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VISCO 03 dispensa

Mar 17, 2016

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Provider: Fabiano Group S.r.l. - Reg. San Giovanni 40 - 14053 Canelli (AT) Tel. 0141 827827 - Fax 0141 033112 - e-mail: [email protected] Estratto da Modulo didattico n. 3 del Percorso Formativo “Viscochirurgia: strumenti, tecniche diagnostiche e follow up nel settore oftalmologico” (Rif. 77-922), della durata complessiva di 9 ore. Numero di crediti assegnati al programma FAD una volta superato il test di apprendimento: 9.
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Numero di Accreditamento Provider: 77Data di Accreditamento Provvisorio: 22/04/10 (validità: 24 mesi)La Fabiano Group è accreditata dalla Commissione Nazionale a fornire programmi di formazione continua per medici chirurghi con specializzazione in Oftalmologia e Ortottisti/Assistenti in Oftalmologia e si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di queste attività ECM.Iniziativa FAD rivolta a Medici Oculisti e Ortottisti/Assistenti in Oftalmologia.Obiettivo formativo: Innovazione tecnologica: valutazione, miglioramento dei processi di gestione delle tecnologie biomediche e dei dispositivi medici. Technology Assessment

Modulo didattico n. 3 del Percorso Formativo “Viscochirurgia: strumenti, tecniche diagnostiche e follow up nel settore oftalmologico” (Rif. 77-922), della durata complessiva di 9 ore.Numero di crediti assegnati al programma FAD una volta superato il test di apprendimento: 9.

Formazione a Distanza

Provider:

Fabiano Group S.r.l. - Reg. San Giovanni 40 - 14053 Canelli (AT) Tel. 0141 827827 - Fax 0141 033112 - e-mail: [email protected]

Estratto da

VISCOVISCOCHIRURGIACHIRURGIA

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Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri con customizzazione a guida pachimetrica nel trattamento del cheratocono 4Leopoldo Spadea

Chirurgia della cataratta con tecnica B-MICS 12Gian Maria Cavallini

La vitrectomia nella retinopatia diabetica 24Marco Andrea Pileri

Valutazione del tono in pazienti sottoposti a faco, impianto di IOL e vitrectomia simultanei con uso di sodio ialuronato 1.8% in C.A. 31Fabio Fiormonte

Triamcinolone acetonide in soluzione viscoelastica per via juxtasclerale nel trattamento dell’edema maculare diabetico refrattario 36Paolo Lanzetta

Nuovi concetti su farmaci biologici e patologie infi ammatorie oculari 46Piergiorgio Neri

Indice dei contenutiIndice dei contenuti

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Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri con customizzazione a guida pachimetrica nel trattamento del cheratocono

Leopoldo Spadea

Università degli Studi di L’Aquila – Ospedale San Salvatore – Clinica Oculistica

RIASSUNTO Scopo: Valutare l’effi cacia e la sicurezza del trapianto di cornea lamellare customizzato a guida pachimetrica

(CLAT) utilizzando un laser ad eccimeri ultraveloce in occhi affetti da cheratocono.

Materiali e Metodi: 30 occhi di 30 pazienti (età media 34,9 ± 8.4 aa; range 21-55), affetti da cheratocono

2 – 3 stadio, sono stati sottoposti ad intervento di CLAT tra giugno 2006 e gennaio 2008. Il programma

fotoablativo è stato calcolato dal software CLAT basata sui dati della pachimetria tomografi ca. Gli interventi

chirurgici sono stati eseguiti in anestesia locale. L’ablazione transepiteliale del laser ad eccimeri è stata piani-

fi cata in modo da lasciare un letto corneale residuo uniforme di 200 µm, la lamella del donatore, preparata

sempre con il laser ad eccimeri, è stata suturata alla cornea del ricevente utilizzando 16 punti staccati in

nylon 10,0.

Risultati: I controlli post-operatori sono stati eseguiti a 1, 3, 6, 9, 12 e 24 mesi dopo l’intervento. Dopo un

follow-up di due anni tutti i pazienti hanno presentato una cornea trasparente con un UCVA postoperatorio

pari o superiore a 3/10 in 19 di 30 occhi (63.3%) e un BSCVA pari o superiore a 7/10 in 28 (93.3%). Il pattern

topografi co è migliorato in tutti gli occhi. La densità delle cellule endoteliali è rimasta invariata (1977 vs 1942

cell/mm2) e non si sono verifi cate complicanze nel corso del follow-up.

Conclusioni: Il trapianto di cornea lamellare customizzato a guida topografi ca, utilizzando un laser ad

eccimeri ultraveloce, è una tecnica sicura ed effi cace nel cheratocono, e può evitare la cheratoplastica

perforante.

ABSTRACT Purpose: To evaluate the effi cacy and safety of optical pachymetry guided customized corneal lamellar transplan-

tation (CLAT) using an ultrafast excimer laser in keratoconic eyes.

Materials and Methods: Thirty eyes of 30 patients (mean age 34.9±8.4yrs; range 21 to 55), affected by 2nd to

3rd stage keratoconus, underwent CLAT procedures between June 2006 and January 2008. The ablation profi le,

calculated by CLAT software, was based upon tomographic data. The surgeries were performed under local ane-

sthesia. The transepithelial excimer laser ablation was planned to leave a uniform estimated residual corneal bed

of 200µm; the donor lamella, prepared by the iRES excimer laser, was sutured to the host cornea using 16 single

nylon 10.0 stitches.

Results: The follow-up examinations were performed at 1, 3, 6, 9, 12 and 24 months post-operatively. After a

follow-up of two years all patients presented clear corneas with a postoperative UCVA better than 3/10 in 19 of

30 eyes (63.3%) and a BSCVA equal or better than 7/10 in 28 (93.3%). The topographic pattern improved in all

eyes. The endothelium cell density were unchanged (1977 vs 1942 cell/mm2). There were no observed complica-

tions during the follow-up period.

Conclusions: Tomographically guided customized corneal lamellar transplantation using an ultrafast excimer laser

is a safe and effective technique treatment of early stage keratoconus, avoiding the necessity of the more invasive

procedure penetrating keratoplasty.

>>

PAROLE CHIAVE pachimetria assistita

laser ad eccimericheratoplastica lamellare

cheratocono

KEY WORDS pachymetry-guided

customizationexcimer laser

lamellar keratoplastykeratoconus

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>> IntroduzioneLa cheratoplastica perforante (PK) rappresenta attualmente la tecnica chirurgica più standardiz-zata ed utilizzata per il trattamento del cherato-cono. Questa procedura implica l’apertura della camera anteriore e la sostituzione della cornea-le in tutto il suo spessore compreso l’endotelio, benché quest’ultimo sia raramente interessato dalla malattia. La PK espone inevitabilmente il paziente al rischio di complicanze intraoculari, quali endoftalmite, emorragia espulsiva, catarat-ta e glaucoma. Lo scompenso endoteliale tardi-vo e il rigetto del trapianto possono insorgere in qualsiasi momento dopo l’intervento. Il follow-up dei pazienti durerà per tutta la vita ed il rischio di fallimento del trapianto, seppur basso, non svani-rà mai completamente.Negli ultimi anni l’idea di trattare il cheratocono con procedure meno invasive è divenuta una re-altà grazie all’introduzione di tecniche chirurgi-che innovative e di strumenti tecnologicamente più avanzati. La disponibilità di metodiche “mi-ninvasive”, sicure ed affi dabili, sta modifi cando la gestione del paziente con cheratocono, con-sentendo di anticipare il timing della chirurgia, consentendo una riabilitazione visiva più preco-ce ed un sensibile miglioramento della qualità di vita del paziente. Per la giovane età di questi pa-zienti, è bene seguire una condotta terapeutica “step-by-step” preferendo, laddove sussistano le indicazioni, intervenire inizialmente con tec-niche meno invasive, rimandando il più a lungo possibile l’esecuzione di una PK.Negli ultimi venti anni i laser ad Argon-Fluoride, chiamati anche laser ad eccimeri (abbreviativo per dimeri eccitati), sono stati sviluppati progres-sivamente ed ampiamente affermati nella chirur-gia rifrattiva. Alla lunghezza d’onda di 193 nm, i fotoni ad alta energia rompono i legami mole-colari organici del tessuto superfi ciale corneale, in un processo chiamato fotodecomposizione ablativa. Le particelle sono espulse ad alta ve-locità, il che aiuta a dissipare la maggior parte dell’energia.1 Nella tecnica della cheratopla-stica fototerapeutica (PTK), il laser ad eccimeri viene utilizzato come strumento chirurgico per trattare una larga varietà di patologie della su-perfi cie corneale. L’ablazione è controllata da una radiazione laser fi no a 12 mm di ampiezza; questa tecnica produce una superfi cie liscia e trasparente, riducendo al minimo necessario

la rimozione tissutale.2 Date tali caratteristiche alcuni Autori hanno proposto l’uso del laser ad eccimeri nella procedura PTK per la cheratopla-stica lamellare, al posto dell’uso del microchera-tomo.3 La notevole utilità del laser ad eccimeri per la cheratoplastica lamellare è dovuta alla sua capacità di rimuovere tessuto con microscopica precisione, risultato non ottenibile con altre tec-nologie. Pertanto nei pazienti con cheratocono negli stadi più precoci è stata sviluppata la tec-nica della cheratoplastica lamellare a spessori differenziati con laser ad eccimeri (ELLK).4-6 La ELLK è una procedura nella quale viene eseguita sulla cornea del paziente una ablazione profon-da e piana con laser ad eccimeri ed una lamella donatrice, preparata con microcheratomo, viene suturata sul letto della cornea ricevente. La ELLK ha caratteristiche di semplicità e sicurezza: nel caso della PTK si usa una fotoablazione di circa 7-8 mm di diametro centrato sulla pupilla, pro-teggendo la periferia della cornea con una ma-schera diaframmata. La profondità di ablazione è impostata in modo tale da lasciare circa 200 µm di spessore corneale al punto più sottile6, senza indurre alcun mutamento endoteliale. Successi-vamente, viene creata una tasca periferica con un tagliente crescent-knife e posizionata sul letto della cornea ricevente la lamella del donatore, di diametro maggiore, così da ripristinare una su-perfi cie corneale anteriore regolare. I vantaggi dal punto di vista anatomico e funzionale sono stati evidenti, ma in alcuni casi disordini di natura meccanica sono persistiti, con la formazione di strie profonde, specialmente nelle ectasie avan-zate e in quelle decentrate (Figura 1).L’introduzione del laser ad eccimeri di nuova ge-nerazione, che possano praticare delle ablazioni customizzate, ha consentito l’esecuzione di abla-zioni corneali personalizzate, realizzando nella stessa cornea rimozioni ablative di profondità variabile, pianifi cate in relazione allo spessore corneale. Intorno all’anno 2000 è stata sviluppata la tecnica CLAT® (Corneal Lamellar Ablation for Transplantation), con lo scopo di ripristinare un gradiente pachimetrico corneale normale, per Figura 1

Immagine OCT corneale 5 anni post-ELLK: si evidenziano numerose strie profonde legate a disordini di natura meccanica secondarie alle discrepanze morfologiche tra letto ricevente e lamella donatrice

Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri con customizzazione a guida pachimetrica nel trattamento del cheratocono

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mezzo di dispositivi che forniscono le mappe corneali pachimetriche e altimetriche anteriori e posteriori.7 Per questa tecnica è utilizzata una particolare piattaforma di chirurgia rifrattiva, ovvero un si-stema integrato di apparecchiature e softwares dedicati a personalizzare la chirurgia rifrattiva e terapeutica secondo le necessità uniche ed indi-viduali di ciascun paziente (Figura 2).

>> Pazienti e MetodiA seguito di un’esperienza di circa sei anni du-rante i quali sono stati sottoposti 80 occhi con cheratocono ad intervento di ELLK6, 30 occhi in 30 pazienti di età compresa tra 21 e 55 anni (età media 34.9 ± 8.4 anni) affetti da cheratoco-no 2-3° stadio sono stati sottoposti ad intervento chirurgico con tecnica CLAT® tra il marzo 2006 ed il febbraio 2008. I criteri di inclusione in questo studio prospetti-co non comparativo sono stati pazienti affetti da cheratocono con acuità visiva corretta con lenti a tempiale inferiore a 5/10, intolleranza alle lenti a contatto, assenza di opacità corneali profonde e pachimetria corneale maggiore di 350 µm. Criteri di esclusione sono stati gravidanza, dia-bete, patologie del tessuto connettivo, glauco-ma o ipertensione endoculare (>20 mmHg), sindrome dell’occhio secco, disordini retinici o ambliopia. Tutti i pazienti inclusi nello studio sono stati sot-toposti a visita oculistica completa comprenden-te UCVA (visus naturale), BSCVA (visus corretto con occhiali), biomicroscopia con lampada a fessura, misurazione della pressione endoculare ed esame del fondo.

Lo spessore e la topografi a corneale sono sta-ti acquisiti durante ogni visita mediante l’utiliz-zo del tomografo computerizzato a tecnologia Scheimpfl ug e per l’astigmatismo cheratometri-co è stato preso in considerazione il differenziale a 3 mm. Il pattern endoteliale corneale è stato esaminato con l’utilizzo del microscopio endoteliale specu-lare non a contatto.

>> Tecnica chirurgicaLa CLAT® è un processo chirurgico trifasico: nel primo si prepara la lamella donatore con il la-ser ad eccimeri, nel secondo si pratica la foto-ablazione customizzata sulla cornea del pazien-te e nella terza la lamella viene suturata sul rice-vente.

Preparazione della lamella donatriceLa cornea del donatore, dopo essere stata punzo-nata con il sitema di Hanna con un diametro di 8 mm, viene posizionata su uno speciale supporto concavo con l’endotelio rivolto in alto. Il chirurgo riduce con il laser in modo uniforme lo spessore della cornea del donatore. La cornea del donatore è successivamente posi-zionata su un supporto convesso, con il versante epiteliale esposto per l’ablazione con laser ad eccimeri, utilizzando uno speciale supporto ro-tante, che consente la realizzazione di una sella perimetrale di profondità e larghezza prestabiliti (Figura 3).

Fotoablazione del letto corneale riceventeLa cornea ricevente viene preparata grazie all’utilizzo di una mappa pachimetrica tridimen-

Figura 3Preparazione lamella

Figura 2Tomografo computerizzato

a tecnologia Scheimpfl ug

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Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri con customizzazione a guida pachimetrica nel trattamento del cheratocono

sionale ed alla pianifi cazione di un letto corne-ale di spessore uniforme, facendo riferimento esclusivamente alla superfi cie posteriore della cornea. Il volume irregolare di cornea sopra-stante questa superfi cie ideale viene rimosso tramite laser (spot gaussiano di 650 µm, 1000 Hz, 193 nm), con il paziente sotto anestesia topica (ropivacaina 1%). L’ablazione è eseguita in mo-dalità transepiteliale, con l’uso di una maschera diaframmata di 8 mm di diametro, per ottenere bordi di ablazione verticali e regolari. Viene pianifi cata l’ablazione affi nché lo spes-sore stromale minimo residuo del letto cornea-le ricevente misuri 200 µm, che sia di spessore omogeneo e che si comporti pertanto come una membrana. La membrana è un corpo che non possiede rigi-dità trasversale e pertanto può essere sollecitato esclusivamente da forze lungo l’asse principale autoposizionandosi sempre lungo superfi ci iso-statiche. Pertanto ad ablazione ultimata, il letto si posizionerà in maniera tale da eliminare la de-formazione indotta dal cono (Figura 4).

Impianto della cornea del donatoreCon l’ausilio di un bisturi crescent-knife viene slamellata manualmente per i 360° corneali una tasca periferica e quindi la lamella donatrice, precedentemente preparata, viene posizionata sopra il letto ricevente e suturata. Sia la lamella che l’interfaccia devono essere accuratamente irrigati con una soluzione salina bilanciata. Suc-cessivamente la lamella donatrice ed il letto stro-male vanno asciugati per mezzo di spugnette prive di fi bre, per poter rimuovere ogni piccolo detrito e mantenere la lamella in una posizione centrale, aumentando l’adesione del bottone all’interfaccia.

Asciughini privi di fi bre e guanti chirurgici che non abbiano tracce di talco giocano un ruolo fondamentale nella prevenzione di opacità e altri disordini all’interfaccia. La lamella corneale vie-ne usualmente assicurata al ricevente con 4 su-ture in nylon 10/0, posizionate ai punti cardinali, ore 3, 6, 9 e 12, e poi mediante 16 punti staccati, sempre con monofi lamento in nylon 10/0 (Figura 5). A conclusione dell’intervento chirurgico, ven-gono eseguiti aggiustamenti intraoperatori delle suture, secondo uno schema già pubblicato in precedenza8 e viene applicata una LAC morbi-da terapeutica. La riepitelizzazione della superfi cie corneale si completa solitamente nell’arco di 4-8 giorni dal trapianto, e durante questo lasso temporale ven-gono instillati colliri a base di antibiotici topici (ofl oxacina 3%) 3 volte die e lacrime artifi ciali (ialuronato di sodio 0.1%) 6 volte die. Quindi corticosteroidi in collirio (desametasone 0.1%), che vengono prescritti per almeno un mese e poi ridotti o bilanciati in base alle condizioni cor-neali.

>> RisultatiNello studio sono stati inclusi 30 occhi in 30 pa-zienti (19 uomini e 11 donne), con età compresa tra i 22 e i 53 anni (età media 31.1 ± 9 aa), con un follow-up minimo di 24 mesi. La profondità di ablazione media è stata di 185.5 ± 30.7 µm (range da 110 e 200 µm). Il diametro totale della lamella del donatore è stato di 9 ± 0.3 mm (range da 8.5 e 9.8 mm) mentre lo spessore della lamel-la ha presentato un valore medio di 411.7 ± 24.1 µm (range da 379 e 441 µm). La conta endote-liale preoperatoria era in media di 1987 cellule/mm2 (± 211 DS) (range da 1808 cellule/mm2 a

Figura 5Immagine post operatoria: dettaglio suture

Figura 4Ablazione cornea con KC

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2489 cellule/mm2), il diametro della pupilla foto-pica era in media di 3.83 mm (± 0.58 DS), il dia-metro medio della pupilla scotopica di 6.45 mm (± 0.72 DS), il diametro pupillare ideale è stato in media di 5.52 mm (± 0.7 DS). Tutte le cornee si sono presentate trasparenti in prima giornata postoperatoria, mentre la riepitelizzazione si è completata entro 2 settimane dall’intervento (Fi-gura 6). Le suture chirurgiche sono state rimosse tra il secondo ed il sesto mese postoperatorio e non ci sono state reazioni immunologiche, casi di vascolarizzazione corneale o infezioni. Non si è registata alcuna complicanza intraope-ratoria né alcuna complicanza che compromet-tesse la visione nel post-operatorio. In un pazien-te è stato necessario sostituire la lamella dopo circa 20 giorni dal trattamento, a causa di alterati processi di riepitelizzazione. L’analisi dei valori pre e postoperatori del visus naturale (UCVA) e del visus corretto (BSCVA) nei pazienti sottoposti a cheratoplastica lamellare con tecnica CLAT® per il trattamento del cheratocono e inseriti nello studio in questione ha fornito risultati statistica-mente rilevanti. L’UCVA postoperatorio è stata pari o superiore a 3/10 in 10 dei 30 occhi trattati (33.3%) a tre mesi, in 13 (43.3%) a 6 mesi, in 16 (53.3%) ad un anno, ed in 19 (63.3%) nel con-trollo a due anni (Figura 7). Dopo il trattamento chirurgico il numero dei pazienti con un BSCVA pari o superiore a 7/10 è salito a 16 (53.3%) a 3 mesi, 18 (60%) a 6 mesi, 22 (73.3%) a un anno, e 28 (93.3%) a due anni (Figura 7).Il decremento medio dell’equivalente sferico (MRSE) dal preoperatorio al follow-up postope-ratorio a 3 mesi è stato statisticamente signifi ca-tivo, e tale è rimasto per tutto il decorso posto-peratorio (Figura 7). Non ci sono state differenze signifi cative per quanto riguarda il cilindro resi-

duo, eccetto che al follow-up dei 2 anni. Il valore medio dei K cheratometrici ottenuti dalla topo-grafi a corneale è signifi cativamente diminuito nel confronto tra la visita preoperatoria e quella postoperatoria. A 2 anni i patterns topografi ci sono stati classifi cati come astigmatismo regola-re in 22 (73.3%) dei 30 occhi (Figura 8). Durante il periodo di follow-up, i patterns corneali sono rimasti stabili in tutti gli occhi e non è stata rile-vata alcuna modifi cazione sostanziale. Il valore minimo della pachimetria corneale è aumentato signifi cativamente dal preoperatorio ai 3 mesi dopo la CLAT®. Non è stato riscontrato nessun cambiamento degno di nota nello spessore corneale dai 3 mesi postoperatori fi no alla fi ne del follow-up (Figura 9). Similmente non c’è evi-denza di differenze statisticamente signifi cative nei valori della conta endoteliale (ECD), né del coeffi ciente di variazione cellulare endoteliale (CoV) nel confronto tra il pre ed il postoperatorio (Figura 10).

