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Università degli Studi di Trento Facoltà di Sociologia Politica e mercato nell’opera di Charles Edward Lindblom Relatore Prof. Gianfranco Alberelli Laureando: Mirco Franceschi Tesi di laurea Anno accademico 1982/83
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Politica e mercato nell'opera di C.E. Lindblom

Nov 10, 2022

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Page 1: Politica e mercato nell'opera di C.E. Lindblom

Università degli Studi di TrentoFacoltà di Sociologia

Politica e mercato

nell’opera di Charles Edward Lindblom

RelatoreProf. Gianfranco Alberelli

Laureando:Mirco Franceschi

Tesi di laurea Anno accademico 1982/83

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Prefazione

Nel complesso panorama culturale contemporaneo, si è ormai affermata la convinzione che la società in cui stiamo vivendo sia entrata in crisi.Praticamente tutti gli osservatori della società contemporanea concordano nell’esistenza di una crisi di governabilità. Le terapie proposte sono molteplici e tutte contengono elementi di verità e praticabilità; ciononostante, nessuna può essere considerata veramente realistica e, soprattutto, praticabile.Oltre al quadro interpretativo della crisi fornitoci dalle varie teorie funzionaliste o neo- marxiste, va annoverata anche la teoria di Lindblom, il cui metodo d’analisi è economico- politico.La sua opera assume particolare rilevanza perché non solo si rivolge allo studio dell’intrecciarsi delle istituzioni e dei processi economici e politici che formano l’organizzazione politico-economica, ma si rivolge anche allo studio della capacità umana e della possibilità reale di modificare la situazione esistente in un senso voluto.Questa duplice esigenza si risolve appunto nei due punti focali dell’indagine di Lindblom: la strategia d’analisi dell’incrementalismo sconnesso e lo studio delle logiche fondamentali dell’organizzazione politico-economica (e del rapporto tra esse).Fino ad ora la ricezione di questi due punti fondamentali ha teso ad essere separata. Tra gli studiosi interessati ai problemi dell’amministrazione pubblica si è diffusa la ricezione del lavoro di Lindblom sul decision making incrementale, ed è rimasto da parte il lavoro sull’organizzazione sociale, indispensabile per la direzione di lungo periodo del decision making incrementale. Gli studiosi interessati ai problemi della politica hanno trascurato la problematica dell’impatto dell’analisi con la prassi quotidiana; con l’esigenza, cioè, di verificare la capacità dell’analisi di modificare l’esistente – questo a partire dall’identificazione di una serie di mali sociali la cui rimozione è essenziale per la costituzione di una società migliore.Il risultato è che il contributo di questo autore permane tuttora praticamente sconosciuto. Il suo maggiore merito è probabilmente l’avere chiarificato il ruolo cruciale della conoscenza nei sistemi politico-economici (chi altri si è confrontato in modo più sofisticato con questo difficile problema?). È indubbio che il suo lavoro contenga delle questioni irrisolte: il Lindblom incrementalista esplica con eloquenza una visione decisamente pessimistica dell’intelletto umano, mentre il Lindblom economista-politico ha una posizione più ottimista; ciononostante il suo è il maggiore contributo alla comprensione della natura del problema. Questo è il motivo fondamentale per cui ho ritenuto opportuno tediare l’eventuale lettore con una lunga recensione di alcune parti del suo lavoro. Lindblom è un illustre sconosciuto: il suo lavoro viene spesso citato, ma è raro che esso venga argomentato seriamente.Questa tesi non vuole dare una risposta esaustiva ai possibili quesiti sull’opera di Lindblom: c’è ancora molto lavoro da fare, in quanto la bibliografia su questo autore è praticamente irrisoria.

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La mia intenzione è piuttosto quella di fornire una lettura selettiva della sua opera, cercando di mettere a fuoco l’ambiente culturale in cui Lindblom opera e cercando di aprire una serie di interrogativi rilevanti per la lettura della crisi che stiamo vivendo.Le citazioni, dove non appare una eventuale edizione italiana, sono di mia traduzione, e quindi suscettibili di revisione filologica.

Desidero ringraziare le persone che mi hanno aiutato nell’ideazione e nello svolgimento di questo lavoro:il prof. G. E. Rusconi, dell’Università di Torino, per alcuni suoi consigli, invero preziosi;la dott.sa M. G. Cestari, per avermi aiutato nel reperimento dei testi e nella cura della forma del presente volume;la sig.ra M. Sordini, il sig. L. Pesce e la ditta New Computers di Genova, per avermi gentilmente concesso l’uso dei loro impianti.

Desidero ringraziare, inoltre, tutti coloro che mi hanno ospitato durante le mie peregrinazioni tra le biblioteche dell’Italia settentrionale, e tutti coloro che con il loro affetto mi hanno fornito il supporto morale indispensabile per il buon esito di questa impresa.

Un ultimo e speciale ringraziamento va ai miei genitori, che mi hanno sopportato e mantenuto in questi lunghi anni di università.

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Indice

PREFAZIONE ................................................................................................................................................... 1. Come introduzione ......................................................................................................................

1.1 C.E. Lindblom 1.2 L’economia politica americana 1.3 L’approccio decisionale 1.4 Una visione della politica come processo 1.5 La modificazione dell’ottica di indagine 1.6 Quattro ipotesi

2. I primi scritti ................................................................................................................................ 2.1 Il ruolo dei sindacati in un’economia di mercato 2.2 L’azione sociale razionale

3. La strategia dell’incrementalismo sconnesso .............................................................................. 3.1 Una prima definizione 3.2 Analisi “a radice” e “per rami” 3.3 Il rifiuto del decision making “sinottico” 3.4 Le decisioni alle quali la strategia d’analisi è correlata 3.5 La strategia di analisi 3.6 L’integrazione delle parti dell’analisi attraverso il mutuo aggiustamento 3.7 Un sistema di razionalità a posteriori 3.8 La critica 3.9 La risposta di Lindblom ai suoi critici

4. Il mutuo aggiustamento delle parti .............................................................................................. 4.1 La rilevanza della coordinazione 4.2 Alcuni referenti teorici 4.3 Coordinazione centrale e mutuo aggiustamento 4.4 Aggiustamenti adattivi e manipolati 4.5 La comparazione tra i due sistemi di coordinazione

5. Organizzazione politico-economica ............................................................................................ 5.1 Prefazione 5.2 Le logiche elementari del controllo sociale 5.3 Le incompetenze 5.4 Una classificazione delle alternative 5.5 Il controllo popolare 5.6 La compresenza di impresa privata e democrazia 5.7 I due modelli 5.8 Il problema della posizione privilegiata delle imprese 5.9 Un futuro per la democrazia

6. Analisi politica ............................................................................................................................ 6.1 “Policy analysis” 6.2 Una conoscenza utilizzabile

CONCLUSIONI ................................................................................................................................................. BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................................................

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1. Come introduzione

1.1 C.E. Lindblom

Charles Edward Lindblom ha avuto una formazione come economista.1 Vedremo infra il suo concetto particolare di economia politica; dobbiamo comunque subito considerare che c’è scarsa traccia nel suo lavoro di economia “pura”.Già nella sua prima opera di ricerca, relativa al ruolo dei sindacati in un’economia di mercato, Lindblom rivela il suo interesse a combinare analisi politica ed analisi economica. 2

Fu durante il processo di collaborazione con lo scienziato politico R.A. Dahl in un “graduate course”, che Lindblom prese misura del suo raggio di interesse. Il libro che scrissero insieme all’inizio degli anni Cinquanta contiene già un’anteprima di tutte le tematiche più importanti del lavoro successivo di Lindblom. Nonostante il fatto che i punti di vista specifici, e in parte gli approcci analitici, non siano rimasti gli stessi, le maggiori tematiche trovano qui fondamento per una ulteriore elaborazione. 3

La particolare insoddisfazione di Lindblom riguardo al modo in cui questo testo considerava la contrattazione (bargaining) come processo di coordinazione sociale, insieme al suo lavoro alla RAND Corporation, lo spinse ad analizzare più a fondo l’argomento.In una serie di articoli nel corso degli anni Cinquanta, sviluppò una serie di idee (già delineate nel libro scritto con Dahl) che avrebbero giocato un ruolo essenziale nella formazione di un punto di vista incrementalista sul policy making. In questi articoli Lindbom ha mostrato che, dietro un’apparente irrazionalità delle pratiche di amministrazione pubblica si dispiega una logica altrettanto rispettabile dei modelli di analisi e coordinazione razional-deduttivi, e che i compromessi amministrativi e politici obbediscono a una razionalità a posteriori in definitiva più efficiente di una razionalità a priori. Il suo articolo “La scienza del ‘sapersela cavare’”, probabilmente uno dei brani più letti che sia stato scritto da uno scienziato sociale contemporaneo, è stato ristampato in più di quaranta antologie.4

L’argomentazione principale degli articoli, cioè che l’incrementalismo e il mutuo aggiustamento delle parti fossero sia il migliore modello descrittivo delle politiche amministrative di governo, che la migliore normativa da seguire, venne elaborata e sistematizzata e in due libri pubblicati

1 Si confronti la presentazione di R. Premfors “Review Article: Charles Lindblom and Aaron Wildavsky”, in BRITISH JOURNAL OF POLITICAL SCIENCE, Vol. 11, Part 2, April 1981, pagine 201-225.

2 UNIONS AND CAPITALISM, Hamden (Conn.), Archon Books, 1970 (ed. integrale, 1^ edizione della Yale University Press, 1949).

3 R.A. Dahl e C.E. LIndblom, POLITICS, ECONOMICS AND WELFARE. PLANNING AND POLITICO-ECONOMIC SYSTEMS RESOLVED INTO BASIC SOCIAL PROCESSES, Chicago, University of Chicago Press, 1953.

4 “The Science of ‘Muddling Through’”, in PUBLIC ADMINISTRATION REVIEW, Spring 1959, pagine 79-88; traduzione italiana “La scienza del ‘sapersela cavare’”, in (a cura di H.I. Ansoff) LA STRATEGIA D’IMPRESA, Milano, Angeli 1974 pagine 47/69.

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nella prima metà degli anni Sessanta.5 Secondo R. Premfors,6 nessuno ha portato più innanzi la tematica dell’incrementalismo sconnesso, da allora.A partire da questo sforzo di elaborazione del concetto di contrattazione nel policy making, Lindblom allarga la tematica dei suoi scritti in una serie di direzioni. Con un libro di testo7 si è stabilito fermamente nella comunità della scienza politica. Era un contributo, datato, al crescente orientamento della disciplina verso lo studio impostato come policy analysis; questo lavoro rileva, inoltre, uno sforzo sistematico di adottare una prospettiva internazionale (Lindblom lavorò al Dipartimento di Stato verso la metà degli anni Sessanta).Soprattutto, egli sistematizzò le tematiche di coordinazione e pianificazione in due modelli di organizzazione sociale8 e lavorò alle tematiche fondamentali dell’organizzazione economica. Il risultato fu POLITICA E MERCATO.9 Questo libro fu attorniato per un lungo tempo, prima della pubblicazione, da un notevole entusiasmo. Qui Lindblom riavvicinava quell’ampiezza dell’analisi che caratterizzava il libro scritto con Dahl; praticamente tutti i recensori di questo testo lo elogiarono e, assegnandogli il Woodorow Wilson Award, la American Political Science Association lo citò come profondo contributo non solo alla teoria democratica, ma anche al futuro della democrazia stessa.Un piccolo libro pubblicato insieme a David Cohen di Harward10 ci indica come gli sforzi di Lindblom, dopo POLITICA E MERCATO, sono stati diretti nell’elaborazione di idee nuove e vecchie riguardo al ruolo dell’analisi, in particolare la ricerca sociale, nella risoluzione dei problemi sociali. In contemporanea, egli pubblica un articolo in cui dà risposta ai suoi critici nel corso degli anni;11 in questo scritto, apparso vent’anni dopo la “Scienza del ‘sapersela cavare’”, sono contenute alcune notevoli chiarificazioni del suo lavoro sull’incrementalismo.La seconda edizione di THE POLICY MAKING PROCESS, se confrontata con la prima edizione, fornisce una guida succinta dello sviluppo intellettuale di Lindblom rispetto alla tematica che ha dominato il suo lavoro: il ruolo dell’analisi nel policy making. Esso illustra anche quanto lontano sia Lindblom da una visione pluralista tradizionale. Questo sviluppo si risolve nell’esigenza di una maggiore attenzione nei confronti del pensiero radicale.12

Charles W. Anderson13 afferma essere sua impressione che i propositi distintivi di Lindblom

5 D. Braybrooke e C.E. Lindblom, A STRATEGY OF DECISION. Policy Evaluation as a Social Process, New York, The Free Press, 1963.C.E. Lindblom, THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY. Decision Making Through Mutual Adjustment, New York, The Free Press, 1965.

6 R. Premfors “Review Article: Charles Lindblom and Aaron Wildavsky”, cit., pagina 202.7 THE POLICY MAKING PROCESS, Englewood Cliffs (N.J.), Prentice Hall, 1968.8 “The Sociology of Planning: Thought and Social Interaction”, in (a cura di M. Bornstein) ECONOMIC PLANNING,

EAST AND WEST, Cambridge (Mass.), Ballinger, 1975, pagine 23-60.9 POLITICS AND MARKETS. The World's Political Economic Systems, New York, Basic Books, 1977.

Traduzione italiana POLITICA E MERCATO. I sistemi politico-economici mondiali, Milano, Etas Libri, 1979.10 USABLE KNOWLEDGE. Social Science and Social Problem Solving, New Heaven, Yale University Press, 1979.11 “Still Muddling, Not Yet Through”, in PUBLIC ADMINISTRATION REVIEW, Nov.-Dec. 1979, pagine 517-526.12 “Another State of Mind”, in AMERICAN POLITICAL SCIENCE REVIEW, Mar. 1982, pagine 9/21.13 C.W. Anderson “The Political Economy of Charles E. Lindblom” in AMERICAN POLITICAL SCIENCE REVIEW, vol. 72,

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come teorico politico non siano stati ben compresi nella disciplina; infatti, malgrado la sua prominenza, egli sembra più spesso citato che discusso seriamente.14

Lindblom viene genericamente identificato come economista politico.Per apprezzare il suo lavoro, comunque, è necessario comprendere il suo concetto particolare di “economia politica”.

1.2 L’economia politica americana

Il termine political economy è in voga nella disciplina politologica americana. Molti differenti approcci all’indagine socio-politica si sono fregiati di questo termine, col risultato di una grande confusione rispetto ad esso.Alcuni si riferiscono all’economia politica come al metodo d’analisi usato dagli scienziati politici nello studio delle politiche e delle istituzioni economiche; altri la considerano lo sforzo di spiegare i fenomeni economici in termini politici, come nell’analisi neo-marxista.Per altri ancora political economy significa usare le tecniche dell’analisi economica per rendere conto dei fenomeni politici.15

Quest’ultimo approccio ha dato origine ad un filone di pensiero, che si sta affermando anche in Europa, in cui un’economia del politico cerca di mettere in luce il funzionamento caratteristico dei processi di decisione collettiva dei corpi politici. L’impegno consiste da un lato nell’esame dei vantaggi e degli svantaggi delle diverse istituzioni, dall’altro nello studio approfondito della domanda e dell’offerta di beni a carattere collettivo; questa impostazione è tipicamente microeconomica e basata sui paradigmi dell’homo oeconomicus e dello scambio come categorie analitiche fondamentali.16

In questa visione, centrale è la categoria di mercato politico, dove la società politica si organizza in termini di rapporto tra consumatori e fornitori di beni politici, e in cui le risorse date in cambio hanno a che vedere con il consenso. Implicita in questa categoria è l’analogia di base tra Stato e mercato economico, sostanzialmente omologabili come metodi di distribuzione delle risorse. Il tentativo è quello di reintrodurre i due aspetti del comportamento in un modello unico.

«Siamo dunque dinnanzi a una riproposizione radicale della versione utilitaristica della democrazia, che in quanto teoria generale implica una drastica semplificazione di tutto il problema dello Stato e delle forme corrispettive di

1978, pagine 1012-1016.14 G. Van Der Muhll, (“Robert A. Dahl and the Study of Contemporary Democracy”, in AMERICAN POLITICAL

SCIENCE REVIEW, vol. 71, September 1977, pagine 1070-1096) ha notato che POLITICS, ECONOMICS AND WELFARE, di Dahl e Lindblom è stato più spesso citato che attentamente letto nella disciplina. Secondo Anderson (art. cit., pagina 1012) il commento potrebbe essere esteso a A STRATEGY OF DECISION di Braybrooke e Lindblom e a THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY di Lindblom.

15 A quest'ultimo filone possiamo associare il modello economico di democrazia che da Schumpeter a Downs ha estremizzato l'analogia votanti-consumatori, politici-imprenditori.Vedasi J. Schumpeter, CAPITALISMO, SOCIALISMO, DEMOCRAZIA, Milano, Comunità, 1954; e A. Downs, AN ECONOMIC THEORY OF DEMOCRACY, New York, Harper, 1957.

16 Si veda, (a cura di F. Forte e E. Granaglia), LA NUOVA ECONOMIA POLITICA AMERICANA, Milano, Sugar, 1980.

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rappresentanza; in qualche misura, dunque, all’estremo opposto del funzionalismo parsonsiano, dove l’articolazione tra teoria politica e teoria economia avviene a livello del simbolico, nella struttura logica della teoria del sistema sociale, presa nel suo insieme».17

L’individualismo metodologico di quest’approccio è relativo all’adozione di un modello di razionalità formale in cui viene considerato razionale chi:

«1) può sempre prendere una decisione quando si trova di fronte a una serie di alternative; 2) dispone tutte le alternative rispetto a una scala di preferenze in modo tale che ciascuna possa venire preferita o giudicata inferiore rispetto a un’altra; 3) presenta le proprie preferenze espresse secondo un ordine transitivo; 4) fra tutte le possibili opzioni sceglie sempre quella che si trova nella posizione più elevata nel suo ordine di preferenze; 5) decide sempre nello stesso modo ogniqualvolta si trova di fronte alle stesse alternative».18

L’assunzione economica è relativa al fatto che l’individuo tende a massimizzare la propria utilità personale.Differenziandosi dall’approccio descritto, Lindblom fa sua la problematica corportamentista relativa alla razionalità limitata della scelta.

1.2.a La particolare concezione di economia politica di Lindblom

La concezione di economia politica di Lindblom si differenzia per il fatto di riferirsi più da vicino alla tradizione classica, con le sue radici nella filosofia liberale del Diciottesimo e Diciannovesimo secolo.Questo implica un interesse essenziale nell’intrecciarsi dei processi e delle istituzioni politiche ed economiche. Per Lindblom la politica e l’economia sono entrambe discipline tronche, a meno che ognuna affronti l’argomento oggetto dell’altra; in questo senso Stato e mercato rimangono logicamente distinti anche se funzionalmente collegati.19

In questa concezione dell’economia politica è di particolare importanza la funzione distintiva della teoria, dove lo scopo non consiste tanto nel rendere conto dell’incidenza o dello sviluppo

17 L. Paggi, “Paradigmi di analisi della crisi dei partiti”, in (AAVV) IL PARTITO POLITICO E LA CRISI DELLO STATO SOCIALE: IPOTESI DI RICERCA, Bari, De Donato, 1981, pagine 29-69, a pagina 53.Vedasi anche J.M. Buchanan e R. Tollison (a cura di), THEORY OF PUBLIC CHOICE, University of Michigan Press, 1972.

18 Forte e Granaglia, LA NUOVA ECONOMIA POLITICA AMERICANA, cit., pagina 17; cfr. J.M. Buchanan, “A Contractarian Paradigm for Applying Economic Theories”, in AMERICAN ECONOMIC REVIEW, vol. 65, n° 2, 1975, pagine 225-229.

19 C.W. Anderson, “The Political Economy of Charles E. Lindblom”, cit., pagina 1012. In questo senso Lindblom si discosta da una mera trasposizione delle teorie economiche alla politica. Nella crescente diffusione di applicazioni dell'economia alla politica, questo approccio risulta particolarmente apprezzato anche nel nostro Paese a causa del suo giudizioso equilibrio.Va notato che a questa concezione dell’economia politica sembrano avvicinarsi le riflessioni dei teorici connazionali dello “scambio politico”. Si consideri per es. G.E. Rusconi (“Scambio politico”, in LABORATORIO POLITICO, n° 2, Mar.-Apr. 1981, pagine 65-87), che sostiene l'esigenza di partire dal concetto di autorità alla base dello scambio politico, visto come fenomeno specifico.

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di istituzioni e di sistemi politico-economici:

«il proposito della teoria è di creare un’impalcatura che permetta il calcolo prudenziale delle politiche e delle istituzioni politico-economiche desiderabili. In questo metodo d’analisi, la struttura politico-economica viene vista come un problema di valutazione e scelta pubblica deliberata e ragionata piuttosto che come fenomeno da essere spiegato. La parte più importante del lavoro di Lindblom può essere vista come un’investigazione prolungata delle proprietà di certi processi di base della decisione, della coordinazione e del controllo sociali, come gerarchia e autorità, contrattazione e meccanismi di mercato».20

Questo, senza che Lindblom presupponga come possibile una competenza intellettuale sufficiente a valutare fino in fondo le conseguenze di un’azione. Il fatto di sottolineare il carattere deliberato della scelta sociale non deve trarre in inganno. Sembra possibile che Lindblom abbia un approccio contrattualista alla scelta di istituzioni desiderabili; bisogna tenere conto, invece, che l’approccio utilitarista di Lindblom presuppone una razionalità limitata in cui l’accordo tra i vari soggetti è solo una risultante. La scelta effettiva, in questo senso, consiste in una delibera a posteriori.La metafora meccanica che soggiace al suo pensiero è particolarmente significativa:

«Il sistema complesso di pianificazione e controllo che caratterizza la società moderna può essere visualizzato come “costruito” su componenti relativamente elementari. Tutti i sistemi sono “formati” come combinazioni di questi elementi e possono essere definiti e classificati in relazione alle forme che queste combinazioni prendono».21

Questa metafora meccanica non è intesa semplicemente a catturare le dinamiche dell’ordine politico-economico complesso, ma ha una seconda funzione più significativa:

«i processi di base appaiono come una “cassetta di attrezzi” nelle mani del policy maker. Si disegnano i processi di decisione, coordinazione e controllo, sulla base di strutture di autorità, meccanismi di mercato e processi democratici. Gli elementi sono il “macchinario” che può essere usato, adattato creativamente dall’ingegnere politico, per la risoluzione dei problemi pubblici».22

Secondo Anderson, una volta che questo fatto sia riconosciuto, l’audacia dell’approccio di Lindbolm, così come la sua affinità alla tradizione classica dell’economia politica, appare

20 C.W. Anderson, “The Political Economy of Charles E. Lindblom” cit., pagina 1012.21 Ibidem.22 Ivi, pagina 1013.

Vedasi anche C.W. Anderson, “Political Design and the Representation of Interests”, in (a cura di Schmitter e Lehmbruch) TRENDS TOWARDS CORPORATIST INTERMEDIATION, London, Sage, 1979, pagine 272-295.Lindblom non si aspetta, comunque, che un policy maker abbia la competenza per risolvere compiutamente i problemi pubblici. Il suo ruolo consiste piuttosto nella individuazione di mali sociali da cui fuggire. Il processo decisionale risulterà comunque un sistema di razionalità a posteriori, in cui le decisioni, le politiche, costituiranno una risultante dell'interazione sociale.

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nella sua pienezza. Lindblom sostiene, rispetto a un’età abituata a pensare le strutture sociali come il prodotto delle circostanze e dello sviluppo storici, la discussione della questione costituzionale nel senso più vasto, quella dell’accomodamento desiderabile delle istituzioni politiche ed economiche, come se fosse oggetto di scelta pubblica meditata.Il problema, quindi, consiste nella possibilità della scelta razionale.

1.3 L’approccio decisionale

Secondo Crozier e Fridberg:

«il successo dell’approccio decisionale si spiega con i suoi grandi vantaggi psicologici: mettendosi dal punto di vista dell’attore al di fuori dei vincoli del sistema, coltiva l’illusione di libertà del suo utente, mentre l’approccio sistemico non ha utente, perché non si rivolge a nessuno e nessuno può identificarsi col sistema. L’approccio decisionale, d’altra parte, ha il merito della semplicità e di una notevole forza logica, mentre ogni analisi sistemica non può prescindere dalla complessità e dalle sfumature».23

Un ragionamento decisionale privilegia l’azione a scapito della comprensione, trasforma costantemente tutti gli elementi di comprensione di cui dispone in elementi di calcolo e, per riuscirci, li scompone e li espropria della loro dimensione sistemica in modo da assegnare loro dei valori e riordinarli in funzione di una migliore combinazione dei mezzi.

«Per quanto i calcoli possano essere perfetti, se i dati su cui si lavora si fondano su un’analisi carente, il risultato può essere disastroso».24

Appena ci si spinge su di un terreno sconosciuto, o ci si misura con un insieme troppo complesso, il problema delle reazioni e dell’effetto sistema diventa cruciale.Il problema diventa allora quello del raccordo tra la logica di calcolo delle scelte, da un lato, e la conoscenza o il ragionamento sistemico che la fondano dall’altro. Sono possibili tre soluzioni.25 La prima è quella prevalente ed è del tutto empirica; essa consiste nell’accettare la logica razionale della decisione riconoscendone, tuttavia, la validità limitata. La seconda è più ambiziosa, e mira a integrare la comprensione del problema e il calcolo della scelta; è la soluzione dei nuovi metodi di analisi delle scelte, dove l’analisi del sistema delimita il campo e i suoi parametri, e una suddivisione in programma e sottoprogramma permette di arrivare a problemi semplici i cui parametri siano misurabili e le cui soluzioni possano essere esaminate con misurazione costi-benefici. Una terza soluzione, che Crozier e Friedberg tentano di esaminare, consiste nel relativizzare la decisione e del mito del decisore e trovare il passaggio dalla razionalità di sistema a quella

23 M. Crozier e E. Friedberg, ATTORE SOCIALE E SISTEMA. SOCIOLOGIA DELL'AZIONE ORGANIZZATA, Milano, Etas Libri, 1978, pagina 213.

24 Ibidem25 Ivi, pagina 214.

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dell’attore.In questo quadro, la posizione di Lindblom, che pur relativizza la decisione, sembra avvicinarsi alla prima soluzione. Egli indaga la possibilità di adottare tolleranze empiricamente definite per permettere l’adattamento delle decisioni, mentre rinvia sul versante dei valori e degli obbiettivi la pressione dell’ambiente che contraddice l’autonomia del decisore. Accetta, inoltre, che l’innovazione, l’allargamento e l’approfondimento del campo su cui si ragiona sfuggano alla sfera del calcolo; le conseguenze di questi avvenimenti saranno affrontate quando il campo avrà trovato un nuovo ordine.26

1.3.a Il modello di razionalità a posteriori di Lindblom

La profonda controversia a suscitata da Lindblom attorno al ragionamento di tipo decisionale, è relativa al problema delle politiche pubbliche.Mentre è facilmente ammissibile che, almeno in astratto, la razionalità delle decisioni private sia giudicata in rapporto agli obbiettivi dei singoli decisori, sembra invece difficile che una politica pubblica non sia valutata in funzione di un interesse generale di cui l’amministratore, o il politico, porta la responsabilità; senza, per questo, che un tale interesse generale sia decidibile a priori.

«Charles Lindblom ha avuto il grande merito di mostrare che, dietro questa apparente irrazionalità, si dispiega un’altra logica, altrettanto rispettabile della prima, e che i compromessi amministrativi e politici in cui sembra dissolversi la razionalità a priori dell’azione pubblica obbediscono a una razionalità a posteriori, tutto sommato più umana e più efficace della prima».27

Di fronte al modello di sovranità popolare che impone una legge comune, modello che presuppone una logica ideal-razionale impossibile da raggiungere, Lindblom presenta un modello di mercato per la gestione delle attività collettive, che accetta e giustifica le complicazioni e le difficoltà che irritano l’amministratore.28

Il modello di adattamento reciproco delle parti a posteriori di Lindblom, di fronte al modello di razionalità a priori che egli chiama “sinottico”,29

«è il modello della democrazia pluralista, il cui apparato di governo serve solo a salvaguardare le regole indispensabili dell’adattamento reciproco di tutte le parti».30

Nel modello di Lindblom (che ha come referente il modello del mercato economico), il pluralismo degli attori è implicitamente considerato un dato di fatto, dal quale il mondo

26 Vedasi, infra, il capitolo 3.27 Crozier e Friedberg, cit., pag. 215.28 Va notato che, ponendosi nello stesso filone, altri autori americani hanno sviluppato paradossi molto più

azzardati; per es. T. Schelling, “On the Ecology of Micromotives”, in THE PUBLIC INTEREST, n° 25, 1971, pagine 59-99, con una dimostrazione dell’utilità della corruzione.

29 Inteso come comprensivo, esaustivo.30 Crozier e Friedberg, ATTORE SOCIALE E SISTEMA, cit., pagina 216.

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reale si può discostare a causa dell’eliminazione o la riduzione del pluralismo, attraverso deviazioni corporative prodotte da imposizioni dell’autorità che impedisca il libero esprimersi della caratterizzazione conflittuale di individui e gruppi. Una società lasciata libera a se stessa tenderà inevitabilmente verso un sistema pluralistico conflittuale.31

In questa visione il potere non viene identificato con l’apparato di Stato, ma consiste in una relazionalità delle parti sociali e nel prodotto di questa relazionalità, effettuo del mutuo aggiustamento.Secondo G. Gozzi,32 il modello di razionalità a posteriori di Lindblom sembra riprodurre nell’ambito delle scienze politiche gli schemi della teoria generale dei sistemi; esso sottolinea infatti, con la sua messa in discussione dell’efficacia causale, il fatto che l’azione finale del soggetto e del sistema è la risultante dell’azione di molteplici sottosistemi e non è determinata semplicemente da un sottosistema.33 In questo senso, se condizione fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio, quindi della coordinazione delle decisioni, è l’esistenza di un orientamento teleologico di base che assicuri la sovrapposizione di una norma che fissi i limiti alla relazionalità delle parti, esso consiste nella massimizzazione della sicurezza nel cambiamento, vale a dire la sicurezza del perdurare delle organizzazioni operanti.

1.3.b Razionalità del decisore e razionalità del sistema. Albert O. Hirschman.

Malgrado il suo sforzo di essere esaustivo, Lindblom ha tralasciato un problema essenziale di un approccio decisionale: il problema del decisore.34

Egli dimostra infatti l’impossibilità logica dell’applicazione del modello razional-deduttivo mettendosi dal punto di vista del sistema.

«Con questo, può esimersi dal mettere in questione il carattere razionale dei decisori – individui o gruppi – con scopi e preferenze in funzione dei quali predispongono la loro azione. La sua idea che l’esperienza dell’azione, sulla base di compromessi imposti dall’adattamento reciproco delle parti, può comportare la scoperta di nuovi valori pone certo in discussione, invero indirettamente, la teoria del decisore razionale. Ma Lindblom non va oltre».35

Il problema è quello del rapporto tra razionalità del decisore e razionalità del sistema, al di là della contrapposizione, per certi aspetti sterile, tra modello sinottico e mutuo aggiustamento delle parti. In questa prospettiva è importante il lavoro di Albert O.

31 Cfr. la posizione di R. Dahl, collega e collaboratore di Lindblom, in “Il pluralismo rivisitato”, in RIVISTA ITALIANA DI SCIENZA POLITICA, n° 3, pagine 421-437.

32 G. Gozzi, “Potere e modello neocorporativo”, in (AAVV), NUOVE FORME DEL POTERE. STATO, SCIENZA, SOGGETTI SOCIALI, Milano, Angeli, 1982, pagine 11-34.

