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Nozioni di Geometria Differenziale Geometria delle curve Geometria locale delle superfici Geometria intrinseca delle superfici Parallelismo superficiale e geodetiche Daniele Ghisi, dalle lezioni del prof. F. Magri
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Nozioni di Geometria Differenziale - TIM · Nozioni di Geometria Differenziale Geometria delle curve Geometria locale delle superfici Geometria intrinseca delle superfici Parallelismo

Feb 19, 2019

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Nozioni diGeometria Differenziale

Geometria delle curve

Geometria locale delle superfici

Geometria intrinseca delle superfici

Parallelismo superficiale e geodetiche

Daniele Ghisi,dalle lezioni del prof. F. Magri

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Parte I

Geometria delle curve

3

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Capitolo 1

Curve nel piano

1.1 Definizione e primi esempi

Nel piano E2, vi sono diversi modi di definire una curva1:

• come traiettoria di un punto mobile (curva parametrizzata);

• come luogo dei punti che godono di una certa proprieta (curva dataper equazione).

Figura 1.1: Curva

1Con E2 si intende il piano euclideo. Al di la delle evidenti analogie, si puo notare unasottile differenza tra R2 ed E2: mentre il primo spazio e formato da coppie ordinate dinumeri, il secondo e formato da punti

5

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6 CAPITOLO 1. CURVE NEL PIANO

1.1.1 Curve parametrizzate

Le curve di cui ci occuperemo saranno in massima parte curve parametrizza-te, ossia (fig. 1.1) sara data una funzione α : I ⊂ R → E2 che sia per lo menocontinua. α e differenziabile, cioe se le componenti x(t) e y(t) sono di classeC1.Per tali curve e definita una velocita ~v =P (t) = x(t)~i+ y(t)~j, dove P (t) = (x(t), y(t)) eil generico punto che si muove sulla curva α alvariare di t. Diremo che la curva sara regolarese la velocita esistera non nulla in ogni punto,ovvero se ~v 6= 0 ∀t ∈ I.Per quale ragione desideriamo richiedere che lacurva sia regolare? Da un lato perche voglia-mo che almeno localmente (nell’intorno di ognipunto) esista una corrispondenza biunivoca trai punti della curva e l’intervallo I dell’asse reale; dall’altro perche vogliamopoter definire la retta tangente (ossia la retta individuata dal vettore velo-cita).Tale retta tangente e definita dall’equazione vettoriale:

Q = P (t0) + λ~v λ ∈ R

o anche, in componenti: ¨x = x0 + λx(t0)y = y0 + λy(t0)

(1.1)

A patto dunque che (x(t), y(t)) 6= (0, 0) ∀t ∈ R, la retta e definita, non de-genere, per ogni punto (x0, y0) della curva. Si dimostra che la retta tangentein un punto P0, cosı come noi l’abbiamo definita, e il limite delle rette secantipassanti per P0 e un altro punto R, al tendere di R→ P0.

1.1.2 Curve date per equazione

Una curva γ data per equazione e il luogo delle coppie ordinate (x, y) cheverificano una condizione del seguente tipo:

(x, y) ∈ γ ⇔ F (x, y) = 0

• Se F (x, y) e un polinomio la curva si dice algebrica.

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1.1. DEFINIZIONE E PRIMI ESEMPI 7

• Se F ∈ C1 (ossia con derivate parziali ∂F∂x

e ∂F∂y

continue) la curva si dicedifferenziabile.

• Infine se le derivate parziali ∂F∂x

e ∂F∂y

non sono mai contemporaneamentenulle in alcun punto di γ la curva si dice regolare.

Questo discorso puo essere esteso facilmente a curve in uno spazio n-dimensionale,a patto di avere n− 1 equazioni del tipo8>>><>>>:

F1(x1, . . . , xn) = 0F2(x1, . . . , xn) = 0...Fn−1(x1, . . . , xn) = 0

In questo caso si puo esprimere la condizione di regolarita come una condi-zione sul rango della matrice jacobiana associata al sistema di equazioni. Lamatrice assume la forma:

J(x1, x2, . . . , xn) =

0BBBBBB@∂F1

∂x1

∂F1

∂x2

· · · ∂F1

∂xn...

.... . .

...∂Fn−1

∂x1

∂Fn−1

∂x2

· · · ∂Fn−1

∂xn

1CCCCCCAe, per avere regolarita si impone che il rango di tale matrice sia massimo perogni scelta di (x1, x2, . . . , xn), ovvero

rgJ = n− 1

Si noti che in due dimensioni J(x, y) = [∂F∂x

∂F∂y

] e la condizione sul rangoequivale alla condizione sul non annullamento simultaneo delle due derivateparziali.La tangente a una curva regolare data per equazione risulta dunque essere illuogo dei vettori (u, v) uscenti da P che verificano l’equazione lineare

∂F

∂x(x0, y0)u+

∂F

∂y(x0, y0)v = 0 (1.2)

Per quale ragione tale definizione di retta tangente e una buona definizio-ne? Una giustificazione euristica puo essere la seguente: il gradiente di unafunzione e ortogonale alle sue linee di livello, dunque la retta ortogonale algradiente e la retta tangente alle linee di livello. Imponendo l’ortogonalitatra gradiente gradF (x0, y0) e il generico vettore (u, v) si trova facilmente l’e-quazione (1.2).

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8 CAPITOLO 1. CURVE NEL PIANO

Figura 1.2: L’ellissi

Esempio: l’ellissi. Definita per equazione risulta essere:

γ :x2

a2+y2

b2= 1 (1.3)

Dall’equazione (1.2) ricaviamo agevolmente la formula per trovare la rettatangente in un punto P (x0, y0) appartenente all’ellissi. Il generico vettore(u, v) spiccato da P sara (x− x0, y − y0), da cui la tangente risulta essere

∂F

∂x(x0, y0)(x− x0) +

∂F

∂y(x0, y0)(y − y0) = 0

2x0

a2(x− x0) +

2y0

b2(y − y0) = 0

2xx0

a2− 2x2

0

a2+

2yy0

b2− 2y2

0

b2= 0

E ricordandoci che il punto (x0, y0) deve appartenere all’ellisse, dunque veri-ficare l’equazione (1.3), si ha:

2xx0

a2+

2yy0

b2− 2 = 0

xx0

a2+yy0

b2= 1 (1.4)

Procedendo invece a partire dall’equazione parametrica¨x = a cosϕy = b sinϕ

(1.5)

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1.1. DEFINIZIONE E PRIMI ESEMPI 9

otteniamo, ricordandoci del sistema (1.1), l’equazione parametrica della tan-gente alla curva ¨

x = x0 − aλ sinϕy = y0 + bλ cosϕ

(1.6)

Sostituendo i valori di x e y trovati nel sistema (1.6) nell’equazione (1.4), ericordandoci nuovamente che (x0, y0) ∈ γ si giunge immediatamente ad unidentita: abbiamo cosı verificato in un caso pratico la compatibilita delle duedefinizioni apparentemente diverse di retta tangente.

Figura 1.3: La cicloide

Esempio: la cicloide. La cicloide e la traiettoria descritta da un puntosituato su una ruota che rotola senza strisciare su una guida rettilinea. Affin-che non si abbia striscio, deve succedere che il cammino percorso sulla guidarettilinea deve essere uguale all’arco svolto sulla ruota.Per tradurre questa condizione in equazioni parametriche della curva, intro-duciamo il parametro ϕ che individua l’angolo svolto dalla ruota.

Supponiamo di avere la nostra ruota fer-ma, e chiamiamo P il punto di contattodella ruota con il terreno. Vogliamo se-guire la traiettoria di P durante il rotola-mento della ruota. Dette (x, y) le coordi-nate P a un istante generico, dette (xc, yc)le coordinate del centro della ruota a unistante generico, detto R il raggio dellaruota, si ha che:

yc = R = y −R cosϕ

xc = x+R sinϕ

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10 CAPITOLO 1. CURVE NEL PIANO

Da queste, ricordandoci che per la condizione di non strisciamento il camminoorizzontale deve essere uguale all’arco svolto (ovvero: xc = Rϕ), ricaviamoimmediatamente le equazioni parametriche della cicloide:¨

x = Rϕ−R sinϕy = R +R cosϕ

(1.7)

Esempio: la tautocrona. Consideriamo la cicloide rovesciata e pensia-mola come guida liscia e fissa lungo cui si muove un punto materiale sottol’azione della forza peso. Le equazioni parametriche della tautocrona sono:¨

x = Rϕ−R sinϕy = −R−R cosϕ

(1.8)

Possiamo dimostrare che (proprieta interessante) il periodo delle oscillazionidel punto materiale sulla tautocrona non dipende dall’ampiezza delle oscil-lazioni (senza alcun bisogno che questa ampiezza sia piccola, come accadevaper il pendolo semplice).

Proposizione 1.1. Il periodo di oscillazione T di un punto materiale nondipende dall’ampiezza dell’oscillazione.

Dimostrazione. Supponiamo che il punto materiale parta da P0(x0, y0). Perla legge di conservazione dell’energia si ha v2 = 2gh = 2g(y0 − y). Inoltre:

ds2 = dx2 + dy2 =∂x∂ϕ

2

dϕ2 + ∂y∂ϕ

2

dϕ2 = (x2 + y2)dϕ2

denotando con il punto la derivata rispetto al parametro ϕ (che funge daparametro tempo: si puo identificare ϕ = t). E dalla legge del moto:

v =ds

dt⇒ dt =

ds

v=

√dx2 + dy2

v=

√x2 + y2È

2g(y0 − y)dϕ

Dunque il tempo impiegato per passare da P0 al punto M (minimo dellacurva) e pari a

T0 =Z π

ϕ0

√x2 + y2È

2g(y0 − y)dϕ

Ma y0 − y = −R +R cosϕ0 − (−R +R cosϕ) = R(cosϕ0 − cosϕ).Inoltre, derivando rispetto al tempo le equazioni (1.8) ricaviamo:¨

x = R(1− cosϕ)y = −R sinϕ

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1.1. DEFINIZIONE E PRIMI ESEMPI 11

Da cui:

x2 + y2 = R2(1− cosϕ)2 +R2(sinϕ2) = 2R2(1− cosϕ)

E dunque:

T0 =Z π

ϕ0

È2R2(1− cosϕ)È

2gR(cosϕ0 − cosϕ)dϕ =

sR

g·Z π

ϕ0

√1− cosϕ√

cosϕ0 − cosϕdϕ =

E, con un po’ di trigonometria2:

T0 =

sR

g·Z π

ϕ0

Ì2 sin2 ϕ

2

2(cos2 ϕ0

2− cos2 ϕ

2)dϕ

E notando che per ϕ0 ≤ ϕ ≤ π sin ϕ2

e positivo:

T0 = 2

sR

g·Z π

ϕ0

sin ϕ2È

cos2 ϕ0

2− cos2 ϕ

2

2

= 2

sR

g·Z ϕ0

π

1Ècos2 ϕ0

2− cos2 ϕ

2

dcos

ϕ

2

=

= 2

sR

g·Z ϕ0

π

1Ê1−

cos ϕ

2

cosϕ02

2d

cos ϕ

2

cos ϕ0

2

!= 2

sR

g·"arcsin

cos ϕ

2

cos ϕ0

2

!#ϕ0

π

= π

sR

g

Il periodo e

T = 4T0 = 4π

sR

g

e dunque si nota la completa indipendenza da ϕ0 (ossia dall’ampiezza).

Esempio: ponte sospeso. Supponiamo di avere un ponte sospeso tra duepunti A(xA, yA) e B(xB, yB).

Proposizione 1.2. La curva di equilibrio e una parabola

Dimostrazione. Tagliamo la fune in un punto intermedio P (x, y) e consideria-mone solo la parte sinistra; possiamo supporre di sostiture la parte eliminatacon la tensione ~TP che essa esercita. Se la fune e flessibile, questa forza de-ve essere diretta lungo la tangente, cosı come lungo la tangente e diretta latensione TA nel punto A. Inoltre la porzione di ponte considerata sopporta

2Per il numeratore: cos 2ϕ = 1 − 2 sin2 ϕ da cui, considerando ϕ2 in luogo di ϕ, si ha:

1− cos ϕ = 2 sin2 ϕ2 . Ma e anche vero che cos 2ϕ = 2 cos2 ϕ

2 − 1, e dunque il denominatorediviene: cos ϕ0 − cos ϕ = 2 cos2 ϕ0

2 − 1− 2 cos2 ϕ2 + 1 = 2(cos2 ϕ0

2 − cos2 ϕ2 ).

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12 CAPITOLO 1. CURVE NEL PIANO

Figura 1.4: Il ponte sospeso

un carico pari a px(s) = p(x − x0) diretto come la verticale discendente.Possiamo ora scrivere la condizione di equilibrio

PF = 0 componente per

componente: ¨−TAx + Tx = 0−TAy + Ty − px(s) = 0

⇒¨Tx = aTy = px(s) + b

(1.9)

con (a, b) componenti di TA da determinare imponendo la condizione che lafune passi per le estremita fissate. Per legare la tensione alla forme della funefaccio uso della condizione di tangenza (la tensione era sempre diretta comela tangente). Dunque

y′(x) =Ty

Tx

=px(s)

a+b

a

E, integrando in x (in seguito a un cambio di variabile da s a x(s)):

y(x) =1

2

p

ax2 +

b

ax+ c

che e palesemente una parabola, con (a, b, c) da determinare mediante leseguenti condizioni (detta l la lunghezza della fune):8>>><>>>:

y(xA) = h

y(xB) = hZ xB

xA

È1− y′(x)2 dx = l

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1.2. LUNGHEZZA DI UNA CURVA 13

1.2 Lunghezza di una curva

Sia α : I → E2 una curva regolare. Possiamo scrivere, per componenti suivettori cartesiani:

P (t) = x(t)~i+ y(t)~j

~v(t) =dP (t)

dt= P (t) = x(t)~i+ y(t)~j

Definizione 1.1. Si definisce lunghezza della curva α per t ∈ [t0, t1]:

l =Z t1

t0v(t)dt =

Z t1

t0

È~v(t) · ~v(t) dt =

Z t1

t0

Èx2 + y2 dt

Nel caso di curve date in rappresentazione cartesiana si ha:¨x = xy = y(x)

8<: x = 1

y =dy

dxx =

dy

dx= y′(x)

(1.10)

e dunque

l =Z t1

t0

È1 + y′(x)2 dx

Questa formula traduce il Teorema di Pitagora:

ds2 = dx2 + dy2 = dx2 + y′(x)2dx2 = dx2(1 + y′(x)2)

Introduciamo il concetto di cambio di parametrizzazione di una curva.

Definizione 1.2. Si definisce cambio di parametrizzazione di una curva γun’applicazione h : J → I con h(τ) ∈ C1(J), h′(τ) > 0 ∀τ ∈ J .

La funzione h e monotona crescente, dunque invertibile. Sostanzialmente,associando a t il tempo in un sistema fisico, due parametrizzazioni diverse diuna curva indicano che la stessa curva viene percorsa con velocita diverse.

Teorema 1.3. La nozione di lunghezza e una grandezza geometrica, ossianon dipende dalla parametrizzazione della curva.

Dimostrazione. In altri termini, dobbiamo dimostrare che la lunghezza e unaproprieta della curva e non varia al variare della parametrizzazione usata perdescrivere la curva. Dobbiamo, insomma, mostrare che:

lα =Z t1

t0

È~vα(t) · ~vα(t) dt =

Z τ1

τ0

È~vβ(τ) · ~vβ(τ) dτ = lβ (1.11)

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14 CAPITOLO 1. CURVE NEL PIANO

Per il Teorema di derivazione di funzioni composte, se β(τ)=α(h(τ)) allora~vβ(τ) = dβ

dτ= ~vα(t)dh

dτ. Ossia, dh

dτe il coefficiente che amplifica la velocita nelle

due diverse parametrizzazioni. Ora basta sostituire quanto trovato all’internodella (1.11) e si trova, con un cambiamento di variabile nell’integrale (t =h(τ) ⇒ dt = dh

dτdτ):

lβ =Z τ1

τ0

È~vα(h(τ)) · ~vα(h(τ)) · dh

dτdτ =

Z t1

t0

È~vα(t) · ~vα(t) dt

1.2.1 Parametro arco

Definizione 1.3. Si definisce funzione arco la seguente funzione integrale:

s(t) =Z t

t0v(ξ) dξ

Poiche, per il teorema fondamentale del calcolo integrale, dsdt

= v(t) > 0,la relazione tra s e t risulta sempre biunivoca e invertibile. Dunque possiamoscegliere di usare l’arco s come parametro della curva. La funzione P (s)(ossia la curva avente come parametro l’arco) si dice parametrizzazionenaturale della curva, e gode della seguente importante proprieta:

Teorema 1.4. La velocita rispetto alla parametrizzazione naturale e unitaria.

Dimostrazione. Infatti

~v(s) =dP

ds=

d

dsP (t(s)) = ~v(t) · dt

ds=~v(t)

v

E dunque v(s) = |~v(s)| = |~v(t)v| = 1.

1.3 Curvatura

Immaginamo di traslare nell’origine il versore tangente ad un generico puntodella curva. Al variare del punto sulla curva otterremo la rappresentazionecircolare della curva. Chiamiamo dunque funzione angolo θ(s) l’ango-lo che il versore tangente alla curva ~v(s) forma con una direzione fissata,supponiamo per comodita l’asse delle ascisse3.

3Tale scelta e del tutto arbitraria, ma comoda, per poter scrivere successivamente leequazioni di P ′ e P ′′ rispetto alla base ortonormata (~i,~j,~k). Tuttavia, nella definizione dicurvatura l’angolo θ puo essere definito a meno di una costante additiva, la cui derivataper il parametro arco e ovviamente nulla.

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1.3. CURVATURA 15

Definizione 1.4. Si chiama curvatura (con segno) la derivata della fun-zione angolo rispetto al parametro arco, ovvero:

k(s) =dθ

ds

La curvatura k(s) da la misura della velocita con cui ruota il versore tan-gente alla curva, una volta trasportato nell’origine degli assi (ossia sul cerchiounitario). La curvatura e altresı dotata di segno, che cambia al cambiaredell’orientazione della curva.

1.3.1 Calcolo di k con la parametrizzazione naturale

Troviamo innanzitutto il versore tangente, ricordandoci che θ e l’angoloformato dal versore tangente alla curva con l’asse delle ascisse4:

P ′(s) = cos θ(s)~i+ sin θ(s)~j = ~v1 (1.12)

E derivando nuovamente:

P ′′(s) = (− sin θ(s)~i+ cos θ(s)~j)dθ

ds= ~v2k (1.13)

Notiamo subito l’ortonormalita di ~v1 e ~v2, in particolare ~v1 ∧ ~v2 = ~i ∧ ~j.Dunque

|P ′(s) ∧ P ′′(s)| = |~v1 ∧ k~v2| = k|~i ∧~j| = k

D’altro canto, sviluppando il primo prodotto vettoriale:

P ′(s) ∧ P ′′(s) =

~i ~j ~k

x′(s) y′(s) 0x′′(s) y′′(s) 0

= (x′(s)y′′(s)− x′′(s)y′(s))(~i ∧~j)

E dato che k deve essere il modulo di tale prodotto vettoriale, deve essere:

k =

x′(s) y′(s)x′′(s) y′′(s)

= (x′(s)y′′(s)− x′′(s)y′(s)) (1.14)

4Per comodita di lettura le derivate rispetto al parametro arco saranno indicate con gliapici (P ′(s)), mentre le derivate rispetto a un generico parametro t saranno indicate coni punti (P (t))

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16 CAPITOLO 1. CURVE NEL PIANO

1.3.2 Calcolo di k con parametrizzazione arbitraria

Cambiando parametrizzazione (derivazione di funzione composta) si ha:

P (t) =dP

dt=dP

ds

ds

dt= P ′(s)

ds

dt

Derivando il prodotto (regola di Leibniz):

P (t) = P ′′(s)

ds

dt

2

+ P ′(s)d2s

dt2

Allora:

P (t) ∧ P (t) = P ′(s) ∧ P ′′(s)

ds

dt

3

= kv3(~i ∧~j)

Ne segue che

k =x(t)y(t)− x(t)y(t)

v3=x(t)y(t)− x(t)y(t)

(x2 + y2)3/2(1.15)

Esempio: circonferenza. Consideriamo una circonferenza di raggio R.Data la perpendicolarita tra vettore tangente alla circonferenza e raggio, seϕ l’angolo descritto dal raggio sulla circonferenza, θ risulta essere pari a ϕ+ π

2.

Il parametro arco e s = Rϕ, dunque si ha abbastanza immediatamente cheθ(s) = s

R+ π

2.

Calcoliamo ora la curvatura (con segno):

k :=dθ

ds=

1

R

La curvatura e dunque costante, e pari al reciproco del raggio (ossia ha unadipendenza inversa dal raggio). La proprieta di avere curvatura costantecaratterizza completamente la circonferenza tra le curve del piano: si puodimostrare che ogni curva piana con curvatura costante k(s) = c 6= 0 e unarco di circonferenza.Possiamo ottenere lo stesso risultato in maniera piu meccanica e meno intuiti-va, utilizzando ϕ al posto del parametro arco, ossia servendoci delle equazioniparametriche:¨

x = R cosϕy = R sinϕ

⇒¨x = −R sinϕy = R cosϕ

⇒¨x = −R cosϕy = −R sinϕ

Dalle derivate prime abbiamo che v = R, e dunque abbiamo una confermache il parametro arco (a meno di una costante additiva) vale

s =Z ϕ

0v du = Rϕ

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1.3. CURVATURA 17

La circonferenza parametrizzata con il parametro arco (ossia sostituendo aϕ il suo corrispettivo s/R) diventa:8<: x = R cos s

R

y = R sin sR

8<: x = − sin sR

y = cos sR

e la velocita risulta, correttamente, unitaria. Inoltre, grazie all’equazione(1.15), ritroviamo:

k =(−R sinϕ)(−R sinϕ)− (−R cosϕ)(R cosϕ)

(R2)3/2=

1

R

Esempio: parabola. Consideriamone le equazioni parametriche:¨x = ty = pt2

⇒¨x = 1y = 2pt

⇒¨x = 0y = 2p

Dall’equazione (1.15), ricaviamo:

k =2p− 0

(1 + 4p2t2)3/2=

2p

(1 + 4p2t2)√

1 + 4p2t2

In particolare, nell’origine (per t = x = 0), la curvatura vale k = 2p.

Figura 1.5: La trattrice

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18 CAPITOLO 1. CURVE NEL PIANO

Esempio: trattrice. La trattrice, introdotta da Leibniz nel 1693, e lasoluzione a un tipico problema di inseguimento: essa descrive la traiettoriapercorsa da una barca B trainata mediante una fune da un marinaio M chesi muove lungo la riva, supposta rettilinea.Supponiamo che la riva sia l’asse y e che il marinaio si muova nel verso cre-scente dell’asse; supponiamo anche che all’istante iniziale il marinaio si trovinell’origine (M0(0, 0)) e la fune, di lunghezza l, sia perpendicolare all’assey (ovvero sia diretta lungo l’asse x), e dunque la barca si trovi nel puntoB0(l, 0). Ci chiediamo: all’avanzare del marinaio sulla riva, quale sara lacurva descritta dalla barca?Per giungere alla soluzione dobbiamo imporre la seguente condizione sul motodella barca (che si traduce in un’equazione differenziale): la barca e trainatadalla fune, dunque la velocita della barca deve essere in ogni punto direttacome la fune. O ancora: la fune, in ogni posizione, e tangente alla traiettoria.Dunque la curva trattrice α e caratterizzata dalla seguente proprieta: trac-ciando la tangente alla curva in un punto, la distanza tra il punto di tangenzae il punto di intersezione della tangente con l’asse y (la riva) e sempre l. Sitratta di una condizione sulla tangente che verra tradotta, quindi, da un’e-quazione differenziale del tipo: f(x, y, y′) = 0.

Prendiamo uno spostamento infinitesimale da B aB′ della barca, e consideriamo il tratto di curva ùBB′

risultante: esso puo essere approssimato con il seg-mento BB′, di lunghezza ds. Per spostamenti in-finitesimali i tre punti B, B′ e M risultano essereallineati. Tracciamo dunque la parallela da B all’as-se delle x. Essa incontra l’asse y in un punto MP ,inoltre chiamiamo H la proiezione di B′ su tale ret-

ta. Dalla similitudine dei triangoli4

BB′H e4

BMMP ,deduciamo che:

ds

l=

dy√l2 − x2

=−dxx

dove il meno davanti a dx tiene conto che per dy crescente dx decresce(dunque con dy > 0 si ha dx < 0). Dalla seconda uguaglianza si ha che:

y′ =dy

dx= −

√l2 − x2

x

che e un’equazione differenziale a variabili separabili che possiamo integrare

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1.4. FORMULE DI FRENET 19

tra l’istante iniziale (x = l, y = 0) e il generico istante:Z y

0dy = −

Z x

l

√l2 − u2

udu

L’integrale y = −Z x

l

√l2 − u2

udu ci fornisce dunque l’equazione cartesiana

della trattrice.

1.4 Formule di Frenet

Le formule di Frenet forniscono un altro significato geometrico della curva-tura5 con segno k. La nostra idea e di associare a ogni punto P (s) della curvauna base (~v1, ~v2) ortonormata (ossia ~v1 ·~v2 = 0 e ‖~v1‖ = ‖~v2‖ = 1) e orientataallo stesso modo della base fissa (~e1, ~e2), cioe ~v1∧~v2 = ~e1∧~e2. Scegliamo comevettore ~v1 il vettore velocita6, che e sempre tangente alla curva e orientatolungo il verso positivo della curva. Il vettore ~v2 sara dunque perpendicolarea ~v1 e univocamente definito dalla condizione ~v1 ∧ ~v2 = ~e1 ∧ ~e2.

Teorema 1.5 (Frenet). Al muoversi di P sulla curva α, la base ortonor-mata di Frenet ruota con velocita angolare (per unita di arco) pari a k. Inparticolare:

d~v1

ds= k~v2

d~v2

ds= −k~v1 (1.16)

o, in altri termini,d~vj

ds= ~ω ∧ ~vj (1.17)

con j ∈ 1, 2 e con ~ω = k~e3 detto vettore di Darboux.

Prima di dimostrare il teorema, procediamo a verificare la compatibilitadelle formule (1.16) e (1.17). Si ha immediatamente che:

~ω ∧ ~v1 = k~e3 ∧ ~v1 = k~v2

~ω ∧ ~v2 = k~e3 ∧ ~v2 = k(−~v1) = −k~v1

e ci siamo: dunque l’equazione (1.17) e del tutto analoga all’equazione (1.16).

Dimostrazione. Ci sono tre idee fondamentali nelle formule di Frenet.

5In questo paragrafo (e solamente qui), per evitare conflitti di notazioni con la curvaturak, la terna ortonormata di vettori della base canonica di R3 verra indicata con (~e1, ~e2, ~e3)invece che con (~i,~j,~k).

6Dato che la nostra curva e parametrizzata con parametro arco, tale vettore e unitario.

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20 CAPITOLO 1. CURVE NEL PIANO

• La prima idea e di esprimere le derivate dei vettori di una base lun-go la base stessa. Infatti, se (~v1, ~v2) sono una base qualsiasi (nonnecessariamente ortonormale), e sempre possibile scrivere:

d~v1

ds= A~v1 +B~v2

d~v2

ds= C~v1 +D~v2

La matrice Ω =

A BC D

dei coefficienti e detta matrice di Cartan

della base.

• La seconda idea e che, se la base e ortonormata, la matrice di Cartane necessariamente antisimmetrica. Infatti:

~v1 · ~v1 = 1 ⇒ d~v1

ds~v1 + ~v1

d~v1

ds= 0 ⇒ d~v1

ds~v1 = 0 ⇒ (A~v1 +B~v2)~v1 = 0

Tale prodotto scalare sara nullo solo quando i due vettori sono ortogo-nali, ma l’ortogonalita della base porta subito a dire che il vettore traparentesi tonde deve avere componente nulla lungo ~v1, dunque A = 0.Analogamente:

~v2 · ~v2 = 1 ⇒ d~v2

ds~v2 + ~v2

d~v2

ds= 0 ⇒ d~v2

ds~v2 = 0 ⇒ (C~v1 +D~v2)~v2 = 0

e si deduce immediatamente, come sopra, che D = 0.Infine.

~v1 ·~v2 = 0 ⇒ d~v1

ds~v2 +~v1

d~v2

ds= 0 ⇒ (A~v1 +B~v2)~v1 + (C~v1 +D~v2)~v2 = 0

Ma sviluppando il prodotto scalare, tenendo conto dell’ortogonalita,A e D scompaiono e, dato che i vettori di base sono vettori a normaunitaria, si ha subito che C = −B da cui B = C. Dunque la matricedi Cartan deve avere necessariamente la forma:

Ω =

0 ω−ω 0

• La terza idea, caratteristica della teoria delle curve, e il legame tra

curvatura k e derivata del versore tangente ~v1. Infatti, ricordandocidella funzione angolo, possiamo scrivere le componenti del vettore ~v1

lungo la base canonica, e poi derivarle rispetto alla funzione arco:

~v1 = cos θ(s)~e1 + sin θ(s)~e2

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1.5. TEOREMA FONDAMENTALE DI BONNET (CASO PIANO) 21

d~v1

ds=dθ

ds(− sin θ(s))~e1 +

ds(cos θ(s))~e2 =

ds[− sin θ(s)~e1 + cos θ(s)~e2]

Si nota immediatamente che il vettore tra parentesi quadre e un vettorea modulo unitario, ortogonale a ~v1 e orientato positivamente rispetto a~v1. Dunque, necessariamente tale vettore deve essere ~v2. Si ha dunqueche:

d~v1

ds= k~v2

e ci siamo.

Riassumendo le tre idee:d~v1

ds

d~v2

ds

=

A BC D

~v1

~v2

=

0 ω−ω 0

~v1

~v2

=

0 k−k 0

~v1

~v2

(1.18)

dove la prima uguaglianza vale per ogni scelta di base ~v1, ~v2, la secondauguaglianza vale per l’ortonormalita della base di Frenet e la terza uguaglian-za vale per la relazione di Frenet.

1.5 Teorema fondamentale di Bonnet (caso piano)

L’idea alla base del teorema e che la funzione arco s e la curvatura k(s) sonofunzioni caratteristiche della curva piana, nel senso che la definiscono univo-camente (a meno di spostamenti rigidi, ovvero spostamenti che conservanola distanza: rotazioni e traslazioni). Enunciamo e dimostriamo il Teorema diBonnet, che si scinde in due parti: esistenza e unicita.

Teorema 1.6 (Bonnet). Data una funzione continua k(s) esiste sempreuna curva parametrizzata avente s come arco e k(s) come curvatura. Inoltredue curve piane aventi lo stesso arco e la stessa curvatura coincidono a menodi uno spostamento rigido.

Dimostrazione. Dimostriamo innanzitutto l’esistenza. Dato che k(s) = dθds

,data la funzione continua (e quindi integrabile) k(s) si ricava agevolmente

θ(s) = θ0 +Z s

s0

k(u) du (1.19)

con θ0 da determinare mediante la condizione iniziale.Poi, ricordando che θ(s) e l’angolo formato dalla tangente alla curva conl’asse delle x, dalla (1.12) abbiamo che

dP (s)

ds= cos θ(s)~i+ sin θ(s)~j (1.20)

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22 CAPITOLO 1. CURVE NEL PIANO

Risolvendo ancora una volta questa equazione differenziale a variabili sepa-rabili, ricaviamo:

P (s) = P0 +Z s

s0

[cos θ(u)~i+ sin θ(u)~j] du

Per mostrare che la funzione P (s) cosı definita e proprio la soluzione delnostro problema, dobbiamo mostrare che:

i.dP

ds

dP

ds= 1

ossia che s e effettivamente il parametro arco della curva P (s);

ii.d2P

ds2= k~v2

ossia che k(s) e effettivamente la curvatura di P (s).