>> DiscussioneNelle procedure di cheratoplastica lamellare nel cheratocono, il principio è quello di rimuovere solo le porzioni alterate della cornea lasciando la membrana di Descemet e l’endotelio del ri-cevente. Con questa chirurgia l’endotelio del paziente non viene danneggiato, può fungere da barriera immunologica nei confronti del rigetto e il suo depauperamento progressivo non è così marcato come accade nella PK. I criteri di idoneità per selezionare le cornee do-natrici da utilizzare in una LK sono meno stretti. Infatti le cornee scartate perché non adatte agli interventi di PK per problemi a carico dell’en-dotelio, possono essere impiegate per le pro-

Figura 7Diagrammi del follow up

MRSE e dell’acutezza visiva

Figura 6 Immagine clinica e

OCT Visante

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Cheratoplastica lamellare con laser ad eccimeri con customizzazione a guida pachimetrica nel trattamento del cheratocono

cedure lamellari. Oltre a ciò, la conservazione delle cornee presenta meno diffi coltà. Infatti nelle procedure di LK si possono impiegare sia lamelle corneali fresche sia lenticoli disidratati e conservati per lunghi periodi. Grazie a que-sti vantaggi nelle procedure di “Eye Banking” i tempi di attesa per l’intervento possono essere sensibilmente ridotti.La LK con laser ad eccimeri eseguita con tecni-ca CLAT® rapresenta un’importante evoluzione della tecnica ELLK, ed è una procedura in cui sia la superfi cie anteriore della cornea del rice-vente, sia la faccia posteriore della lamella del donatore vengono sottoposte a fotoablazione laser in modo tale da eliminare il tessuto corne-ale patologico e preparare il letto corneale rice-vente sul quale sarà suturata la lamella corneale da trapiantare. La particolarità di questa tecnica risiede nella pressoché totale customizzazione del letto ricevente e della lamella del donatore, in modo tale da ridurre al minimo, od addirittura eliminare, la possibilità di problemi all’interfac-cia nel postoperatorio. Nei pazienti con cornee assottigliate ed ectasiche, questa metodica per-mette di ristabilire uno spessore corneale ade-

guato (> 500 µm) ed una superfi cie regolare con normali valori cheratometrici (< 50 D). Nel nostro studio la tecnica CLAT® permette di ottenere un aumento soddisfacente dello spessore corneale in tutti i pazienti, ripristinando l’integrità struttu-rale ed ottica del tessuto (Figura 11).Dopo l’intervento l’acuità visiva dei pazienti ha mostrato un miglioramento abbastanza lento ma progressivo, con un risultato fi nale molto sod-disfacente. È possibile che alterazioni a carico dell’interfaccia possano pregiudicare in modo non prevedibile, in alcuni casi anche in manie-ra permanente, l’integrità e la qualità ottica del trapianto, compromettendo il recupero visivo dei pazienti. La LK con laser ad eccimeri eseguita con tecnica CLAT® riduce al minimo questo tipo di rischio. Infatti l’interfacia in tutti i casi osser-vati è sempre stata ottimale, e non si sono mai notati fenomeni signifi cativi di haze che potes-sero infi ciare la visione. D’altronde è noto come, nelle procedure di LASIK, la risposta riparativa nell’interfacia del fl ap sia del tutto assente e la procedura terapeutica della CLAT® ricalca mol-to questa procedura rifrattiva. Questo risulta-to potrebbe dipendere dall’estrema regolarità

Figura 9Diagrammi delle variazioni dei valori cheratometrici, della pachimetria e della conta endoteliale

Figura 11Quadro clinico di controllo

Figura 8Pattern topografi ci

Figura 10Pattern endoteliale

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della dissezione laser e dalla presenza di una superfi cie di supporto uniforme, capace di sta-bilizzare la giustapposizione tra letto e lembo, semplifi cando la sutura.Non è stata osservata nessuna differenza stati-sticamente signifi cativa (p > 0.05) tra la densi-tà delle cellule endoteliali pre e postoperatoria. Dopo l’intervento l’astigmatismo è migliorato passando da un valore medio preoperatorio di 5.8 D a 3.4 D. Nelle procedure di LK è possibile modulare l’astigmatismo postoperatorio rimuo-vendo precocemente e selettivamente i punti staccati delle suture. In questa maniera la stabi-lizzazione della rifrazione del paziente può es-sere anticipata.

>> ConclusioniLa cheratoplastica lamellare eseguita con l’au-silio del laser ad eccimeri a guida pachimetri-ca consente nei pazienti affetti da cheratocono

di ripristinare una cornea di forma e spessore normali. La peculiarità di questa tecnica risiede nell’ablazione customizzata dello spessore sia del letto ricevente che della lamella donatrice. Nella nostra esperienza la CLAT® con l’utilizzo di un laser ad eccimeri ultra-veloce consente di ottenere un’adeguata correzione dello spessore corneale del paziente, utile per ripristinare in occhi affetti da cheratocono l’integrità corneale ottica e strutturale. Evitando le irregolarità pachi-metriche nella cornea postoperatoria, la CLAT® consente così di ottenere un valido recupero funzionale, con risultati rifrattivi signifi cativamen-te migliori di altre tecniche che si avvalgono di microcheratomo o lasercheratomo. È possibile concludere che il trapianto lamellare di cornea customizzato a guida pachimetrica con laser ad eccimeri sia una tecnica sicura ed effi cace per il trattamento di casi selezionati di cheratocono, tale da poter essere considerata una valida alter-nativa alla PK.

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>> Bibliografia

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NOTE

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RIASSUNTO Gli Autori presentano una review sulla microfacoemulsifi cazione bimanuale nella chirurgia della cataratta. Vengono considerate le indicazioni, la tecnologia della strumentazione dedicata, la tecnica chirurgica in ogni sua fase e l’ap-plicazione in casistiche complesse. Vengono discusse le caratteristiche particolari della tecnica, le differenze con la tecnica microcoassiale e le prospettive future.La B-MICS risulta essere una tecnica chirurgica indicata per tutti i tipi di cataratta ed ha una particolare indicazione per le cataratte complicate poiché la stabilità di camera, il ridotto leakage, la buona visibilità e bimanualità consento-no di affrontare in sicurezza situazioni operatorie complesse con un minimo traumatismo chirurgico.

ABSTRACT The Authors present a review about B-MICS, bimanual microincision cataract surgery. Indications, dedicate instru-ments technology, surgical technique step by step and application into complex cases are taken into account. Tech-nique characteristics, differences with C-MICS (coaxial microincison cataract surgery) and future perspectives are discussed. B-MICS is a surgical technique for every type of cataract and is indicated particularly for complicated cataract becau-se provides chamber stability, low leakage and good visibility to approach safely complex operative situations with a minority surgical trauma.

>>

PAROLE CHIAVE B-MICS

microincisionitecnica chirurgica

cataratta complicata

KEY WORDS B-MICS

microincisionssurgical technique

complicated cataract

>> IntroduzioneAbbiamo iniziato ad utilizzare la tecnica B-MICS (Bimanual Micro Incision Cataract Surgery), nel-la chirurgia della cataratta nel 2004 e da allora non l’abbiamo più abbandonata. In questi anni abbiamo potuto apprezzare le varie innovazioni tecnologiche che ad essa sono state applicate e che ne hanno sancito il riconoscimento da parte della comunità scientifi ca.Si stima che in Europa il 34% dei chirurghi uti-lizzi per la chirurgia della cataratta una tecnica microincisionale e che il 27% degli operatori la esegua in modo coassiale, mentre il 7% in mo-dalità bimanuale con la separazione dell’infusio-ne dalla tip degli ultrasuoni. Si presume che nei prossimi due anni più del 50% dei chirurghi eu-ropei inizieranno ad utilizzare questa tecnica1.Il termine MICS (Micro Incision Cataract Surgery), oggi comunemente utilizzato, venne coniato da

Aliò2,3 e rimane tutt’oggi l’acronimo che più felice-mente racchiude i principali vantaggi della tecnica chirurgica: l’idea di una microchirurgia della cata-ratta conferisce alla facoemulsifi cazione un valore aggiunto fondamentale, ovvero un’eccellenza qua-litativa fi no a quel momento insperata. Nonostante un iniziale clima di scetticismo in merito all’utilità della procedura, la validità dei risultati ottenuti hanno consentito alla MICS di af-fermarsi diffusamente e rapidamente. Se oggi infatti ci sembra naturale considerare l’in-tervento di cataratta anche da un punto di vista puramente refrattivo, lo si deve in gran parte al continuo perfezionamento in ambito chirurgico. Le due tipologie di microincisione sono la mi-crofacoemulsifi cazione coassiale (C-MICS) e la microfacoemulsifi cazione bimanuale (B-MICS): nella tecnica coassiale (Figura 1) l’incisione cor-neale oscilla tra 1,8 mm e 2,0 mm con la tip del

Chirurgia della cataratta con tecnica B-MICS Gian Maria Cavallini

Università degli Studi di Modena e Reggio EmiliaAzienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di ModenaStruttura Complessa di Oftalmologia

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Chirurgia della cataratta con tecnica B-MICS

facoemulsifi catore e lo sleeve da infusione inte-grati nello stesso manipolo, nella tecnica bima-nuale (Figura 2) la tip del facoemulsifi catore è separata dall’irrigazione consentendo di ridur-re ulteriormente il diametro di incisione fi no a 1,4 mm per incisione (Figura 3). Attualmente quindi la B-MICS è la tecnica che consente le incisioni più piccole nella chirurgia della cataratta e promette tagli ancora più ridotti nel momento che l’innovazione tecnologica for-nirà strumenti sempre più sottili e lenti intraocu-lari adeguate.Lo scopo di questa review è quello di presentare la B-MICS quale tecnica chirurgica di scelta non solo nelle cataratte senili semplici, ma anche, e soprattutto, nelle cataratte complicate dove la si-curezza e i risultati dell’intervento vengono esal-tati maggiormente.

>> Indicazioni e VantaggiLa tecnica di microfacoemulsifi cazione bima-nuale può essere attualmente applicata senza re-strizioni a tutte le tipologie di pazienti e nel tratta-mento di ogni tipo di cataratta. Può essere infatti utilizzata come tecnica di routine per l’estrazio-ne di cataratte semplici, con nuclei di varia du-rezza e densità (tutti i gradi della classifi cazione LOCS III), o complicate. Cataratte sub lussate, post-traumatiche, congenite, cataratte in corso di vitrectomia o di trapanotrabeculectomia4, 9, pos-sono essere agevolmente operate con tecnica B-MICS, con bassa percentuale di ultrasuoni. L’utilizzo di strumenti più piccoli e delle microin-cisioni rendono inoltre questa procedura chirur-gica molto adatta per il trattamento delle catarat-te infantili10. I principali vantaggi della tecnica bimanuale non risiede tanto nella microincisione in sé (che co-

munque ha notevoli vantaggi), ma nella gestione della fl uidica e nella separazione delle sonde, prerogative uniche di questa tecnica11, 14.Separando i vantaggi che si ottengono nel mo-mento chirurgico da quelli relativi al paziente avremo la seguente suddivisione:a) Vantaggi relativi al momento chirurgico: aumentata stabilità della camera anteriore gra-zie alla riduzione del leakage dalle microinci-sioni15; miglior followability dovuta alla separazione dell’infusione dall’aspirazione, senza quella competizione che di norma si forma nelle pun-te coassiali con sleeve15; utilizzo del chopper irrigante come secondo strumento chirurgico e migliore gestione del fl usso di irrigazione che può essere orientato in modo più razionale ed utile15; la possibilità di scambiare le sonde da una mano all’altra consente di muoversi all’interno del segmento anteriore per 360°, orientando l’infusione e l’aspirazione a seconda dell’esi-genze16; l’EPT (effective phaco time) ridotto comporta una chirurgia più effi ciente17; esecuzione delle differenti fasi di facofrattura in un sistema a bulbo chiuso con camera sta-bile ed eccellente visibilità grazie alla miniatu-rizzazione degli strumenti10;

b) Vantaggi relativi al paziente:risiedono essenzialmente nelle microincisioni che: producono un astigmatismo indotto irrilevante e una minima alterazione aberrometrica13, 18; producono un recupero postoperatorio più ve-loce con acuità visiva fi nale qualitativamente eccellente19; determinano un minore rischio di infezioni postchirurgiche20.

Figura 1Tip del facoemulsifi catore con microsleeve per C-MICS con incisione da 1.8 mm

Figura 2Tip del facoemulsifi catore senza microsleeve per B-MICS con chopper irrigante attraverso incisioni da 1.4 mm

Figura 3Confronto fra Tip da facoemulsifi cazione da 20 G con e senza microsleeve rispettivamente per C-MICS e B-MICS

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>> TecnologiaTutti i facoemulsifi catori più moderni sono ormai predisposti per i settaggi (Tabella 1) della tecni-ca B-MICS 21. Tra i facoemulsifi catori più diffusi vi sono: Sistema WhiteStar Signature

Il nuovo sistema Signature con Fusion Fluidi-cs (Figura 4), che incorpora la tecnologia ICE (Increased Control & Effi ciency), rappresenta una sofi sticata novità nella facoemulsifi cazio-ne: è stata sviluppata per ridurre il tempo tota-le degli ultrasuoni modifi cando l’intervallo tra la fase ON e la fase OFF. Il programma Pulse Shape permette il rimo-dellamento dei classici ultrasuoni a “square wave”, creando un’estensione dell’ampiezza nel primo millisecondo (“Kick”). Questo crea un micro-spazio tra la tip del faco e il mate-riale catarattoso attraverso cui la BSS penetra, incrementando cosi l’effetto cavitazionale. Di conseguenza, si può ottenere una maggiore effi cacia degli ultrasuoni.Inoltre, il nuovo sistema CASE control (Chamber Automated Stabilization Environment) (Figura 5) permette la modulazione del surge post-occlu-sivo, riducendo i livelli di vacuum in un range di 26 msec, attraverso una rapida rotazione inversa della pompa. Questa funzione offre il vantaggio di ridurre l’effetto surge fi no al 56% con sonde da 20G; il chirurgo può quindi operare con livelli di vacuum più alti e ottima stabilità della camera anteriore.Con il nuovo software Variable WhiteStar è pos-sibile scegliere, tramite il pedale, tra quattro dif-ferenti duty cycles, permettendo al chirurgo di adattarsi specifi camente ai differenti tipi di cata-ratta. Crediamo comunque che il reale vantaggio di questo software può essere apprezzato nella sua capacità di creare micropulsazioni di 4 milli-

secondi (iperimpulsi), riducendo cosi l’emissio-ne di di ultrasuoni. Sistema Stellaris Vision Enhancement

Il Sistema Stellaris Vision Enhancement, è stato lanciato sul mercato nel Settembre 2007. È una macchina estremamente funzionale, con un de-sign futuristico (Figura 6), e presenta diversi van-taggi rispetto ad altre unità: un semplice sistema compatto che è assistito da un video su monitor touchscreen; il pedale a doppia linea che è, per la prima volta, wireless, riducendo così l’ingom-bro in sala operatoria; il video rende possibile vi-sualizzare l’intervento chirurgico sullo schermo. La fl uidica è controllata da un sistema a doppia pompa, che è intercambiabile durante la chirur-gia, attraverso la tecnologia di fl uidica EQ. “EQ” sta per “Equalizing”, signifi ca cioè che infusione e aspirazione lavorano in mutuo equilibrio. L’Ad-vanced Flow System è una pompa peristaltica di nuova generazione che permette un controllo molto buono sul surge, grazie alla presenza di un sistema ibrido di venting (che lavora sia con aria che con fl uidi), e grazie a una maggiore rigidità del materiale dei tubi e del trasduttore.Ma la vera innovazione di questa macchina è l’Advanced Vacuum System. È un sistema avan-zato di controllo del vacuum, che è basato su una pompa centrifuga con una valvola Venturi. Questa pompa è collegata a un applicatore di pressione interno, e offre la stessa performance di una pompa Venturi (da 0 a 600 mmHg in 1,3 sec), ma con la sicurezza di un’aspirazione co-stante, e la stabilità di un StableChamber pack.Il tutto fornisce un potere di tenuta migliore con valori alti di vacuum, e ridotto fl usso, cosi da pre-venire la perdita di stabilità camerulare e ridurre il surge post-occlusivo. Il nuovo Stellaris Custom Control System II, per-mette al chirurgo di scegliere tra differenti mo-

Tabella 1

Parametri facoemulsifi catore per B-MICS

U/S (%) Vacuum Altezza (mmHg) (cm)

fase 1 25 100 110

fase 2 30 250 110

fase 3 5 200 110

I/A - 400 120

Figura 5Cruise Control: restrittore di fl usso che trattiene i frammenti lenticolari

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Chirurgia della cataratta con tecnica B-MICS

dalità di emissione di ultrasuoni: continua, pulsa-ta o a microimpulsi (singoli o multipli). La sonda faco è estremamente innovativa; è più piccola e più leggera, con un design comodo ed ergonomico. Questa sonda faco rappresenta una chiara evoluzione tecnologica soprattutto per la presenza di sei cristalli piezo-elettrici (invece di quattro), che lavorano a 28,5 kHz, contro i 40 kHz delle comuni sonde, permet-tendo cosi un maggior prolungamento degli ultrasuoni, con minore generazione di energia elettrica, una migliore effi cacia e una ridotta di-spersione termica. Le connessioni per le linee di irrigazione e di aspirazione ora hanno un si-stema per prevenire la disconnessione durante la chirurgia. OS3 (Ophthalmic Small-incision Surgery

System) Il nuovo OS3 (Figura 7) è un gruppo modulare che può funzionare sia come Facoemulsifi catore sia come Vitrectomo, ed è caratterizzato da un si-stema di fl uidica a circuito chiuso che previene le infezioni. Ha una doppia pompa venturi/peristaltica, inter-cambiabile durante la chirurgia, che può rag-giungere valori di aspirazione di 600 mmHg in 0,5 sec. Un sensore di controllo esterno che viene attivato dalla presenza di aria nel circuito, esercita un controllo sui livelli di aspirazione, riducendo così l’effetto surge. All’interno del modulo Vitrex per la vitrectomia c’è un applicatore di pressione interno, che può liberamente modulare i valori di pressione intraoculare.Il sistema utilizza il nuovo software OS1.41 che permette il controllo dell’emissione di ultrasuoni

secondo tre differenti modalità – continua, pulsa-ta o a microimpulsi.Il “CMP” (Cool Microincision Phaco) è il pro-gramma che è stato creato per eseguire la faco-emulsifi cazione in sicurezza. Il “cooling factor” è un parametro che si riferisce alla correlazio-ne tra la fase OFF e il ciclo totale di ultrasuoni nella modalità pulsata. Uno studio sperimentale ha rilevato che, con un “cooling factor” del 90% e una potenza di ultrasuoni del 100%, la tem-peratura all’interno del tunnel corneale rimane costante. Sistema Vision Infi niti con OZil torsional handpiece

Il Sistema Vision Infi niti 2.0 (Figura 8) con l’OZil torsional ultrasound handpiece è caratterizzato da una nuova sonda che produce un movimento torsionale della tip attorno al suo asse a una fre-quenza di 32 kHz, con il risultato di un signifi ca-tivo risparmio di energia e minore dispersione. Il movimento torsionale permette alla tip di emul-sifi care il materiale del cristallino durante l’intera fase ON.Inoltre, l’ampiezza delle oscillazioni è massima solo nella parte distale, mentre nella parte pros-simale è a 50%, così da non surriscaldare il tun-nel corneale. La miglior effi cacia di frammenta-zione può essere ottenuta utilizzando una tip da 20G, caratterizzata da un leggero incurvamento all’estremità di 20°. Questa tecnologia è più effi -cace nella modalità continua. Allo stesso tempo, la fl uidica del Sistema Vision Infi niti consente al chirurgo di personalizzare i parametri di fl uidica in base alla tecnica chirugica e alla patologia del paziente.

Figura 4WhiteStar Signature

Figura 6Stellaris Vision Enhancement

Figura 7OS3

Figura 8Vision Infi niti

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>> Tecnica chirurgica step by stepLe procedure di anestesia nella microfacoemulsi-fi cazione bimanuale, non si discostano da quelle comunemente utilizzate per la faco coassiale. È dunque possibile, a seconda delle abitudini del chirurgo, eseguire l’intervento previa anestesia loco-regionale con blocco retrobulbare, aneste-sia peribulbare o subtenoniana o tramite aneste-sia locale per via topica.

IncisioniUno dei punti cruciali della microfacoemulsifi ca-zione bimanuale è la corretta preparazione delle incisioni chirurgiche. Trattandosi propriamente di micro-incisioni in cornea chiara, è necessario adeguare la propria strumentazione chirurgica in modo da poter condurre agevolmente e con precisione questa prima fase dell’intervento. Di solito si utilizzano microtaglienti precalibrati con punta in diamante, che permettono l’esecuzio-ne di incisioni trapezoidali con un’apertura alla base di 1,4 mm e un’apertura interna di 1,2 mm (Figure 9 e 10). Questa particolare conformazio-ne dell’incisione consente al chirurgo di muove-re liberamente gli strumenti in camera anteriore, senza creare stress e deformazione dei margini dell’incisione, e allo stesso tempo di minimizzare il leakage durante l’intervento. Questo porta ad una maggiore stabilità della camera anteriore e ad un migliore controllo nelle varie fasi chirur-giche. L’incisione trapezoidale ha inoltre il vantaggio di essere “self-sealing”, ovvero auto-chiudente, per un meccanismo a valvola dei margini della ferita che tendono a collabire al termine dell’interven-to. È dunque importante che le microincisioni vengano costruite correttamente: un’incisione troppo stretta impedisce l’agevole inserimen-to degli strumenti e limita la loro manovrabilità, creando inoltre eccessivo stress tissutale ai lati

dell’incisione stessa. Inoltre, un’incisione ec-cessivamente stressata da forze meccaniche o termiche potrebbe perdere la sua capacità auto-chiudente e richiedere quindi la sutura a fi ne in-tervento. D’altra parte, un’incisione troppo larga può creare un maggior leakage con conseguen-te instabilità della CA durante tutte le successive fasi; inoltre, il passaggio continuo del fl uido di leakage attraverso l’incisione può portare ad un danno endoteliale circostante l’incisione stessa. Anche la posizione delle incisioni chirurgiche è di fondamentale importanza. Innanzitutto si raccomanda di eseguire le due microincisioni corneali ad una distanza reciproca compresa tra 90°-120° (Figura 11), per minimizzare l’effet-to astigmogeno e consentire, allo stesso tempo, un’agevole bimanualità. Inoltre, è opportuno praticare le incisioni nel settore superiore, o co-munque lontano dal menisco lacrimale inferiore, allo scopo di ridurre al minimo le contaminazioni batteriche e quindi il rischio di endoftalmiti post-operatorie20. Per i suddetti motivi, noi eseguiamo preferibilmente le due incisioni a ore 10 e a ore 2 circa (Figura 12); per chi predilige l’approccio temporale si consiglia di eseguire le incisioni ad ore 9-12 (per l’occhio destro) e non, come alcuni chirurghi sono abituati a fare, ad ore 7-10.

