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SOCIOLOGIA MILITARE
GESTIRE LA DIVERSITÀ. ADATTAMENTO CULTURALE E FORMAZIONE PERLE MISSIONI DIVERSE DALLA GUERRA
Le PSO sono state riconosciute come missioni di pace con gradi di rischio variabili e più bassirispetto alle operazioni WAR, ma con un alto livello di stress per truppe e comandanti. I fattori di
stress variano da operazione ad operazione, pur essendo molto simili tra di loro, ed il loro insieme
può essere definito DIVERSITA’. Si possono definire molti tipi di diversità, ognuno dei quali
evidenzia uno specifico tipo di stress.
Ogni diversità infatti mette in evidenza uno specifico comportamento adattativo, e le “lessons
learned” che da esso possono derivare permettono di individuare idonee abilità e competenze
specifiche. Questo comporta una certa flessibilità, con la quale si potrebbe dire “flessibilità per far
fronte alla diversità culturale”.
LIVELLI DI DIVERSITA’ Ognuno di essi è associato ad uno specifico tipo di cultura ed una diversa struttura culturale con
una precisa tipologia di abilità. Le difficoltà degli Ufficiali sono legate proprio alla loro diversità
nella cultura militare e nell’istruzione formale che li caratterizza.
1. Diversità nella natura della missione militare: Questa prima categoria di diversità è
relativa al livello più generale, dove la definizione stessa della funzione militare è
fortemente messa in discussione. Per la sociologia militare la ripetuta e crescente
esperienza in missioni non convenzionali, per le FF.AA. di molti paesi, ha significato una
vera sfida alla definizione stessa del mestiere delle armi. Nelle MOOTW, in America, sono
state così inserite anche le operazioni di peacekeeping e di aiuto umanitario, che Janowitzdefinirebbe come di tipo “constabulary”.Il bisogno di qualcosa di diverso nella conoscenza
e nella capacità è avvertito sia per quanto concerne la formazione degli ufficiali, inferiori e
superiori, sia per i sottufficiali, fino ai livelli più bassi della catena di comando, enfatizzando
il concetto di iniziativa dal basso verso l’alto e di relativa autonomia dei livelli gerarchici più
bassi. Quando sia l’etica che la competenza di un gruppo professionale sono messi in
discussione, allora qualcosa di rilevante sta cambiando o è già cambiato. Una specie di
nuovo paradigma sotto cui considerare il ruolo dell’esercito professionale ha così dato vita
ad un nuovo tipo di soldato, il peacekeeper militare.
Uno studio su questa “nuova” figura venne già fatto da Moskos nel 1976 , basandosi
sul contingente ONU a Cipro: Moskos ha esplorato gli atteggiamenti verso il cambiamento
dal mestiere del soldato a quello del peacekeeper con interviste ad ufficiali di più paesi,
ricevendone l’idea per la quale la professione militare era conforme anche ai nuovi
obiettivi richiesti dalle missioni di peacekeeping: è stato così confermato il detto per il
quale “il peacekeeping non è un mestiere da soldato, ma solo un soldato può farlo”. Una
domanda ancora oggi valida non è se il nuovo ufficiale debba trasformarsi in peacekeeper,
abbandonando il modello del leader eroico, ma se esso possa includere il ruolo del
peacekeeper nella gamma degli obiettivi professionali richiesti dalla situazione geopolitica
internazionale. Le nuove missioni hanno infatti portato ad un inevitabile cambiamento
nell’ideal-tipo dell’ufficiale professionista. Questo cambiamento non vuol però dire il totale
abbandono del modello convenzionale del soldato come combattente.
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La cultura professionale militare conserva le sue caratteristiche più tradizionali, dal
momento che lo scopo primario delle FF.AA. è sempre quello di prepararsi ad un’eventuale
guerra (una società senza guerre appare ancor oggi quasi utopistica); è comunque evidente
che la cultura del peacekeeping è giunta ad un preciso status sia nelle società civili che
nelle stesse FF.AA. Queste perciò devono far fronte a tensioni interne e contraddizioni tra
due culture, quella del guerriero e quella del peacekeeper. Questa diversità fondamentalenon si può evitare, dato che non può essere superata riducendola all’una o all’altra faccia
della medaglia.
2. Diversità nelle PSO in quanto tali : Le PSO, al loro interno, includono una vasta gamma di
tipologie di interventi, dal peace-enforcement ad operazioni di tipo “constabulary” come il
mantenimento dell’ordine pubblico e l’aiuto umanitario. Tale diversità si ripercuote sul
ruolo e sulle prestazioni delle FF.AA., perché vuol dire che ai soldati può venir chiesto di
operare in differenti scenari operativi ma soprattutto per il fatto che una singola missione
non è sempre classificabile interamente in una specifica categoria, e può comunque
sempre cambiare. Questo principio è fonte di stress e difficoltà per una mentalità militare,più a proprio agio con obiettivi chiari e definiti come quelli di una classica operazione war.
3. Diversità per quel che riguarda incertezza ed imprevedibilità : Riguarda l’incertezza che
deve essere data ad una missione sulla propria efficacia, momento di termine, utilità per la
propria carriera militare e per la competenza professionale dei singoli partecipanti. Da
ricordare anche la varietà di reazioni possibili all’intervento militare da parte dell’opinione
pubblica su obiettivi e ragioni dell’intervento.
4. Diversità nelle forze multinazionali schierate: Il fatto che le unità spesso sono composteda vari contingenti militari di diversa nazionalità è una delle principali caratteristiche
distintive dell’uso corrente nelle PSO. Questo comporta un alto livello di interculturalismo
tra unità, dal momento che nazioni diverse possono essere legate a differenti culture.
Diversità significa anche regole, equipaggiamenti, risorse, linguaggio e caratteristiche
organizzative diverse, che portano ad esaltare l’importanza della reciproca cooperazione.
5. Diversità nell’ambito del teatro operativo: Nelle PSO le forze militari non agiscono da sole,
essendo molti e variegati gli attori presenti, ognuno dei quali dotato di un ruolo preciso e
specifico. Questi attori non sono solamente militari di altri eserciti, ma anche e soprattutto
civili come popolazione, autorità politiche locali, funzionari di agenzie internazionali e
membri di ONG, senza scordare il ruolo dei media. Le FF.AA. devono cooperare con alcuni
di questi attori, contrastandone altri cercando di rimanere neutrali per evitare tensioni e
conflitti sul campo. In un teatro del genere la forza della differenziazione culturale è molto
evidente.
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TIPOLOGIE DI FATTORI DI STRESS NELLE PSO
1. Tensioni e difficoltà sollevate dalla diversità per quel che riguarda la missione in sé: Nelle
operazioni dove prevale il ruolo delle forze dell’ordine, vengono meno molti elementi di
una normale operazione militare, come un nemico facilmente individuabile ed un target da
raggiungere chiaro e preciso, fattori che permettono una definizione della prestazione e
l’esecuzione efficace di quest’ultima. Anche il livello di rischio non è facilmenteindividuabile, essendo talvolta più nascosto ed improvviso che palese e conosciuto.
2. Tensioni e difficoltà sollevate dalla diversità delle PSO come tali : L’ambiguità delle PSO
origina stress, dato che aiuta a mantenere un senso di precarietà. L’esperienza di una
missione può non tornare utile in un’altra, può cambiare il modo di rapportarsi con i civili e
tante altre cose: tutto ciò contribuisce a creare la sensazione di una situazione incerta ed
indefinita. Il mutare delle ROE, inoltre, può aggiungere un senso di personale insicurezza
e/o incertezza per il corretto modo con cui reagire alle minacce.
3. Tensioni e difficoltà sollevate dalla diversità per quel che riguarda incertezza ed imprevedibilità: Questo livelli mette in discussione i fattori motivazionali.
L’indeterminatezza è riferita al significato della missione, alla percezione della sua efficacia,
alla sensazione di sprecare tempo e competenza professionale per qualcosa la cui
legittimazione è incerta o discutibile. Quest’ultima può essere minata anche da una scarsa
prestazione o da una mancanza di successo. Noia e perdita di senso della missione,
incertezza generalizzata circa il risultato sono fattori di stress ben identificati nell’analisi
delle PSO, e che toccano coesione e prestazione delle FF.AA. L’addestramento militare
convenzionale fa affidamento sulle azioni e sul risultato delle azioni per misurare la
prestazione e sostenere la motivazione dei militari. In un “expert survey” condotto sugliufficiali con esperienza nelle PSO sono stati individuati più fattori di stress. Alla domanda
“Nel caso lei avesse dovuto affrontare delle difficoltà nel gestire lo stress psicologico dei
suoi soldati causato da elementi legati alla missione, di quali fattori si trattava? ”, le
risposte più frequenti e rilevanti hanno riguardato l’incertezza, l’ambiguità della missione,
l’adattamento, il rischio della vita, le restrizioni di movimento, la noia, le varie privazioni e
la lunghezza del periodo della missione. Componenti principali dei fattori di stress sono
nostalgia, inefficacia della missione e risentimento: la prima riguarda un sentimento
latente fatto di mancanza di casa, solitudine e noia, la seconda è collegata alla personale
valutazione dell’essenza della missione e dei suoi scopi e risultati, indicati come
“incertezza”, “ambiguità della missione” ed “inefficacia della missione”, mentre l’ultima èun sentimento riguardante la “mancanza di rispetto da parte del governo e dell’appoggio
dell’opinione pubblica” ed è legata alla mancanza di riconoscimento da parte dei media e
della “privazione relativa” (percezione di differenze varie tra contingenti). La missione può essere soggetta a cambiamenti od avere finalità che appaiono
irrealizzabili, e ricevere critiche e lamentele sulla sua validità da parte dei civili in patria. In
tale modo una certa demoralizzazione può prendere il sopravvento e portare ad una
condotta scadente. Possono essere presenti facili tentazioni, e l’incertezza nasce anche
dalla cronaca giornalistica dato che in genere i giornalisti trattano in modo ampio solo le
prime fasi delle operazioni.
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4. Tensioni e difficoltà sollevate dalla diversità all’interno delle forze multinazionali
impiegate: Ci si potrebbe qui aspettare una specie di “shock culturale”, e che le difficoltà
sollevate dalle relazioni con i membri delle altre unità di nazionalità e lingua differenti
possano incidere sulla prestazione e dar vita anche al sentimento di “privazione relativa”,
cioè la percezione di un ingiusta differenza tra i vari contingenti. In realtà le difficoltà
riscontrate sono meno rilevanti di quelle che ci si potrebbe aspettare: solo il 38% delcampione degli ufficiali dichiara difficoltà e problemi nelle relazioni interpersonali con
colleghi di altri contingenti. Gli ufficiali inferiori indicano rapporti problematici meno
frequentemente rispetto a quelli superiori. I principali problemi riferiti sono relativi alla
lingua, al contrasto di lealtà (NATO, ONU, …), differenze culturali, divergenze
nell’interpretazione della missione, preparazione professionale e codici etici differenti. Queste difficoltà nascono dalla generale diversità culturale e dalla diversità nella cultura
militare.