Le due verifiche sono immediate:

i.dP

ds= cos θ(s)~i+ sin θ(s)~j ⇒ dP

ds

dP

ds= cos2 θ + sin2 θ = 1

ii.d2P

ds2=

d

ds

dPds

=dθ

ds[− sin θ(s)~i+ cos θ(s)~j] = k~v2

La curva non e unica dal momento che nei due processi di integrazione com-paiono due costanti arbitrarie θ0 e P0. Usando la liberta di ruotare e traslarela curva posso sempre pero porre a priori il valore di tali costanti, e fissareθ0 = 0 con una rotazione e P0 = 0 con una traslazione.Vediamo tuttavia meglio la dimostrazione dell’unicita (a meno di spostamen-ti rigidi) di questa curva.Siano P1(s) e P2(s) due curve aventi k(s) come curvatura assegnata, e sup-poniamo che per s = s0

P1(s0) = P2(s0),dP1(s)

ds(s0) =

dP2(s)

ds(s0)

condizioni alle quali posso sempre ricondurmi mediante una traslazione euna rotazione (ossia a uno spostamento rigido). Dobbiamo dimostrare cheP1(s) = P2(s).

Essendo k(s) = dθ1(s)ds

= dθ2(s)ds

, ne segue che θ1(s) − θ2(s) = C. Dato che

per ipotesi dP1(s)ds

(s0) = dP2(s)ds

(s0), ne consegue immediatamente che θ1(s0) =θ2(s0), e dunque C = 0 e θ1(s) = θ2(s) ∀s. Ma allora

dP1

ds= cos θ1(s)~i+ sin θ1(s)~j = cos θ2(s)~i+ sin θ2(s)~j =

dP2

ds

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1.5. TEOREMA FONDAMENTALE DI BONNET (CASO PIANO) 23

Da cui ricaviamo che dP1

ds= dP2

ds, vale a dire P1(s) − P2(s) = ~c. E dato che

per ipotesi si ha che P1(s0) = P2(s0) ne consegue immediatamente che ~c = 0e che P1(s) = P2(s), ossia la tesi.

Abbiamo dunque dimostrato che la curvatura e l’unico parametro essen-ziale della geometria delle curve piane: essa definisce univocamente la curva,e puo essere data ad arbitrio.

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24 CAPITOLO 1. CURVE NEL PIANO

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Capitolo 2

Evoluta, evolvente e inviluppo

I termini evoluta, evolvente e inviluppo designano tre processi, legati fra loro,che permettono di costruire una nuova curva a partire da una curva data.

2.1 Evoluta ed evolvente

Diamo innanzitutto alcune definizioni:

Definizione 2.1. Definiamo la normale ad una curva α(s) passante per unsuo punto P (s) come la retta perpendicolare alla tangente ad α(s) nel puntoP (s).

Definizione 2.2. Si definisce centro di curvatura di una curva α(s) inun suo punto P (s) il punto Q(s) situato sulla normale ad α in P (s) (piuprecisamente nel verso del vettore normale ~v2) e tale che la distanza tra P (s)e Q(s) sia

d(P (s), Q(s)) = ρ(s) :=1

k(s)

Inoltre ρ(s) viene detto raggio di curvatura.

Al muoversi di P (s) sulla curva, Q(s) descrive un’altra curva nel piano,tale curva viene chiamata evoluta di α(s). Piu precisamente:

Definizione 2.3. Si definisce evoluta di una curva il luogo dei suoi centridi curvatura.

Definizione 2.4. Chiamiamo evolvente di una curva α una curva α cheabbia α come evoluta.

25

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26 CAPITOLO 2. EVOLUTA, EVOLVENTE E INVILUPPO

Figura 2.1: Costruzione dell’evoluta di una curva

2.1.1 Equazione vettoriale

Cerchiamo ora l’equazione vettoriale dell’evoluta, note le equazioni parame-triche x(s) e y(s) della curva α(s). Chiamando, al solito, ~v1 = dP

dse ~v2 il

versore normale che forma con ~v1 una base positiva equiorientata con ~i e ~j,si ha che l’equazione vettoriale dell’evoluta α∗(s) di una curva α(s) e (dettoP ∗ il punto su β e P il punto su α):

P ∗(s) = P (s) +1

k(s)~v2 (2.1)

Questa e dunque l’equazione parametrica di α∗ in funzione del parametros. Si noti che pero tale parametro s che per α era l’arco, per α∗ non e piunecessariamente il parametro arco.

2.1.2 Proprieta dell’evoluta

Studiamo ora la base di Frenet associata all’evoluta α∗ nel punto P ∗(s∗) (cons∗ parametro arco di α∗), calcolando il versore tangente e la normale in P ∗(s)a α∗.Per quanto riguarda il versore tangente:

dP ∗

ds∗=dP ∗

ds

ds

ds∗

Ma P ∗(s) = P (s) + ρ(s)~v2(s), da cui (ricordandoci che ρ(s) = 1k(s)

):

dP ∗

ds= ~v1 +

ds~v2 + ρ(s)(−k(s)~v1) =

ds~v2

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2.1. EVOLUTA ED EVOLVENTE 27

Dunque abbiamo che:dP ∗

ds∗=dρ

ds

ds

ds∗~v2

D’altro canto, dP ∗

ds∗e la velocita della curva α∗ che, dato che e espressa rispetto

al parametro arco, deve essere unitaria. Dunque ‖dP ∗

ds∗‖ = 1, vale a dire

dρds

dsds∗

= 1, da cui ricaviamo:

dP ∗

ds∗= ~v2 (2.2)

ovvero che il versore tangente all’evoluta α∗ e diretto come la normale allacurva α. Dunque l’evoluta α∗ e tangente (in P ∗) alla normale passante adα passante per P . Inoltre, dalla unitarieta del vettore tangente all’evoluta(scritta rispetto al parametro arco) ricaviamo che:

ds=ds∗

ds(2.3)

2.1.3 Equazioni parametriche

Procuriamoci ora, in generale, le equazioni parametriche dell’evoluta di unacurva arbitraria α : x = x(t), y = y(t), nell’ipotesi che per k(t) > 0 ∀t ∈ I,con I intervallo su cui concentriamo la nostra attenzione. Se la curvatura,infatti, e sempre positiva, esiste sempre il vettore normale alla curva (pre-cedentemente indicato con ~v2). Per comodita di notazione, d’ora innanzi

chiameremo ~t := d~Pds

il versore tangente e ~n := vers( d~tds

) = d~tds/‖ d~t

ds‖ il versore

normale alla curva. Dall’equazione vettoriale (2.1) dell’evoluta sappiamo che:

P ∗(t) = P (t) + ~n1

k(t)

Inoltre dalle equazioni di Frenet sappiamo che:

d~t

ds= k~n⇒ ~n =

1

k

d~t

ds=

1

k

d2P

ds2

Abbiamo dunque che:

P ∗(t) = P (t) +1

k2(t)

d2P

ds2(2.4)

Il problema e che in generale non conosciamo la dipendenza di P dalla fun-zione arco s, ma conosciamo (tramite equazioni parametriche) la dipendenza

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28 CAPITOLO 2. EVOLUTA, EVOLVENTE E INVILUPPO

da un parametro qualsiasi t. Dobbiamo quindi cambiare parametrizzazione,ricorrendo alla derivazione di funzione composta:

dP

ds=dP

dt

dt

ds=dP

dt

1ds

dt

=dP

dt

1

v(2.5)

Generalizzando il risultato ottenuto, si ricava facilmente un’importante rela-zione tra gli operatori di derivata:

d

ds=

1

v

d

dt(2.6)

Tale formula e assolutamente generale e assai utile - ci ricorda che la ve-locita (arco per unita di tempo) e il fattore che mette in relazione dueparametrizzazioni diverse. Passiamo ora alla derivata seconda:

d2P

ds2=

d

ds

dPds

=

d

ds

dPdt

1

v

=

1

v

d

dt

dPdt

1

v

=

=1

v2

d2P

dt2+

1

v

− 1

v2

dv

dt

dP

dt

=

1

v3

vd2P

dt2− dv

dt

dP

dt

(2.7)

dove la terza uguaglianza vale proprio per l’equazione (2.6). L’equazione(2.7), scomposta nelle coordinate rispetto alla base canonica, diventa:

d2P

ds2=

1

v3[v(x~i+ y~j)− dv

dt(x~i+ y~j)] (2.8)

conv =

Èx2 + y2 (2.9)

modulo della velocita, e con

dv

dt=

1

2√x2 + y2

(2xx+ 2yy) =xx+ yy√x2 + y2

(2.10)

accelerazione tangenziale. Quindi introducendo le informazioni ricavate dalla(2.9) e dalla (2.10) nell’equazione (2.8) si ha che:

d2P

ds2=

1

v4[(x2 + y2)(x~i+ y~j)− (xx+ yy)(x~i+ y~j)] =

=1

v4[~i(x2x+ y2x− x2x− yxy) +~j(x2y + y2y − xxy − y2y)] =

=1

v4[(xy − xy)y~i+ (xy − xy)x~j]

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2.1. EVOLUTA ED EVOLVENTE 29

E ricordandoci che, per la (1.15), k =xy − xy

v3, otteniamo che:

d2P

ds2=xy − xy

v4(x~j − y~i) =

k

v(x~j − y~i) (2.11)

Introducendo ora la (2.11) nella (2.4) abbiamo dunque che1

P ∗(t) = P (t)+1

k2(t)

d2P

ds2= P (t)+

1

k2(t)

k(t)

v(x~j−y~i) = P (t)+

v2

xy − xy(x~j−y~i)

(2.12)E per finire, separiamo le componenti e calcoliamo le equazioni parametrichedell’evoluta α∗ della curva α:8>>><>>>:

x∗(t) = x(t)− v2

xy − xyy

y∗(t) = y(t) +v2

xy − xyx

(2.13)

Esempio: curvatura costante e evoluta. Vogliamo dimostrare che:

Proposizione 2.1. Una curva α per cui valga k(s) = cost 6= 0 e un arco dicirconferenza.

Dimostrazione. Un possibile modo sarebbe dedurre direttamente la tesi dalTeorema di Bonnet, ma preferiamo in questa sede usare un altro metodo, perverificare, almeno in un caso particolare, suddetto teorema.Studiamo l’evoluta di questa curva, rispetto a un generico parametro.

dP ∗

ds=dP ∗

ds∗ds∗

ds

Dalla (2.3) abbiamo che ds∗

ds= dρ

ds; d’altra parte, pero, se k e costante, lo e

necessariamente anche ρ := 1k. Abbiamo dunque che:

dP ∗

ds=dρ

ds~v2 = 0

La velocita dell’evoluta e nulla: l’evoluta si riduce quindi a un solo punto.Cio significa che il luogo dei centri di curvatura della curva e formato da unsolo punto, attorno a cui la curva ruota con raggio costante - dunque abbiamoun’arco di circonferenza.

1Questo vale nell’ipotesi che k > 0, ovvero xy − xy > 0, altrimenti bisogna prestareattenzione ad inserire i necessari valori assoluti.

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30 CAPITOLO 2. EVOLUTA, EVOLVENTE E INVILUPPO

Si noti che, data una curva, mentre la sua evoluta e univocamente deter-minata, esistono in generale infinite sue evolventi. L’esempio piu lampantee forse il seguente: data una circonferenza α, l’evoluta e il suo centro. Talecentro, tuttavia, non e solo l’evoluta di α, ma anche l’evoluta di tutte leinfinite circonferenze concentriche ad α. In questo senso la relazione tra evo-luta ed evolvente e simile alla relazione tra le operazioni di derivazione e diintegrazione.

2.2 Inviluppo

Definizione 2.5. Data una famiglia di curve piane mediante l’equazione

F (x, y, a) = 0 a ∈ I ⊂ R

si chiama inviluppo della famiglia, se esiste, una curva che non appartengaalla famiglia e che sia in ogni suo punto tangente alla curva della famigliapassante per quel punto.

Da questa definizione ricaviamo subito che l’evoluta di α e l’inviluppodelle sue normali (fig. 2.2).

Figura 2.2: L’evoluta come inviluppo delle normali

Studio degli inviluppi

Ora vogliamo trovare le equazioni parametriche x(a), y(a) dell’inviluppo dellafamiglia di curve descritta dall’equazione

F (x, y, a) = 0 a ∈ I ⊂ R

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2.2. INVILUPPO 31

usando come parametro per l’inviluppo lo stesso parametro che individua lacurva all’interno della famiglia (ci sara comodo). Abbiamo bisogno di dueequazioni, che otteniamo imponendo le due seguenti condizioni:Punto comune. Il punto (x(a), y(a)) dell’inviluppo e in comune con la curvadella famiglia, dunque vale

F (x(a), y(a), a) = 0 (2.14)

Tangente comune. La tangente all’inviluppo e diretta come la tangente allacurva della famiglia.D’altro canto la tangente all’inviluppo e diretta come la velocita di percor-renza dell’inviluppo, ovvero come il vettore di componenti (x(a), y(a)), dovele derivate si intendono calcolate rispetto ad a.Invece, la tangente (~vx, ~vy) nel punto (x(a), y(a)) alla curva della famiglia in-dividuata da a, e normale al gradiente della funzione calcolato in (x(a), y(a), a).Si ha dunque che:

∂F

∂x(x(a), y(a), a) · ~vx +

∂F

∂y(x(a), y(a), a) · ~vy = 0 (2.15)

Ma dato che la tangente (x(a), y(a)) all’inviluppo deve essere diretta comela tangente (~vx, ~vy) alla curva della famiglia, deve essere che ~vx = c · x(a) e~vy = c · y(a), e allora la (2.15), semplificando c, si ha:

∂F

∂x(x(a), y(a), a) · x′(a) +

∂F

∂y(x(a), y(a), a) · y′(a) = 0 (2.16)

La (2.14) e la (2.16) formano un sistema di due equazioni che possiamo sem-plificare nel seguente modo. Differenziando l’equazione (2.14) e otteniamo:

∂F

∂x(x(a), y(a), a) · x′(a) +

∂F

∂y(x(a), y(a), a) · y′(a) +

∂F

∂a(x(a), y(a), a) = 0

(2.17)E dunque, confrontando la (2.15) con la (2.16), ricaviamo che, per differenzamembro a membro:

∂F

∂a(x(a), y(a), a) = 0 (2.18)

Dunque le equazioni parametriche dell’inviluppo si ottengono risolvendo ri-spetto a x e a y il seguente sistema di equazioni:8><>: F (x(a), y(a), a) = 0

∂F

∂a(x(a), y(a), a) = 0.

(2.19)

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32 CAPITOLO 2. EVOLUTA, EVOLVENTE E INVILUPPO

Esempio: l’iperbole come inviluppo. Consideriamo nel primo quadran-te tutte le rette (con pendenza negativa) che formano con gli assi un triangolodi area 1.

Chiamiamo a l’intersezione della generica retta conl’asse delle x e b l’intersezione con l’asse delle y. Da-to che l’area del triangolo sotto al grafico, nel primoquadrante, deve essere pari a 1, deve succedere che12ab = 1, o ancora: b = 2

a. La pendenza della generi-

ca retta passante per i punti (a, 0) e (0, 2a) e dunque

di − 2a2 , e la sua equazione e (imponendo il passaggio

per il primo punto):

y = − 2

a2(x− a)

F (x, y, a) = x+ a2

2y − a e dunque una famiglia di funzioni, dipendenti dalla

scelta del parametro a. Calcoliamone l’inviluppo mediante il sistema (2.19).Risulta che:8><>: F (x, y, a) = x+ a2

2y − a = 0

∂F

∂a= ay − 1 = 0

⇒¨x = a− 1

2a = 1

2a

y = 1a

⇒ (2.20)

Dunque l’inviluppo cercato e ¨x(a) = a/2y(a) = 1/a

(2.21)

e, per eliminazione di a, ricaviamo velocemente l’inviluppo come luogogeometrico: xy = 1

2, che e una ben nota iperbole.

Esempio: ellissi. Ogni curva e l’inviluppo delle sue tangenti. Proviamodunque a prendere l’ellissi ¨

x(ϕ) = a cosϕy(ϕ) = b sinϕ

(2.22)

e troviamo il luogo delle sue tangenti nella forma F (x, y, ϕ) = 0, e quindicalcoliamone l’inviluppo, ritrovando l’ellissi originaria.Dalla equazione (1.4) sappiamo che la generica tangente in un generico punto(x0, y0) dell’ellissi e

xx0

a2+yy0

b2= 1

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2.2. INVILUPPO 33

Ma, dal momento che (x0, y0) e un punto dell’ellissi, grazie (2.22) possia-mo introdurre la parametrizzazione dell’angolo ϕ e riscrivere la tangente in(x0, y0) come

x

acosϕ0 +

y

bsinϕ0 = 1

Da cui, il luogo delle tangenti all’ellissi ha la seguente forma2:

F (x, y, ϕ) =x

acosϕ+

y

bsinϕ− 1 = 0 (2.23)

Calcoliamo ora l’inviluppo della (2.23), con le formule del sistema (2.19).Dobbiamo imporre le condizioni di passaggio per il punto e di tangenza trainviluppo e curva del fascio. Ovvero:8>><>>: F (x, y, ϕ) =

x

acosϕ+

y

bsinϕ− 1 = 0

∂F

∂ϕ= −x

asinϕ+

y

bcosϕ = 0

8><>: x

acosϕ− 1 =

y

bsinϕ

y

bcosϕ =

x

asinϕ

(2.24)E moltiplicando membro a membro le equazioni del sistema otteniamo:

yx

bacos2 ϕ− y

bcosϕ = −xy

absin2 ϕ

e, dato che i temini in sin2 ϕ e cos2 ϕ sommati dannoyx

ba, si ha che

yx

ba=y

bcosϕ

x = a cosϕ

e in maniera analoga si trova che

y = b cosϕ

che sono le equazioni parametriche da cui eravamo partiti.

Esempio: evoluta di una parabola. Calcoliamo l’evoluta di una para-bola y = x2

2come inviluppo delle sue normali. Parametrizziamo la parabola

con x = t e otteniamo: 8<: x = t

y =t2

2

(2.25)

2In questo caso a e b sono fissati e il parametro della curva e ϕ.

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34 CAPITOLO 2. EVOLUTA, EVOLVENTE E INVILUPPO

Calcoliamo la normale per il generico punto della parabola (x0, y0). Consi-derando la parabola come linea di livello di F (x, y) = y − x2

2, otteniamo che

il gradiente di tale funzione F deve essere perpendicolare alle sue linee dilivello, in paricolare, dunque anche alla parabola stessa. Dunque la normalealla parabola e il gradiente di F sono paralleli in ogni punto della parabola.Detto dunque (x, y) il generico punto della normale (per (x0, y0)) alla para-

bola, imponiamo la condizione di parallelismo tra il gradF(x0,y0)

= (−x0, 1)

e il vettore (x− x0, y − y0), e dall’algebra lineare otteniamo:x− x0 y − y0

−x0 1

= 0

E, ricordando la parametrizzazione (2.25):x− t0 y − t202

−t0 1

= x− t0 + t0y −t302

= 0

da cui, il luogo delle normali alla parabola in un suo generico punto e

F (x, y, t) = x+ t(y − 1)− t3

2= 0 ∀t ∈ R

Ora calcoliamo l’inviluppo con le formule (2.19):8>><>>: F (x, y, t) = x+ t(y − 1)− t3

2= 0

∂F

∂t= y − 1− 3

2t2 = 0

8>><>>: x+3

2t2 − t3

2= 0

y = 1 +3

2t2

8><>: x(t) = −t3

y(t) = 1 +3

2t2

Per eliminazione della t otteniamo le coordinate cartesiane:

y =3

23√x2 + 1

Questa curva viene definita parabola semicubica. Essa risulta essere (na-turalmente) simmetrica rispetto all’asse y e con una cuspide nell’origine.Infatti le derivate prime sono: ¨

x(t) = −3t2

y(t) = 3t

che sono entrambe nulle in t = x = 0. Il coefficiente angolare della tangentealla semicubica e:

dy

dx=dy

dt

1dx

dt

=y

x= −1

t

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2.2. INVILUPPO 35

Abbiamo trovato che l’evoluta di una parabola e una parabola semicubica.Avremmo potuto ottenere lo stesso risultato servendoci della definizione dievoluta, calcolandoci il luogo dei centri di curvatura. Parametrizziamo laparabola ancora come nel sistema (2.25) con il parametro t. Si ha che:(

x = t

y = t2

2

⇒¨x = 1y = t

⇒¨x = 0y = 1

E dalla formula (1.15) la curvatura vale:

k =x(t)y(t)− x(t)y(t)

v3=

1

(x2 + y2)3/2=

1

(1 + t2)3/2

Imponiamo ora che il centro di curvatura C(t) appartenga alla normale edisti dalla parabola 1

k.(

xc(t) + tyc(t)− t− t3

2= 0

(xc(t)− t)2 + (yc(t)− t2

2)2 = (1 + t2)3

(2.26)

Risolvendo il sistema si ottengono nuovamente le equazioni parametrichedella parabola semicubica.

Esempio: evoluta di una cicloide. Calcoliamoci, questa volta medianteil sistema (2.13) le equazioni parametriche dell’evoluta della cicloide. Si ha:¨

x = ϕ− sinϕy = 1− cosϕ

⇒¨x = 1− cosϕy = sinϕ

⇒¨x = sinϕy = cosϕ

Dunque

v =Èx2 + y2 =

È1 + cos2 ϕ− 2 cosϕ+ sin2 ϕ =

È2− 2 cosϕ

e, dal sistema (2.13) l’evoluta risulta essere:8><>: x∗(t) = x(t)− v2

xy−xyy

y∗(t) = y(t) + v2

xy−xyx⇒

8<: x∗(t) = ϕ− sinϕ− 2−2 cos ϕ(1−cos ϕ) cos ϕ−sin2 ϕ

sinϕ

y∗(t) = 1− cosϕ+ 2−2 cos ϕ(1−cos ϕ) cos ϕ−sin2 ϕ

(1− cosϕ)⇒

8<: x∗(t) = ϕ− sinϕ+ 2 1−cos ϕsin2 ϕ+cos2 ϕ−cos ϕ

sinϕ = ϕ− sinϕ+ 2 sinϕ

y∗(t) = 1− cosϕ− 2 1−cos ϕsin2 ϕ+cos2 ϕ−cos ϕ

(1− cosϕ) = 1− cosϕ− 2 + 2 cosϕ⇒

⇒¨x∗(t) = ϕ+ sinϕy∗(t) = −1 + cosϕ

(2.27)

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36 CAPITOLO 2. EVOLUTA, EVOLVENTE E INVILUPPO

Che curva rappresentano le equazioni parametriche (2.27)? Se cambiamoparametrizzazione, introducendo un parametro τ tale che ϕ = π + τ si hache3 ¨

x∗(t) = π + τ − sin τy∗(t) = −1− cos τ

⇒¨x∗(t)− π = τ − sin τy∗(t) + 2 = 1− cos τ

(2.28)

Dunque l’evoluta di una cicloide e ancora una cicloide, ottenuta dalla primamediante la seguente traslazione di assi:¨

X = x∗(t)− πY = y∗(t) + 2

Cicloidi e orologi. Il risultato precedente (ossia l’aver scoperto che l’e-voluta di una cicloide e una cicloide) e di grande importanza anche per leapplicazioni pratiche. In particolare, infatti, gia Huygens aveva teorizzato ecostruito un pendolo cicloidale. Rispetto al pendolo semplice galileiano (lecui oscillazioni risultavano approssimativamente isocrone solo per angoli pic-coli), il pendolo huygensiano aveva la proprieta di isocronia delle oscillazioniindipendentemente dall’ampiezza delle oscillazioni stesse.Nel pendolo semplice galileiano, il punto materiale, legato con un filo ad unpunto fisso, oscilla su una circonferenza, la cui evoluta e il punto fisso attornoa cui sta oscillando. Invece se prendiamo una cicloide rovesciata e appendia-mo un filo di lunghezza l in un massimo di tale curva (sulla cuspide, insomma)e lasciamo che il punto materiale appeso all’altra estremita del filo oscilli, ilfilo stesso si avvolgera intorno alla guida costituita dalla cicloide stessa. Peril legame tra evoluta ed evolvente, la curva β descritta dal punto materiale eancora una cicloide, dunque le oscillazioni (anche grandi) risultano isocrone.

3Ricordiamo che sinϕ = sin (π + τ) = − sin τ e cos ϕ = cos (π + τ) = − cos τ .

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Capitolo 3

Curve nello spazio

3.1 Da E2 a E3

Nel caso piano abbiamo visto che, per il Teorema di Bonnet, e sufficiente unsolo parametro differenziale (k(s), la curvatura con segno) a caratterizzare lageometria della curva. Per le curve nello spazio tale parametro non basta piu:ad esso va affiancato un altro parametro che chiameremo torsione (τ(s)).Per definire k(s) e τ(s) useremo il metodo di Frenet; in particolare ci servi-remo del cosiddetto metodo del triedro mobile. Associeremo alla curva unaterna ortonormata di vettori (detta appunto triedro di Frenet) particolar-mente legata alla curva e di introdurre i parametri differenziali della curvacome coefficienti della matrice di Cartan del triedro.Le definizioni coincidono con quelle del caso piano: la curva α (fig. ??) e

un’applicazione α : I ⊂ R → E3 che sia per lo meno continua. La curva sidice differenziabile se la funzione α e differenziabile, cioe se le componentix(t), y(t) e z(t) sono di classe C1.

Per tali curve e definita una velocita v = P (t) = x(t)~i + y(t)~j + z(t)~k, doveP (t) = (x(t), y(t), z(t)) e il generico punto che si muove sulla curva α al va-riare di t. Diremo che la curva sara regolare se la velocita esistera non nullain ogni punto, ovvero se ~v 6= 0 ∀t ∈ I. La curva α, inoltre, si dira curva diFrenet se oltre ad essere regolare (‖P (t)‖ 6= 0) sussistera anche ‖P (t)‖ 6= 0.In seguito considereremo curve di Frenet di classe almeno C3. La funzionearco e ancora definita come integrale nel tempo della velocita:

s(t) =Z t

t0v(t) dt =

Z t

t0

Èx2 + y2 + z2 dt

e valgono le proprieta gia citate.

37

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38 CAPITOLO 3. CURVE NELLO SPAZIO

Figura 3.1: Una curva in tre dimensioni

3.2 Il triedro di Frenet: curvatura e torsione

Poiche α e regolare, esiste ed e univocamente definita in ogni punto la rettatangente. Dalla definizione dell’arco s risulta che il vettore ~t = dP

dsha norma

unitaria, dunque e il versore tangente. Infatti:

‖t‖ =dPds = dPdt 1

dt

ds

= dPdt 1

v

= v1

v= 1

Si osserva che da~t · ~t = 1

segue per derivazione (regola di Leibniz) che:

d~t

ds· ~t+ ~t · d

~t

ds= 0 ⇒ d~t

ds· ~t = 0

Per quale ragione si annulla quel prodotto scalare? ~t=0 non puo mai esserloper la regolarita di α; inoltre d~t

ds= d2P

ds2 = 0 non puo mai esserlo per il fattoche α e di Frenet. Dunque necessariamente deve essere che

d~t

ds⊥ ~t (3.1)

ossia che la derivata del versore tangente e il versore tangente siano ortogona-li. Insomma, tra tutte le possibile direzioni normali al vettore ~t, ne possiamo

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3.2. IL TRIEDRO DI FRENET: CURVATURA E TORSIONE 39

fissare una particolare, che chiamiamo vettore curvatura, e che e data da~k(s) = d~t

ds. La direzione del vettore curvatura e detta normale principale

(~n :=~k

‖~k‖), il suo modulo (grandezza non negativa, e detto curvatura sca-

lare.Si completa la coppia (~t, ~n) con la binormale ~b(s) = ~t ∧ ~n, in modo tale

che la terna ordinata F := (~t, ~n,~b) sia una terna ortonormale equiorientatarispetto alla base fissa.

Figura 3.2: Il triedro di Frenet

- Il piano dei vettori ~t e ~n e detto piano osculatore

- Il piano dei vettori ~n e ~b e detto piano normale

- Il piano dei vettori ~t e ~b e detto piano rettificante

L’idea base e che al muoversi di P sulla curva α la terna di Frenet si muovedi conseguenza: a ogni punto di α e associata la sua terna di Frenet F . Dalmoto di F riusciamo a risalire alla geometria locale di α nell’intorno di P . Mail moto di F e descritto dalla matrice di Cartan, la matrice delle componentidelle derivate dei vettori della base sviluppate rispetto alla base stessa. Inaltri termini, dato che F e una base per R3, deve succedere che:8>>>>>><>>>>>>:

d~t

ds= a~t+ b~n+ c~b

d~n

ds= A~t+B~n+ C~b

d~b

ds= α~t+ β~n+ γ~b

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40 CAPITOLO 3. CURVE NELLO SPAZIO

con

a b cA B Cα β γ

matrice di Cartan della base.

Il nostro problema e calcolare i coefficienti di tale matrice. Il ragionamento eanalogo a quello fatto per il caso piano; infatti poiche la base e ortonormata:

~t · ~t = 1 ⇒ d~t

ds· ~t+ ~t · d

~t

ds= 0 ⇒ ~t · d

~t

ds= 0

~t · (a~t+ b~n+ c~b) = 0 ⇒ a = 0

perche i termini misti scompaiono dal prodotto scalare. Analogamente (da

~n · ~n = 1 e ~b ·~b = 1) si deduce che B = 0 e γ = 0.Inoltre, sempre per l’ortonormalita della base:

~t · ~n = 0 ⇒ d~t

ds· ~n+ ~t · d~n

ds= 0 ⇒

⇒ (a~t+ b~n+ c~b) · ~n+ ~t · (A~t+B~n+ C~b) = 0 ⇒ b+ A = 0

e analogamente (da ~t ·~b = 0 e ~b · ~n = 0) si trova che α + c = 0 e β + C = 0.La matrice di Cartan risulta dunque ancora una volta antisimmetrica (cio edovuto all’ortonormalita della base).Infine, poiche la base e di Frenet (abbiamo scelto, precedentemente, tra tuttoil fascio di normali, una particolare normale), deve sussistere che

d~t

ds= k~n

da cui si deduce immediatamente: a = 0 (relazione gia trovata), b = k ec = 0 (vincolo supplementare dovuto alla base di Frenet). Per antisimmetriadella matrice di Cartan deve essere anche α = 0.Ponendo τ = C si ha1, in definitiva:8>>>>>><>>>>>>:

d~t

ds= k~n

d~n

ds= −k~t+ τ~b

d~b

ds= − τ~n

(3.2)

1Si noti che tale scelta e arbitraria: si poteva porre anche τ = −C, ma si opta per laprecedente soluzione per avere nella matrice di Cartan lo stesso segno ai parametri soprala diagonale e sotto la diagonale.

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3.2. IL TRIEDRO DI FRENET: CURVATURA E TORSIONE 41

e la matrice di Cartan risulta essere

0 k 0−k 0 τ0 −τ 0

. Il coefficiente τ(s) e

detto torsione della curva, e misura la non planarieta della curva.

Teorema 3.1. Se τ(s) = 0 ∀s ∈ I, allora α e piana.

Dimostrazione. Infatti dalla terza equazione del sistema (3.2):

τ(s) = 0 ⇒ d~b(s)

ds= 0 ⇒ ~b(s) = ~cost

Ma ~t ·~b = 0 per l’ortonormalita della base, dunque:

~t ·~b =dP

ds· −−→cost =

d

ds(−→OP · −−→cost) = 0 ⇒

−→OP · −−→cost = h

che e l’equazione di un piano.

