (riv. trim), 2013, 4, p. 85. Tale conclusione, comunque preferibile sul piano
della teoria a quella che esclude la tipicità, potrebbe incontrare un'obiezione nella mancata
specificazione dei presupposti operativi della fattispecie: il basso livello di tipizzazione
emerge con chiarezza anche dal raffronto con le altre figure analoghe previste a livello
legislativo, ispirate, al contrario, alla restrizione massima della discrezionalità interpretativa.
(27) Poli, Legge Balduzzi tra problemi aperti e possibili soluzioni interpretative: alcune
considerazioni, in Diritto penale contemporaneo (riv. trim.), 2013, p. 92; Di Landro, Le
novità normative, cit., p. 836.
(28) Piras, Culpa levis sine imperitia non excusat: il principio si ritrae e giunge la prima
assoluzione di legittimita' per la legge Balduzzi, in dirittopenalecontemporaneo.it, 24 aprile
2015, p. 6.
(29) Per tutti, Manna, Causalità e colpa in ambito medico fra diritto scritto e diritto vivente,
in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, pp. 1199 ss.
(30) Giustamente, Di Landro, Le novità normative, cit., p. 834.
(31) Brusco, Linee guida, protocolli e regole deontologiche. Le modifiche introdotte dalla
legge c.d. Balduzzi, in Diritto penale contemporaneo (riv. trim.), 2013, p. 53 ss.; ancora di
recente, cfr. inoltre Cupelli, La colpa lieve del medico, cit.
(32) Testualmente, Sez. IV, 6 giugno 2016, Denegri cit. Negli stessi termini, Sez. IV, ud. 15
aprile 2014 - 29 maggio 2014, n. 22281, Cavallaro, in C.E.D. Cass., n. 262273; Sez. IV, ud.
9 ottobre 2014 - 17 novembre 2014, n. 1858, Stefanetti, ivi, n. 260739. Il primo richiamo ai
fattori soggettivi è contenuto in Sez. IV, 29 gennaio 2013 - dep. 9 aprile 2013, n. 16237,
Cantore, in dirittopenalecontemporaneo.it, 11 aprile 2013, con osservazioni di Viganò,
Linee guida, sapere scientifico e responsabilità del medico in una importante sentenza della
Cassazione e note di Cupelli, I limiti di una codificazione terapeutica (a proposito di colpa
grave del medico di guardia e linee guida, 10 giugno 2013, nonché Roiati, Il ruolo del
sapere scientifico e l'individuazione della colpa lieve nel cono d'ombra della prescrizione, in
Diritto penale contemporaneo (riv. trim.), 2013, 4, p. 99 ss.
(33) Sez. IV, ud. 18 dicembre 2014 -21 maggio 2015, n. 2562, Pulcini, in C.E.D. Cass., n.
263493; Sez. V, ud. 13 novembre 2013 - 10 gennaio 2014, n. 2899, T.P.E., ivi, n. 258423;
Sez. IV, ud. 27 aprile 2015 - 25 giugno 2015, n. 939, Caldarazzo, ivi, n. 263826; Sez. IV,
ud. 8 luglio 2014 - 18 febbraio 2015 n. 7346, Sozzi, ivi, n. 262243 e in Riv. it. med. leg.,
2015, p. 636 ss., con nota di L. Maldonato, Lesioni personali colpose, attività chirurgica
d'équipe, colpa.
(34) Questo orientamento è stato inaugurato da Sez. IV, ud. 24 gennaio 2013 - 11 marzo
2013, n. 242, Pagano, in C.E.D. Cass., n. 254756; v. inoltre Sez. III, ud. 4 dicembre 2013 - 4
febbraio 2014, n. 5460, Grassini, ivi, n. 258846; Sez. IV, ud. 5 novembre 2013 - 5 maggio
2014, n. 1842, Loiotita, ivi, n. 261294; Sez. IV, ud. 8 luglio 2014 - 18 febbraio 2015, n.
7346, Sozzi, cit.; Sez. IV, ud. 20 marzo 2015 - 23 aprile 2015, n. 16944, Rota, ivi, n.