CapsuloressiLa capsuloressi può essere eseguita con cistoto-mo, con ago da insulina opportunamente piega-to o con apposite pinze da capsuloressi a secon-da delle abitudini del chirurgo (Figura 13). Per la MICS è opportuno utilizzare, almeno inizialmen-te, una pinza da ressi a controllo distale, come le pinze da vitrectomia con principio “squeeze-handle”, che permettono un buon controllo della ressi anche attraverso le microincisioni (Figura 14); sono inoltre state opportunamente dise-gnate pinze da ressi per tecnica bimanuale, con

Figura 10Dettaglio della microincisione trapezoidale con base a 1.4 mm e apice a 1.2 mm

Figura 12Approccio chirurgico superiore

Figura 11Corretta localizzazione delle microincisioni a circa 110°

Figura 9Bisturi precalibrato con punta in diamante per microincisioni

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punta corta e smussa, che possono essere intro-dotte agevolmente attraverso incisioni inferiori ad 1 mm, consentendo una buona manovrabilità in CA (Figura 15). La capsuloressi con pinze de-dicate attraverso le microincisioni risulta, a mio avviso, più agevole rispetto a quella eseguita at-traverso incisioni più larghe, innanzitutto per una migliore stabilità della CA grazie alla minor fuo-riuscita di viscoelastico dalle incisioni, ma anche per una migliore visibilità legata all’uso di pinze più piccole. Inoltre, la possibilità della bimanua-lità, consente di eseguire una capsuloressi in sicurezza anche nei punti dove essa risulta più diffi coltosa, come nel sito di accesso delle pinze da ressi, offrendo la possibilità di continuare la procedura con la mano non dominante attraver-so l’accesso controlaterale.

IdrodissezioneLa procedura di idrodissezione, ovvero la sepa-razione della capsula dalla corticale e dal nucleo lenticolare, non richiede strumenti o manovre specifi che per la B-MICS. Come per la faco co-assiale, si posiziona una normale cannula da 26 gauge in camera anteriore, al di sotto del mar-gine della capsuloressi; mantenendolo legger-mente sollevato a guisa di “tenda”, si inietta una piccola quantità di BSS, che consente il clivaggio della corteccia dalla capsula prima anterior-mente e poi posteriormente, distribuendosi in maniera circonferenziale e rompendo le con-nessioni cortico-capsulari a livello equatoriale. A questo punto si verifi ca che vi sia una buona ro-tazione del complesso cortico-nucleare rispetto alla capsula; se questo non avviene, è necessario ricominciare la manovra di idrodissezione in un altro quadrante, solitamente quello opposto22. La manovra di idrodissezione risulta particolar-mente agevole durante un intervento di micro-facoemulsifi cazione bimanuale (Figura 16), in quanto le microincisioni a tenuta e il conseguen-

te mantenimento di una buona pressione in ca-mera anteriore, permettono un ottimo clivaggio cortico-capsulare con l’utilizzo di minime quan-tità di BSS23, 24. È anzi opportuno, in alcuni casi, consentire la fuoriuscita di una piccola parte di viscoelastico dalle incisioni prima dell’idrodis-sezione, per evitare un eccessivo aumento di pressione in C.A. e la conseguente possibilità di rottura della capsula posteriore25.

Facoemulsificazione La facoemulsifi cazione con tecnica bimanuale è uno degli step chirurgici in cui si apprezzano più chiaramente le differenze e i vantaggi della mi-crofaco rispetto alla faco coassiale.Tecniche di facofratturaLe tecniche di facofrattura abitualmente utilizza-te dal chirurgo per la faco coassiale, possono es-sere adottate anche per la B-MICS; alcuni autori suggeriscono tuttavia di utilizzare la tecnica “di-vide and conquer” o quella di “stop and chop” per i nuclei normali, e di ricorrere al “phaco-chop verticale” per i nuclei più duri21, 26.

Divide and conquerIl chirurgo tiene il chopper irrigante nella mano non dominante, utilizzando la modalità di irriga-zione continua e ricordando di non ritirare mai la sonda irrigante prima della sonda da U/S, per evitare violenti e pericolosi collassi della came-ra anteriore. Questi accorgimenti valgono anche per le altre tecniche di facofrattura in modalità bi-manuale. La sonda da faco viene impugnata con la mano dominante, attraverso l’incisione princi-pale. Utilizzando bassi livelli di vacuum e di U/S, si procede all’esecuzione di un primo solco (Fi-gura 17), profondo e stretto, a livello del nucleo, fi no a raggiungere circa il 90% del suo spessore; si allarga quindi il solco e si procede al cracking del nucleo (Figura 18). Poi, dopo aver ruotato il nucleo di 90°, si esegue la stessa procedura,

Figura 13 A e BCapsuloressi con ago da insulina ripiegato

A B

Figura 14Pinze da ressi a controllo distale, con principio “squeeze-handle”

Figura 15Dettaglio della punta da ressi a controllo distale

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spaccando così il nucleo in quattro parti uguali; il chopper irrigante viene utilizzato per spostare e direzionare i frammenti di nucleo verso la tip del faco per la loro emulsifi cazione (Figura 19). Il vantaggio di questa tecnica è rappresentato dal-la semplicità delle manovre intracamerali, che possono essere facilmente eseguite con tecnica bimanuale anche da un chirurgo in apprendi-stato. Tuttavia, è sconsigliata nella gestione dei nuclei duri, poiché richiede più tempo e livelli di power U/S più elevati rispetto alla tecnica di phaco-chop.

Phaco-chop orizzontale e verticaleCon la tip del faco si procede all’aspirazione della corticale e dell’epinucleo anteriori, per pe-netrare in profondità nella porzione prossimale del nucleo; esercitando una forte aspirazione, il nucleo del cristallino rimane saldamente “impat-tato” e adesso alla sonda da U/S che lo mantiene fermo durante le manipolazioni con il chopper. Con chopper irrigante si crea una frattura oriz-zontale a livello del nucleo stesso, separandolo in due metà (Figura 20). Dopo la rotazione del nucleo viene ripetuta la stessa manovra, fi no ad ottenere quattro, sei o più frammenti di nucleo da emulsifi care. Questa tecnica è defi nita “phaco-chop orizzontale”. Il “phaco-chop verticale” consiste nella frattura verticale del nucleo, eseguita facendo penetra-re il chopper irrigante in profondità nel nucleo, mentre la sonda da U/S, che trattiene il nucleo con alti livelli di aspirazione, viene portata verso l’alto con movimento altitudinale. Si viene così a creare una frattura verticale nel nucleo; i due strumenti vengono poi allontanati l’uno dall’altro lateralmente, per completare la divisione del nu-cleo in due metà. Entrambe le varianti del “phaco-chop” hanno il vantaggio di essere più veloci e di utilizzare li-

velli di power U/S molto più bassi rispetto alla “divide and conquer”, soprattutto nei nuclei duri, in cui è particolarmente indicata la variante verticale. D’altra parte però, si tratta di tecniche più complesse, soprattutto per la diffi coltà delle manovre da condurre con la mano non dominan-te, e necessitano perciò di una più lunga curva di apprendimento.

Stop and chopÈ una variante che associa le tecniche di “di-vide and conquer” e “phaco-chop”, in cui un primo solco viene praticato nel nucleo allo stesso modo della “divide and conquer” per dividere il nucleo in due metà; ciascun emi-nucleo viene poi frammentato con la metodica del “phaco-chop”. Questa tecnica è un buon compromesso tra le due, per quanto riguarda diffi coltà e vantaggi. Qualunque sia la tecnica di facofrattura utilizza-ta, il chirurgo che comincia a prendere dime-stichezza con la tecnica bimanuale, apprezza innanzitutto l’utilità del chopper irrigante che permette di utilizzare il fl usso di fl uidi come un vero e proprio strumento chirurgico; la ge-stione dei frammenti di nucleo risulta in questo modo più agevole, perché si ha la possibilità di direzionarli verso la tip del faco sfruttando le correnti fl uide dell’irrigazione separata. Que-sto non può avvenire con la faco tradizionale, in quanto sonda da U/S e irrigazione sono coas-siali; si può quindi sperimentare una più diffi cile gestione dei frammenti nucleari e una maggior turbolenza in camera anteriore rispetto alla tec-nica bimanuale11, 16.

Irrigazione/AspirazioneSi utilizzano sonde separate da infusione e da aspirazione da 20 gauge, introdotte attraverso le microincisioni. Solitamente lavoriamo con sonde

Figura 16Idrodissezione con cannula da 26 gauge

Figura 17Fase di facofrattura “divide in conquer”: esecuzione del solco centrale

Figura 18Fase di cracking del nucleo

Figura 19Rimozione dei frammenti di nucleo

Figura 20“Phaco-chop”

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Chirurgia della cataratta con tecnica B-MICS

a sezione ovalare, che ben si adattano al taglio trapezoidale da 1,4 mm (Figura 21). Si procede all’aspirazione graduale dei residui corticali e di epinucleo con la sonda da aspira-zione nella mano dominante e con l’irrigazione nell’altra mano in modalità di infusione continua, per evitare bruschi collassi della camera ante-riore. La sonda da irrigazione permette di dire-zionare i frammenti cristallinici verso la sonda da aspirazione, in modo da agevolare la proce-dura e da consentire una minore turbolenza in camera anteriore. Una volta completata la pulizia del sacco capsu-lare nella metà opposta al sito di ingresso della sonda da aspirazione, si scambiano gli strumen-ti da una mano all’altra, avendo cura di ritirare sempre prima l’aspirazione. Si procede così alla pulizia della restante parte del sacco capsulare, con le stesse modalità. La possibilità di scam-biare gli strumenti consente un’agevole pulizia del sacco in tutti i suoi punti, anche a livello sub-incisionale, e persino in presenza di una ressi stretta24. A fi ne procedura, abbassando i livelli di aspira-zione, si può procedere alla pulizia della capsu-la posteriore, avvalendosi della tip ruvida della sonda da aspirazione (Figura 22).

Impianto di IOLQuesto step chirurgico ci pone davanti ad una delle più classiche e principali obiezioni legate alla microfaco bimanuale, ovvero l’indisponibili-tà di IOL da microincisione e la conseguente ne-cessità di dover allargare il taglio per l’impianto della lente. In effetti, mentre la tecnologia ha fatto in breve tempo passi da gigante per la messa a punto dei nuovi facoemulsifi catori e dello strumentario chirurgico, non altrettanto si può dire per quello

che concerne la realizzazione di IOL da microin-cisione. Tuttavia, sono stati fatti recentemente buoni pro-gressi in questo ambito, tanto che attualmente disponiamo di IOL iniettabili attraverso incisioni uguali o inferiori a 2 mm. Con l’ulteriore espansione dei programmi di ricerca da parte dei laboratori, saranno proba-bilmente disponibili nel prossimo futuro IOL da microincisione adattabili a tagli ≤1,5 mm. Per l’impianto utilizziamo di solito IOL da mi-croincisione con ottime caratteristiche ottiche e di stabilità nel sacco, allargando una delle incisioni a 1.8 mm (Figura 23). A seconda delle preferenze del chirurgo, è anche possibile in-serire la IOL creando una terza incisione tra le due originarie, senza differenze statisticamente signifi cative nell’astigmatismo post-chirurgico, come emerge da uno studio prospettico da noi condotto, in via di pubblicazione.Per una perfetta riuscita dell’impianto è neces-sario posizionare la tip del cartridge in modo lie-vemente obliquo, avendo cura di non introdurlo in C.A. ma di mantenerlo appoggiato al margi-ne esterno dell’incisione corneale; lo stantuffo dell’iniettore deve poi essere premuto delicata-mente facendo progredire lentamente la IOL in camera anteriore (Figura 24).Dopo l’impianto della IOL si termina l’intervento, procedendo alla semplice idratazione delle in-cisioni.

B-MICS e casi complessiLa tecnica di B-MICS presenta numerosi ed in-dubbi vantaggi, rispetto alla faco coassiale, non solo per la gestione dei casi routinari, ma anche e soprattutto nell’affrontare casi complessi. Per questo motivo consiglio ai chirurghi della

Figura 21Sonde da infusione e aspirazione a sezione ovalare da 21 gauge

Figura 22Sonde da infusione e aspirazione a sezione circolare da 21 gauge con punta sabbiata per pulizia completa del sacco capsulare

Figura 23 A e BAllargamento di una delle due microincisioni a 1.8 mm e impianto della IOL mediante cartridge

A B

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cataratta affezionati alla faco coassiale, di pren-dere confi denza con questa nuova tecnica per integrarla alla loro strategia operatoria. Vediamo alcuni casi di cataratte complicate in cui la B-MICS esprime con evidenza i suoi van-taggi e consente una migliore gestione chirurgi-ca del paziente.Nei casi di cataratta associata a chirurgia vitreo retinica (Figura 25), la B-MICS grazie all’infusio-ne separata consente di mantenere la CA e, di-rigendo opportunamente il fl usso di irrigazione, permette al chirurgo di allontanare l’iride che tende alla miosi e di respingere il vitreo dalle zone di deiscenza zonulare15, 27; nelle cataratte infantili (Figura 26) le dimensioni ridotte degli strumenti e l’assenza dello sleeve, consentono una buona manovrabilità e una ottima visualiz-zazione del campo operatorio. Nelle cataratte associate a IFIS (Intraoperative Floppy Iris Syn-drome)28 (Figura 27) la B-MICS consente di ri-durre la turbolenza in CA durante la fase di faco-frattura, con possibilità di direzionare il fl usso del chopper irrigante separato riducendo il rischio di impegno irideo sulla punta del faco. Nei casi di lassità zonulare (Figura 28) la B-MICS consente una maggiore stabilità della CA grazie alle mi-croincisioni; inoltre, nella fase di facofrattura il chopper irrigante permette di ridurre il fl usso di irrigazione e la pressione idrostatica rispetto a

quanto avviene con l’infusione coassiale; in que-sto modo la facoemulsifi cazione del nucleo può avvenire con livelli di aspirazione e di vacuum più bassi, riducendo il fenomeno del surge post-occlusivo e minimizzando il rischio di prolasso vitreale attraverso il difetto zonulare. In presen-za di patologie corneali (Figura 29) (distrofi a di Fuchs, pregressa cheratoplastica perforante o lamellare, pregressa chirurgia refrattiva) la bi-manuale consente di rispettare maggiormente la cornea, grazie alla maggiore stabilità della fl u-idica, una migliore permanenza del viscoelasti-co in camera anteriore e alle minori dimensioni delle incisioni29.Si tratta, inoltre, di una tecnica meno fl ogogena rispetto alla faco coassiale e più rispettosa delle strutture oculari sia anteriori che posteriori, so-prattutto in occhi con alterazione della barriera emato-retinica a rischio di sviluppare edema maculare cistoide (Figura 30). La riteniamo quin-di molto adatta per la gestione di cataratte in pazienti uveitici, diabetici, con esiti di occlusioni venose o con altre patologie retiniche vascolari o infi ammatorie.

>> Discussione e ConclusioniLa tecnica B-MICS si pone oggi come il “gold standard” della chirurgia della cataratta, grazie

Figura 24Impianto della IOL mediante cartridge

Figura 25B-MICS associata a chirurgia vitreo retinica

Figura 26B-MICS in cataratta infantile

Figura 27B-MICS in cataratta con sindrome IFIS

Figura 28B-MICS in cataratta con lassità zonulare

Figura 30B-MICS in esiti di uveite

Figura 29B-MICS in patologie corneali

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21viscochirurgia3 • 2010

Chirurgia della cataratta con tecnica B-MICS

ai suoi provati vantaggi negli interventi di routi-ne, ma anche e soprattutto negli interventi di ca-taratte complicate. Molti di questi vantaggi sono legati alle microincisioni, che rendono questo tipo di chirurgia una procedura a “bulbo chiu-so”, con grande stabilità della CA durante tutte le fasi dell’intervento. Le microincisioni consentono inoltre la riduzione dell’effetto astigmogeno con conseguente più rapido recupero visivo17-19, 30-

33 e la minimizzazione del rischio di endoftalmiti post-operatorie20. È stato dimostrato, introdu-cendo i concetti di aberrometria nella chirurgia della cataratta, che la tecnica B-MICS non degra-da le qualità ottiche della cornea, né induce mo-difi che nell’astigmatismo, incluso l’asse13. Inoltre è stata riportata una riduzione dei tempi di cica-trizzazione delle microincisioni ed una riduzio-ne delle complicanze intra e post-operatorie (es. prolasso irideo intra-operatorio)31. Un altro grande vantaggio della tecnica B-MICS è la separazione dell’irrigazione dalla tip del faco: questo consente di ridurre la turbolenza in-tracamerale grazie alla possibilità di direzionare opportunamente il fl usso di irrigazione.Inoltre, la possibilità di interscambiare i manipoli da una mano all’altra, facilita la completa rimo-zione del cristallino e dei residui corticali, anche a livello sub-incisionale. Grazie alle nuove tecnologie applicate ai facoe-mulsifi catori, la B-MICS è diventata una tecnica ancora più sicura ed effi ciente, per la minimizza-zione dell’effetto surge e la riduzione del potere degli ultrasuoni, dell’EPT e il risparmio di BSS17. Ritengo quindi che la tecnica di B-MICS sia, per i motivi suddetti, superiore alla tecnica coassiale e credo che i vantaggi dell’una rispetto all’altra siano evidenti e riconosciuti. Tuttavia, confron-tandoci con alcuni amici “bimanualisti”, come Dick, Braga-Mele, e Fine, abbiamo individuato con chiarezza alcune motivazioni che rendono i chirurghi coassiali riluttanti verso la tecnica bi-manuale: tutti i chirurghi della cataratta sono cresciuti con una “educazione coassiale” e l’idea di ini-ziare una nuova curva di apprendimento non è sempre ben accolta, anche a fronte di innega-bili vantaggi; attualmente non sono disponibili lenti intra-oculari inseribili attraverso incisioni uguali o inferiori a 1,4 mm. Adesso le IOL da microin-cisione passano attraverso 1,8-1,9 mm e pos-

sono essere utilizzate indifferentemente per la bimanuale o per la microcoassiale, che at-tualmente si esegue attraverso incisioni da 1,8 mm. Solo quando avremo a disposizione IOL inseribili al di sotto di 1,4 mm vedremo un in-cremento nell’utilizzo della bimanuale; le ditte produttrici di strumenti e materiali propongono preferenzialmente le attrezza-ture per la tecnica coassiale piuttosto che per la bimanuale in quanto facendo leva sul fatto che il chirurgo non debba cambiare abitudini.

Un ottimo suggerimento per passare dalla co-assiale alla bimanuale è, secondo un’idea di Packard, provare lo step intermedio della “com-biassiale”. Tale tecnica di transizione richiede un sistema coassiale, ma con il contemporaneo uso di un chopper irrigante. In questo modo il chi-rurgo in apprendimento comincia ad abituarsi a maneggiare con la mano non dominante uno strumento chirurgico con la doppia funzione di chopper e di irrigatore. Sarà opportuno sceglie-re inizialmente un chopper con terminale non troppo tagliente o appuntito, per ridurre al mini-mo la possibilità di creare danni alle strutture in-traoculari durante l’apprendimento. Nella mano dominante il chirurgo avrà il solito faco, dotato di sleeve ed irrigazione, e la sua tecnica di fa-cofrattura non cambierà rispetto alla sua usuale. L’unica differenza sta nell’avere nell’altra mano un chopper irrigante. Naturalmente, avendo due fonti di infusione, collegate ad un’unica bottiglia, sarà molto importante controllare l’altezza di quest’ultima. La regola sarebbe quella di dimi-nuire l’altezza della bottiglia del 50% dell’altezza abituale per la coassiale. Se durante l’intervento il chirurgo si accorge di andare incontro ad effet-to surge, dovrà alzare leggermente la bottiglia, fi no al ripristino delle normali condizioni di sta-bilità di camera.Il futuro della chirurgia della cataratta risiede nella possibilità di offrire un’ulteriore miniatu-rizzazione degli strumenti e delle incisioni, ridu-cendo inoltre la quantità di energia ultrasonica e le manipolazioni in CA.La tecnica B-MICS si pone come l’unica proce-dura, effi cace e sicura, in grado di adattarsi a questo trend, ponendosi quindi come la miglior scelta chirurgica, non solo per gli innumerevoli vantaggi attuali, ma anche per le ulteriori possi-bilità future di sviluppo34, 35.