5. Tensioni e difficoltà sollevate dalla diversità nel teatro d’operazioni : Questo è il punto in
cui si può manifestare un vero e proprio shock culturale. I diversi orientamenti delle FF.AA.verso le PSO possono influenzare la percezione delle difficoltà che nascono dalla varietà
degli attori, la maggior parte dei quali civili, attivi nel teatro delle operazioni. Ovunque
sono state riscontrate difficoltà con i civili, soprattutto dagli ufficiali di Russia e Sud Africa
(90%) e meno da quelli di Italia, Francia e Bulgaria (54 e 58%). Una spiegazione è forse il
mix di missioni, dal momento che gli ufficiali di Russia e Sud Africa sono stati impiegati
maggiormente in operazioni di tipo constabulary, cosa che spesso significa avere a che fare
con problemi di ordine pubblico, e in missioni umanitarie. Gli ufficiali di Italia, Francia e
Bulgaria hanno avuto esperienze in gran parte di PSO dove i contatti con i civili possono
essere di variabile natura, e non includere necessariamente posizioni reciprocamente
conflittuali. E’ un dato di fatto che dove le operazioni di pulizia e le missioni umanitariesono maggiormente presenti, vi è anche una più ampia attenzione circa le difficoltà con i
civili, probabilmente dovuta al fatto che questi due ultimi tipi di missioni implicano
inevitabili e molto differenziate relazioni con i civili. Alcune missioni, complessivamente, sono più vicine ad operazioni WAR classiche che ad
operazioni di polizia od umanitarie, e per esse è stato proposto il termine di peacekeepingstrategico, una via di mezzo tra il peacekeeping classico ed il peace-enforcement. Le
difficoltà quindi possono diventare più evidenti man mano che la distanza tra il contesto
della guerra ed i contesti diversi dalla guerra diventa più ampia. Le difficoltà con i civili
aumentano anche con il salire del grado: dal 60% dei tenenti, infatti, si arriva all’87% dei
colonnelli. Ciò è dovuto al fatto che il personale ai livelli più bassi, collocato a contattodiretto con la situazione reale, sembra saper affrontare il proprio ambiente diretto con
minori difficoltà rispetto ai livelli superiori, e questo costituisce un fattore di efficienza. Tra
gli attori civili percepiti come maggior fonte di stress vi sono la popolazione civile, le
autorità locali e le varie fazioni in lotta.
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LEGAME TRA CULTURA MILITARE, DIFFICOLTA’ TRANSCULTURALI ED ESPERIENZA DI MISSIONI Già una quarantina di anni fa Janowitz propose la distinzione tra il LEADER EROICO ed il MANAGER
MILITARE, anche con la definizione delle forze “constabulary” ed il ruolo constabulary delle FF.AA.,
ha fatto notare che il compito del manager militare era di bilanciare i ruoli di tecnici ed eroi. Una
prima proposizione teorica può derivare da un’ipotesi concernente le relazioni tra attori civili e
personale militare.La cultura militare nelle PSO è in grado di influenzare, tra gli altri aspetti, la capacità degli ufficiali
di far fronte alle responsabilità ed alle aspettative provenienti da un ambiente complesso e spesso
incerto, composto da tanti e diversi attori non militari presenti sul teatro operativo. Vengono
quindi formulate più opzioni:
A) Stabilisce che gli ufficiali che mostrano un orientamento professionale più incline al tipo del
“warrior” o più incline al tipo di “peacekeeper” manifestano reazioni diverse di fronte alla
varietà di aspettative provenienti dalle situazioni incontrate nei teatri delle PSO; in
particolare, i “guerrieri” potrebbero trovare maggiori difficoltà nell’aver a che fare con la
diversità e con un ambiente turbolento, mentre i “peacekeeper” potrebbero sentirsi più a
loro agio con la flessibilità e con rapporti cooperativi e non gerarchici.B) Afferma che la percezione di difficoltà con i civili può essere condizionata dall’esperienza
delle missioni, sia in termini di LUNGHEZZA DI IMPIEGO (quanto lunga è l’esperienza di
dispiegamento nelle PSO) sia in termini di VARIETA’ DI MISSIONI (quanto diversificata è
l’esperienza in queste missioni, di supporto alla pace e/o operazioni di tipo constabulary
e/o missioni umanitarie). L’esperienza acquisita nelle PSO può avere un impatto sulla
cultura militare: la cultura, infatti, consiste in una creazione continua, ed anche la cultura
militare è soggetta a cambiamenti, in particolare in base alle condizioni mutevoli ed alle
esperienze dei teatri dove le forze militari vengono inviate ad operare.
C) Ha a che vedere con le lezioni apprese e con quella particolare caratteristica delle
organizzazioni militari che ne fa un tipo di LEARNING ORGANISATION, dove la gestionedella conoscenza gioca un ruolo cruciale. Ciò significa che “warriors” e “peacekeepers”
possono essere il risultato del TIPO e del TEMPO di impiego sperimentato dagli ufficiali.
Lunghezza e varietà possono interagire, così da formare ufficiali con un tempo di impiego
breve/lungo e con una diversità di missione bassa/alta. Le ricerche hanno dimostrato
inoltre l’esistenza di un terzo tipo, definito come ufficiale “FLESSIBILE”, che è la prova
empirica di quel tipo di soldato “flessibile” che deve cavarsela con qualcosa che “non è un
compito da soldato, ma che solo un soldato è in grado di fare”. Secondo questo schema
teorico, l’orientamento culturale può essere considerato come variabile strutturale ed
indipendente, in grado di spiegare la capacità degli ufficiali di far fronte all’incertezza ed
alla turbolenza di un ambiente diverso dalla guerra. Si può considerare anche da un puntodi vista dinamico, come il frutto di una continua creazione, mutevole ed in grado di
adattarsi a seconda delle nuove esperienze. Gli ideal-tipi culturali influenzano l’abilità degli
ufficiali nel trattare con gli attori civili, ma questi tipi ideali sono anche influenzati
dall’esperienza man mano accumulata dagli ufficiali. Potendo considerare verificata questa
proposizione, potremmo dire che la formazione e l’addestramento per le PSO dovrebbero
includere un orientamento positivo volto a cambiare la cultura militare in modo da
migliorare e sostenere quelle caratteristiche culturali che hanno dimostrato di influenzare
positivamente l’abilità relazionale degli ufficiali per far fronte alla diversità tra le culture.
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GUERRIERO PEACEKEEPERDisciplina Determinazione
Essere pronto all’azione Empatia
Decisione Expertise
Leadership Capacità di socializzare
Obbedienza Spirito e abilità cooperativi
Capacità di sopportare stress fisici Forza mentale
Patriottismo Buona formazione generale
Prontezza al sacrificio Apertura mentale
Lealtà al potere civile Senso di responsabilità
Le PSO NON sono una componente naturale del
ruolo del soldato
Le PSO SONO una componente naturale del
ruolo del soldato
LUNGHEZZA DELL’IMPIEGO E VARIETA’ DELL’ESPERIENZA IN MISSIONI DIVERSE DALLA GUERRA:
DUE POSSIBILI VIE DI INTERPRETAZIONE
L’esperienza accumulata nel corso delle missioni e la lunghezza dell’impiego sono altri due
caratteri le cui modalità variano tra i diversi campioni nazionali. Gli ufficiali provenienti dai diversi
paesi differiscono molto a seconda che si tratti di neofiti o di veterani ed anche in base ad unabassa od alta varietà di esperienza. Allo scopo di ridurre il raggio di varianza, si sono ridotte
entrambe le variabili a due modalità, bassa e alta, e mediante il loro incrocio sono stati ottenuti
quattro sottogruppi di rispondenti. Solo il 18% può essere considerato il gruppo dei “veri
veterani”, che totalizzano un livello alto sulle dimensioni sia della lunghezza sia della varietà.
Queste due variabili potrebbero influenzare la percezione che gli ufficiali hanno circa le relazioni
sociali.
Varietà di esperienzeLunghezza di impiego
BASSA ALTA
BASSA 31% 42%ALTA 9% 18%
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Le due variabili hanno un’influenza sulle relazioni degli ufficiali con i civili, ma nel senso opposto: le
difficoltà tendono a crescere con la lunghezza dell’impiego ed anche la varietà dell’esperienza può
diminuire il numero di quelle difficoltà in cui c i si imbatte solamente quando essa è “alta”; ma
quest’ultimo dato ci dà una possibilità di ammettere che una grande varietà di esperienze di
diverse operazioni non di guerra può fornire gli ufficiali di quella mente “flessibile” richiesta da una
situazione incerta.Il modello migliore sembra essere quello dell’ufficiale “flessibile”, che non è una figura di mezzo,
incapace di decidere su che cosa fare o che cosa essere, ma un professionista in grado di
combinare differenti qualità, alcune delle quali pertinenti al modello del “warrior”, qualcun’altra al
modello del “peacekeeper”, in modo da adattare la propria prestazione alle incerte e variabili
richieste che provengono da un ambiente turbolento come spesso è il caso per le missioni diverse
dalla guerra.
COMMENTI E VALUTAZIONI SULLE NUOVE COMPETENZE RICHIESTE DALLE OPERAZIONIDIVERSEDALLA GUERRA
La diversità è stata scelta come l’elemento chiave per definire il genere di situazione che ilpersonale militare si trova ad affrontare nelle operazioni non convenzionali. Il problema principale,
per soldati ed ufficiali, è far fronte ad un’ampia varietà di aspettative, provenienti da molteplici
“altri” differenziati (sia civili che militari) che sorgono dalle tante e diverse situazioni con cui deve
trattare il personale militare. Questa varietà è avvertita come più o meno problematica nella
misura in cui ogni attore, in ogni situazione, si fa portatore di una specifica cultura, cioè con valori
e norme ed anche interessi più o meno in contrasto tra di loro.
ATTORI NEL CONTESTO: riguarda la popolazione civile, le autorità locali e le fazioni in lotta,
che fanno tutti parte della situazione per cui la missione è stata decisa. La popolazione
spesso gioca, se non sempre, il ruolo della “vittima” che deve essere “salvata, aiutata e
protetta” dai peacekeeper; essa mantiene tuttavia relazioni ambigue con le fazioni in armie quest’ambiguità è anche presente nelle sue relazioni con le autorità locali, d’altra parte le
autorità locali e le fazioni in lotta hanno obiettivi specifici e tendono a sfruttare in maniera
opportunistica la presenza delle forze di pace. Se si aggiungono una lingua diversa e
differenze culturali generali, è evidente che la maggior parte dei problemi relazionali si
realizza in questo ambito.