263389; Sez. IV, ud. 27 aprile 2015 - 25 giugno 2015, n. 939, Calderazzo, cit. V. inoltre
Sez. IV, ud. 15 ottobre 2013 - 22 novembre 2013, n. 46753, rel. Brusco, L.A. e N. F., in
Giur. it., 2014, p. 156 ss., con nota di Risicato, Colpa medica “lieve” e “grave” dopo la
legge Balduzzi: lo iato tra terapia ideale e reale come parametro di graduazione della
responsabilità del sanitario, p. 157 ss. Meno netta è la sentenza Sez. IV, ud. 8 luglio 2014 -
16 gennaio 2015, n. 1421, Anelli, in C.E.D. Cass., n. 261764. Il precedente Cantore (Sez.
IV, 29 gennaio 2013, cit.), pur sovente richiamato, si limita invece a definire l'imperizia
«terreno di elezione» della riforma. L'orientamento in discorso ha poi ricevuto l'avallo della
Corte costituzionale in una sentenza di rigetto per inammissibilità. C. cost., ord. 6 dicembre
2013, n. 295, est. Frigo, in penalecontemporaneo.it, 9 dicembre 2013, con osservazioni di
Gatta, Colpa medica e linee-guida: manifestamente inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 3 del decreto Balduzzi sollevata dal Tribunale di Milano.
(35) L'affermazione di siffatti principi è rinvenibile in Sez. IV, ud. 15 ottobre 2013 - 22
novembre 2013, n. 46753, rel. Brusco, L.A. e N. F., cit.; Sez. III, ud. 4 dicembre 2013 - 4
febbraio 2014, n. 5460, Grassini; Sez. IV, ud. 8 ottobre 2013 - 19 febbraio 2014, n. 7951;
Fiorito, in C.E.D. Cass., n. 259334.
(36) Seppur non perfettamente in termini, Sez. V, ud. 13 novembre 2013 - 10 gennaio 2014,
n. 660, T., in C.E.D. Cass., n. 258423; Sez. ud. 8 luglio 2014 - 16 gennaio 2015, n. 1421,
Anelli, cit.
(37) Sez. IV, ud. 11 maggio 2016 - 6 giugno 2016, n. 23283, Denegri, in
penalecontemporaneo.it, cit. già prima, Sez. IV, ud. 9 ottobre 2014 - 17 novembre 2014, n.
47289, Stefanetti, su cui Roiati, Prime aperture interpretative a fronte della supposta
limitazione della Balduzzi al solo profilo dell'imperizia, in Dir. pen. contemp. (riv. trim.),
2015, p. 231 ss.
(38) Cupelli, La colpa lieve, cit.
(39) Piras, La riforma della colpa medica nell'approvanda legge Gelli-Bianco, in
penalecontemporaneo.it, 25 marzo 2016.
(40) V. ad esempio Roiati, Prime aperture interpretative a fronte della supposta limitazione
della Balduzzi al solo profilo dell'imperizia, in Dir. pen. contemp. (riv. trim.), 1, 2015, p.
239.
(41) L'art. 5 del d.d.l. Gelli (Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste
dalle linee guida) recita: «1. Gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle
prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative e
riabilitative, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle buone pratiche clinico-
assistenziali e alle raccomandazioni previste dalle linee guida elaborate dalle società
scientifiche iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro
della salute, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge. Ai fini della presente legge, le linee guida sono inserite nel Sistema nazionale per le
linee guida (SNLG) e pubblicate nel sito internet dell'Istituto superiore di sanità».
(42) Sulle ricadute in chiave di indeterminatezza del precetto penale, per tutti, Risicato,
Colpa medica “lieve” e “grave” cit., p. 158 ss.
(43) V. per esempio Cupelli, La colpa lieve del medico tra imperizia, cit.; Brusco,
Informazioni statistiche, cit.
(44) Ho la sensazione che il ragionamento su riportato confonda il piano dell'antigiuridicità
(se la regola è vincolante ed è stata osservata può tradursi in un dovere/diritto) con quello
della colpa, e che sia forse suggerito dal parallelismo con la colpa per violazione delle
norme del codice della strada. Esso però perde forza se si pensa che tra le regole rilevanti ai
fini della colpa specifica rientrano le discipline (e le GL sarebbero appunto tali). Soprattutto,
evapora ponendo mente all'unitarietà della categoria della colpa e al fatto che nella colpa
generica le cautele di natura sociale sono tutto fuorché obbligatorie.