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Gian Maria Cavallini, Cristina Masini, Luca Campi, Stefania Lusvarghi, Simone Pelloni

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>> Bibliografia

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NOTE

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La vitrectomia nella retinopatia diabetica Marco Andrea Pileri

Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata, Roma – Dirigente Medico Responsabile U.O.S. Chirurgia della Retina

RIASSUNTO Scopo: Valutare l’effi cacia della vitrectomia nella retinopatia diabetica.Risultati: Le tipiche indicazioni nella vitrectomia sono le emorragie vitreali, i distacchi di retina trazionali e/o regma-togeno, l’edema maculare trattivo e più recentemente l’edema maculare diffuso. Il glaucoma neovascolare richiede un approccio chirurgico aggressivo al fi ne di salvare anatomicamente il bulbo.La chirurgia vitreoretinica è indicata in diverse complicanze oculari che possono essere migliorate tramite l’uso di strategie e tecniche chirurgiche adeguate. La decisione di intervenire chirurgicamente richiede sempre un’attenta valutazione del rischio-benefi cio.

ABSTRACT Typical indications for vitrectomy are vitreous hemorrhage, tractional retinal detachment, combined tractional rheg-matogenous retinal detachment, tractive macular edema and more recently diffuse diabetic macular edema. Neova-scular glaucoma requires aggressive surgical intervention to salvage the eye. Vitrectomy surgery has a potential for severe complications in diabetic eyes which can be ameliorated by proper sur-gical strategies and techniques. The decision for an intervention in diabetic eyes always requires a careful weighing of risks and benefi ts of surgery.

>>

PAROLE CHIAVE retinopatia diabetica

vitrectomiaedema maculare diabetico

complicanze della retinopatia diabetica

KEY WORDS diabetic retinopathy

vitrectomydiabetic macular edema

complications of diabetic retinopathy

ino a pochi anni fa la retinopatia diabetica, soprattutto nelle fasi più avanzate e con le

complicanze più gravi, era considerata una ma-lattia intrattabile e i pazienti destinati ad una pro-gnosi funzionale visiva infausta, fi no alla cecità.Nel corso degli anni sono stati tentati diversi ap-procci chirurgici per cercare di mantenere una funzionalità visiva accettabile, quali l’ipofi sectomia e la fotocoagulazione laser. Tuttavia solo con l’av-vento della vitrectomia, introdotta da Machemer negli anni ’701, pazienti che fi no ad allora erano condannati alla cecità, a causa di emorragie vi-treali massive e recidivanti o di distacco di retina trattivo e/o regmatogeno, provocati dalle prolife-razioni fi brovascolari diabetiche, cominciarono a sperare in una prognosi visiva migliore.Tuttavia poiché la vitrectomia veniva effettuata solo in caso d’insorgenza delle complicanze più gravi e tardive della malattia diabetica, al successo anatomico nella maggior parte dei

casi non corrispondeva un successo funziona-le, anzi spesso si determinava la spinta fi nale verso la cecità.Nonostante il progresso delle tecniche chirurgi-che nella vitrectomia, ancora oggi per decide-re se e quando sottoporre un paziente a terapia chirurgica, è fondamentale non aspettare l’insor-genza delle complicanze più gravi.Ma allora quando è lecito sottoporre un paziente a trattamento chirurgico? Quali sono le indica-zioni ed il timing per l’intervento?Hamilton e coll, partendo dai risultati dello studio americano DRVS (diabetic retinopathy vitrec-tomy study) degli anni ’802, ha stilato una lista dei quadri patologici che giustifi cano un approccio chirurgico. A tale lista ancor più recentemente si sono aggiunte altre indicazioni, quali il tratta-mento dell’edema maculare diffuso e cronico, che costituisce una delle cause principali di de-fi cit visivo in molti pazienti diabetici.

F

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25viscochirurgia3 • 2010

La vitrectomia nella retinopatia diabetica

La chirurgia ha diversi obiettivi terapeutici, che si possono suddividere in primari e secondari.1) obiettivi primari: − rimozione delle opacità lenticolari e vitrea-

li. Un sistema ottico trasparente permette il trattamento laser intraoperatorio o periope-ratorio delle aree retiniche ischemiche, con conseguente riduzione degli stimoli vasopro-liferativi

− riduzione di distacchi di retina trattivi e/o reg-matogeni

− rimozione di trazioni antero-posteriori e/o tangenziali al piano retinico, responsabili dell’edema maculare cronico

2) obiettivi secondari− rimozione del vitreo. che costituisce la base

su cui crescono e aderiscono le membrane fi brovascolari, allo scopo di ridurre la forma-zione di processi proliferativi

− tempestivo trattamento laser sulle aree di reti-na sottostanti alle proliferazioni fi brovascolari, dopo loro rimozione. Infatti la neovascolariz-zazione preretinica contribuisce all’ossigena-zione della retina superfi ciale, pertanto dopo tali manovre l’ischemia della retina sottostante le proliferazioni peggiora

− riduzione della sofferenza ischemica della retina superfi ciale e dello stimolo vasoproli-ferativo, tramite la rimozione del gel vitreale e la sua sostituzione, quando possibile, con so-luzione salina bilanciata. In tal modo si deter-mina una nuova fl uidifi ca della camera vitrea, con miglioramento della nutrizione ed ossige-nazione della retina superfi ciale

− impedire la diffusione di fattori di crescita endoteliali dalla retina in camera vitrea. In tal modo si abbassa la concentrazione di queste citochine su specifi che porzioni retiniche ri-ducendo cosi la possibilità di avere un edema maculare. Inoltre si riduce la possibilità che, raggiungendo il corpo ciliare e la camera an-teriore, possano determinare l’insorgenza di un glaucoma emorragico

− possibilità di sostituire il gel vitreale con olio di silicone. Questo rappresenta un indubbio vantaggio qualora l’atto chirurgico debba risolvere distacchi di retina trattivi o regma-togeni. Inoltre l’olio di silicone, grazie al suo effetto compartimentalizzante permette che eventuali sanguinamenti, frequenti nel posto-peratorio in questo tipo di chirurgia, siano

confi nati in aree retiniche ristrette. Infi ne al-tro vantaggio dell’olio di silicone è quello di ridurre la diffusione dei VEGF verso il seg-mento anteriore e quindi ridurre l’incidenza del glaucoma emorragico, permettendo una rapida riabilitazione visiva.

Alla luce degli obiettivi terapeutici, la chirurgia vitreoretinica si rende necessaria in caso di:1. opacità vitreali non risolvibili2. complicanze legate alle trazioni sulla retina3. ischemia e sue complicazioni

Opacità vitreali− opacità vitreali persistenti− fi brosi postemorrragica del vitreo− neovascolarizzazione del segmento anteriore

in connessione con opacità vitreali− emorragie vitreali recidivantiComplicanze trattive sulla retina− proliferazione fi brovascolare progressiva− distacco trazionale della macula− distacco di retina trattivo o regmatogeno− edema maculare con ialoide adesaIschemia e sue complicanze− neovascolarizzazioni del segmento anteriore

con conseguente glaucoma emorragico− retinopatia proliferativa in fase attiva non con-

trollabile con il trattamento laser

>> EmovitreoL’emovitreo nel paziente diabetico è, nella mag-gior parte dei casi, il risultato della rottura di neovasi a livello dell’interfaccia vitreo-retinica, conseguente ad un distacco del vitreo posteriore. Rappresenta la causa più frequente per cui è ri-chiesto un trattamento chirurgico vitreoretinico.La prima vitrectomia in un emovitreo diabetico fu eseguita circa 35 anni fa da Machemer e da allora le indicazioni, il timing chirurgico e la tec-nologia sono notevolmente cambiate.È indubbio che in presenza di un distacco di re-tina regmatogeno o trattivo, di neovascolarizza-zione iridea o di edema maculare preesistenti all’emovitreo, quanto più precocemente si effettua la vitrectomia tanto migliore è la possibilità di re-cupero funzionale. L’asportazione del vitreo deve essere quanto più possibile completa ed accurata in modo da poter eseguire, eventualmente anche nel postoperatorio, un adeguato trattamento laser.Anche in presenza di una fi brosi postemorragica

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Marco Andrea Pileri, Francesco Baccini, Carlo Maria Villani

del vitreo è inutile dilatare i tempi dell’intervento, in quanto la possibilità di rischiaramento della ca-mera vitrea sono praticamente nulle (Figura 1).Lo studio DRVS3 ha evidenziato che giovani dia-betici di tipo I° con emovitreo, trattati precoce-mente con terapia chirurgica, avevano risultati funzionali visivi migliori e più duraturi nel tempo, rispetto a gruppi di controllo in cui la chirurgia era stata procrastinata di un anno.La presenza di una emorragia retroialoidea al polo posteriore rappresenta un’altra indicazione per il trattamento chirurgico di un emovitreo in tempi rapidi, in quanto la pressione esercitata dalla saccatura di sangue, compresa tra la ialoi-de posteriore e la membrana limitante interna, danneggia irrimediabilmente i fotorecettori ma-culari. Inoltre gli ioni ferro contenuti nell’emoglo-bina costituiscono un importante fattore tossico per i fotorecettori stessi.

Per quanto riguarda la tecnica chirurgica, negli ultimi anni si è assistito ad una sempre maggior diffusione delle tecniche mini-invasive. Queste infatti dalla loro introduzione, nel 2002 per il si-stema a 25 gauge4 e nel 2005 per il 23 gauge5, hanno subito una costante evoluzione tanto che oggi trovano applicazione nella maggior parte delle patologie vitreoretiniche. A nostro avviso la procedura chirurgica di elezione è la vitrectomia mininvasiva 23 gauge. Questa infatti rappresen-ta un’evoluzione rispetto al 20 gauge, ma anche rispetto al 25 gauge, e permette di eseguire una chirurgia completa, anche con l’eventuale intro-duzione di mezzi di tamponamento permanenti (olio di silicone), mantenendo i vantaggi di una tecnica mininvasiva senza suture.

>> Distacco di retina trattivoMentre la vitrectomia via parsplana, nei casi di emovitreo senza distacco di retina, permette un recupero funzionale visivo eccellente, nei casi di distacco di retina trattivi complicati, al risultato anatomico di solito più che soddisfacente non corrisponde un risultato funzionale accettabile, soprattutto nei casi in cui ci sia un coinvolgimen-to dell’area maculare, come evidenziato da di-versi studi (Tabella 1).Questi risultati, in particolare quelli dello studio di Heibag, confermano l’importanza della “early vitrectomy”. Dalla tabella risulta evidente come la percentuale di successo aumenti negli studi più recenti. Questo è attribuibile all’utilizzo di tecnologie via via più avanzate e sicure.Dato molto importante da considerare è quel-lo relativo al coinvolgimento o meno dell’area

Tabella 1

Percentuali di successo negli interventi chirurgici per distacco di retina trattivo (acuità visiva fi nale >1/20)

Autori Distacco di retina Distacco di retina con o senza emovitreo con o senza emovitreo

Macula on Macula off

Heibag et al 1996 94% 52% 20% se macula off >12 mesi 42% se macula off <6 mesi 85% se macula off 0-2 mesi

Blankenship 1972 65% 32%

Thompson 1996 79% 64%

Krampitz 1986 71% 38%

Figura 1Retinopatia diabetica

proliferante

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27viscochirurgia3 • 2010

La vitrectomia nella retinopatia diabetica

maculare e dal tempo intercorso fra il distacco maculare e l’intervento chirurgico. Infatti le per-centuali di successo aumentano notevolmente riducendo i tempi fra la comparsa del distacco maculare e la risoluzione chirurgica. Altri dati devono comunque essere considerati prima di consigliare un intervento di chirurgia vitreoretinica in caso di distacco di retina trattivo in paziente diabetico.Fattori di rischio che infl uiscono negativamente su un recupero funzionale accettabile sono la presen-za di macula off da più di 6 mesi, la rubeosi dell’iri-de e conseguente glaucoma neovascolare6, la du-rata del distacco superiore a 6 mesi, le alterazioni ischemiche maculari e le trazioni vitreoapillari, che determinano un’otticopatia ischemica7, la presen-za di emovitreo da più di 6 mesi e l’assenza di trat-tamento foto coagulativo (Figura 2).In questi casi ci si può chiedere se sia effettiva-mente consigliabile un intervento vitreoretinico. Per nostra esperienza l’intervento dovrebbe co-munque essere proposto quando sia presente una neovascolarizzazione iridea e un glaucoma neovascolare, allo scopo di conservare anatomi-camente il bulbo e di ridurre il dolore.Un discorso a parte meritano invece i distacchi di retina trattivi non coinvolgenti la regione ma-culare, sottostanti ad importanti proliferazioni fi brovascolari tenacemente adese alla retina di-staccata, circondati da trattamenti laser. Questi di solito rimangono stabili nel tempo o subiscono piccole modifi cazioni, e a volte possono risolver-si spontaneamente in seguito ad un’implementa-zione del trattamento laser.In questi pazienti, nonostante la presenza di un distacco di retina, una strategia attendista può essere vincente. È molto importante però mo-nitorizzare attentamente l’area del distacco ed intervenire solo nel caso di progressione del distacco stesso, di comparsa di emorragie retro-ialoidee o di emovitreo, di progressiva prolife-razione fi brovascolare o di trasformazione in un distacco regmatogeno.

>> Distacco di retina regmatogeno Le trazioni esercitate dalle membrane fi brovasco-lari tipiche della retinopatia diabetica proliferante, possono loro stesse causare rotture retiniche, con conseguente distacco di retina regmatogeno.È questa un’evenienza abbastanza rara in quanto

spesso questi pazienti hanno subito un trattamen-to panfotocoagulativo. Inoltre il riconoscimento di una rottura retinica nel contesto di un area solleva-ta parzialmente trattata e con mezzi diottrici spes-so non trasparenti, può risultare diffi coltoso.La presenza di una rottura retinica si può evin-cere dall’aspetto dell’area di retina sollevata, la quale presenterà quasi sempre un profi lo con-vesso con retina mobile, nel caso di distacco regmatogeno e concavo od appiattito e con re-tina rigida, nel caso di distacco trattivo. In que-sti casi l’indicazione al trattamento chirurgico è indubbia e la sua tempestività è fondamentale ai fi ni della prognosi.Generalmente tuttavia in questi pazienti la pro-gnosi è meno favorevole rispetto ai distacchi trat-tivi, in quanto il clivaggio e l’asportazione delle membrane di proliferazione su una retina solleva-ta e mobile, risultano notevolmente più comples-se. Anche l’uso intraoperatorio di perfl uorocarbo-nati liquidi (PFCL) con funzione di stabilizzazione della retina (terza mano), non è consigliabile prima di aver asportato tutte le membrane che sostengono il distacco, per il rischio fondato di scivolamento del PFCl attraverso la rottura retini-ca posteriore nello spazio sottoretinico.A volte inoltre a causa dell’eccessiva mobilità della retina, l’asportazione del vitreo della base può essere incompleta, ed il conseguente tam-ponamento con olio di silicone può favorire l’in-sorgenza di una PVR.

>> Edema maculare diabeticoUn’indicazione relativamente recente alla chirur-gia vitreale nella retinopatia diabetica è l’edema maculare.

Figura 2Distacco di retina trattivo in retinopatia diabetica

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Marco Andrea Pileri, Francesco Baccini, Carlo Maria Villani

L’edema maculare diabetico è una conseguenza della rottura della barriera emato-retinica, deter-minata sia dall’alterata permeabilità dei capillari perimaculari, sia dalle trazioni tangenziali alla superfi cie retinica, esercitate dalla ialoide poste-riore ispessita.L’osservazione che la presenza di un distacco del vitreo posteriore completo, nei soggetti affetti da diabete di tipo I° riduceva l’incidenza di edema maculare diffuso, ha portato alla convinzione che la vitrectomia precoce con asportazione della corticale del vitreo, rappresenti un approccio te-rapeutico effi cace8-9-10.Yamamoto e coll nel 200111 hanno misurato lo spessore retinico maculare con l’OCT in una serie di 30 casi sottoposti a chirurgia vitreale in presenza di un distacco del vitreo posteriore. Lo studio ha evidenziato una riduzione dello spes-sore retinico ed un aumento dell’acuità visiva anche di due linee. Gli autori concludevano che probabilmente la vitrectomia, riducendo la con-centrazione delle citochine e dei fattori di cresci-ta, potesse ridurre l’edema maculare.Argomento controverso nella chirurgia dell’ede-ma maculare diabetico riguarda l’asportazione o meno della membrana limitante interna. Que-sta, costituita dalle porzioni terminali delle cellu-le del Muller, forma una pseudomembrana che funge da barriera tra retina e ialoide posteriore (Figure 3 e 4).Nella chirurgia del foro maculare la sua aspor-tazione rappresenta un passo di fondamentale importanza per il completo rilascio delle tra-

zioni tangenziali, favorendo così la chiusura del foro12.Nell’edema maculare diabetico diffuso e non ischemico, l’asportazione di tale pseudomem-brana sembrerebbe favorire gli scambi me-tabolici tra retina e camera vitrea ed inibire la ricrescita di membrane epiretiniche. Inoltre la sua asportazione permette il rilascio di eventuali componenti trattive concomitanti.La presenza di un edema maculare a prevalen-te componente ischemica non si benefi cia della vitrectomia, che anzi può alterare una situazio-ne metabolica in equilibrio, arrecando ulteriori danni ischemici alla retina.

>> Glaucoma NeovascolareIl glaucoma neovascolare rappresenta una com-plicanza tardiva della retinopatia diabetica ed è la causa principale di enucleazione del bulbo.Nella retinopatia diabetica questa complicanza può presentarsi in caso di:1. sistemi diottrici trasparenti, rubeosi iridea, an-

golo più o meno chiuso e pressione intraocu-lare normale o tendenzialmente alta.

In questi casi una panfotocoagulazione retinica porta a regressione dei neovasi iridei ed a rego-larizzazione del tono oculare13.2. mezzi diottrici opachi per presenza di edema

corneale, cataratta e/o emovitreo, completa o parziale panfotocoagulazione retinica, pres-sione intraoculare elevata e forte dolore.

In questi casi è indicata la vitrectomia associata

Figura 3 e 4Edema maculare diabetico.

Quadro OCT

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29viscochirurgia3 • 2010

La vitrectomia nella retinopatia diabetica

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>> Bibliografia

a lensectomia e tamponamento con olio di sili-cone. In tal modo è possibile effettuare una foto-coagulazione della periferia retinica e dei corpi ciliari più ampia possibile. Inoltre tale procedura porta ad una drastica riduzione della pressione intraoculare, che raggiunge livelli se non norma-li comunque tali da non determinare dolore ma soprattutto permettere la conservazione anato-mica del bulbo oculare14.Step chirurgico importante nelle fasi iniziali del-la vitrectomia è quello di portare lentamente la pressione intraoculare a valori normali tramite l’ausilio di farmaci osmoticamente attivi e/o pa-racentesi, in modo di evitare un distacco emorra-gico di coroide durante la procedura chirurgica. Al termine dell’intervento deve essere sempre eseguito un tamponamento con olio di silicone, sia per sfruttare il suo effetto compartimentaliz-zante sia per evitare massivi sanguinamenti in camera vitrea. Inoltre sembra anche costituire una barriera alla diffusione in camera anteriore di fattori di crescita favorenti la neovascolarizza-zione iridea.

>> ConclusioniNonostante il successo anatomico della chirur-gia vitreoretinica sia largamente soddisfacente, non altrettanto può essere detto del risultato fun-zionale (concetto dell’early vitrectomy).La vitrectomia è l’unico rimedio per poter ese-guire una panfotocoagulazione, nei casi in cui i mezzi diottrici siano opachi. La fotocoagulazione rappresenta l’unica arma effi cace per la riduzio-ne delle proliferazioni su base ischemica.La presenza di un edema maculare diabetico cronico, con grave e persistente riduzione della funzionalità visiva, può oggigiorno benefi ciare del trattamento chirurgico con o senza l’ausilio farmacologico degli anti-VEGF.Nonostante le tecniche e le strumentazioni in materia di chirurgia vitreoretinica siano notevol-mente migliorate in questi ultimi anni, facilitan-do il trattamento chirurgico anche dei casi più complessi, l’ottimizzazione dei livelli metabolici di glucosio rimane un passo essenziale per ga-rantire una funzionalità visiva soddisfacente.

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NOTE

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<<Valutazione del tono in pazienti sottoposti a faco, impianto di IOL e vitrectomia

simultanei con uso di sodio ialuronato 1.8% in C.A. Fabio Fiormonte

U.O.C. Oftalmologia-AUSL Rieti

RIASSUNTO Obiettivo: Valutazione delle variazioni della pressione intraoculare (PIO) in pazienti sottoposti ad intervento chi-rurgico combinato di facoemulsifi cazione, impianto di lente intraoculare (IOL) e vitrectomia con riempimento della camera anteriore con sodio ialuronato (NaHA) 1.8%.Materiali e Metodi: Sono state retrospettivamente esaminate le cartelle di 83 pazienti (83 occhi) divisi in due grup-pi: Gruppo 1 pazienti affetti da retinopatia diabetica proliferante, Gruppo 2 pazienti affetti da retinopatia diabetica proliferante e glaucoma primario ad angolo aperto in trattamento con farmaci anti-ipertensivi oculari. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a misurazione della PIO il giorno prima (baseline) e a 6, a 24 ore e ad 1 settimana di distanza dall’intervento chirurgico.Risultati: La PIO media di tutti i pazienti è stata di 15.79 mm Hg al baseline, 19.29 mm Hg a 6 ore, 18.49 mm Hg a 24 ore, e 16.49 mm Hg ad 1 settimana. La PIO media dei pazienti del Gruppo 1 è stata 15.42 mm Hg al baseline, 18.92 mm Hg a 6 oer, 18.12 mm Hg a 24 ore, and 16.12 mm Hg ad 1 settimana. La PIO media dei pazienti del Gruppo 2 (con glaucoma) è stata 19.31 mm Hg al baseline, 22.80 mm Hg a 6 ore, 22.00 mm Hg a 24 ore, e 20.00 mm Hg ad 1 settimana. Conclusioni: Le variazioni della PIO in entrambi i gruppi è stata caratterizzata da un picco a 6 ore dall’operazione, con una graduale riduzione a 24 ore e a una normalizzazione ad 1 settimana dall’intervento chirurgico.