33 L. Von Bertalanffy, TEORIA GENERALE DEI SISTEMI, Milano, Isedi, 1971, in part. pagina 82.34 Crozier e Friedberg, ATTORE SOCIALE E SISTEMA, cit., pagina 219.35 Ibidem.

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Hirschman,36 che evidenzia il fatto che gli uomini non sanno esattamente ciò che vogliono, e scoprono le loro finalità, facendo contemporaneamente affiorare nuove risorse, attraverso la loro esperienza, cioè le loro decisioni. Hirschman sostiene che l’uomo non ha solo bisogno di una smithiana mano occulta che lo guidi, ma anche di una mano occultatrice, senza la quale, non lanciandosi in grandi imprese, non imparerebbe nulla.

«Per apprendere bisogna agire senza conoscere, dunque occorre un rischio che un calcolo troppo rigoroso di costi e benefici renderebbe impossibile. Il modello razionale blocca l’azione al livello delle conoscenze acquisite, necessariamente imperfette, e non permette all’uomo di scoprire delle possibilità, cioè finalità e mezzi nuovi».37

Il modello di Hirschman è un modello di “disordine ottimale”e il modo in cui vede il processo delle scelte politiche in rapporto allo sviluppo è chiaramente quello della programmazione centrale; ossia, almeno quello della soluzione dei problemi da parte degli individui il cui punto di vista sia quello del programmatore a livello centrale. Per contro, nella visione di Lindblom il policy maker è sempre un esponente di parte che spesso non si sente responsabile nei confronti della società nel suo insieme, ma persegue onestamente i propri interessi settoriali.38

L’analisi di Lindblom corre parallela all’importanza annessa da Klein e Mekling39 al carattere inevitabile di un progresso caratterizzato da mosse e contromosse in un modo che appare arbitrario e in un certo senso privo di un traguardo preciso, più che condividere l’importanza assegnata da Hirschman all’efficienza di una tale sequenza nel tentativo di far affiorare nuove risorse. Ciononostante, vi è presente anche l’idea del progresso caratterizzato da squilibri e da fasi alterne.Lindblom visualizza una serie di adattamenti sequenziali, ravvisando in essi il modo per massimizzare l’azione costruttiva in una società in cui l’ignoranza, l’incertezza e il conflitto, precludono l’identificazione o l’esistenza di una mossa “migliore”.40

1.3.c La razionalità limitata. Herbert Simon.

Il modello di Herbert Simon permette forse di superare le antinomie sopra esposte. Questo modello implica un rovesciamento di prospettiva; invece di ostinarsi a mostrare i limiti del

36 Vedasi A.O. Hirschman, LA STRATEGIA DELLO SVILUPPO ECONOMICO, Firenze, La Nuova Italia, 1968; e A.O. Hirschman, I PROGETTI DI SVILUPPO, Milano, Angeli, 1975.

37 Crozier e Friedberg, cit., pagina 220.38 Vedasi A.O. Hirschman e C.E. Lindblom, “Economic Development, Research and Development, Policy-

Making: Some Converging Views”, in BEHAVIORAL SCIENCE, 1962, pagine 211-222. Traduzione italiana “Lo sviluppo economico, la ricerca e lo sviluppo, policy making: alcuni punti di vista convergenti”, in (a cura di F. Emery), LA TEORIA DEI SISTEMI, Milano, Angeli, 1974, pagine 391-414.

39 B. Klein e W. Meckling, “Application of Operation Research To Development Decisions”, in OPERATIONS RESEARCH, vol. 6, 1958, pagine 352-363.

40 Hirschman e Lindblom, “Lo sviluppo economico...”, cit., pagina 406 e seguenti.

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modello razionale, Simon propone di partire dall’assunzione di una razionalità limitata.41

«La capacità della mente umana di formulare e risolvere i problemi complessi, è molto piccola comparata alla dimensione dei problemi la cui soluzione è richiesta per un comportamento obiettivamente razionale nel mondo reale – o persino per una ragionevole approssimazione a tale razionalità obiettiva».42

Egli critica il modello classico ricorrendo ad argomenti che saranno ripresi da Lindblom, concentrandosi su una problematizzazione di tipo cognitivo. L’uomo, ragionando sequenzialmente e non sinotticamente, è incapace di seguire un modello di razionalità assoluta. Da questa sua incapacità deriva che il decisore non ricerca l’ottimizzazione, la ricerca della migliore soluzione in assoluto, bensì la soddisfazione, comunque una soluzione razionale.

«Non si tratta, insistiamo, di una nuova variante pratica del modello classico, ma di un tutt’altro modello teorico che sfocia in ragionamenti diversi, in alcuni casi anche opposti. Per comprendere la scelta di una decisione, non bisogna cercare di stabilire qual è la migliore soluzione razionale, per poi cercare di comprendere gli ostacoli che hanno impedito al decisore di scoprirla ed applicarla. Bisogna invece definire le opzioni che si presentavano a lui sequenzialmente a causa della strutturazione del campo, e analizzare quali sono i criteri che consciamente utilizzava per accettare o respingere queste opzioni».43

Quindi, invece di consigliare l’applicazione dei modelli scientifici di elaborazione delle scelte, la proposta è di migliorare i criteri di soddisfazione impiegati, lavorando sui vincoli che condizionano i criteri di applicazione del modello razionale.Il modello concettuale di Simon permette di riconoscere l’importanza del calcolo razionale, riservandogli un posto, senza per questo accettare l’ideologia dell’ottimizzazione; esso permette inoltre di affrontare in termini operativi i problemi del rapporto tra razionalità del decisore e razionalità del sistema, poiché i criteri di soddisfazione sono ovviamente influenzati dalle caratteristiche del sistema.

«La possibilità di questa nuova analisi, tuttavia, non è stata affatto esplorata da Simon, che si è limitato a dimostrare che il modello di razionalità limitata spiegava meglio da un punto di vista cognitivo la realtà delle scelte. È forse questa la ragione, del resto, per cui il suo modello è stato inteso solo come modello neo-razionalista».44

Il modello di soddisfazione di Simon è un adattamento alle facoltà cognitive limitate e alla costosità della ricerca, quanto il modello di “ingegneria frammentaria” di Karl Popper è

41 Vedasi J.C. March e H.A. Simon, TEORIA DELL'ORGANIZZAZIONE, Milano, Comunità, 1966; e H.A. Simon, MODELS OF MEN. Social and Rational, New York, Wiley, 1957.

42 H.A. Simon, MODELS OF MEN, cit., pagina 198.43 Crozier e Friedberg, cit., pagina 222.44 Ivi, pagina 223.

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un adattamento alla discrepanza tra la complessità del problema e le capacità della mente umana. Popper fornisce il supporto filosofico per un approccio alternativo al decision making sinottico, argomentando in favore di riforme frammentarie piuttosto che radicali e di un tentativo di evitare il male piuttosto che cercare il bene.45

Come March e Simon hanno dato prova di procedure di semplice ricerca per sopperire alla penuria di risorse necessarie all’analisi comprensiva dei compiti ambientali dell’amministratore, così Lindblom suggerì la sperimentazione incrementale e sconnessa sui margini dell’organizzazione per evitare la sostituzione delle mete ed incoraggiare l’innovazione adattiva, senza rischiare la sopravvivenza dell’organizzazione stessa.

1.3.d Sinossi e razionalità a posteriori come casi limite.

Bisogna affermare che la maggior parte delle esperienze che si possono concretamente analizzare consistono in un ibrido, dove la razionalità a posteriori interviene, in generale, a correggere gli errori del modello sinottico, e dove succede che gli imperativi razionali a priori siano indispensabili per ordinare o riordinare gli effetti di sistemi lasciati per troppo tempo al semplice aggiustamento reciproco delle parti.46

In realtà, la fiducia di Lindblom nell’efficienza delle soluzioni “epifenomeniche”è forse eccessiva, a fronte alla possibilità che le interazioni di individui interessati producano degli “effetti perversi”non risolvibili con semplici interazioni ulteriori.47

Appare cosa ironica che, nel medesimo anno in cui Lindblom dimostrava la superiorità del modello americano di democrazia pluralista, l’amministrazione americana abbia deciso di generalizzare il P.P.B.S. (Planning Programming Budgeting System), seguendo il metodo sinottico.Questo metodo, messo a punto alla fine degli anni Cinquanta dalla RAND Corporation, è stato la causa di un vivace polemica nei confronti, in particolare di Charles Schultze.

«Paradossalmente, nei sistemi democratico-liberali, è la pianificazione convenzionale piuttosto di quella strategica che gode della miglior stima; e, sebbene i policy maker e i loro consiglieri impieghino effettivamente l’analisi strategica piuttosto che quella convenzionale, la “teoria” della pianificazione non valuta giustamente la differenza tra i due tipi di analisi e pianificazione».48

45 K. Popper, LA SOCIETÀ APERTA E I SUOI NEMICI, Roma, Armando, 1973.Egli associa una ricerca attiva per valori positivi con le società totalitarie e gli sforzi utopici che, egli sostiene, richiedono un modello razionalistico e possono facilmente condurre ad un aumento intollerabile della sofferenza umana. Si confronti l’argomentazione con quella espressa da Lindblom; vedasi infra, par. 5.7.

46 Nella vita politica, come nella risoluzione quotidiana di problemi, è spesso necessario affrontare problemi non risolvibili con un decision making incrementalista. Strategie alternative all’incrementalismo sconnesso di Lindblom sono state presentate: da Y. Dror, PUBLIC POLICY-MAKING REEXAMINED, Scranton (N.J.), Chandler, 1968; e da A. Etzioni, THE ACTIVE SOCIETY: A Theory of Societal and Political Processes, New York, The Free Press, 1968.

47 Vedasi R. Boudon, GLI EFFETTI “PERVERSI” DELL'AZIONE SOCIALE, Milano, Feltrinelli, 1981. Per epifenomeno deve intendersi un prodotto secondario, non voluto da alcuna delle parti interagenti.

48 C.E. Lindblom, “The Sociology of Planning: Thought and Social Interaction”, in (M. Bornstein ed.) ECONOMIC

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Charles Schultze, e un tempo direttore al Bilancio degli Stati Uniti, mentre dà una definizione della pianificazione convenzionale, vede la pianificazione strategica come nient’altro che un sostituto alla contrattazione o “politica”, al posto dell’analisi.49

«Egli perde completamente la distinzione tra due forme di analisi, due forme di pianificazione; l’una convenzionale, l’altra strategica; l’una fiduciosa, esaustiva, ambiziosa; l’altra selettiva, sagace, parsimoniosa di talento analitico».50

Nonostante il fallimento della generalizzazione del P.P.B.S., bisogna considerare che alla base di simili esperienze vi è la volontà profonda, e del tutto giustificata, di riformare meccanismi talmente appesantiti dalla complessità degli adattamenti reciproci da essere diventati ingovernabili.

«In realtà l’alternativa posta da Lindblom è altrettanto astratta del modello razionale che contesta. Il suo modello di adattamento reciproco delle parti è povero giacché è un modello di tipo economico che considera le parti come attori autonomi che entrano in rapporto gli uni con gli altri su una base di parità. I loro valori possono essere diversi, ma le loro influenze reciproche e il loro potere all’interno del sistema di azione di cui fanno parte non sono presi in considerazione. Così semplificato, il mercato parrebbe effettivamente la migliore soluzione. Ma nella realtà i sistemi di azione appaiono dominati da strutture di influenza tali che gli adattamenti reciproci che vi si operano costituiranno pure la migliore soluzione all’interno della struttura data, ma tendono a rafforzare le caratteristiche di tale struttura, in particolare le sue disfunzioni e le sue ineguaglianze. La razionalità a posteriori è una razionalità statica, una razionalità di circoli viziosi».51

Ogni tentativo di riforma cozza contro la resistenza delle strutture; quando Lindblom individua come “male”sociale la “fraudolenza” degli accomodamenti tra leader, e individua una possibile soluzione e riforma nell’eliminazione dell’eccessivo numero dei poteri di veto nella democrazia costituzionale,52 non può far altro che auspicare un movimento di democratizzazione (sul modello del movimento costituzionale-liberale) che realizzi questo nuovo status quo, nel rispetto degli esistenti adattamenti reciproci. Egli può solo auspicare, cioè, il determinarsi di una nuova risultante politica, un mutamento di sistema nel pieno rispetto non solo delle regole della democrazia liberale,53 ma anche di un processo di decision making incrementale.54

PLANNING, EAST AND WEST, Cambridge (Mass.), Ballinger, 1975, pagine 23/60, a pagina 47.49 C. Schultze, THE POLITICS AND ECONOMICS OF PUBLIC SPENDING, Washington D.C., Brookings Institution, 1968.50 C.E. Lindblom, “The Sociology of Planning...”, cit., a pagina 47.51 Crozier e Friedberg, ATTORE SOCIALE E SISTEMA, cit., pagina 218.52 C.E. Lindblom, POLITICA E MERCATO, cit.53 Vedasi “La democratizzazione del sistema politico americano e i suoi problemi”, in (a cura di Baldassarre e

Cervati) CRITICA DELLO STATO SOCIALE, Roma-Bari, Laterza, 1982, pagine 87-102.54 Vedasi “Still Muddling, Not Yet Through”, cit.

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1.4 Una visione della politica come processo

Lindblom, individuando un modello di razionalità a posteriori, contrappone due modelli ideali di analisi e di decisione politica, di pianificazione e di organizzazione sociale; due modelli di razionalità che culminano nella concezione di due modelli di società bene ordinate.55

Da un alto vi è un modello di società in cui si postula una competenza intellettuale sufficiente per i compiti di organizzazione e cambiamento sociale, in una concezione che presuppone una nozione di razionalità sinottica; dall’altra un modello di società caratterizzato dall’enfasi sui limiti della razionalità, in una concezione che vede la società come un costrutto interattivo simile al mercato.Tracciando una chiara linea di distinzione tra due società, la comunista e la democratica, Lindblom ci forza a differenziare, ad un alto livello di astrazione, tra due modelli di sistemi sociali in un approccio che ha notevoli carenze in fatto di realismo.La contrapposizione tra due sistemi politici opposti, mostra come Lindblom fatichi a liberarsi dall’idea che l’unica vera alternativa alla democrazia liberale capitalistica sia l’economia centralizzata sovietica, in una visione che spinge a valutare la superiorità della prima sulla seconda.Infatti, la sua visione di società desiderabile si caratterizza dentro un modello interattivo che richiama il modello di democrazia di equilibrio, il cui scopo è di registrare i desideri esistenti del popolo, dove i votanti sono i consumatori e i politici gli imprenditori.56 In questa concezione, il comportamento razionale di politici e votanti, che operano in condizioni di concorrenza politica, ha come risultato che il sistema politico, costruito in forma simile al mercato economico, produce una distribuzione ottimale delle energie e dei beni politici. Il modello di democrazia di equilibrio, trascurando il grado di oligopolio nella concorrenza fra i partiti, ma riconoscendone l’iniziativa, asserisce il fatto che la problematica dei beni politici è largamente suggerita dai fornitori. Sostenendo questo, riconosce che vengono a mancare l’equilibrio ottimale e la sovranità del consumatore.57

La specificità del modello di Lindblom è che esso non si esaurisce nello studio delle mediazioni poliarchiche, ma considera il livello del sistema sociale complessivo, in cui i vari decisori (centri di potere politico ed economico, sindacati, partiti, ecc.) sono tutti attori che contribuiscono a formare il momento della decisione politica.

55 Vedasi infra, il par. 5.7.56 Modello che Lindblom chiama poliarchia (governo di molti). Vedasi C.B. Macpherson, LA VITA E I TEMPI DELLA

DEMOCRAZIA LIBERALE, Milano, Il saggiatore, 1980. Ricordando il concetto di economia politica di Lindblom, dobbiamo constatare che egli tiene concettualmente separati la politica e il mercato economico; il caratterizzarsi delle opinioni politiche come volizioni e non come preferenze, impedisce alla politica di caratterizzarsi in modo troppo simile al mercato.

57 Ivi, cap. 4. Questo modello di democrazia comprende tra i suoi principali rappresentanti J. Schumpeter (che pone l’accento sul suo momento elitistico) e R. Dahl (che pone l’accento sui connotati pluralistici della democrazia di equilibrio).

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Dahl e Lindblom58 individuano quattro elementi alla base del sistema sociale: il sistema dei prezzi (lo scambio di mercato, inteso come strumento di controllo reciproco tra leader e non leader); la gerarchia (l’ordinamento burocratico, forma di controllo da parte dei leader sui non leader); la poliarchia (il sistema politico-elettorale in cui avviene il controllo dei leader da parte dei non leader); la contrattazione (bargaining, momento di controllo reciproco tra leader). Quest’ultimo elemento di base, che si dà quando il pluralismo sociale è elevato e l’area dell’accordo è ristretta, è quello su cui si focalizza l’indagine di Lindblom; in quest’indagine egli mette a punto il suo modello di razionalità a posteriori, a partire dal quale rileggerà il funzionamento specifico della poliarchia e degli altri metodi di controllo. In questa visione lo Stato (inteso come pluralità di apparati) viene considerato come un attore in mezzo e accanto altri attori; un attore sociale che, seppur dotato di valore specifico e di mezzi particolari, agisce accanto ad altri soggetti, dando luogo a sistemi interattivi determinati.Questa visione si lasca alle spalle l’idea dell’onnipotenza della politica e dell’assolutezza del potere dello Stato.

1.4.a Decisionismo e pluralismo.

L’onnipotenza della politica ha rappresentato una premessa teorica largamente condivisa nella prima metà del nostro secolo, tanto che il suo immediato sostrato filosofico, ossia il volontarismo, ha costituito una componente importante di tutti i movimenti culturali e politici allora dominanti: dal neo-statalismo schmittiano al marxismo leninista e, seppure in misura più temperata, al keynesismo.59

«Tutte queste correnti di pensiero supponevano infatti, da un lato, un attore sociale o politico egemone oppure un’elite indiscussa e, dall’altro, un sistema sociale la cui direzione fosse possibile attraverso il management di un numero relativamente limitato di variabili».60

A questa conclusione correnti succitate arrivavano per vie diverse: Schmitt per la sua concezione della politica e dello Stato come sfera onnidecisiva; il leninismo per la sua visione semplificata delle dinamiche economico-sociali, accoppiata alla funzione di guida delle avanguardie; il keynesismo per la fiducia nella reattività degli automatismi di mercato sotto la guida delle politiche di spesa pubblica e dei flussi monetari. Ognuna delle tre, dunque, riconosceva l’esistenza di una struttura dirigente nell’ambito di un sistema suscettibile di essere manovrato.61

In questa cornice si colloca una teoria del potere e del politico che ha una duplice connotazione:

58 Dahl e Lindblom, POLITICS, ECONOMICS AND WELFARE, cit.59 Vedasi A. Baldassarre, “Lo stato sociale: una formula in evoluzione”, in (a cura di Baldassarre e Cervati)

CRITICA DELLO STATO SOCIALE, Roma-Bari, Laterza, 1982, pagine 25-86.60 Ivi, pagina 50.61 Ibidem, in nota.

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dal punto di vista strutturale, identifica il potere con una posizione assoluta e dotata di una vocazione totalizzante (tendente ad escludere posizioni di potere concorrenti); dal punto di vista funzionale, lo definisce come forza produttiva di comportamento, ossia come causazione unilaterale di azioni altrui. L’interpretazione volontaristica di fondo di questa concezione porta a vedere, nei rapporti sociali, il potere come una manifestazione di volontà di un soggetto che si trova prevalente in un dato rapporto e perciò si impone sulla controparte.62

La concezione di Lindblom rende conto del fatto che lo sviluppo dello Stato pluralistico ha posto in questione l’idea dello Stato come l’unità politica che relativizza la politicità avocandosi la decisione sull’amico-nemico;63 in concomitanza, lo sviluppo di un tessuto pluralistico e la nascita di poteri interni ed esterni all’organizzazione statale, hanno trasformato la gestione del potere in un’attività non unilaterale e incondizionata, ma punteggiata da decisioni contrattate e da tecniche di risoluzione preventiva o passiva dei conflitti.64

L’analisi di Lindblom dimostra che normalmente il processo decisionale dell’esercizio del potere segue la logica incrementale e sequenziale, nel senso che la decisione avviene in base a un confronto empirico tra la possibilità di miglioramento o peggioramento di una situazione assunta come dato di base. Questa logica di decisione, anziché sanzionare l’onnipotenza del sovrano che crea l’ordine dal disordine (il decisionismo schmittiano) testimonia l’impotenza relativa di un potere costretto a muoversi secondo una politica di piccoli passi.65

In questa visione, il modello poliarchico non rappresenta un vero e proprio modello di sistema politico (ne rappresenta, infatti, solo una parte), piuttosto descrive alcune importanti regole valide per la costituzione e il funzionamento dell’autorità governante. Il processo di contrattazione che conduce alla formazione della volontà politica porta inoltre ad ipotizzare una differenziazione funzionale tra esso (identificabile nel rapporto tra l’apparato amministrativo e associazioni di interessi) e il sistema dei partiti.66

62 R.A. Dahl tende ad avvicinarsi ad una concezione di questo tipo; vedasi “Power”, in INTERNATIONAL ENCYCLOPEDIA OF THE SOCIAL SCIENCES, New York, The Free Press, 1968, vol. 12, pagina 410.

63 Vedasi C. Schmitt, LE CATEGORIE DEL POLITICO, Bologna, Il Mulino, 1972.64 A. Baldassarre, “Lo stato sociale: una formula in evoluzione”, cit., pagina 60.65 Ivi, pagine 69/70. Nel modello di Lindblom non è reperibile una definizione del concetto di potere, mentre è

presente una definizione dell'autorità come norma di obbedienza. Egli pone, dunque, in evidenza il carattere relazionale del potere, avvicinandosi così alle posizioni di Parsons e Luhmann (dove il potere viene visto come un medium generalizzato di comunicazione e circolazione sociale).

66 La scomposizione del potere in processi di adattamento reciproco può dunque essere vista come esistenza complementare di un contrattualismo a livello amministrativo e dell’autorità di forme politiche che fissano le condizioni di equilibrio del sistema. Di quest'avviso è G. Gozzi, “Potere e modello neocorporativo”, cit., pagina 27. La crescente differenziazione sociale, e l’aumento della complessità, mettono in crisi il sapere legale. La realtà socio-economica porta l'amministrazione a porsi come apparato di trasmissione degli interessi. Vedasi in proposito N. Luhmann, “Concetti di politica e politicizzazione dell'amministrazione”, in (a cura di G. Gozzi) LE TRASFORMAZIONI DELLO STATO, Firenze, La Nuova Italia, 1980, pagine 70/92.

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1.5 La modificazione dell’ottica di indagine

Lindblom, da una visione decisamente pluralistica della politica democratica,67 passa recentemente ad una concezione più radicale, che pone l’accento sui connotati elitari di un sistema che manifesta le sue incapacità e i suoi limiti piuttosto che le sue capacità di procedere in una democratizzazione progressiva.68

In questo sviluppo del pensiero di Lindblom, è di primaria importanza il manifestarsi di problemi di governabilità della democrazia americana. Problemi prodotti da un’accresciuta partecipazione politica negli anni Sessanta, che ha portato ad una diminuzione della fiducia nei confronti dell’autorità di governo negli anni Settanta.69 Proprio il fatto che alla democratizzazione, realmente avvenuta, del processo politico degli Stati Uniti consegua il successivo diffondersi di un profondo cinismo politico, costituisce il problema.70

Gli sviluppi della guerra in Vietnam e il caso Watergate hanno inferto un duro colpo alla credibilità delle istituzioni, ma soprattutto si è spezzato il rapporto tra il cittadino e le istituzioni.

«È venuto meno l’anello fondamentale che lega governanti e governati: i partiti politici».71

Alla democratizzazione non ha fatto seguito la creazione o il rafforzamento di istituzioni in grado di incanalare le domande di partecipazione politica; ad essa hanno piuttosto risposto forme particolaristiche di trasmissione clientelare degli interessi (attraverso il Congresso), facendo mancare tutta una serie di beni collettivi.

«Non esiste stabilità delle strutture di mediazione degli interessi; non può esserci prevedibilità di comportamenti; è assente qualsiasi possibilità di progettazione. Allora Presidente e Congresso entrano in crisi, e vanno anche in rotta di collisione. E senza potersi appoggiare sui partiti, su una leadership collaudata e stabile, né l’uno né l’altro trovano una via d’uscita dallo stallo".72

Fattore e causa scatenante della crisi appare essere il fallimento dello Stato Sociale, la cui

67 Vedasi THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, cit. Il modello di democrazia pluralistica è uno in cui i vari e gruppi sociali instaurano una forma di interazione fondata su una differenza o opposizione di interessi, che le parti fanno valere nel corso del processo di decisione. Vedasi, infra, il cap. 4.

68 Nella “Preface 1976” a POLITICS, ECONOMICS AND WELFARE, cit., Dahl e Lindblom “hanno riconosciuto che non ci sono garanzie che il bargaining conduca a decisioni democratiche e stabilizzanti; che i gruppi non organizzati ne sono esclusi; che esiste una differenza di potere tra i gruppi i che scambiano a vantaggio della grande impresa e comportante un allontanamento della posizione di equilibrio dal livello di realizzazione del ‘massimo benessere generale’; che il consenso può essere manipolato a tutela dello statu quo”. Vedasi in proposito A. Mutti, “Lo scambio politico nelle relazioni industriali”, in STATO E MERCATO, n° 5, Agosto 1982, pagine 295-320, alle pagine 315-316.

69 Vedasi S.P. Huntington, “Stati Uniti d'America”, in (Crozier, Huntington, Watanuki) LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA, Milano, Angeli, 1977.

70 G. Pasquino, “Un caso di ingovernabilità: gli Stati Uniti d'America”, in IL MULINO, Nov.-Dic. 1979, pagine 805-835.

71 Ivi, pagina 831.72 Ibidem.

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ultima fase dà luogo ad una frammentazione di gruppi di interesse con effetti distruttivi su una struttura politica di tipo liberale, sia dal punto di vista delle istituzioni che dei valori che le sorreggono.73

I problemi posti alla democratizzazione vengono fatti risalire, da Lindblom, alla posizione privilegiata delle imprese nel processo politico e all’eccesso della diffusione dei poteri di veto nel sistema politico. Mentre da un lato lo Stato ha demandato tutta una serie di compiti organizzativi alle imprese private (sottoponendole ad incentivi di mercato piuttosto che a comandi, ottenendo così un basso livello di controllo nei loro confronti), dall’altro lato l’eccessiva distribuzione dei poteri di veto nel sistema politico porta ad un blocco dell’innovazione politica e della democratizzazione. Di fronte al sorgere di nuove problematiche, il pensiero di Lindblom mostra evidenti segni di mutamento in termini di ottica d’indagine. Mentre la sua opera fino a tutti gli anni Sessanta manifesta una profonda fede nella capacità di democratizzazione progressiva della democrazia americana, intesa come sistema pluralistico di mediazione degli interessi e di redistribuzione delle risorse (viene quindi sottolineata la centralità dei policy maker nel processo incrementale di mutuo aggiustamento delle politiche);74 la sua opera più recente sembra risentire del divario apertosi tra i cittadini e le istituzioni, nel manifestarsi di domande di tipo collettivo piuttosto che di distribuzione (quindi si nota la centralità del problema della rappresentanza effettiva delle volizioni popolari, che porta alla denuncia della “fraudolenza” del mutuo aggiustamento delle politiche, e all’auspicio di una sua riforma).75

Possiamo, quindi, formulare l’ipotesi che si tratti di una modificazione d’ottica dovuta al manifestarsi di problemi di tipo nuovo rispetto a quelli per cui il modello era stato originariamente concepito; una radicalizzazione della teoria democratica che sembra assumere aspetti generazionali.76 Lindblom sostiene:

«È vero che il lavoro precedente enfatizza ciò che funziona (seppur malamente) in politica, il lavoro più recente ciò che non funziona (sebbene persista). In entrambe le fasi o passi, ho cercato meccanismi seminascosti. La sola cosa che ritengo sbagliata riguardo ai due passi è il loro ordine. Ho paura di essere diventato più coraggioso solo con l’età, sebbene mi piacerebbe smentire questa interpretazione. In ogni caso, le sottili influenze e pressioni dei suoi colleghi accademici sono efficaci nello sviluppo dell’insegnamento e degli scritti di uno studioso. Se resistiamo nel cedere ad essi su ciò che crediamo, spesso cediamo quasi inconsapevolmente su ciò che decidiamo di studiare».77

73 Vedasi T. Lowi, THE END OF LIBERALISM, New York, Norton, 1979.74 Vedasi, infra, i capp. 3 e 4.75 Vedasi, infra, il cap. 5.76 Per esempio coinvolge Dahl, oltre a Lindblom; vedasi la loro “Preface 1976” a POLITICS, ECONOMICS AND

WELFARE, cit.77 C.E. Lindblom, “Still Muddling, Not Yet Through”, cit., pagina 525.

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Quest’affermazione non ci sembra costituire critica all’ipotesi, in quanto la crisi dei partiti politici e quindi della mediazione degli interessi, non rappresenta un fenomeno contingente, ma appare come una tendenza di sistema.78

«Il sistema politico americano, in virtù della sua fragilità, registra in modo assai più precoce ed evidente un insieme di contraddizioni che si sono rivelate costitutive del modello di Stato proprio del capitalismo guidato: moltiplicazione e frammentazione del conflitto redistributivo e, insieme, nuove aggregazioni “post politiche”, relative alla qualità dello sviluppo che, con una fenomenologia assai diversificata ma facilmente riconoscibile, inseriscono seri momenti di rottura nel circuito di comunicazione tra società civile e società politica».79

Mentre da un lato il partito vede aumentare il proprio potere di comando come strumento di selezione e redistribuisce delle risorse pubbliche, nel medesimo tempo diminuisce la sua capacità di rappresentanza unitaria di un insieme differenziato di interessi sociali.

«Il suo rapporto con lo Stato sembra essere inversamente proporzionale con la sua capacità di rapporto autonomo con la società. La crisi del partito-società si accompagna alla dilatazione del partito-Stato».80

La tendenza di sistema che investe nella crisi i partiti politici, mette in crisi anche la visione pluralistica in cui il processo decisionale si sviluppa secondo una successione che prevede i gruppi di interesse, i partiti politici e quindi la conversione delle varie richieste in provvedimenti d’autorità; una tale successione verticale appare inapplicabile nel momento in cui lo schema della rappresentanza e della democrazia liberale appaiono come alterati in profondità.L’unità del sistema tende a perdere il suo residuo senso di a priori, a causa dello smarrimento dell’affidabilità di un processo politico prevedibile e incanalabile nel circuito istituzionale; l’imprevedibilità del processo politico risultante induce non solo all’indagine di meccanismi di riequilibrio e di compensazione operanti a posteriori, ma anche dell’effettiva efficienza di sistemi di mutuo aggiustamento dati.

1.6 Quattro ipotesi

La moltiplicazione dei gruppi e la loro istituzionalizzazione dentro lo Stato, ha dunque prodotto un irrigidimento delle strutture politiche, che spinge verso il deperimento e il declino delle stesse.Possiamo annoverare quattro ipotesi di alternative alla tendenza all’irrigidimento delle

78 L. Paggi, “Paradigmi di analisi della crisi dei partiti”, in (AAVV), IL PARTITO POLITICO E LA CRISI DELLO STATO SOCIALE: IPOTESI DI RICERCA, Bari, De Donato, 1981, pagine 29-69.