3.2.1 Calcolo di k(s) e t(s) con la parametrizzazionenaturale

Ricapitolando, per ogni curva regolare, α ∈ C2 abbiamo ora a disposizioneuna base ortonormata di vettori:

~t(s) :=dP

ds~n(s) :=

~k(s)

k(s)=

d2Pds2

k(s)~b(s) := ~t ∧ ~n (3.3)

Inoltre se α ∈ C3 possiamo anche derivare~b e ~n (che gia sono derivate secondedi P ); ricordando inoltre che tra tutte le normali a ~t abbiamo scelto come

normale principale la direzione del vettore curvatura ~k(s) = d~tds

, si ha che:

d~t

ds= k~n

d~n

ds= −k~n+ τ~b

d~b

ds= −τ~n (3.4)

Calcoliamoci ora k(s) e τ(s) in funzione delle derivate del vettore posizioneP , ovvero delle sue componenti x(s), y(s) e z(s).

k(s) :=d2P

ds2

= dPds ∧ d2P

ds2

k(s) := ‖P ′′(s)‖ = ‖P ′(s) ∧ P ′′(s)‖ (3.5)

dal momento che, dalla (3.3) e (3.4) si ha che

dP

ds∧ d2P

ds2=dP

ds∧ k(s)~n = k(s) · ~t ∧ ~n = k(s) ·~b

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42 CAPITOLO 3. CURVE NELLO SPAZIO

Inoltre si ha2:

τ(s) :=P ′(s) · P ′′(s) ∧ P ′′′(s)

k2(s)(3.6)

Infatti:

τ = −~n · d~b

ds= −~n · d

ds(~t ∧ ~n) = −~n · ( d

~t

ds∧ ~n+ ~t ∧ d~n

ds)

Ma dato che d~tds

= k~n, e che k~n ∧ ~n = 0 per il parallelismo dei due vettori, siha:

τ = −~n ·~t∧ d~nds

= −1

kP ′′ ·~t∧ d

ds

1

kP ′′

= −1

kP ′′ ·P ′ ∧

− 1

k2

dk

dtP ′′ +

1

kP ′′′

D’altro canto, il termine in P ′′ all’interno della parentesi scompare nel pro-dotto misto, essendo parallelo al primo termine. Dunque abbiamo che:

τ = −1

kP ′′ · P ′ ∧ 1

kP ′′′ =

−P ′′ · P ′ ∧ P ′′′

k2=P ′ · P ′′ ∧ P ′′′

k2

3.2.2 Calcolo di k(s) e t(s) con parametrizzazione arbi-traria

Ora, come gia fatto in precedenza per le curve piane, ricalcoliamo curva-tura e torsione per una curva α parametrizzata con una parametrizzazionearbitraria. Sia t = t(s) un parametro arbitrario, e sia P (t) = P (t(s)) la pa-rametrizzazione della curva con tale parametro. Procuriamoci le espressionidelle derivate di P che legano parametrizzazione naturale e arbitraria.

P ′ =dP

ds=dP

dt

dt

ds=

1

v

dP

dt=P

v(3.7)

e ricordandoci la (2.6):

P ′′ =d2P

ds2=

d

ds

dP

ds=

1

v

d

dt

1

v

dP

dt

=

1

v

1

v

d2P

dt2+−dv

dt

v2

dP

dt

=P

v2− vPv3

(3.8)

P ′′′ =d3P

s3=

d

ds

d2P

ds2=

1

v

d

dt

Pv2− vPv3

=

1

v

...Pv2 − 2P vv

v4−(vP + vP )v3 − 3P v2v2

v6

=

=

...P

v3− 3

vP

v4+− v

v4+

3v2

v5

P (3.9)

2La notazione ~a ·~b∧~c indica il prodotto misto, in cui naturalmente la prima operazioneda eseguire e il prodotto vettoriale.

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3.2. IL TRIEDRO DI FRENET: CURVATURA E TORSIONE 43

Dunque:

k = ‖P ′ ∧ P ′′‖ = ‖1

vP ∧

Pv2− vP

v3

‖ = ‖ P

v∧ Pv2− P

v∧ vP

v3

Ma il secondo prodotto vettoriale e nullo, per il parallelismo dei due vettori(entrambi hanno la direzione di P ), dunque

k = ‖ Pv∧ P

v2‖ =

‖P ∧ P‖v3

(3.10)

Spesso tuttavia sara piu comodo utilizzare il quadrato della curvatura, dun-que calcoliamocelo. Detto θ l’angolo compreso tra P e P si ha:

k2 =‖P ∧ P‖2

v6=

(‖P‖‖P‖ sin θ)2

v6=‖P‖2‖P‖2(1− cos2 θ)

v6=

=‖P‖2‖P‖2 − ‖P‖2‖P‖2 cos2 θ

v6=‖P‖2‖P‖2 − (P · P )2

v6

Dunque, riscrivendo le norme dei vettori come prodotti scalari:

k2 =(P · P )(P · P )− (P · P )2

v6=

P P P P

P P P P

v6

(3.11)

Infine per la torsione:

τ =P ′ · P ′′ ∧ P ′′′

k2=

1

k2

Pv· Pv2− vP

v3

∧ ...P

v3− 3

vP

v4+− v

v4+

3v2

v5

P

Ma nell’operazione di prodotto misto, all’interno delle due parentesi le deri-vate di ordine superiore scompaiono, dunque resta:

τ =1

k2

Pv· Pv2∧

...P

v3

=

1

k2v6(P · P ∧

...P ) =

P · P ∧...P

(P · P )(P · P )− (P · P )2(3.12)

dove l’ultimo passaggio vale in virtu dell’espressione poc’anzi trovata per k2

(equazione (3.11)).

Esempio: calcolo della torsione. Calcoliamo la torsione della curva:8><>: x = a cosh t cos ty = a cosh t sin tz = at

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44 CAPITOLO 3. CURVE NELLO SPAZIO

Abbiamo innanzitutto che:

P :

8><>: x = a(sinh t cos t− cosh t sin t)y = a(sinh t sin t+ cosh t cos t)z = a

P :

8><>: x = −2a sinh t sin ty = 2a sinh t cos tz = 0

...P :

8><>: ...x = −2a(cosh t sin t+ sinh t cos t)...y = 2a(cosh t cos t− sinh t sin t)...z = 0

Prima di utilizzare l’equazione (3.12), calcoliamo cio che ci serve:

P P = ‖P‖2 = a2(sinh2 t cos2 t+ cosh2 t sin2 t+

+ sinh2 t sin2 t+ cosh2 t cos2 t) = a2(sinh2 t+ cosh2 t)

P P = P P = 2a2(− sinh2 t sin t cos t+ cosh t sinh t sin2 t+

+ sinh2 t sin t cos t+ cosh t sinh t cos2 t) = 2a2 cosh t sinh t

P P = ‖P‖2 = 4a2(sinh2 t sin2 t+ sinh2 t cos2 t) = 4a2 sinh2 t

e dunque:P P P P

P P P P

= 4a4[sinh2 t(sinh2 t+ cosh2 t)− cosh2 t sinh2 t] = 4a2 sinh4 t

Infine:

P ·P∧...P =

a(sinh t cos t− cosh t sin t) a(sinh t sin t+ cosh t cos t) a−2a sinh t sin t 2a sinh t cos t 0

−2a(cosh t sin t+ sinh t cos t) 2a(cosh t cos t− sinh t sin t) 0

== a[4a2(− cosh t cos t sinh t sin t+ sinh2 t sin2 t+

+ cosh t sinh t sin t cos t+ sinh2 t cosh2 t)] =

= 4a3 sinh2 t

Ora non e difficile, mediante la formula (3.12), ricavare la torsione:

τ =P · P ∧

...P

(P P )(P P )− (P P )2=

4a3 sinh2 t

4a4 sinh4 t=

1

a sinh2 t

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3.2. IL TRIEDRO DI FRENET: CURVATURA E TORSIONE 45

Figura 3.3: L’elica cilindrica

Esempio: elica cilindrica. L’elica cilindrica e la curva risultante dal mo-to composto di un moto rotatorio uniforme attorno a un asse e di un mototraslatorio uniforme intorno allo stesso asse. Per fissare le idee si puo imma-ginare un punto che si muove su un cavatappi o su una vite.Possiamo immaginare l’elica cilindrica come traiettoria che viene descrittaruotando su un cilindro di raggio R. Le equazioni parametriche dell’elicacilidrica sono dunque le seguenti:8><>: x(t) = R cos (ωt)

y(t) = R sin (ωt)z(t) = ct

(3.13)

dunque P (t) = (R cos (ωt))~i + (R sin (ωt))~j + (ct)~k, con c, ω e R costantifissate.La quantita T = c · 2π viene detta passo dell’elica.Si ha inoltre che:

P (t) = (−ωR sin (ωt))~i+ (ωR cos (ωt))~j + c~k

P (t) = (−ω2R cos (ωt))~i+ (−ω2R sin (ωt))~j...P (t) = (ω3R sin (ωt))~i+ (−ω3R cos (ωt))~j

La funzione arco vale:

s =Z t

t0v(ξ) dξ (3.14)

da cui si ricava, derivando ambo i membri rispetto al parametro t:

ds

dt= v =

Èx2 + y2 + z2 = ‖P‖ =

Èω2R2(sin2 (ωt) + cos2 (ωt)) + c2 =

√ω2R2 + c2

(3.15)

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46 CAPITOLO 3. CURVE NELLO SPAZIO

Si noti che l’uguaglianza dsdt

=√ω2R2 + c2 esprime la legge di composizione

delle velocita di Galileo: la velocita di traslazione verso l’alto (c) e la velocitatangenziale di rotazione (ωR), ad essa perpendicolare.Calcoliamoci la curvatura k. Dalla (3.11) abbiamo che:

k2 =

P P P P

P P P P

v6

=

ω2R2 + c2 00 ω4R2

(ω2R2 + c2)3

=(ω2R2 + c2)ω4R2

(ω2R2 + c2)3=

ω4R2

(ω2R2 + c2)2

e dunque si ha che

k =ω2R

ω2R2 + c2(3.16)

Si noti che la curvatura non dipende da t, dunque e costante; inoltre per c = 0tale curvatura e quella della circonferenza. L’aggiunta di c2 al denominatore,dunque tiene conto dell’esistenza di una velocita di traslazione verso l’alto.Per quanto riguarda la torsione, dalla (3.12) si ha:

τ =P · P ∧

...P

(P · P )(P P )− (P · P )2=

−ωR sin (ωt) ωR cos (ωt) c−ω2R cos (ωt) −ω2R sin (ωt) 0ω3R sin (ωt) −ω3R cos (ωt) 0

ω2R2 + c2 00 ω4R2

=

=c(ω5R2 cos2 (ωt) + ω5R2 sin2 (ωt))

ω4R2(ω2R2 + c2)=

ω2R2 + c2(3.17)

Si noti che anche la torsione non dipende dal parametro t, e dunque e co-stante. Si puo dimostrare che l’elica cilindrica e l’unica curva a curvaturae torsioni costanti (non nulle). In oltre si dimostrano le seguenti piccoleproposizioni.

Proposizione 3.2. L’angolo che il vettore tangente forma con il piano xy ecostante.

Dimostrazione. Il vettore tangente ha la stessa direzione del vettore velocita,dunque dimostriamo che l’angolo θ tra P (t) e il piano xy e costante.

P (t) = (−ωR sin (ωt))~i+ (ωR cos (ωt))~j + c~k

da cui si ricavano la componente Pxy sul piano xy e la componente Pz lungol’asse z. Si ha che:

Pxy(t) = (−ωR sin (ωt))~i+ (ωR cos (ωt))~j

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3.2. IL TRIEDRO DI FRENET: CURVATURA E TORSIONE 47

Pz(t) = c~k

La tangente dell’angolo formato da P con il piano xy e il rapporto tra imoduli di questi due vettori:

‖Pxy(t)‖ =Èω2R2 sin2 (ωt) + ω2R2 cos2 (ωt) = ωR

‖Pz(t)‖ = c

dunque si ha:

tan θ =ωR

c⇒ θ = arctan

ωR

c

che non dipende da t ed e costante su tutta l’elica.

Proposizione 3.3. Per ogni t, la direzione della normale principale allacurva interseca l’asse di rotazione.

Dimostrazione. La direzione della normale principale e la stessa direzione delvettore normale ~k(s) = d2P

ds= P ′′. Ma per l’equazione (3.8):

~k(t) =P

v2− vP

v3

Essendo v costante per l’elica cilindrica, v = 0, e il secondo addendo scom-pare, e sostituendo le espressioni di P e di v si ha:

~k(t) = − ω2R

ω2R2 + c2cos (ωt)~i− ω2R

ω2R2 + c2sin (ωt)~j

Tale vettore giace su un piano π parallelo al piano xy. La direzione di questovettore dunque e una retta in un piano parallelo a xy avente pendenza parial rapporto tra i coefficienti della ~j e della ~i, ovvero:

m = tan (ωt)

e imponendo il passaggio per un generico punto P0 = (R cos (ωt0), R sin (ωt0), ct0),in cui x0 = R cos (ωt0) e y0 = R sin (ωt0) la retta sul piano π0 (parallelo alpiano xy) assume la forma:

y − y0 = m(x− x0) ⇒ y −R sin (ωt0) = tan (ωt)(x−R cos (ωt)) ⇒

⇒ y = x tan (ωt)−R cos (ωt) tan (ωt) +R sin (ωt) ⇒ y = x tan (ωt)

che e una retta passante per l’origine. Dato che cio vale per ogni punto P0

dell’elica, in ogni punto la direzione della normale principale intercetta l’assez, e la tesi e dimostrata.

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48 CAPITOLO 3. CURVE NELLO SPAZIO

3.3 Teorema fondamentale di Bonnet (nello

spazio)

Teorema 3.4 (Bonnet). Date ad arbitrio due funzioni τ(s) di classe C0 ek(s) di classe C1, esiste sempre ed e unica (a meno di uno spostamento rigidonello spazio) la curva α di classe C3 avente s come arco, k(s) come curvaturae τ(s) come torsione.

Insomma, il teorema afferma che non vi sono altri parametri differenzialiindipendenti da k e τ nella geometria delle curve spaziali, quindi la teoriae completa3. Inoltre non ci sono vincoli (ne finiti, ne differenziali), dettianche condizioni di compatibilita, che limitano i valori assumibili da k(s) eτ(s). Dati questi ultimi ad arbitrio, sara sempre possibile trovare una curvaavente tale curvatura e tale torsione. Dopo questi chiarimenti, vediamo ladimostrazione del teorema.

Dimostrazione. Si procede in tre passi.

Passo 1. Indicheremo con ~e(s) =

~t~n~b

il vettore colonna i cui elementi sono

i vettori della base di Frenet. Dato che i vettori di ~e(s) sono una base, essiverificano la seguente equazione differenziale lineare:

d~e(s)

ds= Ω(s) · ~e(s) (3.18)

con Ω(s) matrice di Cartan della base ~e(s). Se aggiungiamo la condizione

iniziale e(0) = (~i,~j,~k), abbiamo un problema di Cauchy. Per il Teorema fon-damentale di Cauchy in grande, sappiamo che l’equazione differenziale (3.18)ammette un’unica soluzione esplicita ~e(s), ∀s ∈ I dove Ω(s) e continua4.In altre parole, dati k(s) e τ(s) ho

Ω(s) =

0 k(s) 0

−k(s) 0 τ(s)0 −τ(s) 0

e il problema di Cauchy

8><>: d~e

ds= Ω(s) · ~e(s)

~e(0) = (~i,~j,~k)

, nelle condizioni di cui sopra,

ammette un’unica soluzione ~e(s). Ho associato cosı a k(s) e τ(s) una famiglia

3Il teorema si estende analogamente al caso n-dimensionale: se al posto di E3

consideriamo En, vi saranno n− 1 parametri fondamentali.4Vale a dire, dove i suoi elementi sono continui.

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3.4. EQUAZIONI CANONICHE 49

di basi ~e(s).Passo 2. Utilizzando la condizione di antisimmetria della matrice di CartanΩ(s) + ΩT (s) = 0 e l’ipotesi che ~e(0) sia ortonormata, si puo dedurre chetutte le basi ~e(s) sono ortonormate. Se infatti cosı non fosse, per qualchevalore di s perderemmo l’antisimmetria nella matrice Ω(s), ma cio e assurdo(v. paragrafo 3.2).Passo 3. Prendiamo il primo vettore della terna ~e(s) e chiamiamolo ~t(s), edefiniamo una funzione P (s) ponendo:

P (s) = P (0) +Z s

0

~t(u) du

Dimostriamo che P (s) e la curva cercata. Anzitutto e chiaro che essendo ~t dimodulo unitario, allora il parametro s e il parametro arco della curva. Fattaquesta identificazione, non facciamo altro che scrivere le equazioni di Frenet,identificandole con il sistema d~e

ds= Ω(s) · ~e(s).

3.4 Equazioni canoniche

Si chiamano equazioni canoniche le equazioni parametriche della curvanell’intorno di un suo punto P0, riferite alla terna di Frenet associata a P0.Tali equazioni ci danno informazioni sulla geometria locale della curva.Lo strumento di cui abbiamo bisogno e lo sviluppo in serie di Taylor. In unintorno di P0, infatti si ha:

P (s) = P0 + sP ′0 +

1

2s2P ′′

0 +1

3!s3P ′′′

0 + . . . =+∞Xi=0

siP(i)0

i!(3.19)

Inoltre abbiamo bisogno delle espressioni delle derivate di P calcolate in P0

(ovvero in s = 0), espresse in funzione della base di Frenet:8>>><>>>:P ′

0 = ~t0

P ′′0 = k0~n0

P ′′′0 =

d

ds(k~n)

s=0

= k′0~n− k20~t0 + k0τ0~b0

(3.20)

Dunque:

P (s) = P0 + s~t0 +s2

2k0~n0 +

s3

6(−k2

0~t0 + k′0~n0 + k0τ0~b0) + o(s3) (3.21)

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50 CAPITOLO 3. CURVE NELLO SPAZIO

Quindi, chiamando X(s), Y (s) e Z(s) le coordinate del punto sulla curva

rispetto alla base (~t0, ~n0,~b0):

~t0 :

~n0 :

~b0 :

8>>>>>><>>>>>>:X(s) = s− k2

0

6s3 + o(s3)

Y (s) =k0

2s2 +

k′06s3 + o(s3)

Z(s) =k0τ06s3 + o(s3)

(3.22)

Cio che e importante e che in prima approssimazione, per s piccoli: X(s) ≈ s,Y (s) ≈ s2, Z(s) ≈ s3. Dunque se andiamo a vedere (fig. 3.4) che aspetto as-sume la curva sul piano osculatore, sul piano rettificante, e sul piano normaletroviamo che:

• La proiezione locale della curva sul piano osculatore5 XY (che possiamoottenere dimenticandoci per un momento della coordinata Z) ha equa-

zioni parametriche

¨X(s) = sY (s) = c1s

2 , e per eliminazione di s otteniamo

Y = c1X2, che e una parabola in X. Sul piano osculatore, dunque,

localmente la curva assume la forma di una parabola.

• La proiezione locale della curva sul piano rettificante XZ e data dalle

equazioni parametriche

¨X(s) = sZ(s) = c2s

3 , e per eliminazione di s ottenia-

mo Z = c2X3, che e una cubica in X. Sul piano rettificante, dunque,

localmente la curva assume la forma di una cubica.

• Infine, la proiezione locale della curva sul piano normale Y Z e data

dalle equazioni parametriche

¨Y (s) = c1s

2

Z(s) = c2s3 , e per eliminazione di s

otteniamo Z2 = c3Y3, che e una semicubica avente nell’origine un punto

singolare, una cuspide. Notiamo dunque che la proiezione locale dellacurva sul piano normale presenta un punto di non derivabilita, puressendo la curva derivabile nello spazio.

5Infatti il piano osculatore e quello individuato dai vettori ~t0 e ~n0, e ricordiamo che sipuo scrivere P (s) = P0 + X(s)~t0 + Y (s)~n0 + Z(s)~b0.

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3.4. EQUAZIONI CANONICHE 51

Figura 3.4: Proiezioni locali della curva sui vari piani

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52 CAPITOLO 3. CURVE NELLO SPAZIO

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Parte II

Geometria locale delle superficiin E3

53

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Capitolo 4

Introduzione

4.1 Tratti generali

Il problema che vogliamo affrontare e l’analisi locale (sempre nell’intornopuntuale) di una superficie bidimensionale immersa nello spazio euclideo, eil calcolo della sua curvatura. Vedremo che per tali superfici, la curvaturae caratterizzata da una funzione scalare K detta curvatura gaussiana. Percalcolare tale valore dovremo conoscere due forme quadratiche dette primaforma fondamentale e seconda forma fondamentale. Esse svolgerannoper le superfici il ruolo che k(s) e τ(s) svolgevano nella teoria delle curve.Quindi k(s) e τ(s) saranno sostituite da una famiglia di sei funzioni (i coef-ficienti delle due forme) nel caso delle superfici. Tali valori, tuttavia, nonpotranno essere dati ad arbitrio, ma dovranno soddisfare alcune opportunecondizioni di compatibilita (che sono il nodo centrale della teoria).I punti della teoria che intendiamo sviluppare sono percio:

1. La prima forma fondamentale

2. La teoria della curvatura normale (di Eulero)

3. Il calcolo della curvatura normale mediante le forme fondamentali

4. La curvatura gaussiana

5. Le condizioni di compatibilita e il Theorema Egregium di Gauss.

55

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56 CAPITOLO 4. INTRODUZIONE

4.2 Analisi introduttiva

4.2.1 Superfici e parametrizzazioni

Definizione 4.1. Si chiama elemento di superficie parametrizzatauna mappa α : D ⊂ R2 → E3 data dalle funzioni componenti:8><>: x = f(u, v)

y = g(u, v)z = h(u, v)

(4.1)

Tali equazioni sono dette equazioni parametriche.

Figura 4.1: Superficie come applicazione da R2 a R3

Si suppone che quantomeno α ∈ C1. Inoltre dobbiamo nuovamente im-porre (come gia avvenuto al paragrafo 1.1.2) una condizione di regolarita

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4.2. ANALISI INTRODUTTIVA 57

della superficie: la matrice jacobiana di α deve avere rango massimo:

rgJ(u, v) = rg

0BBBBBBBB@∂f

∂u

∂f

∂v∂g

∂u

∂g

∂v∂h

∂u

∂h

∂v

1CCCCCCCCA = 2 (4.2)

In quest’ipotesi si dice che α : D ⊂ R2 → E3 e un’immersione di D in E3.Le superfici parametrizzate di cui ci occuperemo saranno esclusivamente im-mersioni di D in E3.L’immagine S della superficie α e detto supporto della superficie.

4.2.2 Piano tangente e base naturale

Figura 4.2: Il piano tangente e la base naturale

L’ipotesi di regolarita implica l’esistenza di un piano tangente in ognipunto di S. Questo piano (fig. 4.2) ha la proprieta di contenere i vettoritangenti a tutte le curve situate sulla superficie e passanti per il punto con-siderato.Se fissiamo, sul piano uv una coordinata e lasciamo variare l’altra, otteniamo

gli assi coordinati in R2. La curva

¨u = u0

v = ve, appunto, un asse coordinato

(una retta parallela all’asse v) in R2. La sua immagine mediante α, data daP (u0, v) e la corrispondente linea coordinata su S. Si tratta di una curva

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58 CAPITOLO 4. INTRODUZIONE

regolare, quindi dotata di velocita, ossia, lungo tale curva:

∂P

∂v(u0, v) =

∂f

∂v(u0, v)~i+

∂g

∂v(u0, v)~g +

∂h

∂v(u0, v)~k (4.3)

Ripetendo il ragionamento per l’asse coordinato

¨u = uv = v0

, giungiamo alla

determinazione di un altro vettore velocita relativo all’altra linea coordinatasu S:

∂P

∂u(u, v0) =

∂f

∂u(u, v0)~i+

∂g

∂u(u, v0)~g +

∂h

∂u(u, v0)~k (4.4)

L’ipotesi di regolarita ci garantisce che:

• nessuno di questi due vettori e nullo (altrimenti avremmo rgJ ≤ 1);

• i due vettori non sono paralleli (altrimenti avremmo rgJ = 1).

Dunque si ha che∂P

∂v∧ ∂P

∂u6= 0

e quindi i due vettori trovati formano una base sullo spazio tangente allasuperficie in un suo punto. Tale base verra detta base naturale associataalle coordinate (u, v).

4.2.3 Composizione

Prendiamo ora oltre alla superficie α : I ⊂ R2 → E3, una curva regolare β :J ⊂ R → R2 nel piano delle coordinate descritte dalle equazioni parametriche¨

u = u(t)v = v(t)

Per composizione (fig 4.3) otteniamo la curva regolare:

γ = α β : J ⊂ R → E3

che corrisponde alla restrizione della superficie lungo una curva. Abbiamocostretto le coordinate (u, v) a stare su una curva, e abbiamo ottenuto percomposizione una nuova curva sulla superficie α.La curva γ conserva la regolarita (componendo immersioni si ottengono im-mersioni); dunque γ e dotata di un vettore tangente ~v che si ottiene mediantela regola di derivazione di funzioni composte:

~v =dPγ

dt=dPα(u(t), v(t))

dt=∂Pα(u(t), v(t))

∂u

du(t)

dt+∂Pα(u(t), v(t))

∂v

dv(t)

dt(4.5)

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4.2. ANALISI INTRODUTTIVA 59

Figura 4.3: Curva su una superficie

Il vettore ~v =∂Pα

∂uu+

∂Pα

∂vv e una combinazione lineare dei due vettori della

base naturale, dunque giace nel piano da essi generato, vale a dire nel pianotangente. La definizione di piano tangente a un punto P , dunque, risultaappropriata dal momento che esso contiene tutti i vettori ~v tangenti a qual-siasi curva passante per P . Si parla di piano tangente in P ad S, altrimentidenotato con TPS.

4.2.4 Indipendenza del piano tangente dalla parame-trizzazione

Nel paragrafo precedente il piano tangente e stato coerentemente definito,subordinatamente alla scelta di una parametrizzazione (u, v). Ma che cosasuccede al piano tangente se scegliamo una diversa parametrizzazione?

Definizione 4.2. Si chiama cambio di parametrizzazione (o cambio di cartalocale1) ogni applicazione Φ differenziabile e con inversa differenziabile daun aperto D′ ⊂ R2 a D ⊂ R2.In simboli:

Φ : D′ ⊂ R2 → D ⊂ R2

¨u = ϕ(u′, v′)v = ψ(u′, v′)

con ϕ, ψ ∈ C1, e tali che esistano le inverse ϕ′, ψ′ ∈ C1.

L’applicazione composta α′ = α Φ e una nuova parametrizzazione diS. E ancora una parametrizzazione regolare (α′ e immersione di D′ in E3)

1D e il dominio della carta, α e la carta.

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60 CAPITOLO 4. INTRODUZIONE

perche il determinante del differenziale non si annulla, dunque il rango dellajacobiana rimane massimo:

det dΦ =

∂ϕ

∂u′∂ϕ

∂v′

∂ψ

∂u′∂ψ

∂v′

(4.6)

Confrontiamo ora la base naturale associata alla parametrizzazione (u, v) conla base naturale associata alla parametrizzazione (u′, v′).

Pα′(u′, v′) = Pα(u, v) = Pα(ϕ(u′, v′), ψ(u′, v′)) (4.7)

da cui, per il teorema di derivazione di funzioni composte:

∂Pα′

∂u′=∂Pα

∂u

∂ϕ

∂u′+∂Pα

∂v

∂ψ

∂u′

∂Pα′

∂v′=∂Pα

∂u

∂ϕ

∂v′+∂Pα

∂v

∂ψ

∂v′

(4.8)

Dall’equazione (4.8) notiamo che i vettori della base naturale relativa a (u′, v′)non sono altro che combinazioni lineari dei vettori della base naturale relativaa (u, v). Tali vettori sono linearmente indipendenti per la (4.6); se ne deduceimmediatamente che:

Span∂Pα′

∂u′,∂Pα′

∂v′

= Span

∂Pα

∂u,∂Pα

∂v

= TPS (4.9)

In altri termini, la base naturale e differente, ma il piano tangente e lo stesso,e dunque non dipende dalla parametrizzazione della superficie.Inoltre si ha che:

∂Pα′

∂u′∧ ∂Pα′

∂v′=

∂ϕ

∂u′∂ϕ

∂v′

∂ψ

∂u′∂ψ

∂v′

∂Pα

∂u∧ ∂Pα

∂v(4.10)

Se il determinante della matrice jacobiana di Φ e maggiore di zero, dunque,la nuova parametrizzazione preserva l’orientazione di (u, v). Viceversa, sedet JΦ < 0, l’ordine di (u′, v′) risulta invertito rispetto all’ordine di (u, v).

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Capitolo 5

Prima forma fondamentale

5.1 Definizione

Ad ogni punto della superficie S, abbiamo visto, e associato uno spazio vet-toriale bidimensionale detto spazio tangente nel punto P ad S e indicatocon TPS. Tale proprieta non dipende dalla parametrizzazione, dunque e unaproprieta del supporto S. I vettori dello spazio tangente sono le velocita dellecurve situate su S e passanti per P . Lo spazio tangente TPS e contenutonello spazio euclideo E3, e dunque eredita il prodotto scalare canonico di E3.

Definizione 5.1. Si chiama prima forma fondamentale, e si indica conI, la restrizione del prodotto scalare di E3 su TPS.

Consideriamo due vettori ~p e ~q, appartenenti a TPS. Dunque:

~p = a∂P

∂u+ b

∂P

∂v

~q = α∂P

∂u+ β

∂P

∂vCalcoliamone il prodotto scalare:

~p · ~q = aα(∂P

∂u

∂P

∂u) + (aβ + bα)(

∂P

∂u

∂P

∂v) + bβ(

∂P

∂v

∂P

∂v)

Si nota che tale prodotto scalare e definito dai prodotti scalari dei vettoridella base naturale. I coefficienti8>>>>>><>>>>>>:

E :=∂P

∂u

∂P

∂u

F :=∂P

∂u

∂P

∂v

G :=∂P

∂v

∂P

∂v

(5.1)

61

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62 CAPITOLO 5. PRIMA FORMA FONDAMENTALE

sono detti coefficienti della prima forma. La forma

I(~p, ~q) = ~p · ~q = aαE + (aβ + bα)F + bβG (5.2)

con dP : TPS × TPS → R e una forma bilineare simmetrica. Dunque secome parametro introduciamo lo stesso vettore, ossia I(~w, ~w) otteniamo laseguente forma quadratica:

I(~w) := I(~w, ~w) = ~w · ~w = α2E + 2αβF + β2G (5.3)

che e la forma quadratica associata a I (sovente detta, in breve, anch’essa“prima forma”).I coefficienti della prima forma misurano il difetto di ortonormalita dellabase1. In particolare F , il coefficiente dei termini misti, e la misura della nonortogonalita della base.Si dice anche che E,F,G sono i coefficienti della metrica di una superficie

e

E FF G

e detto tensore metrico.

5.2 Applicazioni

A che cosa serve la prima forma I? La sua utilita primaria e quella di calcolarela lunghezza delle curve tracciate sulla superficie. Dunque I svolge il ruoloche il parametro arco svolgeva nella teoria delle curve.Ci sono due modi per mostrare la relazione tra parametro arco e prima formafondamentale: il primo si basa sul concetto di velocita, il secondo sul concettodi distanza.

5.2.1 Velocita

Dallo studio delle curve sappiamo che la lunghezza di un tratto di curva edato da:

s =Z t1

t0v(t)dt =

Z t1

t0

È~v(t) · ~v(t) dt

Il vettore del piano tangente ~v(t) non e altro che il vettore velocita lungouna curva γ della superficie. In particolare, dato che Pγ(t) = Pα(u(t), v(t)),

1Infatti se fossimo, invece che su una superficie qualsiasi, su E2, il prodotto scalare tradue vettori qualunque sarebbe ~p · ~q = aα + bβ, con dunque E = G = 1, F = 0.

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5.2. APPLICAZIONI 63

si ha2:

~v(t) =dPγ(t)

dt= u

∂Pα

∂u+ v

∂Pα

∂v(5.4)

Dunque abbiamo che:

s =Z t1

t0

È~v(t) · ~v(t) dt =

Z t1

t0

√Eu2 + 2Fuv +Gv2dt =

Z t1

t0

ÈI(~v) dt (5.5)

dove con I(~v) := I(~v,~v) intendiamo la prima forma valutata sul vettore (~v,~v)- vale a dire: i due vettori dati in ingresso alla forma quadratica I coincidono,e corrispondono a ~v = (u, v).