ABSTRACT Purpose: To evaluate intraocular pressure (IOP) patterns in patients who had combined phacoemulsifi cation, in-traocular lens (IOL) implantation, and vitrectomy surgery for proliferative diabetic retinopathy with 1.8% sodium hyaluronate (NaHA).Materials and Methods: We reviewed the records of 83 patients (83 eyes) and divided into two groups: Group 1 affected by proliferative diabetic retinopathy, Group 2 affected by proliferative diabetic retinopathy and primary open-angle glaucoma ongoing IOP treatment. All patients underwent IOP evaluation the day before surgery and at 6, 24 hours, and 1 week after the operation.Results: The average IOP of the overall number of patients was 15.79 mm Hg at baseline, 19.29 mm Hg at 6 hours, 18.49 mm Hg at 24 hours, and 16.49 mm Hg at 1 week. The average IOP of the patients in Group 1 (who did not have glaucoma) was 15.42 mm Hg at baseline, 18.92 mm Hg at 6 hours, 18.12 mm Hg at 24 hours, and 16.12 mm Hg at 1 week. The average IOP of the patients in Group 2 (who had glaucoma) was 19.31 mm Hg at baseline, 22.80 mm Hg at 6 hours, 22.00 mm Hg at 24 hours, and 20.00 mm Hg at 1 week. Conclusion: The IOP pattern in both groups was characterized by a peak 6 hours after the operation, with a gradual reduction after 24 hours and normalization about 1 week after the intervention.

PAROLE CHIAVE IOP retinopatia diabetica sodio ialuronato

KEY WORDS IOPdiabetic retinopathysodium hyaluronate

>> IntroduzioneIl sodio ialuronato (NaHA) è divenuto essenziale e diffusissimo nelle tecniche di microchirurgia oculare. Le caratteristiche reologiche (viscosi-tà, pseudoplasticità, coesività, bagnabilità) delle preparazioni viscoelastiche a base di NaHa per-mettono di distendere e mantenere spazi ana-

tomici, risolvere aderenze tissutali, contenere fl uidi vitreali ed emorragie, proteggere strutture oculari da manipolazioni dirette ed indirette1-3. Alcune sostanze possiedono caratteristiche ot-tiche (trasparenza e colore) che permettono ad alcune strutture oculari di poter restare visibili sempre durante la chirurgia. Il NaHa offre ulte-

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Fabio Fiormonte, Roberto Rizzo, Daniele Lorenzano

riori vantaggi come un “effetto scavenger” (che si contrappone alla formazione dei radicali liberi, mentre i tessuti oculari vengono stressati da treni di onde ad ultrasuoni), inibizione della migra-zione di linfociti, un effetto anti-infi ammatorio e stimolante nei processi riparativi4-6. L’assenza di tossicità da parte del NaHa permette di essere utilizzato in tutte le condizioni chirurgiche, dove potrebbe essere necessario, senza provocare danni alle strutture oculari7. La grande varietà di preparazioni viscoelastiche sul mercato, per il vasto range di caratteristiche, permette di poter scegliere al meglio la sostanza viscoelastica più adeguata per la corretta esecuzione di ciascuna procedura e/o intervento. L’intervento combinato di facoemulsifi cazione e VTR trova oggi sempre maggiori consensi tra i chirurghi del segmento posteriore nei casi di patologie vitreoretiniche complesse come: la retinopatia diabetica proli-ferante, il distacco di retina, la vitreoretinopatia proliferativa (PVR). In questi casi infatti la con-temporanea asportazione del cristallino e l’im-pianto della IOL di grande diametro permettono di ottenere diversi vantaggi:

separazione per mezzo della IOL della CA dalla CV (compartimentalizzazione)

eliminazione delle opacità interferenti con la visione del segmento posteriore

migliore evidenziazione della base del vitreo, sia con che senza indentazione

recupero visivo facilitato dalla presenza della IOL evitare al paziente 2 accessi in sala operatoria

Questa procedura chirurgica tuttavia può anche comportare l’insorgenza di diffi coltà e/o compli-canze intraoperatorie legate essenzialmente alle manipolazioni del bulbo oculare, la cui integri-tà viene ad essere parzialmente compromessa dall’apertura corneale necessaria per l’interven-to di facoemulsifi cazione + IOL. Per tale motivo da circa 7 aa utilizziamo lo ialu-ronato di sodio 1.8% per il mantenimento della profondità della CA durante tutte le fasi dell’in-tervento (chirurgia anteriore e posteriore), la-sciandolo inoltre in situ anche al termine della procedura.La presenza della sostanza viscoelastica nella CA aiuta ad eseguire numerose manovre intra ed postoperatorie come: mantenimento della midriasi (effetto mecca-nico) stabilizzazione della CA durante indentazione e/o manipolazione del bulbo

compartimentalizzazione durante l’utilizzo di gas e/o di liquido tamponante (PDMS) rallentamento del passaggio del mezzo tam-ponante in CA

Quando la sostanza viscoelastica deve essere la-sciata in situ, risulta fondamentale la scelta della preparazione più appropriata da questo punto di vista, considerando, nello specifi co, la possibilità di ipertono nei tempi postoperatori. Questa atti-vità di ipertono dipenderà sia dalla capacità del-la sostanza di attraversare la maglia trasecolare, sia dalle proprietà fi sico-chimiche della sostanza di essere dimessa rapidamente.Tutte le sostanze viscoelastiche possono pro-durre un aumento della IOP postoperatoria, per ostruzione meccanica del trabecolato e conse-guente diminuzione del defl usso8.Le sostanze viscoelastiche tendono a lasciare l’occhio inalterato passando attraverso il trabeco-lato sottoforma di molecole di grandi dimensioni9. Quando nel trabecolato e nei corpi ciliari siano presenti elementi contrattili, il processo di elimi-nazione può divenire dinamico10,11. Fattori che possono contribuire al rallentamento del defl usso delle sostanza viscoelastica includono la viscosi-tà, il peso molecolare, la lunghezza delle catene, la rigidità e la quantità di molecole presenti. Inol-tre ogni occhio possiede delle proprie caratteri-stiche particolari, come ad esempio il diametro ed il numero dei pori del trabecolato e la quantità presente di fi brina, albumina ed altre sostanze di origine infi ammatoria, prodotte per l’esecuzione dell’intervento chirurgico stesso e che possono variare notevolmente in percentuale.

>> Obiettivi dello studioLo scopo dello studio è stato quello di valutare l’andamento della pressione intraoculare (IOP) in pazienti sottoposti ad intervento combinato di facoemulsifi cazione, impianto di lente intrao-culare (IOL) e vitrectomia (VTR) per retinopatia diabetica proliferante senza impiego di mezzi tamponanti, nei quali è stato lasciata in camera anteriore durante l’esecuzione di tutto l’interven-to e nei giorni a seguire una sostanza viscoelasti-ca di sodio ialuronato (SH) 1.8%.

>> Pazienti e MetodiIn questo studio sono state valutate in maniera retrospettiva le cartelle di 83 pazienti (83 occhi)

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Valutazione del tono in pazienti sottoposti a faco, impianto di IOL e vitrectomia simultanei con uso di sodio ialuronato 1.8% in C.A.

visitati ed operati dallo stesso operatore negli ul-timi 6aa in due diverse istituzioni. I pazienti sono stati visitati ed operati nel periodo compreso tra Gennaio 2000 e Settembre 2005. Dall’analisi retrospettiva delle cartelle cliniche dei pazienti operati si evidenzia la presenza di 2 sottopopo-lazioni di pazienti:

Gruppo 1: 75 pazienti (75 occhi) affetti da reti-nopatia diabetica proliferante

Gruppo 2: 8 pazienti (8 occhi) affetti da reti-nopatia diabetica proliferante e glaucoma pri-mario ad angolo aperto in trattamento farma-cologico.

I criteri di inclusione dei pazienti sono stati: la presenza di una retinopatia diabetica prolife-rante senza trazioni tali de provocare distacco di retina, cataratta con signifi cativa opacità della lente. I criteri di esclusione sono stati: preceden-te trattamento di chirurgia oculare, pazienti con glaucoma neovascolare. Tutti i pazienti sono stati sottoposti, nei tempi preoperatori, a visita ocu-listica completa che comprendeva: scrupolosa anamnesi specialistica e generale, valutazione del visus per lontano (in decimi), del visus per vicino (caratteri dal I al VI), attenta valutazione della IOP effettuata il giorno precedente all’inter-vento chirurgico con tonometro ad applanazione di Goldmann, esame biomicroscopico completo del segmento anteriore, eseguito alla lampada a fessura ed esame del fondo oculare, eseguito in midriasi farmacologica con oftalmoscopia in-diretta tramite caschetto di Schepens e lente da +20 D e con biomicroscopia con lente + 90D.La visita oculistica post operatoria è stata eseguita in tutti i pazienti ad 1 mese esatto dall’intervento chirurgico. La valutazione della IOP nei tempi po-stoperatori invece è stata eseguita con tonometro ad applanazione di Goldmann a 6h, a 24h e a di-stanza di 1 settimana dall’intervento chirurgico.

>> Tecnica chirurgicaLa tecnica chirurgica consisteva nell’effettuare l’estrazione di cataratta prima di iniziare la vitrec-tomia. Si eseguiva un’incisione in cornea chiara di 3.2 mm e si provvedeva ad una facoemulsifi ca-zione con tecnica “stop and chop”, aspirazione delle masse corticali con manipolo monovia ed impianto di IOL acrilica idrofobica multipiece con il piatto ottico 6.5 mm previo riempimento con sostanza viscoelastica di sodio ialuronato 1.8%. Al termine dell’esecuzione dell’intervento di ca-

taratta, la camera anteriore veniva ulteriormente riempita con sostanza viscoelastica di sodio ialu-ronato 1.8% e si provvedeva alla sutura del taglio corneale con un punto staccato in nylon 10/0. Consecutivamente si eseguiva una vitrectomia via pars plana mediante 3 vie, vitrectomia cen-trale per liberare le briglie delle membrane tra-zionali adiacenti la regione maculare, rimozione delle trazioni antero-posteriori e circonferenziali con vitrectomia subtotale, rimozione dei tessuti fi brovascolari con le tecniche di segmentazione, delaminazione ed escissione “en bloc”. In caso di rimozione delle membrane trazionali, veniva applicata una diatermia a tutti i tufts fi brovasco-lari ed, al bisogno, veniva eseguito o completato il trattamento fotocoagulativo (endolaser). Inoltre veniva sempre eseguito un accurato esame della periferia retinica alla ricerca di eventuali rotture retiniche periferiche. Al termine dell’intervento se necessario veniva nuovamente introdotto so-dio ialuronato 1.8% in camera anteriore.La sostanza viscoelastica utilizzata durante la procedura di facoemulsifi cazione, impianto di IOL e vitrectomia è una soluzione viscosa di sodio ialuronato all’1.8% e dal peso molecola-re di 1.150.000 Daltons a catena breve, con un origine naturale ricavata dalla lavorazione di creste di gallo, con un pH di 7.2 -7.4. Lo ialuro-nato di sodio all’1.8% presenta un’osmolarità di 300mOsm/l, un punto di Cross-over di 0.1 Hz, una viscosità di 20.000 – 22.000 cPs, una pseu-doplasticità +++, un angolo di contatto di 73°, un’alta adesività ed una coesività medio-bassa. Si presenta contenuta in una siringa dal volume di 1.1 ml provvista di viscocannula.

>> Analisi dei datiAbbiamo valutato la percentuale sia dei pazienti del gruppo 1 che del gruppo 2. Sono state ana-lizzate le IOP medie dei pazienti rilevate a t=0 (il giorno prima dell’intervento), a t=1 (a 6h dall’in-tervento), a t=2 (a 24h dall’intervento) e a t=3 (ad 1 settimana dall’intervento). Abbiamo calcolato la deviazione standard e l’in-tervallo (range) delle pressioni a ciascun tem-po sia per la totalità dei pazienti che per i due gruppi di pazienti. Inoltre sia per la popolazione totale dei pazienti che per entrambi i gruppi ab-biamo calcolato lo scarto delle IOP nei diversi tempi dati e lo scarto delle IOP tra i 2 gruppi per valutarne l’andamento.

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34 viscochirurgia 3 • 2010

Fabio Fiormonte, Roberto Rizzo, Daniele Lorenzano

>> RisultatiL’età media dei pazienti era 63.3 anni (+/-12.5 anni). Quarantacinque pazienti erano femmine (54.21%), 38 erano maschi (45,79%). Il gruppo 1 sottoposto ad intervento combinato di facoemul-sifi cazione, impianto IOL e VTR era di 75 pazienti (90.36%) su 83. Il gruppo 2 sottoposto ad inter-vento combinato di faco, impianto IOL e VTR era di 8 pazienti (9.64%) su 83. La IOP media sul nu-mero totale dei pazienti a t=0 è di 15.79 mmHg, a t=1 è di 19.29 mmHg, a t=2 è di 18.49 mmHg e a t=3 è di 16.49 mmHg. La IOP media del grup-po 1 di pazienti, non affetti da glaucoma, a t=0 è di 15.42 mmHg, a t=1 è di 18.92 mmHg, a t=2 è di 18.12 mmHg e a t=3 è di 16.12 mmHg come riportato in Tabella 1. La IOP media del gruppo 2 di pazienti, affetti da glaucoma, a t=0 è di 19.31 mmHg, a t=1 è di 22.80 mmHg, a t=2 è di 22.00

mmHg e a t=3 è di 20.00 mmHg come riportato in Tabella 2. Inoltre abbiamo calcolato gli scarti (Δ) delle IOP tra i tempi intermedi e t=0 per meglio valutarne l’andamento nei due gruppi presi in considerazione come espresso dalla Tabella 3.

>> DiscussioneLo studio da noi condotto è un’analisi retrospetti-va e soggetta al bias della selezione dei pazienti tipico di questi studi. Il numero dei pazienti inol-tre non è, per ora, tale da considerare i risultati si-gnifi cativi, ma è valido solo per tracciare una ini-ziale valutazione. D’altra parte nell’elaborazione dello studio è stata rivolta un’attenzione speciale alla selezione dei pazienti basata esclusivamen-te sulla diagnosi e sul follow-up. L’andamento della IOP nella popolazione di pazienti conside-

Tabella 2

IOP media (mmHg), SD e range preoperatoria e postoperatoria Gruppo 2

Tempi SH 1.8%

Preoperatorio (t=0) 19.31 mmHg (1.28) (17-21)

a 6h postop (t=1) 22.80 mmHg (1.98) (21-27)

a 24h postop (t=2) 22.00 mmHg (1.46) (21-25)

a 1 settimana postop (t=3) 20.00 mmHg (1.25) (18-22)

Tabella 1

IOP media (mmHg), SD e range preoperatoria e postoperatoria Gruppo 1

Tempi SH 1.8%

Preoperatorio (t=0) 15.42 mmHg (1.74) (10-20)

a 6h postop (t=1) 18.92 mmHg (2.63) (13-25)

a 24h postop (t=2) 18.12 mmHg (2.27) (13.22)

a 1 settimana postop (t=3) 16.12 mmHg (1.92) (10-22)

Tabella 3

D IOP (mmHg) con t=0 nei Gruppi 1 e 2

Tempi Δ IOP (mmHg)

gruppo 1 a 6h = 3.50 mmHg

gruppo 1 a 24h = 2.70 mmHg

gruppo 1 a 1 settimana = 0.70 mmHg

gruppo 2 a 6h = 3.49 mmHg

gruppo 2 a 24h = 2.69 mmHg

gruppo 2 a 1 settimana = 0.69 mmHg

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35viscochirurgia3 • 2010

Valutazione del tono in pazienti sottoposti a faco, impianto di IOL e vitrectomia simultanei con uso di sodio ialuronato 1.8% in C.A.

rati in questo studio nei diversi tempi pre e po-stoperatori, tende a rispettare i dati riportati in Letteratura12-14. Le valutazioni pressorie condot-te da altri studi, svolti però su pazienti sottoposti unicamente ad intervento di facoemulsifi cazione ed impianto di IOL, hanno dimostrato un anda-mento sovrapponibile a quello da noi riscontra-to14,15. L’andamento della IOP nel nostro studio, infatti, è stato caratterizzato da un picco dopo 6 ore dall’intervento, con una tendenza alla gra-duale diminuzione dei valori pressori dopo 24h, fi no alla normalizzazione della IOP a distanza di 1 settimana circa dall’intervento. Inoltre, l’analisi dei valori della pressione intraoculare nei 2 grup-pi di pazienti rivela la presenza di scarti pressori identici nei vari intervalli di tempo considerati, determinando un andamento della IOP sovrap-ponibile per tutti e i 2 gruppi di pazienti. Questi dati suggeriscono che l’impiego dello ialuronato di sodio 1.8% risulti compatibile con una corretta gestione dei valori della pressione intraoculare, an-che nei pazienti affetti da patologia glaucomatosa. Le caratteristiche fi siche e reologiche dello ialu-ronato di sodio all’1.8% si prestano al suo utilizzo durante la procedura combinata di facoemulsifi -

cazione e VTR offrendo numerosi vantaggi come: la dilatazione meccanica della pupilla che spesso si restringe nel corso della facoemulsifi cazione, il mantenimento di una camera anteriore profonda ed otticamente trasparente, una buona resistenza alle manipolazioni bulbari, la compartimentalizza-zione di camere separate. Inoltre in caso si rendes-se necessario l’utilizzo di un mezzo tamponante (PDMS o gas), l’impiego dello ialuronato di sodio 1.8% e la potrebbe ridurre il rischio di shifting del mezzo tamponante dalla CV alla CA.

Figura 1Andamento IOP (mmHg)nei 2 gruppi di pazienti

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Triamcinolone acetonide in soluzione viscoelastica per via juxtasclerale nel trattamento dell’edema maculare diabetico refrattario Paolo Lanzetta

Università degli Studi di Udine – Clinica Oculistica

RIASSUNTO

Scopo: L’obiettivo del presente studio è valutare l’effi cacia e la sicurezza della somministrazione juxtasclerale po-

steriore di una nuova formulazione di triamcinolone acetonide per il trattamento dell’edema maculare diabetico

diffuso, refrattario al trattamento laser.

Tipo di studio: Studio prospettico non comparativo.

Materiali e Metodi: Sono stati inclusi 22 occhi consecutivi con edema maculare diabetico diffuso e refrattario. Per

ogni paziente è stata effettuata una valutazione oculistica completa comprensiva di determinazione dell’acuità visiva,

tonometria ad applanazione, angiografi a retinica con fl uoresceina e mappatura maculare mediante tomografi a a

coerenza ottica. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a infusione juxtasclerale di 1.5 ml di una sospensione di 40 mg

di triamcinolone acetonide, 20 mg di condroitin solfato e 15 mg di ialuronato sodico. Le visite di follow-up sono state

previste dopo una settimana, 1 mese e 3 mesi dal trattamento e successivamente ogni 3 mesi.

Risultati: Il follow-up medio è stato di 15,8±5,3 mesi e durante tale periodo i pazienti hanno ricevuto in media

1,9±0,8 trattamenti. Lo spessore foveale centrale e l’acuità visiva media(± SD) al baseline erano pari a 474.2±136.6

µm e 0.6±0.37 logMAR, rispettivamente. La riduzione media (± SD) dello spessore foveale centrale è stata di

136±108 µm a una settimana e 150,5±161,2 µm al termine del follow-up. Il miglioramento medio (± SD) in acuità

visiva è stato di -0,18±0,21 logMAR al termine del follow-up. Sette pazienti (31.8%) sono stati posti in trattamento

ipotonizzante per un aumento della pressione intraoculare.

Conclusioni: La somministrazione juxtasclerale posteriore di triamcinolone acetonide in una formulazione modifi ca-

ta riduce effi cacemente lo spessore foveale centrale e migliora signifi cativamente l’acuità visiva.

ABSTRACT

Purpose: To evaluate prospectively the effi cacy and safety of posterior juxtascleral infusion of a new formulation of

triamcinolone acetonide for refractory diffuse diabetic macular edema.

Materials and Methods: Twenty-two consecutive eyes with refractory diffuse diabetic macular edema were inclu-

ded into the study. Each patient received a complete opthalmologic examination, including measurement of best

corrected visual acuity (measured in logarithm of the minimal angle of resolution [logMar]), applanation tonometry,

macular mapping using optical coherence tomography and digital fl uorescein angiography. All patients received a

suspension of 40 mg (1ml) triamcinolone acetonide, 20 mg sodium chondroitin sulphate and 15 mg sodium hyalu-

ronate (1.5 ml), delivered posteriorly through a small conjunctival and Tenon’s incision. Patients were scheduled for

follow-up examinations at 7 days, 1, 3, and every 3 months thereafter.

Results: Mean follow-up was 15,8±5,3 months. Mean (± SD) reduction in macular thickness was 136±108 µm after

1 week of follow-up and 150,5±161,2 µm at the end of the study. Mean (± SD) improvement in visual acuity at the

end of the follow-up was -0,18±0,21 logMAR. Seven patients (31.8%) required topical treatment due to signifi cant

intraocular pressure increase.