79 Ivi, pagina 32.80 Ivi, pagina 33.

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strutture politiche liberal-democratiche.81

La prima ipotesi, conservatrice, ritiene irreversibile il pluralismo dei gruppi, me cerca di ricondurli ad essere strumento del controllo sociale e di riordinamento della gerarchia di valori della società. Una variante di questa ipotesi prevede la rivitalizzazione dei partiti politici;82 ciò che viene richiesto è la restaurazione di un circuito di potere non istituzionalizzato, come polmone vitale per il funzionamento della democrazia politica.Una strategia alternativa, più liberista, non vede tanto l’irrigidimento delle strutture politiche come conseguenza dell’esistenza dei gruppi sociali, quanto come conseguenza del formarsi di grandi gruppi o grandi coalizioni distribuzionali che impediscono una politica economica razionale e una efficace distribuzione della ricchezza. Questa proposta auspica una politica (contraria a quella precedente) consistente in un’operazione che tagli via le grandi coalizioni e lasci il governo di fronte a piccoli gruppi in concorrenza tra loro, sul presupposto che la crisi è dovuta allo sviluppo neo-corporativo dello Stato sociale; il modello liberale classico viene visto come precondizione da recuperare onde scongiurare il deperimento delle strutture politiche.83

Una terza strategia, decisionistico-plebiscitaria considera, come quella precedente, prioritario ridurre il potere dei grandi gruppi; si differenzia da questa perché il fine proposto è quello di tentare di costituire un rapporto plebiscitario tra il potere politico centrale e i gruppi sociali, allo scopo di permettere un recupero di decisionismo a favore dell’esecutivo.L’ipotesi di Lindblom è di tipo ulteriore, di democratizzazione poliarchica, volta a salvaguardare il tessuto di fondo delle liberal-democrazie. Lamentando la posizione privilegiata dei grandi gruppi (nello specifico le grandi aggregazioni di imprese) che condizionano le decisioni politiche, sostiene che queste non sono adeguatamente sottoposte al controllo popolare.La sua ipotesi di democratizzazione poliarchica culmina in una strategia che:

«per assicurarsi la flessibilità del sistema politico si affida soprattutto al fatto di regolare le giunture fondamentali del sistema stesso attraverso mercati, piuttosto che alla creazione di mercati interni ai singoli “grandi gruppi” (partiti, ecc.). più precisamente essa suppone, da un lato, una ristrutturazione degli attori politici in modo da socializzare i più importanti e lasciare gli altri entro un circuito diffuso di potere non-istituzionalizzato. D’altro lato, per compensare i pericoli di “irrigidimento” che ciò potrebbe comportare, essa auspica di “risanare l’ambiente”, garantendo che esso sia costituito nei suoi punti-chiave da mercati sufficientemente flessibili. Non c’è bisogno di sottolineare che è quest’ultimo l’elemento della strategia maggiormente radicato nella tradizione liberale».84

81 Vedasi A. Baldassarre, “Il retrobottega della democrazia”, in LABORATORIO POLITICO, 5-6. Set.-Dic. 1982, pagine 78-111.

82 Vedasi S.P. Huntington, “The Democratic Distemper”, in THE AMERICAN COMMONWEALTH, n. spec. di THE PUBLIC INTEREST, 1976, pagina 35 e seguenti. L’ipotesi conservatrice è tipica della politica reaganiana.

83 Questa posizione è rintracciabile in germe negli scritti di M. Olson; vedasi LA LOGICA DELL’AZIONE COLLETTIVA, Milano, Feltrinelli, 1983.

84 A Baldassarre, “Il retrobottega della democrazia”, cit. pagina 405.

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Va notato che queste quattro strategie si muovono tutte dentro l’orizzonte delle democrazie liberali. Mentre l’ipotesi conservatrice e l’ipotesi decisionistico-plebiscitaria puntano a un recupero di “libertà” del potere centrale, l’ipotesi liberista e l’ipotesi di democratizzazione poliarchia mirano al recupero di un ambiente più razionale, che permetta più flessibilità al sistema.

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2. I primi scritti

2.1 Il ruolo dei sindacati in un’economia di mercato

Il primo lavoro di rilievo edito da Lindblom sostiene la tesi che l’organizzazione sindacale e l’economia basata sull’impresa privata siano incompatibili; non appena i sindacati diventano forti, il tentativo di mantenere l’economia nel suo stato attuale produce disoccupazione o inflazione.85 Secondo Lindblom, il sindacalismo riesce a distruggere il sistema dei prezzi di un’economia concorrenziale grazie agli alti salari ottenuti attraverso la contrattazione collettiva.È interessante notare che a fronte di questa interpretazione, che sembra individuare nei sindacati la causa della deviazione dell’economia americana da un modello di libera concorrenza, Lindblom sottolineerà, nel suo lavoro più maturo, la posizione privilegiata delle imprese in un sistema basato sul mercato e la proprietà privata dei mezzi di produzione, sostenendo persino l’incompatibilità tra impresa privata e democrazia.86

Nel suo primo lavoro Lindblom mostra già due posizioni che saranno centrali nello sviluppo successivo del suo pensiero politico: la concezione dell’organizzazione sindacale come “corpo politico”, e la non necessaria identificazione del sistema dei prezzi col sistema dei prezzi competitivo.Va notato anche che Lindblom non ha rinnegato mai la tesi centrale del suo primo libro, cioè che il reddito salariale ottenuto con la contrattazione produca uno scostamento dai prezzi di efficienza e perciò produca inflazione e disoccupazione, ma ne ha relativizzato l’importanza.87 In questo testo, si possono già notare le sue simpatie nei confronti dell’economia mista.88

2.2 L’azione sociale razionale

Nel lavoro edito in collaborazione,89 Dahl e Lindblom sostengono innanzitutto che, a fronte di molti lavori che appaiono come collaborazioni:

«in pochi si è fatto maggior affidamento sul processo dialettico – nel senso greco, non marxista. Tanto quanto un qualsiasi lavoro di due persone può esserlo, ogni capitolo rappresenta il singolo prodotto di due menti».90

85 UNIONS AND CAPITALISM, Hamden (Conn.), Archon Books, 1970 (1^ ed. 1949, by Yale University Press).86 POLITICA E MERCATO. I SISTEMI POLITICO - ECONOMICI MONDIALI, Milano, Etas Libri, 1979, cap. 25.87 Vedasi POLITICA E MERCATO, cit., pagine 123-125.88 UNIONS AND CAPITALISM, cit., in particolare pagina 240. 89 POLITICS ECONOMICS AND WELFARE. Planning and Politico-Economic Systems Resolved into Basic Social

Processes, Chicago, University of Chicago Press, 1976 (1a ed. 1953).90 Ivi, pagina xvii. Vedasi G. Von Der Muhll, “Robert A. Dahl and the Study of Contemporary Democracy: A

Review Essay”, in THE AMERICAN POLITICAL SCIENCE REVIEW, Sept. 1977, pagine 1070-1096; a pagina 1075 egli sostiene che questo è il libro più creativo, in alcuni aspetti, che Dahl abbia mai scritto. Per quanto riguarda

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Prendendo gli autori alla lettera non ci sforzeremo di distinguere i loro contributi individuali, e, per i presenti propositi, ascriveremo a Lindblom le idee che appaiono nel libro.In questo lavoro, Dahl e Lindblom, si indirizzano sullo studio delle proprietà e i problemi dell’azione sociale razionale, che essi trovarono impliciti nelle tecniche di calcolo (in cui vengono incluse sia la composizione di mete che da trattazione pertinente alla selezione di strategie appropriate) e nei meccanismi sociali affidati al controllo del comportamento, in modi necessari per effettuare le decisioni risultanti. In questo contesto, la pianificazione economica viene vista come un tentativo di calcolo razionale e di controllo nell’uso di risorse scarse.In una delle sintesi più audaci e potenzialmente più fruttuose degli anni Cinquanta, gli autori affermano che il calcolo e i suoi controlli correlati formano il nucleo centrale delle interazioni sociali più organizzate. Oltre a ciò, mostrano che le attività rivolte all’esecuzione di queste operazioni possono essere risolte in uno o più di quattro meccanismi di controllo elementari: i prezzi di mercato, la contrattazione (bargaining), la gerarchia, e le forme istituzionalizzate di competizione fra leader alla ricerca del necessario supporto da parte dei non leader che essi definiscono “poliarchia”. Letteralmente, questo termine significa “governo di molti”. Secondo Dahl e Lindblom la democrazia è comunque una meta, non un dato, e la poliarchia è il principale processo socio-politico per approssimarsi alla democrazia (senza per questo ottenerla).Joseph A. Schumpeter91 conduce la discussione sul ruolo della competizione tra leader in modo abbastanza differente da Dahl e Lindblom. Egli, infatti, sostiene che la competizione politica garantisce solo la scelta tra i leader, non anche tra le differenti politiche.Perciò, nella sua concezione, il significato della competizione politica per traslare le preferenze dei cittadini nelle politiche pubbliche si può considerare trascurabile. Secondo Dahl e Lindblom:

«questa assunzione è falsa a meno che si possa dimostrare che la scelta tra leader rivali è totalmente separata dalle preferenze per quanto riguarda la politica. Schumpeter questo non lo ha dimostrato, né egli avrebbe potuto, dal nostro punto di vista» 92.

Prestata attenzione alle similitudini strutturali tra i processi di controllo, discussi convenzionalmente in termini nominalisti, essi intraprendono comparazioni ripetute delle quattro tecniche di controllo, in un’imponente varietà di contesti politici specifici. Inoltre, mostrano la sterilità di molte controversie contemporanee incapaci di disaggregare composti ipostatizzati quali la “burocrazia” e la “pianificazione” nelle loro componenti tecniche di controllo.Secondo Von Der Muhll, guardando attraverso la scienza politica o le scienze sociali di quel

Lindblom, dobbiamo convenire che già in questo libro si possono riscontrare tutte quelle sfaccettature tematiche che saranno sviluppate nel suo lavoro successivo.

91 Joseph Schumpeter, CAPITALISMO, SOCIALISMO, DEMOCRAZIA, Milano, Comunità, 1964 (1^ ed. 1954). 92 POLITICS ECONOMICS AND WELFARE, cit. pagina 283. Va notato che in POLITICA E MERCATO, cit., pur considerando

difficile la possibilità di trovare un metodo migliore della poliarchia per avvicinarsi all'ideale democratico, Lindblom abbandonerà questa visione entusiastica della poliarchia come democratizzazione “in progress”.

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periodo, si possono ritrovare pochi schemi analitici tanto comprensivi in portata, tanto sistematicamente elaborati in dettaglio, tanto minuziosamente applicati ai processi della società.93 Può essere perciò istruttivo chiedersi perché POLITICS ECONOMICS AND WELFARE sembra essere stato più spesso citato che attentamente letto nella disciplina; una semplice ragione può essere che questo testo era troppo originale per il suo tempo (i commentatori ebbero ovvie difficoltà nel classificarlo e nel metterlo in relazione ad altri studi).94

Von Der Muhll sostiene che questo libro, come ECONOMIA E SOCIETÀ di Parsons e Smelser,95 con il quale potrebbe essere messo a stretto confronto, offre numerose prospettive meta teoretiche senza insistere direttamente su una linea particolare di ricerca.Egli avanza anche l’ipotesi che nemmeno gli autori comprendessero pienamente cosa avevano realizzato.Nonostante il loro impegno per stabilire rapporti sistematici tra i loro concetti, non mostrano mai come i loro quattro processi sociopolitici (o tecniche, la designazione rimane instabile) potrebbero essere adattati in una serie esplicita di dimensioni. Questa omissione è forse attribuibile alle origini non analitiche dei termini, che appaiono come semplice descrizione delle pratiche decisionali dominanti, anche se gli autori sostengono che il loro schema è analitico e non semplicemente descrittivo (infatti varie combinazioni di questi si ritroverebbero in tutti i settori). In alternativa,96 il loro schema può essere visto come una caratterizzazione dei termini in cui le decisioni sono effettuate, in sistemi allocativi che hanno proprietà strutturali che vanno da quelle dei mercati competitivi (il sistema dei prezzi) attraverso l’oligopolio (poliarchia) fino al monopolio (gerarchia). Delineate in questo modo, le tre tecniche citate sarebbero graduate in rapporto alle relazioni di controllo verticali prevalenti tra “produttori” e “consumatori”; ma allora la contrattazione (bargaining) potrebbe essere inserita nello schema solo come la dimensione di controllo “orizzontale” di sistemi strutturalmente simili alla poliarchia.La sezione su quest’ultima categoria, la contrattazione, lasciò Lindblom particolarmente insoddisfatto; infatti, la maggior parte del suo lavoro successivo in parte ne costituisce uno sviluppo, in parte ha una diretta relazione con i problemi di controllo tra leader.

2.2.a Un quarto di secolo. Robert Dahl

Quando scrissero questo libro, Dahl e Lindblom pensavano alla democrazia americana come a una società progressiva; una società definitivamente sulla strada della progressiva risoluzione dei suoi problemi. In questa visione, i vari processi sociali per il calcolo razionale e per il controllo costituivano dei mezzi per la realizzazione di un’economicizzazione, nella quale i

93 G. Von Der Muhll, “Robert A. Dahl and the Study of Contemporary Democracy”, cit, pagina 1076; eppure molti dei lavori successivi di Dahl meno avventurosi e generali ottennero molta maggiore attenzione che questo.

94 Ibidem.95 T. Parsons e N. Smelser, ECONOMIA E SOCIETÀ, Milano, Angeli 1970.96 G. Van Der Muhll, “Robert A. Dahl and the Study of Contemporary Democracy”, cit., pagina 1077.

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membri della società ricercavano i fini per l’azione sociale.In sintesi, la loro concezione ottimistica della società americana si poneva all’interno di quello che è stato definito “The American Dream”. È, nella loro opera, una visione in cui la concezione del pluralismo come sommatoria degli interessi in conflitto, dovrà un giorno lasciare spazio a una concezione più radicale, e meno ottimista, della poliarchia come processo di realizzazione della democrazia.Una serie di fenomeni (tra cui il Vietnam, il Watergate, e il mouvement di democratizzazione), metteranno in risalto i limiti della poliarchia americana e le sue scarse capacità di confrontarsi con problemi di tipo collettivo piuttosto che distribuzionali, rispetto ai quali lo stesso pluralismo, con la posizione privilegiata dell’impresa privata, funziona come ostacolo alla democratizzazione.97

Dalla pubblicazione di POLITICS ECONOMICS AND WELFARE, ci risulta che i due autori abbiano collaborato solo alla stesura della prefazione all’edizione del 1976 di questo medesimo testo. Non vi è traccia, quindi, nel corso degli anni, di una collaborazione che si esprima in ulteriori pubblicazioni comuni.I due autori sembrano aver imboccato strade diverse; nell’arco di scelta costituito dalla possibilità dello studio particolare dei quattro meccanismi fondamentali, Lindblom ha proceduto principalmente nello studio dei problemi riguardanti la contrattazione, mentre Dahl ha proceduto principalmente nello studio dei problemi riguardanti la poliarchia.Per oltre un quarto di secolo, Dahl ha cercato di analizzare il governo democratico moderno, le sue operazioni, le condizioni che lo incoraggiano o minacciano, lo status logico delle proposizioni nei termini delle quali esso è discusso e valutato. Questo studio lo ha condotto in varie direzioni. Nel corso degli anni, egli ha prima posto l’accento sulla competenza richiesta del controllo dei cittadini rispetto alla democrazia, in un’era di possibile guerra nucleare e di espansione senza precedenti delle responsabilità di governo;98 si è poi indirizzato verso la chiarificazione concettuale della relazione tra governanti e governati;99 infine ha considerato i problemi di stabilità della matrice sociale su cui si basa il governo democratico.100 La sua indagine, comunque, è sempre stata organizzata da un continuo sforzo di illuminare la comprensione delle particolari istituzioni politiche, tutte invenzioni sociali relativamente recenti, che hanno messo in grado i membri di società a vasta dimensione di realizzare un significativo grado di corrispondenza tra le loro preferenze auto definite e le decisioni di coloro che li governano.101

Nonostante la relativa diversità degli studi intrapresi, la loro collaborazione non può dirsi esaurita con POLITICS ECONOMICS AND WELFARE, collaborazione manifestata dalla contemporanea

97 Vedasi Dahl e Lindblom Preface 1976, in POLITICS ECONOMICS AND WELFARE, cit. 98 R.A. Dahl e R.S. Brown, DOMESTIC CONTROL OF ATOMIC ENERGY, New York, Social Science Research Council,

1951.99 A PREFACE TO DEMOCRATIC THEORY, Chicago, University of Chicago Press, 1966; vedasi anche “The Concept of

Power”, in BEHAVIORAL SCIENCE, N.2, July 1957, pagine 201/15.100 Tra i suoi scritti di rilievo: POLIARCHY. PARTECIPATION AND OPPOSITION, New Heaven, Yale University Press, 1971101 Cfr. G. Von Der Muhll, “Robert A. Dahl and the Study of Contemporary Democracy”, cit.

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presenza presso l’Università di Yale. È interessante notare che gli sviluppi del pensiero di Lindblom nei confronti della poliarchia, manifestano posizioni simili a quella affermate da Dahl.

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3. La strategia dell’“incrementalismo sconnesso”

3.1 Una prima definizione

Nel 1953 apparve una prima, seppure breve, trattazione del concetto di incrementalismo, inserita nel libro scritto da Lindblom in collaborazione con Robert A. Dahl: POLITICS ECONOMICS AND WELFARE; in questo volume esso viene incluso tra i processi sociali per il calcolo razionale, come parte di un inventario di sussidi razionali al calcolo.102

Qui l’incrementalismo viene definito come:

«un metodo di azione sociale, che acquisisce realtà esistente come un’alternativa»

alla scienza,

«e che compara probabili guadagni e probabili perdite di alternative messe strettamente in relazione, producendo aggiustamenti relativamente piccoli nella realtà esistente, o aggiustamenti più vasti sulle cui conseguenze è conosciuto approssimativamente tanto quanto sulle conseguenze della realtà esistente, oppure entrambi. Dove piccoli incrementi non raggiungano chiaramente mete desiderate, le conseguenze dei grandi incrementi non siano pienamente conosciute, e la realtà esistente sia chiaramente indesiderabile, l’incrementalismo può lasciar luogo a un rischio calcolato».103

Questo processo di costante rilevazione empirica delle preferenze permette sia la sopravvivenza che la continua alterazione delle organizzazioni operanti.104

Naturale prerequisito di un razionale incrementalismo nelle azioni sociali, è un considerevole grado di accordo sulle mete di base.

3.2 Analisi “a radice” e “per rami”

Successivamente, nell’articolo apparso nel 1959,105 Lindblom individua un metodo di analisi

102 R.A. Dahl e C.E. Lindblom, POLITICS ECONOMICS AND WELFARE. PLANNING AND POLITICO-ECONOMIC SYSTEMS RESOLVED INTO BASIC SOCIAL PROCESSES, Chicago, The University of Chicago Press, 1976 (1^ ed. 1953), pagine 82-85. Gli altri sussidi sono: discussione, codificazione, quantificazione, campionatura, delega, scienza, rischio calcolato, idealismo utopistico. L'incrementalismo viene posto tra la scienza e il rischio calcolato.

103 Ivi, pagina 82.104 Ivi, pagina 84. «I rivoluzionari hanno invariabilmente mal valutato la persistenza dei codici e delle norme

operanti, la propria capacità di rimpiazzare a loro piacere i vecchi con dei nuovi, e la probabilità che il Termidoro segua da vicino le calcagna del Terrore».

105 “The Science of “Muddling Through”, in PUBLIC ADMINISTRATION REVIEW, American Society for Public Administration Review, Washington D.C., vol. 19, Spring 1959, pagine 79-88. Questo articolo è ormai diventato un classico del policy making ed è stato inserito in oltre 40 antologie. Noi useremo la traduzione “La scienza del ‘sapersela cavare’”, apparsa in (a cura di H.I.Ansoff) LA STRATEGIA D'IMPRESA, Milano, Angeli, 1974, pagine 48-69.

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incrementale, che procede per successivi confronti limitati (per rami) in contrapposizione al metodo di analisi razionale inclusivo (a radice).Il punto di partenza è la negazione della validità generale di due assunti impliciti nella maggior parte della letteratura sul policy making. Il primo è l’assunto secondo il quale i problemi della politica pubblica possono essere risolti meglio se si tenta di comprenderli; l’altro riguarda il fatto che esista un accordo sufficiente da fornire criteri adeguati per la scelta tra le possibili alternative politiche.In quest’articolo Lidblom punta a dimostrare che è impossibile, per qualsiasi amministratore, applicare seriamente il metodo razionale (incarnato, a quell’epoca, dalla ricerca operativa: un processo decisorio che prevedeva la chiarezza degli obiettivi, la precisione della valutazione sui mezzi, la notevole ampiezza del campo di osservazione e, dove possibile, la quantificazione dei valori ai fini dell’analisi matematica; un processo decisorio che gli stessi dirigenti della RAND Corporation – società all’avanguardia nell’applicazione di simili tecniche – non esitavano a considerare “arte di sotto-ottimizzazione”).Egli mostra, inoltre, che l’amministratore pratica istintivamente un tipo di confronto marginale tra due corni di alternative empiriche (analisi per rami), senza una rigida distinzione tra mezzi e fini.Egli afferma, infine, essere più saggio comportarsi in simile modo, in quanto questo approccio all’analisi comporta minori rischi e si rivela più illuminante del metodo razionale.

3.3 Il rifiuto del decision making “sinottico”

Dal 1963 in poi,106 il processo di decisione incrementale viene trattato come un’alternativa al decision making sinottico, chiamato così da Lindblom a causa dell’alto grado di comprensività della visione che, in tal modo, il decision maker cerca di ottenere. L’assunzione sarebbe che un problema viene risolto comprendendolo. Il termine “sinottico”, viene da Linblom usato più che altro come sinonimo di scientifico, comprensivo, esaustivo.In questo metodo d’analisi, che impone al decision maker di praticare un’analisi esauriente, una mente centrale deve riuscire ad anticipare sistematicamente tutte le ripercussioni possibili di una decisione.Sinteticamente, i passi convenzionali per ottenere un processo di decisione di tipo sinottico sarebbero: a) identificare ed organizzare in qualche relazione coerente le mete e i valori di parte pertinenti alle scelte politiche da fare; b) identificare tutte le alternative politiche importanti che potrebbero realizzare i valori; c) analizzare tutte le possibili conseguenze importanti di ognuna delle alternative politiche considerate; d) scegliere quella politica le cui conseguenze meglio

106 D. Braybrooke and C.E. Lindblom, A STRATEGY OF DECISION. POLICY EVALUATION AS A SOCIAL PROCESS, New York, The Free Press, 1963. Qui si trova la trattazione più estesa e approfondita della strategia di analisi politica. Nella seconda parte del libro, curata principalmente da Braybrooke, vengono discusse le implicazioni di filosofia politica di una simile concezione.

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realizzano i valori al punto a).107

Questo, però, non è semplicemente possibile per i problemi politici complessi.Infatti, la ragione fondamentale per cui gli analisti non impiegano un sistema razional-deduttivo, o meglio, una funzione di benessere sociale nell’analisi politica (suo sostituto piuttosto che sua applicazione), è semplicemente che nessuno è stato mai capace di costruirne concretamente una.Lindblom illustra la concezione riguardante la funzione del benessere sociale traendola dagli scritti di Kenneth Arrow,108 ma la sua argomentazione ne rimane abbastanza distante.In primo luogo, Lindblom la considera come una guida praticabile all’analisi politica, mentre Arrow la considera come sussidio analitico ai teorici. In secondo luogo, l’argomentazione di Arrow non è che la costruzione di una funzione del benessere sia impossibile, bensì che se si vuole incorporare in una funzione del benessere una riconciliazione delle preferenze, differenti o in conflitto, di diversi individui in un qualsiasi gruppo, allora questa aggregazione è impossibile se si specificano certe condizioni elementari che generalmente si pensa che una tale funzione dovrebbe comprendere. In terzo luogo, Arrow non si è confrontato con una serie di altri problemi, che Lindblom considera, come per esempio la questione delle capacità umane a intraprendere la costruzione di una tale funzione a prescindere dall’aggregazione di preferenze individuali.109

Lindblom, in “La scienza del ‘sapersela cavare’” e in A STRATEGY OF DECISION, mette a punto un modello descrittivo, con implicazioni normative, di una strategia di pratiche per semplificare i calcoli rispetto ai problemi politici complessi; egli chiama “incrementalismo sconnesso” questo insieme di adattamenti alle difficoltà dell’analisi politica.I motivi di fondo addotti a giustificazione del rifiuto dei precetti tradizionali della razionalità, della programmazione e dell’equilibrio, hanno a che vedere fondamentalmente con la complessità; vale a dire l’incapacità dell’uomo di comprendere le correlazioni attuali e le ripercussioni future di certi processi e di certe decisioni sociali, nonché della sua imperfetta conoscenza dei conflitti di valori. L’ideale sinottico e, rispetto al decision making, il metodo razionale deduttivo e della funzione del benessere sociale, postulano che:

«il metodo ideale di fare politica è scegliere tra alternative dopo attento e completo studio di tutti i possibili corsi dell’azione e di tutte le loro possibili conseguenze, e dopo una valutazione di quelle conseguenze alla luce dei propri valori». 110

Tuttavia un approccio così generale alla risoluzione dei problemi non è possibile in quanto la chiarificazione degli obbiettivi affonda nel conflitto sociale; le informazioni non sono disponibili, o lo sono ad un costo proibitivo; il problema è di per se troppo complesso per le capacità del finito intelletto umano, a causa del numero eccessivamente elevato delle possibili

107 “La scienza del ‘sapersela cavare’”, cit., pagine 49-51.108 K. Arrow, SCELTE SOCIALI E VALORI INDIVIDUALI, Milano, Etas Libri, 1977 (Tit. or. SOCIAL CHOICE AND INDIVIDUAL

VALUES, New Heaven, Yale University Press , 1951).109 Vedasi A STRATEGY OF DECISION, cit., in particolare pagine 22-23.110 A STRATEGY OF DECISION, cit., pagina 40

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scelte alternative e delle ripercussioni che ognuna di esse avrà quale conseguenza di fattori imponderabili all’atto di fissare gli obbiettivi (e ciò anche quando non vi sia alcun disaccordo sociale sugli stessi); e perché la mole delle informazioni è troppo vasta per essere elaborata mentalmente.

3.3.a Incapacità del decision making sinottico ad incorporare caratteristiche adattive

Il tipo di argomentazioni su riportato viene tratto dai lavori di Karl Popper e di Herbert A. Simon,111 tra altri.Karl Popper fornisce supporto filosofico per un approccio alternativo alla sinossi, argomentando a favore di riforme frammentarie piuttosto che trasformazioni radicali, nel tentativo di evitare il “male” invece che introdurre il “bene”.L’osservazione di Herbert Simon è relativa al fatto che la maggior parte dei decision makers non tenta di ottimizzare, bensì di soddisfare. Solo se la realizzazione di un valore viene frustrata allora viene iniziata la ricerca di una soluzione alternativa; ma non vi è alcun tentativo di trovare il massimo servizio del valore o la combinazione ottimale di servizi che l’analisi razionalistica richiederebbe.Albert O. Hirshman, nei suoi studi sul decision making nelle nazioni in via di sviluppo, discute, e inoltre sostiene, un approccio “sbilanciato” al policy making112.Lindblom arriva alla conclusione che l’ideale sinottico è distinto dal suo fallimento nell’incorporare caratteristiche adattive.

«Il concetto chiave qui è adattamento, adattamento del metodo di risoluzione dei problemi a certe caratteristiche rompicapo dei problemi e delle situazioni di risoluzione dei problemi. Un metodo di decision making è adattato a una difficoltà specificata nel decision making solo se esso contiene alcune prescrizioni che diano una guida specifica nel superare una tale difficoltà ».113

In particolare l’ideale sinottico non si adatta a: 1) le capacità limitate dell’uomo di risolvere i problemi; 2) l’inadeguatezza dell’informazione; 3) l’eccessivo costo dell’analisi; 4) i fallimenti nel costruire un metodo valutativo soddisfacente (sia esso un sistema razionale deduttivo, una funzione di benessere o qualsiasi altro); 5) la strettezza delle connessioni osservate tra fatto e valore nel policy making; 6) l’apertura dei sistemi di variabili con i quali contende; 7) il bisogno dell’analista di sequenze strategiche di manovre analitiche.114

Inoltre, 8):

«un ulteriore fallimento di adattamento dell’ideale sinottico al modo in cui sorgono i problemi di politica pubblica è provocato dal fatto che il bisogno

111 H. Simon, MODELS OF MAN, N. Y., Wiley, 1957. K. Popper, LA SOCIETA' APERTA E I SUOI NEMICI, Roma, Armando, 1973.

112 A.O. Hirschman, THE STRATEGY OF ECONOMIC DEVELOPMENT, New Heaven, Yale University Press, 1958.113 A STRATEGY OF DECISION, cit., pagina 48.114 A STRATEGY OF DECISION, cit., pagine 47-54

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dell’analisi è spesso fatto scattare (triggered) non dall’identificazione di una meta non conseguita, ma dall’identificazione di un nuovo progetto politico».115

Quello che sostiene Lindblom è che, non riuscendo a comprendere che l’ideale sinottico non aiuta a scegliere compiti sufficientemente manipolabili, gli analisti che affrontano la risoluzione dei problemi nel modo convenzionale pretendono di realizzare una analisi sinottica; però, non conoscendo modo di approssimarla, essi cadono nell’utilizzo di modi di analisi e decisione peggiori rispetto a coloro che, con gli occhi aperti, hanno in mente l’ideale guida dell’analisi strategica.116

Con questo tipo di critica, Lindblom ha posato l’impalcatura per sviluppare una strategia di valutazione inseparabile da una strategia di decisione; egli la concepisce come «un insieme di adattamenti nell’analisi politica» 117 (perciò strategia e non metodo), rispetto sia alle difficoltà di valutazione, sia ai fallimenti di adattamento del metodo sinottico.

3.4 Le decisioni alle quali la strategia d’analisi è correlata

L’incrementalismo sconnesso può essere meglio compreso facendo riferimento ai tipi di decisioni e situazioni politiche a cui è adatto.118

Si considerino due assi: sul primo ordiniamo le decisioni che effettuano cambiamenti politici secondo il grado di questo cambiamento, avremo agli estremi i “piccoli” e i “grandi” cambiamenti (la differenza può essere posta come differenza tra cambiamenti dentro una struttura data, incrementali, e cambiamenti strutturali); sul secondo continuum ordiniamo le decisioni politiche rispetto al grado in cui i decision maker possono essere tenuti a considerare tutte le caratteristiche del problema che affrontano. Combinando questi due continua, otteniamo quattro tipi di decisioni che corrispondono ai quattro quadranti dello schema a pagina 78 di A STRATEGY OF DECISION:

115 Ivi, pagina 56116 C.E. Lindblom , Still Muddling, Not Yet Through , in THE PUBLIC ADMINISTRATION REVIEW, November - December

1979, pagg 517-526. In particolare pagina 518.117 A STRATEGY OF DECISION, cit., a pagina 57.118 Ivi, capitolo quarto.

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Alto livello di comprensioneQuadrante 2Alcuni processi di decisione amministrativi e “tecnici”.

Metodo analitico:Sinottico

Quadrante 1Decision makingrivoluzionario e utopisticoMetodi analitici:nessuno.

Cambiamento Vasto

incrementale cambiamento Quadrante 3Politiche incrementali.

Metodo analitico:Incrementalismo sconnesso(tra altri)

Quadrante 4Guerre, rivoluzioni,crisi e grandi opportunità:Metodo analitico:non formalizzatoo bene compreso.