5.2.2 Distanza

Consideriamo nello spazio un punto P di coordinate (x, y, z) e un puntoP + dP di coordinate (x + dx, y + dy, z + dz). Non e difficile calcolare ladistanza euclidea tra questi due punti, e sufficiente applicare il Teorema diPitagora:

ds2 = dx2 + dy2 + dz2

Imponiamo ora che P e P + dP giacciano sul supporto della superficie α :8><>: x = f(u, v)y = g(u, v)z = h(u, v)

e troviamo la restrizione di ds2 su S:

ds2 = df(u, v)2 + dg(u, v)2 + dh(u, v)2

ds2 =∂f∂udu+

∂f

∂vdv2

+∂g∂udu+

∂g

∂vdv2

+∂h∂udu+

∂h

∂vdv2

ds2 =∂f∂u

2

+∂g∂u

2

+∂h∂u

2du2 + 2

∂f∂u

∂f

∂v+∂g

∂u

∂g

∂v+∂h

∂u

∂h

∂v

dudv+

+∂f∂v

2

+∂g∂v

2

+∂h∂v

2dv2 (5.6)

L’equazione (5.6) mostra che restringendo ds2 su S ottengo una forma qua-dratica in (du, dv) detta la metrica della superficie. Mostriamo che cio e coe-rente con quanto avevamo affermato precedentemente, ossia che i coefficienti

2Si noti dall’equazione (5.4) che la base naturale e detta cosı proprio perche il vettorevelocita ha come componenti lungo di essa proprio le derivate delle componenti u e vrispetto a t. Il vettore velocita della curva nel piano (u, v) e il vettore velocita della suaimmagine su S mantengono dunque le stesse coordinate, solamente rispetto a due basidiverse.

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64 CAPITOLO 5. PRIMA FORMA FONDAMENTALE

della prima forma E,F,G sono i coefficienti della metrica della superficie.Il passo fondamentale e notare che questa metrica ds2 non e nient’altro che laprima forma valutata sullo spostamento infinitesimo3 (dP, dP ), ovvero che4:

Teorema 5.1.

ds2 = I(dP, dP )

Dimostrazione. Infatti, dato che P = f(u, v)~i+g(u, v)~j+h(u, v)~k (equazionevettoriale della superficie), si ha che:8>><>>:

∂P

∂u=∂f

∂u~i+

∂g

∂u~j +

∂h

∂u~k

∂P

∂v=∂f

∂v~i+

∂g

∂v~j +

∂h

∂v~k

e dunque, per come avevamo definito i coefficienti nel paragrafo 5.1:8>>>>>><>>>>>>:E :=

∂P

∂u

∂P

∂u=∂f

∂u

∂f

∂u+∂g

∂u

∂g

∂u+∂h

∂u

∂h

∂u

F :=∂P

∂u

∂P

∂v=∂f

∂u

∂f

∂v+∂g

∂u

∂g

∂v+∂h

∂u

∂h

∂v

G :=∂P

∂v

∂P

∂v=∂f

∂v

∂f

∂v+∂g

∂v

∂g

∂v+∂h

∂v

∂h

∂v

che sono proprio i coefficienti presenti nella tesi del teorema. Dunque, avendocoefficienti uguali, ds2 = I(dP, dP ).

5.2.3 Area

Un’altra applicazione utile della prima forma e nel calcolo dell’area dellasuperficie relativa a un dominio Ω nel piano (u, v). Detta α la superficie,chiamata A[X] la funzione che associa a ogni dominio X nel piano dellecoordinate l’area della regione di superficie α(Ω) individuata da tale dominio,si ha che5:

3Differenziando P , abbiamo che dP =∂P

∂udu +

∂P

∂vdv, e dunque, visto in coordinate

rispetto alla base naturale, dP = (du, dv).4Brutalmente e con abuso di linguaggio, talvolta si dice che I e ds sono la stessa forma.5Mentre la lunghezza di una curva puo essere definita come il limite della lunghezza

delle poligonali all’infittirsi dei punti, si puo dimostrare che un analogo procedimento ditassellazione non funzionerebbe per le superfici, poiche non tenderebbe ad alcun limitefinito.

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5.2. APPLICAZIONI 65

Teorema 5.2.

A[R] =ZZ

Ω

ÌE FF G

dudv =ZZ

Ω

√EG− F 2 dudv

Dimostrazione. Dobbiamo mostrare che l’elemento infinitesimo di area si di-lata di un fattore pari a

√EG− F 2. Per far cio, consideriamo un rettangolino

infinitesimo nel piano (u, v) di lati du e dv. La mappa α ha l’effetto di produr-re una deformazione della piastrella elementare (du, dv); tale deformazione ecomposta da uno scorrimento che cambia gli angoli e da una dilatazionelungo i lati. Nell’approssimazione lineare, ossia quando utilizziamo il diffe-renziale della mappa α in luogo della mappa stessa, il rettangolo (du ·~i, dv ·~j)si trasforma in un parallelogramma di lati (∂P

∂udu, ∂P

∂vdv) (si noti che le coor-

dinate non sono cambiate, semplicemente e stata sostituita alla base fissa deiversori del piano, la base naturale). L’area della piastrella elementare verradunque dilatata di conseguenza: da dudv (prima della trasformazione) allanorma del prodotto vettoriale dei nuovi lati del parallelogramma (per unanota proprieta del prodotto vettoriale). Dunque:

Area parallelogramma =∂P∂u du ∧ ∂P

∂vdv

= ∂P∂u ∧ ∂P

∂v

dudvda cui si evince che il fattore di dilatazione e proprio la norma del prodottovettoriale:∂P∂u ∧ ∂P

∂v

= s∂P∂u ∧ ∂P

∂v

2 =

s∂P∂u 2 · ∂P∂v 2 · sin2 θ =

=

s∂P∂u 2 · ∂P∂v 2 · (1− cos2 θ) =

s∂P∂u 2 · ∂P∂v 2 − ∂P∂u 2 · ∂P∂v 2 cos2 θ =

=

Ê∂P

∂u

∂P

∂u· ∂P∂v

∂P

∂v−∂P∂u

· ∂P∂v

2

=√EG− F 2

e ci siamo.

Esempio: sfera. Consideriamo una sfera S2 con centro nell’origine6; laparametrizzazione piu comune per tale sfera e quella che sfrutta le proprietadi simmetria sferica, introducendo come parametri due angoli ϕ e θ, detti

6In generale indicheremo con Sn una superficie sferica di dimensione n in uno spazion+1-dimensionale, dunque S0 e un punto, S1 e una circonferenza, S2 la comune superficiesferica, S3 la sfera tridimensionale in uno spazio a piu di tre dimensioni, e cosı via.

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66 CAPITOLO 5. PRIMA FORMA FONDAMENTALE

Figura 5.1: La sfera e le sue coordinate

rispettivamente longitudine e colatitudine7. La longitudine e l’angolo che

la proiezione del segmento orientato−→OP sul piano xy descrive con l’asse x;

la colatitudine e l’angolo che il segmento orientato−→OP descrive con l’asse

z. Facendo variare ϕ ∈ (0, 2π) e θ ∈ (0, π) riusciamo a ricoprire quasi l’in-tera superficie, con l’eccezione di una piccola strisciolina corrispondente alongitudine 0, che si estende fino a comprendere i due poli. Insomma, taleparametrizzazione non da propriamente la sfera, ma non riesce a ricoprire idue poli e un semicerchio massimo. Si noti che se imponessimo di ricoprirli,il cambiamento di coordinate non sarebbe piu una biezione, poiche esisterb-bero punti (ad esempio i poli) cui corrisponderebbero diverse configurazionidella coppia di parametri (θ, ϕ).A questo punto bastano poche nozioni di trigonometria per determinare comesi scrivono le coordinate (x, y, z) del punto sulla sfera in funzione dei nuo-vi parametri (θ, ϕ); la parametrizzazione della sfera S2 di raggio R risultadunque: 8><>: x = R sin θ cosϕ

y = R sin θ sinϕz = R cos θ

(5.7)

Determiniamo ora le linee coordinate. Consideriamo nel piano (θ, ϕ) unaretta parallela all’asse ϕ, vale a dire, fissiamo un valore di θ = θ0. Abbiamoidentificato una curva (una retta) sul piano dei parametri: mediante l’appli-cazione α, tale curva avra come immagine una nuova curva sulla superficie

7Si noti l’analogia con la consueta rappresentazione di un punto sulla superficie terrestrenelle carte geografiche, dove, tuttavia, al posto della colatitudine si sceglie di utilizzare ilsuo complementare, la latitudine, che dunque e nulla all’equatore e massima ai poli.

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5.2. APPLICAZIONI 67

S2. Vediamo che forma assume questa curva:

P (θ0, ϕ) =

8><>: x = R sin θ0 cosϕ = k1 cosϕy = R sin θ0 sinϕ = k1 sinϕz = R cos θ0 = k2

Tali equazioni mi identificano, per ogni θ0 fissato, le linee coordinate, chesono, nello speficifo, circonferenze giacenti su piani paralleli al piano xy e diraggio k1 = R sin θ0. Analogamente si trova che, fissando ϕ = ϕ0:

P (θ, ϕ0) =

8><>: x = R sin θ cosϕ0 = k3 sin θy = R sin θ sinϕ0 = k4 sin θz = R cos θ

Troviamo i vettori della base naturale. Per fare cio calcoliamoci innanzituttole derivate parziali:8>>>>>><>>>>>>:

∂x

∂θ= R cos θ cosϕ

∂y

∂θ= R cos θ sinϕ

∂z

∂θ= −R sin θ

8>>>>>><>>>>>>:∂x

∂ϕ= −R sin θ sinϕ

∂y

∂ϕ= R sin θ cosϕ

∂z

∂ϕ= 0

I vettori della base naturale sono i vettori aventi per componenti tali derivateprime:

∂P

∂θ= R cos θ cosϕ~i+R cos θ sinϕ~j −R sin θ~k

∂P

∂ϕ= −R sin θ sinϕ~i+R sin θ cosϕ~j

Calcoliamoci la prima forma come restrizione del prodotto scalare sullo spazio

tangente TPS.

∂P

∂θ,∂P

∂ϕ

sono una base per TPS, dunque due qualsiasi

vettori ~u e ~v si possono scrivere come:

~u = uθ∂P

∂θ+ uϕ

∂P

∂ϕ

~v = vθ∂P

∂θ+ vϕ

∂P

∂ϕ

Facendo ereditare a TPS il prodotto scalare di E3, si ha che il prodotto scalaredi ~u e ~v (vale a dire la prima forma) e dato da:

~u · ~v = uθvθ∂P

∂θ

∂P

∂θ+ (uθvϕ + uϕvθ)

∂P

∂θ

∂P

∂ϕ+ uϕvϕ

∂P

∂ϕ

∂P

∂ϕ

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68 CAPITOLO 5. PRIMA FORMA FONDAMENTALE

dunque i coefficienti di I sono:8>>>>>><>>>>>>:E =

∂P

∂θ

∂P

∂θ=∂P∂θ 2 = R2(cos2 ϕ cos2 θ + sin2 ϕ cos2 θ + sin2 θ) = R2

F =∂P

∂θ

∂P

∂ϕ= R2(− cosϕ sinϕ sin θ cos θ + sinϕ sin θ cosϕ cos θ = 0

G =∂P

∂ϕ

∂P

∂ϕ=∂P∂ϕ 2 = R2(sin2 ϕ sin2 θ + cos2 ϕ sin2 θ) = R2 sin2 θ

Calcoliamoci la metrica ds2 della superficie S2:

ds2 = dx2 + dy2 + dz2

Ma: 8><>: dx = R cos θ cosϕdθ −R sin θ sinϕdϕdy = R cos θ sinϕdθ +R sin θ cosϕdϕdz = −R sin θdθ

e dunque:

ds2 = R2[(cos θ cosϕdθ−sin θ sinϕdϕ)2+(cos θ sinϕdθ+sin θ cosϕdϕ)2+(− sin θdθ)2]

ds2 = R2[dθ2 + sin2 θdϕ2]

ds2 = R2dθ2 +R2 sin2 θdϕ2 (5.8)

che e la metrica della superficie sferica.Calcoliamo la lunghezza L del parallelo corrispondente a colatitudine θ = π

4

con l’equazione (5.5):

L =Z √

ds2 =Z ϕ=2π

ϕ=0

ÈR2dθ2 +R2 sin2 θdϕ2

θ=π/4

=

= RZ ϕ=2π

ϕ=0

Ê0 +

1

2dϕ2 = R

√2

2

Z ϕ=2π

ϕ=0dϕ = πR

√2

Allo stesso risultato potevamo arrivare osservando che tale parallelo e unacirconferenza di raggio

R sin θθ=π/4

= R sinπ

4= R

√2

2

e dunque la lunghezza di tale circonferenza vale 2πR√

22

= πR√

2.

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Capitolo 6

Curvatura e seconda forma

Vogliamo ora definire uno strumento in grado di dirci qualcosa circa la cur-vatura di una superficie in un suo punto P . Vi sono due strade per affron-tare l’argomento, ed entrambe le strade portano alla medesima soluzione: lastrada percorsa da Eulero fa uso della nozione di curvatura delle linee chegiacciono su S (per calcolare la curvatura di una superficie in un suo puntoP ci si riduce alla curvatura delle linee che giacciono su S e che passano pertale punto); la strada percorsa da Gauss sfrutta invece la variabilita dellanormale mediante l’immagine sferica della superficie costruita con la mappadi Gauss1: P → ~N(P ). Vedremo piu in dettaglio successivamente questaseconda strada, per il momento seguiamo la strada percorsa da Eulero.

6.1 Metodo euleriano: curvatura normale e

curvatura gaussiana

Sia Pγ(s) il generico punto di una curva γ su S parametrizzata con il suoparametro arco, calcolabile lasciando variare liberamente il secondo estremonell’integrale dell’equazione (5.5). Detto ~tγ il vettore tangente alla curva, γha un vettore curvatura

~k(s) :=d~tγds

=d2Pγ(s)

ds2

Il punto e che, mentre nel caso di una curva nel piano, il vettore curvatura gia-ce anch’esso nel piano della curva, per una generica curva su una superficie,in generale, ~k /∈ TPS, ovvero il vettore curvatura in un punto non appar-tiene al piano tangente al punto. L’idea e che la componente tangenziale

1La normale alla superficie verra indicata con ~N .

69

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70 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

di questo vettore sia propria della curva, mentre la parte normale di questovettore sia dovuta alla superficie, e dunque manifestazione della curvaturadella superficie2. Per questo introduciamo la seguente definizione:

Definizione 6.1. Si chiama curvatura normale di una curva γ giacentesu S e passante per P , la componente normale del vettore curvatura di γ inP . In simboli:

kγN := ~N · d

~tγds

La curvatura normale in un punto dipende sensibilmente dalla curva γche scelgo passare per tale punto. Per completezza (ci servira piu avanti)diamo anche un’altra definizione:

Definizione 6.2. Si chiama curvatura geodetica di una curva γ giacentesu S e passante per P , la componente tangente del vettore curvatura di γ inP .

Figura 6.1: Curvatura normale e curvatura geodetica

Teorema 6.1. L’insieme delle curvature normali kN in un punto dipendeda un solo parametro.

Dimostrazione. Fissiamo un punto P0 su S. Iniziamo con il mostrare chetutte le curve γ che sono tra loro tangenti in P0 hanno la stessa curvatura

2Tale idea non e affatto peregrina: se la superficie degenera in un piano, intuitivamentela sua curvatura e nulla; infatti in ogni punto di ogni curva ~k non ha componente perpen-dicolare. Per estensione, non e assurdo pensare che sia proprio la parte perpendicolare aessere legata alla curvatura della superficie.

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6.1. METODO EULERIANO: CURVATURA NORMALE E CURVATURA GAUSSIANA71

normale; infatti (per parti, con la regola di Leibniz):

kγN := ~N · d

~tγds

= −~tγ ·d ~N

ds+

d

ds( ~N · ~tγ) = −~tγ ·

d ~N

ds

poiche ~N · ~t e nullo, dato che i due vettori sono perpendicolari. Dato che la

derivata d ~Nds

non dipende dalla curva scelta, ma soltanto dalla superficie, taleformula mostra che:

• se due curve hanno in P uguale vettore tangente, allora hanno ancheuguale curvatura normale (in altri termini: kN dipende solo da unparametro: la tangente);

• kN e legata alla variabilita di ~N nell’intorno del punto P considerato3.

Tra tutte le curve passanti per un punto, ce ne sono alcune che hanno unaproprieta particolare, quella di essere ottenute mediante l’intersezione dellasuperficie con un piano ad essa normale.

Definizione 6.3. Si chiama sezione normale la sezione di S ottenutatagliando S con un piano ad essa normale.

Sostanzialmente, in ogni punto P e definito il versore ~N perpendicolarealla superficie. Per tale direzione passa un fascio di piani, detti sezioni nor-mali. Tali sezioni normali, per il teorema precedente, sono rappresentative diun’intera classe di equivalenza di curve tangenti: presa una curva qualsiasicon un certo versore tangente ~t, la sua curvatura normale kN sara uguale allacurvatura normale della sezione normale avente lo stesso versore tangente~t. La curvatura normale e quindi una funzione definita sulla circonferenzaunitaria S1 che giace nel piano tangente: a ogni direzione in questa circonfe-renza e associato un valore di kN .Essendo la circonferenza unitaria S1 un compatto, per il Teorema di Weier-strass, kN ammette massimo e minimo in S1. Sia kMAX il massimo e kMIN ilminimo. Questi valori, ossia la curvatura massima e minima al variare dellasezione normale, sono detti curvature principali.

Definizione 6.4. Si chiama curvatura gaussiana K della superficie α nelpunto P0 ∈ S il prodotto delle curvature principali:

K = kMIN · kMAX

3Si noti che se d ~Nds = 0 ⇒ kN = 0: dunque la curvatura normale e un buon oggetto per

stimare la curvatura di una superficie.

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72 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

Esempio: curvatura gaussiana del cilindro Preso un punto sulla su-perficie laterale del cilindro, una sezione normale si comporta localmentecome un arco di elica cilindrica, e dalla (3.16) deduciamo, in questo caso, che

0 ≤ kN ≤1

R. Dunque kMIN = 0, kMAX =

1

R, da cui K = kMIN · kMAX = 0.

6.2 Seconda forma fondamentale

Calcoliamoci ora i valori della curvatura, una volta note le equazioni para-metriche della superficie:

Pα = Pα(u, v)

e della curva (supponiamo di parametrizzare la curva mediante l’arco4):

u = u(s), v = v(s)

Calcoliamoci innanzitutto la curvatura ~k =d2P

ds2. La curva γ e una funzione

composta:Pγ(s) = Pα(u(s), v(s))

applichiamo quindi il teorema di derivazione di funzione composta:

dP

ds=∂P

∂u

du

ds+∂P

∂v

dv

ds

e otteniamo la solita rappresentazione del versore tangente sulla base natura-le. Ora deriviamo nuovamente rispetto a s, riapplicando al secondo passaggiola regola di Leibniz:

d2P

ds2=

d

ds

∂P∂u

duds

+∂P

∂u

d2u

ds2+

d

ds

∂P∂v

dvds

+∂P

∂v

d2v

ds2=

=∂2P

∂u2

du

ds+∂2P

∂u∂v

dv

ds

duds

+∂P

∂u

d2u

ds2+∂2P

∂v2

dv

ds+∂2P

∂u∂v

du

ds

dvds

+∂P

∂v

d2v

ds2=

=∂2P

∂u2

duds

2

+ 2∂2P

∂u∂v

du

ds

dv

ds+∂2P

∂v2

dvds

2

+∂P

∂u

d2u

ds2+∂P

∂v

d2v

ds2(6.1)

4Si badi bene che se s e arco per la curva (u(s), v(s)) giacente sul piano (u, v) ingenerale non sara parametro arco per la curva P (u(s), v(s)) giacente sul supporto S dellasuperficie α. E fondamentale fissare le idee: qui s e parametro arco della curva iniziale(u(s), v(s)), non della curva trasformata dalla funzione α. Cio significa che il vettorevelocita ~t = (du

ds , dvds ) = (u′(s), v′(s)) della curva originaria (u(s), v(s)) sara unitario, mentre

il vettore velocita ~t = (∂P∂u

duds , ∂P

∂udvds ) della curva trasformata giacera sul piano tangente

alla superficie (essendo combinazione lineare dei vettori della base naturale), ma non sarain generale unitario rispetto alla base fissa (~i,~j,~k). Quello che si puo pero dire, e cheesso sara un versore (ossia sara unitario) considerato come vettore di componenti u′ e v′

rispetto alla base naturale (e bene sottolineare nuovamente il ruolo fondamentale giocatodalla scelta della base naturale).

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6.2. SECONDA FORMA FONDAMENTALE 73

Dato che kN = ~N · d2P

ds2, nell’operazione di prodotto scalare gli ultimi due

termini dell’espressione trovata nella (6.1) non contribuiscono. Infatti, dalmomento che essi sono combinazione lineare dei vettori della base naturale,giacciono nel piano tangente, e dunque sono perpendicolari a ~N . Si ha quindiche, in definitiva:

kN =~N · ∂

2P

∂u2

duds

2

+ 2~N · ∂

2P

∂u∂v

duds

dv

ds+~N · ∂

2P

∂v2

dvds

2

(6.2)

L’espressione precedente mostra che kN e una forma quadratica delle derivateprime di u e v rispetto ad s (il processo di normalizzazione ha eliminato lederivate seconde che si erano venute a creare). In altre parole, kN e funzionequadratica di ~t: tale funzione e la funzione quadratica associata alla secondaforma fondamentale (che sovente viene chiamata a sua volta “secondaforma”). Tale forma fondamentale, che in genere si indica con II, calcolatain due generici vettori dello spazio tangente ~p = a∂P

∂u+ b∂P

∂ve ~q = α∂P

∂u+ β ∂P

∂v

e dunque:

kN = aα~N · ∂

2P

∂u2

+ (aβ + bα)

~N · ∂

2P

∂u∂v

+ bβ

~N · ∂

2P

∂v2

(6.3)

Per analogia con il Teorema 5.1, possiamo scrivere che in ogni punto P :

kN = II(~t,~t ) (6.4)

o anche, piu semplicemente, kN = II(~t ), dove con ~t intendiamo il vettorevelocita in P . Cosı come la I forniva l’arco in funzione dello spostamento in-finitesimo, la II nasce spontaneamente dallo studio della curvatura normale.Prendiamo una curva giacente sulla superficie, prendiamone il suo vettoretangente ~t: la seconda forma risulta funzione di questo ~t, al variare delle cur-ve che passano per un punto fissato P . Al contrario, i coefficienti della II nondipendono da ~t (e quindi dalla curva), bensı sono funzioni del punto fissatoP . Dunque in II osserviamo una netta divisione in due fattori che scindonola parte che compete alla curva (gli argomenti) dalla parte che compete allasuperficie (i coefficienti). Indipendentemente dalla curva, per ogni P fissato,possiamo allora definire i coefficienti della seconda forma fondamentale, peri quali (per distinguerli dai coefficienti della prima forma) useremo le lettereminuscole: 8>>>>>><>>>>>>:

e := ~N · ∂2P

∂u2

f := ~N · ∂2P

∂u∂v

g := ~N · ∂2P

∂v2

(6.5)

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74 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

La formula della curvatura normale (6.2) mostra quindi in forma separata ladipendenza di kN da S tramite i coefficienti e da γ tramite le componentidella tangente.

Esempio: calcolo di II. Calcoliamo la seconda forma fondamentale dellasuperficie: 8><>: x = u cos v

y = u sin vz = v

Abbiamo che:

∂P

∂u:

8>>>>>><>>>>>>:∂x

∂u= cos v

∂y

∂u= sin v

∂z

∂u= 0

∂P

∂v:

8>>>>>><>>>>>>:∂x

∂v= −u sin v

∂y

∂v= u cos v

∂z

∂v= 1

∂2P

∂u2:

8>>>>>><>>>>>>:∂2x

∂u2= 0

∂2y

∂u2= 0

∂2z

∂u2= 0

∂2P

∂u∂v:

8>>>>>><>>>>>>:∂2x

∂u∂v= − sin v

∂2y

∂u∂v= cos v

∂2z

∂u∂v= 0

∂2P

∂v2:

8>>>>>><>>>>>>:∂2x

∂v2= −u cos v

∂2y

∂v2= −u sin v

∂2z

∂v2= 0

inoltre:

~N = vers(∂P

∂u∧ ∂P

∂v) = vers

~i ~j ~kcos v sin v 0−u sin v u cos v 1

=

= vers( sin v~i− cos v~j + u~k) =sin v√1 + u2

~i− cos v√1 + u2

~j +u√

1 + u2~k

da cui, in virtu della (6.5), ricaviamo immediatamente i coefficienti dellaseconda forma:8>>>>>><>>>>>>:

e := ~N · ∂2P

∂u2= 0

f := ~N · ∂2P

∂u∂v= − sin2 v√

1 + u2− cos2 v√

1 + u2= − 1√

1 + u2

g := ~N · ∂2P

∂v2= −u cos v sin v√

1 + u2+u cos v sin v√

1 + u2= 0

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6.2. SECONDA FORMA FONDAMENTALE 75

6.2.1 Calcolo dei coefficienti di II in notazione scalare

E facile passare dalla notazione vettoriale alla notazione scalare per il calcolodei coefficienti della seconda forma. Infatti se ho la parametrizzazione P (u, v)della superficie, ho anche i vettori della base naturale di TPS; per ottenereun vettore normale mi basta fare il loro prodotto vettoriale. Tuttavia talevettore non sara in generale unitario, dunque va diviso per la sua norma. Siha quindi che: 8>>>>>>>>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>>>>>>>>:

e := ~N · ∂2P

∂u2=

∂P

∂u∧ ∂P

∂v∂P∂u ∧ ∂P

∂v

· ∂2P

∂u2

f := ~N · ∂2P

∂u∂v=

∂P

∂u∧ ∂P

∂v∂P∂u ∧ ∂P

∂v

· ∂2P

∂u∂v

g := ~N · ∂2P

∂v2=

∂P

∂u∧ ∂P

∂v∂P∂u ∧ ∂P

∂v

· ∂2P

∂v2

Ma∂P∂u ∧ ∂P

∂u

non e altro che l’elemento d’area, che per quanto visto nel

Teorema 5.2, vale

ÌE FF G

= √EG− F 2. Dunque:8>>>>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>>>>:

e =

∂P

∂u∧ ∂P

∂v√EG− F 2

· ∂2P

∂u2

f =

∂P

∂u∧ ∂P

∂v√EG− F 2

· ∂2P

∂u∂v

g =

∂P

∂u∧ ∂P

∂v√EG− F 2

· ∂2P

∂v2

(6.6)

dove i coefficienti E,F,G sono i coefficienti della prima forma fondamentale.Si noti che cosı il tutto e calcolabile meccanicamente a partire dalla funzioneP (u, v). Si noti anche che il numeratore delle equazioni (6.5) e un prodotto

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76 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

misto (vettoriale tra i vettori della base naturale e poi scalare con una derivataseconda); applicando la nota formula del prodotto misto possiamo dunqueriscrivere il tutto nel seguente modo5:

e =

∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v∂2x/∂u2 ∂2y/∂u2 ∂2z/∂u2

√EG− F 2

f =

∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v

∂2x/(∂u∂v) ∂2y/(∂u∂v) ∂2z/(∂u∂v)

√EG− F 2

(6.7)

g =

∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v∂2x/∂v2 ∂2y/∂v2 ∂2z/∂v2

√EG− F 2

Questa e la forma piu diretta per calcolare i coefficienti della II a partiredalle equazioni parametriche di γ.

5Si noti che, per ciascun coefficiente, nella matrice del prodotto misto, le derivateseconde dovrebbero comparire nella prima riga (e l’elemento del prodotto scalare), lederivate rispetto a u nella seconda riga e le derivate rispetto a v nell’ultima riga. Tuttavia,per una nota proprieta, il determinante di una matrice non cambia operando un numeropari di scambi di righe (a ogni scambio di righe il determinante cambia segno). E dunque,ad esempio, per il coefficiente e:

e =

∂2x/∂u2 ∂2y/∂u2 ∂2z/∂u2

∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v

= −

∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u

∂2x/∂u2 ∂2y/∂u2 ∂2z/∂u2

==

∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v

∂2x/∂u2 ∂2y/∂u2 ∂2z/∂u2

Analogamente avviene per gli altri coefficienti.

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6.2. SECONDA FORMA FONDAMENTALE 77

6.2.2 Curvatura normale per parametrizzazione arbi-traria

Per concludere possiamo generalizzare le formule, passando dal parametroarco6 ad un parametro arbitrario t. Abbiamo che:

du

ds=du

dt

dt

ds= u

1

w

dv

ds=dv

dt

dt

ds= v

1

w

dove w e la velocita7 di cui, cambiando parametrizzazione, bisogna rendereconto. Pertanto:

kN = eduds

2

+ 2fdu

ds

dv

ds+ g

duds

2

=eu2 + 2fuv + gv2

~w · ~w=

=eu2 + 2fuv + gv2

Eu2 + 2Fuv +Gv2=

II(~w, ~w)

I(~w, ~w)(6.8)

dal momento che il prodotto scalare del vettore ~w per se stesso e dato daI(~w, ~w). Il denominatore I(~w, ~w) serve per la normalizzazione. Se scegliamo,infatti al posto di t il parametro arco, abbiamo infatti che ~w = ~t e, dato che~t · ~t = 1, otteniamo:

kN(~t) = II(~t,~t)

Si dimostra il seguente enunciato:

Proposizione 6.2. La somma di curvature normali relative a direzioni or-togonali e costante.

Dimostrazione. Consideriamo una generica curva γ su S, avente equazioneP (u(s), v(s)), con s parametro arco per (u(s), v(s)). Il suo vettore tangentein P e:

~t =∂P

∂u

du

ds+∂P

∂v

dv

ds

Tale vettore ha componenti (duds, dv

ds) sulla base naturale; d’altro canto essendo

s l’arco per la curva (u(s), v(s)), si ha che (duds

)2 + (dvds

)2 = 1, da cui si deduce

che ~t e un versore rispetto alla base naturale (∂P∂u, ∂P

∂v).

Consideriamo poi un’altra curva γ che abbia velocita unitaria rispetto alla

6Non e superfluo ribadire il concetto gia esposto alla nota 4 di questo capitolo: s e ilparametro arco per la curva (u(s), v(s)), la cui velocita

√u′ + v′ sara unitaria.

7Viene usata la lettera w per evitare il conflitto di notazioni con il parametro v.

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78 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

base naturale e perpendicolare al vettore ~t. La scelta non e unica, ma ab-biamo due opzioni per tale vettore tangente: per fissare le idee scegliamo ilvettore

~t =∂P

∂u

dv

ds+∂P

∂v

− du

ds

che e unitario rispetto alla base naturale ed e palesemente perpendicolare alvettore ~t. (Il ragionamento e del tutto analogo una volta scelto l’altro vettore~t = ∂P

∂u(−dv

ds) + ∂P

∂vduds

.)Sappiamo dal Teorema 6.1 che le curve γ e γ sono rappresentative anche pertutte le altre curve aventi in P medesima direzione tangente. In altre parole,

ci basta dimostrare che la perpendicolarita dei due vettori tangenti ~t e ~t forzala somma delle curvature normali di γ e γ a essere costante.Per far cio andiamo a riprendere la formula usata nel Teorema 6.1:

kγN = −~tγ ·

d ~N

ds

Dette kN e kN rispettivamente le curvature normali di γ e γ, in virtu dell’e-quazione (6.4) possiamo scrivere che:

kN + kN = II(~t,~t) + II(~t, ~t) =eduds

2

+ 2fduds

dv

ds

+ g

dvds

2+

+edvds

2

+ 2fdvds

− du

ds

+ g

− du

ds

2=duds

2

+dvds

2(e+ g)

Maduds

2

+dvds

2

altro non e che il quadrato della norma di ~t visto come

vettore rispetto alla base naturale. Dato che rispetto a tale scelta di base ~te unitario, si ha immediatamente che (du

ds)2 + (dv

ds)2 = 1, da cui, in definitiva:

kN + kN = e+ g

e dall’indipendenza di e e g dalla curva scelta (essi dipendono unicamentedal punto sulla superficie) segue la tesi.