Conclusion: Posterior juxtascleral infusion of a new formulation of triamcinolone acetonide effectively reduces

macular thickening due to diffuse diabetic macular edema unresponsive to conventional grid laser photocoagulation

and signifi cantly improves visual acuity.

>>

PAROLE CHIAVE edema maculare diabeticotriamcinolone acetonide

infusione juxtasclerale diffusione transclerale

KEY WORDS diabetic macular edema

triamcynolone acetonideinfusione juxtasclerale

transcleral diffusion

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Triamcinolone acetonide in soluzione viscoelastica per via juxtasclerale nel trattamento dell’edema maculare diabetico refrattario

>> IntroduzioneL’edema maculare diabetico (EMD) rappre-senta la causa principale di perdita visiva nei pazienti affetti da diabete mellito,1 colpendo il 29% dei pazienti con una durata di malattia di 20 o più anni.2 L’Early Treatment Diabetic Reti-nopathy Study (ETDRS) ha dimostrato l’effi cacia del trattamento laser fotocoagulativo focale nel trattamento dell’edema maculare clinicamente signifi cativo.3 Tuttavia, l’edema maculare diffuso, derivante da una rottura generalizzata della bar-riera emato-retinica, è necessariamente meno responsivo al trattamento laser4-6. Lee e Olk7, 8 hanno dimostrato che l’acuità visiva nei pazienti con questa condizione, a 3 anni dal trattamento a griglia iniziale, era migliorata nel 14.5%, non si era modifi cata nel 60,9%, ed era diminuita nel 24,6% dei casi. La limitata effi cacia della fotoco-agulazione laser sull’edema maculare diabetico diffuso ha spinto gli oftalmologi a valutare nuove possibilità terapeutiche. Diversi studi clinici han-no già dimostrato l’effi cacia delle iniezioni intravi-treali di triamcinolone acetonide (TA) nel ridurre l’edema maculare e nel migliorare l’acuità visi-va; quantomeno nel breve termine.9-16 Tuttavia, la somministrazione intravitreale di triamcinolo-ne acetonide può comportare potenziali eventi avversi anche gravi, tra i quali endoftalmite acuta infettiva ed endoftalmite non infettiva14, 17-20. Per-tanto, alla luce dei rischi legati alla procedura e in ragione della necessità di somministrazioni ripetute per mantenere l’effi cacia terapeutica, si stanno considerando sia vie di somministrazio-ne alternative che l’utilizzo di impianti a rilascio controllato. Dosi terapeutiche di farmaco possono raggiun-gere il polo posteriore attraverso una diffusione transclerale, grazie a una somministrazione pe-rioculare21. Una delle problematiche rilevate nel passato con questa modalità di somministrazione è stata l’elevata percentuale di refl usso del far-maco attraverso il sito d’iniezione21. Nel presente studio, il triamcinolone acetonide è stato misce-lato con condroitinsolfato sodico e ialuronato so-dico per aumentare la viscosità del composto. Le maggiori viscosità e densità e le proprietà biochimiche della sospensione ottenuta possono rappresentare un vantaggio rispetto alla formula-zione standard nell’evitare il refl usso del farma-co, aumentare il tempo di contatto tra farmaco e sclera e infl uenzare la diffusione transclerale dello steroide.

Lo scopo di questo studio è dunque quello di valutare in maniera prospettica l’effi cacia e la si-curezza dell’infusione juxtasclerale posteriore di questa formulazione modifi cata di triamcinolone acetonide, nel trattamento dell’edema maculare diabetico refrattario al trattamento laser.

>> MetodiIl protocollo di studio aderisce ai principi della Dichiarazione di Helsinki ed è stato approvato dal comitato etico locale. Tutti i pazienti hanno fornito un consenso, scritto e informato, prima della loro inclusione nello studio. Sono stati reclutati 22 occhi di 18 pazienti affetti da edema maculare diabetico refrattario al tratta-mento laser e sono stati seguiti presso la Clinica Oculistica dell’Università degli studi di Udine.

Criteri di inclusione ed esclusioneI pazienti per essere inclusi nello studio doveva-no soddisfare i seguenti criteri: (1) avere più di 18 anni di età; (2) essere affetti da un EMD refrattario diffuso,

defi nito come edema maculare clinicamen-te signifi cativo (secondo la classifi cazione ETDRS)3 con una rottura generalizzata della barriera emato-retinica e leakage alla fl uo-rangiografi a coinvolgente il centro foveale e la maggior parte della zona maculare, non rispondente a un trattamento fotocoagulati-vo adeguato effettuato almeno 3 mesi prima della valutazione;

(3) avere un riscontro alla valutazione tomografi -ca di un valore di spessore foveale superiore a 300 µm,

(4) avere un’acuità visiva compresa tra 0.2 e 1.3 logMAR.

Sono stati esclusi dallo studio i pazienti con: (1) trazione vitreomaculare o membrana epire-

tinica; (2) storia di glaucoma non controllato (defi nita

come pressione intraoculare superiore a 25 mmHg nonostante il trattamento) o glaucoma a bassa tensione,

(3) utilizzo di corticosteroidi sistemici o oculari nei 6 mesi precedenti al baseline,

(4) un’infi ammazione intraoculare attiva o infe-zione sistemica,

(5) un valore di emoglobina glicosilata (HbA1c) superiore al 10%,

(6) una perdita visiva legata ad altre cause.

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Daniele Veritti, Gloria Dal Mas, Paolo Lanzetta

Valutazione pre-trattamento, follow-up e criteri di ritrattamento Ogni paziente è stato sottoposto ad una valuta-zione pre-trattamento mediante una visita oculi-stica completa, determinazione dell’acuità visiva corretta utilizzando le tavole ETDRS (LogMAR), tonometria ad applanazione, esame biomicro-scopico. Sono state inoltre eseguite fotografi e a colori del fundus e fl uorangiografi a retinica. Le valutazioni tomografi che sono state ottenute con un OCT di terza generazione.La valutazione OCT è stata effettuata da opera-tori esperti utilizzando il protocollo Fast Macu-lar Thickness. Questa metodologia di analisi è stata descritta come effi cace nel monitoraggio delle variazioni morfologiche negli occhi affetti da retinopatia diabetica e dotata di una buona riproducibilità13,23. Sono state effettuate visite di follow-up a 7 giorni dal trattamento e dopo 1 e 3 mesi e successivamente a cadenza trimestrale.A ogni visita i pazienti sono stati sottoposti a visita oculistica completa e a valutazione to-mografi ca. La fl uorangiografi a retinica è stata eseguita a intervalli di 3 mesi. Eventuali ritrat-tamenti sono stati considerati a intervalli di 3 mesi, a discrezione dell’oftalmologo, sulla base della valutazione tomografi ca (CFT maggiore di 300 µm), dell’acuità visiva e dell’aspetto fl uo-rangiografi co. I pazienti sono stati monitorati durante il follow-

up per potenziali effetti avversi secondari al trattamento con il corticosteroide o alla proce-dura chirurgica. Al termine dell’infusione è stata verifi cata la presenza o assenza di refl usso di farmaco attraverso il sito d’iniezione. Inoltre, du-rante il follow-up, sono state registrate eventuali variazioni nei valori dell’emoglobina glicosilata (HbA1c).

Preparazione del farmaco e via di somministrazione Ogni paziente ha ricevuto, in condizioni sterili e in anestesia topica, una sospensione di 40 mg di triamcinolone acetonide, 20 mg di condroi-tinsolfato sodico e 15 mg di ialuronato sodico (1.5 ml), somministrati per via juxtasclerale po-steriore. La procedura è stata la seguente: instillazione di iodio povidone 5% all’interno del fornice congiuntivale, applicazione in campo sterile di blefarostato e induzione di anestesia mediante lidocaina 2%. Seguono poi l’incisione della congiuntiva e della capsula di Tenone in sede supero-temporale a 7 mm dal limbus corneale, l’infusione del farmaco nello spazio juxtasclerale posteriore mediante cannula curva di Greenbaum, la retrazione della cannula applicando una leggera pressione me-diante tampone sterile, la cauterizzazione della ferita chirurgica e l’instillazione di antibiotico.

ObiettiviL’obiettivo principale dello studio è la riduzio-ne dello spessore centrale foveale (central fo-veal thickness – CFT) valutato mediante OCT. La variazione standardizzata dell’ispessimento maculare (Standardized Change in Macular Thi-ckening - SCMT) è stata calcolata utilizzando la formula di Chan e Duker: SCMT = (CFT inizia-le - CFT fi nale)/(CFT iniziale - CFT normale).24 Il valore normale del CFT è stato considerato 182 µm per l’OCT Stratus12. In alcuni occhi il va-lore dello spessore foveale centrale è sceso al di sotto di 182 µm dopo iniezione del farmaco. Per tali pazienti è stato considerato normale il valore minimo raggiunto durante il follow-up. Obietti-vi secondari sono le modifi cazioni dell’acuità visiva (logMAR), della pressione intraoculare e dell’emoglobina glicosilata.

RisultatiSono stati arruolati nello studio 22 occhi di 18 pazienti che hanno soddisfatto i criteri di in-

Tabella 1

Caratteristiche dei casi in studio

n=22

Genere femminile, n(%) 7 (31.8%)

Età media (± SD), anni 66.9±11.9

Durata media (± SD) del DM, anni 16.8±14.2

Trattamento insulinico, n(%) 10 (45.4%)

Occhi fachici, n(%) 14 (63.6%)

Precedente trattamento prp, n(%) 17 (77.3%)

HbA1c media (± SD), % 7.4±1.3

BMI medio (± SD) 27.3±4.4

Pressione sistolica media (± SD), mmHg 136.7±16.7

Pressione diastolica media (± SD), mmHg 79.2±10.8

Spessore retinico foveale medio (± SD), µm 472.5±138.9

Acuità visiva media (± SD), logMAR 0.6±0.37

Pressione intraoculare media (± SD), mmHg 15.7±3.8

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Triamcinolone acetonide in soluzione viscoelastica per via juxtasclerale nel trattamento dell’edema maculare diabetico refrattario

clusione. Il follow-up medio è stato di 15,8±5,3 mesi. Le caratteristiche pretrattamento sono ri-assunte nella tabella 1. Sono state effettuate in media (± SD) 1,9±0,8 iniezioni per occhio trat-tato. In 12 casi (54.5%) è stata suffi ciente una sola iniezione durante i primi 12 mesi di follow-up. Non è stato osservato refl usso di farmaco in alcuna delle procedure.

Variazioni dello spessore retinico centraleLe variazioni dello spessore centrale foveale a se-guito del trattamento sono riassunte nella Tabella 2 e nella Figura 1. La riduzione di almeno la metà dell’ispessimento foveale in eccesso rispetto ai valori normali si è verifi cata nel 63,6% dei casi al termine del follow-up. Al termine del periodo di studio la riduzione media dello spessore foveale

centrale è stata di 150.5±161.2 µm (p < 0.001, test Wilcoxon per campioni appaiati).

Variazioni dell’acuità visivaGli effetti del trattamento sull’acuità visiva (logMAR) sono riassunti nella tabella 3 e nella fi gura 2. Alla fi ne dello studio, il miglioramento medio nell’acuità visiva è stato di -0,18±0,21 LogMAR (p < 0.001, test Wilcoxon per campioni appaiati); nel 68,2% degli occhi il miglioramento è stato di almeno 1 linea ETDRS; nel 31,8%dei casi, è stato superiore a 3 linee ETDRS. Durante il follow-up si sono verifi cati nel complesso 4 casi di calo del visus superiore o uguale a 3 linee. In 2 casi la causa del calo visivo è da imputarsi alla progressione della cataratta. Dopo l’inter-vento di facoemulsifi cazione e impianto di lente

Tabella 2

Modifi cazioni dello spessore foveale centrale medio (CFT). Variazioni standardizzate dell’ispessimento maculare (SCMT) calcolate mediante formula di Chan e Duker

1 settimana 1 mese 3 mesi 6 mesi 9 mesi 12 mesi 15 mesi 18 mesi 21mesi 24 mesi Last follow-up (n=22) (n=22) (n=22) (n=22) (n=22) (n=22) (n=15) (n=15) (n=14) (n=11) (n=22)

Variazione media (± SD) -135.7 -155 -134.9 -105.9 -160.1 -128 -134 -125 -220,9 -144,5 -150,5della CFT ±108 ±106.6 ±114.9 ±105.5 ±131.5 ±121.5 ±116,4 ±145,6 ±162,4 ±196,8 ±1161,2dalla baseline, µm

Riduzione media (± SD) del SCMT -47.4 -53.3 -48.3 -37.5 -51.9 -42.6 -45,8 -33,5 -61 -22,7 -38,4dalla baseline, % ±28.9% ±27.3% ±31.9% ±34.7% ±38.1% ±38.5% ±37.8% ±43,9% ±30,3% ±81,8% ±65,5%

Riduzione del SCMT = 10 12 12 9 12 11 6 8 10 6 1450%, n(%) (45.4%) (54.5%) (54.5%) (40.9%) (54.5%) (50%) (40%) (53,3%) (71,4%) (54,5%) (63,6%)

Figura 1Effetti del trattamento sullo spessore foveale centrale medio, variazione media ± deviazione stadard, numerosità campionaria (n)

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Daniele Veritti, Gloria Dal Mas, Paolo Lanzetta

intraoculare, l’acuità visiva è tornata al valore dei precedenti controlli. Negli altri due casi si è ma-nifestata una recidiva dell’edema maculare, trat-tato in con un’ulteriore iniezione juxtasclerale di triamcinolone acetonide.

Effetti avversiSono stati effettuati dei confronti seriati mediante test t per campioni appaiati per i valori di pres-

sione intraoculare tra le varie visite di follow-up e la visita pre-trattamento. La differenza in pressio-ne intraoculare rispetto all’inizio dello studio si è dimostrata statisticamente signifi cativa solo dopo un mese di follow-up (p=0.007). Sette pazienti (31.8%) sono stati posti in trattamento ipotoniz-zante per poter raggiungere valori normotensi-vi. In 5 casi è stato suffi ciente che il trattamento ipotonizzante fosse somministrato per il periodo

Tabella 3

Modifi cazioni dell’acuità visiva media (logMAR) rispetto all’ingresso nello studio

1 settimana 1 mese 3 mesi 6 mesi 9 mesi 12 mesi 15 mesi 18 mesi 21 mesi 24 mesi Last follow-up (n=22) (n=22) (n=22) (n=22) (n=22) (n=22) (n=15) (n=15) (n=14) (n=11) (n=22)

Variazione media (± SD) dell’AV -0.06 -0.11 -0.15 -0.16 -0.15 -0.15 -0.09 -0.15 -0.16 -0.15 -0.18dalla baseline, ±0.11 ±0.14 ±0.24 ±0.25 ±0.22 ±0.21 ±0.34 ±0.21 ±0.25 ±0.15 ±0.21logMAR

Incremento dell’AV >0 10 14 16 14 13 14 10 10 9 8 15linee ETDRS, n(%) (45.4%) (63.6%) (72.7%) (63.6%) (59.1%) (63.6%) (66,6%) (66,6%) (64.3%) (72.7%) (68,2%)

Incremento dell’AV =3 2 3 6 6 6 6 5 4 4 3 7linee ETDRS, n(%) (9.1%) (13.6%) (27.3%) (27.3%) (27.3%) (27.3%) (33,3%) (26,7%) (28,6%) (27,3%) (31,8%)

Diminuzione dell’AV >0 3 1 3 3 3 3 3 2 2 1 2linee ETDRS, n(%) (13.6%) (4.5%) (13.6%) (13.6%) (13.6%) (13.6%) (20%) (13,3%) (14,3%) (9,1%) (9,1%)

Diminuzione dell’AV =3 0 0 2 1 3 1 3 1 1 0 0linee ETDRS, n(%) (0%) (0%) (9.1%) (4.5%) (13.6%) (4.5%) (20%) (6,7%) (7,1%)

AV stabile: variazione <1 9 7 3 5 6 5 2 3 3 2 5linea ETDRS, n(%) (40.9%) (31.8%) (13.6%) (22.7%) (27.3%) (22.7%) (13,3%) (20%) (21,4%) (18,2%) (22,7%)

Figura 2Effetti del trattamento

sull’acuità visiva media (logMAR), variazione media ± deviazione stadard, numerosità

campionaria (n)

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Triamcinolone acetonide in soluzione viscoelastica per via juxtasclerale nel trattamento dell’edema maculare diabetico refrattario

di tempo intercorso tra una visita e la successiva. I rimanenti 2 pazienti hanno dovuto continuare la terapia per tutta la durata dello studio. Si è verifi -cato un episodio di ptosi palpebrale (4.5%) e in 5 occhi su 14 fachici all’inizio dello studio (35.7%) è stato necessario procedere a rimozione del cristallino mediante facoemulsionifi cazione e impianto di IOL per progressione della cataratta. In tutti gli occhi trattati si è verifi cata, immediata-mente dopo la procedura, una marcata chemosi che si è successivamente risolta senza sequele entro 2 giorni. Non si è verifi cato alcun caso di endoftalmite. I pazienti trattati sono stati monito-rati per variazioni nei valori dell’emoglobina gli-cosilata. Per 14 dei pazienti inseriti nello studio è

Figura 4Prima dell’iniezione: gli angiogrammi con fl uoresceina precoce e tardivo dimostrano un’iperfl uorescenza tardiva dovuta a una rottura generalizzata della barriera ematoretinica. La mappa maculare e la corrispondente scansione tomografi ca rivelano la presenza di un ispessimento marcato dello spessore retinico con ampi spazi cistoidi iporefl ettivi. Dopo una settimana, un mese e tre 3 mesi dal trattamento si può notare una riduzione signifi cativa dello spessore retinico accompagnata da un miglioramento dell’acuità visiva. Al sesto mese di follow-up si manifesta una recidiva dell’edema maculare e si decide pertanto per un nuovo trattamento. Dopo un anno di follow-up l’acuità visiva è migliorata di due linee rispetto al baseline. La mappa maculare e la corrispondente scansione testimoniano la signifi cativa riduzione dell’ispessimento retinico rispetto all’ingresso nello studio.

Figura 3 Cannula di Greenbaum

Evoluzione dell’edema maculare diabetico diffuso refrattario dopo infusione juxtasclerale di triamcinolone acetonide in soluzione viscoelastica

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Daniele Veritti, Gloria Dal Mas, Paolo Lanzetta

stato possibile ottenere questi dati in modo com-pleto e per l’intera durata del follow-up. L’analisi ANOVA per misure ripetute ha dimostrato che i tassi medi di HbA1c non hanno subito variazioni signifi cative in questi pazienti (F5,65 = 1,35, p= 0,25).