Basso livello di comprensione

A) Quadrante 1; decisioni che effettuano vasti cambiamenti e sono guidate da un’adeguata informazione e comprensione; tali decisioni richiedono enormi imprese di analisi sinottica, oltre le capacità umane.119

B) Quadrante 4; decisioni che effettuano vasti cambiamenti, ma non sono similmente guidate; quindi, all’estremo, decisioni cieche o imprevedibili. Queste decisioni non sono rare anche se non sono strumento tipico del policy making; tali decisioni a volte sono inevitabili, forzate dalle circostanze. Il luogo politico di tali decisioni giace nelle deliberazioni dei policy maker al più alto livello (vi è una certa circolarità in questa affermazione, poiché chiunque porti a termine una rivoluzione diventa un policy maker di massimo livello, sebbene non fosse riconosciuto tale precedentemente).C) Quadrante 2; decisioni che effettuano piccoli cambiamenti guidate da adeguata informazione e comprensione; qui una decisione sembra ricadere dentro una riconosciuta competenza. Per tale tipo di decisioni il decision maker non è tipicamente ai livelli più alti della burocrazia di governo e può essere uno specialista professionale di qualche tipo. Tenendo in considerazione le difficoltà di comprendere un problema riferendosi all’ideale sinottico, è possibile riconoscere che molte decisioni dei servizi amministrativi di governo, persino ai medi e bassi livelli, e molte decisioni di esperti professionali, non sono decisioni del secondo quadrante.D) Quadrante 3; decisioni che effettuano piccoli cambiamenti, ma che non sono similmente guidate; esse sono, perciò, sottoposte ad una costante riconsiderazione e redirezione. Queste sono, secondo Lindblom, le decisioni tipiche dell’ordinaria vita politica. Questo tipo di decision making è esploratorio nel senso che le mete continuano a cambiare con l’esperienza politica, che

119 A STRATEGY OF DECISION, cit., pagina 68: «Un analista potrebbe credere, senza negare la sua incompetenza a tracciare completamente le conseguenze della rivoluzione, che qualsiasi nuova situazione probabilmente sviluppabile (likely to develop) sia preferibile allo status quo. A prescindere da questa possibilità, comunque, il primo quadrante è il reame dei decision maker sovrumani».

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getta nuova luce su ciò che è possibile e desiderabile; in questo senso è meglio descrivibile come fuga da mali sociali conosciuti, piuttosto che perseguimento di una meta conosciuta e relativamente stabile.Lindblom sostiene che il metodo sinottico è limitato al secondo quadrante; dove cioè, i cambiamenti sono sufficientemente piccoli da rendere possibile la comprensione sinottica. Rispetto al primo quadrante, le crisi, le guerre, le rivoluzioni e le grandi opportunità richiedono tipi di strategie analitiche abbastanza diverse dalla sinossi, ma non è possibile affermare che la strategia dell’incrementalismo sconnesso (adatta al terzo quadrante) si adatti a queste situazioni.120

3.5 La strategia di analisi

3.5.a L’analisi incrementale semplice

In una situazione che prevede decisioni del terzo quadrante, dunque, il decisore procede secondo una strategia d’analisi incrementale. Tale strategia può essere delineata come segue.121

Invece di tentare una valutazione completa dell’intero raggio di politiche alternative possibili, gli analisti politici prendono come punto di partenza la situazione contingente con cui si trovano a dover operare, e da qui partono a considerare quelle alterazioni che possano essere effettuate al margine; le loro investigazioni hanno a che vedere con i margini ai quali si considera che gli stati sociali possano essere mutati rispetto agli esistenti.122

I valori pertinenti alla scelta di politiche diverse sono relativi a diversi incrementi marginali, che vengono analizzati come dati. Questo ragionamento è un’estensione della teoria della scelta di mercato anche alle scelte di politica pubblica; in particolare, esso è un’estensione della teoria della scelta del consumatore.123

Il problem solving incrementale si adatta in questo modo alle capacità intellettuali limitate dell’uomo, riduce la sua domanda di informazione e tiene conto del considerevole costo dell’analisi. L’incrementalismo sconnesso si adatta anche al fatto che i problemi di politica pubblica sono spesso altamente fluidi e i fini sono spesso adattati ai mezzi, non solo viceversa.Il confronto empirico delle differenze marginali tra politiche alternative che differiscono tra loro solo marginalmente, rappresenta ovviamente il corrispondente logico dei confronti marginali o

120 A STRATEGY OF DECISION, cit., pagine 78-79.121 Ivi, capitolo quinto.122 Ivi, pagina 84.123 “La scienza del ‘sapersela cavare’”, cit., pagina 54-55. «Riassumendo, due sono gli aspetti che si possono

distinguere nel processo mediante il quale vengono presi in considerazione i valori. Il primo è chiaro: la valutazione e l'analisi empirica sono intrecciate, ossia si sceglie congiuntamente e nel medesimo tempo tra valori e tra politiche. In termini un poco più elaborati, si scelgono contemporaneamente sia una politica per conseguire determinati obbiettivi che gli obbiettivi stessi. Il secondo aspetto è collegato al primo ma distinto: l'amministratore concentra la propria attenzione su valori marginali o incrementali; sia che se ne renda conto, oppure no, egli non trova delle formulazioni generali di obbiettivi che gli siano veramente utili e, di fatto, opera degli specifici confronti marginali o incrementali».

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incrementali dei valori.Riepilogando, la strategia dell’incrementalismo impone :a) di considerare solo quelle politiche i cui conseguenti stati sociali, conosciuti o attesi, differiscono solo incrementalmente l’un l’altro;b) di considerare solo quelle politiche le cui conseguenze, conosciute o attese, differiscono incrementalmente dallo status quo.Di conseguenza:c) l’esame delle politiche procede attraverso l’analisi comparativa di differenze non più che marginali o incrementali negli stati sociali conseguenti, piuttosto che attraverso la ricerca di un’analisi comprensiva degli stati sociali;d) la scelta fra le politiche è fatta classificando in ordine di preferenza gli incrementi attraverso i quali gli stati sociali differiscono; la stima degli stati sociali è semplicemente un sottoprodotto della comparazione incrementale.124

3.5.b L’incrementalismo “sconnesso”

L’analisi politica che limita la sua attenzione alle alternative politiche che differiscono solo incrementalmente dallo status quo, prende il nome di analisi incrementale semplice. Questo tipo di analisi non può essere difesa isolandola da strategie più complesse, come l’incrementalismo sconnesso di cui essa è parte.125

L’analisi contraddistinta da «una serie di stratagemmi di semplificazione e messa a fuoco che si sostengono a vicenda» prevede i seguenti passi126:A) l’analisi viene limitata a poche alternative politiche, in qualche modo familiari; la comprensione viene, cioè, tentata solamente rispetto alle scelte politiche che differiscono solo sotto l’aspetto incrementale dalla politica che già si segue;B) vi è uno stretto intrecciarsi dell’analisi delle mete politiche e di altri obbiettivi di valore, con gli aspetti empirici del problema; anziché limitarsi semplicemente ad adattare i mezzi ai fini, si scelgono fini che siano adatti ai mezzi disponibili, o pressoché tali; si confrontano i fini o gli obbiettivi alternativi alla luce dei mezzi, ovvero delle politiche postulate e delle loro conseguenze; mezzi e fini sono scelti simultaneamente, la scelta dei mezzi non è consequenziale a quella dei fini;C) viene posta un’attenzione analitica maggiore rispetto ai mali cui porre rimedio che rispetto a mete positive da perseguire; l’analisi e il policy making hanno perciò un effetto terapeutico. La

124 A STRATEGY OF DECISION, cit., pagine 88-89: «Per coloro che sospettano che questa limitazione di attenzione alle politiche che differiscono solo incrementalmente dalle politiche presenti riduca la razionalità del problem solving, trascurando alternative non incrementali desiderabili»... «una risposta è che le alternative non incrementali, seppure desiderabili in qualche senso, sono spesso politicamente irrilevanti; un'altra risposta è che, mentre si può speculare sulle alternative non incrementali, un analista è spesso senza adeguata informazione, adeguata teoria, o qualsiasi altro modo organizzato per occuparsi sistematicamente di alternative non incrementali».

125 “Still Muddling, not Yet Through”, cit., pagine 517 e 519.126 “La scienza del ‘sapersela cavare’”, cit.; più estesamente nel capitolo quinto di A STRATEGY OF DECISION, cit.

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verifica della bontà di una politica sta nel fatto che diverse persone che la esaminano si trovano senz’altro d’accordo su di essa, senza necessariamente essere d’accordo sul fatto che essa sia il mezzo più adeguato per raggiungere un determinato fine convenuto;D) il processo decisionale consiste di una sequela di prove ed errori, e di prove rivedute; questa serie di confronti successivi riduce notevolmente o addirittura elimina il ricorso a teorie. In qualsiasi punto analitico (e qui punto si riferisce a qualsiasi individuo, singolo gruppo, ente o istituzione), l’analisi e il policy making sono visti come fenomeni in serie o in sequenza; ossia i problemi non vengono risolti, ma attaccati ripetutamente, e i fini vengono esplorati, riconsiderati, scoperti all’infinito anziché essere relativamente fissi;E) l’analisi non esplora tutte, ma solo alcune delle possibili conseguenze di un’alternativa considerata; essa trascura importanti risultati possibili, soluzioni alternative potenziali, valori che vi sono implicati; in qualsiasi punto analitico, perciò, l’analisi delle conseguenze è decisamente incompleta;127

F) il lavoro analitico è socialmente diviso tra molti partecipanti di parte (partisan) nel policy making, perciò esso procede simultaneamente in un numero molto elevato di punti separati.E’ questo complesso insieme di strategie per l’adattamento dell’analisi ai problemi politici complessi, che Lindblom ha chiamato incrementalismo sconnesso.128

La caratteristica più sorprendente dell’incrementalismo sconnesso (indicata al punto E) sta nel fatto che in esso non si compie alcun tentativo per giungere alla comprensione generale. Viceversa le conseguenze, indubbiamente importanti, delle politiche alternative, sono semplicemente ignorate da chiunque compia l’analisi o partecipi al policy making. L’essere sconnesso dell’analisi e della valutazione va inteso, perciò, nel senso che i vari aspetti della politica pubblica, e persino i vari aspetti di qualsiasi problema o area di problemi, sono analizzati in vari punti, apparentemente senza coordinazione e senza l’articolazione delle parti che caratterizza la suddivisione di topiche nei metodi sinottici di risoluzione dei problemi.129

3.6 L’integrazione delle parti dell’analisi attraverso il mutuo aggiustamento

Poiché l’analisi politica è incrementale, esploratoria di provvedimenti intesi a rimediare, fatta di passi in serie e marcata dall’aggiustamento di mezzi e fini, c’è da aspettarsi che stabili

127 Non solo, ma un incremento che, in un punto appare piccolo ad un osservatore, può apparire diversamente agli occhi di un altro. Vedasi in proposito “Policy Analysis” in THE AMERICAN ECONOMIC REVIEW, vol, 48 June 1958, pagine 298-312.

128 Prima di “Still Muddling, Not Yet Through”, cit., Lindblom non solo non aveva chiarificato la necessaria distinzione tra analisi e politiche incrementali, ma non aveva neppure distinto chiaramente tre significati differenti dell'incrementalismo come policy analysis. Esistono infatti: a) L’analisi incrementale semplice, che ha luogo quando l'analisi è limitata alle politiche che sono diverse solo incrementalmente dallo status quo; b) l’incrementalismo sconnesso, che è una strategia complessa la quale comprende tutte le misure specificate sopra; c) l’analisi strategica, che individua una serie di stratagemmi attentamente scelti o calcolati per semplificare i problemi politici complessi, vale a dire, per ridurre la tradizionalmente comprensiva analisi scientifica. In altre parole, l’incrementalismo sconnesso è un tipo particolare di analisi strategica, e l’analisi incrementale semplice è un elemento dell’incrementalismo sconnesso. Vedasi pagine 517-518.

129 A STRATEGY OF DECISION, cit., pagina 105.

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aspirazioni di lungo periodo non appaiano come valori critici dominanti agli occhi dell’analista.130

Adattandosi in questo modo a sistemi aperti, la strategia dell’incrementalismo sconnesso mette in dubbio il tipo, fallace secondo Lindblom, di composizione dell’ideale sinottico, che implica che nessuna analisi possa arrivare ad un livello di completezza maggiore di quanto sia possibile per un singolo analista o gruppo di analisti.

«Nell’ideale sinottico, l’integrazione di parti rimane un compito intellettuale per l’analista, e qualsiasi chiusura sia portata a termine è attribuibile alla, e quindi limitata dalla, sua facoltà di comprendere la connessione delle parti. Nella strategia, comunque, l’integrazione delle parti non è integralmente - a volte non lo è affatto - un completamento intellettuale, ma il risultato di una serie di processi politici o sociali specializzati».131

Supponendo che ciascuno dei valori trascurati da un ente di decisione politica costituisca un importante oggetto di attenzione da parte di almeno un altro ente di decisione politica, Lindblom sostiene che in questo caso si sarebbe realizzata una proficua divisione del lavoro, e nessun ente sarebbe costretto ad affrontare un compito superiore alle proprie possibilità. Pur con tutte le imperfezioni e i pericoli latenti che contiene, questo ininterrotto processo di aggiustamenti reciproci dovrebbe riuscire ad armonizzare le scelte politiche ad una gamma di interessi più ampia di quella che potrebbe essere soddisfatta centralmente da un unico gruppo.132

«È possibile distinguere tra vari processi di mutuo aggiustamento nella maniera seguente: 1) un policy maker accondiscende a un altro policy maker, vale a dire, ritrova politiche che non interferiscono ostilmente con, o pongono domande a, un altro; 2) un policy maker trova i modi di perseguire dei fini senza dover ottenere, come precondizione il controllo su, o l’accordo con, qualsiasi altro policy maker, persino sebbene egli interferisca con un altro; e 3) un policy maker controlla o manipola un altro policy maker mediante negoziazione, contrattazione inclusa, o con altri mezzi».133

In questa visione, l’adattamento e la lotta politici sono considerati degli equivalenti dell’adattamento egoistico, ma pur sempre socialmente utile, che avviene nel mercato.

130 A STRATEGY OF DECISION, cit., pagina 102.131 Ivi, pagine 140-141.132 “La scienza del ‘sapersela cavare’”, cit., pagine 60-61; A STRATEGY OF DECISION, cit., pagine 127-131.

L'incrementalismo favorisce l'accordo almeno in tre modi: «Primo, le differenze ideologiche e altre differenze nei valori che appaiono vaste quando considerate astrattamente non si oppongono necessariamente a valori marginali concordati. Secondo, la pratica di valutare solo in situazioni di scelta attuale spesso conduce i decision maker a riconsiderare i valori alla luce di costrizioni pratiche, e la riconsiderazione spesso li spinge verso l'accordo. Terzo, – e molto più importante – gli individui possono spesso accordarsi sulle politiche persino se sostengono valori in conflitto». C.E. Lindblom, “Decision Making in Taxation and Expenditures”, in (int. di J.M. Buchanan) PUBLIC FINANCES: NEEDS, SOURCES AND UTILIZATION, Princeton, Princeton University Press, 1961, pagina 309.

133 A STRATEGY OF DECISION, pagina 255. Il mutuo aggiustamento si può mettere in relazione con l'aggiustamento che avviene tra imprese sul mercato.

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Certi processi e certi modi di comportamento solitamente considerati irrazionali, rovinosi e generalmente abominevoli, come la faziosità e la grettezza per usare termini spregiativi, possono essere fattori positivi per una razionale assunzione delle decisioni, in quanto possono assicurare che ciò che viene trascurato da un ente di decisione non lo sarà da un altro.Buone politiche sono quelle che sono accettate, nel senso che può essere ottenuto l’accordo su di esse. Come i sistemi di mercato sono portati a fare, l’incrementalismo sconnesso lascia aperta una porta agli impulsi creativi degli individui. Per questo fine, il conflitto sociale di interessi e desideri agisce come pungolo vitale nell’aguzzare e approfondire la qualità dell’argomentazione sociale. Non è dal giudizio di un osservatore imparziale, che usi il massimo dell’informazione in accordo a un sistema di valori ben definito, ma dal conflitto di competitori parziali, interessati e perciò altamente motivati, da cui deriveranno le migliori decisioni sociali.134

Allorché ciascun ente adegui le proprie politiche in rapporto agli interessi degli altri enti, si avrà un alto grado di coordinamento, nel quadro del processo decisionale migliorativo descritto. L’incrementalismo sconnesso, perciò, fornisce argomenti per una riabilitazione dell’utilitarismo su terreni morali, grazie alle sue considerazioni migliorative e distributive. In questo modo, la strategia, lontano dallo scontrarsi con il concetto di giustizia, tiene già conto di, e si riallaccia a, quelle considerazioni sulla giustizia sollevate da Rawls.135

Nella concezione della giustizia come equità (fairness) di Rawls, dei soggetti razionali sono chiamati a decidere, in condizioni paritetiche di potere e in una situazione comune di relativa ignoranza rispetto alle proprie preferenze, scopi e valori, sui principi fondamentali e sulle istituzioni di base della società in cui essi vivranno.136

Resta ferma, tra i due autori, la fondamentale differenza tra l’utilitarista e il contrattualista. L’utilitarismo di Lindblom considera la società, e quindi le sue istituzioni di base e i principi fondamentali che la governano, come un punto di partenza da cui muovere, in ultima analisi come un dato; il contrattualismo di Rawls, invece, vede la società, e la sua giustificazione, come un problema.

3.7 Un sistema di razionalità a posteriori

Non esiste, nella strategia elaborata da Lindblom, un criterio che consenta di salvaguardare tutti i valori implicati, e ciò può portare a trascurare delle soluzioni per il solo fatto che esse non vengono suggerite dalla concatenazione dei successivi atti politici che hanno determinato la situazione in atto. L’argomentazione di Lindblom si spinge ad affermare che, per effetto dei vari tipi specifici di adattamento reciproco tra i numerosi enti tra i quali è frammentata l’analisi, ciò

134 Vedasi la recensione di “A Strategy of Decision”, di K. Arrow, in POLITICAL SCIENCE QUARTERLY, vol. 79, 1964, in particolare pagina 586.

135 A STRATEGY OF DECISION, cit., cap. 9. Vedasi J. Rawls, A THEORY OF JUSTICE, Oxford, Oxford University Press, 1971.

136 J. Rawls, A THEORY OF JUSTICE, cit., cap. 1. Per una discussione: G. Pontara, “Neocontrattualismo e socialismo”, in RIVISTA DI FILOSOFIA, n. 19, Febbraio 1981, pagine 138-158.

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che viene ignorato in un punto dell’analisi politica diventa di fondamentale importanza in un altro.137

Perciò, anche se l’analisi effettuata da ogni singolo punto, o centro di decisione, rimane incompleta, è spesso possibile rilevare un certo grado di razionalità nel policy making quando lo si consideri come un tutto con il suo contesto socio-politico. Il carattere incrementale terapeutico del processo di soluzione dei problemi fa spesso evitare errori derivanti da singoli tentativi troppo ambiziosi di acquisire una comprensione generale.Poiché, quindi, il policy making è un processo frammentario, le conseguenze trascurate, intenzionalmente o accidentalmente, delle scelte politiche che si sono compiute, saranno affrontate nella fase successiva, terapeutica, da coloro che hanno compiuto le scelte iniziali, o da un altro gruppo dotato di potere deliberante, i cui interessi abbiano risentito delle ripercussioni di tali conseguenze.Pertanto, la decisione, come processo sociale e politico complesso, si viene a porre ad un livello superiore a quello che può essere raggiunto da qualsiasi singolo individuo a qualsiasi punto del processo.Probabilmente, il pericolo di questa concezione è che la frammentazione può essere spinta a livelli eccessivi, fallendo gli obbiettivi di coordinazione.138

3.8 La critica

Il modello di decisione incrementale ha avuto fondamentalmente due tipi di critiche.139

In primo luogo, l’incrementalismo sconnesso avrebbe una validità più limitata di quanto sostenga Lindblom; in secondo luogo, esso sarebbe costruito con un’inclinazione conservativa.La critica di Yehzakel Dror può illustrare entrambe le linee dell’argomento.140 Pur apprezzando l’approccio di Lindblom, che considera più legato alla realtà rispetto ai modelli razionalistici del policy making, egli lo considera una reazione eccessiva e pericolosa. Dror insiste sul fatto che le condizioni di massimizzazione della sicurezza nel cambiamento, necessaria alla validità della tesi del “sapersela cavare” (esse sono: 1. le politiche esistenti sono essenzialmente soddisfacenti per i policy maker ed i gruppi di interesse; 2. esiste una considerevole continuità nella natura dei problemi politici; 3. esiste un alto grado di continuità nei mezzi disponibili), probabilmente prevalgono dove esiste un alto grado di stabilità sociale.Sotto condizioni di stabilità la routine sarebbe spesso la migliore politica e, essendo il cambiamento a un ritmo lento, il cambiamento politico incrementale sarebbe spesso ottimale.

137 “La scienza del ‘sapersela cavare’”, cit., pagine 60-62. Vedasi anche “Policy Analysis”, cit. 138 A.O. Hirschman e C.E. Lindblom, “Economic Development, Research and Development, Policy Making:

Some Converging Views”, in BEHAVIORAL SCIENCE, vol. 7, 1962, pagine 211-222. Traduzione italiana “Sviluppo economico, ricerca e sviluppo, policy making: alcuni punti di vista convergenti”, in (a cura di F.E. Emery) LA TEORIA DEI SISTEMI, Milano, Angeli, 1974, pagine 391-414.

139 Vedasi R. Premfors, “Review Article: Charles Lindblom and Aaron Wildavsky”, in BRITISH JOURNAL OF POLITICAL SCIENCE, April 1981, pagine 201-225.

140 Y. Dror, “Muddling Through – ‘Science’ or Inertia?”, nel quadro di un simposio sul processo decisionale di governo, in PUBLIC ADMINISTRATION REVIEW, September 1964, pagine 153-157.

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Il fatto è che, secondo Dror, persino nelle società più stabili (perciò anche negli U.S.A. della prima metà degli anni sessanta) molti dei problemi più importanti sono vincolati a cambiamenti ad alta velocità per quanto riguarda il livello delle aspirazioni, la natura delle tematiche e i mezzi di azione disponibili; perciò richiedono un metodo di policy making differente dal “sapersela cavare”.141

Oltre ad avere questa validità limitata, secondo Dror il modello incrementalista funziona come rafforzamento ideologico delle forze anti innovative e pro inerzia, mentre i modelli razional-deduttivi hanno almeno il vantaggio di stimolare i policy maker ad uscire un poco dalla loro routine; il modello di Lindblom giustifica una politica di “nessuno sforzo”. Per superare l’impossibilità della scelta tra il modello di Lindblom e quello razionale deduttivo, Dror, proponendo il proprio modello di “ottimo normativo”, mette in rilievo la possibilità di politiche procedurali nel razionalizzare il policy making, per le quali userà il termine di “meta policy making”.142

Nella sua risposta all’articolo di Dror, Lindblom si trova d’accordo con il primo argomento (sulla validità limitata del modello incrementale);143 nonostante ciò, egli sottolinea il fatto che sia negli Stati Uniti, sia in dittature stabili come allora l’Unione Sovietica, la maggior parte delle politiche pubbliche incontrano i tre requisiti ricordati da Dror. Rispetto al secondo punto, che l’incrementalismo sia necessariamente conservativo, egli rimane scettico, sottolineando come i cambiamenti di una struttura sociale possano venire effettuati tanto rapidamente attraverso una serie di passi incrementali quanto attraverso alterazioni drastiche meno frequenti.144

Un altro modello alternativo all’incrementalismo è stato avanzato da Amitai Etzioni, che presenta la sua strategia del “mixed scanning” (esame misto) come tentativo di sintesi dialettica tra razionalismo e incrementalismo.145

Secondo Etzioni è un errore relegare le decisioni non incrementali nella categoria delle eccezioni.146

Egli sostiene che l’incrementalismo oltre ad essere conservativo nel senso di pro inerzia, lo è anche perché lascia da parte le collettività non privilegiate e politicamente deboli. Nel modello incrementalista, fortemente influenzato dal modello economico del mercato di libera

141 Ivi, pagina 154.142 Y. Dror, PUBLIC POLICY-MAKING REEXAMINED, Scranton (N.J.), Chandler, 1968.143 C.E. Lindblom, “Contexts For Change and Strategy: A Reply”, in PUBLIC ADMINISTRATION REVIEW, 1964 pagine

157-158. In un articolo (“Explaining the Variable Utility of Disjointed Incrementalism: Four Propositions”, in AMERICAN POLITICAL SCIENCE REVIEW, Vol 74, 1980, pagg 342-353) Ian Lustick ha illustrato quattro condizioni che riducono l'utilità relativa di quest'approccio come mezzo per affrontare l'incertezza. L’argomentazione riguarda il fatto che i costi tendono probabilmente a crescere rispetto a quelli associabili a strategie sinottiche, in presenza di certe condizioni. Secondo Lustick, in alcune aree di problemi complessi, le strategie sinottiche sono più efficienti come tecniche per affrontare l'incertezza che le strategie incrementaliste.

144 Vedasi anche A STRATEGY OF DECISION, pagine 106-110.145 A. Etzioni, “Mixed Scanning; A Third Approach To Decision-Making”, in PUBLIC ADMINISTRATION REVIEW,

Dicembre 1967; e A. Etzioni, THE ACTIVE SOCIETY; A THEORY OF SOCIETAL AND POLITICAL PROCESSES, New York, The Free Press, 1968.

146 A. Etzioni, THE ACTIVE SOCIETY, cit., pagina 288: la decisione fondamentale seleziona il contesto per numerose selezioni all'ordine del giorno. L’aspettativa è che le decisioni fondamentali siano seguite da decisioni incrementali che tendano verso la stessa direzione generale.

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concorrenza, le politiche “giuste” sono quelle in cui l’accordo raggiunto deriva dall’azione reciproca di individui e gruppi interessati. La consapevolezza della differenza di potere tra i vari decisori, nel modello di Lindblom, non altera il fatto che il consenso associato all’ineguaglianza è preferibile al dissenso associato all’eguaglianza.147

Lindblom presenta, dunque, un modello di mercato che giustifica le difficoltà e le complicazioni che generalmente irritano l’amministratore. La sua dimostrazione è impeccabile, ma lascia tanto perplessi quanto uno schema classico di modello razionale. Nelle politiche pubbliche, come in tutte le altre attività, il modello di razionalità a posteriori di Lindblom non si applica allo stato puro, come pure il modello sinottico a priori. E’ difficile immaginare, nella realtà effettiva, individui razionali che, nel perseguimento di interessi particolari, riescano comunque a salvaguardare i vari valori sociali implicati.Secondo Crozier e Friedberg, la maggior parte delle esperienze che si possono concretamente esaminare appaiono come un ibrido tra i due modelli, dove la razionalità a posteriori interviene generalmente a correggere gli errori del modello sinottico; ma dove avviene spesso che imperativi razionali a priori siano indispensabili per ridare ordine alla anarchia dei mutui aggiustamenti di mercato, alla confusione e alle ingiustizie di sistemi lasciati troppo a lungo alla razionalità del modello di mutuo aggiustamento delle parti.148

Questo senza considerare che la strategia d’analisi politica incrementalista, può dare luogo a una preselezione di “non decisioni”, probabilmente di uno o più tipi particolari, che non solo potrebbero escludere dall’analisi importanti valori e richieste politiche, ma che renderebbero giustificata la critica di Claus Offe nei confronti del funzionamento dello Stato in una società a capitalismo avanzato.149

3.9 La risposta di Lindblom ai suoi critici

Secondo Lindblom:

«l’obiezione valida all’incrementalismo sconnesso come metodo analitico pratico»,

distinto quindi dall’incrementalismo politico,

«è che si possono trovare tipi migliori di analisi strategica, non che si possa tornare alla sinossi come alternativa. L’obiezione valida all’incrementalismo sconnesso come norma o ideale per l’analisi è che sono utilizzabili ideali strategici migliori, non che la sinossi sia un ideale utile».150

Lindblom, comunque, nota come la più frequente obiezione di base non riguardi l’analisi

147 Ivi, pagine 271-273.148 Crozier e Friedberg, ATTORE SOCIALE E SISTEMA. SOCIOLOGIA DELL’AZIONE ORGANIZZATA, Milano, Etas Libri, 1978, pagine

216-217.149 Claus Offe, LO STATO NEL CAPITALISMO MATURO, (raccolta di saggi dal 1969 al 76) intr. di D. Zolo, Milano, Etas

Libri, 1977. Vedasi anche C. Offe e G. Lenhardt, TEORIA DELLO STATO E POLITICA SOCIALE, Milano, Feltrinelli, 1979.150 C.E. Lindblom, “Still Muddling Not Yet Through”, cit., pagina 519.

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incrementale semplice di alternative incrementali effettivamente all’ordine del giorno politico, ma come essa riguardi invece la pratica politica di cambiare solo attraverso piccoli cambiamenti, o incrementi.Vale a dire:

«l’obiezione non è all’analisi incrementale, ma alle politiche incrementali alle quali l’analisi incrementale si adatta esattamente».151

3.9.a Le politiche incrementali

Le politiche incrementali non producono, secondo Lindblom, necessariamente un movimento lento, perciò la tattica dell’incrementalismo politico non è necessariamente conservatrice; una veloce sequenza di piccoli cambiamenti può effettuare più velocemente una drastica alterazione dello status quo di quanto lo possa un solo cambiamento politico di maggiore portata.

«Se la velocità del cambiamento è il prodotto della grandezza degli spostamenti per la frequenza temporale degli spostamenti, i tipi del cambiamento incrementale sono, sotto circostanze ordinarie, il più veloce metodo di cambiamento disponibile».152

L’ostilità profonda che molte persone hanno nei confronti dell’incrementalismo deriva dal fatto che esso viene spesso confuso con una particolare caratteristica della politica nelle società organizzate secondo il mercato; il problema non è l’incrementalismo, ma una struttura di poteri di veto che fanno divenire insufficientemente frequenti e difficili anche gli spostamenti incrementali.

«Avendo assegnato molti, o la maggior parte, dei compiti di organizzazione e di coordinazione della società alle imprese d’affari, assoggettando i manager di queste imprese a lusinghe di mercato piuttosto che comandi (che le regole costituzionali di questi sistemi in complesso proibiscono), l’unico modo per far eseguire i compiti assegnati è quello di dare agli uomini d’affari qualsiasi incentivo li motivi, nei fatti, ad adempiere»153

alle loro funzioni.Secondo Lindblom è possibile immaginare una politica incrementale senza i poteri di veto che ora abbondano, ritrovando la politica incrementale come strumento idoneo per venire alle prese più effettivamente con i problemi; è, invece, una questione diversa quella riguardante la volontà, la disponibilità, di acquisire un tale bagaglio pagandone il prezzo, cioè un ruolo ridotto nel sistema per le imprese private.Oltre ai diffusi poteri di veto, il conservatorismo ideologico, derivante da vari tipi di indottrinamento presenti nei sistemi di mercato basati sull’impresa privata, costituisce un’altra

151 Ivi, pagina 520.152 Ibidem.153 Ibidem. Vedasi qui la sezione sull'organizzazione politico-economica.

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fonte di timidezza in politica. Un alto grado di opinioni politiche timide non è conseguenza dell’incrementalismo politico; se esiste una relazione tra incrementalismo e conservatorismo, l’incrementalismo politico è una conseguenza piuttosto che una causa.