Esempio: superfici di rotazione. Partendo dal caso della sfera, vedia-mo di estendere la scrittura delle equazioni parametriche per una qualsiasisuperficie di rotazione.Consideriamo il caso della sfera di raggio R: se fissiamo un punto su unmeridiano (ϕ fissata), per individuarne la posizione abbiamo bisogno di unangolo θ che ne determini la colatitudine. Detta r la distanza di P dall’assedi rotazione, sussiste che:

r = R sin θ (distanza dall’asse)

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6.2. SECONDA FORMA FONDAMENTALE 79

z = R cos θ (quota)

Da r si puo poi risalire alle altre coordinate x e y, facendo ricorso allalongitudine ϕ:

x = r cosϕ

y = r sinϕ

Rinominiamo le variabili (θ, ϕ) come (u, v) ed estendiamo le funzioni trovatea un caso piu generale, con funzioni h e g arbitrarie ad assumere il ruolo didistanza e quota:

r = h(u)z = g(u)x = r cos v = h(u) cos vy = r sin v = h(u) sin v

(6.9)

La funzione h da conto della distanza dall’asse z di rotazione, la funzione gda conto della quota dal piano di riferimento xy.Quando questa superficie e regolare? Quando la matrice dei vettori dellabase naturale ha rango massimo (pari a 2). Dunque, dato che

∂P

∂u= h′(u) cos v~i+ h′(u) sin v~j + g′(u)~k

∂P

∂v= −h(u) sin v~i+ h(u) cos v~j

la condizione di regolarita e che

rg

h′(u) cos v h′(u) sin v g′(u)−h(u) sin v h(u) cos v 0

= 2 (6.10)

Il rango non diminuisce se e solo se i suoi minori di ordine due non si annullanocontemporaneamente. Deve dunque essere che

m1 =

h′(u) cos v h′(u) sin v−h(u) sin v h(u) cos v

= h(u)h′(u)

m2 =

h′(u) cos v g′(u)−h(u) sin v 0

= h(u)g′(u) sin v

m3 =

h′(u) sin v g′(u)h(u) cos v 0

= −h(u)g′(u) cos v

non si annullino contemporaneamente. Per far cio imponiamo che la sommam2

1 +m22 +m3

3 sia sempre maggiore di zero (sarebbe infatti zero se e solo setutti e tre i minori si annullassero). Si ha:

m21 +m2

2 +m23 = h2(u)(h′2(u) + g′2(u)) > 0 (6.11)

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80 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

e cio sussiste se e solo se:

h′2(u) + g′2(u) > 0 e h 6= 0 (6.12)

che sono le condizioni di regolarita cercate; si noti che la prima condizionechiede il non annullarsi contemporaneo delle derivate di h e g.Calcoliamoci i coefficienti della prima e della seconda forma per queste su-perfici di rotazione. Si ha:

8>>><>>>:x = h(u) cos v

y = h(u) sin v

z = g(u)

8>>>>>><>>>>>>:∂x

∂u= h′(u) cos v

∂y

∂u= h′(u) sin v

∂z

∂u= g′(u)

8>>>>>><>>>>>>:∂x

∂v= −h(u) sin v

∂y

∂v= h(u) cos v

∂z

∂v= 0

8>>>>>><>>>>>>:∂2x

∂u2= h′′(u) cos v

∂2y

∂u2= h′′(u) sin v

∂2z

∂u2= g′′(u)

8>>>>>><>>>>>>:∂2x

∂u∂v= −h′(u) sin v

∂2y

∂u∂v= h′(u) cos v

∂2z

∂u∂v= 0

8>>>>>><>>>>>>:∂2x

∂v2= −h(u) cos v

∂2y

∂v2= −h(u) sin v

∂2z

∂v2= 0

e dunque i coefficienti della prima forma sono:

E =∂P

∂u

∂P

∂u=∂x∂u

2

+∂y∂u

2

+∂z∂u

2

= h′2(u) + g′2(u)

F =∂P

∂u

∂P

∂v=∂x

∂u

∂x

∂v+∂y

∂u

∂y

∂v+∂z

∂u

∂z

∂v= 0

G =∂P

∂u

∂P

∂u=∂x∂v

2

+∂y∂v

2

+∂z∂v

2

= h2(u)

Inoltre si ha che

ÌE FF G

= √EG− F 2 = h(u)

Èh′2(u) + g′2(u), grazie a cui

ricaviamo i coefficienti della seconda forma:

e :=

∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v∂2x/∂u2 ∂2y/∂u2 ∂2z/∂u2

√EG− F 2

=

h′(u) cos v h′(u) sin v g′(u)−h(u) sin v h(u) cos v 0h′′(u) cos v h′′(u) sin v g′′(u)

h(u)

Èh′2(u) + g′2(u)

=

=g′′(u)h′(u)− g′(u)h′′(u)È

h′2(u) + g′2(u)

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6.2. SECONDA FORMA FONDAMENTALE 81

f :=

∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v

∂2x/(∂u∂v) ∂2y/(∂u∂v) ∂2z/(∂u∂v)

√EG− F 2

=

h′(u) cos v h′(u) sin v g′(u)−h(u) sin v h(u) cos v 0−h′(u) sin v h′(u) cos v 0

h(u)

Èh′2(u) + g′2(u)

= 0

g :=

∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v∂2x/∂v2 ∂2y/∂v2 ∂2z/∂v2

√EG− F 2

=

h′(u) cos v h′(u) sin v g′(u)−h(u) sin v h(u) cos v 0−h(u) cos v −h(u) sin v 0

h(u)

Èh′2(u) + g′2(u)

=

=g′(u)h(u)È

h′2(u) + g′2(u)

Dunque, preso ~w = (u, v) si ha:

I(~w, ~w) = (h′2(u) + g′2(u))u2 + h2(u)v2 (6.13)

II(~w, ~w) =h′(u)g′′(u)− h′′(u)g′(u)È

h′2(u) + g′2(u)u2 +

h(u)g′(u)Èh′2(u) + g′2(u)

v2 (6.14)

e infine, dall’equazione (6.8), ricaviamoci la curvatura normale, fissata unadirezione tangente ~w:

kN(~w) =II(~w, ~w)

I(~w, ~w)=

[h′(u)g′′(u)− h′′(u)g′(u)]u2 + h(u)g′(u)v2

[(h′2(u) + g′2(u))u2 + h2(u)v2]Èh′2(u) + g′2(u)

(6.15)

6.2.3 Calcolo della curvatura gaussiana

Abbiamo gia visto che kN puo essere pensata come funzione su S1 ⊂ TPS,ossia sull’insieme dei vettori di norma unitaria. Essendo tale insieme compat-to, per il Teorema di Weierstrass necessariamente esisteranno due direzionia cui corrisponderanno un massimo e un minimo della curvatura normale.Il problema, ora, e trovare queste direzioni e il valore delle corrispondenticurvature, per calcolare esplicitamente la curvatura gaussiana K.Passo 1. Lo studio di massimi e minimi sul cerchio unitario non e semplice.Tuttavia l’omogeneita di II ci viene in soccorso. Consideriamo la circonfe-renza unitaria e una retta passante per l’origine che la interseca; prendiamo

il versore−→OP lungo la direzione della retta e poi prendiamo un altro vettore−→

OQ non unitario lungo la stessa direzione. Grazie all’omogeneita, se la fun-

zione kN ha un massimo in−→OP , ha anche massimo in

−→OQ, dunque possiamo

ricondurci a studiare il problema di massimo e minimo su tutto TPS ∼ R2,

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82 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

invece che sul cerchio unitario8. Insomma, invece di cercare i vettori unitari~t che massimizzano (o minimizzano) II(~t,~t), cercheremo i vettori ~w ∈ TPS

che massimizzano (o minimizzano)II(~w, ~w)

I(~w, ~w). Preso ~w = (u, v), kN e funzione

razionale (non lineare) di u, v:

kN(u, v) =eu2 + 2fuv + gv2

Eu2 + 2Fuv +Gv2=

II

I(6.16)

Per nostra brevita di notazione abbiamo definito I := Eu2 + 2Fuv + Gv2 eII := eu2 + 2fuv + gv2. Il fatto di esserci liberati del vincolo u2 + v2 = 1,grazie all’omogeneita, e decisamente utile.Passo 2. Dall’analisi sappiamo che i punti stazionari (che per l’omogeneitagiacciono su rette) vanno ricercati tra i punti dove si annullano le derivateparziali. 8>>><>>>:

∂kN

∂u=

1

I2 [(2eu+ 2fv)I− (2Eu+ 2F v)II] = 0

∂kN

∂v=

1

I2 [(2fu+ 2gv)I− (2Fu+ 2Gv)II] = 0⇒

8>>><>>>:1

2I∂kN

∂u= eu+ fv − II

I(Eu+ F v) = 0

1

2I∂kN

∂v= fu+ gv − II

I(Fu+Gv) = 0

D’altro canto, per la (6.16),II

I= kN . Si ha dunque:¨

eu+ fv − kN(Eu+ F v) = 0fu+ gv − kN(Fu+Gv) = 0

(6.17)

che e un sistema non lineare, dal momento che kN = kN(u, v); in un cer-to senso kN racchiude in se tutta la non linearita del problema. Tuttavia

8Mostriamo meglio l’omogeneita:

kN =II(~w, ~w)I(~w, ~w)

=eu2 + 2fuv + gv2

Eu2 + 2Fuv + Gv2

e anche moltiplicando il vettore velocita ~w per uno scalare p, abbiamo che p~w = (pu, pv),da cui:

kN =II(p~w, p~w)I(p~w, p~w)

=p2(eu2 + 2fuv + gv2)

p2(Eu2 + 2Fuv + Gv2)=

II(~w, ~w)I(~w, ~w)

e dunque ci siamo.

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6.2. SECONDA FORMA FONDAMENTALE 83

possiamo riscrivere il sistema (6.17) in forma matriciale:e− kNE f − kNFf − kNF g − kNG

uv

=

00

(6.18)

o anche, piu sinteticamente:

(cII− kNbI)~w = 0 (6.19)

intendendo con bI =

E FF G

e con cII =

e ff g

. Il problema e dunque un

problema agli autovalori.Passo 3. Dobbiamo risolvere ora tale problema agli autovalori, ovvero dob-biamo cercare un vettore ~w = (u, v) per cui valga l’uguaglianza (6.19). Dal-l’algebra lineare sappiamo che il problema ha soluzione diversa dal vettorenullo se e solo se det(cII− kN

bI) = 0, cioe se:e− kNE f − kNFf − kNF g − kNG

= 0 (6.20)

Questa equazione fissa le curvature principali, ma dato che kN e funzione ra-zionale non lineare di u e v, la ricerca del vettore ~w mediante questa equazionesarebbe decisamente ardua. Tuttavia, dopotutto, a noi interessa solamentetrovare le curvature principali: l’idea e dunque quella di dimenticarsi dellevariabili (u, v) e di risolvere l’equazione direttamente in kN . Insomma, cidimentichiamo degli autovettori, preoccupandoci unicamente degli autovalo-ri del fascio di matrici cII − kN

bI, i valori per cui risulta det (cII− kNbI) = 0,

ovvero le curvature principali.Per ricondurre questo problema ad un problema agli autovalori tradizionale,introduciamo la seguente matrice

S = bI−1 ·cII (6.21)

detta, e vedremo meglio poi perche, matrice dell’operatore di formaassociato alla superficie nel punto P . Allora le curvature principali sonoesattamente gli autovalori di S. Infatti (detta I la matrice identita di ordine2):

det (S − kNI) = det (bI−1cII− kNbI−1bI) = det (bI−1

) · det (cII− kNbI) (6.22)

dove l’ultima uguaglianza vale per il Teorema di Binet. Dunque studiarel’annullarsi di det (S − kNI) o quello di det (cII− kN

bI) e assolutamente la

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84 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

stessa cosa (dato che det (bI−1) non puo annullarsi per le ipotesi di regola-

rita). Cio che troveremmo sarebbero due autovalori che (dato che il Teo-rema di Weierstrass garantisce l’esistenza sia del massimo, sia del minimo)corrisponderebbero esattamente al valore minimo e al valore massimo dellacurvatura normale kN .Ma cio che ci interessa e in realta trovare la curvatura gaussiana, ossia ilprodotto kMIN ·kMAX e cio e possibile, in maniera piu semplice, grazie un’im-portante rappresentazione del prodotto delle curvature principali. Sappiamoinfatti dall’algebra lineare che il prodotto degli autovalori di una matrice epari al suo determinante. Dato che la curvatura gaussiana K := kMIN ·kMAX ,segue immediatamente che

K = detS = det (bI−1 ·cII) =detcIIdet bI =

eg − f 2

EG− F 2(6.23)

dove la penultima uguaglianza, ancora una volta, vale per il teorema di Bi-net. D’altro canto il determinante e invariante per cambiamento di base:dunque supponendo anche di mutare la parametrizzazione (u, v), il det (S),e conseguentemente K, non cambiano, ma formalizzeremo meglio in seguitoquesto concetto.Questa importante formula permette il calcolo della curvatura gaussiana me-diante le due forme fondamentali, senza alcun bisogno di calcolare effetti-vamente gli autovalori della matrice dell’operatore di forma. La curvaturagaussiana K e definita mediante gli autovalori, ma siamo riusciti a calcolarlasenza di essi.

6.2.4 Curvatura media

Per completezza, ricordiamo che esiste anche un altro tipo di curvatura, lacurvatura media9. Sebbene storicamente essa sia sempre stata definita comesemisomma delle curvature principali, ovvero:

H =kMIN + kMAX

2

oggi si preferisce in realta definirla nel seguente modo:

Definizione 6.5. Si chiama curvatura media la somma delle curvatureprincipali. In simboli:

H := kMIN + kMAX

9Si vedra piu avanti la ragione per cui tale curvatura (dai tempi di Gauss in poi) haassunto un’importanza minore e la curvatura gaussiana si sia imposta come molto piusignificativa.

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6.2. SECONDA FORMA FONDAMENTALE 85

Il vantaggio di questa definizione e che, per note proprieta degli autovalorie per quanto detto nel paragrafo precedente, si ha che:

H := kMIN + kMAX = trS

vale a dire: la somma dei due autovalori kMIN e kMAX da proprio la tracciadella matrice S (ossia la somma degli elementi sulla diagonale principale diS).Con un rapido calcolo abbiamo che:

H = trS = tr(bI−1 ·cII) = tr

E FF G

−1

·e ff g

=

=1

EG− F 2tr

G −F−F E

·e ff g

=

1

EG− F 2tr

eG− fF Gf − Fgef − Fe Eg − fF

=

=eG− 2fF + Eg

EG− F 2(6.24)

6.2.5 Calcolo delle curvature principali

Ora che abbiamo definito la curvatura media, non ci e difficile calcolare espli-citamente le curvature principali kMIN e kMAX . Dal momento che la lorosomma vale H e il loro prodotto vale K, esse sono le soluzioni della seguenteequazione di secondo grado:

κ2 −Hκ+K = 0

il cui discriminante deve essere positivo, visto che di tali soluzioni l’esistenzaci e garantita (gia dal Teorema di Weierstrass precedentemente citato). Dalladisequazione ∆ ≥ 0 ricaviamo cheH2−4K ≥ 0 e dunque abbiamo la seguentedisuguaglianza:

H2 ≥ 4K (6.25)

e le curvature principali sono

kMIN = H −√H2 − 4K

kMAX = H +√H2 − 4K

(6.26)

e scrivendo la quantita:

(kMAX−kMIN)2 = (H+√H2 − 4K−H+

√H2 − 4K)2 = 4(H2−4K) (6.27)

ricaviamo immediatamente che:

H2 − 4K =1

4(kMAX − kMIN)2 (6.28)

e dunque anche che nella (6.25) si ha l’uguaglianza solamente nel caso in cuikMAX = kMIN , ossia nei punti in cui la curvatura e la stessa in ogni direzione.

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86 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

6.2.6 Proprieta di invarianza

La proprieta non banale di H e K e che sono quantita completamente indi-pendenti dalla parametrizzazione di S. Sono cioe, grandezze geometriche.Tale risultato non e affatto ovvio: abbiamo in effetti usato matrici che si rife-riscono a una specifica parametrizzazione. Dunque enunciamo e dimostriamola tesi gia esposta.

Teorema 6.3. K e H sono grandezze geometriche.

Dimostrazione. Supponiamo di cambiare parametrizzazione. Sia:¨u = ϕ(u, v)v = ψ(u, v)

nell’ipotesi che

∂ϕ

∂u

∂ϕ

∂v∂ψ

∂u

∂ψ

∂v

> 0 (regolarita e conservazione dell’orientazione).

DunqueP (u, v) = P (u, v) = P (ϕ(u, v), ψ(u, v))

e per le basi naturali abbiamo che:

∂P

∂u=∂P

∂u

∂ϕ

∂u+∂P

∂v

∂ψ

∂u

∂P

∂v=∂P

∂u

∂ϕ

∂v+∂P

∂v

∂ψ

∂v

Ne segue che per la prima forma:

E =∂P

∂u

∂P

∂u= E

∂ϕ∂u

2

+ 2F∂ϕ

∂u

∂ψ

∂u+G

∂ψ∂u

2

F =∂P

∂u

∂P

∂v= E

∂ϕ

∂u

∂ϕ

∂v+ F

∂ϕ∂u

∂ψ

∂u+∂ψ

∂u

∂ϕ

∂v

+G

∂ψ

∂u

∂ψ

∂v

G =∂P

∂v

∂P

∂v= E

∂ϕ∂v

2

+ 2F∂ϕ

∂v

∂ψ

∂v+G

∂ψ∂v

2

Quindi per matrice della metrica risulta:E F

F G

=

∂ϕ

∂u

∂ψ

∂u∂ϕ

∂v

∂ψ

∂v

E F

F G

∂ϕ

∂u

∂ϕ

∂v∂ψ

∂u

∂ψ

∂v

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6.3. METODO GAUSSIANO: OPERATORE DI FORMA 87

e chiamando J =

∂ϕ

∂u

∂ϕ

∂v∂ψ

∂u

∂ψ

∂v

la matrice jacobiana, possiamo scrivere piu

semplicemente: bI = JT · bI · J (6.29)

L’equazione (6.29) manifesta un rapporto di congrueza tra le matrici bI e bI.In maniera del tutto analoga si puo calcolare la legge di trasformazione di cIIe si trova che: cII = JT ·cII · J (6.30)

e si nota che ancora cII e cII sono congruenti (le equazioni (6.29) e (6.30) sonoproprio la definizione di congruenza).Quindi le matrici delle due forme fondamentali si trasformano per congruen-za. Ne segue che S si trasforma per similitudine. Infatti:

S = I−1 · II = (JT · I · J)−1 · JT · II · J = J−1 · I−1 · JT−1 · JT · II · J

e dunque:

S = J−1 · S · J (6.31)

Dall’algebra lineare sappiamo che matrici simili hanno stesso determinante estessa traccia, dunque K = K e H = H, e ci siamo.

6.3 Metodo gaussiano: operatore di forma

6.3.1 Mappa di Gauss

Presentiamo ora un secondo modo, dovuto a Gauss, di introdurre la secon-da forma fondamentale e il concetto di curvatura gaussiana, senza far usodelle curvatura principali. Il percorso che seguiremo iniziera con l’introdurreun’applicazione S e da essa ricavare la seconda forma (e non il contrario,come avevamo fatto nei paragrafi precedenti). Il cambiamento di punto divista corrisponde a ricordarsi della seguente scrittura di kN :

kN = −~t · d~N

ds

Nell’approccio di Gauss l’idea dominante, infatti, e che la curvatura di S emisurata dalla velocita con cui varia la normale ~N al muoversi di un pun-to P sulla superficie, lungo una qualsiasi curva parametrizzata mediante il

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88 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

parametro arco. Per istituzionalizzare questa idea, Gauss introduce un’ap-plicazione, la cosiddetta mappa di Gauss G(P ), da S a S2. A ogni pun-to P della superficie S, Gauss associa un versore sulla sfera unitaria: taleversore e proprio il versore normale alla superficie nel punto P , riportatoparallelamente nell’origine degli assi. In simboli:

G(P ) = ~N(P )

Al muoversi di P su S, anche il versore nella mappa di Gauss si muove

Figura 6.2: La mappa di Gauss

consequenzialmente sulla sfera. L’immagine di S mediante una mappa diGauss e detta immagine sferica. A ogni porzione di superficie S saraassociata una porzione di superficie sferica che corrisponde al luogo dei puntiche il vettore ~N , trasportato nell’origine degli assi, va a toccare durante il suomovimento. Ad esempio, per una superficie completamente piatta, il vettorenormale non compie alcun movimento e l’immagine sferica della mappa diGauss e solamente un punto.

Si tratta ora di studiare come varia la normale ~N , ossia di studiared ~N

ds.

Per ricondurci al concetto di derivata direzionale di una funzione lungo unvettore (o lungo un campo vettoriale) scomponiamo ~N sulla base cartesiana:

~N = N1(u, v)~i+N2(u, v)~j +N3(u, v)~k

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6.3. METODO GAUSSIANO: OPERATORE DI FORMA 89

d ~N

ds=dN1(u, v)

ds~i+

dN2(u, v)

ds~j +

dN3(u, v)

ds~k

e, per il teorema di derivazione di funzione composta, ∀j ∈ 1, 2, 3:

dNj

ds=∂Nj

∂u

du

ds+∂Nj

∂v

dv

ds= ~t · gradNj = ∇~tNj (6.32)

che e la derivata direzionale della j-esima componente di ~N lungo la tangente~t = (u′, v′) alla curva.Dunque la velocita per unita di arco del punto Q funzione di P nell’immaginesferica di S e data da:

d ~N

ds= (∇~tN1)~i+ (∇~tN2)~j + (∇~tN3)~k = ∇~t

~N (6.33)

che e la derivata direzionale del campo vettoriale ~N(s) lungo la curva γ di

tangente ~t. Allo stesso modo si definisce ∇~w~N , quando si considerano curve

con parametrizzazione arbitraria e velocita ~w = (u, v).

Il simbolo ∇~w~N puo anche essere interpretato in modo diverso. Supponiamo

di tenere fisso il punto P sulla superficie (e quindi di tenere fissa la normale~N) e di lasciar variare il vettore velocita ~w (cioe di far variare la curva lungo

cui sto derivando il campo): posso cosı interpretare ∇~w~N come funzione di

~w, in particolare come operatore lineare su ~v, poiche esso verifica10:

∇~w1~N +∇~w2

~N = ∇~w1+~w2~N (additivita)

∇λ~w~N = λ∇~w

~N (omogeneita)

Quindi lo studio della derivata direzionale di ~N al variare della curva scelta(o meglio: al variare del vettore tangente scelto) fornisce un operatore linearesu TPS.

6.3.2 Operatore di forma

Definiamo cosı la seguente applicazione, chiamata operatore di forma (oanche, talvolta, mappa di Weingarten):

SP (~w) := −∇~w~N = − d

dt~N(t)

γ

(6.34)

ove γ e la curva avente ~w come velocita. Vediamo alcune proprieta.

10Tali proprieta si deducono immediatamente dalla (6.32).

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90 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

Proprieta dell’operatore di forma

• SP e un’applicazione a valori nello spazio tangente.Infatti, essendo ~N un versore, ~N · ~N = 1 e derivando otteniamo che

2d ~N

dt· ~N = 0, il che esprime l’ortogonalita di ~N rispetto a

d ~N

dt, e dunque

l’appartenenza di quest’ultimo allo spazio tangente TPS. In generale,la derivata di un versore e ortogonale al versore stesso.

• SP e lineare.Questo e vero per la linearita della derivata direzionale rispetto al-l’argomento lungo cui si deriva, una linearita gia vista nel paragrafoprecedente e dimostrata dall’espressione cartesiana seguente:

∇~w~N =

∂N1

∂x~i+

∂N2

∂x~j +

∂N3

∂x~kx+

∂N1

∂y~i+

∂N2

∂y~j +

∂N3

∂y~ky+

+∂N1

∂z~i+

∂N2

∂z~j +

∂N3

∂z~kz

• SP e il differenziale della mappa di Gauss G : S → S2.La mappa di Gauss G non e un’applicazione lineare, ma il suo diffe-renziale dG lo e: mostriamo che tale differenziale e proprio l’operatoredi forma. Consideriamo la mappa di Gauss G che a ogni punto P del-la superficie S associa un punto Q sulla sfera S2. Per la definizionestessa di mappa di Gauss i piani tangenti in Q e in P sono paralleli(TPS//TQS

2), e a meno di spostamenti rigidi possiamo affermare chei due piani coincidono (TPS = TQS

2). Il differenziale della mappa diGauss e un’applicazione dG : TPS → TQS

2 (se la mappa G va da pun-to a punto, il suo differenziale deve andare da piano tangente a pianotangente). Ma per l’identificazione precedente i due piani tangenti coin-cidono, dunque dG : TPS → TPS. L’applicazione G non fa altro chetraslare il versore ~N nell’origine degli assi; nel processo di differenzia-zione tale traslazione non ha peso, e dG dunque rende conto di come simuove ~N rispetto a una data direzione. Infatti confrontando l’espres-sione di dG fornita dall’analisi con la definizione di SP precedentementedefinita, sostanzialmente si ha (a meno di un segno):

SP ≡ dG(P ) (6.35)

Ne consegue che detSP = det dG(P ) = det JG che e il determinantejacobiano della mappa di Gauss (dG e la matrice delle derivate parzialidi G). Gia sapevamo, dall’equazione (6.23) che K = detSP ; ora sap-piamo anche che K = det JG.

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6.3. METODO GAUSSIANO: OPERATORE DI FORMA 91

Conosciamo il significato geometrico del determinante jacobiano: e ilcoefficiente di dilatazione delle aree. Cio significa che, “brutalmente”:

|K| = det JG = lim′′A→0′′

Asferica

Ainiziale

(6.36)

Questa espressione (che e la definizione data da Gauss della curvatu-ra) significa che la curvatura gaussiana puo essere vista come il limite

del rapporto tra l’area spazzata dal raggio versore−→OQ nella mappa di

Gauss e la relativa regione di superficie S in cui il punto P si muove.L’operazione di limite e necessaria, poiche la formula (6.36) e vera solonell’approssimazione lineare.Se la superficie e piana, l’area sferica e nulla, e nulla e coerentementeanche la curvatura gaussiana; inoltre tanto piu si muove ~N , quantopiu si ingrandisce l’area sferica, e quindi, al limite, anche la curvaturagaussiana.

• SP e un’applicazione simmetrica.La simmetria di SP e intesa nel senso usato nella teoria delle applica-zioni su uno spazio vettoriale con prodotto scalare; in queste condizioniha senso parlare di simmetria, e vale:

SP (~w1) · ~w2 = SP (~w2) · ~w1 (6.37)

Infatti se consideriamo γ1 e γ2 curve su S aventi rispettivamente ~w1 e~w2 come velocita, possiamo immaginare di poter costruire un sistemadi linee coordinate aventi γ1 e γ2 come membri. Cio equivale a supporre

che ~w1 =∂P

∂t1e ~w2 =

∂P

∂t2. Ma allora dall’equazione (6.37) si ha che:

SP (~w1) · ~w2 = −(∇~w1~N) · ~w2 = −∂

~N

∂t1

∂P

∂t2= ~N

∂2P

∂t1∂t2(6.38)

dove l’ultima uguaglianza vale per la regola di integrazione per parti diLeibniz, dal momento che

0 =∂

∂t1

~N · ∂P

∂t2

=∂ ~N

∂t1

∂P

∂t2+ ~N

∂2P

∂t1∂t2

La simmetria di SP segue dalla commutabilita delle derivate seconde11.

11In alternativa si poteva dimostrare che, per la base naturale:

S∂P

∂u

· ∂P

∂v= (−∇ ∂P

∂u

~N)∂P

∂v= −∂ ~N

∂u

∂P

∂v= ~N

∂2P

∂u∂v= S

∂P

∂v

· ∂P

∂u

e poi, grazie alla linearita, estendere tale simmetria a vettori qualsiasi.

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92 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

Quest’ultima relazione trovata e particolarmente importante perche lega ilpunto di vista di Gauss al punto di vista di Eulero. Possiamo infatti dire chevale il seguente teorema:

Teorema 6.4.

∀~p, ~q ∈ TPS : SP (~p) · ~q = II(~p, ~q)

Dimostrazione. Infatti scelti due vettori ~p, ~q dello spazio tangente, essi pos-sono essere espressi, in funzione della base naturale, come

~p = a∂P

∂u+ b

∂P

∂v

~q = α∂P

∂u+ β

∂P

∂v

da cui:

SP (~p)·~q = SP

a∂P

∂u+b

∂P

∂v

·α∂P

∂u+β

∂P

∂v

= −∇(a ∂P

∂u+b ∂P

∂v)~N ·α∂P

∂u+β

∂P

∂v

=

= (−a∇ ∂P∂u

~N+b∇ ∂P∂v

~N)·α∂P

∂u+β

∂P

∂v

=−a∂

~N

∂u+b

∂ ~N

∂v

·α∂P

∂u+β

∂P

∂v

=

=− a

∂ ~N

∂u+ b

∂ ~N

∂v

·α∂P

∂u+ β

∂P

∂v

=

= −aα∂N∂u

∂P

∂u

− aβ

∂N∂u

∂P

∂v

− bα(

∂N

∂v

∂P

∂u

− bβ(

∂N

∂v

∂P

∂v

D’altro canto, visto l’ortogonalita di ~N rispetto alla base naturale, abbiamoche:

0 =∂

∂u

~N · ∂P

∂u

=∂N

∂u

∂P

∂u+∂2P

∂u2

0 =∂

∂u

~N · ∂P

∂v

=∂N

∂u

∂P

∂v+

∂2P

∂u∂v

0 =∂

∂v

~N · ∂P

∂u

=∂N

∂v

∂P

∂u+

∂2P

∂u∂v

0 =∂

∂v

~N · ∂P

∂v

=∂N

∂v

∂P

∂v+∂2P

∂v2

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6.3. METODO GAUSSIANO: OPERATORE DI FORMA 93

da cui:∂N

∂u

∂P

∂u= −∂

2P

∂u2

∂N

∂u

∂P

∂v= − ∂2P

∂u∂v

∂N

∂v

∂P

∂u= − ∂2P

∂u∂v

∂N

∂v

∂P

∂v= −∂

2P

∂v2

e dunque:

SP (~p) · ~q = aα∂2P

∂u2+ (aβ − bα)

∂2P

∂u∂v+ bβ

∂2P

∂v2= II(~p, ~q)

cioe la tesi.Si noti che calcolare tale forma nel generico vettore velocita

~v =∂P

∂u

du

dt+∂P

∂v

dv

dt

di una curva γ su S restituisce l’equazione (6.1), la forma quadratica associataalla seconda forma fondamentale12.

Oppure, ancora, possiamo dire che la funzione SP e esattamente la stessafunzione definita nel paragrafo 6.2.3, ovvero:

Teorema 6.5. S = bI−1 ·cII.Dimostrazione. Prendiamo ~w1 e ~w2 che coincidono con gli elementi della basenaturale. Allora abbiamo che, per l’equazione (6.38):8>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>:

SP

∂P∂u

· ∂P∂u

= ~N∂2P

∂u2= e

SP

∂P∂u

· ∂P∂v

= ~N∂2P

∂u∂v= f

SP

∂P∂v

· ∂P∂u

= ~N∂2P

∂u∂v= f

SP

∂P∂v

· ∂P∂v

= ~N∂2P

∂v2= g

(6.39)

12Sappiamo che per estensione tale forma quadratica viene detta a sua volta “secondaforma”.

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94 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

Chiamiamo S =

S1 S3

S2 S4

la matrice che rappresenta SP sulla base naturale.

Essa contiene, per colonne, le componenti di SP sviluppate rispetto ai vettori∂P∂u

e ∂P∂v

. Abbiamo che13:8>><>>: S ·∂P∂u

= S1

∂P

∂u+ S2

∂P

∂v

S ·∂P∂v

= S3

∂P

∂u+ S4

∂P

∂v

(6.40)

E moltiplicando ambo i membri di ambo le equazioni per∂P

∂uo per

∂P

∂v, e

ricordandoci del sistema (6.39), otteniamo che:8>><>>:e = S1E + S2Ff = S1F + S2Gf = S3E + S4Fg = S3F + S4G

(6.41)

Oppure, in forma matriciale:E FF G

S1 S3

S2 S4

=

e ff g

(6.42)

il che significa che S = bI−1 · cII, o anche, visto il legame tra matrici e appli-

cazioni lineari, che SP = L(dI−1) L(cII), intendendo questa volta con L(M)l’applicazione lineare associata alle matrice M .