>> DiscussioneL’edema maculare è la principale causa di di-sabilità visiva nei pazienti affetti da retinopatia diabetica.26 Negli ultimi anni, diversi studi hanno dimostrato l’effi cacia a breve termine della som-ministrazione intravitreale di TA nel trattamento dell’edema maculare diffuso refrattario alla tera-pia laser12-15. Beer et al.27 hanno osservato che una concentrazione adeguata è in grado di man-tenere l’effetto terapeutico per circa 3 mesi dopo l’iniezione intravitreale di 4 mg di TA. Audren et al28. hanno riscontrato una durata massima dell’effetto terapeutico di circa 140 giorni, in ac-cordo con quanto riscontrato in Letteratura12-16. Tra le problematiche legate all’impiego intravi-treale del triamcinolone acetonide si riporta la possibilità non trascurabile di eventi avversi, an-che gravi, legati sia alla procedura intraoculare che alla tossicità della soluzione iniettata sulle strutture intraoculari: endoftalmite acuta infettiva, endoftalmite non infettiva, potenziali cataratta e distacco retinico iatrogeni.29 Una revisione siste-matica della Letteratura ha analizzato l’incidenza dell’endoftalmite a seguito dell’iniezione intravi-treale di triamcinolone acetonide. Si sono veri-fi cati nel complesso 24 casi di endoftalmite su 1,739 procedure (1.4%)20.L’assorbimento transclerale può rappresenta-re una valida via per permettere al farmaco di raggiungere la retina maculare21,30,31. La sclera infatti, costituendo il 95% dell’area di superfi cie totale del globo oculare, fornisce una superfi cie di scambio di 17 cm2, offrendo un’ampia super-fi cie per la diffusione del farmaco21. La sclera umana è permeabile a composti delle dimen-sioni dei destrani (70-kDa) e IgG dello stesso peso molecolare32. Pertanto, il TA, che possiede un peso molecolare di circa 400 Dalton, può fa-cilmente diffondere passivamente attraverso la sclera. La somministrazione transclerale di TA è normalmente utilizzata per il trattamento di varie malattie infi ammatorie oculari, e recentemente è stata proposta per il trattamento dell’edema maculare diabetico33-40. Diversi studi in passato

hanno dimostrato che l’iniezione intravitreale di TA potrebbe essere più effi cace rispetto all’infu-sione juxtasclerale posteriore per il trattamento dell’edema maculare diabetico refrattario.Bonini-Filho et al.22 hanno confrontato, in uno stu-dio prospettico e randomizzato, l’effi cacia dell’in-fusione sottotenoniana posteriore e dell’iniezio-ne intravitreale di triamcinolone acetonide in 28 pazienti con edema maculare diabetico refratta-rio. Nel gruppo di pazienti sottoposti a infusio-ne sottotenoniana la differenza dello spessore foveale rispetto all’inizio dello studio non si è mai dimostrata statisticamente signifi cativa nei 6 mesi di follow-up. Al contrario, l’iniezione intra-vitreale si è rivelata effi cace per tutta la durata dello studio. Gli autori fanno notare però che tra i pazienti sottoposti a infusione sottotenoniana in 3 casi (21.4%) si è verifi cato refl usso di farmaco e ciò può aver infl uenzato l’effi cacia di questa mo-dalità di somministrazione. Cardillo et al.34 in uno studio retrospettivo condotto su 85 occhi trattati con un’infusione sottotenoniana posteriore di TA e su 41 occhi trattati con iniezioni intravitreali di TA, hanno dimostrato che nei pazienti con edema maculare diffuso, l’iniezione intravitreale di TA è stata più effi cace rispetto all’iniezione posterio-re sottotenoniana nel miglioramento anatomico e funzionale. Ozdek et al.33 hanno valutato re-trospettivamente l’effi cacia dell’infusione poste-riore sottotenoniana e delle iniezioni intravitreali di TA nell’edema maculare diabetico refrattario. Sebbene l’effetto delle iniezioni sottotenoniane di 20 mg/0.5 mL sia stato meno eclatante rispet-to a quello ottenuto con le iniezioni intravitreali di TA, si è tuttavia dimostrato effi cace sia funzio-nalmente e anatomicamente con un effetto della durata di circa 3 mesi. Anche Bakri e Kaiser37

hanno dimostrato l’utilità di questa modalità di somministrazione, utilizzando 40 mg di farma-co, nel migliorare o stabilizzare l’acuità visiva nei pazienti con DME. In un periodo di 3 mesi, Choi et al.38 hanno confrontato l’effi cacia in 60 pazienti affetti da DME di una singola iniezione posteriore sottotenoniana di 40mg con un’inie-zione intravitreale, giungendo alla conclusione che la somministrazione sottotenoniana ha un ef-fetto paragonabile a quello della via intravitreale, con il vantaggio di essere legata a minor rischi di aumento della pressione intraoculare. Nel loro recente studio, Cellini et al.40 hanno dimostrato che 3 mesi dopo la somministrazione, sia l’inie-zione intravitreale di TA sia quella sottotenoniana

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Triamcinolone acetonide in soluzione viscoelastica per via juxtasclerale nel trattamento dell’edema maculare diabetico refrattario

producevano un miglioramento equivalente di VA e un’altrettanto signifi cativa riduzione dello spessore retinico.Nel presente studio è stato utilizzato il TA in una nuova formulazione, al fi ne di aumentarne la viscosità e densità, limitando così il refl usso e favorendo la permanenza del farmaco in sede retrofoveale. La doppia incisione congiuntivale e tenoniana, fi no a identifi care il piano sclerale, l’utilizzo della cannula di Greenbaum e la cau-terizzazione della ferita a fi ne procedura sono manovre volte sia a ridurre il rischio di refl usso di farmaco, sia a favorire la localizzazione del farmaco in sede retromaculare. Tra le 34 inie-zioni effettuate non si è verifi cato infatti alcun caso di refl usso. Come veicolo sono stati utiliz-zati l’acido ialuronico e il condroitin solfato in ragione di meccanismi biochimici e biomec-canici. L’idratazione, la diffusione dei soluti e il movimento dei fl uidi attraverso la sclera sono, infatti, regolati dal contenuto in proteoglicani della matrice sclerale extrafi brillare e in funzio-ne della natura idrofi lica dei glicosaminoglicani che ne compongono le catene laterali.41 I pro-teoglicani più rappresentati sono decorina e bi-glicano, la cui componente mucopolisaccaridi-ca è costituita da condroitin solfato e dermatan solfato42. Si può dunque ipotizzare che le inte-razioni tra i glicosaminoglicani che veicolano il triamcinolone acetonide e quelli della matrice sclerale possano modifi care la diffusione del farmaco attraverso la sclera. In secondo luogo, le misure sperimentali della permeabilità scle-rale sono basate su determinazioni di fl usso allo stato stazionario. Il passaggio attraverso la sclera di un farmaco somministrato per via juxtasclerale posteriore è governato da una dif-fusione transiente che, qualora non venga utiliz-

zato un sistema a rilascio controllato, si esplica nell’ordine dei minuti, non garantendo così uno stato stazionario. Quindi, le misure sperimenta-li probabilmente sovrastimano la diffusione in vivo di un farmaco somministrato per via jux-tasclerale21. La densità e la viscosità della for-mulazione adottata in questo studio dovrebbe-ro garantire un tempo di contatto tra farmaco e sclera maggiore, avvicinando così i valori della permeabilità sclerale in vivo a quelli misurati in vitro. Nel presente studio, al termine del follow-up, è stata ottenuta una riduzione di almeno la metà dello spessore maculare in eccesso nel-la metà degli occhi trattati. Sebbene gli occhi inclusi nello studio fossero caratterizzati da un edema maculare diffuso refrattario, alla fi ne del periodo di follow-up, in circa un terzo dei casi si è verifi cato un miglioramento di almeno 3 linee ETDRS. I risultati ottenuti nel presente studio si discostano da quelli pubblicati nei precedenti lavori e sono particolarmente incoraggianti. Per concludere, la somministrazione juxtascle-rale di TA in nuova formulazione è risultata ef-fi cace nel ridurre l’edema maculare retinico e migliorare l’acuità visiva. Benché consci che le limitazioni del presente studio risiedano nella limitata numerosità del campione, nell’assen-za di un gruppo di controllo e nella mancata randomizzazione, riteniamo che l’effi cacia del trattamento, la via di somministrazione extrao-culare, la prolungata durata d’azione e la ridotta incidenza di effetti collaterali gravi facciano di questa modalità di trattamento un’alternativa effi cace, che merita di essere approfondita in ulteriori studi, anche per quanto riguarda il trat-tamento degli edemi maculari diabetici diffusi naïve, in combinazione o meno con il trattamen-to fotocoagulativo laser.

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NOTE

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>> IntroduzioneL’inizio del nuovo millennio ha inaugurato l’era dei così detti “farmaci biologici”: gli agenti bio-logici sono anticorpi monoclonali diretti contro molecole specifi che di superfi cie cellulare im-plicati nelle affezioni a matrice infi ammatoria.1

Più specifi catamente, si può dire che vi è un chia-ro razionale nell’uso dei biologici nella gestione delle malattie infi ammatorie oculari. L’approccio iniziale è rappresentato dall’impiego dei corti-costeroidi sintetici, farmaci estremamente effi ca-ci nel ridurre l’infi ammazione, ma gravati da una vasta gamma di complicazioni se somministrati per un lungo periodo.2 Inoltre, nei pazienti affetti da malattie infi ammatorie sistemiche, si aggiun-gono fattori di mortalità indipendenti.3 Per tali motivi, è di primaria importanza la ricerca, lo sviluppo e lo studio di altre opzioni terapeutiche. I farmaci defi niti ‘steroid sparing’, includenti gli antimetaboliti (i.e. methotrexate, azatioprina e micofenolato mofetile), gli agenti alchilanti (i.e. clorambucile e ciclofosfamide) e gli inibitori del-le cellule T (i.e. ciclosporina e tacrolimus) hanno prodotto signifi cativi miglioramenti sia nel con-trollo della malattia che nella qualità della vita4,5. Tuttavia, anche questi farmaci possono avere gravi effetti collaterali ed è pertanto necessario un regolare controllo mediante esami di labora-torio. Negli ultimi decenni, grazie allo sviluppo di modelli animali6 ed allo sviluppo di tecniche

per ottenere campioni oculari dai pazienti7, è au-mentata la conoscenza della patogenesi dell’in-fi ammazione oculare ed in particolar modo del-le uveiti immuno-mediate. Si tratta di patologie che presentano una signifi cativa compartecipa-zione delle cellule T CD4+ e un ruolo importan-te svolto da macrofagi e da mediatori moleco-lari (molecole di adesione cellulare, citochine e chemochine, radicali liberi dell’ossigeno ed eicosanoidi). Questa crescente conoscenza dei meccanismi di infi ammazione oculare ed i limiti delle terapie attuali, hanno incoraggiato i medici a considerare i farmaci biologici per il trattamen-to delle malattie infi ammatorie oculari.Negli ultimi 5 anni, numerosi agenti biologici sono stati studiati per il trattamento delle uveiti, delle scleriti e delle infi ammazioni orbitali. Tut-tavia, la maggior parte della Letteratura pubbli-cata è incentrata sulle uveiti. In questo articolo, è riassunto lo stato attuale delle conoscenze, con particolare attenzione ai target specifi ci di questi agenti biologici che sono rappresentati da: Linfociti (i.e. cM-T412 diretto contro le cell T CD4+, alemtuzumab diretto contro tutti i subset linfocitari, e rituximab diretto contro le cellule B) Citochine (i.e. infl iximab, adalimumab, etaner-cept e TNFr-Ig tutti diretti contro il fattore di ne-crosi tumorale alfa [TNF-α]) Recettori delle citochine (i.e. daclizumab diret-to contro il recettore per interleuchina [IL]-2)

Nuovi concetti su farmaci biologici e patologie infi ammatorie oculari

Piergiorgio Neri

Ospedali Riuniti “Umberto I-GM Lancisi-G Salesi”, Clinica Oculistica, Ancona

>>

VISC

OC

HIRU

RGIA

AGGIORNAMENTI TERAPEUTICI

Il capitolo dell’immunologia oculare è in costante progresso.Abbiamo chiesto al gruppo di ricerca dell’Università di Ancona di farci il punto ad oggi sulle ultime novità. A nome loro, Piergiorgio Neri, esperto del settore, si è fatto carico di sviluppare l’articolo.

Vittorio Picardo

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47viscochirurgia3 • 2010

AGGIORNAMENTI TERAPEUTICI

A questi aggiungiamo altri due agenti, l’interfe-ron-α (INFα) e le immunoglobuline intravenose (IVIG) che, sebbene non rispondano stretta-mente alla defi nizione di biologici, sono spesso inclusi in questo gruppo. Diversi farmaci sono poi all’orizzonte per la gestione delle malattie infi ammatorie oculari.

>> Farmaci biologici aventi come bersaglio i subset linfocitaricM-T412Il primo biologico usato per il trattamento delle malattie infi ammatorie oculari è stato il cM-T412, un anticorpo murino-umanizzato anti- CD4. Cir-ca un decennio fa, Thurau et al hanno trattato con una serie di infusioni intravenose di cM-T412, un uomo di 28 anni con uveite posteriore cronica bilaterale precedentemente trattato con immu-nosoppressione sistemica convenzionale.9 Il trattamento ha ridotto la frequenza e la severità della malattia per oltre 2 anni senza un’apparente tossicità. Tuttavia, in altri pazienti, l’anticorpo ha prodotto una riduzione delle cellule T CD4+ per più di 2 anni. Questa osservazione e il successo di infl iximab, che è stato ricercato e sviluppato dallo stesso gruppo, può spiegare perché il cM-T412 non è stato mai commercializzato.

AlemtuzumabAlemtuzumab, conosciuto anche come Cam-path-1H, è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il CD-52, molecola localizzata sulla superfi cie di linfociti e monociti. Studi non com-parativi hanno sostenuto l’uso di questo agente nel trattamento delle leucemie a cellule B e T, nel-la prevenzione della “graft versus host disease” e del rigetto dopo trapianto di cellule staminali8. L’utilizzo di alemtuzumab nel trattamento di ma-lattie infi ammatorie oculari, risale per la prima volta al 2000, quando Dick et al, in uno studio open-label con follow-up variabile, hanno usato alemtuzumab (10-12 mg/die per 5 giorni intrave-noso) per trattare un gruppo di 10 pazienti con severa malattia infi ammatoria oculare resistente al trattamento. Questo gruppo includeva, quattro casi di vasculite retinica, due casi di sclerochera-tite associati rispettivamente con artrite reuma-toide (RA) e granulomatosi di Wegener e singo-li casi di oftalmia simpatica, malattia di Behçet, rigetto di trapianto corneale ed infi ammazione

orbitale di Wegener10. Dopo il trattamento, dei dieci pazienti, otto hanno avuto una remissione della malattia, mentre negli altri due la malattia è divenuta più facile da controllare tanto da ridurre considerevolmente l’immunosoppressione siste-mica. In uno studio seguente, condotto da alcuni dello stesso gruppo, è descritto il successo nel trattamento con alemtuzumab di 18 pazienti con malattia di Behçet11. Sebbene la malattia oculare non era descritta in modo specifi co, 12 pazien-ti avevano un coinvolgimento oculare. Più di tre quarti dei pazienti arruolati hanno avuto una re-missione in sei mesi, sebbene nella metà di que-sti non si sia mantenuta dopo un follow up durato 3 anni. Alemtuzumab è associato con un’alta in-cidenza di reazioni all’infusione e ad una consi-derevole tossicità ematologica, ciò spiega forse perché questa forma di terapia non ha ottenuto la stessa popolarità degli anti-TNF.

RituximabRituximab è un anticorpo monoclonale chimerico murino/umanizzato diretto contro il CD20, anti-gene delle cellule B. Questo antigene è espresso su tutte le cellule B fi no alla loro differenziazione in plasmacellula matura12, e il trattamento con rituximab comporta una riduzione marcata del numero delle cellule B sia normali che patologi-che13,14. Il rituximab è stato inizialmente impie-gato nel trattamento dei linfomi a cellule B15,16. Tuttavia, molto recentemente, questo agente è stato usato con successo in condizioni che sono state considerate tradizionalmente come malat-tie autoimmuni mediate principalmente da cel-lule T, come la RA, il lupus eritematoso sistemico (SLE) e la granulomatosi di Wegener. Edwards et al hanno recentemente pubblicato i risultati di uno studio controllato randomizzato di 161 pazienti con RA attiva che mostrava una ri-duzione del 50% dell’attività di malattia rispetto a quelli trattati con il solo methotrexate. Si aggiun-ga che una riduzione maggiore è stata vista in quelli trattati con due infusioni di rituximab (1000 mg) in associazione al methotrexate17. Ancora più rilevante è stato il fatto che nelle 24 settima-ne di follow up non è stata necessaria una nuova infusione per controllare l’attività della malattia.Il rituximab è stato impiegato anche nel lupus eritematoso sistemico (SLE) clinicamente attivo. Un trial open-label, a dose-escalation condotto da Looney et al in 18 pazienti con SLE, ha mo-

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AGGIORNAMENTI TERAPEUTICI

strato una signifi cativa riduzione dell’attività di malattia anche senza un cambiamento del titolo sierico di anticorpi anti-dsDNA13. Tuttavia, que-sto effetto sull’attività di malattia si è avuto solo nei 12 pazienti in cui si è osservato una effettiva riduzione delle cellule B dal sangue periferico dopo terapia con il farmaco, mentre il migliora-mento è stato minimo in quelli che hanno mante-nuto alti livelli di cellule B. L’utilizzo di rituximab nei pazienti con granulomatosi di Wegener è stato limitato a 11 pazienti con malattia refrattaria alle dosi massimamente tollerate di ciclofosfami-de e glucocorticoide18. Tre di questi 11 pazienti presentavano un coinvolgimento oculare. Il tratta-mento prevedeva una infusione di rituximab (375 mg/m2) ogni settimana per quattro settimane, in combinazione con alte dosi orali di prednisone successivamente scalato. Tutti gli 11 pazienti han-no avuto una deplezione delle cellule B circolan-ti, una riduzione degli anticorpi anti-citoplasma dei neutrofi li e dei markers infi ammatori e una remissione della malattia entro 6 mesi. Tuttavia, sei pazienti hanno richiesto un ritrattamento con rituximab durante il follow-up, durato dai 10 ai 44 mesi, o per ripresa della malattia o come tratta-mento preventivo in presenza di un aumento del titolo di anticorpi anti-citoplasma dei neutrofi li in combinazione con un aumento della conta delle cellule B. Ciò concorda con i risultati di un’altra piccola serie di tre pazienti dove, dopo una qua-si completa remissione iniziale della malattia, si è osservata una ripresa della malattia in tutti i pazienti19. È interessante notare che, due dei tre pazienti di questa serie avevano un granuloma retro-orbitale o una massa sinusale che sembra-va non rispondere al trattamento con rituximab.Il successo di rituximab in queste malattie, tra-dizionalmente considerate mediate da cellule T, indica che le cellule B devono avere un ruolo molto più ampio nella patogenesi delle malattie autoimmuni di quello generalmente considera-to. Ciò è ulteriormente sottolineato dall’effetto terapeutico di rituximab nell’attività di malattia di SLE in assenza di una riduzione del titolo au-toanticorpale, che dimostra come la produzione di auto-anticorpi e quindi il ruolo delle cellule B come precursori di cellule responsabili della secrezione di anticorpi specifi ci, non sia l’unico, ma si aggiunge al ruolo critico delle cellule B nell’attivazione delle cellule T20.La RA, la SLE e la granulomatosi di Wegener

sono condizioni in cui si associano comunemen-te scleriti e malattie infi ammatorie orbitali e ritu-ximab può rappresentare un effi cace trattamento per casi di sclerite refrattaria e di infi ammazione orbitale non-infettiva, come riportato in due case report. Il primo, è un caso di sclerite anteriore refrattaria in corso di sindrome di Sjögren pri-maria, che ha mostrato una completa risoluzione della malattia con 4 settimane di infusioni setti-manali di rituximab (375 mg/m2) seguito da un mantenimento con micofenolato mofetile21. Il secondo, descrive il successo della gestione di una sclerite associata a granulomatosi di Wege-ner mediante una singola infusione di rituximab (1000 mg) seguita da un mantenimento con ci-clofosfamide, che ha indotto una remissione che si è protratta nei 7 mesi di follow up22. Sebbene questi report siano promettenti, è necessario eseguire ulteriori studi per provare l’effi cacia di rituximab nelle malattie infi ammatorie oculari. Per quanto riguarda la sicurezza, rituximab sem-bra essere molto ben tollerato, si possono avere reazioni di ipersensibilità, ma non sono comuni infezioni maggiori durante il periodo di deple-zione delle cellule B23.

>> Farmaci biologici aventi come bersaglio le citochine

anti-TNFNella letteratura oftalmologica un ruolo centrale è svolto dai cosiddetti “anti-TNF”, farmaci che inibiscono l’azione della citochina infi ammato-ria, TNFα. Il TNFα è una citochina infi ammatoria prodotta da una varietà di cellule includenti va-rie sottoclassi di leucociti; ha multiple azioni che possono promuovere l’infi ammazione e che in-cludono l’attivazione dei macrofagi, l’aumento di adesione alle cellule endoteliali vasali, la migra-zione e la maturazione delle cellule dendritiche, l’attivazione dei neutrofi li e delle cellule NK24. La prova che il TNFα potrebbe partecipare alla patogenesi delle malattie infi ammatorie oculari, proviene da studi condotti sia su animale che su uomo. Sui topi è stato dimostrato che l’infi amma-zione del segmento anteriore indotta da un’inie-zione sistemica di lipopolisaccaride è associata ad una precoce produzione di citochine25. La neutralizzazione del TNFα in topi con uveoreti-nite autoimmune sperimentale, una malattia in-

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AGGIORNAMENTI TERAPEUTICI

fi ammatoria oculare mediata da cellule T dirette contro l’antigene fotorecettore,sopprime il danno retinico26. Nell’uomo la presenza di TNFα è stata dimostrata nell’umor acqueo e nel siero di pa-zienti con uveite27,28. Gli anti-TNF che sono stati usati per il trattamento delle malattie infi amma-torie oculari includono gli anticorpi diretti contro il TNFα (i.e. infl iximab e adalimumab) e le forme solubili di uno o dell’altro dei due recettori di su-perfi cie cellulare attraverso i quali agisce il TNFα (i.e. proteina di fusione p55-IgG1 e etanercept o proteina di fusione p75-IgG1).