ATTORI ORIENTATI VERSO IL CONTESTO: tutti coloro che giocano direttamente il ruolo di
“peacekeeper”: rappresentanti e funzionari delle agenzie internazionali, membri delle
organizzazioni non governative, le stesse forze militari. Tutti costoro sono impegnati ad
agire per dirimere la situazione conflittuale o drammatica in cui sono stati coinvolti.
Dovrebbero avere sostanzialmente obiettivi comuni e la loro interazione dovrebbe darluogo a qualche tipo di soluzione al problema.
Le agenzie internazionali sono solitamente organizzazioni burocratiche i cui rappresentanti
agiscono come membri di una organizzazione, seguendo norme e pratiche in accordo con
una ben stabilita e particolare cultura organizzativa. Non differiscono dalle FF.AA. per i
modelli burocratici, ma per gli intenti ed i valori interni.
Altro problema è il rapporto con le ONG. Le FF.AA. sono un’istituzione, mentre
un’organizzazione non governativa è un “movimento”, caratterizzata da impegno di tipo
normativo ma su base individuale e volontaria.
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MASS MEDIA: Sono il nuovo vero protagonista sul teatro delle missioni diverse dalla
guerra, dal momento che il loro ruolo ed i loro obiettivi sono sensibilmente divergenti
rispetto a quelli di ogni altro tipo di attore sulla scena. Questi ultimi devono FARE
QUALCOSA, mente i media devono RIFERIRE QUALCOSA. Nella società dei media solamente
ciò di cui si parla, cioè ciò che è coperto dai media, esiste realmente. Nelle operazioni
militari diverse dalla guerra la storia inizia non appena arrivano i media e la storia finisce
quando i media se ne vanno. L’atteggiamento dell’istituzione militare verso i media è
quindi APPRENSIVO, l’atteggiamento della stampa è DISTANTE, il controllo militare sui
media è BASSO ed i media percepiscono di essere corteggiati dalle FF.AA. Le difficoltà con i
media sono state segnalate dal 17% degli interessati, mentre i principali tipi di difficoltà
sono imputati ad una differente mentalità e ad una certa “slealtà e malafede”. Più i
rapporti tra FF.AA. e società sono democratici e più i tipici strumenti di una democrazia
sono accettati e dati per scontati dalle FF.AA. stesse, più le relazioni con i mezzi e con gli
operatori della comunicazione diventano meno problematiche. La capacità di gestire le
relazioni con i mass media sta diventando una tra le qualità maggiormente richieste per gli
ufficiali impegnati nelle operazioni diverse dalla guerra.Ci si può quindi chiedere se c’è una possibilità che la prospettiva del guerriero o del peacekeeper o
del flessibile sia influenzata dall’esperienza reale di queste missioni non convenzionali, e se sia
plausibile parlare di un processo di adattamento o di formazione. La lunghezza dell’impiego è in
grado di influenzare almeno la struttura culturale degli ufficiali: uno spostamento dalla prospettiva
dell’ufficiale guerriero a quella dell’ufficiale flessibile o a quella del peacekeeper sembra andare
lungo la stessa direzione di una crescente e prolungata esperienza di operazioni diverse dalla
guerra. L’esperienza acquisita in questo tipo di missioni è in grado di incidere sull’ideal -tipo
militare, dando luogo a modelli di “buon ufficiale” più flessibili ed adattabili alla situazione.
Il modello migliore sembra quindi essere quello dell’ufficiale flessibile, che non è una figura di
mezzo, incapace di decidere su che cosa fare o che cosa essere, ma un professionista in grado dicombinare le differenti qualità pertinenti all’uno e all’altro modello, in modo da adattare la
propria prestazione all’incertezza ed alla variabilità ambientale degli scenari diversi dalla guerra.
LE NUOVE ABILITA’ RICHIESTE PER GESTIRE LA DIVERSITA’
1. Diversità per quel che riguarda la missione militare stessa: Secondo Janowitz, con la
trasformazione della professionalità militare nel modello constabulary il moderno soldato
professionista deve essere in grado di trovare un equilibrio efficiente tra un certo numerodi ruoli diversi, e deve sviluppare abilità ed orientamenti più comunemente presenti nel
manager civile. Il problema della preparazione del personale militare era descritto come
esigenza di inglobare nel profilo della carriera una più ampia cultura generale per i leader
militari ed una maggior specializzazione scientifica per i tecnici militari. La carriera
dovrebbe rendere il soldato professionista sensibile alle conseguenze politiche e sociali
dell’azione militare. Nell’ambito del modello constabulary, un professionista militare
versatile sia negli affari politici sia in quelli militari rappresenta un’esigenza di
fondamentale importanza.
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2. Diversità per quel che riguarda le missioni diverse dalla guerra come tali : Le capacità
richieste a questo livello riguardano la capacità di adattarsi al cambiamento e di accettare
una gamma variabile di incertezza. Una bassa od alta capacità di affrontare l’incertezza e
l’ignoto è, in generale, culturalmente determinata. La cultura militare ha in generale una
forte tendenza ad evitare l’incertezza, essendo molto più incline a seguire regole precise e
muoversi lungo catene di azioni ben definite e prevedibili. Una capacità nuova significasaper cambiare quest’orientamento da un sistema rigido ad uno flessibile.
3. Diversità per quel che riguarda incertezza ed imprevedibilità: accanto alla capacità di
affrontare l’incertezza, si richiede una speciale combinazione nel garantire motivazioni e
senso della missione da parte dei comandanti ai livelli più bassi, così come a quelli più
elevati. La comprensione delle ragioni generali e della legittimità di ogni missione è di
cruciale importanza. L’ufficiale flessibile è un attore consapevole e ben informato circa il
contesto della sua azione.
4. Diversità per quel che riguarda le forze multinazionali impiegate: diverse nazionalità e
culture militari devono cooperare, e regole e risorse diverse sono messe a confronto. La
nuova abilità è la capacità di formulare un pensiero di gruppo ed un orientamento di tipo
cooperativo. E’ forse la diversità più facile da superare, in quanto le culture militari sono si
diverse ma hanno molti aspetti in comune.
5. Diversità per quel che riguarda il teatro operativo : la cultura militare influenza la capacità
di affrontare uno scenario incerto e differenziato dove molti e diversi attori sono presenti,
specie quando questi sono dei civili; inoltre la cultura militare è influenzata dal mix di
esperienze acquisite dagli ufficiali ed è spinta a trasformarsi in un insieme in cui prevale un
modello misto, flessibile o definitivamente di peacekeeper (cercando però di non eliminare
i tratti tipici del guerriero). Il risultato dovrebbe essere un tipo di ufficiale capace di far
ricorso a più di un modello, così da comprendere e comportarsi in modo adeguato negli
ambienti altamente incerti e spesso ambigui dove di solito hanno luogo le operazioni
militari diverse dalla guerra.
IL RUOLO DELLA CONOSCENZA NELLA CATENA CAUSALE TRA CULTURA MILITARE E DIFFICOLTA’
TRANSCULTURALI L’esperienza accumulata nel corso delle missioni ha dimostrato avere un impatto cruciale sulla
capacità di definire la propria situazione e le sue problematiche. Il tipo di cultura militare appare
possedere un potere discriminatorio riguardo all’abilità di far fronte alla diversità culturale, nel
senso che ufficiali di tipo “peacekeeper” o “flessibile” si trovano molto più a proprio agio dei
“guerrieri” per quel che riguarda la situazione sul campo. La cultura militare è allo stesso tempo
stabile e dinamica: viene appresa come un insieme strutturato e fisso, ma in realtà si adatta e
cambia costantemente a seconda dell’esperienza sociale dell’attore. Le diverse culture militari
sono quindi il risultato di un sistema di istruzione formale e strutturato che gioca il suo ruolo
istituzionale di trasmissione culturale e di socializzazione, ma sono anche il risultato del continuo
processo di adattamento e ridefinizione che deriva dall’esperienza tangibile e dall’interazione
sociale in genere.
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La CULTURA MILITARE permette di
affrontare la DIVERSITA’
TRANSCULTURALE con più o meno
successo (A). La percezione delle
DIVERSITA’ TRANSCULTURALE varia
in base all’ESPERIENZA DI MISSIONEe origina le LEZIONI APPRESE (B).
Queste hanno effetto sullu
CULTURA MILITARE, provocandone
un aggiustamento (C). Ma la
CULTURA MILITARE è anche
determinata dall’ISTRUZIONE
FORMALE e dall’ADDESTRAMENTO
(D), su cui le LEZIONI APPRESE
possono portare adattamenti e
cambiamenti (E).
I CAMPI DI FORMAZIONE DA MIGLIORAREE’ possibile individuare quali campi della formazione dovrebbero essere meglio adeguati alle
esigenze, soprattutto nel periodo solitamente piuttosto lungo occupato dalla formazione militare
di base, svolta normalmente nelle Accademie.
Tematiche Preparazione insufficiente Preparazione sufficiente
lingue straniere 36.2% 63.8%
diritto internazionale 29.2% 70.8%
relazioni internazionali 21.7% 78.3%
logistica 20.6% 79.4%relazioni 19.6% 80.4%
management crossculturale 19.0% 81.0%
storia 18.0% 82.0%
gestione amministrativa 15.7% 84.3%
COM’E’ POSSIBILE LA FLESSIBILITA’? Il quadro condotto fin qui può sembrare alquanto multiforme. Si tratta comunque di una
situazione che non riguarda solo le FF.AA.: da tempo le imprese transnazionali, e prima ancora
quelle multinazionali, hanno dovuto confrontarsi con la diversità culturale sotto molti aspetti, ed
hanno sperimentato le problematiche del CULTURAL SHOCK, come pure la necessità di mantenerestandard comportamentali relativamente coerenti. Ora si è giunti all’istituzione della Laurea
triennale e della Laurea specialistica in scienze strategiche modellate sulle esigenze dell’ufficiale
delle diverse armi. Ad un personale così formato devono però corrispondere assetti organizzativi
adeguati, ed allora il cambiamento riguarda non solo gli individui ma le strutture entro le quali essi
devono operare ed i processi in cui si trovano coinvolti. Non solo il soldato, dunque, ma anche
l’organizzazione militare deve diventare “flessibile”.