(45) Insiste ora giustamente su questo profilo Pezzimenti, La responsabilità del medico, cit,
p. 331 ss., la quale precisa, altrettanto condivisibilmente, che ciò non toglie che la cautela
possa avere natura elastica ed aggiunge – non si pensava ve ne fosse bisogno – che il
giudizio sulla colpa specifica non esaurisce l'ambito valutativo della colpa, ben potendo
sempre residuare l'apprezzamento di una eventuale colpa generica.
(46) Nel contesto di una riflessione più generale, vd. Piergallini, Autonormazione e
controllo penale, in Dir. pen. proc., 2015, p. 264, il quale è tra i pochissimi ad aver espresso
apprezzamento per la riforma.
(47) Del 2006 è inoltre “Sicurezza dei pazienti e la gestione del rischio clinico. Manuale per
la formazione del personale sanitario”, Ministero della salute.
(48) Con riferimento alla sicurezza, Reason, Errore Umano, cit., p. 240.
(49) “To err is Human” è anche il titolo del famoso rapporto dell'Institute of Medicine della
National Academy of Science, del 1999.
(50) Gawande, Check list, Einaudi, 2011 (or. 2009).
(51) Un percorso in questa direzione era stato già avviato dalla legge di stabilità per il 2016,
ma in modo decisamente contraddittorio. Infatti, nonostante il comma 538 della l. 28
dicembre 2015, n. 208 declami con enfasi che «La realizzazione delle attività di
prevenzione e gestione del rischio sanitario rappresenta un interesse primario del Sistema
sanitario nazionale perché consente maggiore appropriatezza nell'utilizzo delle risorse
disponibili e garantisce la tutela del paziente», nel comma successivo si trova sancito che
«Ai verbali e agli atti conseguenti all'attività di gestione aziendale del rischio clinico, svolta
in occasione del verificarsi di un evento avverso, si applica l'articolo 220 delle norme di
attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale», così legittimando
l'apprensione dei risultati degli audit nel corso delle attività investigative del pubblico
ministero. La vicenda normativa illustra emblematicamente come prevenzione e repressione
siano in un rapporto di aut aut e richiama l'attenzione sulla necessità di chiarire se per lo
Stato la priorità sia l'intervento ex ante o quello ex post factum.
(52) V. Panti, Il ddl sulla responsabilità professionale del eprsonale sanitario: il punto di
vista del medico, in Dir. pen. proc., 2016, n. 3, p. 374 ss.
(53) Sez. II, ud. 9 luglio 2010 - dep. 21 luglio 2010, n. 28699, Vielmo, in questa rivista,
2011, p. 1888 ss., con nota di Di Giovine, Sanità ed ambito applicativo della disciplina sulla
responsabilità degli enti. Alcune riflessioni sui confini tra pubblico e privato. L'ostacolo
della natura “pubblica” dell'ente fu allora risolto notando che lo stesso era costituto in forma
di società per azioni, le quali per natura mirano al profitto privato.
(54) Sulle caratteristiche delle cautele nel sistema di autonormazione della 231, per tutti,
Piergallini, I modelli organizzativi, in Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli
enti,2a ed., Giuffrè, 2010, p. 185-187.
(55) Sarebbe scontato sottolineare che la condanna di un ospedale pubblico potrebbe
comportare, oltre alle pene pecuniarie, divieti di contrarre con la pubblica amministrazione,
interdizione ed in ipotesi il commissariamento dell'ente, con evidenti ricadute negative
sull'assicurazione delle prestazioni mediche fondamentali e quindi sulla collettività stessa.
(56) Alludo al meritorio tentativo della dottrina di esportare in questo ambito la c.d.
giustizia conciliativa (vd. Forti - Catino - D'Alessandro - Mazzuccato - Varraso (a cura di),
Il problema della medicina difensiva, cit., p. 84 ss.; D'Alessandro, Contributi del diritto alla
riduzione della medicina difensiva, in Riv. it. med. leg., 2014, n. 3, p. 927 ss.). Sul versante
civilistico, vd. il tentativo obbligatorio di conciazione di cui all'art. 8 del d.d.l. Gelli.
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