«Sostengo perciò che, povero com’è, l’incrementalismo politico offra ordinariamente la migliore chance di introdurre nel sistema politico quei cambiamenti, e quei cambiamenti intermedi che producono cambiamento, che un cittadino scontento potrebbe desiderare».154

Il punto fondamentale rimane relativo al problema se sia o meno concepibile che la democrazia sia necessariamente collegata a cambiamenti non più che incrementali, mentre i governi autoritari possano muoversi con passi più grandi.Il correttivo agli effetti di incoraggiamento alla politica incrementale da parte dell’analisi incrementale, non è dato, per Lindblom, dalla soppressione dell’analisi incrementale, ma bensì dalla sua supplementazione per mezzo di un pensiero politico di vasto raggio, spesso altamente speculativo e a volte utopico, riguardo alle direzioni e alle caratteristiche possibili, vicine e lontane nel tempo.155

154 Ivi, pagina 521.155 Vedasi “Another State of Mind” in AMERICAN POLITICAL SCIENCE REVIEW, vol. 76, March 1981, pagine 9-21.

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4. Il mutuo aggiustamento delle parti

4.1 La rilevanza della coordinazione

L’importanza degli aggiustamenti reciproci delle parti, non è semplicemente sussidiaria ad una trattazione riguardante la strategia d’analisi incrementale. Il problema della coordinazione è riferito al modo in cui i vari decision maker, semplificando l’analisi riguardo ai problemi, ottengono una razionalità complessiva che gli sarebbe stata negata se avessero tentato di comprendere pienamente questi problemi,156 ma la rilevanza della coordinazione non si esaurisce nella ricerca di un decision making migliore rispetto a quello sinottico; essa è, anzi, centrale rispetto alle tematiche di organizzazione politico-economica.Nell’opera di Lindblom, le origini dello studio del mutuo aggiustamento sono triplici.Esse risalgono all’inadeguatezza, rispetto al resto del libro, della sezione sulla contrattazione (bargaining) di POLITICS ECONOMICS AND WELFARE,157 che spinse Lindblom ad investigare ulteriormente il soggetto; al lavoro nella RAND Corporation, dove era coinvolto in alcuni problemi di valutazione della politica di difesa, contro un retroterra di rivalità tra i servizi militari; alla sua formazione di economista, per la quale si suppone che uno sia competente riguardo ai processi di adattamento reciproco, come essi si presentano sul mercato.Lindblom applica una tale competenza allo studio della contrattazione politica e di altri aggiustamenti nel governo, simili al mercato economico, attraverso la essenziale comparazione di due estremi di coordinazione: secondo un coordinatore centrale e secondo il mutuo aggiustamento delle parti.158

L’idea relativamente semplice che le persone possono coordinarsi l’un l’altra senza un proposito comune dominante e senza regole che prescrivano pienamente le loro relazioni reciproche, viene

156 Una trattazione che considera il mutuo aggiustamento come semplice appendice del policy making amministrativo, si trova in C.E. Lindblom, “Decision-Making in Taxation and Expenditures”, in PUBLIC FINANCES: NEEDS, SOURCES AND UTILIZATION, (int. di J.M. Buchanan) Princeton, Princeton University Press, 1961; dove è centrale la problematica della coordinazione delle diverse analisi incrementali.

157 R.A. Dahl e C.E. Lindblom, POLITICS, ECONOMICS AND WELFARE. PLANNING AND POLITICO-ECONOMIC SYSTEMS RESOLVED INTO BASIC SOCIAL PROCESSES, Chicago, University of Chicago Press, 1953. La categoria di contrattazione si spinge, qui, fino a specificare forme di controllo reciproco come metodi per la coordinazione almeno dei piccoli gruppi; d'altra parte, l’estesa discussione su come rimediare ai problemi di malcoordinazione nel governo pone il problema nella contrattazione stessa, e le possibili cure nello sviluppo di metodi per condurre a una maggiore coordinazione centrale. Evidentemente, questa è una posizione che contraddice un'immagine della coordinazione centrale come inefficiente riguardo ai problemi politici complessi. Ancora, in questo libro, la contrattazione viene trattata come espediente di controllo, e meno comprensivamente come metodo di coordinazione e calcolo razionale.

158 C.E. Lindblom, THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY. DECISION MAKING THROUGH MUTUAL ADJUSTMENT, New York, The Free Press, 1965. Tenendo presente quanto è stato detto al capitolo precedente, non sarà difficile trovare qui il ragionamento fondamentale di Adam Smith sulla mano invisibile del mercato che guida i concorrenti verso l'interesse generale, mentre credono semplicemente di perseguire il proprio interesse particolare. La trattazione è contenuta nel capitolo 2 del quarto libro della sua opera. Vedasi A. Smith, INDAGINE SULLA RICCHEZZA DELLE NAZIONI, Milano, Isedi, 1973.

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trasferita nel campo della politica. Secondo Lindblom, “il mutuo aggiustamento di parte” è forse il più comune metodo di decision making nel governo, e le sue istanze vengono trattate come processo per il decision making razionale da parte dei leader politici.159

Il mutuo aggiustamento di parte prende la forma di un decision making politico altamente decentrato, nel quale i vari partecipanti interagiscono, col risultato che il decision making mostra alcune importanti caratteristiche: a) le politiche sono le risultanti del mutuo aggiustamento, e sono meglio descritte come succedenti (come accadimenti) piuttosto che come stabilite; b) esse sono influenzate da una gamma più vasta di partecipanti e di interessi, rispetto a un decision making più centralizzato; c) la connessione tra una politica e apprezzabili ragioni per essa è oscura, giacché i molti partecipanti agiscono per ragioni diverse; d) malgrado l’assenza o la debolezza della coordinazione centrale dei partecipanti, i loro mutui aggiustamenti di molti tipi (dei quali la contrattazione è solo uno), li coordinano in qualche grado in quanto policy maker, e i loro mutui aggiustamenti ottengono in molte circostanze una coordinazione superiore rispetto a un tentativo di coordinazione centrale, che è spesso così complessa da giacere oltre le competenze di un qualsiasi coordinatore.160

4.2 Alcuni riferimenti teorici

4.2.a Il rapporto con il pluralismo "classico"

Una caratteristica comune di alcuni punti di vista, in particolare pluralistici, sul mutuo aggiustamento tra “partisan”161 in politica, è la distinzione implicita tra organizzazione e coordinazione; da un lato il mutuo aggiustamento viene riconosciuto come una caratteristica fondamentalmente utile della organizzazione sociale, dall’altro di esso si dubita come fondamentale processo di coordinazione. Discostandosi dall’interesse sulla teoria politica in termini di controllo del potere, per concentrarsi sul livello di razionalità ritenuto appropriato per il processo decisorio, Lindblom presta riguardo ad alcuni punti non specificati nel pensiero pluralista,162 in risposta ad una insoddisfazione diffusa riguardo a cospicue lacune nella teoria dei gruppi di interesse in politica, che si spinge fino a teorizzare l’equilibrio delle forze in conflitto. È sua opinione che l’approvazione

159 THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, cit., in particolare pagina 10.160 Ivi. Vedasi anche “Still Muddling Not Yet Through”, in PUBLIC ADMINISTRATION REVIEW, 1979, pagine 522-523.161 Letteralmente: “partigiani”. Uso il termine inglese per evitare ovvie identificazioni. Un decisore di parte si

può definire come tale se in un gruppo «a) egli non supponga che esista qualche criterio conoscibile, accettabile da lui e da tutti gli altri decision maker, sufficiente, se applicato, a governare gli aggiustamenti tra essi; e b) egli perciò non spinga verso la coordinazione mediante una ricerca cooperativa e deliberata di tale criterio e/o la sua applicazione, o mediante un ricorso per l'aggiudicazione» della funzione di coordinamento «a coloro che così ricercano ed applicano». THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, cit., pagine 28-29.

162 In particolare il pluralismo di A. Bentley e la teoria politica dei gruppi di interesse di D. Truman. A. Bentley, THE PROCESS OF GOVERNMENT. A STUDY OF SOCIAL PRESSURES, Evanston, The Principia Press, 1949 (Nuova edizione con un’introduzione di H.T. Davis), (1a edizione1935). D. Truman, THE GOVERNMENTAL PROCESS, New York, Knopf, 1951.

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dell’interazione dei gruppi sia spesso troppo generalizzata rispetto alla sua descrizione; e il ruolo attivante, imprenditoriale, dei partecipanti governativi al mutuo aggiustamento, venga sottovalutato (sebbene Bentley e Truman, tra gli altri, riconoscano che le agenzie o i gruppi di pubblici ufficiali possono essi stessi costituire dei gruppi di interesse), proiettandoli in un ruolo eminentemente passivo.163

A questo punto dobbiamo aprire una parentesi. William Alton Kelso, in un libro recente,164 associa la posizione di Lindblom (e di Robert Dahl) a quella della generazione precedente di pluralisti, cioè alla tradizione teorica a cui ci riferiamo in queste pagine, incorporandola nella categoria di pluralismo “laissez faire”; (le altre categorie che Kelso distingue sono il pluralismo corporato e il pluralismo pubblico, quest’ultima categoria è poco più di una modificazione della prima, richiedendo un intervento più attivo da parte del governo).Pur ritenendo Lindblom un teorico un po’ troppo complesso per soggiacere a questa classificazione, possiamo in parte concordare con Kelso per quanto riguarda il Lindblom di THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY (1965), ma almeno il Lindblom di POLITICA E MERCATO(1977) non è definibile come pluralista laissez faire. Per inciso, va fatto notare che Kelso rende equivalente la categoria “poliarchia”alla teoria della democrazia “elitistica”di Schumpeter165 in quanto critica del pluralismo senza, stranamente, rendersi conto della complementarità di pluralismo e poliarchia come appare in POLITICS ECONOMICS AND WELFARE (1953), dove Dahl e Lindblom reintrodussero questo termine rimasto lungamente in disuso nella teoria politica moderna.166

La critica di Lindblom al pensiero pluralista “classico”è fondamentalmente relativa al fatto che:

«non solo i pluralisti hanno generalmente evitato le questioni che si rivolgono contro la razionalità del policy making attraverso il mutuo aggiustamento, ma hanno accettato come vera l’irrazionalità del processo, dunque accettavano l’irrazionalità come il costo necessario di un sistema che ha la virtù essenziale di disperdere il potere».167

Nella visione costituzionale liberale, infatti, i freni e i contrappesi costituzionali, di qualsiasi tipo, non hanno la funzione di promuovere un esercizio di governo efficiente, ma hanno la funzione fondamentale di precludere la possibilità dell’esercizio di poteri arbitrari.168

163 THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, cit., pagine 12-14.164 Kelso, W.A., AMERICAN DEMOCRATIC THEORY: PLURALISM AND ITS CRITICS, Westport, Greenwood Press, 1978.165 J.A. Schumpeter, CAPITALISMO, SOCIALISMO, DEMOCRAZIA, Milano, Edizioni di Comunità,1964, 1^ ediz. 1954.166 Vedasi in proposito la recensione di Dahl al libro di Kelso in THE JOURNAL OF POLITICS, vol. 42, 1980, pagine 612-

616.167 THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, cit., pagina 15.168 Il programma dell'approccio di Bentley e di Truman era esplicitamente empirico e riguardava i processi più che

le strutture; l'obiettivo era spiegare la politica come prodotto di una configurazione di pressioni d’interessi in conflitto. Nell’opera di Lindblom, lo studio delle strutture come quadro in cui gli interessi confliggono è di fondamentale importanza (vedasi la problematica sull'organizzazione politico-economica), e fondamentale è il processo di rimozione-progettazione delle strutture alla luce dei valori di efficienza e democrazia.

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4.2.b Tendenze allo studio dell’aggiustamento

Sarà chiaro a questo punto che, esplorando il mutuo aggiustamento delle parti, Lindblom segue la tradizione teorico-politica dei pluralisti; ma i suoi interessi lo spingono verso il calcolo economico dell’efficienza di questi aggiustamenti piuttosto che verso gli aspetti di controllo. Più concretamente, il problema è relativo alla possibilità del loro utilizzo in un approccio di decision making al fenomeno del governo, nei confronti di una scelta razionale.In quest’ottica, Lindblom procede in un inventario di vari tipi di aggiustamento; operazione che ha solo dei precedenti parziali.Nella “Teoria dei giochi”, il conflitto viene visto come una forma di funzionamento fisiologica del sistema, alla luce di una giustificazione “economica”dell’integrazione sociale, che viene ottenuta in una situazione di conflitto, dove il conflitto stesso diventa una condizione essenziale per il raggiungimento di una situazione di stabilità.In particolare, Thomas Schelling169 si è spinto a studiare la possibilità della coordinazione politica attraverso l’adattamento reciproco delle parti, in situazioni relativamente semplici di conflitto. Anche in queste, comunque, la relazione formale della “soluzione” del gioco con il fenomeno della coordinazione politica rimane non specificata, poiché giace oltre i confini della matematica. Schelling, uno dei più autorevoli esponenti del pensiero strategico americano contemporaneo, nel suo THE STRATEGY OF CONFLICT ha esplorato le strategie appropriate per vincere in varie situazioni di mutuo aggiustamento; in questo senso, se il suo apporto al problema della coordinazione di Lindblom non è diretto, il suo apporto indiretto è piuttosto consistente.Tra gli altri teorici rilevanti per l’argomento trattato da Lindblom, Michael Polany170 ha studiato tre differenti modi di mutuo aggiustamento non di parte, cioè, in qualche misura, cooperativo. Questo tipo di aggiustamento avviene nel perseguimento di una meta comune da parte dei vari soggetti indipendentemente da una coordinazione centrale. March e Simon171 hanno affrontato il problema del ruolo della contrattazione nella risoluzione dei conflitti, comparandola a metodi “analitici”. Tenendo conto di questi lavori precedenti, Lindblom ci fornisce una “grammatica” dell’aggiustamento nel quadro di una strategia di coordinazione.

4.3 Coordinazione centrale e mutuo aggiustamento

Lindblom intraprende, quindi, una comparazione sistematica tra la coordinazione centrale e il mutuo aggiustamento delle parti come metodi in competizione per la coordinazione razionale delle decisioni di governo, che classifica e specifica i vari tipi di mutuo

169 Thomas C. Schelling, THE STRATEGY OF CONFLICT, New York, Oxford University Press, 1963 (1a ed. 1960). Vedasi anche G.E. Rusconi, “Minaccia. Comunicazione e agire strategico”, in LABORATORIO POLITICO, 4, Luglio-Agosto 1982; e B. Giacomini, “Giochi, conflitti, cambiamento”, in LABORATORIO POLITICO, 5/6, 1981.

170 Michael Polany, THE LOGIC OF LIBERTY, Chicago, University of Chicago Press, 1951.171 James G. March e Herbert A. Simon, TEORIA DELL’ORGANIZZAZIONE, Milano, Comunità, 1966.

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aggiustamento.172 Poiché l’approccio di Lindblom si fonda sulla problematica della scelta razionale, l’operazione consiste nello:

«intraprendere una comparazione sistematica del decision making diretto centralmente e del mutuo aggiustamento delle parti come processi per il decision making razionale da parte dei leader politici».173

Il suo sforzo fondamentale in questo studio, che si riallaccia direttamente allo studio della strategia di analisi, è dimostrare che un sistema di coordinazione basato sui processi di mutuo aggiustamento di decisioni razionali non è affatto inferiore in efficienza a un sistema di coordinazione centrale.174

Visivamente, i processi di coordinazione possono essere illustrati riportando i diagrammi alle pagine 26 e 27 di THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY. Va notato che nei mutui aggiustamenti delle parti (diagramma 1b), non tutti i decision maker sono adattati ad ogni altro decision maker.

i k ← j

↑ ↑g → l → b → c↑ | |

| d | a

| | |

n ← e ← h ← m

c d↑ ↑

| |b ← L → d

a | ↑| | |

m → h ← g

1a. Decision making complesso regolato centralmente.

1b. Decision making complesso regolato secondo il mutuo aggiustamento.

2. Coordinazione di tipo misto centrale e non centrale.

1) ogni lettera indica un decision maker.2) X → Y significa che le decisioni di Y sono aggiustate alle decisioni di X.

È possibile pensare che, invece di porsi in una posizione di parte, i decision makers entrino in una discussione cooperativa sui loro problemi comuni presupponendo che esistano, e siano conosciuti, criteri convenuti sufficienti a determinare il corso dell’azione per ognuno di essi. Questo tipo di coordinazione è escluso dal mutuo aggiustamento com’è mostrato al diagramma 1b. È un tipo di coordinazione simile alla coordinazione centrale nella sua forma non piramidale, e in esso non si ritrovano importanti potenziali

172 «Nella letteratura esistente, la ‘contrattazione’ talvolta appare come una forma di aggiustamento definita abbastanza precisamente, talvolta come un nome generale per tipi indifferenziati di mutuo aggiustamento che ora richiedono una differenziazione». THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, cit., pagina 9.

173 Ivi, pagina 10.174 «Una serie di decisioni interdipendenti è coordinata se ogni decisione è adattata alle altre in modo tale che,

per ogni decisione ottenuta, l'aggiustamento corrente viene considerato migliore che nessun aggiustamento agli occhi di almeno un decision maker», THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, pagina 24; e più oltre, a pagina 154, si legge: «Un insieme di decisioni è coordinato se gli aggiustamenti in esso sono stati fatti in modo tale che le conseguenze avverse di una qualsiasi decisione per altre decisioni nell'insieme sono, in un certo grado e in una certa frequenza, evitate, ridotte, contrappesate, o superate in importanza».

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per l’accordo.175 La discussione cooperativa è spesso confusa, secondo Lindblom, mentre la discussione di parte è chiaramente indirizzata; questo perché avviene spesso il caso che gli individui partano dal presupposto dell’esistenza di valori comuni, solo perché lasciano scarsamente compresi i loro valori reali. In questo senso la discussione cooperativa pone grossi problemi di efficienza per quanto riguarda la reale comprensione dei problemi.

4.4 Aggiustamenti adattivi e manipolati

L’arco delle possibilità della coordinazione attraverso il mutuo aggiustamento delle parti si divide in due grandi categorie: nella prima, gli aggiustamenti adattivi, un decision maker accomoda semplicemente alle decisioni intorno a lui, vale a dire, prende quelle decisioni possibili senza prima ottenere, come avviene invece nella negoziazione, l’appoggio di una risposta da parte di un altro decision maker; nella seconda, gli aggiustamenti manipolati, egli cerca di ottenere l’appoggio di una risposta desiderata da parte di un altro decision maker.176 Qualsiasi metodo con il quale X possa manipolare Y coordina questi con X e, in dipendenza dalle relazioni di X e Y con altri decision maker, coordina altri. Pensare a modi specifici nei quali un decision maker di parte potrebbe ralizzare la coordinazione manipolando un altro, vuol dire innanzi tutto pensare alla negoziazione o alla contrattazione.Per molti osservatori, “contrattazione”o “negoziazione”denota tutti gli elementi del mutuo aggiustamento; per come essi la vedono, la coordinazione è diretta centralmente, da un lato, o negoziata, dall’altro.177 Le forme di aggiustamento adattive, sono forme di coordinazione né centrale, né negoziata; tra le forme di aggiustamento adattive si ritrova la forma, l’aggiustamento parametrico, suggerita dal mutuo aggiustamento atomistico nell’ipotetico mercato di concorrenza perfetta.178

4.4.a Gli aggiustamenti adattivi

Gli aggiustamenti di tipo adattivo (dove il decisore X agisce senza richiedere risposta da parte di un altro decisore Y) si distinguono in vari tipi specifici di aggiustamento.179

175 THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, in particolare pagina 28. È interessante notare che, nello stesso anno in cui Lindblom pubblicava questo libro, fosse pubblicato anche il libro di un altro economista politico che insisteva su questa problematica. Vedasi M. Olson, THE LOGIC OF COLLECTIVE ACTION. PUBLIC GOODS AND THE TEORY OF GROUPS, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1971 (1a ed. 1965), il cui argomento è che un bene collettivo non può essere raggiunto senza un beneficio specifico per l'individuo.

176 THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, cit., pagina 33.177 Ivi, pagine 54-55.178 Lindblom, in “Decision Making in Taxation and Expenditures”, 1961, cit., distingueva tre tipi di

aggiustamento: atomistico, deferenziale, strategico. Il primo è equivalente al metodo che descrive M. Polany in THE LOGIC OF LIBERTY, cit., dove un certo numero di enti di decisione che desidera una soluzione (cooperativa) ad un problema comunemente riconosciuto non risolvibile centralmente, effettua una lunga serie di aggiustamenti indipendenti ed ottiene un'eventuale soluzione al problema quando nessun ente ha bisogno di effettuare ulteriori aggiustamenti.

179 THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, pagina 33 e capitolo 3.51

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1) Parametrico: dove il decisore X adatta le sue decisioni alle decisioni di Y, già effettuate o attese, senza prestare riguardo alle conseguenze per Y; in questo modo di aggiustamento, compiti complessi di coordinazione centrale di molte decisioni concorrenti sono, in alcune circostanze, trasformate in serie relativamente semplici di compiti di aggiustamento di ogni decisione allo stato delle cose esistente al momento della decisione.180

2) Deferenziale: nel quale X cerca di evitare conseguenze avverse per Y; relazione, questa, che può essere trovata nei sistemi di decisione centrale dove Y è il superiore gerarchico di X.3) Calcolato: dove X non evita completamente le conseguenze avverse per Y, ma tuttavia, nell’effettuare la decisione, è influenzato dalle preferenze di Y. In questo tipo di aggiustamento adattivo il decision maker tiene conto sia dei guadagni che delle perdite, dei pro e dei contro rispetto alle reazioni degli altri decision makers, anche se non cerca di indurre risposta come precondizione per effettuare la sua decisione.

4.4.b Gli aggiustamenti manipolati

Tra gli aggiustamenti manipolati il concetto di negoziazione o contrattazione avrebbe dovuto essere esteso oltre riconoscibile forma per includere alcuni rimanenti importanti tipi di manipolazione.181 Inoltre, in un’errata identificazione della prescrizione autoritaria con la coordinazione centrale, è facile perdere il suo ruolo nella coordinazione non centrale; in realtà uno dei mezzi principali con i quali un partisan induce altri partisan ad accomodare le sue scelte, è prescrivere ad essi, dove abbia l’autorità di farlo, l’aggiustamento richiesto.182

Gli aggiustamenti manipolati, dove X induce una risposta da parte di Y come precondizione della sua decisione, si distinguono nei seguenti tipi:183

1) Negoziazione: nella quale X e Y in una relazione simmetrica inducono risposta da entrambi in una certa varietà di modi, come precondizione riconsciuta per rendere effettive le loro decisioni. Di tutti i modi di mutuo aggiustamento delle parti questo è quello tenuto maggiormente in considerazione, e la sua validità come metodo di coordinazione è ovvia.2) Contrattazione(una forma di negoziazione): dove X eY inducono risposta dall’uno e dall’altro per mezzo di minacce condizionali di privazione e/o promesse condizionali di

180 L'aggiustamento parametrico corrisponde logicamente a quello che in “Decision Making in Taxation and Expenditures”, cit., Linblom chiama atomistico.

181 Gli aggiustamenti unilaterali: il concetto di negoziazione è necessariamente simmetrico. THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, cit., pagine 55-59. Vedasi anche la tabella a pagina 63, riportata infra.

182 Ivi, pagine 59-62. Più oltre, a pagina 105, la coordinazione centrale viene così definita: «Tra una serie di decision maker, la coordinazione è centrale nella misura in cui vi sia nel gruppo un decision maker che a) sia in una relazione di controllo simmetrica con ogni altro membro del gruppo; b) in ogni tale relazione di controllo simmetrica sia molto più potente dell'altro, eccetto che per il controllo altrui attraverso l'informazione e l'analisi; e c) riconosca esplicitamente il suo dovere di accomodare l'un l'altro gli adattamenti delle decisioni, e accomodi tali adattamenti ad un grado significativo». Qui si tratta, naturalmente, di un sistema di coordinazione misto e non di un tipo ideale di coordinazione centrale.

183 Ivi, pagine 33-34 e capitoli 4 e 5. In particolare la tabella a pagina 63.

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gratificazione.3) Discussione di parte(una forma di negoziazione): dove X e Y inducono risposta dall’uno e dall’altro effettuando una nuova stima degli accertamenti dell’uno e dell’altro rispetto alle conseguenze obbiettive di vari corsi dell’azione (mentre la contrattazione altera le conseguenze, la discussione di parte scambia informazioni riguardo a conseguenze inalterate).184

4) Compensazione: dove X induce una risposta da Y con una promessa condizionale di beneficio; e Compensazione contrattata(una forma di contrattazione): dove X e Y ottengono risposte da parte di entrambi facendo promesse condizionali l’un l’altro.5) Reciprocità: dove X unilateralmente, o X e Y simmetricamente, nella negoziazione o altrimenti, come condizione riconosciuta di rendere effettiva la propria decisione, induce una risposta da parte dell’altro, in quanto una tale risposta assolve un’obbligazione accettata da parte dell’altro nei confronti del manipolatore; o perché crea un’obbligazione valutabile per il futuro, del manipolatore a colui che risponde.185

6) Prescrizione autoritaria: dove X prescrive una risposta a Y, che accetta la prescrizione di X, quindi gli concede autorità sulla stessa.186

7) Manipolazione non condizionale: dove X, come condizione riconosciuta per rendere effettiva la propria decisione, induce una risposta da Y alterando incondizionatamente i vantaggi e gli svantaggi di Y, nelle sue risposte specifiche.187

8) Decisione prioritaria; nella quale X, conoscendo che esistono vantaggi per entrambi X e Y dalla coordinazione delle loro decisioni, effettua una decisione ferma, non contingente, prima che Y decida, costringendo così Y ad adattarsi a X per raccogliere i vantaggi della coordinazione.188 Questa è una forma particolare di manipolazione condizionale. È un metodo di coordinazione che può essere operativo dove la contrattazione e la discussione di parte sono impossibili, o non desiderati, dai decision maker in questione.

184 La negoziazione, quanto ognuna delle sue forme particolari (come la contrattazione) è facilmente confondibile con il tipo di coordinazione cooperativa attraverso la discussione, che cade fuori dello studio e delle intenzioni di Lindblom. Ciò che inizia con uno scambio di minacce e promesse, per es., potrebbe mutarsi in un perseguimento di obbiettivi cooperativi non partisan in un qualche punto in cui un tale obbiettivo emerga. Ma la negoziazione è limitata agli scambi che precedono l'arrivo a un tale punto. Ivi, pagina 69.

185 Mentre la compensazione produce aggiustamenti che sono mutuamente vantaggiosi, la reciprocità non ne è in grado. Concedere in negoziazione per indurre una concessione è talvolta essere coercitivi. Il concetto di reciprocità è riferito al lavoro di Alvin W.Gouldner, “The Norm Of Reciprocity: A Preliminary Statement”, in THE AMERICAN SOCIOLOGICAL REVIEW, April 1960, pagine 161-178.

186 In THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, la definizione di autorità è attribuita a D. Easton: «La relazione di autorità esiste a) quando una persona riceve un messaggio esplicito da un'altra; b) quando, quindi, egli adotta esso come base della decisione o azione; e c) quando i suoi terreni per farlo sono tali che i messaggi ricevuti in questo modo dall'altro devono essere obbediti senza che egli li assoggetti a valutazione indipendente in termini del suo proprio criterio di giudizio». A differenza di POLITICS ECONOMICS AND WELFARE, in cui l’autorità veniva definita come comando, essa tende a caratterizzarsi qui come risultante interattiva.

187 Alcuni modi di manipolazione non condizionale operano, solo indirettamente, attraverso non decision-maker; in particolare le clientele di Y.

188 Ivi, pagina 82. La decisione prioritaria sta in ovvia relazione al concetto di T. Schellimg di impegno o accecarsi, tranne che egli ha visto l’impegno come una tattica di contrattazione, specificamente come prefazione a produrre una contrattazione, esplicitamente o implicitamente. Vedasi T.Schelling: THE STRATEGY OF CONFLICT, cit.

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9) Manipolazione indiretta: dove X usa una qualsiasi delle precedenti forme di manipolazione per indurre un terzo decision maker ad indurre Y ad effettuare la risposta desiderata.Le forme specifiche degli aggiustamenti manipolativi, descritte sopra, si dividono in due grandi categorie fondamentali: la manipolazione unilaterale e la manipolazione simmetrica.Questo raggruppamento in due grandi categorie, che hanno come elementi centrali la negoziazione e la prescrizione, si può desumere dalla tabella seguente.

Tipi di coordinazione attraverso gli aggiustamenti manipolati (i nomi attribuibili a certi tipi critici sono indicati in grassetto)

Categorie astratte di tipi Tipi specificiImpiegato da X direttamente

o su una terza parte che manipoli Y successivamente:Unilaterale? Simmetrica con o senza elementi contrattuali?

X cambia la percezione di Y di vantaggi e costi dati, nel corso di un’azione

X informa esi appella a Y

Si SiPartisan

discussion

X altera i vantaggi e i costi di Y, contingentialla risposta di Y

X minaccia e promette condizionatamente,

esplicitamente o menoSi Si

X promette soltantoSi,

compensazione

Si,compensazione

contrattata

Contrattazione(solo

simmetrica)

X obbliga Y a rispondere

X crea e rende nota, un’obbligazione

Si Si

X rende notaun’obbligazione

già esistenteSi

Si se X e Y hanno già

obbligazioni verso l’altro

X richiede una risposta, dove farlo implichi

un’obbligazione futuraverso Y

Si Si

Reciprocità Neg

ozia

zion

e (s

olo

sim

met

rica)

*

X altera incondizionatamente i vantaggi e i costi per Y nel corso dell’azione di Y

Generalmente non differenziato

Si, manipolazione

non condizionale

Non usuale,ma possibile

X effettua unadecisione prioritaria

Si, decisione prioritaria

No

X prescrive autoritariamente a Y

X da un ordine a YSi, prescrizione

autoritariaNon usuale,ma possibile

* La negoziazione sarà definita per includere anche la manipolazione simmetrica che impieghi gli stratagemmi specificati, senza riguardo al fatto che X e Y impieghino o no lo stesso stratagemma. Per esempio, la negoziazione copre il caso in cui X prometta e Y faccia appelli.

4.5 La comparazione tra i due sistemi di coordinazione

I legislatori e gli esecutivi, attuali e potenziali, le agenzie e i leader dei gruppi di interesse, intraprendono costantemente il mutuo aggiustamento di parte l’un l’altro, bilateralmente o multilateralmente, in tutte le combinazioni possibili. Questi partecipanti che si manipolano l’un l’altro, impiegano una vasta varietà di influenze, tra le quali: la persuasione, l’appello alle convenzioni, voti e ricchezza. In qualsiasi momento, lo stesso prodursi delle decisioni

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da parte dei partecipanti nel processo di governo altera necessariamente l’allocazione di autorità.189

Secondo Lindblom, alla luce del fatto che il decisiom making complesso non è sinottico, ma frammentato, sconnesso e incrementale, si può comprendere il contributo del mutuo aggiustamento di parte al decision making razionale; una molteplicità di decision maker “indipendenti” è essa stessa una fonte di razionalità, come lo è pure la forma delle loro azioni, che costituiscono un processo attraverso il quale la coordinazione avviene in relazione alla riduzione delle conseguenze avverse di decisioni già prese (un processo incrementale di risoluzione dei problemi).190

Nel considerare la difficoltà della risoluzione dei problemi politici complessi, una comparazione della coordinazione centrale col mutuo aggiustamento di parte fa sorgere grandi dubbi sulla validità delle rivendicazioni fatte comunemente per la coordinazione centrale.191

L’argomentazione è relativa al fatto che il mutuo aggiustamento viene considerato, da Lindblom, come un sistema di coordinazione di efficienza non inferiore alla coordinazione centrale. Questo sistema di coordinazione spinge di fatto i partisan verso l’accordo sui valori e le decisioni. Molti conflitti di valori non costituiscono barriere, perché l’accordo può essere ricercato sulle politiche, invece che sui valori; i partecipanti al mutuo aggiustamento di parte hanno forti motivi di interesse per trovare una decisione o output concordato. I vari partisan sono in grado di verificare, attraverso la compensazione e la discussione di parte, se una data situazione è una situazione di ottimo paretiano, e, se non lo è, di muoversi verso un tale ottimo.192

Nelle decisioni prodotte in un sistema di mutuo aggiustamento di parte, il valore dato ad ognuno dei valori in conflitto dipende, e può essere sistematicamente fatto dipendere, dalle ca-ratteristiche di quel particolare sistema (solo uno dei molti possibili sistemi di mutuo aggiustamento).193 Le ineguaglianze nella distribuzione di potere vanno riferite al sistema specifico e non al mutuo aggiustamento in quanto tale.