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DIVERSITÀ, CULTURE MILITARI, DIFFICOLTÀ E NUOVE ABILITÀ PER LE OPERAZIONI MILITARIDIVERSE DALLA GUERRA
Livelli didiversità
Diversitàculturale
Culturamilitare
prevalente
Difficoltàincontrate
Abilitàrichieste
Campiformativi
Missionemilitare
Contesto WAR o
contesto CROs
Guerriero o
peacekeeper
Due modelli di
ruolo opposti
Formazione e
sensibilità
politiche
Scienza politica.
Relazioni
internazionali.
Diritto
internazionale.
Storia
contemporanea
Entro lemissioni
diverse dalla
guerra
Molti e diversi tipi
di missione
Ambigua
(guerriero e
peacekeeper)
Ruoli sfumati.
Ambiguità di
ruolo
Accettazione
dell’incertezza.
Orientamento
flessibile
Gestione
dell’incertezza
Entro laspecificamissione
Livello di
incertezza e
prevedibilità
Flessibile per
adattarsi ad
un ambiente
turbolento
Rischio di crisi
motivazionale.
Scarsa
chiarezza su
scopi ed
efficacia della
missione
Comprensione
della missione
e leadership
motivazionale
Sociologia del
lavoro.
Sociologia
organizzativa.
Psicologia
sociale.
Gestione
risorse umane
Tra icontingentidella forza
multinazionale
Norme, valori,numero,
equipaggiamento,
culture militari
nazionali
Incontritransnazionali.
Cultura
cooperativa ed
adattabile
Comunicazione.Cooperazione.
Lealtà
contrastanti
Group
thinking.
Orientamentocooperativo.
Lavoro di
gruppo.
Orientamento
cosmopolita
Tecniche dellacomunicazione.
Addestramento
al lavoro di
gruppo
Nel contesto
del teatrooperativo
Varietà culturaledegli attori civili
Relazioni
transculturali,
orientamento
aperto capacedi minimizzare
lo shock
culturale
Comunicazione.
Comprensione
della distanzaculturale.
Comportamenti
opportunistici
Management
cross culturale.
Capacità di
risolvere
conflitti diruolo.
Accettazione
del relativismo
culturale
Tecniche di
management
cross culturale.
Sociologia.
Antropologia
culturale.Tecniche di
problem-
solving e
decision-
making
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SOCIOLOGIA MILITARE
CULTURA ED ETICA MILITARE NELLE FF.AA. CANADESI IN MISSIONI DI PACE
INTRODUZIONE
Le organizzazioni militari sono strutture per il coordinamento delle attività volte ad assicurare lavittoria sul campo di battaglia. Nonostante il diffuso impegno odierno nelle PSO, il loro proposito
principale è sempre quello della guerra. In particolare, le forti relazioni interpersonali e la coesione
delle piccole unità sono considerati aspetti necessari in zona di guerra. La lealtà è incoraggiata a
tutti i livelli come valore militare e le strutture garantiscono il primato degli obiettivi comuni.
Gli individui mostrano una forte fedeltà verso il proprio gruppo ed il gruppo esercita un controllo
sociale sui singoli membri. Nell’esercito la FEDELTA’ VERSO IL GRUPPO è considerata essenziale
per l’efficacia del combattimento. La cultura militare enfatizza l’appartenenza, mentre
l’addestramento premia le prestazioni di gruppo. La coesione dell’unità, però, può arrivare a
minare la disciplina ed il complessivo buon funzionamento di una forza più ampia. La lealtà verso il
gruppo infatti diventa così esagerata da sostituire quella verso l’esercito. In Canada le piccole unitàper le operazioni di pace sono riunite in modo da formare un più ampio battaglione che viene poi
dispiegato oltremare. Una volta oltremare, al gruppo viene chiesto di partecipare ad un numero di
operazioni che li porrà in contatto con un’ampia varietà di attori. Se i piccoli gruppi non riescono a
superare i loro pregiudizi, lavorare in un’operazione di sicurezza collettiva diventa sempre più
difficile.
Il Canada è un paese che vanta una tradizione di leader mondiale nelle operazioni di pace. Nelle
missioni in Somalia e nell’ex Yugoslavia, però, soldati canadesi hanno messo in opera
comportamenti aberranti, anche perché la forte lealtà verso il gruppo è stata controproducente in
queste missioni di pace. In queste due situazioni l’esagerata lealtà verso l’unità ha impedito ai
gruppi di lavorare insieme ed ha condotto alcuni gruppi a proteggere i propri membri persinoquando ciò significava sfidare gli ordini o trascurare la catena di comando.
In Somalia, ad esempio, soldati del Secondo Comando del Canadian Airborne Regiment
picchiarono a morte un giovane somalo, Shidane Arone, di soli 16 anni. A Bacovici, nell’ex
Jugoslavia, soldati di fanteria furono coinvolti in una serie di gravi incidenti causati da cattiva
condotta e mancanza di disciplina.
La Commissione d’inchiesta per Bacovici concluse che l’ambiente delle operazioni non poteva
essere biasimato per tali mancanze, ma che esistevano pecche nell’unità ancor prima del
dispiegamento. Le spiegazioni per gli incidenti in Somalia ed in ex Jugoslavia sono molteplici e
parte della spiegazione risiede nella cultura dell’unità, una cultura che enf atizza la lealtà verso il
gruppo, tollera l’indisciplina e può erigere un muro di silenzio contro la catena di comando in
modo da proteggere il gruppo.
COESIONE e LEALTA’ sono considerate componenti importanti dell’efficienza in combattimento.
L’enfasi sui gruppi primari nella sociologia militare ebbe inizio durante la seconda guerra mondiale.
Si percepiva che il MORALE, insito nel senso di unità, desse ai soldati il coraggio per combattere.
Nonostante la lealtà sia considerata come un valore militare chiave, alcuni autori del periodo del
dopoguerra iniziarono a notare l’emergere di interessi personali e di individualismo. La
“civilizzazione” delle organizzazioni militari venne vista come forza negativa, che erodeva i
tradizionali valori militari.
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Venendo ora all’esercito canadese, esso ha sviluppato una cultura al proprio interno caratterizzata
da un’enfasi sulla gerarchia e la tradizione, e può venir definito come un collettivo all’interno della
stessa società canadese. I membri dell’esercito condividono questa cultura che è trasmessa di
generazione in generazione. L’organizzazione dell’esercito canadese è basata sul sistema
reggimentale, molto simile al sistema britannico ma con aspetti tipicamente canadesi. I reggimenti
sono divisi tra anglofoni occidentali, anglofoni centro-orientali e francofoni, esempio di come lapiù ampia società canadese, e particolarmente le sue realtà geografica, economica e sociale
influenzino l’esercito. Queste divisioni territoriali definiscono aree di reclutamento,
addestramento e residenza per i membri dei reggimenti e danno ad ogni reggimento una
personale nota caratteristica. Vi sono assolutamente pochissimi spostamenti da un reggimento ad
un altro.
Il CANADIAN AIRBORNE REGIMENT (CAR), ad esempio, è stato costituito da unità senza
appartenenza permanente. Tuttavia anch’esso riflette le divisioni geografiche e linguistiche
dell’esercito canadese. E’ suddiviso in tre reparti, ognuno dei quali rappresenta una delle tre
suddivisioni sopracitate. Il risultato è stato che le unità del reparto del CAR non si sono mescolate
fra di loro su una base normale, e vivono tuttora per principio in baracche separate. Come neireggimenti principali, ogni reparto cominciò a sviluppare la sua particolare subcultura, cioè la sua
peculiare maniera di fare le cose ed un’identità associativa.
LA SOLIDARIETA’ MECCANICA
Il carattere delle istituzioni militari tradizionali è “collettivistico” e può essere caratterizzato dal
manifestarsi della SOLIDARIETA’ MECCANICA. Negli USA, MARSHALL, studiando g li effetti del
morale sulla volontà di combattere, notò l’importanza dell’unità tra i soldati. JANOWITZ scoprì che
le relazioni affettive, cioè i legami di gruppo primario, erano responsabili per la coesione della
Wehrmacht tedesca e della volontà dei soldati di continuare a combattere nonostante le terribili
difficoltà. Nel 1970, poi, MOSKOS riteneva l’IDEOLOGIA (patriottismo tacito) più importante dellacoesione di gruppo per la motivazione a combattere. Scrisse che l’importanza del gruppo primario
per i soldati in combattimento era stata esagerata.
Negli anni ’60 gli studiosi cominciarono a notare l’emergere della differenziazione organizzativa
laddove alcuni elementi dell’esercito stavano diventando più “civilizzati” o razionali ed
individualisti mentre altri, in particolar modo le forze combattenti di terra, rimanevano
tradizionalmente militari o istituzionali. In Canada venne notato l’apparizione di un formato
plurale composto da tre ampie nicchie occupazionali: la tecnico-amministrativa, caratterizzata
dalla convergenza con la società civile, mentre le forze combattenti e le operazioni navali erano
considerate divergenti dalla società civile. Secondo COTTON, il soldato combattente è in una
chiara posizione d’inferiorità nel moderno esercito canadese volontario.Da ufficiali e soldati ci si aspetta il rispetto di norme e valori che trascendono il proprio interesse
individuale in favore di uno scopo ritenuto più elevato. Secondo le affermazioni ufficiali sull’ethos
militare canadese: “accettiamo che il lavoro di gruppo è essenziale alla sopravvivenza ed al
successo dell’unità militare”. Nel Giuramento prestato da ogni recluta, ufficiale od uomo arruolato,
il soldato giura leatà a qualcosa di più grande di se stesso. A causa della natura del territorio di
guerra l’esercito pone una speciale enfasi sul rinforzo dei legami di gruppo. Una componente
chiave del legame di gruppo è la CULTURA DEL REGGIMENTO, che enfatizza la solidarietà e la
coesione del gruppo.
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COESIONE E LEALTA’ NELL’ESERCITO CANADESE
Se l’organizzazione vuole avere successo in battaglia, la COESIONE deve essere incoraggiata a tutti
i livelli. La cultura militare incoraggia coesione e lealtà agli scopi della guerra e nonostante
l’esercito canadese sia principalmente impegnato in operazioni di pace, esso vede sempre nel
combattimento in guerra il suo scopo principale. Si è infatti dimostrato riluttante ad accettare le
operazioni di pace quale priorità della politica di difesa. La sua prima priorità resta ilmantenimento e miglioramento delle proprie capacità combattive per la protezione dei canadesi e
dei loro interessi e valori a casa e all’estero.
Nell’esercito, la capacità di combattere ed i valori vengono appresi tramite un processo di
socializzazione che inizia quando un soldato riceve l’addestramento di base, mirato ad instillare
nuovi atteggiamenti, risposte e lealtà nella recluta mente gli vengono insegnate nuove abilità.