InfliximabL’infl iximab è un anticorpo monoclonale chime-rico murino-umanizzato IgG1k che lega il TNFα sia circolante che legato alla membrana e che si è dimostrato effi cace nel trattamento di RA29,30 e delle manifestazioni sistemiche di altre malattie infi ammatorie correlate ad uveite quali, la spon-dilite anchilosante (AS)31,32, la malattia di Cro-hn33, la malattia di Behçet34,35 e la sarcoidosi36. Viene somministrato tramite infusioni endove-nose e spesso, sebbene non necessariamente, in associazione con un altro agente immuno-soppressore sistemico, più comunemente il me-thotrexate. Negli ultimi anni si è registrata una sempre crescente quantità di report attestanti i benefi ci di infl iximab nella terapia delle uveiti, in particolare nella malattia di Behçet, come dimo-strato dal benefi cio ottenuto da piccole e medie serie di pazienti con forme refrattarie, tramite la somministrazione di singole o multiple infusioni di infl iximab. Nella più grande di queste, Sfi kakis et al hanno trattato 25 pazienti con esacerbazio-ne di uveite in corso di malattia di Behçet, con una singola infusione di infl iximab (5 mg/kg)37. Entro 28 giorni, tutti i pazienti mostravano una completa risoluzione della retinite e della vitrei-te. In totale, 15 pazienti hanno continuato la tera-pia con infl iximab, ricevendo quattro infusioni in 32 settimane. Di questi pazienti il 60% è rimasto in remissione e la frequenza di riacutizzazioni è diminuita dal 2.5 nei 6 mesi antecedenti la te-rapia con infl iximab a 0.5 durante il periodo di studio. Tugal-Tutkun et al hanno ottenuto simili effetti anti-infi ammatori in 13 pazienti che hanno ricevuto quattro infusioni in un trial open-label, tuttavia, solo uno dei 13 pazienti ha mantenuto la remissione ad un anno dalla sospensione del trattamento38. 13 pazienti sono stati valutati da

Ohno et al ed è stata confrontata la frequenza delle riacutizzazioni prima e dopo due dosi di terapia con infl iximab per un periodo di 14 set-timane39. Una dose di 5 o 10 mg/kg ha portato ad una riduzione signifi cativa della frequenza di riacutizzazioni, da circa quattro riacutizzazioni in 14 settimane prima della terapia con infl iximab a 0.96 e 0.16 in 14 settimane, rispettivamente. La consistenza e il grado di risposta positiva ottenu-ti negli studi pubblicati in letteratura peer-revie-wed hanno portato un autore a defi nire l’infl ixi-mab, il gold standard nel trattamento dell’uveite refrattaria di Behçet40.Studi condotti su popolazioni più eterogenee hanno dato risultati similmente promettenti. Suhler et al hanno condotto uno studio prospetti-co, open-label su 31 pazienti con malattia infi am-matoria del segmento posteriore non infettiva, di questi pazienti 24 hanno avuto benefi cio da tre infusioni di infl iximab (3-5 mg/kg) dopo 10 settimane di terapia, e 7 di 14 pazienti hanno mantenuto il benefi cio dopo aver completato un anno di terapia con infl iximab (3-10 mg/kg ogni 8 settimane)41.Il benefi cio è stato accertato usando un end-point comprendente diversi parametri quali, l’acuità visiva, il controllo dell’infi ammazione, la capacità di ridurre i farmaci, la fl uorangiografi a e la tomografi a a coerenza ottica per graduare l’edema maculare cistoide. Lindsted et al hanno arruolato 13 pazienti, ognuno dei quali ha rice-vuto una sola infusione di infl iximab (3 mg/kg), seguita da un infusione aggiuntiva se necessa-ria clinicamente42. In tutti i 13 pazienti è miglio-rata l’infi ammazione oculare, e nella maggior parte dei casi, anche l’acuità visiva. Joseph et al hanno usato infl iximab (5 mg/kg) per trattare 5 pazienti con uveite refrattaria, quattro dei qua-li hanno mostrato una buona risposta, il quinto paziente ha sviluppato successivamente una tubercolosi oculare e sistemica, sottolineando il bisogno di screening di questa infezione prima di bloccare il TNF43. Lo studio retrospettivo con-dotto da Murphy et al, coinvolgeva tre pazienti con uveite e quattro con sclerite, tutti refrattari all’immunosoppressione convenzionale, sei dei sette pazienti hanno sperimentato una riduzio-ne dell’infi ammazione oculare dopo una media di sette infusioni di infl iximab44. El-Shabrawi ed Hermann hanno trattato sette pazienti con uveite anteriore refrattaria HLA B27 positiva mediante

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una singola infusione di infl iximab (10 mg/Kg) e hanno registrato in tutti i pazienti una riduzione immediata dei segni di infi ammazione, sebbene quattro pazienti abbiano avuto una recidiva en-tro sei mesi, richiedendo una infusione aggiun-tiva45. L’effi cacia di infl iximab è stata valutata anche nell’edema maculare in corso di uveite cronica e nella neovascolarizzazione del seg-mento posteriore47. In una serie di sette pazienti con miosite orbitale idiopatica resistente alle te-rapie tradizionali, tra cui radioterapia e farmaci anti-infi ammatori, si è avuta una ottima risposta al trattamento con infl iximab, come riferito da Garry et al48. È stato anche sottolineato un ruolo potenziale dell’infl iximab nel trattamento dell’in-fi ammazione orbitale di Wegener49. Diversi studi hanno dimostrato una lieve tossicità, ad eccezio-ne dello studio di Suhler et al, che ha riportato un tasso superiore al previsto di lupus farma-co-indotto (i.e. due casi su 23 pazienti, entro 1 anno dall’inizio del trattamento), oltre a casi di insuffi cienza cardiaca congestizia, eventi trom-botici e neoplasie41. Due pazienti hanno avuto una regressione della neovascolarizzazione con concomitanti emorragie vitreali. Sono comuni le reazioni all’infusione che vengono abitualmente trattate con antistaminici e analgesici, corticoste-roidi in alcune occasioni, ma può essere anche richiesta la sospensione del trattamento. Lo svi-luppo di anticorpi antinucleari è tipica di pazienti che sono stati trattati con infusioni multiple, ma non sembrano predire né un minore effetto tera-peutico né lo sviluppo di tossicità50,51. Severi ef-fetti collaterali della terapia con infl iximab sono la riattivazione di tubercolosi latente52, l’insuffi -cienza cardiaca congestizia53, e l’esacerbazio-ne o l’esordio di una malattia demielinizzante54, che rappresentano tutti delle controindicazioni al blocco del TNF.

AdalimumabAdalimumab è un anticorpo monoclonale com-pletamente umanizzato diretto contro il TNFα, effi cace nel trattamento di RA55 e dell’ artrite psoriasica56. Non ci sono report nella letteratura pubblicata, sul suo uso nell’uveite e nella scleri-te, sebbene ci sia un case report sul suo ruolo positivo in un paziente con miosite orbitale57. Adalimumab è somministrato con iniezioni sot-tocutanee alla dose di 40 mg ogni 2 settimane. Come etanercept, il più comune effetto collate-

rale di adalimumab è una reazione all’infusione autolimitante, sebbene sia necessario attuare sia per questo che per tutti i bloccanti il TNF, oppor-tune precauzioni per lo sviluppo di infezioni. Il report più rilevante su adalimumab in uveite è stato recentemente pubblicato da Rudwaleit et al58. Gli autori hanno valutato gli effetti di ada-limumab sulla frequenza dell’uveite anteriore (AU) in pazienti con AS. In questo studio 1250 pazienti con uveite anteriore attiva sono stati ar-ruolati in uno studio multicentrico, non control-lato, open label. I pazienti sono stati trattati con adalimumab, 40 mg a settimane alterne per un massimo di 20 settimane.La valutazione complessiva di adalimumab è stato soddisfacente: il trattamento ha portato alla riduzione clinicamente rilevante nell’incidenza delle riacutizzazioni di AU. Inoltre, i risultati di questo studio sono rafforzati dal gran numero di pazienti e dalla sua natura prospettica. Altra affezione di grande importanza clinica trat-tata con adalimumab è la malattia di Behçet. Re-centemente, Mushtaq et al descritto per la prima volta i risultati clinici di tre pazienti con malattia di Behçet in remissione, la cui terapia con infl i-ximab era stata sostituita da adalimumab. Dopo l’introduzione adalimumab, tutti i pazienti sono rimasti in condizione di remisione, con acuità vi-siva stabile. Gli autori hanno ipotizzato che Ada-limumab possa garantire un controllo ottimale della malattia di Behçet59, pari a quanto mostrato da Infl iximab.Un altro aspetto importante inerente i farmaci biologici è la possibilità di passare da un deter-minato agente anti-TNF-α ad un altro, non appe-na un certo anti-TNF-α non è in grado di mante-nere la remissione della malattia: recentemente, Takase et al60 hanno riportato la loro esperienza dove infl iximab veniva cambiato con successo da adalimumab in un paziente affetto da malat-tia di Behçet, che aveva sviluppato allergia verso infl iximab. Stessi risultati soddisfacenti si sono osservati in uno studio pilota sulle uveiti refrattarie: Diaz-Llopis M et al61 hanno descritto l’effi cacia e la sicurezza di Adalimumab in 19 casi di uveite autoimmune refrattaria alle tradizionali terapie immunosoppressive, ribadendone i promettenti effetti terapeutici.Il cardine della terapia iniziale per le forme più gravi sono i corticosteroidi per via orale, in

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quanto la somministrazione perioculare e pe-riarticolare non può essere facilmente utilizzata nei bambini. Tuttavia, possibili gravi effetti colla-terali di tale terapia sono la sindrome di Cushing, l’osteoporosi, la necrosi asettica delle ossa, le infezioni secondarie, i disturbi comportamentali e il ritardo della crescita. In questi casi è obbliga-torio aggiungere un agente immunosoppressivo come metotrexato, ciclosporina A, azatioprina, e recentemente anche micofenolato mofetile62. Il sottotipo di uveite più rilevante nei bambini è l’uveite anteriore associata a JIA, anche se altre forme uveitiche possono colpire i giovani, come l’uveite intermedia e l’uveite posteriore. In uno studio retrospettivo osservazionale, Tyn-jälä P et al63 hanno valutato l’effi cacia di adalimu-mab nell’ uveite secondaria a JIA, riportando che il numero medio di riacutizzazioni/anno diminu-iva signifi cativamente durante il trattamento con adalimumab.

Altri anti-TNFEtanercept è una proteina di fusione dimerica consistente della porzione legante il ligando del recettore umano p75 TNF legato alla porzione Fc della immunoglobulina umana IgG1, e viene anch’esso somministrato con iniezioni sottocu-tanee. Diversamente da infl iximab, etanercept lega solo le citochine libere e lega sia il TNFα che il TNFα o linfotossina. Purtroppo, l’uso di eta-nercept nelle uveiti non è più raccomandato alla luce della grande quantità di esacerbazioni uvei-tiche provocate dall’uso del farmaco stesso64-67.Alla fi ne degli anni ’90, il Therapeutic Antibody Centre ad Oxford (UK) ha sviluppato una protei-na di fusione anti- TNFα per la somministrazio-ne endovenosa. Questo agente è stato usato da Murphy et al per trattare 17 pazienti con infi am-mazione intraoculare recalcitrante del segmento posteriore. In questa serie, il 53% dei pazienti ha mostrato un aumento di due-linee dell’acuità vi-siva ed il 71% ha ottenuto una risoluzione dell’in-fi ammazione entro un mese di trattamento68,69. La risposta è stata correlata con un aumento nel sangue periferico di cellule T CD4+ producenti IL-10. Il profi lo di effi cacia/sicurezza del farmaco è stato notevole e questo è stato supportato da risultati di valutazione della qualità della vita: le uniche complicazioni registrate sono state mini-me reazioni all’ infusione e una transitoria linfo-penia. Tuttavia, questo farmaco non è disponibile

in commercio e i risultati sul suo utilizzo sono li-mitati a quelli ottenuti in questo singolo studio. Come prima riportato, ci sono state delle pole-miche in letteratura sulla possibilità che il blocco del TNF possa o meno predisporre allo sviluppo di uveite in alcune persone70,71. Tuttavia, tali con-siderazioni rimangono ad oggi controverse72.

>> Farmaci biologici aventi come bersaglio i recettori per le citochine

DaclizumabDaclizumab è un anticorpo monoclonale uma-nizzato che ha come bersaglio la subunità α del recettore per l’IL-2 presente sulla superfi cie dei linfociti T. L’interazione tra l’IL-2 e il suo recettore è una tappa fondamentale per la proliferazione e la differenzazione delle cellule T. L’utilizzo di daclizumab è approvato per prevenire il riget-to dopo trapianto renale ed è stato ampiamente studiato per il trattamento nei trapianti di diversi organi solidi, generalmente in associazione con altri immunosoppressori come il prednisone, gli antimetaboliti e gli inibitori di calcineurina73,74. Studi aggiuntivi hanno sottolineato l’effi cacia della terapia con daclizumab nel trattamento della sclerosi multipla75,76, delle graft-versus-host disease77, della psoriasi78 e nelle neopla-sie con alti livelli di cellule CD-25 positive79,80. Anche l’uveite refrattaria è stata effi cacemente controllata con daclizumab, come dimostrato da numerosi piccoli trial non controllati. Nello studio di Nussemblatt et al, daclizumab è risultato un trattamento effi cace e ben tollerato per 8 di 10 pazienti con uveite trattati per un periodo di oltre 12 mesi e che ha permesso a tutti gli otto pazien-ti di sospendere i corticosteroidi e gli altri im-munosoppressori in 8 settimane81. Sette di que-sti otto pazienti hanno mantenuto con successo questa terapia durante i 4 anni di follow up82. Papaliodis et al hanno valutato 27 occhi di 14 pa-zienti con diverse malattie infi ammatorie oculari quali, uveite, sclerite e penfi goide oculare cica-triziale, refrattarie alle terapie standard e hanno osservato una riduzione dell’infi ammazione nel 59% degli occhi83. In entrambi gli studi prece-dentemente menzionati, daclizumab è stato som-ministrato per via endovenosa con infusioni di 1 mg/kg somministrate ogni due settimane dalla settimana 0 alla 8, ogni tre settimane dalle setti-

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mane 12 alla 24 e successivamente ogni quattro settimane. È stata testata una preparazione per via sottocutanea, ma non è ancora disponibile in commercio. Tuttavia, i dati preliminari sugge-riscono che questa formulazione possa essere equivalente alla forma endovenosa84. Daclizu-mab è stato generalmente ben tollerato negli studi in corso di uveite, i più comuni effetti colla-terali riportati includono rash cutanei psoriasi-formi, linfoadenopatie, modesti edemi periferici e infezioni. Le infezioni sono generalmente lievi, non richiedono la sospensione della terapia, ma possono essere seri specialmente quando usato con chemioterapici citolitici85.

>> Altri farmaci biologici

Immunoglobuline intravenoseLe immunoglobuline intravenose sono state inizialmente sviluppate per trattare pazienti con immunodefi cienze, ma fi n dall’inizio sono risultate estremamente effi caci in diverse ma-lattie immuno-mediate, come la sindrome di Guillan-Barre86 e la malattia di Kawasaki87. Tut-tavia, l’esatto meccanismo di azione delle IVIG in queste malattie immuno-mediate rimane sconosciuto. Sono state postulate diverse teorie tra cui l’inibizione delle citochine, o la soppres-sione delle risposte delle cellule B86. Più recen-temente è stato suggerito che le IVIG possano attivare la via dell’inibizione dell’Fc Receptor88. Poiché le IVIG non determinano una immuno-soppressione sistemica, non sono responsabili dell’insorgenza di infezioni opportunistiche che rappresentano il principale svantaggio della terapia immunosoppressiva standard. In uno studio prospettico open-label, Rosenbaum et al hanno trattato con IVIG 10 pazienti con uveite bilaterale refrattaria ad altre forme di immuno-soppressione89. Di questi 10 pazienti, 5 hanno ottenuto un costante e consistente benefi cio per un periodo medio di 11 mesi. La stessa terapia è stata effettuata in 18 pazienti con corioretino-patia di Birdshot, come riportato da LeHoang et al.90 Nonostante l’entusiasmo iniziale, le IVIG si sono dimostrate una risorsa limitata ed inol-tre estremamente costose con numerosi effetti collaterali quali tromboembolismo, meningite asettica e rischio di trasmissione di infezioni per via ematica.

InterferoneGli interferoni sono un gruppo di citochine che includono INFα, Interferon-β ed Interferon-γ, pro-dotte prevalentemente in risposta ad infezioni vi-rali. Per le sue proprietà antivirali, l’INFα è stato usato per la prima volta in pazienti con malattia di Behçet che erano intolleranti o refrattari alle terapie immunosoppressive standard. Sebbene l’uso degli interferoni sembrava contradditorio per il loro effetto pro-infi ammatorio, il razionale del trattamento si fondava sul fatto che la malattia di Behçet può essere innescata da un’infezione virale. Un trial prospettico in pazienti con ma-lattia di Behçet refrattaria senza coinvolgimento oculare ne ha suggerito l’effi cacia91, e diverse piccole serie di casi hanno riportato, dopo l’uso di INFα o di interferon-β, remissioni signifi cative senza una grave tossicità in pazienti con malattia di Behçet e severo coinvolgimento oculare92-94. Più recentemente un grande studio prospettico multicentrico, diretto da Kotter et al e coinvolgen-te 50 pazienti, ha confermato i risultati eccellenti precedentemente osservati95. Gli effetti collate-rali del trattamento con interferone sono tuttavia da tenere presenti: il 100% dei pazienti ha riferito artralgie e febbre nella prima settimana di tratta-mento, arrossamento locale e fastidio nel sito di iniezione95. A questi si aggiungono leucopenia (40% dei soggetti), alopecia (24% dei soggetti), depressione (8% dei soggetti), con un paziente che ha richiesto una terapia antidepressiva e una riacutizzazione della psoriasi.

>> Farmaci biologici di nuova generazione

AbataceptAbatacept è una proteina di fusione solubile composta dal dominio legante il ligando dell’an-tigene 4 associato al linfocita T(CTLA-4) e da un frammento dell’immunoglobulina umana96. Il CTLA-4 è normalmente espresso sulla super-fi cie delle cellule T e previene la stimolazione di queste cellule attraverso la via di co-stimola-zione CD80/86. Come risultato, la cellula T che non riceve la costimolazione CD80/86, non vie-ne innescata o attivata e diventa anergica. Il se-gnale mediato da CTLA-4 è anche in grado di aumentare la soglia di attivazione delle cellule T, permettendo così di inibire l’attivazione delle cellule T senza causarne una loro deplezione97.

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AGGIORNAMENTI TERAPEUTICI

Ne deriva che abatecept mima l’azione di CTLA-4 ed è il primo di una nuova classe di farmaci chiamati bloccanti dei costimolatori98.L’uso di abatecept è stato studiato in RA, una malat-tia autoimmune che si pensa sia mediata principal-mente dalle cellule T96,99. Questi risultati sono cer-tamente promettenti, soprattutto per quei pazienti che risultano refrattari all’immunosoppressione standard e ai più recenti anti-TNF. Tuttavia, rimane ancora sconosciuta la sicurezza e l’effi cacia di aba-tacept nelle malattie infi ammatorie oculari.

TocilizumabTocilizumab, precedentemente conosciuto come ‘MRA’, è un anticorpo monoclonale ricombinante umano anti recettore per IL-6. L’IL-6 è una cito-china pleiotropica che regola l’infi ammazione, stimola la maturazione delle cellule B ed ha an-che un ruolo nel riassorbimento osseo100. Per-tanto, tocilizumab è stato inizialmente studiato in quelle malattie in cui si registra un aumento dei livelli circolanti di IL-6, come la RA, la JIA e le ma-lattie infi ammatorie intestinali101-105. In letteratu-ra, dati sull’uso di tocilizumab in RA, derivano da due studi controllati, randomizzati. Il primo è uno studio dose-escalation in 45 pazienti con malattia clinicamente attiva nonostante l’uso di almeno un agente immunosoppressivo oltre il corticosteroi-de. I pazienti sono stati trattati con una singola in-fusione di tocilizumab (0.1, 1,5 o 10 mg/kg) o con placebo. Dopo 8 settimane di follow up, si è os-servata una riduzione signifi cativa dell’attività di malattia nel gruppo di pazienti trattati con 5 mg/kg rispetto a quelli trattati con placebo102. Suc-cessivamente, un grande studio multicentrico, in doppio cieco, placebo-controllato comprenden-te 164 pazienti103 ha dimostrato un miglioramen-to clinico signifi cativo rispetto al gruppo placebo (78% vs. 10%, P<0.001). L’effi cacia di tocilizumab nelle affezioni uveali rimane ancora da valutare.

>> Conclusioni La Letteratura medica ha accolto con grande en-tusiasmo il successo che i diversi agenti biologi-ci hanno avuto nel trattamento di malattie infi am-matorie resistenti alle terapie standard. Questo entusiasmo si è esteso all’oftalmologia, quando si sono osservate drammatiche remissioni in pazienti con malattie infi ammatorie oculari che non avevano risposto ad altri trattamenti. Poiché

le malattie infi ammatorie oculari e i loro sottoti-pi sono disordini eterogenei, sono necessari dei trial clinici che devono stabilire quali subset pos-sono essere responsivi ai vari agenti biologici. Purtroppo, dato che queste condizioni non sono frequenti e che studi clinici multicentrici richie-dono un fi nanziamento consistente da parte del-le compagnie farmaceutiche e degli altri organi di fi nanziamento, è probabile che il trattamento delle malattie infi ammatorie oculari da parte degli oculisti, continuerà a basarsi sui dati che provengono dalla letteratura medica generale e da studi open-label che arruolano un piccolo nu-mero di pazienti. Nel bilancio di questi trattamen-ti va considerato che, questi farmaci sono molto costosi, sono utilizzabili solo in alcuni pazienti e, sebbene i farmaci biologici promettono di ridur-re gli effetti collaterali grazie alla loro specifi cità d’azione, possono verifi carsi delle severe com-plicazioni, come è testimoniato dall’esperienza con natalizumab, un anticorpo diretto contro la α4-integrina, una molecola di adesione cellu-lare coinvolta nella selezione linfocitaria. Nata-lizumab era stato utilizzato in trial clinici per la sclerosi multipla e per la malattia di Crohn nel 2005 e come nuovo farmaco potenziale per la pars planite. Completamente inaspettato è stato il verifi carsi di tre casi di encefalopatia multifo-cale progressiva in studi coinvolgenti fi no a 3000 pazienti e di conseguenza il farmaco è stato ritirato dal commercio106. Tuttavia, le complica-zioni sviluppate in corso di malattie sistemiche, possono non rifl ettere il profi lo di tossicità di un farmaco biologico per un paziente con malattia oculare. Ciò è sottolineato dallo studio condot-to da Suhler at al41, sull’infl iximab nella terapia delle uveiti. I risultati di questo trial hanno evi-denziato che il tasso di gravi complicazioni era molto lontano da quello che era stato anticipato dalla letteratura reumatologica. Nel complesso, come i pazienti con malattie autoimmuni sistemi-che, anche quelli con uveiti refrattarie possono giovarsi del trattamento con farmaci biologici. Tuttavia, come avviene per tutti i nuovi trattamen-ti, il rischio reale di complicazioni non potrà es-sere conosciuto fi no a quando questi agenti non verranno somministrati ad un grande numero di pazienti per un lungo periodo di tempo. Pertan-to, nonostante il precoce entusiasmo per questi farmaci, essi dovrebbero essere ancora visti con cautela sia dal paziente che dal medico.

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AGGIORNAMENTI TERAPEUTICI

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