4.5.a Coordinazione democratica e mutuo aggiustamento

Dunque, in relazione all’approccio di Lindblom, perché il decision making sia democratico, deve avvenire attraverso un processo di accomodamento delle parti. Le decisioni devono essere prese da attori che perseguono il loro interesse e altri attori, i cui interessi non siano stati considerati, possono protestare dopo che le decisioni sono state prese e tentare di effettuare ulteriori aggiustamenti. Il peso della loro protesta dipenderà

189 Nei sistemi democratici contemporanei, il mutuo aggiustamento di parte è combinato in una varietà di modi con la coordinazione centrale. Lindblom propone un modello del processo di governo, più o meno democratico o poliarchico, come descrizione del governo americano. Si veda THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, cit., in particolare il cap. 6.

190 Ibidem.191 Ivi, capitolo 7 e seguenti.192 Ivi, capitolo 14.193 Ivi, capitolo 15.

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dai rapporti di forze esistenti.

«Gli incrementalisti non smentiscono questa implicazione della loro strategia per il decision making sociale. Una buona politica, viene dichiarato, rappresenta le differenze di potere esistenti; il consenso associato all’ineguaglianza è preferibile al dissenso associato all’eguaglianza».194

Lindblom si sforza di dimostrare che la coordinazione attraverso il mutuo aggiustamento non è inferiore in efficienza alla coordinazione centrale, anzi è preferibile ad essa per ragioni di democrazia.Una volta usciti dalla rigida concezione che vede l’unica vera alternativa alla democrazia liberale capitalistica nell’economia centralizzata sovietica, – idea che ha coinvolto una intera generazione di studiosi, non solo della politica, americani195 – l’approccio di Lindblom sembra eccessivamente giustificativo, e marcato da un entusiasmo poco condivisibile.Un entusiasmo, una fede sulle capacità progressive della democrazia americana che Lindblom – assieme al suo collega e collaboratore Robert A. Dahl – dovrà abbandonare in favore di una concezione più radicale della democrazia.196

Secondo Crozier e Friedberg, la dimostrazione di Lindblom è impeccabile, ma lascia altrettanto perplessi dello schema classico del modello razionale.

«In realtà, l’alternativa posta da Lindblom è altrettanto astratta del metodo razionale che contesta. Il suo modello di adattamento reciproco delle parti è povero, giacché è un modello di tipo economico che considera le parti come attori autonomi che entrano in rapporto gli uni con gli altri e operano i loro adattamenti su una base di parità. I loro valori possono essere diversi, ma le loro influenze reciproche e il loro potere all’interno di un sistema d’azione di cui fanno parte non sono presi in considerazione. Così semplificato il mercato parrebbe effettivamente la migliore soluzione. Ma nella realtà i sistemi d’azione appaiono dominati da strutture d’influenza tali che gli adattamenti reciproci che vi si operano costituiranno pure la migliore soluzione all’interno di una struttura data, ma tendono a rafforzare le caratteristiche di tale struttura, in particolare le sue disfunzioni e ineguaglianze. La razionalità a posteriori è una razionalità statica, una razionalità di circoli viziosi».197

Ogni tentativo di riforma cozza contro la resistenza delle strutture; nella ricerca del cambiamento, bisogna ricorrere ad un tipo di riflessione che consenta di contestare questa

194 Amitai Etzioni, THE ACTIVE SOCIETY. A THEORY OF SOCIETAL AND POLITICAL PROCESSES, New York, The Free Press, 1968, pagina 273. Vedasi anche THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, capitolo 16 a pagina 260 e capitolo 15, pagine 239-242.

195 “Idea da guerra fredda”. Di questo avviso è Crawford B. Macpherson, LA VITA E I TEMPI DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE, Milano, Il Saggiatore, 1980 (introduzione di E.A. Albertoni).

196 Vedasi la “Preface 1976”, a POLITICS ECONOMICS AND WELFARE, cit.197 M. Crozier e E. Friedberg, ATTORE SOCIALE E SISTEMA, Milano, Etas Libri, 1978, pagina 128.

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logica di resistenza.

4.5.b Un’alternativa al mutuo aggiustamento?

Nella risposta ai suoi critici,198 Lindblom sostiene che le obiezioni al mutuo aggiustamento di parte, spesso espresse come obiezioni al pluralismo – relative al fatto che non tutti gli interessi sono rappresentati dai partecipanti in esso e che questi non sono influenti in proporzione al numero di cittadini per i quali essi agiscono – sono da considerarsi vere; ma il problema fondamentale rimane quello relativo al fatto che un decision making più centralizzato rappresenti un ordine più pieno di interessi, e lo faccia coerentemente con i principi di eguaglianza democratica.Rispetto alla critica radicale, che definisce il mutuo aggiustamento come “fraudolento”, Lindblom è più ricettivo. Tale critica sostiene che i vari partecipanti non rappresentano nei fatti la varietà di interessi e valori della popolazione, ma condividono valori e interessi dominanti; le loro relazioni l’un l’altro smentiscono coloro che pretendono di trovare nel pluralismo una sana competizione di idee. In relazione a questo tipo di critiche, egli sostiene che sulle questioni ordinarie della politica il pluralismo è attivo (non senza difetti di ineguaglianza nella partecipazione e “tendenze di disturbo verso il corporativismo”).199 Sulle grandi tematiche, che riguardano le strutture fondamentali della vita politico-economica, il mutuo aggiustamento delle parti si rivela debole o assente.La conclusione di Lindblom è che una risposta meditata alle imperfezioni del policy making attraverso il mutuo aggiustamento delle parti, potrebbe richiedere di cambiare la sua forma e le regole che lo governano, piuttosto che il tentativo di sopprimerlo.200

Gli argomenti in difesa delle politiche incrementali e del mutuo aggiustamento delle parti non gli impediscono, quindi, di indicare i loro limiti in una maniera più esplicita che precedentemente.Il suo sviluppo intellettuale durante gli anni ‘70, come si può notare in POLITICA E MERCATO nella seconda edizione di THE POLICY MAKING PROCESS, risulta dalla convinzione di questa “fraudolenza”del mutuo aggiustamento rispetto alle questioni politiche secondarie e “debolezza o assenza”rispetto alle tematiche di organizzazione politico-economica.201

198 “Still Muddling, Not Yet Through”, 1979, a pagina 523 e seguenti.199 Ibidem. Questo è praticamente l'unico punto in cui Lindblom parla di corporativismo come fenomeno

specifico.200 Ibidem.201 Di questo avviso è anche Rune Premfors “Review Article: Charles Lindblom and A. Wildavsky”, pagine 210-

211.

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5. Organizzazione politico-economica

5.1 Prefazione

POLITICA E MERCATO,202 giace in una chiara linea di discendenza da POLITICS ECONOMICS AND WELFARE203 e THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY,204 ed è in grande misura una semplificazione ed estensione di questi lavori precedenti.L’ottica di analisi relativa al modello di razionalità a posteriori si riflette nello studio dell’organizzazione politico-economica, che viene vista come sistema entro il quale è possibile una scelta ponderata delle politiche e dei meccanismi di organizzazione.In questo testo, Lindblom espone una discussione sulle questioni fondamentali riguardanti il governo e il sistema di mercato, e la relazione tra i due. Egli connette esplicitamente i fenomeni politici ed economici in uno sforzo di tenere insieme la politica e l’economia comparative, in un’analisi dei sistemi politico-economici mondiali.L’assunto di base è che, a prescindere dalla differenza tra democrazia e dittatura,

«la distinzione più significativa tra un governo e l’altro dipende dal grado in cui il mercato sostituisce il governo e il governo sostituisce il mercato».205

Poiché essi si sostituiscono l’un l’altro, mercato e governo possono essere valutati in base a criteri analoghi e di base, che Lindblom deriva da un insieme di processi sociali fondamentali, riferiti ai valori di equità, uguaglianza, efficienza e democrazia. Questa posizione si rifà direttamente alla tradizione dell’economia politica; eroi di questo libro sono, infatti, Adam Smith e Karl Marx,206 che hanno compreso e affrontato il problema.

5.2 Le logiche elementari del controllo sociale

Nel modo di analisi già seguito in POLITICS ECONOMICS AND WELFARE, Lindblom comincia col definire tre tipi elementari di controllo sociale (l’autorità, lo scambio e la persuasione) sui quali sono costruiti i sistemi più complessi, come combinazione di questi elementi.207

202 C.E. Lindblom, POLITICS AND MARKETS. The World's Politico-Economic Systems, New York, Basic Books, 1977. Traduzione italiana: POLITICA E MERCATO. I sistemi politico-economici mondiali, Milano, Etas Libri, 1979.

203 Dahl-Lindblom, POLITICS,ECONOMICS AND WELFARE. Planning and Politico-Economic Systems Resolved into Basic Social Processes. Chicago, University of Chicago Press, 1976 (1a ed 1953).

204 C.E. Lindblom, THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY. Decision-Making Through Mutual Adjustment, New York, The Free Press, 1965.

205 POLITICA E MERCATO, cit., pagina 1.206 Smith per lo studio delle proprietà e i poteri dei meccanismi del mercato come organizzatore sociale; vedasi il

suo INDAGINE SULLA RICCHEZZA DELLE NAZIONI, Milano, Isedi, 1973. Marx per la sua intuizione delle implicazioni politiche della proprietà e della distribuzione; vedasi IL CAPITALE, Roma, Editori Riuniti, (8a edizione), 1974.

207 POLITICA E MERCATO, cit., parte prima.

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I quattro processi di base di coordinazione e controllo sociale che erano stati presentati nel lavoro del 1953 (la gerarchia, il sistema dei prezzi, la contrattazione e la poliarchia) vengono “collassati” in due: l’autorità e lo scambio,208 il terzo elemento introdotto sperimentalmente, la persuasione, non viene pienamente sviluppato.Secondo Anderson,209 questo ha come conseguenza che POLITICA E MERCATO presenta qualche contrasto più rigido che lo scritto precedente. Il suo schema sembra non dare giustizia a certe opzioni importanti per la costruzione di istituzioni politico-economiche. Per esempio, al caratteristico meccanismo neo-corporativo, per mezzo del quale organizzazioni funzionali importanti vengono fatte entrare in collaborazione strutturata con il policy making economico, viene data solo un’attenzione fuggevole.210 Non è che Lindblom consideri tali innovazioni come non promettenti o insignificanti, piuttosto il suo schema non può focalizzare l’attenzione su di essi come una terza classe potenziale di strumenti per il “design” di istituzioni politico-economiche.211

Molte recensioni hanno considerato questo libro come una causa sostenuta contro il potere della grande impresa privata nelle società democratiche liberali; Lindblom sembra piuttosto scrivere come un consigliere politico che prepari un saggio a sostegno di una civilizzazione. Egli fornisce delle opzioni alla società industriale, delineando un insieme di alternative logicamente coerenti, al fine di usare le strutture di autorità e i meccanismi di mercato come strumenti dell’azione pubblica; ed esamina il modo in cui varie combinazioni di questi strumenti funzionino in pratica sia nei sistemi orientati dal mercato che nei sistemi socialisti.212

Il libro, dunque, si apre con una discussione sugli elementi di base: l’autorità statale, il lato politico dell’economia politica, e il mercato, il suo aspetto economico.

5.2.a L’autorità

Il governo viene basato sul rapporto di autorità, che Lindblom definisce esistente:

«ogni qualvolta una, o alcune, o molte persone, in modo esplicito o tacito, permettono che qualcun’altra prenda decisioni al loro posto per certe categorie d’atti».213

Questo avviene a prescindere dal tipo di controllo specifico che induce una persona ad accettare l’autorità del controllore, cioè ad accettare una norma di obbedienza che, una volta stabilita, basta da sola a svolgere una funzione di controllo fintanto che essa persiste.

208 Questi modi di coordinazione rimandano direttamente alla distinzione fondamentale tra la coordinazione centrale e la coordinazione di mercato trattata in THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY, cit.

209 C.W.Anderson, “The Political Economy of Charles E. Lindblom”, in AMERICAN POLITICAL SCIENCE REVIEW, 1978, pagine 1012-1016.

210 Per una discussione, vedasi l'ormai classico P. Schmitter e G. Lehmbruch (a cura di), TRENDS TOWARD CORPORATIST INTERMEDIATION, London, Sage, 1979.

211 C.W. Anderson, art. cit., pagina1013.212 Ibidem.213 POLITICA E MERCATO, cit. pag 19.

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In POLITICS, ECONOMICS AND WELFARE, Dahl e Lindblom consideravano l’autorità come un sistema di comandi sostenuti dalla prescrizione di sanzioni:

«comandare significa controllare la risposta di un subordinato esclusivamente in virtù di una sanzione prescritta al controllato per l’inadempimento di una direttiva tacita o stabilita, cosicché il subordinato si aspetti che il suo insuccesso a rispondere come ordinato si risolverà nell’inizio di sanzioni da parte del suo superiore».214

Nella definizione di Lindblom, l’autorità tende ad apparire come un doppio tipo di consenso: un consenso consuetudinario al controllo, e un consenso consuetudinario a fare cose proibite agli altri (atti che solo in via secondaria raggiungono il controllo sugli altri). L’organizzazione viene definita come una struttura finalizzata di rapporti di autorità.215

Dunque, l’autorità può essere definita come: X ha autorità su Y se Y segue la regola di obbedire a X.216

«Se X controlla Y offrendo in ogni decisione specifica qualche ricompensa, minaccia, o costrizione fisica, X ha controllo ma non autorità su Y. Se X controlla Y persuadendolo del valore di uno specifico comando, X ha controllo ma non autorità su Y. Ma se X controlla Y perché Y ha accettato una regola di obbedienza duratura, allora X ha quella particolare forma di controllo su Y che noi chiamiamo autorità».217

Il rapporto di autorità tende così a caratterizzarsi come una risultante; la presa in considerazione dell’autorità nel suo effettivo manifestarsi come norma di obbedienza, mette in rilievo il punto di vista di Lindblom, che si pone nella prospettiva del sistema sociale complessivo, come sistema di razionalità a posteriori.La macchina politica è una struttura di autorità costruita su un uso esteso di autorità precedente (l’autorità viene estesa usandola nell’ambito per la quale era stata conferita allo scopo di ottenere il controllo per un’area per la quale conferita non era).218 Questa struttura basata sull’autorità, gerarchica o piramidale, sembra conseguire risultati di efficienza in termini di divisione coordinata del lavoro e di specializzazione funzionale. L’interdipendenza o l’antagonismo di autorità diverse rende necessario il mutuo aggiustamento, e ad esso risale in gran parte l’esercizio del governo; vengono praticati tutti i tipi di controllo, compreso lo

214 Dahl e Lindblom, POLITICS ECONOMICS AND WELFARE cit. pag 106. Questa definizione di comando è simile al concetto di potere di Lasswell e Kaplan, POTERE E SOCIETÀ, Milano, Etas Kompass, 1969.La definizione di autorità di Lindblom, è simile a quella data da H. Simon, MODELS OF MAN, New York, Wiley, 1957, pag. 184.

215 P.M. Blau e W.R. Scott, FORMAL ORGANIZATIONS, Chandler, S. Francisco, 1962, pag. 5. L'organizzazione formale si riscontra dove gli scopi, le norme e la struttura sociale che definisce le relazioni tra i membri, non sono immersi nell'interazione, ma sono stati determinati consciamente a priori.

216 R. Dahl, MODERN POLITICAL ANALISYS, Englewood Cliffs, (N.J.), Prentice Hall, 1970 (2a ed.). Egli definisce l'autorità differentemente; sostiene (cap. 3) che X ha autorità su Y se Y ammette la legittimazione del controllo di X su Y. Oppure se Y ammette un'obbligazione di obbedire ad X.

217 C.E. Lindblom,THE POLICY-MAKING PROCESS, Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1980 (2a ed.), pag. 51.218 POLITICA E MERCATO, cit. pagina 27.

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scambio e la persuasione.219

Chi detiene l’autorità è imprigionato in una rete di obbligazioni che lo costringono ad usare la sua autorità per ricambiare favori ad altri funzionari.

«Possiamo dire che l’organizzazione politico-economica su larga scala è possibile sia attraverso il coordinamento unilaterale in forma gerarchico-burocratica, sia attraverso il mutuo accomodamento tra le autorità che praticano un uso esteso della loro autorità allo scopo di controllarsi reciprocamente».220

In questa visione, lo scambio è una categoria estrema di mutuo aggiustamento:

«Ciò che vi è di profondamente sbagliato, nei tentativi recenti di formulare una teoria dello scambio in politica, consiste nel non vedere che in politica non si scambiano i consueti favori personali come avviene tra individui comuni, ma favori di autorità (oltre che minacce autoritarie, che non si adattano per nulla a una teoria dello scambio). In politica, i benefici dell’esercizio di autorità costituiscono i valori che si muovono nello scambio. Una teoria dello scambio in politica, di conseguenza, deve iniziare dall’autorità».221

Lindblom, dunque, si discosta da quegli scienziati politici che sostengono la similitudine tra la politica e il mercato, ponendo come fenomeno centrale, sia del mercato economico che del mercato politico, lo scambio; egli sostiene che si tratta di una sopravvalutazione delle similarità.222

5.2.b Lo scambio

Nel mercato è dominante il rapporto di scambio, che viene definito da Lindblom come:

«una relazione tra due (o più) persone, ciascuna delle quali offre un beneficio allo scopo di indurre una risposta. L’offerta è dunque collegata all’ottenimento della risposta. Un beneficio è qualcosa che il destinatario percepisce come desiderabile, indipendentemente dal fatto che la percezione sia o meno corretta».223

Lo scambio di benefici effettivi, quindi, costituisce una forma specifica di controllo.

«Supponiamo che A offra a B il beneficio di non danneggiarlo, se B si comporterà

219 Vedasi, qui, il capitolo quarto.220 POLITICA E MERCATO, cit. pagina 35.221 Ivi, pagina 29, in nota.222 Vedasi R.L. Curry e L.L. Wade, A THEORY OF POLITICAL EXCHANGE, Englewood Cliffs (N.J.), Prentice Hall, 1968;

W.E. Ilchman e N.T. Uphoff, THE POLITICAL ECONOMY OF CHANGE, Berkeley, Univ. of California Press, 1969.223 POLITICA E MERCATO, cit. pagine 56-57. Lindblom si discosta dall'approccio sociologico relativo al “social

exchange”, per il fatto che l'estensione del concetto di scambio allo scambio di parole ed altri simboli, di danni e benefici, dei favori indeterminati e differiti che costituiscono la rete delle obbligazioni reciproche, conduce a un'eccessiva estensione del concetto. Secondo Lindblom, considerato in termini così generali, lo scambio comprende tutte le interazioni umane. Vedasi P.M. Blau, EXCHANGE AND POWER IN SOCIAL LIFE, New York, Wiley, 1964.

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come vuole A. E’ un beneficio per B? Non lo è se confrontato col benessere che B ricaverebbe se lui e A non avessero alcuna relazione reciproca. Il controllo operativo è la minaccia di A, non un beneficio per B. Per i nostri scopi, il concetto di scambio non comprende gli scambi di benefici che consistono esclusivamente nella rimozione di minacce e danni che altrimenti le parti metterebbero in atto».224

Nel caso di assenza della moneta e dei prezzi, lo scambio è ostacolato dall’esigenza che si dia una duplice coincidenza: A deve trovare un B che possieda o possa fare quello che egli desidera, e B deve volere appunto quello che A ha da offrire.225 Con la moneta, una lunga serie di rapporti di scambio viene resa possibile dalla figura del commerciante specializzato.Nel mercato del lavoro e degli altri fattori, e nel mercato dei beni di consumo, le persone si trovano di fronte all’impresa o sistema di imprese (isole di autorità nel mare dello scambio); questa perciò viene ad essere nella condizione di controllare l’intero sistema di mercato.In una terza serie di mercati, le imprese scambiano tra loro. Va qui sottolineato che è questa terza serie di mercati, e non le altre due, che viene generalmente privata delle sue prerogative nei sistemi “pianificati”. In un sistema di mercato perfetto, i prezzi di efficienza esprimono il rapporto tra preferenza e scarsità, indispensabile per la scelta politica razionale.A differenza da quanto avviene in un sistema di autorità, dove il costo marginale del controllo è molto basso (nullo o praticamente tale), in un sistema di mercato ogni tentativo di controllare qualcuno è costoso poiché, per indurre la risposta desiderata, è necessario offrire qualcosa che abbia valore.

5.2.c La persuasione

La terza categoria di organizzazione politico-economica, la persuasione, è meno chiaramente definita e dà l’impressione di un ibrido delle precedenti; tendendo, anzi, verso l’autorità (vista come sistema di coordinazione centrale). Essa viene definita come sistema “precettorale”.

«In forma idealizzata, un sistema precettorale è, sinteticamente, una persuasione di massa fortemente unilaterale, in cui una ristretta élite illuminata che sta al governo istruisce le masse più o meno secondo i modelli consigliati da Rousseau ai maestri per educare i bambini, immaginando una “intelligenza superiore” che trasforma ogni individuo. Nel mondo non esiste alcun sistema precettorale altamente sviluppato».226

224 Ivi, pagina 37 in nota.225 Ivi, pagine 37-38.226 Ivi, pagine 58-59. Il sistema precettorale (Lindblom usa un neologismo) ha qualche similitudine col sistema

tutelare di Tocqueville. Vedasi LA DEMOCRAZIA IN AMERICA, Bologna, Cappelli, 1957. Lindblom arriva a distinguere due modelli idealtipici di organizzazione sociale (vedasi infra il par. 5.7) in cui la persuasione sembra rientrare nel modello 1, autoritario. Non si riesce a capire bene il motivo per cui egli introduca questa categoria come autonoma. Vogliamo formulare l'ipotesi che la persuasione, come logica di organizzazione sociale, abbia una qualche attinenza con quel metodo di coordinazione che in THE INTELLIGENCE OF DEMOCRACY (a pagina 28) viene chiamato “discussione cooperativa”. Questa avviene quando i vari decision maker presumono che esistano criteri convenuti sufficienti a determinare, attraverso investigazione, il corso particolare dell'azione per ognuno di essi. È un tipo di coordinazione, escluso dal mutuo aggiustamento perché non di parte, simile alla

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Un tale sistema si differenzia da quello autoritario in quanto “l’uomo nuovo” non avrà bisogno, normalmente, di nessuna direttiva esterna.All’interno del sistema precettorale, gli stessi membri di burocrazie di governo e di partito vengono “educati”, e non controllati autoritariamente, dall’autorità suprema. L’educazione viene generalmente intesa come strumento per aiutare gli uomini a scoprire molti dei loro interessi.

«In un sistema precettorale, di conseguenza, all’assillo burocratico convenzionale per un’assegnazione coordinata di compiti, subentra una configurazione assai meno delineata dei vari incarichi, che lascia ciascun partecipante lo spazio per definire le proprie responsabilità e i corrispondenti obblighi a riversare nel proprio lavoro le energie, inventive e risorse».227

Monopolizzando la comunicazione e saturando i cittadini di messaggi, un sistema precettorale potrebbe offrire un terreno ideale per la tirannide.

5.3 Le incompetenze

Alla definizione delle logiche di base (autorità, scambio, persuasione), alle quali viene associato un elemento di base (sistema gerarchico governativo, sistema di mercato e sistema precettorale), segue un esame di ognuno, in cui vengono messi in rilievo gli elementi di incapacità.228

«Alcuni miei colleghi mi dicono che non capiscono come – o se! – io riconcilio il mio giudizio benigno sul pluralismo riscontrabile nel mio lavoro sull’incrementalismo e il mutuo aggiustamento delle parti, con lo scetticismo riguardo al pluralismo espresso nel più recente POLITICA E MERCATO e la sua enfasi su una cittadinanza indottrinata e sul potere del “business” che influenza i politici»...

«È vero che il lavoro precedente mette in rilievo ciò che funziona (sebbene male) in politica, e il lavoro più recente ciò che non funziona (sebbene persista). In entrambe le fasi, o passi, ho cercato meccanismi seminascosti. L’unica cosa che ritengo sbagliata riguardo ai due passi è il loro ordine».229

I sistemi di autorità possono essere altamente efficaci, ma sono pure imprecisi, rozzi e spesso irrazionali. La coordinazione diventa così difficile che nessun sistema politico-economico al mondo si spinge oltre un approssimato coordinamento centrale del sistema economico nel suo complesso, riservando i suoi sforzi ad alcuni settori critici o chiave dell’economia. La scelta

coordinazione centrale nella sua forma semplice non gerarchica o non piramidale, poiché il gruppo dei decision maker gioca in effetti il ruolo della mente centrale coordinatrice.

227 POLITICA E MERCATO, cit., pag. 64.228 In questa esposizione, il sistema precettorale (il meno convincente e concettualmente definito), tende a

scomparire dalla discussione.229 C.E. Lindblom, “Still Muddling, Not Yet Through”, in PUBLIC ADMINISTRATION REVIEW, 1979, pagina 525.

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economica manca dello strumento dato dai prezzi di efficienza, e il rapporto di conversione rimane occulto impedendo ai decisori di conoscere il costo della decisione stessa. Inoltre, come strumento di scelta razionale, la burocrazia si caratterizza spesso come rozzo mercato.230

I meccanismi di mercato sono allocatori efficienti di risorse e strumenti di coordinazione sociale che sono, senza uguali, compatibili con la libertà individuale; ma che comunque sono soggetti al catalogo convenzionale dei “difetti di mercato”. Oltre a ciò, una incapacità più grande è relativa agli incentivi del mercato, che danno spesso risposte obbligate e funzionano spesso a costi proibitivi.

«Espressa nei termini più semplici e rozzi, la distinzione di quello che i mercati possono e non possono fare è questa: per avere una vita sociale organizzata, ogni persona ha bisogno dell’aiuto degli altri. In un certo ambito di circostanze, può indurre gli altri a darle quello di cui ha bisogno offrendo dei benefici. In altre circostanze, quello di cui ha bisogno non le viene dato volontariamente, e deve essere ottenuto con la forza. Un sistema di mercato può funzionare nel primo ambito, ma non nel secondo. Il suo limite è costoso in confronto a un sistema di autorità. Questa, benché non sia necessaria nel primo tipo di circostanze, può essere usata per entrambi».231

Lindblom, sempre fautore dell’economia mista,232 sostiene l’impossibilità di scegliere tra un sistema di autorità e un sistema di mercato puri; oltre a tutto i due meccanismi si presentano in una combinazione intricata.Pressoché tutti i sistemi socialisti contengono forti elementi di mercato. Solo il mercato delle transazioni tra imprese viene pianificato, in questi sistemi; il mercato del lavoro e quello dei consumi rimangono, in qualche forma.Similmente, tutti i sistemi orientati dal mercato si impegnano in qualche grado nella pianificazione centrale. Nei fatti, il mercato può essere usato come strumento dell’autorità e del controllo statale.

5.4 Una classificazione delle alternative

Distinguendo tra la familiare “sovranità del consumatore” (dove la produzione risponde alle preferenze individuali al consumo) e “sovranità del programmatore” (dove la produzione è determinata da un acquisto preventivo da parte dello Stato) da un lato, e considerando la distinzione tra imprese pubbliche e private dall’altro, è possibile individuare quattro tipi di mercato.233

230 POLITICA E MERCATO, cit., capitolo 5.231 Ivi, pagine 96-97.232 Già in POLITICS ECONOMICS AND WELFARE, Dahl e Lindblom sostenevano la relativa indifferenza della distinzione

tra proprietà pubblica e privata delle imprese, a fronte del controllo effettivo su di esse. Vedasi il capitolo 1 e il “Postscript”.

233 POLITICA E MERCATO, cit. pagina 108.

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Sistemi basati sulla sovranità

del consumatore del programmatore

Impresaprivata

1. Sistemi convenzionali basati sull’impresa privata, come in Europa occidentale e nel Nord America.

2. Si realizza nelle imprese a cui il governo fa acquisti o impone tasse o assegna sovvenzioni per controllare la domanda.

Impresapubblica

3. La Jugoslavia e, in una certa misura, l’Ungheria.

4. Sostenuto da certi riformatori in URSS e in Europa Orientale

Il sistema basato sulla sovranità del programmatore fa funzionare simultaneamente due componenti separate dei sistemi di mercato: una per controllare la produzione e l’altra per distribuire ai consumatori esattamente quello che hanno deciso i programmatori; nei due sistemi i prezzi sono completamente differenti.Affiancando i sistemi di mercato a certe forme non di mercato, reali o ipotetiche, è possibile effettuare una classificazione di alternative (senza dimenticare che si tratta di un complesso di titoli, essendo i sistemi reali di tipo misto, ed esistendo anche differenze che i titoli non considerano).234 Esse consistono in: 1. autorità senza prezzi (assenza di moneta); 2. prezzi e piani di produzione calcolati autoritariamente con mercati non monetari o non reali; 3. programmazione centrale autoritaria con l’uso ausiliario dei prezzi; 4. sistema di mercato basato sulla sovranità del programmatore; 5. sistema di mercato basato sulla sovranità del consumatore; 6. comuni (piccole unità di produzione decentrate che provvedono a se stesse).Ciascuno dei sistemi di mercato si divide in: A. proprietà a gestione pubblica; B. proprietà a gestione privata. Quest’ultima si divide in: i. forme comuni (gestione del proprietario e gestione societaria); ii. controllo dei lavoratori; iii. imprese cooperative e senza scopo di lucro.

5.5 Il controllo popolare

Lindblom procede a considerare i mercati e la poliarchia come mezzi di controllo popolare sulle autorità politiche.235 Questo conduce a un esame e a una valutazione comparativa dei sistemi basati sull’impresa privata e dei sistemi socialisti.La politica viene definita come “un processo disordinato” in cui la gente che vuole l’autorità combatte per conquistarla, mentre gli altri cercano di controllare chi la detiene.236 In questo quadro gli uomini combattono per l’autorità, per conquistare il controllo sugli altri e la ricchezza che tocca all’autorità.L’organizzazione della politica delle società basate su un sistema di mercato si caratterizza come

234 Ivi, pagine 114-115.235 La convinzione della fraudolenza del mutuo aggiustamento porta Lindblom ad attribuire una maggiore

attenzione alla rappresentanza effettiva degli interessi. È possibile affermare che, mentre prima la rappresentanza era considerata un dato, ora essa diventa un problema.