All’inizio le reclute sono completamente estranee le une alle altre ma, come cominciano a contare
tra di loro, ci costituiscono dei forti legami, abbastanza forti (sperano i militari) da far si che essi
affronteranno la battaglia gli uni per gli altri. Le reclute vengono trasformate in soldati attraverso
un processo d’inculturazione dove la solidarietà di gruppo è incoraggiata con vari metodi che
incoraggiano il lavoro di gruppo e la responsabilità di gruppo. Provenendo da una società civile cheesalta l’individuo, le reclute si trovano ora in un mondo dove il valore istituzionale del gruppo è
supremo. Il lavoro di squadra (la coesione) è visto come l’unico modo in cui un leader può
incanalare le capacità di ciascun singolo membro verso uno scopo comune.
Il gruppo è ritenuto responsabile di ciascun membro, anche se può sembrare manifestamente
scorretto punire il gruppo per un solo individuo. E’ la maniera in cui il soldato impara a dipendere
dai cuoi compagni e dall’adeguatezza delle loro prestazioni. Ciò può ovviamente produrre anche
degli eccessi negativi.
I legami di gruppo sono una spada a doppio taglio. Secondo JANOWITZ i gruppi primari che sono
altamente coesivi possono ostacolare gli scopi dell’organizzazione militare poiché sono dei
network informali. Funzionano solo quando sono ben articolati con l’autorità formale. Questo è unpunto importante da ricordare, in quanto nelle missioni di pace le piccole unità si trovano spesso
in luoghi isolati lontani dall’autorità formale. La socializzazione, quindi, rinforza alcuni valori e
promuove la coesione di gruppo: nell’esercito canadese i legami di gruppo nella forma di alleanza
verso il reggimento giocano un ruolo importante nel periodo successivo all’addestramento di base,
al fine di plasmare la nuova identità militare.
LA TRADIZIONE DEL REGGIMENTO
Ogni reggimento nell’esercito canadese ha i suoi fenomeni culturali, che hanno significati profondi,
duraturi e collettivi, ed oggetti materiali oltre che schemi mentali e manifestazioni collettive e
schemi di azione collettivi. Le tradizioni di reggimento giocano un ruolo importante nello sviluppodell’ethos di reggimento. La cultura del reggimento ha il suo fulcro in tutti i valori, costumi e
credenze che permettono all’esercito di esistere in tempo di pace e di guerra. L’orgoglio del
reggimento e l’identificazione unitaria sono più evidenti presso gli ufficiali ed i sottufficia li anziani.
La concentrazione relativa dell’orgoglio del reggimento presso la leadership non nega però
l’importanza di tale sentimento quale fattore dello spirito di corpo, delle motivazioni e del
comportamento dei soldati. Un comune gruppo di valori quali l’orgoglio del reggimento liberano il
potenziale per un’efficace azione collettiva ed allo stesso tempo il sistema reggimentale orienta i
legami del gruppo primario entro i canali organizzativi ufficiali.
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I reggimenti si tramandano le tradizioni di generazione in generazione. La storia del reggimento è
contenuta in un apposito libro che è la “bibbia” delle sue tradizioni. I reggimenti possiedono anche
musei che onorato il loro glorioso passato. Questi musei contengono oggetti del passato e mostre
che raccontano la storia del reggimento, oltre ad elenchi contenenti i nomi dei soldati caduti in
battaglia. I reggimento hanno pure propri archivi contenenti oggetti quali diari di guerra,
fotografie e documenti sulla storia del reggimento. I circoli, che sono ristoranti e circoli sociali,sono depositari della tradizione di reggimento, e creano un’atmosfera informale dove può essere
perpetuata la trasmissione della cultura militare. Ogni reggimento dell’esercito canadese ha il
proprio punto di vista sul modo di fare le cose. Questa differenziazione è rimarcata anche da
elementi quali spalline, bottoni, fibbie, colori dell’equipaggiamento e dal diverso taglio delle divise
e dei copricapi e delle uniformi del circolo. I riti servono a socializzare, integrare e fornire
un’identità sociale. L’entrata in un reggimento è segnata da riti di passaggio sia formali che
informali. Gli iniziati sono estranei gli uni per gli altri e per l’unità. Il legame dell’iniziazione li unisce
in un periodo di tempo molto breve. Un iniziato che subisca pesanti tormenti è probabile che trovi
l’appartenenza al gruppo assai più appetibile. In questi rituali i soldati dimostrano la loro prontezza
nel partecipare al gruppo senza riguardo ai costi personali, guadagnandosi così la pienaaccettazione del gruppo. In tal modo sia le esperienze formali che informali favoriscono la
dipendenza dell’individuo dal gruppo.
Ogni reggimento celebra il proprio “compleanno” oltre ad una o due famose battaglie del passato.
La notte in cui Shidane Arone fu torturato in Somalia, membri del Secondo Reparto del CAR che
avevano l’incarico di sorvegliarlo cominciarono i festeggiamenti per il compleanno del reggimento,
che cade il 17 marzo. La vigilia delle celebrazioni in Somalia fu marcata da un’atmosfera rilassata e
di festa e dall’aumento del consumo di alcool.
Come in Somalia, anche nell’ex Jugoslavia era adottata la politica delle “due birre al giorno per
uomo”. In entrambi i casi si ebbero gravi incidenti laddove si verificò un eccessivo consumo di
alcool. I soldati riuscivano ad ottenere più della loro razione prendendo quella dei compagniastemi o presentandosi più volte a diverse stazioni di rifornimento. Il consumo di alcool è stato
parte della tradizione militare canadese per decenni; la partecipazioni a manifestazioni di
ubriachezza, inoltre, porta alla piena accettazione del gruppo e la mancata accettazione può
portare all’ostracismo. Ad aggravare questo sistema vi è la prevalenza opinione tra soldati ed
ufficiali che l’alcool sia effettivamente un meccanismo di aggregazione.
IL REGGIMENTO-FAMIGLIA
Secondo l’ex MAGGIOR GENERALE LOOMIS, il reggimento è un’organizzazione pseudo-parentale.
E’ vero che ad un reggimento ci si riferisce spesso come ad una famiglia, e che la natura familiare
del sistema è supportata da soprannomi quali “vecchio mio” per gli ufficiali in comando e “zietto”per i secondi in comando. Quando un battaglione è al campo per esercitazioni, il bivacco è
comunemente chiamato “casa”. Si è considerati membri del reggimento per tutta la vita, c on un
legame che continua durante tutta la carriera di un membro dell’esercito ed anche dopo il suo
congedo.
L’aspetto dell’atemporalità dell’affiliazione di una persona al reggimento richiede organizzazione,
non solo mentre uno presta servizio in un’unità, ma anche quando uno ha un impiego extra-
reggimentale o ha lasciato il servizio regolare. Per raggiungere ciò, non si ha bisogno solo di
associazioni di reggimento, ma anche di mezzi d’informazione informali tra i vari gruppi e gli
individui coinvolti. Il concetto di famiglia è forte e viene rinforzato quotidianamente. Il soldato
deve volere che il reggimento, i compagni e quelli che lo circondano sopravvivano. Il reggimento èla famiglia, dove nessuno è lasciato solo.
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Di conseguenza, il pericolo per la sopravvivenza del reggimento agli attacchi del nemico diventa
più spaventoso della naturale paura del soldato per la solitudine e la morte. Nell’esercito canadese
i reggimenti sono anche soggetti di potere: vi sono forti associazioni che hanno lo scopo di
difendere gli interessi del reggimento, a volte a scapito degli interessi dell’esercito e di tutte le
FF.AA. canadesi. Come ha notato GRANATSTEIN, il sistema reggimentale è diventato un problma,
un’istituzione chiusa che spesso mette i reggimenti l’uno contro l’altro, che recluta i generali dalreggimento stesso per assicurare le posizioni chiave agli ufficiali favoriti, e che può dividere
l’esercito con l’argomentazione che “è il nostro turno” per qualche posizione.
Ogni reggimento ha delle entità semi-ufficiali di supervisione e consulenza note come “Senato”,
“Guardia di reggimento” o i “Padrini”. Il ruolo di questi consiglieri è di presiedere al benessere del
reggimento nel lungo periodo. Oltre al senato di reggimento vi è pure l’esecutivo di regg imento,
che è responsabile della gestione degli affari del reggimento ed è composto da vari ufficiali in
comando e spesso dai sergenti maggiori del reggimento.
Gli ufficiali più anziani in servizio non hanno un’autorità formale nel reggimento, ma sono
comunque molto importanti per il reggimento in quanto vigilano sugli interessi dello stesso.
Indipendentemente da quanto essi siano in alto nella catena di comando, agli ufficiali più anzianiin servizio spetta la parola e l’influenza sulle decisioni riguardanti il benessere del reggimento.
UNA FAMIGLIA DISFUNZIONALE
La natura corporativa del reggimento ha molti vantaggi. Possono anche esservi però svantaggi
quali lo sviluppo di un atteggiamento “noi-loro”. L’orgoglio per l’unità può diventare talmente
esagerato che uno rispetta solo i membri e/o gli ufficiali della propria unità, ignorando e talvolta
provando risentimento nei confronti degli esterni al gruppo. Quello che è chiaramente un effettivo
e necessario atteggiamento sul campo di battaglia può quindi diventare una forza esagerata che
mina il buon ordine e la disciplina. I membri del CAR, ad esempio, si credevano parte di un’unità di
élite, uno scalino sopra ai normali soldati di fanteria. I membri dell’ Airborne consideravanoinferiori le altre truppe combattenti e il personale non combattente. Li chiamavano “gambe”, che
stava per “mancano di fegato”.
Uno dei problemi connessi con i reparti dispiegati in Somalia fu che l’ufficiale in comando, talvolta,
venne sostituito appena prima dello spiegamento. Così, oltre a doversi abituare ad una recente
riduzione di personale, a nuovi veicoli ed alla missione, i soldati si dovettero abituare ad un nuovo
comandante.
Gli ufficiali, ancora, possono sviluppare un atteggiamento del tipo “OCCUPARSI SOLO DEI PROPRI
SOLDATI”, ed il non fare rapporto sulle altre unità può talvolta condurre anche all’omissione di
rapporto su problemi disciplinari. Similmente, nell’ex Jugoslavia vi era la tendenza generalizzata a
tutto il personale della catena di comando ad occuparsi quasi esclusivamente dei proprisubordinati. Nonostante la cultura dell’esercito abbia inculcato agli ufficiali ed ai sottufficiali
anziani l’impegno a non lasciar passare un errore, vi è una crescente tendenza a non immischiarsi
negli affari degli altri. Un’altra caratteristica del sistema è che le malefatte non devono diffondersi,
cosa per la quale gli ufficiali possono anche finire per non essere consapevoli dei problemi della
loro unità.