6.4 Metodo tayloriano

Dopo Eulero e Gauss, c’e un terzo modo (puramente geometrico) per inter-pretare la seconda forma fondamentale.

13Si noti che per il generico vettore le cui coordinate sulla base naturale sono

λµ

,

combinando le (6.40) si ha che:

S ·λ

∂P

∂u+ µ

∂P

∂v

= (λS1 + µS3)

∂P

∂u+ (λS2 + µS4)

∂P

∂v

e cio e in accordo con il fatto che:

S ·

λµ

=

S1 S3

S2 S4

·

λµ

=

λS1 + µS3

λS2 + µS4

a riprova che la nostra disposizione degli elementi Si nella matrice S e corretta.

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6.4. METODO TAYLORIANO 95

Prendiamo un punto P0 = P0(u0, v0) su S e consideriamo lo spazio tangenteTP0S. Prendiamo un P 6= P0, P = P (u0 +∆u, v0 +∆v), anch’esso situato suS, e vediamo quanto vale la distanza d(P, TP0S). Tale distanza e nella parteprincipale una forma quadratica in ∆u e ∆v. Infatti facendo lo sviluppo diTaylor arrestato al second’ordine abbiamo che:

P = P0 +∂P∂u

P0

∆u+∂P

∂v

P0

∆v+

+1

2

∂2P

∂u2

P0

∆u2 + 2∂2P

∂u∂v

P0

∆u∆v +∂2P

∂v2

P0

∆v2

+ o(‖−−→P0P‖2) (6.43)

E dunque la distanza tra P ′ e TPS e data da14:

d(P, TP0S) =−−→P0P · ~N =

= 0+1

2

~N ·∂

2P

∂u2

P0

∆u2+2 ~N · ∂2P

∂u∂v

P0

∆u∆v+ ~N ·∂2P

∂v2

P0

∆v2+o(‖

−−→P0P‖2) =

=1

2(e∆u2 + 2f∆u∆v + g∆v2) + o(‖

−−→P0P‖2) =

1

2II(∆u,∆v) + o(‖

−−→P0P‖2)

(6.44)

con e, f, g calcolate in P0. Quindi possiamo anche dire (fig. 6.3) che laseconda forma misura la velocita con cui un punto P si allontana dal pianotangente a P0.

Figura 6.3: L’allontanarsi di P dal piano tangente

14Si noti che la parte lineare dello sviluppo di Taylor viene a eliminarsi poiche giace sulpiano tangente ed e dunque perpendicolare a ~N .

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96 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

Esempio: superficie data da un’equazione cartesiana. Consideriamouna superficie data da un’equazione in forma cartesiana:

z = f(x, y) (6.45)

e calcoliamone I e II. Occupiamoci dapprima della prima forma.Primo modo. Possiamo trovare i coefficienti direttamente utilizzando il siste-ma (5.1). Parametrizziamo la superficie cartesiana nel seguente modo, con xe y ad assumere il ruolo di u e v:8><>: x = u

y = vz = f(u, v)

(6.46)

Abbiamo quindi che:

E =∂P

∂x

∂P

∂x=∂x∂x

2

+∂y∂x

2

+∂z∂x

2

= 1 +∂f∂x

2

F =∂P

∂x

∂P

∂y=∂x

∂x

∂x

∂y+∂y

∂x

∂y

∂y+∂z

∂x

∂z

∂y=∂f

∂x

∂f

∂y

G =∂P

∂y

∂P

∂y=∂x∂y

2

+∂y∂y

2

+∂z∂y

2

= 1 +∂f∂y

2

Secondo modo. Possiamo andare piu a fondo, e partire dalla definizione diI, scrivendo la restrizione del prodotto scalare euclideo sullo spazio tangenteTPS. Dato che

P (x, y) = x~i+ y~j + f(x, y)~k

la base naturale risulta essere:

∂P

∂x=~i+

∂f

∂x~k

∂P

∂y= ~j +

∂f

∂y~k

da cui due generici vettori del piano tagente sono:

~w1 = a1∂P

∂x+ b1

∂P

∂y

~w2 = a2∂P

∂x+ b2

∂P

∂y

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6.4. METODO TAYLORIANO 97

e dunque il loro prodotto scalare:

~w1 · ~w2 = a1a2∂P

∂x

∂P

∂x+ (a1b2 + b1a2)

∂P

∂x

∂P

∂y+ b1b2

∂P

∂y

e i coefficienti della I sono, come in precedenza,

E =∂P

∂x

∂P

∂x=∂x∂x

2

+∂y∂x

2

+∂z∂x

2

= 1 +∂f∂x

2

F =∂P

∂x

∂P

∂y=∂x

∂x

∂x

∂y+∂y

∂x

∂y

∂y+∂z

∂x

∂z

∂y=∂f

∂x

∂f

∂y

G =∂P

∂y

∂P

∂y=∂x∂y

2

+∂y∂y

2

+∂z∂y

2

= 1 +∂f∂y

2

Terzo modo. Possiamo invece partire dal Teorema 5.1, che afferma cheI(dP, dP ) = ds2. Scrivaiamo dunque la restrizione ds2 della metrica sullospazio tangente:

ds2 = dx2 + dy2 + dz2 = dx2 + dy2 +∂f∂xdx+

∂f

∂ydy2

=

= dx2 + dy2 +∂f∂xdx2

+∂f∂ydy2

+ 2∂f

∂x

∂f

∂ydxdy =

=1 +

∂f∂x

2dx2 + 2

∂f

∂x

∂f

∂ydxdy +

1 +

∂f∂y

2dy2 (6.47)

che e la forma cartesiana della metrica, i cui coefficienti sono i coefficienti15

della prima forma. Si ha dunque, immediatamente, che:

E = 1 +∂f∂x

2

F =∂f

∂x

∂f

∂y

G = 1 +∂f∂y

2

15Si presti solo attenzione al termine misto: il coefficiente di tale termine non e F , bensı2F . Il doppio prodotto viene naturalmente generato calcolando la prima forma in duevettori uguali (dP, dP ).

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98 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

Per il calcolo dei coefficienti della seconda forma, il metodo piu rapido e

ricorrere al sistema (6.7). Dato che EG−F 2 = 1 + (∂f

∂x)2 + (

∂f

∂y)2, si ha che:

e :=

1 0 ∂f/∂x0 1 ∂f/∂y0 0 ∂2f/∂x2

√EG− F 2

=∂2f/∂x2s

1 +∂f∂x

2

+∂f∂y

2

f :=

1 0 ∂f/∂x0 1 ∂f/∂y0 0 ∂2f/(∂x∂y)

√EG− F 2

=∂2f/(∂x∂y)s

1 +∂f∂x

2

+∂f∂y

2

g :=

1 0 ∂f/∂x0 1 ∂f/∂y0 0 ∂2f/∂y2

√EG− F 2

=∂2f/∂y2s

1 +∂f∂x

2

+∂f∂y

2

La curvatura gaussiana K e data da:

K =detcIIdet bI =

eg − f 2

det bI =

∂2f∂x2

∂2f∂y2 − ( ∂2f

∂x∂y)2

(1 + (∂f∂x

)2 + (∂f∂y

)2)2

La matrice S dell’operatore di forma dell’applicazione e data da:

S = bI−1·cII =

1 +

∂f∂x

2∂f∂x

∂f∂y

∂f∂x

∂f∂y

1 +

∂f∂y

2

−1

∂2f

∂x2È1+( ∂f

∂x)2+( ∂f

∂y)2

∂2f∂x∂yÈ

1+( ∂f∂x

)2+( ∂f∂y

)2

∂2f∂x∂yÈ

1+( ∂f∂x

)2+( ∂f∂y

)2

∂2f

∂y2È1+( ∂f

∂x)2+( ∂f

∂y)2

=

=1

1 + (∂f∂x

)2 + (∂f∂y

)2

1 +

∂f∂y

2

−∂f∂x

∂f∂y

−∂f∂x

∂f∂y

1 +

∂f∂x

2

∂2f

∂x2È1+( ∂f

∂x)2+( ∂f

∂y)2

∂2f∂x∂yÈ

1+( ∂f∂x

)2+( ∂f∂y

)2

∂2f∂x∂yÈ

1+( ∂f∂x

)2+( ∂f∂y

)2

∂2f

∂y2È1+( ∂f

∂x)2+( ∂f

∂y)2

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6.5. CENNO ALLA TERZA FORMA 99

6.5 Cenno alla terza forma

Esiste poi anche una terza forma fondamentale, indubbiamente menoimportante rispetto alle prime due. Mentre la seconda forma poteva essereespressa, in virtu del Teorema 6.4, come II(~u,~v) = S(~u) · ~v, la terza formafondamentale viene definita come:

III(~u,~v) = S(~u) · S(~v) (6.48)

Si puo dimostrare che la terza forma, insieme alla I e alla II, soddisfa laseguente identita:

III−HII +KI = 0 (6.49)

dove H e la curvatura media16 e K e la curvatura gaussiana.

16Se si vuole definire H alla vecchia maniera, come semisomma delle curvature principali,allora bisogna correggere la (6.49) in

III− 2HII + KI = 0

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100 CAPITOLO 6. CURVATURA E SECONDA FORMA

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Parte III

Geometria intrinseca dellesuperfici

101

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Capitolo 7

Introduzione

7.1 Estrinsecita e intrinsecita

Fino ad ora abbiamo semplicemente pensato la superficie come immersa nellospazio euclideo; tale fatto non era solo implicito nei nostri ragionamenti, bensıanche esplicito nei calcoli: ad esempio le equazioni parametriche

x = x(u, v) y = y(u, v) z = z(u, v)

sono espressione delle coordinate cartesiane dello spazio ambiente, ossia dellospazio tridimensionale in cui la superficie vive. O ancora, quando abbiamodefinito la derivata direzionale di un campo vettoriale sulla superficie (nelnostro caso il campo dei vettori normali) abbiamo valutato come cambiaquesto campo al variare di un punto sulla superficie. Senza l’immersionedella superficie nello spazio tridimensionale, non avremmo potuto valutareil cambiamento del vettore normale (che non giace sulla superficie, bensı eperpendicolare ad essa). In altre parole, senza l’immersione di S nello spazioeuclideo non avremmo potuto definire la seconda forma: dal momento cheessa da conto di come si muove il vettore normale; stando sulla superficie,non potremmo valutare ne la curvatura normale ne come la normale varia.Quando si utilizza questa ipotesi di immersione in E3, e in particolare quandosi fa uso della normale ~N e della seconda forma II, si dice che si adotta unpunto di vista estrinseco. Si parla invece di geometria intrinseca quandoci si riferisce a tutte quelle grandezze o proprieta che possono essere misura-te o definite vivendo sulla superficie, in altri termini, utilizzando solamentela prima forma fondamentale I. Tutto cio che dipende solo da I e dunqueintrinseco, appena si ha dipendenza anche da II si perde l’intrinsecita.La scoperta fondamentale che ha aperto la strada alla geometria intrinsecae che la curvatura gaussiana K, che sembrerebbe una grandezza estrinseca,

103

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104 CAPITOLO 7. INTRODUZIONE

visto che nasce dal confronto della superficie con i suoi piani tangenti, inrealta si rivela essere una grandezza intrinseca. Tale fondamentale scopertae la tesi del Theorema Egregium, la cui dimostrazione sara in qualche modol’obiettivo di questa sezione.E proprio in virtu del Theorema Egregium, ad esempio, che i fisici possonoparlare di curvatura dello spazio-tempo, non essendo lo spazio-tempo immer-so in alcunche: senza questa teoria non avrebbe potuto esistere la relativitagenerale einsteiniana. Ecco dunque la fondamentale importanza della cur-vatura gaussiana a discapito, ad esempio, della curvatura media, la qualeammette solamente una scrittura estrinseca.La geometria intrinseca delle superfici e la porta d’ingresso della teoria dellevarieta differenziabili, che puo essere vista come estensione n-dimensionaledella geometria gaussiana delle superfici.

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Capitolo 8

Condizioni di compatibilita

8.1 Condizioni di Gauss-Mainardi-Codazzi

Come e possibile che la curvatura gaussiana

K =detcIIdet bI =

eg − f 2

EG− F 2

definita ricorrendo a II sia una grandezza estrinseca? Il punto e che nellaformula di K, in effetti, non compare esplicitamente II, bensı il suo deter-minante; conoscere il determinante e molto meno che conoscere una matrice:data la matrice ho il suo determinante, ma non vale il viceversa. Ci devedunque essere un qualche legame tra I e det II, dobbiamo essere in grado dipoter calcolare det II a partire unicamente dalla prima forma. L’aspetto cherende la questione molto delicata e che det II risultera essere una funzionedifferenziale di I, ossia costruita con le derivate parziali dei coefficienti diI, e non una funzione algebrica. Dove sta l’inghippo?L’inghippo sta nel fatto che non e possibile assegnare ad arbitrio la prima ela seconda forma. Mentre infatti nella teoria delle curve abbiamo dimostrato(teorema di Bonnet) che, date ad arbitrio k(s) e τ(s), esiste ed e unica, ameno di spostamenti rigidi, la curva che ha s per arco, k(s) per curvaturae τ(s) per torsione, nel caso della superficie questo non vale piu. Se perle curve avevamo tre incognite (x(s), y(s), z(s)) e due funzioni da assegnare(k, τ), per le superfici avremmo lo stesso numero di incognite, ma addiritturasei funzioni da assegnare (E(u, v), F (u, v), G(u, v), e(u, v), f(u, v), g(u, v)): icoefficienti della prima e della seconda forma). Insomma, dovremmo spera-re che esistano tre funzioni (x(u, v), y(u, v), z(u, v)) in modo tale che siano

105

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106 CAPITOLO 8. CONDIZIONI DI COMPATIBILITA

soddisfatte le seguenti relazioni:8>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>:

∂x∂u

2

+∂y∂u

2

+∂z∂u

2

= E(u, v)

∂x

∂u

∂x

∂v+∂y

∂u

∂y

∂v+∂z

∂u

∂z

∂v= F (u, v)∂x

∂v

2

+∂y∂v

2

+∂z∂v

2

= G(u, v) ∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v∂2x/∂u2 ∂2y/∂u2 ∂2z/∂u2

ÈE(u, v)G(u, v)− F 2(u, v)

= e(u, v) ∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v

∂2x/(∂u∂v) ∂2y/(∂u∂v) ∂2z/(∂u∂v)

ÈE(u, v)G(u, v)− F 2(u, v)

= f(u, v) ∂x/∂u ∂y/∂u ∂z/∂u∂x/∂v ∂y/∂v ∂z/∂v∂2x/∂v2 ∂2y/∂v2 ∂2z/∂v2

ÈE(u, v)G(u, v)− F 2(u, v)

= g(u, v)

(8.1)

Queste relazioni fissano le condizioni che devono sussistere fra le variabili e lefunzioni assegnate affinche esista effettivamente la superficie; esse sono dettecondizioni di compatibilita di Gauss-Mainardi-Codazzi. Il sistema(8.1) che le racchiude e sfortunatamente uno spaventoso sistema alle derivateparziali non lineare; come se non bastasse vi sono sei equazioni per fissaretre incognite: pretendere che sia risolubile per ogni scelta di (E,F,G, e, f, g)e francamente troppo. Il sistema di Gauss-Mainardi-Codazzi non e risolu-bile analiticamente, ne riusciamo a semplificare le complesse relazioni tra leincognite e i parametri fissati. Dobbiamo aggirare il problema.

8.2 Equazioni di Gauss-Weingarten

Come possiamo trovare condizioni di compatibilita che leghino piu diret-tamente I e II? Per cercarle, estendiamo la tecnica della base mobile diFrenet dalle curve alle superfici. Tale base mobile prendera il nome di basedi Gauss, e le equazioni di Frenet diventeranno le equazioni di Gauss-Weingarten.

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8.2. EQUAZIONI DI GAUSS-WEINGARTEN 107

Sviluppiamo la teoria, invece che nello spazio tridimensionale, in uno spa-zio n + 1-dimensionale1 con una superficie n-dimensionale αn ⊂ Rn−1 di cuidiamo le equazioni parametriche nella forma:

αn : xa = xa(u1, u2, . . . , un) (8.2)

per a ∈ 1, 2, . . . , n e j ∈ 1, 2, . . . , n; o anche:

P = P (uj) (8.3)

Su questa superficie consideriamo la base di Gauss G formata dalla base

naturale ~gi :=∂P

∂uie dalla normale ~N alla superficie.

G = (~g1, ~g2, . . . , ~gn, ~N) (8.4)

Tale base non e ortonormata, dal momento che i vettori naturale non sonoperpendicolari tra loro, ne hanno norma unitaria2. Come nel caso di Frenet,le equazioni di Gauss-Weingarten forniscono le derivate parziali della basesviluppate sulla base stessa. Si ha3:

∂~gi

∂uk= Γl

ik~gl + aik~N (Equazioni di Gauss) (8.5)

∂ ~N

∂uk= −blk~gl (Equazioni di Weingarten) (8.6)

Le equazioni che sviluppano le derivate parziali della parte tangente dellabase di Gauss sono dette equazioni di Gauss, l’equazione che sviluppano le

1Richiediamo che lo spazio abbia una dimensione in piu rispetto alla superficie perchevogliamo l’esistenza della normale ~N alla superficie.

2Questo non e un problema per la nostra trattazione; eventualmente comunque, sedesiderassimo avere una base ortonormata, potremmo procedere con l’ortogonalizzazionedi Gram-Schmidt sui vettori di G.

3Da questo momento in avanti adotteremo sovente la notazione tensoriale, che sem-plifichera notevolmente la lettura e i calcoli. Gli indici posti in basso saranno detti inposizione covariante, quelli posti in alto saranno detti in posizione controvariante. Adesempio, nella scrittura Γl

ik, i e k sono in posizione covariante, mentre l e in posizionecontrovariante. Si adotteranno le seguenti convenzioni:

• quando un indice viene notato in posizione controvariante e in posizione cova-riante in due diversi termini di un prodotto (ad esempio, l’indice l in Γl

ik~gl) sisottointendera una sommatoria sull’indice in questione. In questo caso si ha cheΓl

ik~gl =Pn

l=1 Γlik~gl;

• ogni volta che si compie un’operazione di derivazione rispetto a un indice p, taleindice va messo in posizione covariante (cio risulta chiaro nei simboli di Christoffel).

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108 CAPITOLO 8. CONDIZIONI DI COMPATIBILITA

derivate parziali del vettore normale sono dette equazioni di Weingarten4.La matrice dei coefficienti e ancora detta matrice di Cartan. Si noti il fattoche nelle equazioni di Weingarten non compare nello sviluppo il termine in~N . Cio e dovuto al fatto (gia visto al paragrafo 6.3.2) che la derivata di unversore e ortogonale al versore stesso.Ad esempio, nel caso n = 2 (il caso di una superficie bidimensionale nellospazio tridimensionale) abbiamo che:8>>>>>>>>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>>>>>>>>:

∂~g1

∂u1= Γ1

11~g1 + Γ211~g2 + a11

~N

∂~g1

∂u2= Γ1

12~g1 + Γ212~g2 + a12

~N

∂~g2

∂u1= Γ1

21~g1 + Γ221~g2 + a21

~N

∂~g2

∂u2= Γ1

22~g1 + Γ222~g2 + a22

~N

∂ ~N

∂u1= −b11~g1 − b21~g2

∂ ~N

∂u2= −b12~g1 − b22~g2

(8.7)

dove le prime quattro equazioni sono le equazioni di Gauss e le ultime due so-no le equazioni di Weintgarten. Si nota innanzitutto che i coefficienti di que-ste equazioni non possono essere tutti indipendenti, ma sussiste la seguenterelazione di simmetria:

Γlik = Γl

ki e aik = aki

Perche e vero questo? Perche per il Teorema di Schwarz si ha che le derivateseconde miste di P sono uguali:

∂~gi

∂uk=

∂uk

∂P∂ui

=

∂ui

∂P∂uk

=∂~gk

∂ui

e dunque la seconda e la terza equazione del sistema (8.7) vanno a coincidere5.I punti rilevanti, riguardo alle condizioni di compatibilita, sono:

4La ragione della definizione con il meno davanti a blk nell’equazione (8.6) apparira

chiara quando calcoleremo esplicitamente i blk.

5Perche non vi era questa condizione nelle equazioni di Frenet? Perche ivi avevamosolamente derivate prime, e non vi era nulla da commutare. Operare su una curva eanalogo a operare con R, dove assegnata una funzione f(x), sotto certe ipotesi non abbiamoproblemi a trovare una funzione che derivata restituisca f . Con le superfici, analogamentea R2, questo non e piu vero: dobbiamo imporre l’uguaglianza delle derivate in croce.

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8.2. EQUAZIONI DI GAUSS-WEINGARTEN 109

• i coefficienti delle matrici di Cartan devono soddisfare delle condizionidi integrabilita che provengono da:

∂2~gi

∂uj∂uk=

∂2~gi

∂uk∂uj

• i coefficienti di Gauss-Weingarten sono funzioni note di I e di II, fattoche mostra l’analogia tra (I, II) e (k, τ). In questo risultato e contenutaimplicitamente l’affermazione che I e II formano un sistema completoper S; in altre parole: ci forniscono tutte le informazioni di cui abbiamobisogno.

Combinando i due punti, si ricava che I e II devono soddisfare il sistemadi equazioni differenziali (alle derivate parziali) non lineari del second’ordinetrovato nel paragrafo 8.1 (le condizioni di Gauss-Mainardi-Codazzi).Per capire e semplificare la struttura delle condizioni di risolubilita (sui coef-ficienti della matrice di Cartan, affinche esista la base di Gauss) convieneusare una notazione matriciale. Abbiamo che:0BBBBBBBBBBBB@

∂~g1

∂uk

∂~g2

∂uk

...

∂~gn

∂uk

∂ ~N∂uk

1CCCCCCCCCCCCA =

0BBBBBBBBBB@Γ1

1k Γ21k · · · Γn

1k a1k

Γ12k Γ2

2k · · · Γn2k a2k

......

. . ....

...

Γ1nk Γ2

nk · · · Γnnk ank

−bk1 −bk2 · · · −bkn 0

1CCCCCCCCCCA

0BBBBBBBBBBBBBB@

~g1

~g2

...

~gn

~N

1CCCCCCCCCCCCCCA(8.8)

Al variare di k (ossia dell’indice rispetto a cui derivo), queste sono n equazioni

matriciali. Chiamiamo∂ ~G

∂ukil vettore di vettori che si trova al primo membro:

esso contiene le derivate dei vettori della base di Gauss rispetto all’indice kfissato. Chiamiamo Ωk la matrice al secondo membro: al variare di k, essae la matrice di Cartan rispetto a un particolare indice k di derivazione.Chiamiamo le matrici Γk := Γl

ik (con l indice di riga, i indice di colonna

e k indice di matrice) matrici di connessione. Chiamiamo, infine ~G ilvettore al secondo membro: esso e un vettore di vettori, dal momento chei suoi elementi sono i vettori della base di Gauss. Possiamo cosı riscriverel’equazione (8.8) in forma piu compatta:

∂ ~G

∂uk= Ωk · ~G (8.9)

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110 CAPITOLO 8. CONDIZIONI DI COMPATIBILITA

Basta ora imporre la compatibilita delle derivate seconde per ottenere lecondizioni necessarie di risolubilita6. Abbiamo infatti che:

∂2 ~G

∂uj∂uk=

∂uj(Ωk

~G) =∂Ωk

∂uj~G+ Ωk

∂ ~G

∂uj=

=∂Ωk

∂uj~G+ Ωk(Ωj

~G) =∂Ωk

∂uj+ ΩkΩj

~G (8.10)

e tale espressione deve commutare in j e k, dal momento che deve essereuguale a:

∂2 ~G

∂uk∂uj=∂Ωj

∂uk+ ΩjΩk

~G (8.11)

Dunque: ∂Ωk

∂uj+ ΩkΩj

~G =

∂Ωj

∂uk+ ΩjΩk

~G

o anche: ∂Ωk

∂uj+ ΩkΩj −

∂Ωj

∂uk− ΩjΩk

~G = 0 (8.12)

Ma, dal momento che i vettori di ~G e una base per Rn+1, essi sono linear-mente indipendenti; quella espressa dall’equazione (8.12) non e altro che unacombinazione lineare dei vettori di base. Dato che questa deve essere parial vettore nullo, per l’indipendenza lineare dei vettori di base deduciamo chenecessariamente deve essere:

∂Ωk

∂uj− ∂Ωj

∂uk+ ΩkΩj − ΩjΩk = 0 (8.13)

ove e chiara l’antisimmetria in j e k. Tale equazione matriciale vale perogni scelta di j e k, in particolare abbiamo j = 1, . . . , n e k = 1, . . . , n. Semettiamo i valori di (j, k) in una matrice:0BBBBBBBBB@

(1, 1) (1, 2) (1, 3) · · · (1, n− 1) (1, n)(2, 1) (2, 2) (2, 3) · · · (2, n− 1) (2, n)(3, 1) (3, 2) (3, 3) · · · (3, n− 1) (3, n)

......

.... . .

......

(n− 1, 1) (n− 1, 2) (n− 1, 3) · · · (n− 1, n− 1) (n− 1, n)(n, 1) (n, 2) (n, 3) · · · (n, n− 1) (n, n)

1CCCCCCCCCAosserviamo che le condizioni effettive sono meno di n2, poiche, in virtu del-l’antisimmetria della (8.13), per elementi di posto simmetrico la condizione

6Si badi bene che, per quanto detto fino ad ora, le condizioni sono solamente necessarie.Si puo tuttavia dimostrare che tali condizioni sono anche sufficienti.

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8.2. EQUAZIONI DI GAUSS-WEINGARTEN 111

risulta essere la stessa e per elementi sulla diagonale (j = k) la condizionee automaticamente verificata (0 = 0). Dobbiamo quindi solo computare ilnumero di elementi delle diagonali parallele alla diagonale principale, nellamatrice triangolare superiore (escludendo la diagonale principale); dunque ilnumero di elementi della diagonale che parte dall’elemento (1, 2) piu il nume-ro di elementi della diagonale che parte dall’elemento (1, 3), e cosı via, sinoad arrivare all’elemento (1, n). Banalmente, il numero di condizioni effettive

e dunque (n− 1) + (n− 2) + . . .+ 1 =n(n− 1)

2.

8.2.1 Analogia: rotore

Le equazioni (8.13) sono dunque n(n−1)2

equazioni di tipo rotore. Per mo-strare meglio questa analogia, torniamo a R3 e ricordiamo che un campovettoriale ~w(x, y, z) su R3 e conservativo se:

~w(x, y, z) · dP = dU(x, y, z)

ovvero:wxdx+ wydy + wzdz = dU

Abbiamo cosı associato al campo una 1-forma (una forma differenziale digrado 1), cioe quella che si trova al primo membro, e chiediamo che taleforma sia esatta, vale a dire, sia uguale al differenziale di una qualche funzioneU(x, y, z). Dato che

dU =∂U

∂xdx+

∂U

∂ydy +

∂U

∂zdz

la forma e esatta se e solo se i coefficienti dei differenziali coincidono, ovverose: 8>>>>>><>>>>>>:

wx(x, y, z) =∂U

∂x

wy(x, y, z) =∂U

∂z

wz(x, y, z) =∂U

∂z

(8.14)

Abbiamo cosı tre condizioni per trovare una sola funzione U : in generale echiedere troppo. La condizione di risolubilita per il sistema si ottiene ancorauna volta imponendo l’uguaglianza delle derivate miste:

∂2U

∂y∂x=

∂y

∂U∂x

=

∂x

∂U∂y

=

∂2U

∂x∂y

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112 CAPITOLO 8. CONDIZIONI DI COMPATIBILITA

∂2U

∂z∂x=

∂z

∂U∂x

=

∂x

∂U∂z

=

∂2U

∂x∂z

∂2U

∂z∂y=

∂z

∂U∂y

=

∂y

∂U∂z

=

∂2U

∂y∂z

e dunque, derivando le equazioni del sistema (8.14), si ricavano agevolmenteche condizioni necessarie per l’esistenza di U :8>>>>>><>>>>>>:

∂wx

∂y− ∂wy

∂x= Rxy = 0

∂wx

∂z− ∂wz

∂x= Rxz = 0

∂wy

∂z− ∂wz

∂y= Ryz = 0

(8.15)

Il vettore

−−→rotw :=

~i ~j ~k∂/∂x ∂/∂y ∂/∂zwx wy wz

=~e1~∇~w = −(Rxy

~k +Ryz~i+Rxy

~j)

e una 2-forma differenziale che viene definita rotore del campo vettoriale~w. Si noti l’analogia delle equazioni (8.15) con le equazioni (8.13): tutte lecondizioni che derivano dall’uguaglianza delle derivate in croce sono di tiporotore.

Esempio: spazio tridimensionale. Consideriamo il caso di n = 2. Ab-biamo le due matrici di Cartan, ottenute derivando i vettori della basenaturale rispettivamente rispetto a u1 e rispetto a u2. Le matrici sono:

Ω1 =

Γ1

11 Γ211 a11

Γ121 Γ2

21 a21

b11 b21 0

Ω2 =

Γ1

12 Γ212 a12

Γ122 Γ2

22 a22

b12 b22 0

(8.16)

e dobbiamo imporre la condizione di compatibilita7 data dalla (8.13):

∂Ω1

∂u2− ∂Ω2

∂u1+ Ω1Ω2 − Ω2Ω1 = 0

o anche:∂Ω1

∂u2− ∂Ω2

∂u1= Ω2Ω1 − Ω1Ω2

7Si noti che nel caso di n = 2 il numero di condizioni e 2·12 = 1, come era logico

prevedere, dato che l’unica permutazione delle derivate in croce e data dallo scambio degliindici 1 e 2.

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8.2. EQUAZIONI DI GAUSS-WEINGARTEN 113

Calcoliamoci ora separatamente i membri dell’uguaglianza:

A =∂Ω1

∂u2− ∂Ω2

∂u1=

∂Γ1

11

∂u2

∂Γ211

∂u2∂a11

∂u2

∂Γ121

∂u2

∂Γ221

∂u2∂a21

∂u2

∂b11∂u2

∂b21∂u2 0

∂Γ1

12

∂u1

∂Γ212

∂u1∂a12

∂u1

∂Γ122

∂u1

∂Γ222

∂u1∂a22

∂u1

∂b12∂u1

∂b22∂u1 0

=

=

∂Γ1

11

∂u2 − ∂Γ112

∂u1

∂Γ211

∂u2 − ∂Γ212

∂u1∂a11

∂u2 − ∂a12

∂u1

∂Γ121

∂u2 − ∂Γ122

∂u1

∂Γ221

∂u2 − ∂Γ222

∂u1∂a21

∂u2 − ∂a22

∂u1

∂b11∂u2 − ∂b12

∂u1

∂b21∂u2 − ∂b22

∂u1 0

(8.17)

B = Ω2Ω1 − Ω1Ω2 =

=

(Γ112Γ

111+Γ2

12Γ121+a12b11)−(Γ1

11Γ112+Γ2

11Γ122+a11b12) (Γ1

12Γ211+Γ2

12Γ221+a12b21)−(Γ1

11Γ212+Γ2

11Γ222+a11b22) (Γ1

12a11+Γ212a21)−(Γ1

11a12+Γ211a22)

(Γ122Γ

111+Γ2

22Γ121+a22b11)−(Γ1

21Γ112+Γ2

21Γ122+a21b12) (Γ1

22Γ211+Γ2

22Γ221+a22b21)−(Γ1

21Γ212+Γ2

21Γ222+a21b22) (Γ1

22a11+Γ222a21)−(Γ1

21a12+Γ221a22)

(b12Γ111+b22Γ

121)−(b11Γ

112+b21Γ

122) (b12Γ

211+b22Γ

221)−(b11Γ

212+b21Γ

222) (b12a11+b22a21)−(b11a12+b21a22)

(8.18)

Eguagliando ciascun elemento di A e di B si trovano nove condizioni (di cuil’ultima banalmente verificata) di compatibilita. Ad esempio, per il posto(1, 1) troviamo che

∂Γ111

∂u2− ∂Γ1

12

∂u1+ Γ2

11Γ122 − Γ2

12Γ121 = a12b

11 − a11b

12 (8.19)

Vedremo tra poco che il primo membro sara una componente del tensoredi curvatura di Riemann. Inoltre, vedremo anche che i coefficienti Γ si cal-coleranno utilizzando solo la prima forma, mentre i coefficienti a saranno icoefficienti di II e i coefficienti b saranno i coefficienti dell’operatore di forma.Sostanzialmente gli a e b spettano alla seconda forma, mentre i Γ spettanoalla prima. Il contenuto concettuale dell’uguaglianza (8.19) e di assoluto ri-lievo: in un certo modo, crea un legame tra la prima e la seconda forma, checompaiono distinte ai due membri dell’equazione.