236 POLITICA E MERCATO, cit. pagina 129.

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“poliarchia”.237 Essa risponde fondamentalmente a tre caratteri: il pluralismo sociale, garantito da diritti civili e politici, che costituisce il prerequisito fondamentale del modello poliarchico; una serie di elite politiche in competizione tra loro per l’accesso al governo; il principio di maggioranza, come metodo di decisione e di scelta delle elite di governo.238

«Quello che contraddistingue una contesa per l’autorità congegnata da regole poliarchiche è che l’autorità massima viene nominata in risposta a un’indicazione regolare dei desideri dei cittadini – vale a dire attraverso elezioni – nel corso della quale, per di più, il voto di ogni cittadino viene conteggiato secondo una certa formula con un peso uguale a quello di tutti gli altri. È difficile immaginare come rendere più semplice, più pacifica, o più ugualitaria la lotta per l’autorità».239

La poliarchia, parte di un sistema politico, è un complesso di norme autoritarie, accompagnato da determinati modelli di comportamento politico che discendono direttamente o indirettamente dall’esistenza delle norme.240

Affermando che il concetto di “preferenza” distorce il quadro della poliarchia e della democrazia, Lindblom introduce il concetto di “volizione”. Egli considera la preferenza un concetto troppo semplice per la scelta politica, dove chi sceglie non decide in merito a una preferenza, ma ciò che è preferito viene deciso o scoperto. Il concetto di volizione identifica non un dato (come fa invece il concetto di preferenza), ma un atto emergente di volontà. Soltanto dopo che sono state prese, le scelte politiche possono venire denotate come dati.241

In questa distinzione, Lindblom si discosta da autori che, applicando la teoria economica alla politica, non operano una sufficiente separazione concettuale tra stato e mercato. In particolare Anthony Downs, considera la massimizzazione dell’utilità in politica come parallela alla massimizzazione dell’utilità nel mercato. L’assunzione è che i cittadini possano avere preferenze per certi leader o certe politiche allo stesso modo che per certi beni o servizi.242

Vi è quindi differenza tra scelta economica e scelta elettorale. Lindblom sostiene che la poliarchia è un processo che forma le volizioni e le armonizza, oltre che un processo per rendere la politica rispondente ad esse.L’interazione costante e variata tra leader e cittadinanza consente ai cittadini di formare le volizioni e guida la risposta dei leader a queste ultime. Lindblom rappresenta l’interazione

237 “Governo di molti”. La prima definizione del concetto è stata data in POLITICS ECONOMICS AND WELFARE, cit. pagina 272, dove Dahl e Lindblom la considerano come strumento di controllo dei leader da parte dei cittadini.

238 Ivi, pagina 272 e seguenti. Vedasi anche R.A.Dahl, POLYARCHY. Partecipation and Opposition, New Heaven, Yale University Press, 1971.

239 POLITICA E MERCATO, cit. pagine 142-143.240 La poliarchia è, dunque, un sistema di autorità. Per una definizione di queste norme, R.A. Dahl, POLYARCHY, cit.,

in particolare pagina 3.241 Sul concetto di volizione: Robert E. Emmer, ECONOMIC ANALYSIS AND SCIENTIFIC PHILOSOPHY, London, Allen &

Unwin, 1967, in particolare pagina 3.242 POLITICA E MERCATO, cit. pagine 143-144. Vedasi A. Downs, AN ECONOMIC THEORY OF DEMOCRACY, New York,

Harper, 1957.

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persuasiva in una politica poliarchica competitiva con una scala, dove avvengono interscambi tra soggetti collocati sia sullo stesso piolo, che su pioli diversi. Per gli Stati Uniti la scala si configurerebbe in questo modo.243

Presidente

Leader del congresso e altri massimi leader di partito, presidenti delle commissioni congressuali, amministratori di massimo livello e giudici della Corte Suprema.

Altri leader parlamentari, giudici amministrativi e amministratori ad alto livello.

Parlamentari comuni e alcuni amministratori.

Leader di partito di grado inferiore, leader dei gruppi di interessee principali leader dell’opinione pubblica.

Cittadini politicamente attivi.

Elettori comuni.

Non elettori.

Il processo chiave è la persuasione; questo interscambio stimola di per se la crescita del mutuo accomodamento tra leader, già reso inevitabile per l’esistente pluralità dei decisori. Il cittadino si caratterizza in qualche misura come policy maker partecipando all’autorità di scegliere e rimuovere i funzionari attraverso il voto.Nel sistema poliarchico, la volizione di maggioranza ha il difetto di prevalere generalmente solo nelle questioni sulle quali esiste un’opinione radicata; sulle questioni secondarie, la poliarchia sembra seguire una “regola di minoranza” anziché di maggioranza.244 Nonostante l’egualitarismo delle norme, il pluralismo di questi sistemi rimane grossolanamente non ugualitario.Nella sua maggiore attenzione, rispetto ai suoi precedenti lavori, nei confronti dei difetti del mutuo aggiustamento in politica, Lindblom mostra di prendere in considerazione autori critici del pluralismo.245

A partire dalla differenza tra scelta di mercato (preferenza) e scelta poliarchica (volizione), Lindblom compara i controlli di mercato e quelli poliarchici.246

Nel voto politico la connessione tra voto e risultati è più incerta rispetto al “voto di mercato”. Il controllo di mercato avviene per risultati, attraverso l’accettazione o il rifiuto del bene prodotto;

243 C.E. Lindblom, THE POLICY MAKING PROCESS, Englewood Cliffs (N.J.), Prentice Hall, 1968, pagina 103.244 Vedasi Robert Alan Dahl, A PREFACE TO DEMOCRATIC THEORY, Chicago, University of ChicagoPress, 1956,

capitolo 5.245 Oltre alla critica radicale, vogliamo riferirci in particolare a Theodore Lowi, THE END OF LIBERALISM, New York,

Norton, che insiste sui problemi posti dalla frammentazione dei gruppi di interesse.246 POLITICA E MERCATO, cit. cap. 11. Si noti come questa dicotomia tra preferenza e volizione corrisponda a quella tra

scambio e autorità, e tra coordinazione non centrale e centrale; e a partire da questo come mercato e poliarchia vengano considerati modelli alternativi di controllo popolare.

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il controllo poliarchico avviene per processi, e i suoi prodotti possono spesso sfuggire al controllo.Comunque, mentre i controlli poliarchici sono tutti mutilati per limitarne la forza (perciò perversi o impotenti quando la cittadinanza chiede che venga fatta una determinata cosa), i dirigenti di impresa riescono a esercitare un’autorità discrezionale che consente loro di sfuggire in larga misura al controllo popolare esercitato attraverso il mercato.Secondo Lindblom è possibile in via ipotetica una forma di controllo ibrida, che unisca al controllo di mercato sui prodotti il controllo poliarchico, per quanto debole, sulle decisioni delegate per le quali il controllo di mercato è debole.

5.6 La compresenza di impresa privata e democrazia

Lindblom, come già Schumpeter, è colpito dalla coincidenza storica tra democrazia e mercato capitalistico:

«non tutti i sistemi basati sul mercato sono democratici, ma ogni sistema democratico è anche un sistema basato sul mercato».247

Secondo Lindblom, benché poliarchia e mercato siano entrambi sistemi di controllo popolare, da ciò non deriva necessariamente che i due modelli siano legati insieme. L’elemento che li unifica è la loro origine: sono entrambi manifestazioni del liberalismo costituzionale.

«Non è quindi la poliarchia, come fenomeno generale, che è legata al mercato: legata al mercato è solo questa poliarchia nata sotto gli auspici del liberalismo costituzionale, presumibilmente soltanto una delle diverse possibilità alternative di poliarchia».248

Infatti, non essendo poliarchici la maggior parte dei sistemi basati sul mercato, non può esistere, per Lindblom, relazione logica tra i due.Perché allora le poliarchie non hanno fatto un maggiore uso della pianificazione centrale e la proprietà collettiva dei mezzi di produzione; perché non esistono sistemi di socialismo democratico?Secondo Lindblom, a causa di ciò sta la posizione privilegiata degli “affari” nei sistemi basati sulla impresa privata.

«La semplice evenienza che siano le imprese e la proprietà a dominare la poliarchia comporta la possibilità paradossale che la poliarchia sia legata al mercato non perché è democratica, ma perché non lo è. Se tutte le poliarchie

247 Ivi, pagina 125. Per Joseph A. Schumpeter, CAPITALISMO, SOCIALISMO, DEMOCRAZIA, Milano, Ed. di Comunità, 1964 (1a ed. 1954), la politica è il mercato del bene voto, per il cui acquisto e valorizzazione i partiti e gli uomini politici svolgono il ruolo di imprenditori. Mentre Schumpeter compie una specie di ribaltamento del mercato economico in politica, sulla base del principio di competizione, Lindblom tiene separati mercato e stato, intesi come due sistemi diversi di organizzazione e controllo sociale; essi sono collegati funzionalmente, ma logicamente distinti. Vedasi in proposito G. E. Rusconi, “Scambio politico”, in LABORATORIO POLITICO, n.2 Marzo-Aprile 1981.

248 POLITICA E MERCATO, cit., pagina 172.

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passate e presenti sono dominate dalle imprese e dalla proprietà, è alla minoranza dominante che forse dobbiamo i legami col mercato. In altre parole, è possibile che la vera democrazia non dipenda dal sistema di mercato. Soltanto le poliarchie esistenti ne dipendono, e soltanto perché, pur essendo libertarie, sono sottoposte al controllo non democratico delle imprese e della proprietà».249

Su questo punto, inevitabilmente, la discussione si focalizza; riprenderemo il discorso dopo avere delineato i due modelli di società bene ordinate e di pianificazione. Modelli che si rifanno alla distinzione tra sinossi e strategia, tra razionalità a priori e a posteriori, a cui corrisponde concettualmente la distinzione tra autorità e scambio, tra Stato e mercato.

5.7 I due modelli

Lindblom riprende il discorso sui due modelli di analisi e coordinazione, mettendoli in relazione a due tipi di pensiero e di fiducia sulla possibilità umana di raggiungere un sufficiente grado di comprensione del reale.La differenza centrale tra le due visioni, o modelli, è costituita dal ruolo dell’intelletto nell’organizzazione sociale.250

Punto nodale è la pianificazione, cioè la possibilità di risolvere simultaneamente un gruppo di problemi correlati, o di anticipare il manifestarsi di problemi futuri risolvendone alcuni al momento attuale.

«Le visioni opposte rispetto al policy making sono sintomatiche, sosteniamo, di un’opposizione più fondamentale o profonda – un insieme opposto di visioni sul ruolo massimo della ragione, pensiero, analisi o intelletto (per i nostri scopi i termini sono sinonimi) nella organizzazione sociale e nel cambiamento sociale».251

Lindblom, quindi, si allontana da quella tradizione lungamente consolidata che vede nella libertà la differenza essenziale tra comunismo e poliarchie basate sul mercato.

«Anche se è possibile che la libertà sia veramente la discriminante principale, il nostro compito qui non consiste nel valutare, ma nel chiarire i meccanismi fondamentali (senza i quali, nessuno può procedere con competenza a una valutazione). Inoltre, come è loro caratteristica, i comunisti affermano che solo una elite intellettualmente competente può guidare una società alla libertà. Su questa sola base, è necessario cominciare ad esaminare come i due diversi tipi di sistemi considerano l’intelligenza applicata ai compiti connessi con

249 Ivi, pagina 179.250 Ivi, capitolo 19. Le due visioni, o modelli, estrapolano certe caratteristiche fondamentali del comunismo e della

democrazia liberale, ignorando le altre. Individuano così un nucleo centrale, semplificato ed esagerato, in ciascuna di queste forme di organizzazione sociale.

251 C.E. Lindblom, “The Sociology of Planning: Thought and Social Interaction”, in (M. Bornstein ed.) ECONOMIC PLANNING, EAST AND WEST, Cambridge (Mass.), Ballinger, 1975, pagine 23-60. Qui, a pagina 24.

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l’organizzazione sociale».252

Queste due visioni sul ruolo dell’intelletto nell’organizzazione e nel cambiamento sociali, vengono quindi sviluppate comparando questo ruolo in due modelli di società “bene ordinate”, ad ognuna delle quali Lindblom associa un metodo appropriato di pianificazione. Questi due metodi corrispondono al metodo analitico, o intellettuale, di policy making o pianificazione, e il metodo interattivo, o strategico, di pianificazione; un terzo modello, di “razionalità limitata”, costruito sul modello di Simon, viene scartato a priori perché avrebbe complicato l’analisi.Lindblom ci presenta uno spartiacque: da un lato, una visione nettamente fiduciosa dell’uomo che usa la sua intelligenza nell’organizzazione sociale; dall’altro, una visione scettica delle sue capacità.Il primo modello, il comunismo idealizzato (Modello 1), postula che la competenza intellettuale sia sufficiente per compiti di organizzazione e cambiamento sociale; mentre la fede democratico- liberale nell’intelletto (Modello 2) era storicamente impressionante solo in contrasto all’autoritarismo e al tradizionalismo precedenti nella scienza, religione e politica. Secondo Lindblom, la fede nella ragione del secondo modello in confronto a quella marxiana e comunista è sparuta.253

Implicita nel punto di vista del Modello 1 è la convinzione di una possibile armonizzazione dei bisogni degli uomini, che possono essere conosciuti dalla elite intellettuale a guida della società. Il Modello 1 presuppone una nozione di razionalità sinottica; ciò implica che gli uomini siano in grado di esaminare l’intera gamma di soluzioni alternative e, disponendo di una teoria globale della società, di decidere razionalmente scegliendo la migliore.I leader sono legittimati a guidare la società in quanto capaci di produrre una teoria globale del cambiamento. Essendo in possesso di una teoria dell’organizzazione globale della società, una linea politica o un’istituzione possono venire verificate per scoprire se sono corrette. In questo modello si assume che sia dato un parametro per valutare la correttezza delle decisioni, che coincide con la soluzione dei problemi reali, adeguatamente individuati tramite analisi conclusiva. Quindi, l’organizzazione sociale corretta viene scoperta, non scelta; ciò autorizza l’elite al monopolio della verità. Questo modello comporta una soluzione armonizzante e coerentizzante di bisogni solo apparentemente conflittuali, non sembrando riconoscere la rilevanza della politica in quanto tale, che lascia il posto a un’amministrazione che procede tramite analisi conclusiva.254

Il modello precettorale differisce dal Modello 1 per il fatto che identifica il processo attraverso il quale una leadership, non necessariamente competente dal punto di vista intellettuale come nel Modello 1, attua il controllo sulla popolazione attraverso la persuasione. A differenza dei due modelli qui presentati, non è un modello che descrive come una società debba essere congegnata, ma soltanto un modello di come la leadership può attuare il suo progetto.255

252 POLITICA E MERCATO, cit., pagine265-266 in nota.253 “The Sociology of Planning”, cit., pagina28.254 Vedasi S. Veca, LA SOCIETÀ GIUSTA. Argomenti per il contrattualismo, Milano, Il Saggiatore, 1982, pagine 31-35.255 POLITICA E MERCATO, cit., pagina269.

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Nel Modello 2, questa visione euforica è sostituita da una visione nettamente caratterizzata dall’enfasi sui limiti della razionalità. Siccome gli uomini decidono sequenzialmente, non possono abbracciare tutte le alternative. Nel Modello 2, non essendoci a disposizione una teoria globale del mutamento sociale, o della soluzione dei problemi, e dovendo gli uomini riferirsi a teorie parziali o locali, la società è guidata da scelte e interazioni piuttosto che dalla ragione.Nel Modello 2, mancando un parametro dato per valutare la correttezza delle soluzioni, e dovendo essere sostituito con un indicatore delle scelte, l’organizzazione sociale non viene scoperta. Essa è un costrutto, come scelta tra alternative; la società viene intesa in termini di conflitto e negoziazione di regole tramite processi di interazione che forniscono una risoluzione “epifenomenica” ai problemi.256

La risoluzione dei problemi è quindi politica, piuttosto che analitica. Secondo Lindblom, questo implica, nonostante il fatto che processi e interazioni non risolvano necessariamente i problemi nel migliore dei modi possibili, che la risoluzione dei problemi nel Modello 2 avviene meglio di quanto succeda nel Modello 1. Ciò dipende dal fatto che viene accettata l’ipotesi della razionalità limitata come la più adeguata e profonda per la comprensione del modo in cui gli uomini risolvono i problemi. Qui, ciò che veramente importa è il viaggio verso una soluzione, in un certo senso, più della meta.Naturalmente le interazioni si trovano in tutte le società esistenti. La differenza tra i due modelli è che nelle società guidate intellettualmente le interazioni vengono considerate disorganizzanti, produttrici di problemi o al massimo di effetto neutro. Nelle società guidate dalle preferenze, o volizioni, nonostante venga ammesso che le interazioni producono spesso effetti di disturbo, alcune interazioni vengono considerate risolutrici di problemi e costituiscono un’alternativa alla risoluzione intellettuale dei problemi sociali.A parte il caso speciale del mercato, i casi più tipici di formazioni epifenomeniche di istituzioni e politiche sono quelle in cui una diffusione dell’autorità e di altri poteri mette in moto un’interazione politica tra gli individui e i gruppi, nella quale nessuna persona o gruppo analizza il problema o arriva a una soluzione, ma in cui una “soluzione” affiora tuttavia dall’interazione stessa.Lindblom sostiene che le società a Modello 1, confidando nel fatto che non esistono ostacoli insuperabili alle conoscenze di istituzioni e politiche corrette, non proteggono la ricerca e l’inchiesta scientifiche, e la discussione pubblica, con garanzie di libertà per perseguirle; mentre le società guidate dalle preferenze valutano la ragione, l’intelletto o l’analisi, più che le società a Modello 1. Infatti, riconoscono la difficoltà dell’analisi, la sua importanza, e l’inadeguato livello di competenze che raggiunge.Il discorso di Lindblom è che, come la grande impresa, o altre imprese d’affari, operano dentro un processo di interazione a cui la loro pianificazione può meglio adattarle, così deve fare

256 Lindblom intende per epifenomeno un sottoprodotto, un prodotto secondario non necessariamente voluto. Nella filosofia dello spirito il termine ha un significato particolare: fenomeno senza efficacia causale. Questo significato è qui escluso. Vedasi “The Sociology of Planning”, cit., pagina 33.

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un’organizzazione di governo; in tutte le società reali del mondo.257

La grande impresa può essere considerato il caso limite di pianificazione strategica, in cui la pianificazione è completamente subordinata a un processo di interazione.Nelle società a democrazia liberale, la pianificazione di governo è un processo per aiutare gli ufficiali e le organizzazioni di governo a giocare i loro rispettivi ruoli, in un vasto insieme di interazioni che non è pianificato.I sistemi comunisti, comunque, non praticano sistematicamente nessun metodo di pianificazione designato ad ottenere l’ottimizzazione. Per questo tipo di compito tutti i metodi specifici riconoscono l’impossibilità della direzione intellettuale della pianificazione.

«Ciò che distingue i sistemi comunisti dagli altri è meno che essi pianificano i metodi e le sequenze per mezzo dei quali intendono ottenere le loro grandi mete, piuttosto che essi hanno grandi mete e agiscono arditamente per raggiungerle».258

La conclusione che emerge dalla discussione delle pratiche di pianificazione comunista, è che esse non sono molto differenti da quelle delle società democratico-liberali. Entrambe rappresentano un misto di pianificazione convenzionale e strategica (caratterizzata da un approccio sequenziale e incrementale); in ogni caso, le decisioni chiave al livello più alto sono il prodotto delle interazioni tra i vertici delle élite, piuttosto che il risultato di un’attenta analisi condotta dai pianificatori.

5.8 Il problema della posizione privilegiata delle imprese

Per quanto riguarda la discussione sviluppatasi nel corso del libro, C. Anderson esprime il giudizio che:

«la discussione è imparziale, giudiziosa, equilibrata e – nel complesso – pienamente convenzionale»...

«Molto di ciò che Lindblom ha da dire è provocatorio ed originale e molto di esso è familiare. Grandi porzioni del buon senso convenzionale sono semplicemente inglobate nell’argomentazione senza molta riflessione o criticità. L’analisi dei fallimenti del mercato offerta al capitolo 6 potrebbe essere stata tratta da qualsiasi testo economico per principianti. La discussione sul potere del “business” esposta minuziosamente nel capitolo 14 suona moltissimo come un manuale revisionista del governo americano degli anni sessanta. L’intera considerazione della pianificazione comunista sarebbe adatta per un corso introduttivo di politica comparativa. Per molti aspetti questa caratteristica del libro è un vantaggio; POLITICA E MERCATO avrà senza dubbio un vasto uso didattico nei prossimi anni. Ne risulta, comunque, che Lindblom non avanza l’argomentazione così lontano, così vigorosamente, così plausibilmente come

257 “The Sociology of Planning”, cit., pagina 49.258 Ivi, pagina 57.

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avrebbe potuto. Come rassegna e sintesi delle trite controversie pro e contro la pianificazione e il mercato, il capitalismo moderno e il socialismo moderno, è superba, ma spesso non trascende i termini fissati del dibattito».259

Lindblom, comunque, sembra smarrire questo “giudizioso equilibrio” quando tratta della posizione privilegiata dell’impresa privata e del suo rapporto con la democrazia.Su questo punto si focalizza inevitabilmente la discussione; su questa visione provocatoria del potere particolare della grande impresa privata, e su un secondo punto, abbastanza differente, che si sofferma sul fatto che la grande impresa non si “concilia” con la teoria democratica.Inevitabilmente, molto di quello che è possibile dire (e che effettivamente è stato detto) riguardo a questo punto, riflette la posizione di parte del commentatore riguardo a questo problema.Linblom può essere applaudito come un liberale dell’establishment che “dice la verità” oppure condannato per uno scurrile attacco alla comunità degli affari.260

Il problema politico è scottante; di fronte a questo è possibile captare l’esposizione di Lindblom in termini quasi estremistici.Secondo Aaron Wildavsky,261 POLITICA E MERCATO può essere definito come un testo radicale:

«E’ radicale nella sua descrizione – il capitalismo incorporato è incompatibile con la democrazia; nella sua prescrizione – dividere i mercati dall’impresa privata in servizio dell’uguaglianza sociale e la purezza ambientale; e nella sua opposizione analitica di società concepita come una singola mente le cui elite intellettuali scelgono la singola politica corretta per tutto, come nell’economia di dominio e nella pianificazione burocratica, a società concepita come innumerevoli e diverse menti interagenti per arrivare a politiche concordate, come nella contrattazione politica e nelle transazioni di mercato».262

Il contributo basilare di Lindblom, che tenta di ottenere una separazione concettuale più radicale tra mercato e impresa privata, va considerato una pietra miliare nella storia del pensiero sociale.

«Traendo il pensiero radicale dal pantano dell’opposizione caparbia ai mercati per qualsiasi e ogni proposito, Lindblom incoraggia l’uso del loro stupefacente potere di calcolo in un modo radicalmente nuovo».263

È un problema questo, comunque, di fronte al quale fare attenzione, per non appiattire su di esso l’intero sforzo di Lindblom. Per coloro che vogliono capire la sua argomentazione, senza porsi in una posizione pregiudiziale pro o contro le istituzioni dominanti nel capitalismo moderno, la questione diventa non tanto da che parte stia Lindblom, ma se ciò che dice abbia senso.264

259 C.W. Anderson, “The Political Economy of Charles E. Lindblom”, cit. pagina 1014.260 Alcune recensioni attaccano Lindblom come marxista. Si veda per es. quella di A.S. Markovits e M.R. Somers,

in THE JOURNAL OF POLICY MODELLING, vol. 1, 1979, pagine 468-470. Questa è un'etichetta che, naturalmente, Lindblom rifiuta. Vedasi nella stessa rivista, il vol. 2, 1980, pagine 314-316.

261 A. Wildavsky, “Changing Forward Versus Changing Back”, YALE LAW JOURNAL, n. 88, 1978, pagine 217/34.262 Ivi, pagina 218.263 Ivi, pagina 219.264 C.W. Anderson, art. cit., pagina 1014.

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Egli inizia la sua argomentazione con un’analisi sulla “funzione pubblica” della grande impresa. Essa non è solamente un attore economico. Una parte delle decisioni, riguardanti produzione e distribuzione, viene presa dagli imprenditori, che si pongono come pubblici funzionari in una sfera sottratta al controllo poliarchico. Queste decisioni sono in effetti decisioni di pianificazione, caratteristiche dell’autorità politica. L’autorità dell’impresa è problematica per la democrazia poiché non deriva dalle istituzioni e dai processi poliarchici.Inoltre, una caratteristica distintiva dei sistemi di mercato basati sull’impresa privata è che gli imprenditori devono essere indotti ad adempiere alle loro funzioni pubbliche; i governi non possono effettuare semplici prescrizioni autoritarie alle direzioni d’impresa, ma devono offrire particolari benefici per assicurare un soddisfacente adempimento di queste funzioni.265

Il punto successivo dell’esposizione diventa problematico. Il potere delle imprese si fonda su risorse in denaro, organizzazione e accesso alla vita pubblica, che lo distinguono da tutti gli altri gruppi di interesse.Questo potere ha anche la capacità di selezionare l’agenda politica e di spostare l’attenzione del dibattito politico dalla sua posizione privilegiata grazie all’indottrinamento sociale.266

Questa è l’argomentazione della “circolarità” nella poliarchia. Le volizioni che si suppone guidino i leader politici ed economici sono formate dai leader stessi. Lindblom sostiene che il dibattito pubblico è pesantemente dominato da tematiche secondarie, mentre serie discussioni sulle grandi tematiche dell’organizzazione politico-economica sono rare. In questo quadro, sia l’istituzione educativa, che la pubblicità, sono importanti formatori dell’opinione pubblica.Lindblom, quindi, tenta di sostenere la sua asserzione che il potere dei dirigenti di impresa sia unico, per mezzo di un’analisi sull’élite del potere.267

Secondo Anderson, la percezione selettiva della realtà da parte di Lindblom è familiare, ma non particolarmente convincente per chi abbia percorso già questi terreni; in questa sezione Lindblom sembra perdere la caratteristica freddezza, così evidente nel resto del libro.

«Non c’è posto nella sua analisi per l’evidenza del crescente sospetto pubblico americano, intellettuale e della stampa, per la leadership dell’impresa privata, o per la prospettiva di una comunità degli affari che si vede crescentemente sulla difensiva, fronteggiata da burocrazie pubbliche e agenzie regolatrici antagonistiche quanto cooperative, sfidata di volta in volta da una nuova schiera di forze e gruppi politici ambientali, populistici e dei consumatori. Il fatto che gli americani non considerino seriamente l’alternativa socialista è un’evidenza difficilmente convincente riguardo all’indottrinamento capitalistico»...

«Forse le ragioni di Lindblom sarebbero state più irresistibili se avesse preso in piena serietà la tesi dell’egemonia capitalistica, se avesse evocato Gramsci, Habermas, Miliband e Offe piuttosto che le argomentazioni più pedestri della

265 POLITICA E MERCATO, cit., parte 5a, capitolo 13.266 Ivi, capitolo 15.267 Fino a proporre una teoria dell’élite in termini di classe socio-economica. Vedasi, ivi, il capitolo 17.

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scienza politica revisionista americana degli anni sessanta. Gli eroi di POLITICA E MERCATO, dice Lindblom, sono Adam Smith e Karl Marx – Smith per la sua valutazione dei poteri del meccanismo di mercato, Marx per la sua profonda intuizione delle implicazioni politiche delle istituzioni della società industriale. Eppure Lindblom non rende mai giustizia alla forza dell’analisi neo-marxista».268

Solo in un articolo recente, Lindblom, prende in più seria considerazione l’ipotesi neo-marxista; non tanto per abbracciarla seriamente, comunque, quanto per auspicare una migliore ricezione del pensiero radicale da parte degli scienziati appartenenti all’ortodossia dominante.269

La struttura dell’argomentazione di Lindblom ha paralleli affascinanti con quella avanzata in UNIONS AND CAPITALISM:270 una specifica istituzione sembra possedere risorse politiche distintive che rappresentano una minaccia all’integrità dell’economia liberale orientata dal mercato.Mentre in UNIONS AND CAPITALISM erano i sindacati a costituire una minaccia al sistema economico basato su un’economia concorrenziale, in POLITICA E MERCATO i sindacati non sembrano godere di una posizione privilegiata paragonabile a quella delle imprese. Per funzionare con successo, sostiene Lindblom, un sistema basato sul mercato può richiedere una tale sproporzionata influenza che persino l’emergere di una modesta opposizione risulta distruttivo per la stabilità e la crescita economica.271

L’argomentazione contenuta in UNIONS AND CAPITALISM non viene rinnegata, quindi, ma la sua importanza per l’organizzazione politico-economica viene relativizzata a fronte dello sproporzionato potere dell’impresa privata. Si noti che questo sviluppo sembra derivare dal fatto che la minaccia anticipata da Lindblom nel suo lavoro del 1949 non ha mai prodotto effetti che portassero la situazione alle estreme conseguenze.Anderson,272 sostiene che il ritratto della posizione privilegiata delle imprese nella democrazia liberale non porta avanti l’argomentazione a sufficienza, agli occhi di un osservatore non legato alle ortodossie dominanti.

«Per essere uno che trovò in POLITICS ECONOMICS AND WELFARE una avvincente via di fuga alle rigidità del dibattito sulla pianificazione pubblica, sono dispiaciuto che l’argomentazione sia stata posta nuovamente nel suo venerabile ferreo letto».273

Si noti come su un punto politicamente importante, come quello testé delineato, appaia chiara l’estrema difficoltà, quasi l’impossibilità, di porsi dal punto di vista del sistema da parte di un soggetto, senza cadere nel tentativo di avanzare terapie in favore dell’incremento dell’uso del

268 C.W. Anderson, art. cit., pagine 1014-1015.269 Vedasi “Another State of Mind”, in AMERICAN POLITICAL SCIENCE REVIEW, March 1982, vol.76, pagine 9-21.270 C.E. Lindblom, UNION AND CAPITALISM, Hamden (Conn.), Archon Books, 1970, (Ed. int.), (1^ ed. by Yale

University Press, 1949).271 Vedasi POLITICA E MERCATO, cit., pagina 209 e seguenti.272 C.W. Anderson, art. cit., pagina 1015.273 Ibidem. Si ricordi che in POLITICS ECONOMICS AND WELFARE, cit., Dahl e Lindblom sostenevano la relativa

insignificanza della contrapposizione tra proprietà pubblica e proprietà privata, a fronte dell'effettivo grado di controllo esercitato dal governo poliarchico.

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mercato o, viceversa, dello Stato.La terapia proposta da Lindblom (di tipo particolare, anche se inseribile tra quelle delle teorie “razionalizzatrici e di sinistra” dello schema di Donolo e Fichera),274 partendo dal problema del rapporto tra cittadini e istituzioni, propone una riforma su due versanti. Sul lato dello Stato, essa consisterebbe in un maggiore caratterizzarsi della politica poliarchica in termini di mercato, attraverso la riduzione dei poteri di veto esistenti; sul lato del mercato, essa consisterebbe in un’estensione dei controlli poliarchici alle imprese, e in una riduzione dell’autonomia del loro ruolo.In sostanza, la “soluzione” proposta da Lindblom (o meglio, la “direzione” da intraprendere incrementalmente, secondo il suo modello), consiste nello spingere avanti una variante di quel processo che è stato definito “politicizzazione del sociale e socializzazione della politica”, i cui elementi specifici sono esposti al paragrafo seguente.

5.9 Un futuro per la democrazia

Secondo Lindblom, sembra esserci urgente necessità di nuove forme di democrazia; il timore è che i problemi sociali sopravanzino le capacità di governo. È in discussione la capacità del controllo.In particolare esistono tre importanti matrici di inquietudine nel sistema politico-economico poliarchico, in particolare in quello americano, a livello istituzionale, economico e sociale.275

Il primo è il modello delle interazioni che risolvono i problemi, in particolare il carattere e il grado del mutuo aggiustamento nella politica poliarchica. La responsabilità è eccessivamente frammentata e l’iniziativa legislativa viene bloccata dalle difficoltà del rapporto tra il Presidente e il Congresso, e dalla frammentazione all’interno del Congresso stesso.276

Nel sistema di interazione frammentata degli Stati Uniti, è determinante la facilità con cui le opposizioni possono ostacolare una qualsiasi politica adottata per affrontare un determinato problema; Lindblom sostiene che i veti sono sproporzionatamente distribuiti nei sistemi poliarchici, in confronto alle possibilità di iniziativa.