Nell’inchiesta Somalia furono presentate prove che suggerivano che la catena di comando, sia
durante il periodo anteriore al dispiegamento che durante l’azione, fallì come canale per il
passaggio e la ricerca d’informazioni. Si verificarono infatti numerosi seri problemi disciplinari, ma
tuttavia pochi ufficiali della catena di comando furono consci di tali problemi. A Bacovici, invece, i
soldati accusati di mercato nero non furono incriminati, ma puniti con l’obbligo di versare iproventi illegali nel fondo del reggimento.
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Similmente, soldati hanno testimoniato che le frequenti bevute oltre il limite della politica stabilita
non vennero riportate alla catena di comando così da non umiliare il reggimento. Un’informazione
che può danneggiare la reputazione del reggimento deve essere tenuta nascosta. Così le “soffiate”
vengono viste come un andare contro la natura corporativa dell’esercito che incoraggia i propri
membri a “non lavare i panni sporchi in pubblico”. Non è cosa ben vista il denunciare misfatti agli
estranei, particolarmente se civili. Molti tra gli stessi soldati testimoniano infatti che vi sono cosedelle quali è meglio non parlare. Inoltre i legami di lealtà possono portare i membri di un
reggimento a proteggersi l’un l’altro, a volte coprendosi, a volte erigendo un muro di silenzio.
CONCLUSIONI L’esercito canadese ha un ethos di coesione, un lavoro di squadra ed una lealtà tutti sostenuti da
fenomeni culturali. L’essere pronti a combattere, a propria volta modella i valori e gli scopi
dell’organizzazione, rinforzando i legami del gruppo primario, che è visto come una componente
necessaria dell’efficacia in combattimento. Il legame del gruppo primario è rinforzato attraverso la
socializzazione formale ed informale. Comunque, l’intenso legame ritenuto necessario per il
combattimento è una lama a doppio taglio: la lealtà mal riposta può infatti condurreall’ostruzionismo, impedendo appropriate indagini sulle attività criminali. I legami di gruppo
impediscono anche all’individuo di denunciare comportamenti inappropriati, che così possono
continuare indisturbati. La catena di comando va quindi in cortocircuito a causa dei forti legami
affettivi che essa stessa incoraggia.
Un modo per controllare tale tendenza è quello di assicurarsi che l’unità sia ben articolata con
l’autorità formale. In Canada il sistema di reggimento è stato concepito in modo da orientare i
legami di gruppo primario entro i canali organizzativi approvati. Il sistema del reggimento è esso
stesso diventato un obiettivo di tale forte lealtà, tanto da impedire anch’esso il buon
funzionamento dell’organizzazione nel suo complesso. Nelle PSO, la questione della lealtà aml
riposta è particolarmente importante. Le FF.AA. continueranno ad essere una componenteintegrata delle PSO nel XXI secolo. Quindi la comprensione dei fattori che contribuiscono alla
carenza di disciplina e coesione nelle PSO può impedire ricadute. In tal modo, il conflitto stesso
nell’ambiente delle PSO può essere ridotto e gestito.
E’ anche importante notare che la disciplina e la leadership possono controbilanciare la forte
identificazione di gruppo. Così, un’unità con un forte senso di professionalità e disciplina potrebbe
essere meno soggetta a commettere infrazioni. La coltivazione dell’identità del gruppo di
appartenenza (di reggimento) ha bisogno di essere bilanciata con il rispetto dell’autorità militare e
delle regole della legge. Occorre stabilire chiaramente delle priorità all’interno del collettivo del
reggimento ed all’interno delle singole unità, così da stabilire fermamente un sano equilibrio tra le
diverse lealtà. Il ruolo della leadership in tutto ciò è chiaro: i leader sono gli agenti primariattraverso i quali la cultura di un’organizzazione e le norme di comportamento sono modellate,
trasmesse e mantenute.
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SOCIOLOGIA MILITARE
LA FAMIGLIA MILITARE
FAMIGLIE E MILITARI O FAMIGLIE MILITARI?Il binomio famiglia e militari può essere coniugato in varie forme, ognuna delle quali rappresenta
un fenomeno sociale specifico ed un insieme altrettanto specifico di problematiche. In una visione
di stampo funzionalista il rapporto tra famiglia come istituzione sociale e le FF.AA. presupporrebbe
un’adeguata coerenza tra il luogo della socializzazione primaria, la famiglia appunto, ed il luogo
dove un insieme di compiti convenzionalmente orientati alla difesa degli interessi della collettività
attraverso l’uso delle forza organizzata si esplica.
Nella storia umana sono molte e varie le società nelle quali l’integrazione famiglia-mondo militare
è stata molto forte, formando quel binomio con il quale viene ad essere indicata la società
tradizionale, nella quale i compiti fondamentali sono suddivisi per genere assegnando alle donne i
ruoli di riproduzione e cura della prole ed agli uomini i ruoli di sostentamento materiale e di difesa
attraverso l’attività guerriera.
La famiglia aristocratica ha rappresentato per secoli il modello nel quale ruoli parentali e ruoli
militari trovavano forme esplicite di integrazione, tramite la norma di destinare alle FF.AA. i figli
cadetti, ed anche nell’identificazione del signore feudale con il colonnello comandante del proprio
reggimento.
Pur trattandosi sempre di due istituzioni fondamentali per le collettività umane, famiglia e FF.AA.
si sono sempre più distanziate seguendo il processo di differenziazione e specializzazione
progressiva che ha segnato la trasformazione sociale dalla società tradizionale a quella moderna
connotata dal processo di industrializzazione. MOSKOS ha ricordato che la famiglia militare
tradizionale si adatta a FF.AA. definite come ISTITUZIONALI, dove coniugi non militari e famiglie
sono parte della comunità militare stessa, e dove la vita privata del militare non è separata da
quella professionale. Nella società attuale, postmoderna ed investita da processi globali, le FF.AA.
tendono progressivamente ma inesorabilmente ad assumere connotati di tipo OCCUPAZIONALE,
dove la professione militare diventa sempre più un lavoro come gli altri, e dove i coniugi militari
sono sempre meno integrati nella comunità militare.
Questo cambiamento separa dunque le due istituzioni, e consente che ambedue manifestino
distintamente le proprie richieste nei confronti di individui che appartengano simultaneamente ad
entrambe: qui MADY SEGAL ha definito famiglia e FF.AA. come due GREEDY INSTITUTIONS, due
istituzioni voraci che pretendono dai propri membri una dedizione totale e speciale.
Nella società contemporanea la progressiva occupazionalizzazione della professione militare
produce una sorta di equivalenza, quando non una vera e propria superiorità, della famiglia
sull’istituzione militare: l’individuo che appartiene ad entrambe le istituzioni si sente “preso inmezzo” e tirato da entrambe con la stessa forza ed intensità. Si pone così un vero e proprio caso di
LEALTA’ DUALE, che facilmente produce conflitto tra il ruolo professionale ed il ruolo familiare.
Ma nella realtà della vita quotidiana i militari appartengono contemporaneamente a famiglie e
all’istituzione militare, vivendo dunque una condizione esistenziale di possibile contrasto tra le
richieste delle due parti, condizione che pone continuamente di fronte ad alternative
psicologicamente gravose.
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La letteratura sociologica introduce ovviamente delle distinzioni, considerando diversamente i due
tipi di famiglia in cui almeno un membro è anche appartenente alle FF.AA.: nel caso della
FAMIGLIA D’ORIGINE, in FF.AA. in grande misura fatte di giovani di leva l’appartenenza di uno o
più figli alle istituzioni militari è solo temporanea, e le eventuali problematiche hanno quindi un
carattere transitorio di breve periodo; di solito queste famiglie non sono considerate come
appartenenti al tipo della FAMIGLIA MILITARE, che è costituito invece dalla FAMIGLIA CONIUGALEnella quale uno dei due partner è un militare di professione. Tutte queste modalità compongono il
tipo della famiglia militare solitamente oggetto di trattazione da parte della ricerca sociologica.
E’ in queste situazioni esistenziali che si verifica il trade-off tra lealtà familiare e lealtà
professionale, che può facilmente sfociare in un conflitto tra la famiglia e l’organizzazione militare.
Un altro tipo di famiglia che risulta rilevante per l’istituzione militare è però proprio anche la
famiglia d’origine dei giovani militari di professione, che non hanno ancora formato una famiglia
coniugale e che restano in qualche modo legati al gruppo primario d’origine.
La famiglia d’origine viene a rivestire una nuova importanza, in quanto rappresenta il luogo nel
quale la propensione all’arruolamento può nascere ed essere facilitata od inibita. In quanto luogo
di socializzazione primaria, la famiglia d’origine trasmette valori e norme generali ai suoi giovanimembri, ma anche valori e norme individualmente riconosciuti e praticati dai membri adulti.
Genitori preoccupati possono anche agire in qualità di GRUPPI DI PRESSIONE, di protesta e di
lobby contro le politiche di reclutamento, allo scopo di proteggere i propri figli e di tenerli lontani
dalle tentazioni di carriere professionali che si rivelano poi gravide di pericoli considerati poi poco
accettabili o legittimi.
Ricerche già avviate in Olanda e Belgio indicano che la percezione che i genitori hanno della
condizione di militare di un proprio figlio è diversa da quella mostrata dal partner, e che esiste
anche un effetto di genere per cui i padri reagiscono diversamente dalle madri, essendo più
sensibili a sentimenti come l’orgoglio per l’attività dei figli od il senso dell’onore derivante dal
servizio al paese. Ciò che si osserva è il fatto che i genitori di militari sono molto più attivi deipartners nella protesta pubblica e sui media, e sono pertanto in grado di condizionare la risposta
sociale alle campagne di reclutamento. Come nota MOELKER, studiare oggi i comportamenti dei
genitori di militari vuol dire anche studiare il grado di legittimazione che una società riconosce alle
missioni svolte dalle FF.AA.
Ciò che sicuramente deriva dalle conoscenze attuali è la consapevolezza che le famiglie militari,
comunque intese, sono famiglie che devono affrontare livelli elevati di stress, molto più elevati di
famiglie non militari, a parità di tutte le altre condizioni. Da qui l’ulteriore consapevolezza che sono
famiglie per le quali particolari misure di sostegno dovrebbero essere costituite e fornite.
STRESS, IMPIEGO E FORME DI SOSTEGNO DELLA FAMIGLIA MILITARELe difficoltà non sono riferibili solo alle famiglie nelle quali il militare viene mandato in missione,
dato che disagi nascono anche dai molti trasferimenti ai quali la giovane famiglia militare è
soggetta, specie con maggior frequenza nei periodi iniziali della carriera. Inoltre, come accade
nelle società in generale, le famiglie militari sono unità dove entrambi i partner lavorano, cosa che
può diventare un problema ulteriore in vista di un trasferimento.