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114 CAPITOLO 8. CONDIZIONI DI COMPATIBILITA

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Capitolo 9

Il Theorema Egregium

9.1 Tensore di Riemann

9.1.1 Struttura delle condizioni di risolubilita

Ritorniamo al caso n + 1-dimensionale. Abbiamo visto (equazione (8.13))che

∂Ωk

∂uj− ∂Ωj

∂uk+ ΩkΩj − ΩjΩk = 0

Definiamo dunque1:

ÜRjk :=∂Ωk

∂uj− ∂Ωj

∂uk+ ΩkΩj − ΩjΩk (9.1)

Si dice che le matrici Ωj sono i coefficienti della forma differenzialeP

j Ωjduj

della 1-forma di connessione. Si dice inoltre che le matrici ÜRjk sono icoefficienti di una 2-forma detta 2-forma di curvatura.Possiamo agevolmente estendere quanto trovato con l’equazione (8.19) a uncaso piu generale. Dalle equazioni di Gauss abbiamo che, ∀q,∀j:

∂~gq

∂uj= Γl

qj~gl + aqj~N

1Il perche definiamo tale elemento con la tilde sara piu chiaro in seguito; per ora bastisapere che dovremo definire una matrice leggermente diversa da eRjk, che chiameremo Rjk.

115

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116 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

e quindi:

∂2~gq

∂uk∂uj=∂Γl

qj

∂uk~gl + Γl

qj

∂~gq

∂uk+∂aqj

∂uk~N + aqj

∂ ~N

∂uk=

=∂Γp

qj

∂uk~gp + Γl

qj(Γplk~gp + alk

~N) +∂aqj

∂uk~N + aqj(b

pk~gp) =

=∂Γp

qj

∂uk+ Γl

qjΓplk + aqjb

pk

~gp +

∂aqj

∂uk+ Γl

qjalk

~N (9.2)

E visto che le derivate incrociate devono essere uguali (per il teorema diSchwarz), i coefficienti devono essere simmetrici rispetto a k e a j. Ovvero,deve essere:

∂2~gq

∂uk∂uj− ∂2~gq

∂uj∂uk= 0

Per i coefficienti di ~gp, questo si traduce in:

∂Γpqj

∂uk−∂Γp

qk

∂uj+ Γl

qjΓplk − Γl

qkΓplj = aqkb

pj − aqjb

pk (9.3)

Per definizione chiamiamo:

Rpqjk :=

∂Γpqj

∂uk−∂Γp

qk

∂uj+ Γl

qjΓplk − Γl

qkΓplj (9.4)

e dunque abbiamo che per la parte tangente le condizioni di compatibilita(dette equazioni di Gauss) sono:

Rpqjk = aqkb

pj − aqjb

pk (9.5)

Fissati j e k, la matrice degli Rpqjk avente p come indice di riga e q come

indice di colonna2 verra chiamata Rjk :=Rp

qjk

- rimarcheremo meglio in

seguito la differenza da ÜRpqjk.

Per quanto riguarda invece la parte in ~N , l’uguaglianza dei coefficienti sitraduce nelle equazioni di Mainardi-Codazzi:

∂aqj

∂uk− ∂aqk

∂uj+ Γl

qjalk − Γlqkalj = 0 (9.6)

Ci sarebbero poi da porre anche le condizioni di compatibilta sull’uguaglianzadelle derivate in croce della normale ~N , ossia:

∂2 ~N

∂uk∂uj=

∂2 ~N

∂uj∂uk

2Si noti che, analogamente a quanto abbiamo fatto per le matrici di connessione, l’ele-mento in posizione controvariante e indice di riga, quello in posizione covariante e indicedi colonna. Tale scelta sara utile poiche semplifichera - vedremo - la scrittura del tensoredi Riemann in forma covariante.

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9.1. TENSORE DI RIEMANN 117

Tuttavia si puo dimostrare che tali equazioni sono conseguenza delle equa-zioni di Mainardi-Codazzi.

9.1.2 Significato del tensore di Riemann

Consideriamo le n matrici Ωj: ciascuna di esse puo essere derivata rispettoa n indici (ciascuno corripondente ad un valore di k): otteniamo cosı n2

matrici, ognuna per ogni coppia di valori (j, k). In breve la struttura cheabbiamo e la seguente:

Ωj =Γj aj

bj 0

⇒ ÜRjk =Rp

qjk + . . . MC

MC 0

(9.7)

dove MC indica la parte di matrice che compete alle condizioni di Mainardi-Codazzi, mentre i puntini indicano altri elementi dipendenti dai coefficientia e b. Gli indici p e q sono gli indici di posto del coefficiente Rp

qjk all’internodella matrice determinata dalla coppia di indici (j, k). Dunque le due coppiedi indici sono in un certo modo a se stanti. Le funzioni Rp

qjk, indicizzate daquattro indici, prendono il nome di componenti del tensore curvaturadi Riemann. Le condizioni di Gauss (9.5) esprimono appunto le relazioniche sussistono tra tali componenti e i coefficienti a e b, dato che deve essereche ÜRjk = 0.Lo scopo dell’introduzione del tensore di Riemann e, per noi, dedurre dallecondizioni di compatibilita di Gauss il Theorema Egregium (per superficinello spazio euclideo, vale a dire n = 2), mostrando che:

• per n = 2 il tensore di Riemann ha una sola componente essenziale,funzione solo di I;

• per n = 2 il secondo membro delle condizioni di compatibilita di Gauss3

e esattamente −detcIIdet bI .

Mostrando questo avremmo automaticamente dimostrato che la curvaturagaussiana K e solamente funzione di I, ossia la tesi del Theorema Egregium.

3Si badi al corretto utilizzo del lessico: si parla di equazioni di Gauss per indicare ilegami tra le derivate dei vettori della base naturale e la base stessa; si parla di condizionidi Gauss per le loro conseguenze differenziali.

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118 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

9.2 Calcolo dei coefficienti di Gauss-Weingarten

Prima di dimostrare formalmente il Theorema Egregium, dobbiamo peromostrare che tutti i coefficienti Γ, a e b che compaiono nelle equazioni diGauss-Weingarten sono funzioni (algebriche o differenziali) dei coefficientidella prima e della seconda forma. Per farlo, ci ricordiamo che i vettori ~gj

sono i vettori della base canonica, vale a dire le derivate prime di P .

Calcolo degli ajk. Dalla (8.5) e dalla (8.6) sappiamo che:

∂~gj

∂uk= Γl

jk~gl + ajk~N

∂ ~N

∂uk= −blk~gl

dunque i coefficienti ajk sono la parte normale delle derivate seconde di P ;

da cui ~gj ⊥ ~N ∀j, e quindi:

ajk = (Γljk~gl + ajk

~N) · ~N =∂~gj

∂uk· ~N = ~N · ∂2P

∂uj∂uk(9.8)

che sono esattamente i coefficienti della seconda forma. Dunque abbiamo chei coefficienti a sono i coefficienti di II.

Calcolo degli blk. Analogamente abbiamo che, indicando con glm gli ele-menti del tensore metrico (ossia i coefficienti della prima forma4):

blkglm = blk~gl~gm = −∂~N

∂uk~gm =

∂uk( ~N ·~gm)− (− ~N

∂~gm

∂uk) = ~N · ∂2P

∂uk∂um(9.9)

dove la penultima uguaglianza vale per la regola di Leibniz. Da cui, conside-rando il primo e l’ultimo membro dell’uguaglianza:

blk = glm( ~N∂2P

∂uk∂um) (9.10)

o ancora, piu sinteticamente:blk

= bI−1 ·cII = S (9.11)

Notiamo dunque che i blk sono i coefficienti della matrice S dell’operato-re di forma SP . Sono dunque funzioni della prima e della seconda formafondamentali.

4Nella notazione tensoriale si fa uso della seguente utile convenzione. Data una matriceP identificata dal generico elemento pij di riga i-esima e colonna j-esima, la scrittura pij

indica l’elemento di riga i-esima e colonna j-esima della corrispondente matrice inversaP−1.

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9.2. CALCOLO DEI COEFFICIENTI DI GAUSS-WEINGARTEN 119

Calcolo dei simboli di Christoffel Γljk. Partiamo dalle derivate degli

elementi del tensore metrico, e dimostriamo il cosiddetto lemma di Ricci:

Lemma 9.1 (Ricci).∂gjk

∂ul= Γp

jlgpk + Γpklgjp

Dimostrazione. Infatti:∂gjk

∂ul=

∂ul(~gj · ~gk)

e riscrivendo le derivate dei vettori della base grazie alle equazioni di Gauss(∂~gj

∂ul = Γpjl~gp + ajl

~N), abbiamo che:

∂gjk

∂ul= (Γp

jl~gp + ajl~N) · ~gk + ~gj · (Γp

kl~gp + akl~N)

ma considerando l’ortogonalita di ~N e ~gj, i termini normali scompaiono e siha

∂gjk

∂ul= Γp

jl~gp · ~gk + Γpkl~gj · ~gp = Γp

jlgpk + Γpklgjp

ossia la tesi.

Il Lemma di Ricci lega i simboli di Christoffel con i coefficienti della primaforma. Per ogni scelta di p abbiamo (per simmetria negli indici covarianti)

solon(n+ 1)

2valori assunti da Γp

jl (per la simmetria di Γ negli indici in po-

sizione covariante). Dato che p puo assumere valori da 1 a n, abbiamo che

la tesi del lemma di Ricci e anche un sistema lineare din2(n+ 1)

2equazio-

ni nellen2(n+ 1)

2incognite Γp

jl. Per risolverlo agiamo nel seguente modo.

Sappiamo dal Lemma di Ricci che:

∂gjk

∂ul= Γp

jlgpk + Γpklgjp (9.12)

Cambiando nome agli indici, il risultato non puo cambiare; applichiamo

dunque una permutazione degli indici nel seguente modo:

8><>: l→ jj → kk → l

∂gkl

∂uj= Γp

kjgpl + Γpljgkp (9.13)

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120 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

e infine applichiamo ancora la stessa permutazione:

8><>: l→ jj → kk → l

∂glj

∂uk= Γp

lkgpj + Γpjkglp (9.14)

A questo punto sommiamo membro a membro la (9.12) e la (9.13) e facciamoquindi la differenza membro a membro con la (9.14). Con questo trucco,abbiamo che al secondo membro molti termini si elidono, e rimane:∂gjk

∂ul+∂gkl

∂uj− ∂glj

∂uk

= 2Γp

jlgkp (9.15)

e abbiamo ottenuto una relazione contenente un solo simbolo di Christoffel.Dato che la matrice della metrica (di termine generale gkp) e invertibile,denotando con gkp l’elemento della matrice inversa della metrica, abbiamoimmediatamente che:

Γpjl =

1

2gpk∂gjk

∂ul+∂gkl

∂uj− ∂glj

∂uk

(9.16)

dove la scrittura di pk in luogo di kp vale per la simmetria del tensore metrico.

Esempio: spazio tridimensionale. Colleghiamo innanzitutto le notazio-ni tensoriali usate nella teoria astratta con le notazioni gaussiane. Abbiamoche:

[gjk] =

g11 g12

g21 g22

=

E FF G

[gpq] =

g11 g12

g21 g22

=

1

EG− F 2

G −F−F E

da cui si ha 8>>>><>>>>:

g11 =G

GE − F 2

g12 = g21 = − F

GE − F 2

g22 =E

GE − F 2

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9.2. CALCOLO DEI COEFFICIENTI DI GAUSS-WEINGARTEN 121

Poi, ricordandoci che i coefficienti a erano i coefficienti di II, riscriviamoesplicitamente le equazioni di Gauss nel caso n = 2:8>>>>>>><>>>>>>>:

∂2P

(∂u1)2= Γ1

11

∂P

∂u1+ Γ2

11

∂P

∂u2+ e ~N

∂2P

∂u1∂u2=

∂2P

∂u2∂u1= Γ1

12

∂P

∂u1+ Γ2

12

∂P

∂u2+ f ~N

∂2P

(∂u2)2= Γ1

22

∂P

∂u1+ Γ2

22

∂P

∂u2+ g ~N

(9.17)

Per il calcolo dei simboli di Christoffel si proietta ogni equazione sullabase naturale. Dalle tre equazioni che avevamo, cosı facendo ne otteniamo 6(i termini normali si elidono nell’operazione di prodotto scalare con i vettoridella base): 8>>>>>>>>>>>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>:

8>>><>>>:∂2P

(∂u1)2

∂P

∂u1= Γ1

11E + Γ211F

∂2P

(∂u1)2

∂P

∂u2= Γ1

11F + Γ211G8>><>>:

∂2P

∂u1∂u2

∂P

∂u1= Γ1

12E + Γ212F

∂2P

∂u1∂u2

∂P

∂u2= Γ1

12F + Γ212G8>>><>>>:

∂2P

(∂u2)2

∂P

∂u1= Γ1

22E + Γ222F

∂2P

(∂u2)2

∂P

∂u2= Γ1

22F + Γ222G

(9.18)

Rimane solo da esprimere il primo membro nella forma di derivate deiprodotti scalari dei vettori della base naturale (e quindi di I). Scrivere ilprimo termine e facile:

∂2P

(∂u1)2· ∂P∂u1

=1

2

∂u1

∂P∂u1

· ∂P∂u1

=

1

2

∂E

∂u1

Piu complicato e, ad esempio scrivere∂2P

(∂u1)2· ∂P∂u2

. Tuttavia possiamo com-

binare la seconda equazione con la terza, ottenendo che, al primo membro:

∂2P

(∂u1)2· ∂P∂u2

+∂2P

∂u1∂u2· ∂P∂u1

=∂

∂u1

∂P∂u1

· ∂P∂u2

=∂F

∂u1

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122 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

La terza equazione la riscriviamo senza bisogno di combinarla linearmente:

∂2P

∂u1∂u2· ∂P∂u1

=1

2

∂u2

∂P∂u1

· ∂P∂u1

=

1

2

∂E

∂u2

e analogamente per la quarta equazione:

∂2P

∂u1∂u2· ∂P∂u2

=1

2

∂u1

∂P∂u2

· ∂P∂u2

=

1

2

∂G

∂u1

Per la quinta equazione dobbiamo ricorrere ancora a combinarla linearmentecon la quarta:

∂2P

(∂u2)2· ∂P∂u1

+∂2P

∂u1∂u2· ∂P∂u2

=∂

∂u2

∂P∂u1

· ∂P∂u2

=∂F

∂u2

Infine per l’ultima equazione:

∂2P

(∂u2)2· ∂P∂u2

=1

2

∂u2

∂P∂u2

· ∂P∂u2

=

1

2

∂G

∂u2

Riscriviamo dunque il sistema precedente:8>>>>>>>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>>>>>>>:

1

2

∂E

∂u1= Γ1

11E + Γ211F

∂F

∂u1= Γ1

11F + Γ211G

1

2

∂E

∂u2= Γ1

12E + Γ212F

1

2

∂G

∂u1= Γ1

12F + Γ212G

∂F

∂u2= Γ1

22E + Γ222F

1

2

∂G

∂u2= Γ1

22F + Γ222G

(9.19)

o, in modo del tutto analogo:0BBBBBBBBBBBBBBBBB@

E F 0 0 0 0

F G E F 0 0

0 0 E F 0 0

0 0 F G 0 0

0 0 F G E F

0 0 0 0 F G

1CCCCCCCCCCCCCCCCCA

0BBBBBBBBBBBBBBBBB@

Γ111

Γ211

Γ112

Γ212

Γ122

Γ222

1CCCCCCCCCCCCCCCCCA=

0BBBBBBBBBBBBBBBBB@

12

∂E∂u1

∂F∂u1

12

∂E∂u2

12

∂G∂u1

∂F∂u2

12

∂G∂u2

1CCCCCCCCCCCCCCCCCA(9.20)

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9.2. CALCOLO DEI COEFFICIENTI DI GAUSS-WEINGARTEN 123

Abbiamo quindi riscritto il sistema lineare di 6 equazioni in 6 incognite fa-cendo comparire le derivate parziali di E,F,G. Chiamiamo A la matrice ditale sistema e sviluppiamone il determinante rispetto alla prima riga:

detA = EG(EG(EG−F 2)−F 2(EG−F 2))−F 2(EG(EG−F 2)−F 2(EG−F 2)) =

= EG(EG− F 2)2 − F 2(EG− F 2)2 = (EG− F 2)3

Chiamiamo per brevita di scrittura I := det bI = EG − F 2, da cui abbiamoche detA = I3, e risolvendo il sistema con il metodo di Cramer:

Γ111 =

12

∂E∂u1 F 0 0 0 0

∂F∂u1 G E F 0 0

12

∂E∂u2 0 E F 0 0

12

∂G∂u1 0 F G 0 0

∂F∂u2 0 F G E F

12

∂G∂u2 0 0 0 F G

detA

=

=12

∂E∂u1G(EGI− F 2I)− F [ ∂F

∂u1 I2 − E(1

2∂E∂u2GI− F 1

2∂G∂u1 I) + F (1

2∂E∂u2F I− 1

2∂G∂u1EI)]

I3 =

=12

∂E∂u1GI2 − F [ ∂F

∂u1 I2 − E 1

2∂E∂u2GI + EF 1

2∂G∂u1 I + F 2 1

2∂E∂u2 I− EF 1

2∂G∂u1 I]

I3 =

=12

∂E∂u1GI2 − F ∂F

∂u1 I2 + EF 1

2∂E∂u2GI− F 3 1

2∂E∂u2 I

I3 =

=I2(G1

2∂E∂u1 − F ∂F

∂u1 ) + F I12

∂E∂u2 (EG− F 2)

I3 =I2(G1

2∂E∂u1 − F ∂F

∂u1 ) + F I2 12

∂E∂u2

I3 =

=1

2(EG− F 2)

G∂E

∂u1− 2F

∂F

∂u1+ F

∂E

∂u2

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124 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

Γ211 =

E 12

∂E∂u1 0 0 0 0

F ∂F∂u1 E F 0 0

0 12

∂E∂u2 E F 0 0

0 12

∂G∂u1 F G 0 0

0 ∂F∂u2 F G E F

0 12

∂G∂u2 0 0 F G

detA

=

=E[ ∂F

∂u1 (EGI−F 2I)−E(12

∂E∂u2GI−F 1

2∂G∂u1 I)+F (1

2∂E∂u2F I− 1

2∂G∂u1EI)]− 1

2∂E∂u1F I2

I3 =

=E[ ∂F

∂u1 I2 − E 1

2∂E∂u2GI− EF 1

2∂G∂u1 I + 1

2∂E∂u2F

2I− EF 12

∂G∂u1 I]− 1

2∂E∂u1F I2

I3 =

=E ∂F

∂u1 I2 − E 1

2∂E∂u2 I(EG− F 2)− 1

2∂E∂u1F I2

I3 =E ∂F

∂u1 I2 − E 1

2∂E∂u2 I

2 − 12

∂E∂u1F I2

I3 =

=1

2(EG− F 2)

2E

∂F

∂u1− E

∂E

∂u2− F

∂E

∂u1

Γ112 = Γ1

21 =

E F 12

∂E∂u1 0 0 0

F G ∂F∂u1 F 0 0

0 0 12

∂E∂u2 F 0 0

0 0 12

∂G∂u1 G 0 0

0 0 ∂F∂u2 G E F

0 0 12

∂G∂u2 0 F G

detA

=

=EG(1

2∂E∂u2GI− F 1

2∂G∂u1 I)− F 2(1

2∂E∂u2GI− F 1

2∂G∂u1 I)

I3 =

=(1

2∂E∂u2G− F 1

2∂G∂u1 )I

2

I3 =

=1

2(EG− F 2)

G∂E

∂u2− F

∂G

∂u1

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9.2. CALCOLO DEI COEFFICIENTI DI GAUSS-WEINGARTEN 125

Γ212 = Γ2

21 =

E F 0 12

∂E∂u1 0 0

F G E ∂F∂u1 0 0

0 0 E 12

∂E∂u2 0 0

0 0 F 12

∂G∂u1 0 0

0 0 F ∂F∂u2 E F

0 0 0 12

∂G∂u2 F G

detA

=

=EG(E 1

2∂G∂u1 I− 1

2∂E∂u2F I)− F 2(E 1

2∂G∂u1 I− 1

2∂E∂u2F I)

I3 =

=(E 1

2∂G∂u1 − 1

2∂E∂u2F )I2

I3 =

=1

2(EG− F 2)

E∂G

∂u1− F

∂E

∂u2

Γ122 =

E F 0 0 12

∂E∂u1 0

F G E F ∂F∂u1 0

0 0 E F 12

∂E∂u2 0

0 0 F G 12

∂G∂u1 0

0 0 F G ∂F∂u2 F

0 0 0 0 12

∂G∂u2 G

detA

=

=EG[E(G( ∂F

∂u2G−F 12

∂G∂u2 )− 1

2∂G∂u1G

2)−F (F ( ∂F∂u2G−F 1

2∂G∂u2 )− 1

2∂G∂u1FG)+ 1

2∂E∂u2 (FG

2−G2F )]

I3 +

−F 2[E(G( ∂F

∂u2G−F 12

∂G∂u2 )− 1

2∂G∂u1G

2)−F (F ( ∂F∂u2G−F 1

2∂G∂u2 )− 1

2∂G∂u1FG)+ 1

2∂E∂u2 (FG

2−G2F )]

I3 =

=I[EG ∂F

∂u2G− EGF 12

∂G∂u2 − E 1

2∂G∂u1G

2 − F 2 ∂F∂u2G+ F 3 1

2∂G∂u2 + 1

2∂G∂u1F

2G]

I3 =

=I[ ∂F

∂u2G(EG− F 2)− F 12

∂G∂u2 (EG− F 2)− 1

2∂G∂u1G(EG− F 2)]

I3 =

=I2[G ∂F

∂u2 − F 12

∂G∂u2 −G1

2∂G∂u1 ]

I3 =1

2(EG− F 2)

2G

∂F

∂u2− F

∂G

∂u2−G

∂G

∂u1

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126 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

Γ222 =

E F 0 0 0 12

∂E∂u1

F G E F 0 ∂F∂u1

0 0 E F 0 12

∂E∂u2

0 0 F G 0 12

∂G∂u1

0 0 F G E ∂F∂u2

0 0 0 0 F 12

∂G∂u2

detA

=

=EG[E(G(E1

2∂G∂u2−F ∂F

∂u2)+12

∂G∂u1GF )−F(F(E1

2∂G∂u2−F ∂F

∂u2)+12

∂G∂u1F

2)− 12

∂E∂u2F(FG−GF )]

I3 +

−F 2[E(G(E1

2∂G∂u2−F ∂F

∂u2)+12

∂G∂u1GF )−F(F(E1

2∂G∂u2−F ∂F

∂u2)+12

∂G∂u1F

2)− 12

∂E∂u2F(FG−GF )]

I3 =

=I[EGE 1

2∂G∂u2 − EGF ∂F

∂u2 + E 12

∂G∂u1GF − F 2E 1

2∂G∂u2 + F 3 ∂F

∂u2 − 12

∂G∂u1F

2]

I3 =

=I[E 1

2∂G∂u2 (EG− F 2)− F ∂F

∂u2 (EG− F 2) + 12

∂G∂u1F (EG− F 2)]

I3 =

=I2[E 1

2∂G∂u2 − F ∂F

∂u2 + F 12

∂G∂u1 ]

I3 =1

2(EG− F 2)

E∂G

∂u2− 2F

∂F

∂u2+ F

∂G

∂u1

Riassumendo brevemente:8>>>>>>>>>>>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>:

Γ111 =

1

2(EG− F 2)

G∂E

∂u1− 2F

∂F

∂u1+ F

∂E

∂u2

Γ2

11 =1

2(EG− F 2)

2E

∂F

∂u1− E

∂E

∂u2− F

∂E

∂u1

Γ1

12 = Γ121 =

1

2(EG− F 2)

G∂E

∂u2− F

∂G

∂u1

Γ2

12 = Γ221 =

1

2(EG− F 2)

E∂G

∂u1− F

∂E

∂u2

Γ1

22 =1

2(EG− F 2)

2G

∂F

∂u2− F

∂G

∂u2−G

∂G

∂u1

Γ2

22 =1

2(EG− F 2)

E∂G

∂u2− 2F

∂F

∂u2+ F

∂G

∂u1

(9.21)

e se F = 0 (cioe la base naturale e ortogonale, visto che il prodotto scalare

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9.2. CALCOLO DEI COEFFICIENTI DI GAUSS-WEINGARTEN 127

F := ∂P∂u1

∂P∂u2 risulta nullo) tali espressioni si semplificano:8>>>>>>>>>>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>>>>>>>>>>:

Γ111 =

1

2E

∂E

∂u1

Γ211 = − 1

2G

∂E

∂u2

Γ112 = Γ1

21 =1

2E

∂E

∂u2

Γ212 = Γ2

21 =1

2G

∂G

∂u1

Γ122 = − 1

2E

∂G

∂u1

Γ222 =

1

2G

∂G

∂u2

(9.22)

D’altra parte sussistono anche le seguenti relazioni:8>>>><>>>>:Γ1

11 + Γ212 =

∂u1(ln√EG− F 2)

Γ112 + Γ2

22 =∂

∂u2(ln√EG− F 2)

(9.23)

che si verificano facilmente a ritroso, a partire dal secondo membro (deriva-zione di funzione composta):

∂u1(ln√EG− F 2) =

1√EG− F 2

·12

1√EG− F 2

· ∂E∂u1

G+∂G

∂u1E−2F

∂F

∂u1

=

=1

2(EG− F 2)

∂E∂u1

G+∂G

∂u1E − 2F

∂F

∂u1

= Γ1

11 + Γ212

∂u2(ln√EG− F 2) =

1√EG− F 2

·12

1√EG− F 2

· ∂E∂u2

G+∂G

∂u2E−2F

∂F

∂u2

=

=1

2(EG− F 2)

∂E∂u2

G+∂G

∂u2E − 2F

∂F

∂u2

= Γ1

12 + Γ222

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128 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

9.2.1 Tavola riassuntiva

Ricapitoliamo brevemente le relazioni fondamentali:2666666666666666666666664

∂~gj

∂uk= Γl

jk~gl + ajk~N (Equazioni di Gauss)

∂ ~N

∂uk= −blk~gl (Equazioni di Weingarten)

Γljk :=

1

2glp∂gpj

∂uk+∂gpk

∂uj− ∂gjk

∂up

(Simboli di Christoffel)

Rpqjk :=

∂Γpqj

∂uk−∂Γp

qk

∂uj+ Γl

qjΓplk − Γl

qkΓplj (Componenti del tensore di Riemann)

Rpqjk = aqjb

pk − aqkb

pj (Condizioni di Gauss)

∂aqj

∂uk− ∂aqk

∂uj+ Γl

qjalk − Γlqkalj = 0 (Condizioni di Mainardi-Codazzi)

9.3 Dimostrazione del Theorema Egregium

Combiniamo linearmente le componenti del tensore di Riemann con i coeffi-cienti della metrica nel modo seguente:

Rmqjk := gmpRpqjk (9.24)

e chiamiamo l’elemento a quattro indici Rmqjk tensore di Riemann informa covariante (poiche tutti gli indici sono in posizione covariante5).Otteniamo cosı una conseguenza delle condizioni di Gauss, vale a dire:

Rmqjk = aqj(gmpbpk)− aqk(gmpb

pj) (9.25)

Si notano le seguenti simmetrie nel tensore di Riemann in forma covariante:

i. Rmqjk = −Rqmjk (antisimmetria nella prima coppia di indici)

ii. Rmqjk = −Rmqkj (antisimmetria nella seconda coppia di indici)

iii. Rmqjk = Rjkmq (simmetria nello scambio delle coppie)

Dunque:

5Si noti che la notazione tensoriale aiuta mnemonicamente: per ricordarsi la (9.24) sipuo pensare che le due p in posizione covariante e controvariante si elidano, e restano cosısolo gli altri quattro indici in posizione covariante.

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9.3. DIMOSTRAZIONE DEL THEOREMA EGREGIUM 129

Lemma 9.2. Per n = 2 il tensore di Riemann ha una sola componentefondamentale.

Dimostrazione. Infatti, per antisimmetria nella prima coppia di indici, si hache: 8>>>>>>>>><>>>>>>>>>:

R1111 = −R1111 = 0R1112 = −R1112 = 0R1121 = −R1121 = 0R1122 = −R1122 = 0R2211 = −R2211 = 0R2212 = −R2212 = 0R2221 = −R2221 = 0R2222 = −R2222 = 0

e inoltre, per antisimmetria nella seconda coppia di indici, si ha anche che:8>><>>:R1211 = −R1211 = 0R2111 = −R2111 = 0R1222 = −R1222 = 0R2122 = −R2122 = 0

Dunque tutte le componenti aventi una coppia di indici con indici ugualisono inevitabilmente nulle. D’altro canto, per le restanti componenti si hache (per antisimmetria nelle due distinte coppie di indici e per simmetria trale due coppie):

R1212 = −R1221 = −R2112 = R2121

ossia la tesi.

Ora non e difficile dimostrare il Theorema Egregium:

Theorema Egregium (Gauss). La curvatura gaussiana K e una grandezzaintrinseca.

Dimostrazione. Il Lemma 9.2 ci mostra che per n = 2 il tensore di Riemannha una sola componente fondamentale (scegliamo, tra le quattro, R1212).Quindi le condizioni di compatibilita di Gauss (9.25) collassano a:

R1212 = a21(g1pbp2)− a12(g1pb

p1) (9.26)

Basta ora ricordare la definizione di ajk e bpk (in particolare ajk erano icoefficienti di II e bpkgpj = akj) e abbiamo che, l’unica componente

R1212 = a21a12 − a22a11 = − det II (9.27)

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130 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

In altre parole, il determinante della seconda forma e l’unica componenteessenziale del tensore di Riemann. D’altra parte tutti gliRmqjk erano costruitisemplicemente a partire dalla metrica, e dunque erano grandezze intrinseche.Ne segue che, nonostante II sia estrinseca, il suo determinante e intrinseco;o, ancora piu esplicitamente:

K =detcIIdet bI = − R1212√

EG− F 2= f(I) (9.28)

ossia la tesi.

9.3.1 Formula di Brioschi

Dal momento che la curvatura gaussiana dipende solo dalla metrica, do-vremmo essere in grado di trovare la formula generale di K in termini deicoefficienti della metrica. Infatti e dovuto a Brioschi il seguente teorema(per comodita di scrittura ritorniamo alla notazione (u, v) ponendo u1 = u eu2 = v):

Teorema 9.3 (Brioschi).