«Il pericolo emergente per la sopravvivenza della poliarchia è che i veti vengono sempre più posti non semplicemente contro la proposta di redistribuzioni, ma contro la proposta di soluzioni che riguardano problemi collettivi».277

Tali questioni collettive (per esempio la politica energetica) rappresentano un genere di questioni in cui i soggetti non premono per ottenere qualcosa a spese degli altri, ma condividono un interesse collettivo superiore.Secomdo Lindblom, un confronto col processo decisionale del mercato può cambiare

274 C. Donolo e F. Fichera, IL GOVERNO DEBOLE. Forme e limiti della razionalità politica, Bari, De Donato, 1981.275 POLITICA E MERCATO, cit., capitolo 25.276 Ivi, pagina 366. Vedasi anche G. Pasquino, “Un caso di ingovernabilità: gli Stati Uniti d'America”, in IL

MULINO, Novembre-Dicembre 1979, pagine 805-835.277 POLITICA E MERCATO, cit., pagina368.

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complessivamente il carattere del nostro pensiero sui veti; in esso, compratori e venditori sono normalmente liberi di impegnarsi nelle transazioni senza tener conto di terzi. Il sistema di mercato è caratterizzato dall’esatto opposto del veto, e funziona con una forte tendenza verso l’innovazione. Queste stesse caratteristiche dovrebbero rivelarsi degne di essere perseguite nella poliarchia.Il problema del veto mette in luce la possibilità di ristrutturare un modello insoddisfacente di adeguamento reciproco, e lascia intendere che la ristrutturazione investe i fondamenti dell’ordine politico-economico.La seconda matrice di inquietudine, è un fondamentale problema di struttura, relativo ai privilegi di cui abbisognano gli imprenditori per svolgere la loro attività.278

Secondo Lindblom, i governi potrebbero assumersi il compito di congegnare un dosaggio discriminatorio di incentivi finanziari all’impresa e di controllo statale su di essa; la strategia centrale consisterebbe nel pagare le imprese perché rinuncino ad alcuni dei loro privilegi.Il terzo problema, è l’evidente declino dell’indottrinamento di classe; esiste la possibilità che le poliarchie basate sul mercato non possano riconciliare le necessarie richieste privilegiate delle imprese con le richieste di sindacati forti e di uno stato assistenziale, aumentate negli ultimi anni.279

Sorgono tensioni che possono essere esasperate dalla costante tendenza dei governi poliarchici a spostare certe decisioni dal mercato allo Stato. Più che la classe, comunque, la principale barriera istituzionale specifica che si oppone all’istituzione della democrazia è, per Lindblom, l’autonomia dell’impresa privata.

«Le grandi imprese private male si adattano alla teoria e alla visione democratica. A dire il vero non vi si adattano per niente».280

5.9.a La democratizzazione e i suoi problemi

Negli ultimi anni, si sono presentati alcuni indizi di democratizzazione.281

Essi consistono nello sviluppo di vari movimenti di liberazione e mobilitazione nella politica e nella società; nella riforma dei partiti politici, in cui (soprattutto nel partito Democratico) esiste un maggiore grado di controllo nei confronti della “Nomination”; i nuovi atteggiamenti verso il mondo degli affari in politica, dove trova un declino la convinzione che “ciò che va bene per le imprese private, va bene anche per l’America”; nella trasformazione del background culturale della popolazione, nel senso di un crescente livello di istruzione, che rappresenta una forza potenzialmente rivoluzionaria nella vita politica americana.Il problema di fondo, secondo Limdblom, è relativo alla scelta economica nei confronti della

278 Ivi, pagina 369 e seguenti.279 Ivi, pagina 372 e seguenti.280 Ivi, pagina 378.281 C.E. Lindblom, “La democratizzazione del sistema politico americano e i suoi problemi”, in (a cura di

Baldassarre e Cervati) CRITICA DELLO STATO SOCIALE, Roma-Bari, Laterza, 1982. Testo elaborato nel Novembre 1980 per una relazione all'Università di Perugia.

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democratizzazione.La democrazia ha dei limiti, entro i quali soltanto essa può essere sviluppata senza che si creino problemi che risultino insuperabili attraverso procedure democratiche.

«Non appena una società si spinge verso una maggiore democrazia essa va inevitabilmente incontro a certi costi. Molti di questi sono direttamente collegati alla fase di transizione e perciò durano quanto dura tale fase. Altri, invece, sono connessi a problemi strutturali che accompagnano qualsiasi tentativo di porsi a un livello di democrazia sostanzialmente più elevato di quello che c’è attualmente negli Stati Uniti».282

Costi fondamentali che Lindblom cerca di individuare.283

Il primo potrebbe consistere nel declino economico. La crescita di nuove domande di carattere democratico, che comporta una diminuzione dell’influenza politica delle grandi imprese, nella qualità di gruppi politici favoriti, comporta anche un rifiuto più frequente da parte dello stato di porre in atto le politiche dirette a concedere ai gruppi economici privati gli incentivi di cui hanno bisogno per proseguire la loro attività.Il secondo costo fondamentale, strettamente connesso al primo, è quello della “stagflazione”. L’aumento del livello dei prezzi sembra sopperire allo svilimento della posizione privilegiata delle imprese nel campo politico; è uno stimolo che può rappresentare uno dei fattori che spiegano la simultanea presenza di inflazione e stagnazione.Una terza difficoltà è che, di fronte a nuove domande di democratizzazione, anche gli uomini d’affari formulano domande di tipo nuovo. Lo stato assistenziale, destinato in origine alla cura dei gruppi sociali svantaggiati, ha ampliato il suo raggio d’azione fino a prendersi cura anche delle imprese in difficoltà.

«A me sembra, comunque, che l’eventualità di inefficienze conseguenti al sovvenzionamento di imprese che dovrebbero fallire fa balenare la minaccia di un grande spreco per la società americana, che si verificherebbe, curiosamente, in un modo indiretto ed estraneo alle tendenze verso la democratizzazione».284

In un esame più specificamente politico, le conseguenze al movimento di democratizzazione hanno innanzitutto segnalato il declino della funzionalità e dell’efficacia dell’azione dei partiti politici. Uno degli effetti è stato quello di strappare il partito alla leadership interna, comportando la tendenza verso una leadership politica più incompetente. Lindblom sostiene che:

«nel preciso momento della nostra storia in cui vi sarebbe bisogno di una nuova capacità politica al fine di occuparsi del bene comune piuttosto che degli interessi segmentali, la frammentazione della leadership derivante dal declino dei partiti spinge invece nella direzione opposta, poiché essa attenua, anziché accrescere, la

282 Ivi, pagina 94.283 Ivi, pagina 94 e seguenti.284 Ivi, pagina 97.

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capacità di affrontare le questioni realmente collettive».285

Ulteriore conseguenza è che:

«la crescente democratizzazione finisce paradossalmente per portare a un alto grado di collusione fra governo e imprese private, al fine di dimostrare che i bisogni delle imprese debbono essere soddisfatti anche a prezzo di ostacolare in vari modi le richieste elettorali derivanti dalle nuove organizzazioni e dalle nuove pressioni di carattere democratico».286

Ultima conseguenza della democratizzazione è la mancanza di disposizione della popolazione nel suo complesso a sostenere i costi di quello che chiede al sistema politico; una quantità crescente di gruppi sociali viene posto nella condizione di poter resistere efficacemente a ciò che erano soliti sopportare in precedenza.Il risultato è la paralisi.È questo un quadro pessimistico, che Lindblom percepisce e presenta in termini di sfida:

«vorrei precisare che non intendo sostenere che i costi alla democratizzazione del sistema americano sono troppo alti e perciò inducono a ritenere che non valga la pena di andare avanti verso una maggiore democrazia. È mia opinione, invece, che i costi dei progressi nel processo di democratizzazione sono così grandi da costituire una sfida assolutamente prioritaria alla nostra capacità (intelligence) politica. Se vogliamo una democrazia sviluppata, ci attende un lavoro molto impegnativo per ricercare i modi per ottenerla a un costo appropriato».287

285 Ivi, pagine 99-100.286 Ivi, pagina 100.287 Ivi, pagina 102.

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6. Analisi politica

6.1 “Policy analysis”

Uno sviluppo che ha caratterizzato le scienze sociali durante gli anni Settanta, in particolare negli Stati Uniti, è stata la crescita dell’orientamento “politico”, in un’estrema varietà di approcci che rendono inutile andare oltre l’osservazione che un tale sviluppo implica un interesse rapidamente crescente nello studio delle politiche pubbliche, attraverso il dipanarsi di diverse prospettive.288

Uno dei più completi contributi a questa concezione è stato offerto da Aaron Wildavsky,289 il quale ha sostenuto l’ambizione di fornire sia le conoscenze che l’etica per una nuova professione: l’analista politico.Il ruolo di questa nuova figura professionale dovrebbe essere di collegare il potere e la conoscenza. Nella visione di Wildavsky, che si ricollega direttamente alla definizione del modello interattivo incrementale di risoluzione dei problemi, la generale preferenza per le soluzioni di mercato rispetto alla pianificazione pubblica è un elemento chiave.Come è possibile arguire da quanto detto, molto del lavoro di Lindblom è rilevante per l’analisi politica; sembra infatti che sia stato il primo a usare questo termine in modo consistente.290 Senza voler togliere nulla all’originalità della concezione di Wildavsky, bisogna considerare che il suo debito nei confronti del lavoro di Lindblom sul “policy making”, è considerevole.291

Nei suoi primi lavori, Lindblom sembra aver usato il termine “policy analysys” in un senso molto esteso, che sembra adattarsi a qualsiasi forma sistematica di analisi della politica.Quando il termine appare in USABLE KNOWLEDGE,292 il libro scritto insieme allo storico D.K. Cohen, la sua connotazione è più precisa:

«una visione di crescente prestigio tra i praticanti dell’inchiesta sociale professionale su come essi possano meglio contribuire alla risoluzione dei problemi sociali, rovescia esplicitamente tutto il “problem solving” sull’inchiesta sociale professionale in una particolare forma. Essa viene chiamata “analisi politica”. Una comune variante è l’analisi dei sistemi».293

288 Vedasi R. Premfors, “Review Article: Charles Lindblom and Aaron Wildawsky” in BRITISH JOURNAL OF POLITICAL SCIENCE, April 1981, pagine 201-225.

289 A. Wildavsky, SPEAKING TRUTH TO POWER: THE ART AND CRAFT OF POLICY ANALYSIS, Boston (mass.), Brown, 1979.290 Di questo avviso è Y. Dror. Vedasi R. Premfors, art. cit., pagina 223.291 Ibidem. Debito facilmente riscontrabile nei suoi lavori sull’incrementalismo nel bilancio. Vedasi A.

Wildavsky, THE POLITICS OF BUDGETARY PROCESS, Boston, Little & Brown, 1964; e A. Wildavsky, BILANCIO E SISTEMA POLITICO, Milano, Angeli, 1978.

292 C.E. Lindblom e C.K. Cohen, USABLE KNOWLEDGE, SOCIAL SCIENCE AND SOCIAL PROBLEM SOLVING, New Heaven, Yale University Press, 1979.

293 Ivi, pagina 90.

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6.2 Una conoscenza utilizzabile

Questo libro fornisce l’illustrazione di “un tipo di irrazionalismo” che viene criticato dagli autori, ed espone una concezione davvero pessimistica dell’impatto dell’analisi in generale, e della scienza sociale in particolare, sulla risoluzione dei problemi.Lo stimolo che spinge Lindblom e Cohen nello scrivere questo testo è appunto l’insoddisfazione rispetto alla scienza sociale e alla ricerca sociale come strumenti di risoluzione dei problemi. I policy maker e altri risolutori di problemi politici esprimono frequentemente la loro frustrazione rispetto a ciò che gli viene offerto dagli scienziati sociali, che spesso desiderano essere più presi in considerazione, più utili o più influenti.Contro questi problemi, gli autori sostengono che gli scienziati e i ricercatori sociali devono prima comprendere i loro compiti professionali, spesso oscurati da un’abituale confusione tra ciò che essi fanno solitamente e ciò che le convenzioni scientifiche spingono loro a pensare di dover fare. Movendosi in questa direzione, Lindblom e Cohen forniscono un’agenda di questioni di base che devono essere poste e risolte da coloro che si devono confrontare con l’impatto della scienza e della ricerca sociali sui problemi della vita reale.294

Il punto fondamentale è che gli scienziati sociali non sempre valutano giustamente che l’inchiesta sociale professionale è uno tra i molti metodi di risoluzione dei problemi. Essi sono spesso impegnati in un’errata ricerca di autorevolezza, non riconoscendo che il loro contributo non può mai essere altro che parziale. Lindblom e Cohen sostengono che essi devono riesaminare i loro criteri di selezione dei soggetti di ricerca, studiare le loro tattiche comparandole con quelle dei policy maker e considerare più attentamente i proprio ruolo in relazione ad altre pratiche di risoluzione dei problemi.Gran parte del lavoro contenuto in questo testo è strettamente collegato al precedente lavoro sul policy making di Lindblom; cioè, nello specifico, l’incrementalismo sconnesso e il mutuo aggiustamento delle parti. Quel lavoro, comunque, considerava in gran parte come date le pratiche dei vari decisori e degli scienziati sociali, e volgeva la sua attenzione esclusivamente alle problematiche politiche.Il presente proposito, di portata più vasta, consiste nel sollevare questioni sulla pratica generale della ricerca sociale e sulla relazione tra la scienza sociale e altri tipi di indagine professionale; non a livello sociale, ma a livello delle questioni esplicitamente politiche.Mentre i precedenti lavori si soffermavano largamente su tematiche riguardanti il processo di formazione delle decisioni politiche, il presente lavoro si sofferma sui problemi metodologici della scienza e della ricerca sociali.

«Più precisamente, dove gli studi precedenti esaminavano un’intersezione della scienza sociale e del policy making, un’intersezione avvincente solo alla periferia di entrambi, gli sudi proposti indietreggiano dalla periferia in direzione del centro della ricerca sociale».295

294 Vedasi, ivi, pagina vii.295 Ivi, pagine 6-7.

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La tesi di fondo, così come nella “scienza del ‘sapersela cavare’”, è quella di una soluzione interattiva dei problemi sociali, in un modello di razionalità a posteriori in cui la risoluzione dei problemi sociali non produce necessariamente una soluzione definitiva degli stessi.

«Infatti la nostra supposizione è che lo fa raramente o mai. Persino con quella capacità, potrebbe essere argomentato che le interazioni di mercato non risolvono il problema della allocazione delle risorse; invece esse conseguono un risultato che lo rende non essere un “problema”».296

Poiché l’inchiesta sociale professionale è costosa, tanto da non potere essere usata per la maggior parte dei problemi sociali, né spinta a risposte conclusive per quei problemi per i quali è usata, e poiché non potrebbe ottenere risposte conclusive per una serie di problemi anche se fosse un bene ottenibile senza spesa, i suoi praticanti non devono ricercarne l’autorevolezza.297

L’autorevolezza è di due tipi: in un caso una proposizione è autorevole perché il suo grado di prova scientifica è alto, e non ci sono ostruzioni positive su altri terreni alla sua autorevolezza; in un secondo caso lo è se, sebbene il suo livello scientifico lasci a desiderare, le prove scientifiche o professionali confermino, o siano confermate da, la conoscenza ordinaria. Nel primo caso l’autorevolezza viene definita indipendente, nel secondo dipendente.298

Cohen e Lindblom sostengono che l’inchiesta sociale professionale non può essere indipendentemente autorevole e che essa sarebbe più efficace se ne fosse ricercata l’autorevolezza dipendente; per cui l’ottenimento di un alto grado di prova scientifica, seppure fosse possibile non sarebbe sufficiente (poiché in aggiunta si dovrebbe avere conferma da parte della conoscenza ordinaria); che, perciò, i praticanti dell’inchiesta sociale professionale devono prestare attenzione alla conferme delle loro conoscenze da parte delle conoscenze ordinarie; e che, infine, esistono in ogni caso ruoli alternativi per l’inchiesta sociale professionale che non richiedono autorevolezza, sia dipendente o indipendente.299

La soluzione per questa errata ricerca di autorevolezza è, naturalmente, la soluzione epifenomenica dei problemi.

«Sappiamo tutti che, quando la società tenta di risolvere un problema, spesso ne crea altri. Il nostro punto è semplicemente che, in alternativa, quando la società tenta di risolvere un problema, spesso ne risolve altri».300

Le soluzioni epifenomeniche comprendono sia le soluzioni comprese o analizzare, sia le soluzioni interattive.Le maggiori idee di questo libro riflettono, dunque, “La scienza del ‘sapersela cavare’”,301 riassumendo le tematiche riguardo al modello di analisi strategico in alternativa al modello

296 Ivi, pagina 26.297 Ivi, pagina 40.298 Ivi, pagine 41-42.299 Ivi, pagina 45.300 Ivi, pagina 57.301 Rimando al mio capitolo 3.

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sinottico, e prestandosi al medesimo tipo di critica.In particolare, la critica relativa al fato che il modello di analisi a posteriori di Lindblom giustifica una politica di nessuno sforzo, diventa che questo modello arriva a prescrivere una ricerca senza uno sforzo di andare al di là di uno stretto interesse immediato per la situazione data, richiedendo ai suoi partecipanti di non ricercare l’autorevolezza scientifica e, anzi, di rinunciare a idee che entrino in contrasto con la conoscenza ordinaria.

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Conclusioni

Di fronte al manifestarsi di fenomeni che rendono evidente l’insufficienza della semplice mediazione degli interessi a ricostituire le scorte di consenso al sistema democratico, lo schema interpretativo generalmente utilizzato è quello del divario apertosi tra il crescente fabbisogno di governo e le limitate capacità di governo.302

«Le diverse teorie della “crisi di governabilità” si possono ordinare intorno ai due poli della discrepanza tra crescenti problemi e domande cui il sistema politico-amministrativo si trova esposto e limitate capacità di risposta, tra problemi e soluzioni, secondo che esse si presentino come strategie di riduzione delle domande e quindi del fabbisogno di governo o come strategie di elevamento delle capacità di governo politico».303

Da un lato si possono porre le teorie di destra, neo-liberali e neo-conservatrici, in cui lo scarto tra problemi e azione di governo viene risolto con la pretesa di ridurre e spoliticizzare i problemi, ritornando a un ordine spontaneo e al tradizionale valore di un governo minimale.304

A queste si possono contrapporre, d’altro lato, concezioni che, ponendo l’accento sulla pressione dei problemi, sostengono la necessità di pervenire a un ordine regolato, con una rinnovata capacità di governo, centrata sulla realizzazione dell’interesse generale. Tra queste ultime concezioni si possono distinguere due varianti: la variante razionalizzatrice (con le sue versioni: tecnocratica centralizzata, in cui lo Stato stesso, con le sue strutture non modernizzate, viene visto come limite dell’attività di governo; ingegneristica costituzionale e istituzionale, che punta a un rafforzamento e consolidamento dell’esecutivo attraverso riforme istituzionali; neo-corporativista, che punta al superamento dei problemi di integrazione e di consenso, attraverso la trasformazione del pluralismo in un sistema di scambi tra i vari attori, fino a una regolazione formale tramite procedure),305 e la variante di sinistra (dove la crisi viene individuata nei limiti dell’azione statale nelle sue relazioni esterne, in particolare nella struttura economica capitalistica, e la sua risoluzione nella pianificazione e nella politicizzazione dei problemi).306

Secondo Donolo e Fichera, queste strategie fondamentali (quella di destra di riduzione della domanda e del fabbisogno di governo, e quella di sinistra di elevamento della capacità di governo), nonostante la contrapposizione nello scontro politico, presentano una serie di

302 Cfr. C. Donolo e F. Fichera, IL GOVERNO DEBOLE. FORME E LIMITI DELLA RAZIONALITÀ POLITICA, Bari, De Donato, 1981.303 Ivi, pagina 10.304 A questo filone possiamo ascrivere, tra altri, J.M. Buchanan, I LIMITI DELLA LIBERTÀ, Torino, Biblioteca della

libertà, 1978; e M.J. Crozier, S.P. Huntington, J. Watanuki, LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA, Milano, Angeli, 1977.305 Come esempi, nell’ordine: N. Luhmann, STATO DI DIRITTO E SISTEMA SOCIALE, Napoli, Guida, 1978; F.W. Scharpf,

“Il ruolo dello Stato nel sistema economico occidentale: tra crisi e nuovi orientamenti”, in (a cura di Donolo e Fichera), IL GOVERNO DEBOLE, cit.; P. Schmitter e G. Lehmbruch (eds.), TRENDS TOWARD CORPORATIST INTERMEDIATION, London, Sage, 1979.

306 Vedasi C. Offe, LO STATO NEL CAPITALISMO MATURO, Milano, Etas Libri, 1977; J. Habermas, LA CRISI DELLA RAZIONALITÀ NEL CAPITALISMO MATURO, Roma-Bari, Laterza, 1975; J. O’Connor, LA CRISI FISCALE DELLO STATO, Torino, Einaudi, 1977.

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premesse comuni.307

In primo luogo, esse sottintendono una comune ipotesi di evoluzione storica, che va da una fase di primato del mercato capitalistico ad una fase di crescente pianificazione politica, e che subisce un’interruzione tale da determinare il passaggio da una fase di stabilità a una fase di crisi, propria degli anni Settanta. Su questa base, le due strategie avanzano eziologie e terapie speculari: Stato e mercato si presentano alternativamente nell’una concezione come un pericolo, nell’altra come una possibilità.

«La rilevata discrepanza tra problemi da un lato e soluzioni dall’altro, è dunque tradotta in uno schema interpretativo di tipo strategico che si può così raffigurare: crisi → soluzione. Questo schema interpretativo, mentre è perfettamente comprensibile nella prospettiva dell’agire strategico dei singoli attori politici, appare invece incongruo nell’ottica del sistema sociale complessivo».308

Mentre le strategie di destra non considerano adeguatamente le necessità di governo politico e i limiti strutturali alla possibilità di ridurlo, le teorie razionalizzatici e di sinistra non prendono in adeguata considerazione le difficoltà di governo e i limiti strutturali alla possibilità di elevarne le capacità.Una volta constatato il dislivello tra la complessità dei sistemi sociali e la limitata possibilità del governo politico, la problematica non si può costituire se non tenendo conto di un tale scarto; in questo quadro il modello interpretativo crisi → soluzione si rivela inadatto.

«La conclusione è che non si è di fronte a una crisi di sistema e/o di legittimazione manifesta, automatica e irreversibile e nello stesso tempo che non si è di fronte a terapie di soluzione, ma piuttosto al coesistere di crisi e tentativi di governo, in una tensione costante fino al limite del fallimento e del blocco che non può essere escluso a priori».309

Siamo entrati, insomma, in una situazione critica permanente.Dallo schema interpretativo che pone un rapporto diretto tra crisi e soluzione (proprio della strategia dell’attore), sembra si debba passare a uno schema analitico che vede un rapporto di interdipendenza reciproca tra crisi e soluzione (nel senso che le soluzioni ai problemi contro i quali si reagisce producono a loro volta problemi anche maggiori).Poiché il sistema non può porsi come soggetto, né vi è alcun soggetto che possa pretendere di essere rappresentante del sistema complessivo e che possa rinunciare ad essere attore, il sistema politico non risulta direttamente razionalizzabile in riferimento alla logica del sistema sociale complessivo. Quindi, mentre a livello dell’attore lo schema interpretativo strategico costituisce lo schema teorico-pratico che ispira l’agire dei soggetti, a livello sociale complessivo sembra necessario passare ad uno schema analitico di razionalità a posteriori.

307 Donolo e Fichera, op. cit., pagina 16 e seguenti.308 Ivi, pagina 19.309 Ivi, pagina 36.

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È a livello di questa distinzione che si inserisce nella problematica il modello di razionalità di Lindblom (ed è a livello di questa fondamentale distinzione che il suo lavoro tende ad entrare nella cultura politica del nostro Paese: rispetto alla rinuncia ad una filosofia della storia da parte di chi lavori a livello del sistema sociale complessivo, e di una rinuncia all’indagine – che, a partire dalle sue implicazioni descrittive comporterebbe anche implicazioni normative – di un orientamento teleologico di base del sistema sociale).310

La conclusione di Lindblom è che il tipo di razionalità a priori sottesa al modello sinottico non può mai verificarsi. L’unica possibile razionalità è quella data dall’adattamento reciproco delle parti; razionalità propria del sistema sociale complessivo.In alternativa a questa concezione della razionalità, Crozier e Friedberg, nella loro indagine sull’azione degli attori rispetto al funzionamento dei sistemi sociali,311 lontani da una mera riproposizione dell’ideale sinottico, tendono a stabilire un rapporto tra la razionalità a priori del decisore e la razionalità a posteriori del sistema.312

Dal dibattito relativo al rapporto tra razionalità a priori e a posteriori è possibile ricavare due importanti conseguenze relative alla funzione dell’attore politico e alle regole che presiedono all’espletamento di tale funzione:

«1. l’attore politico svolge la funzione dell’innovazione, occupa la dimensione temporale, interviene sul nesso continuità/discontinuità. La soluzione del problema dell’innovazione è affidata agli attori politici, essi servono appunto a innovare nel contesto interattivo e problematico dato;2. l’attore politico svolge questa funzione sulla base delle “regole” dell’agire strategico»… «Per sfuggire alla paralisi e all’appiattimento il singolo attore giustifica la sua esistenza o si costituisce ex novo in quanto: a) cerca di uscire dal contesto dato, di innovare o risolvere i problemi; b) tenendo nel contempo conto del contesto problematico e interattivo. Nel rapporto tra a) ↔ b) vi è la possibilità effettiva, però limitata, di innovazione o soluzione dei problemi. Si interviene in un contesto relativamente dato, innovando o risolvendo i problemi in senso relativo».313

Di fronte alla discrepanza apertasi tra problemi e soluzioni e in presenza di deficit strutturali di razionalità e consenso a fronte dei problemi complessi, il sistema politico reagisce attraverso meccanismi di governo politico e razionalità limitata e con limitate capacità di produzione del

310 Per la fondamentale ricezione dell’argomentazione relativa alla superiorità della democrazia liberale rispetto al sistema pianificato sovietico, vedasi S. Veca, LA SOCIETÀ GIUSTA. ARGOMENTI PER IL CONTRATTUALISMO, Milano. Il Saggiatore, 1982, pagina 30 e seguenti.Le analisi che prendono in considerazione il modello di policy making di Lindblom non si esimono dal porre in questione il suo modello di razionalità (vedasi in proposito lo stesso lavoro di Donolo e Fichera, cit.). È da notare, comunque, che la ricezione italiana della sua opera amplia quella che sembra una sua caratteristica dominante: il suo lavoro sembra più spesso semplicemente citato che argomentato seriamente.

311 M Crozier e E. Friedberg, ATTORE SOCIALE E SISTEMA, Milano, Etas Libri, 1978.312 Essi partono dal concetto di razionalità limitata di H. Simon.313 Donolo e Fichera, IL GOVERNO DEBOLE, cit., pagine 41-42.

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consenso.

«Il governo politico che ne risulta è un governo strutturalmente debole: a) il governo è una risultante non prestabilita di processi di interazione tra “governi parziali” e governo centrale; b) una risultante entro margini di oscillazione (interazione + non decisione); c) con la preferenza per i cicli politici minori, la politica reattiva, le politiche settoriali e frammentate, incrementali e al margine, l’intervento sui sintomi; d) una “soluzione” di governo sub ottimale; e) una miscela sempre precaria e relativamente reversibile tra mercato - democrazia - stato; f) un governo dunque che non dà soluzione ai problemi, ma non per questo cade in una crisi politica aperta, anche se vi è continuamente esposto».314

La soluzione che viene a crearsi, fondata sul possibile e sul fattibile, tende quindi a portare a un governo sub ottimale, corrispondente al concetto di razionalità limitata. In tutta una serie di situazioni si arriva fino a fenomeni di rinuncia al governo da parte delle autorità centrali, rinuncia che può intendersi come nuova possibile razionalità.Non essendo il sistema politico razionalizzabile in riferimento alla logica del sistema sociale complessivo, in quanto manca a questo livello un soggetto di riferimento cui sia possibile imputare un agire strategico razionale, chi può salvare il sistema politico, innovarlo o attivarlo, possono essere solo i vari attori politici con il loro agire strategico.

«Le terapie a livello di sistema si espongono al fallimento più banale o sono meri appelli patriottici, inviti o richiami alla necessità di “razionalizzare” il governo politico – nei limiti del governo debole –, a razionalizzare l’integrazione sistemica sempre instabile e precaria, a prestare il proprio accordo e consenso perché “siamo tutti nella stessa barca”».315

Le capacità “imprenditoriali” degli attori assumono una crescente importanza assieme alla loro capacità di incorporare saperi specialistici. In questo senso, assume particolare importanza la reale capacità e razionalità “imprenditoriale” dell’amministratore pubblico.Lindblom, esimendosi dal porre in discussione il carattere razionale del decisore, ha fornito un modello di decision making teso a massimizzare la sicurezza del perdurare delle organizzazioni operanti, in un quadro in cui l’innovazione avviene come semplice scelta tra alternative marginali che si presentano sequenzialmente di fronte all’attore. Questo porta all’identificarsi dell’innovazione come problema; infatti, per quanto difficile, l’esercizio del tentativo di pilotare il mutamento viene perseguito dai vari decisori, in relazione ai vantaggi che un miglioramento e un mutamento pilotato procurerebbero. Un tale risultato non può tanto essere ottenuto dal libero gioco del mutuo aggiustamento, quanto dalla costruzione e ristrutturazione dei sistemi di azione.Il problema, a livello di policy making, viene indagato da Y. Dror che sostiene la possibilità di razionalizzare il policy making stesso attraverso politiche procedurali, per il superamento del

314 Ivi, pagina 48.315 Ivi, pagina 84.

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particolarismo degli adattamenti reciproci.316

Il problema è, dunque, quello di un’azione strategica (non sinottica) a livello delle politiche pubbliche; problema di fronte al quale lo stesso Lindblom non è insensibile.317

In questo senso è interessante notare che Lindblom, individuando nell’eccessiva distribuzione dei poteri di veto nella poliarchia e nella posizione privilegiata delle imprese nel sistema politico gli ostacoli al funzionamento della democrazia, si pone nel senso dell’agire strategico, rinunciando in parte allo schema analitico di razionalità a posteriori.Egli, dunque, avanza un’eziologia, e di converso una terapia, per la “soluzione” della crisi del sistema politico-economico, genericamente inseribile tra le teorie razionalizzatici e di sinistra dello schema di Donolo e Fichera.Per quanto riguarda la possibilità di intervenire a livello amministrativo per ristrutturare (in tale e altro senso) i sistemi di azione – per quanto riguarda, cioè, la strategia adottabile da parte dell’amministratore pubblico – il lavoro, di indagine, rimane in gran parte da fare.

316 Y. Dror, PUBLIC POLICY-MAKING REEXAMINED, Scranton (N.J.), Chandler, 1968.317 Vedasi, al paragrafo 5.7, il suo concetto di pianificazione strategica. Vedasi anche “Still Muddling, Not Yet

Through”, in PUBLIC ADMINISTRATION REVIEW, 1979, pagine 517-526.

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Bibliografia

Bibliografia di Lindblom

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R.A. Dahl eC.E. Lindblom

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