Ci sono prove evidenti che mostrano come soldati in missione, preoccupati per la propria
situazione familiare a casa, diventino meno affidabili ed efficienti nella loro prestazione
professionale, mentre è altrettanto chiaro che essi, e quindi la stessa istituzione, trarrebbero
sicuro vantaggio dal sapere che le famiglie non sono lasciate sole. Si può ritenere che le famiglie
sostenute riescano a risolvere i propri problemi senza pesare psicologicamente sul proprio carolontano, riducendone la preoccupazione.
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E’ stato qui dimostrato una sorta di continuum di fattori stressanti nelle famiglie dove uno dei
partner è un militare con missioni frequenti e ripetitive: un esempio è il modello detto DOPPIO
ABC-X degli anni ’80, mentre un altro riferimento obbligato è quello al MODELLO A 7 STADI
proposto da DE SOIR, dove l’esperienza di stress percepita dalle famiglie prima, durante e dopo la
missione è divisa in sette stadi:
1. Protesta derivante dallo shock iniziale;2. Disimpegno alienato;
3. Disorganizzazione emotiva;
4. Ripresa e stabilizzazione;
5. Anticipazione del ritorno;
6. Riunione e reintegrazione;
7. Nuova stabilizzazione.
Il modello a quattro strategie proposto da MOELKER individua due dimensioni sottostanti alle
possibilità che le famiglie hanno di reagire alle proprie situazioni problematiche: una dimensione
riguarda una qualità di DIPENDENZA/INDIPENDENZA presente in alcuni tipi di sistemi di supporto
familiare, mentre una seconda dimensione sottolinea un orientamentoINDIVIDUALISTICO/COMUNITARIO analogamente caratterizzante i vari sistemi di sostegno
osservati. La prima dimensione misura la diversa capacità della famiglia di relazionarsi con il
fornitore del sostegno, la seconda dimensione si riferisce alla teoria dello scambio sociale, basato
sul principio di reciprocità oppure sullo scambio di mercato.
Le strategie possono essere di tipo individualistico ed indipendente, ovvero basate su relazioni
individuali che i membri della famiglia possiedono ed a cui fanno riferimento in modo autonomo,
oppure possono essere comunitarie e dipendenti, quando l’istituzione fornisce supporti interni e
forme istituzionali d’aiuto alle famiglie del proprio personale militare; forme miste sono invece
quelle in cui si combina un orientamento individualistico con la dimensione della dipendenza,
laddove si fa ricorso a professionisti a secondo del tipo di problema. Ogni tipo rappresenta livelli diefficacia e di efficienza variabili a seconda dei problemi da affrontare, delle caratteristiche delle
persone coinvolte e dei contesti sociali in cui si applica, ed anche gradi di preferibilità diversi da
parte dei potenziali fruitori.
Una ricerca condotta contemporaneamente presso il 3° Reggimento Alpini di Pinerolo e la Brigata
Sassari ha mostrato l’applicabilità di entrambi i modelli. Negli incontri svolti si sono infatti
mostrate varie modalità di affrontare le situazioni di stress e problematicità imputabili alla
specificità dell’attività militare del partner: queste si differenziano in base ad alcune variabili
individuali e sociali come il capitale culturale, economico e sociale a disposizione della singola
famiglia.
Nel considerare i diversi modi di affrontare lo stress e nel predisporre le possibili strutture disostegno, i ricercatori si sono mossi dall’assunto per il quale la cultura di una collettività definisce
ruoli e funzioni dell’istituto familiare, come pure delle altre istituzioni; la cultura influenza anche le
modalità delle politiche pubbliche e della SOCIAL POLICY in particolare. L’ipotesi formulata è che
ciò vale anche per il comportamento rispetto al sostegno delle famiglie dei militari in missione.
In altre parole ogni società ed ogni FF.AA. si comportano diversamente nei confronti della famiglia
e delle famiglie dei propri membri militari, e questa diversità corrisponde ad una varietà, non
infinita, di letture del problema e di relative soluzioni. Le politiche sociali infatti possono seguire
diversi modelli, da quelli del WELFARE STATE di stampo nord-europeo all’INIZIATIVA PRIVATA di
stampo nordamericano.
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La prevalenza del modello privatistico, negli USA, promuove l’iniziativa privata per cui le
organizzazioni di lavoro come le imprese ed altre istituzioni come le FF.AA. sono spinte ad
assicurare forme di welfare “privato” per i propri membri: il caso delle FF.AA. statunitensi
rappresenta un buon esempio di sistema di sostegno istituzionale INTERNO per i militari e per le
loro famiglie.
Un’ulteriore dimensione da considerare riguarda il sistema di valori diffuso e riconosciuto in unacollettività, ed il ruolo assegnato alla famiglia come istituzione sociale. Anche sotto questo
aspetto, la forza dei legami familiari e delle reti parentali può variare ed influenzare diversamente
la persistenza od il venir meno della solidarietà parentale come pure della divisione dei ruoli
rispetto al genere.
Le necessità di sostegno sono quindi percepite diversamente, ed anche le modalità eventualmente
richieste o messe in atto autonomamente variano a seconda del contesto socio-istituzionale e
socio-culturale. Questa varietà è dimostrata dalle ricerche che, in chiave comparativa, sono state
condotte in svariati paesi europei.
PROBLEMATICHE E RICHIESTE DELLE FAMIGLIE MILITARI IN ITALIALe situazioni osservate mettono in evidenza realtà variabili riferibili alle specifiche condizioni in cui
ciascuna famiglia si trova. Le testimonianze ricevute sono invece molto simili quando vengono
esposte le difficoltà e le vere e proprie sofferenze derivanti dai frequenti e ricorrenti distacchi che
l’invio in missione del partner militare professionista produce alla piccola comunità familiare. In
generale ogni distacco è problematico, con intensità variabile ma sempre generatrice di stress e di
senso di privazione. In alcuni casi la privazione è espressa come incomprensione della società che
circonda la famiglia circa le difficoltà che avere un marito in Irak o in Afghanistan può produrre,
evento che difficilmente è compreso nella sua reale portata da chi non sperimenta analoghe
evenienze. Una prima ragione è data dalla ben nota unicità della professione militare in generale,
che è difficile da spiegare a dei “civili”, mentre un’altra ragione proviene dal fatto che le attivitàmilitari fanno parte del discorso pubblico, le missioni e le loro ragioni sono commentate sui media
e l’opinione pubblica può anche essere critica verso le missioni stesse. Questo causa mancanza di
solidarietà.
In altri casi ancora, la privazione è chiaramente riferita ad una scarsa attenzione attribuita
dall’istituzione militare alle esigenze familiari del personale inviato in missione. La forte
consapevolezza dell’importanza che una famiglia non problematica, adeguatamente assistita a
casa, costituisce un elemento di serenità e di maggiore efficienza per il personale in attività, e che
troppo spesso le componenti non militari della famiglia militare sono soggette a tensioni e stress
che non vengono fatte emergere come meriterebbero proprio per non gravare ulteriormente sulla
condizione psicologica di chi comunque non può sottrarsi agli obblighi professionali.Lo shock iniziale del distacco può diventare meno forte con il ripetersi delle esperienze, ma
proprio la sua reiterazione può causare la progressiva insopportabilità della situazione. Per tutti il
problema del distacco è poi correlato ad un analogo e speculare problema del ritorno, della
ripresa di una routine diversa, che richiede continui sforzi di adattamento e ri-adattamento.
Laddove le difficoltà non hanno sostegni nella cerchia parentale, in genere, l’aspettativa di riceverli
dall’istituzione militare è diffusa, anche se non generalizzata. L’idea che la condizione di
problematicità particolare ed insieme la rilevanza che si potrebbe definire “strategica” della
famiglia militare dovrebbero essere maggiormente riconosciute dall’istituzione militare stessa. Il
problema, anche se esteso, è purtroppo ancora spesso percepito come problema privato, poco
tematizzato come discorso pubblico, e di conseguenza scarsamente esprimibile in termini diistanza concreta da rivolgere ad un soggetto istituzionale definito.
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Le famiglie hanno potuto esprimere delle preferenze, rifacendosi alla tipologia delle quattro
strategie, la cui varietà è utile da considerare in vista di interventi concreti:
A. ORGANIZZAZIONE ISTITUZIONALE, interna e costruita secondo un formato unitario madiffusa e gestita localmente presso ogni reparto, in grado di fornire assistenza ed aiuto in diversi
campi professionali (medico, assistenziale, legale, …). Tipicamente istituzionale e comunitaria, è
stata considerata troppo interna e forse percepita come potenzialmente invasiva della vita privata.
B. ASSOCIAZIONE VOLONTARIA, esterna all’istituzione, autonoma e senza legami o vincoli di
alcun tipo con l’organizzazione militare. Comunitaria ma non istituzionale, è stata valutata
positivamente in astratto, ma come estremamente difficile da realizzare laddove non sia
riscontrabile un forte orientamento a socializzare e mobilitarsi autonomamente, e comunque
incapace di mantenersi senza sostegno pubblico.
C. ASSOCIAZIONE VOLONTARIA che però riceve riconoscimento e sostegno istituzionale a
livello locale, cioè dal reparto presso il quale sorge ed opera, usando spazi, mezzi di comunicazionee supporto logistico interni. Richiama la tipologia individualistica ma istituzionale, ed è stata
considerata troppo legata a particolarità locali, con gli stessi problemi del punto B ed i difetti del
punto A.
D. “SPORTELLO” dove chiedere e ricevere informazioni, appositamente istituito e dedicato
alle famiglie dei militari, collocato a livello brigata o reggimento, con personale militare
specializzato nel fornire informazioni ed indicazioni (ad esempio nell’indirizzare verso prestazioni
di esperti o nell’eseguire qualche procedura burocratica complessa). Questa è la soluzione giù
gettonata.
La soluzione preferita appare dunque quella di un sostegno misto, semi-istituzionale ma in certo
qual modo anche burocratico, che si potrebbe definire come un esempio di sistema insiemeindividualistico e semi-istituzionale. In definitiva, ciò che viene richiesto è un tipo di sostegno non
troppo invasivo e omnicomprensivo come il tipo A, ma nemmeno troppo gravoso da sostenere sul
piano della partecipazione e dell’impegno come i tipi B e C. Si tratta ovviamente di proposte anche
migliorabili, ma di cui non si può negare un carattere di sobrietà ed anche di autolimitazione che
ne faciliterebbe l’adozione.
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APPLICABILITA’ ALLA SITUAZIONE ITALIANA, A SEGUITO DELLA TRIPLICE RIVOLUZIONE NELLE
FF.AA. ITALIANEIl caso italiano può essere definito partendo dall’immagine di una triplice rivoluzione:
1) Passaggio dalla leva al volontariato;
2) Passaggio dell’orientamento dalla difesa nazionale alle missioni internazionali;
3) Passaggio da FF.AA. esclusivamente maschili ad un modello di reclutamento misto.Questi grandi cambiamenti hanno originato la figura di un professionista militare di carriera, con
frequenti dispiegamenti all’estero, e ad una crescente percentuale di soldati sposati. L’entrata
delle donne ha anche fatto nascere un altro tipo di famiglia militare, di una sorprendente varietà
in Italia, e cioè quella in cui la donna è il militare.
La trasformazione in una forza di volontari professionisti ha dato alle FF.AA. italiane le stesse
caratteristiche delle altre FF.AA. professionali: una forza dove tutto il personale tende a rimanere
nell’istituzione per tutto l’arco della propria vita lavorativa, specialmente nel caso degli ufficiali ma
anche nei gradi dei sottufficiali. Il continuo impiego di militari italiani in unità multinazionali ha
dato alle missioni un carattere di routine, almeno per quelle unità continuamente proiettate:
questa routine significa che l’impiego è una ripetuta attività, nella quale si alternano periodiall’estero seguiti ad altri trascorsi a casa.
La situazione di una famiglia nella quale un membro è continuamente impiegato in questo modo
può portare all’insorgere, in famiglie con particolari problematiche e/o difficoltà, di varie patologie
come la sofferenza per la mancanza di un adeguato supporto e l’incapacità di richiederne uno più
adatto alla situazione.
Il rapido processo di routinizzazione dell’impiego al’estero, il crescente numero di famiglie militari
e il crescente rischio nelle missioni pericolose hanno reso più frequente anche per le famiglie di
militari italiani il verificarsi di ferimenti o di morti (anche se meno che in altri paesi); le istituzioni
militari si sono rivelate relativamente impreparate a tale fatto, e capaci di offrire una specie di
supporto psicologico d’emergenza in caso di eventi drammatici, ma meno abil i nello sviluppareforme di sostegno abitudinario in tutte quelle situazioni di certo meno tragiche ma comunque
molto stressanti per la vita privata delle famiglie colpite dall’attività professionale dei soldati
impiegati.
Dalla sospensione della leva nel 2005, il soldato medio ha ormai cambiato le sue caratteristiche, e
la popolazione del personale militare ha sviluppato un cambiamento in una direzione verso la
quale, probabilmente, le FF.AA. italiane non hanno immaginato tutte le conseguenze; le richieste
dei familiari dei militari non sono state infatti considerate in tutto il loro vero ed inevitabile
realismo.
LA RICERCA TRA I REPARTIE’ stata condotta una ricerca in due differenti tipologie di reparto delle FF.AA. italiane. Il primo è
stato il 3° Reggimento Alpini di Pinerolo, un’unità dove l’impiego in missione è continuo da circa 10
anni e nella quale i soldati sono in gran parte di provenienza meridionale (e quindi ciò significa una
distanza da casa anche di 500-1.000 chilometri).
L’altro reparto intervistato è stata un’unità con differenti tratti, la Brigata Sassari, simile agli alpini
per tipo ed intensità d’impiego ma diversa per il contesto culturale in cui è collocata. Quest’unità è
infatti molto più “locale”, dato che tutti i soldati provengono dall’isola, con alcune eccezioni
riguardanti gli ufficiali comandanti. Questo significa che la larga maggioranza del personale della
brigata è del posto, ed appartiene a forti e persistenti reti familiari e parentali, anche se magari
disperse sul territorio isolano, che garantiscono maggiori capacità di adattamento e maggioristrutture di supporto dai gruppi primari.
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IL CONTESTO DEL REGGIMENTO ALPINOIn questo contesto è stato trovato un fenomeno peculiare: un’associazione volontaria di mogli di
militari, localizzata all’interno della caserma e fondata nel 2006 dalla moglie dell’allora
comandante. L’associazione è stata fondata per dare un punto di riferimento e di incontro alle
mogli di volontari, sottufficiali ed ufficiali, una sorta di gruppo di auto-soccorso a supporto delle
donne nei frequenti periodi di solitudine durante l’impiego dei mariti all’estero. L’associazione,chiamata LE STELLE DEL 3°, ha dato ai ricercatori la possibilità di organizzare incontri ed interviste
con i propri membri, con vantaggi e svantaggi. Al tempo della ricerca l’associazione contava 50
membri, più alcune decine con una partecipazione minore, e questo significa che erano una vera
minoranza tra le circa 800 famiglie militari dell’unità. Le ricerche hanno coinvolto 20 mogli di
militari.
IL CONTESTO DELLA BRIGATA SASSARITotalmente diversa è stata l’esperienza con la Sassari: qui il Comandante di Brigata è stato il
soggetto attivo per contattare le mogli e per organizzare incontri. Sotto molti aspetti, la Brigata
può essere considerata come una grande comunità dove origini, lingua, cultura e tradizioni sonoun retaggio condiviso che fa sorgere un comune “humus”, un vero capitale sociale che ogni
membro, quale che sia il suo grado e ruolo nel reparto, ha a disposizione. In questo caso le donne
intervistate sono state 15.
ALCUNE INTUIZIONI DALLE INTERVISTE NEL REGGIMENTO ALPINOLe situazioni di vita differiscono in base alle zone di provenienza: la gran parte dei soldati viene da
un’altra regione, perlopiù dal centro e sud Italia, che vuol dire una distanza di circa 1.000
chilometri ed anche più. Le reti familiari e parentali sono molto distanti e questa situazione lascia
la famiglia piuttosto isolata e senza il supporto dei parenti. Quando i partner dei soldati sono
invece del luogo, la famiglia della moglie è quindi vicina e questo sarà ovviamente il primosupporto in caso di bisogno. Gli ufficiali invece provengono in gran quantità dal nord Italia, anche a
causa della strutturale tradizione di reclutamento alpino nelle regioni settentrionali. Questo
fornisce alle donne maggiori possibilità di trovare un impiego personale,a e di mantenere il
supporto della famiglia di origine; dall’altro lato, però, vi sono maggiori difficoltà dovute a più o
meno frequenti traslochi e trasferimenti rispetto ai volontari di truppa.
Sembra che ogni famiglia provi a risolvere i propri problemi con le proprie risorse individuali: se la
famiglia può contare su personali reti sociali e parentali, se la moglie ha un adeguato lavoro e,
soprattutto, se ha avuto un alto livello di educazione, allora la missione significa certamente una
privazione affettiva ma non così traumatica nella vita di tutti i giorni.
E’ chiaro che tutte le spose aderenti all’associazione LE STELLE DEL 3° hanno già elaborato le lorosensazioni di privazione ed i loro bisogni di supporto accettando una forma di auto-supporto e di
auto-aiuto di gruppo: hanno infatti mostrato la loro volontà di essere attive tramite la creazione di
una specie di struttura di supporto, che è ancora totalmente carente nell’istituzione militare
italiana, eccezion fatta per l’aiuto socio-psicologico fornito negli eventi tragici. Ma l’organizzazione
conta su 40-50 spose attive in un reggimento di circa 800 famiglie. Ad alcune l’iniziativa è
sembrata troppo istituzionale, troppo “interna” in quanto creata e sponsorizzata dalla moglie del
Comandante; anche quelle che sono ora membri hanno reagito negativamente al primo invito ad
un “incontro per un thè”, diffidenti com’erano di fronte all’iniziativa. Altre hanno respinto ogni
invito e si sono tenute lontane dall’organizzazione, anche a causa dei sospetti dei mariti o delle
loro espresse preferenze di non aver nulla a che fare con qualcosa che potrebbe rischiare diinterferire con la loro vita lavorativa, di creare o di essere vittime di gossip e cose simili.
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Un’altra ragione condivisa per non aderire è una specie di timore di essere controllate
dall’istituzione proprio in un momento di difficoltà, sentito come un fallimento personale o
familiare che una condizione problematica proveniente dall’esterno. Alcuni commenti:
- Non voglio sentirmi condizionata dall’istituzione;
- Perché devo far conoscere le mie sensazioni agli altri? Potrebbero pensare che non sono in
grado di risolvere i miei problemi;- Non voglio che i miei colleghi sappiano qualcosa a riguardo dei miei affari privati.
ALCUNE INTUIZIONI DALLE INTERVISTE NELLA BRIGATA SASSARIPer alcuni aspetti la situazione di vita qui è simile al primo caso, ma in un modo inverso: la Brigata
Sassari è un’unità a reclutamento tipicamente locale, dove praticamente tutti i volontari vengono
dalla Sardegna, e solo ufficiali e parte dei sottufficiali arrivano dal “Continente”.
Qui le reti familiari e parentali sono presenti e funzionanti, e questa situazione contrasta
l’isolamento e salva il supporto parentale. Per le famiglie degli ufficiali, al contrario, venire
dall’esterno è più frequente, e l’ingresso in una società altamente chiusa, anche se molto ospitale,
potrebbe essere un vero e proprio shock culturale.Se nel caso degli alpini a chiedere aiuto e supporto erano in gran parte le mogli dei soldati, nella
Brigata Sassari, senza l’interfaccia di un’associazione volontaria come quella di Pinerolo, i
ricercatori hanno trovato più arduo ottenere adesioni al gruppo di interviste da parte delle mogli
dei militari, ma meno difficile è stato organizzare un incontro con le mogli degli ufficiali. Una di
loro, la moglie del Generale comandante, è stata molto felice ed interessata per questa iniziativa
di ricerca. “C’è qualcuno che mostra interesse verso di noi, almeno!”, ha detto. E la stessa
sensazione di isolamento sentito a Pinerolo dalle mogli dei soldati è qui avvertita proprio dalle
mogli degli ufficiali, specie quando entrambi provengono dall’esterno ed hanno a che fare con un
capitale sociale ristretto.
Parlando in generale, la situazione è migliore qui che nel primo caso, specialmente per le famigli disoldati dove le reti parentali sono forti e capaci di fornire supporto. Durante le interviste, i
ricercatori hanno avuto l’impressione che dove l’integrazione sociale è alta, l’onere di ricorrenti
missioni o semplicemente un maggiore impiego ha un peso notevolmente inferiore. Una giovane
donna ha inaspettatamente e ripetutamente dichiarato che il lavoro del marito è come uno
qualsiasi degli altri, ed anche gli impieghi all’estero ed i lunghi mesi di solitudine erano parte di una
scelta accettata senza particolari problemi.
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