K = − 1

(EG− F 2)2

8<:−1

2∂2E∂v2 + ∂2F

∂u∂v− 1

2∂2G∂u2

12

∂E∂u

∂F∂u− 1

2∂E∂v

∂F∂v− 1

2∂G∂u

E F

12

∂G∂v

F G

0 12

∂E∂v

12

∂G∂u

12

∂E∂v

E F

12

∂G∂u

F G

9=;

(9.29)

Dimostrazione. Dall’equazione (6.23) sappiamo che K =eg − f 2

EG− F 2. D’altro

canto, grazie la (6.7), possiamo scrivere esplicitamente il numeratore di talefrazione. Tutti i coefficienti della seconda forma hanno, nella loro scritturaesplicita, al denominatore

√EG− F 2. Dunque possiamo riscrivere K come6:

K =1

(EG− F 2)2

8<:∂2x∂u2

∂2y∂u2

∂2z∂u2

∂x∂u

∂y∂u

∂z∂u

∂x∂v

∂y∂v

∂z∂v

·∂2x∂v2

∂2y∂v2

∂2z∂v2

∂x∂u

∂y∂u

∂z∂u

∂x∂v

∂y∂v

∂z∂v

+−

∂2x

∂u∂v∂2y

∂u∂v∂2z

∂u∂v

∂x∂u

∂y∂u

∂z∂u

∂x∂v

∂y∂v

∂z∂v

·

∂2x∂u∂v

∂2y∂u∂v

∂2z∂u∂v

∂x∂u

∂y∂u

∂z∂u

∂x∂v

∂y∂v

∂z∂v

9=;

6Lo slittamento delle righe nella scrittura di e, f e g, vale per quanto detto alla nota 5.

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9.3. DIMOSTRAZIONE DEL THEOREMA EGREGIUM 131

D’altro canto il determinante di una matrice e invariante per trasposizioni,dunque possiamo trasporre le seconde matrici nei prodotti:

K =1

(EG− F 2)2

8<:∂2x∂u2

∂2y∂u2

∂2z∂u2

∂x∂u

∂y∂u

∂z∂u

∂x∂v

∂y∂v

∂z∂v

·∂2x∂v2

∂x∂u

∂x∂v

∂2y∂v2

∂y∂u

∂y∂v

∂2z∂v2

∂z∂u

∂z∂v

+−

∂2x

∂u∂v∂2y

∂u∂v∂2z

∂u∂v

∂x∂u

∂y∂u

∂z∂u

∂x∂v

∂y∂v

∂z∂v

·

∂2x∂u∂v

∂x∂u

∂x∂v

∂2u∂u∂v

∂y∂u

∂y∂v

∂2z∂u∂v

∂z∂u

∂z∂v

9=;

D’altro canto per la formula di Binet, il prodotto dei determinanti e il de-terminante del prodotto. Scriviamo dunque (in notazione piu sintetica) lematrici prodotto, i cui elementi sono dati dal prodotto scalare di due vettori:

K =1

(EG− F 2)2

8<:∂2P∂u2

∂2P∂v2

∂2P∂u2

∂P∂u

∂2P∂u2

∂P∂v

∂P∂u

∂2P∂v2

∂P∂u

∂P∂u

∂P∂u

∂P∂v

∂P∂v

∂2P∂v2

∂P∂v

∂P∂u

∂P∂v

∂P∂v

∂2P∂u∂v

∂2P∂u∂v

∂2P∂u∂v

∂P∂u

∂2P∂u∂v

∂P∂v

∂P∂u

∂2P∂u∂v

∂P∂u

∂P∂u

∂P∂u

∂P∂v

∂P∂v

∂2P∂u∂v

∂P∂v

∂P∂u

∂P∂v

∂P∂v

9=;

e sviluppando i determinanti sulle prime righe abbiamo che:

K =1

(EG− F 2)2

8<:∂2P

∂u2

∂2P

∂v2− ∂2P

∂u∂v

∂2P

∂u∂v

∂P∂u

∂P∂u

∂P∂u

∂P∂v

∂P∂v

∂P∂u

∂P∂v

∂P∂v

+−∂

2P

∂u2

∂P

∂u

∂P∂u

∂2P∂v2

∂P∂u

∂P∂v

∂P∂v

∂2P∂v2

∂P∂v

∂P∂v

+∂2P

∂u2

∂P

∂v

∂P∂u

∂2P∂v2

∂P∂u

∂P∂u

∂P∂v

∂2P∂v2

∂P∂v

∂P∂u

+ ∂2P

∂u∂v

∂P

∂u

∂P∂u

∂2P∂u∂v

∂P∂u

∂P∂v

∂P∂v

∂2P∂u∂v

∂P∂v

∂P∂v

+− ∂2P

∂u∂v

∂P

∂v

∂P∂u

∂2P∂u∂v

∂P∂u

∂P∂u

∂P∂v

∂2P∂u∂v

∂P∂v

∂P∂u

9=; (9.30)

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132 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

Ma, discutendo sul sistema (9.18), abbiamo gia trovato che:8>>>>>>>>>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>>>>>>>>>:

∂2P

(∂u)2· ∂P∂u

=1

2

∂E

∂u

∂2P

(∂u)2· ∂P∂v

+∂2P

∂u∂v· ∂P∂u

=∂F

∂u

∂2P

∂u∂v· ∂P∂u

=1

2

∂E

∂v

∂2P

∂u∂v· ∂P∂v

=1

2

∂G

∂u

∂2P

(∂v)2· ∂P∂u

+∂2P

∂u∂v· ∂P∂v

=∂F

∂v

∂2P

(∂v)2· ∂P∂v

=1

2

∂G

∂v

(9.31)

E riscrivendo la seconda e la quinta equazione inserendo al posto del secondoaddendo al primo membro la sua scrittura (evinta dalle altre equazioni delsistema) troviamo:

∂2P

(∂u)2· ∂P∂v

=∂F

∂u− 1

2

∂E

∂v

∂2P

(∂v)2· ∂P∂u

=∂F

∂v− 1

2

∂G

∂u

(9.32)

Sostituendo tutte queste espressioni nella (9.35) otteniamo:

K =1

(EG− F 2)2

8<:∂2P

∂u2

∂2P

∂v2− ∂2P

∂u∂v

∂2P

∂u∂v

E F

F G

−1

2

∂E

∂u

∂F∂v− 1

2∂G∂u

F

12

∂G∂v

G

++∂F∂u

− 1

2

∂E

∂v

∂F∂v− 1

2∂G∂u

E

12

∂G∂v

F

+ 1

2

∂E

∂v

12 ∂E∂v

F

12

∂G∂u

G

− 1

2

∂G

∂u

12 ∂E∂v

E

12

∂G∂u

F

9=;(9.33)

D’altro canto, pero (regola di Leibniz):

∂2P

∂u2

∂2P

∂v2− ∂2P

∂u∂v

∂2P

∂u∂v=

∂u

∂P∂u

∂2P

∂v2

−∂P∂u

∂3P

∂v2∂u− ∂∂v

∂P∂u

∂P

∂uv−∂P∂u

∂3P

∂v2∂u

=

=∂

∂u

∂P∂u

∂2P

∂v2

− ∂

∂v

∂P∂u

∂2P

∂u∂v

=

∂u

∂∂u

∂P∂u

∂P

∂v

− ∂2P

∂u∂v

∂P

∂v

−1

2

∂2

∂v2

∂P∂u

∂P

∂v

=

=∂2

∂u∂v

∂P∂u

∂P

∂v

−1

2

∂2

∂u2

∂P∂v

∂P

∂v

−1

2

∂2

∂v2

∂P∂u

∂P

∂v

= −1

2

∂2E

∂v2+∂2F

∂u∂v−1

2

∂2G

∂u2

(9.34)

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9.3. DIMOSTRAZIONE DEL THEOREMA EGREGIUM 133

Tale quantita, inserito nella (9.35), ci da:

K =1

(EG− F 2)2

8<:−1

2

∂2E

∂v2+∂2F

∂u∂v−1

2

∂2G

∂u2

E F

F G

−1

2

∂E

∂u

∂F∂v− 1

2∂G∂u

F

12

∂G∂v

G

++∂F∂u

− 1

2

∂E

∂v

∂F∂v− 1

2∂G∂u

E

12

∂G∂v

F

+ 1

2

∂E

∂v

12 ∂E∂v

F

12

∂G∂u

G

− 1

2

∂G

∂u

12 ∂E∂v

E

12

∂G∂u

F

9=;(9.35)

che e proprio la tesi del teorema, con i determinanti sviluppati rispetto alleprime righe.

Sviluppando i calcoli dei determinanti si puo ricondurre la formula anchealla seguente forma:

K = − 1

2√EG− F 2

∂∂u

∂G∂u− ∂F

∂v√EG− F 2

− ∂

∂v

∂F∂u− ∂E

∂v√EG− F 2

(9.36)

Infine, nel caso di coordinate ortogonali (F = 0), tale formula si semplifica esi riduce a:

K = − 1

2√EG

∂∂u

∂G∂u√EG

+

∂v

∂E∂v√EG

=

− 1√EG

∂∂u

1√E

∂√G

∂u

+

∂v

1√G

∂√E

∂v

(9.37)

Esempio: sfera. Dalle equazioni parametriche8><>: x = R sin θ cosϕy = R sin θ sinϕz = R cos θ

(9.38)

ricaviamo la base di Gauss:8>>>>><>>>>>:~gθ =

∂P

∂θ= (R cos θ cosϕ)~i+ (R cos θ sinϕ)~j − (R sin θ)~k = R~eθ

~gϕ =∂P

∂ϕ= (−R sin θ sinϕ)~i+ (R sin θ cosϕ)~j = R sin θ~eϕ

~N = ~eR =−−→OPR

= (sin θ cosϕ)~i+ (sin θ sinϕ)~j + cos θ~k

(9.39)

Forme quadratiche:

I(dP, dP ) = ds2 = R2dθ2 +R2 sin2 θdϕ2 (9.40)

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134 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

e: (gjk) =

R2 00 R2 sin θ

⇒ (gjk) =

1

R4 sin2 θ

R2 sin2 θ 0

0 R2

=

1

R2 00 1

R2 sin2 θ

.

Invece di calcolare II con le formule per i coefficienti (6.7), calcoliamo diret-tamente le equazioni di Gauss (ossia gli sviluppi delle derivate dei vettoridella base sulla base stessa):8>>>>>><>>>>>>:

∂~gθ

∂θ=∂2P

∂θ2= −R sin θ(cosϕ~i+ sinϕ~j)−R cos θ~k = −R~eR

∂~gθ

∂ϕ=∂~gϕ

∂θ=

∂2P

∂θ∂ϕ= R cos θ(− sinϕ~i+ cosϕ~j) = R cos θ~eϕ

∂~gϕ

∂ϕ=∂2P

∂ϕ2= −R sin θ(cosϕ~i+ sinϕ~j)

(9.41)

D’altra parte, dalle prime due equazioni della base di Gauss abbiamo che:(~eR = sin θ(cosϕ~i+ sinϕ~j) + cos θ~k

~eθ = cos θ(cosϕ~i+ sinϕ~j)− sin θ~k(9.42)

e combinandole linearmente (moltiplicando la prima equazione per cos θ e laseconda per sin θ) otteniamo:

sin θ~eR + cos θ~eθ = (cosϕ~i+ sinϕ~j)

e dunque l’ultima equazione di (9.41) diventa:

∂~gϕ

∂ϕ= sin θ~eR + cos θ~eθ

Il sistema (9.41) ci da le derivate dei vettori della base naturale rispetto allabase ortonormata; ora tuttavia possiamo ricavarci anche le stesse espressioniin funzione della base naturale (non ortonormata), vale a dire le equazioni diGauss. Infatti dalle equazioni (9.39) sappiamo che:8>>>>><>>>>>:

~eθ =~gθ

R

~eϕ =~gϕ

R sin θ

~eR = ~N

(9.43)

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9.3. DIMOSTRAZIONE DEL THEOREMA EGREGIUM 135

e dunque il sistema (9.41) diventa:8>>>>>><>>>>>>:∂~gθ

∂θ= −R~eR

∂~gθ

∂ϕ= R cos θ~eϕ

∂~gϕ

∂ϕ= −R sin θ(cosϕ~i+ sinϕ~j)

8>>>>>><>>>>>>:∂~gθ

∂θ= 0 · ~gθ + 0 · ~gϕ −R ~N

∂~gθ

∂ϕ= 0 · ~gθ + cotanθ~gϕ + 0 · ~N

∂~gϕ

∂ϕ= − sin θ cos θ~gθ + 0 · ~gϕ −R sin2 θ ~N

(9.44)Queste sono le equazioni di Gauss: i coefficienti dei termini normali sono icoefficienti della seconda forma. Dunque abbiamo direttamente che

II : e = −R; f = 0; g = −R sin2 θ

Da cui ricaviamo immediatamente la curvatura gaussiana:

k =detcIIdet bI =

eg − f 2

EG− F 2=

eg

EG=

R2 sin2 θ

R2R2 sin2 θ=

1

R2

che possiamo anche vedere come1

R· 1

R, ossia il prodotto delle curvature

principali kMIN e kMAX (che logicamente, per la sfera, coincidono).I simboli di Christoffel li ricaviamo senza alcuno sforzo dal sistema (9.45),sdoppiandolo in due sistemi, uno per ciascuna derivazione (rispetto a θ erispetto a ϕ) nel seguente modo:8>><>>:∂~gθ

∂θ= 0 · ~gθ + 0 · ~gϕ −R ~N

∂~gϕ

∂θ= 0 · ~gθ + cotanθ~gϕ + 0 · ~N

8>><>>:∂~gθ

∂ϕ= 0 · ~gθ + cotanθ~gϕ + 0 · ~N

∂~gϕ

∂ϕ= − sin θ cos θ~gθ + 0 · ~gϕ −R sin2 θ ~N

(9.45)e i Γ sono i coefficienti dei vettori della base di Gauss:

Γ111 = 0 Γ2

11 = 0Γ1

12 = 0 Γ212 = cotanθ

Γ121 = 0 Γ2

21 = cotanθΓ1

22 = − sin θ cos θ Γ222 = 0

Dunque abbiamo che le matrici di connessione sono:8>>><>>>:Γ1 =

Γ1

11 Γ121

Γ211 Γ2

21

=

0 00 cotanθ

Γ2 =

Γ1

12 Γ122

Γ212 Γ2

22

=

0 − sin θ cos θ

cotanθ 0

(9.46)

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136 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

Passiamo al tensore di Riemann. Abbiamo gia definito Rjk :=Rp

qjk

, con p

indice di riga e q indice di colonna7; tale matrice e spesso detta matrice dicurvatura. Per ogni scelta di j e k ho dunque una matrice Rjk. Dal fattoche nella definizione di matrice di connessione abbiamo inteso l’indice con-trovariante come indice di riga e l’indice covariante come indice di colonna8

e dalla (9.4), si deduce che, quando trattiamo matrici di connessione, vale:

Rjk :=∂Γj

∂uk− ∂Γk

∂uj+ ΓkΓj − ΓjΓk

dunque derivando le matrici di connessione, per ogni scelta di (j, k) ab-biamo una matrice. Nel nostro caso, per antisimmetria: R11 = −R11 =0 e R22 = −R22 = 0. Inoltre, sempre per antisimmetria, abbiamo cheR12 = −R21, dunque abbiamo essenzialmente una sola matrice di curvatura.

7Ora e giunto il momento di rimarcare la fondamentale distinzione di questo Rjk daeRjk, il quale, mediante la (9.1), era stato definito in funzione delle matrici di Cartan. ConRjk =

Rp

qjk

(p indice di riga, q indice di colonna), invece, ci disinteressiamo della parte

di Mainardi-Codazzi. In altri termini: eRjk = Rjk +A dove A e una parte additiva dovutaalle condizioni di Mainardi codazzi. Ribadiamo che eRjk e definita matricialmente sugli Ω;Rjk, invece, e definita elemento per elemento sui simboli di Christoffel Γl

pq.8In particolare, l’inghippo sta nel fatto che, per come abbiamo definito le matrici di

connessione Γj , il prodotto ΓlqjΓ

plk che compare al secondo membro della (9.4) non e un

prodotto righe per colonne, bensı colonne per righe. E, date due matrici qualunque A eB, detta C la matrice prodotto righe per colonne tra A e B, si ha:

cij =X

l

aljbil =X

l

bilalj

che e esattamente il generico elemento della matrice B · A, da cui ricaviamoimmediatamente che bisogna cambiare i segni agli ultimi due termini dell’equazione.

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9.3. DIMOSTRAZIONE DEL THEOREMA EGREGIUM 137

Calcoliamocela:

R12 =∂Γ1

∂u2− ∂Γ2

∂u1+ Γ2Γ1 − Γ1Γ2 =

∂Γ1

∂ϕ− ∂Γ2

∂θ+ Γ2Γ1 − Γ1Γ2 =

=∂

∂ϕ

0 00 cotanθ

− ∂

∂θ

0 − sin θ cos θ

cotanθ 0

+

+

0 − sin θ cos θ

cotanθ 0

0 00 cotanθ

0 00 cotanθ

0 − sin θ cos θ

cotanθ 0

=

=

0 0

0 0

0 sin2 θ − cos2 θ

− 1

sin2 θ0

+

0 − cos2 θ

0 0

0 0

cotan2θ 0

=

=

0 − sin2 θ + cos2 θ − cos2 θ

(cos2 θ + sin2 θ)− cos2 θ

sin2 θ0

=

0 − sin2 θ

1 0

(9.47)

E dunque il tensore di Riemann ha due componenti nulle. A tale risultatopotevamo analogamente arrivare direttamente dall’equazione (9.4). Infatti9:

R1112 =

∂Γ111

∂ϕ− ∂Γ1

12

∂θ+ Γl

11Γ1l2 − Γl

12Γ1l1 = 0

R1212 =

∂Γ121

∂ϕ− ∂Γ1

22

∂θ+ Γl

21Γ1l2 − Γl

22Γ1l1 = −(sin2 θ − cos2 θ)− cos2 θ = − sin2 θ

R2112 =

∂Γ211

∂ϕ− ∂Γ2

12

∂θ+ Γl

11Γ2l2 − Γl

12Γ2l1 =

1

sin2 θ− cotan2θ = 1

R2212 =

∂Γ221

∂ϕ− ∂Γ2

22

∂θ+ Γl

21Γ2l2 − Γl

22Γ2l1 = 0

(9.48)Passiamo al tensore quadruplo di Riemann in forma covariante Rmqjk. Pertrovarlo contraiamo il tensore Rp

qjk con il tensore metrico gmp precedentemen-te trovato. La combinazione lineare ci da:

Rmqjk := gmpRpqjk

e verifichiamo in qualche caso l’antisimmetria di tale tensore nella prima enella seconda coppia di indici. Specificatamente, partiamo dalla componente

9In questo caso, non trattandosi di matrici di connessione, ricorriamo direttamentealla formula senza i due segni scambiati. Il problema dei segni lo abbiamo solamentequando organizziamo i simboli di Christoffel in matrici, in base al modo in cui scegliamodi organizzarli.

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138 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

non nulla gia trovata R12, vale a direRp

q12

, con p indice di colonna e q

indice di riga. Abbiamo dunque in generale quattro componenti:

R1112 = g1pRp112 = g11R

1112 + g12R

2112 = R2 · 0 + 0 · 1 = 0

fatto coerente con l’antisimmetria nella prima coppia di indici. Inoltre, perla stessa ragione anche:

R2212 = g2pRp212 = g21R

1212 + g22R

2212 = 0 · (− sin2 θ) +R2 sin2 θ · 0

Infine:

R1212 = g1pRp212 = g11R

1212 + g12R

2212 = R2 · (− sin2 θ) + 0 · 0 = −R2 sin2 θ

R2112 = g2pRp112 = g21R

1112 + g22R

2112 = 0 · 0 +R2 sin2 θ · 1 = R2 sin2 θ

e abbiamo verificato nuovamente l’antisimmetria nella prima coppia di indici.Solo nella forma covariante del tensore di Riemann riusciamo a osservarechiaramente tutte le simmetrie.Possiamo ottenere lo stesso risultato matricialmente:

Rmqjk = gmpRpqjk (9.49)

Questo e un vero e proprio prodotto righe per colonne10: fisso una riga dig e vario la colonna, contemporaneamente rimane fissata la colonna di Re varia la riga. Dunque la matrice delle componenti covarianti del tensoredi Riemann e il prodotto della matrice dei coefficienti della metrica per lamatrice di curvatura corrispondente. Dunque:

Rmq12 = G·Rpq12 = G·R12 =

R2 00 R2 sin2 θ

0 − sin2 θ1 0

=

0 −R2 sin2 θ

R2 sin2 θ 0

(9.50)

e da cio vediamo ancora una volta come le componenti sulla diagonale Rttjk

siano nulle e le altre due componenti siano uguali a meno del segno.

Dato che detcII =

−R 00 −R sin2 θ

= R2 sin2 θ abbiamo verificato anche il

Theorema Egregium, dato che detcII e una grandezza intrinseca. Dunque:

K =detcIIdet bI = −R1212

det bI =R2 sin2 θ

R4 sin2 θ=

1

R2

e abbiamo ritrovato il valore gia calcolato in precedenza.

10Ecco l’utilita di avere l’indice di riga in posizione controvariante: per avere qui un veroe proprio prodotto righe per colonne. Cio giustifica le nostre definizioni di Γj e Rjk. Conle definizioni da noi fornite, riusciamo a scrivere il tensore di riemann in forma covariantecome prodotto di matrici.

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9.4. PERCHE “TENSORE”? 139

Cenno cartografico. Gauss ha anche scoperto che la curvatura K e in-variante per isometrie. Cio e logico: se deformiamo la superficie senza sti-rarla, preservando lunghezze e angoli, la prima forma non cambia, e dunquenemmeno il tensore di Riemann, e, in definitiva, nemmeno K. Questa e unarisposta a un problema cartografico: possiamo mappare isometricamente unasfera su un piano? E possibile riprodurre il mappamondo su un foglio, con-servando angoli e lunghezze? No, non e possibile, poiche Ksfera = R−2 mentreKpiano = 0: se potessimo mappare isometricamente sfera e piano, avremmoche le due curvature coinciderebbero.

Caso n-dimensionale. Nel caso n-dimensionale, il numero di componen-ti distinte del tensore di Riemann aumenta. In particolare, osserviamo laconformazione della matrice di curvatura Rjk:

R11 R12 R13 R14 . . . R1n

R21 R22 R23 R24 . . . R2n

R31 R32 R33 R34 . . . R3n

R41 R42 R43 R44 . . . R4n...

......

.... . .

...Rn1 Rn2 Rn3 Rn4 . . . Rnn

Le componentiRtt sulla diagonale sono nulle per antisimmetria (Rtt = −Rtt =0). Le componenti nella matrice triangolare bassa sono, per antisimmetria,l’opposto delle componenti corrispettive sulla triangolare alta (Rjk = −Rkj).Dunque il numero di componenti fondamentali del tensore di Riemann eil numero di elementi della matrice triangolare alta, con l’esclusione delladiagonale, vale a dire:

n−1Xi=1

i =n(n− 1)

2(9.51)

9.4 Perche “tensore”?

9.4.1 Il problema delle parametrizzazioni

Abbiamo chiamato R “tensore” di Riemann (sia in forma normale Rpqjk, sia

in forma covariante combinata con la metrica Rmqjk). Il concetto di “tenso-re” risponde a un problema non banale, rispetto al quale anche la notazionetensoriale che abbiamo introdotto ha una certa utilita: il problema dei cam-biamenti di parametrizzazione. In generale, auspicheremmo che le proprietafondamentali che troviamo non dipendano dalla parametrizzazione scelta.

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140 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

Che cosa succede se cambiamo parametrizzazione? Proviamo11. Prendiamouna funzione F j′ , differenziabile, invertibile e con determinante jacobianopositivo, di modo che:

uj′ = F j′(uj) ! uj = F j(uj′) (9.52)

con F j = inv(F j′). Simbolicamente:

uj

uj′ = F j′(uj)

uj = F j(uj′)

uj′ (9.53)

La superficie parametrizzata cambia di conseguenza:

P (uj)

P ′ = P F j′

P = P ′ F j

P (uj′) (9.54)

A ogni parametrizzazione e associata una base di Gauss; in particolaread ogni parametro e associato un vettore della base:

~gj =∂P

∂uj! ~gj′ =

∂P

∂uj′(9.55)

Che relazione sussiste tra queste due diverse basi? Essendo due basi perlo stesso spazio, necessariamente ~gj′ deve essere combinazione lineare dei ~gj.Chiamiamo Aj

j′ la matrice di cambiamento di base dalle coordinate originariealle coordinate primate. Abbiamo che12:

~gj′ = Ajj′~gj (9.56)

11Per indicare il cambio di parametrizzazione, invece di usare scritture piu eterogenee,mettiamo l’apice all’indice originario.

12Riscontro mnemonico nella formula: al secondo membro i due indici j in posizionecontrovariante e covariante “si elidono”, e rimane l’indice j′ in posizione covariante, che eproprio l’indice che compare al primo membro.

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9.4. PERCHE “TENSORE”? 141

In sostanza abbiamo che:

~gj =∂P

∂uj

~gj′ = Ajj′~gj

~gj = Aj′

j ~gj′

~gj′ =∂P

∂uj′(9.57)

dove

8>><>>: Ajj′ =

∂F j

∂uj′

Aj′

j =∂F j′

∂uj

, ovvero la matrice Ajj′ e la matrice jacobiana della fun-

zione F j (che a partire dalle coordinate primate ritorna le coordinate origina-

rie13), mentre la matrice Aj′

j e la matrice jacobianda della funzione F j′ (chea partire dalle coordinate originarie fornisce le coordinate primate). Si notiche vale Al

j′Ak′l = δk′

j′ , dove δ indica il delta di Kronecker14 - in altre parole:il prodotto righe per colonne delle due matrici da la matrice identita, fattologico, considerando che trattiamo con una trasformazione e la sua inversa.Come cambiano i coefficienti della metrica?

gj′k′ = ~gj′ · ~gk′ = Ajj′A

kk′~gj · ~gk

e dunque abbiamo che:

gjk := ~gj · ~gk

gj′k′ = Ajj′A

kk′~gj · ~gk

gjk = Aj′

j Ak′

k ~gj′ · ~gk′

gj′k′ := ~gj′ · ~gk′ (9.58)

I coefficienti della metrica cambiano quindi con legge lineare omogenea: lamatrice della metrica puo dunque essere definita un “tensore”, in base alladefinizione storica di tensore:

Definizione 9.1. Si chiama tensore un ente a n indici che si trasforma, alcambiare delle coordinate, con legge lineare omogenea.

13Cosa che simbolicamente si evince dal fatto che in Ajj′ le coordinate primate sono in

basso (j′) e quelle originarie in alto: mnemonicamente e come passare dalle coordinateprimate a quelle originarie. Un discorso analogo vale per Aj′

j : si passa dalle coordinateoriginarie (in basso) alle coordinate primate (in alto).

14δjh vale 1 se j = h, 0 se j 6= k.

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142 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

Quando parliamo di componenti di un tensore, vogliamo solamente direche esse si trasformano con legge lineare omogenea. Cio non e banale: implicache se un tensore e nullo in un sistema di coordinate, sara nullo anche inqualsiasi altro sistema di coordinate, e viceversa. In particolare, il tensoremetrico e un tensore doppio (poiche ha due indici) e covariante (poiche sonoentrambi posti in posizione covariante15)Andiamo avanti, e vediamo come si trasformano i simboli di Christoffel:

Γj′

k′l′ =1

2gj′s′

∂gs′k′

∂ul′+∂gl′s′

∂uk′ −∂gk′l′

∂us′

e per colpa delle derivate dei coefficienti della metrica, oltre alla parte lineare,si sviluppa anche una parte affine. Si ha che:

Γj′

k′l′ = Aj′

j Akk′Al

l′Γjkl +

∂Al′l

∂uj′Al

k′ + . . .

La legge di trasformazione

Γjkl

Γj′

k′l′ = Aj′

j Akk′Al

l′Γjkl +

∂Al′l

∂uj′Al

k′ + . . .

Γjkl = Aj

j′Ak′

k Al′

l Γj′

k′l′ +∂Al

l′

∂ujAl′

k + . . .

Γj′

k′l′ (9.59)

non e lineare omogenea: vi e un termine additivo (che viene dalle derivate)che non dipende da Γ; ecco la ragione per cui i Γ sono detti simboli diChristoffel, e non sono elementi di alcun tensore. Se in uno spazio i simbolidi Christoffel sono tutti identicamente nulli, cio non implica che non possanoessere diversi da zero cambiando opportunamente la parametrizzazione. I Γdipendono, insomma, dal sistema di coordinate.Passando, infine, ai coefficienti R di Riemann (in forma normale),

Rp′

q′j′k′ =∂Γp′

q′k′

∂uj′−∂Γp′

q′j′

∂u′ + Γsq′j′Γ

p′

k′s − Γsq′k′Γ

p′

j′s

le cose sembrerebbero complicarsi ulteriormente, visto che i simboli di Chri-stoffel (che gia non si trasformavano linearmente) vengono a loro volta deri-vati. In realta, il fatto notevole e che passando a Rp

qjk, tutti i termini additivi

15Si noti nuovamente, nell’espressione della trasformazione di coordinate del tensoremetrico, l’importanza della notazione tensoriale: mnemonicamente gli indici uguali postiin posizioni covariante e controvariante “si elidono” - di qui anche l’importanza di scriverei parametri uj in forma controvariante.

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9.4. PERCHE “TENSORE”? 143

si cancellano! Otteniamo cosı il gia noto tensore di curvatura, o tensore diRiemann, che si trasforma con la seguente legge16:

Rpqjk

Rp′

q′j′k′ = Ap′

p Aqq′A

jj′A

kk′R

pqjk

Rpqjk = Ap

p′Aq′

q Aj′

j Ak′

k Rp′

q′j′k′

Rp′

q′j′k′ (9.60)

Dal momento che il tensore di Riemann si trasforma linearmente, se essoe nullo con una parametrizzazione, sara nullo anche in tutte le altre. Haperfettamente senso, allora, dare la seguente definizione:

Definizione 9.2. Uno spazio si dice piatto se Rjk = 0 ∀j, k.

O, piu brevemente, si usa anche scrivere R = 0, per indicare che tutte lecomponenti del tensore di Riemann sono nulle.

Cenno: tensore di Ricci. Nelle equazioni del campo gravitazionale del-la relativita generale, entra in gioco anche una particolare contrazione deltensore di Riemann, il cosiddetto tensore di Ricci, un tensore a due indicidefinito nel seguente modo:

Ric(g) := Rmk = gqjRmqjk (9.61)

sottointendendo una sommatoria sugli indici q e j, o anche:

Ric(g) = Rmk := Rpmpk (9.62)

sottointendendo una sommatoria sull’indice p.

Esempio: R2 in coordinate cartesiane e polari. Ripercorrendo il cam-mino di questo paragrafo, vediamo come si comporta la superficie R2, il piano,rispetto a due diverse parametrizzazioni.Coordinate cartesiane. Le coordinate sono (x, y), dunque l’equazione del-

la superficie e P (x, y) = x~i + y~j. La base naturale e

(~gx =~i

~gy = ~j. La metrica

e, naturalmente, ds2 = dx2 + dy2, da cui ricaviamo che il tensore metrico e

16Non e superfluo far notare nuovamente la potenza della notazione tensoriale: essendoRp

qjk un tensore quadruplo (a quattro indici), scriviamo quattro volte la matrice A, quindiinseriamo gli indici in modo tale che quelli in posti diversi si semplifichino e rimangasolamente l’indice che ci interessa al posto che ci interessa.

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144 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

costante: G =

1 00 1

, di piu: tale tensore metrico e proprio la matrice iden-

tita. Essendo costante il tensore metrico, le derivate dei suoi elementi sononulle: risultano dunque automaticamente nulli anche tutti i simboli di Chri-stoffel, e dunque anche tutte le componenti del tensore di Riemann Rp

qjk. Sibadi bene che l’affermare che i Γ nel piano sono nulli non ha alcun significatogeometrico, poiche l’annullarsi dei Γ dipende dalla scelta delle coordinate.Viceversa, l’affermare che il piano ha R = 0 ha significato geometrico: lacurvatura e nulla in qualsiasi sistema di coordinate.Coordinate polari. Le coordinate sono (ρ, θ), associamo ρ al primo indice eθ al secondo indice; dunque l’equazione della superficie17 e P (ρ, θ) = ρ~eρ(θ),

con ~eρ(θ) = cos θ~i + sin θ~j. E dato che ~eθ =∂~eρ

∂θ= − sin θ~i + cos θ~j, la

base naturale e

¨~gρ = ~eρ(θ)~gθ = ρ~eθ

. Possiamo dedurre la metrica da ragioni geo-

metriche (come diagonale del rettangolo infinitesimale18 di lati dρ e ρdθ),oppure dal prodotto dei vettori della base naturale; ad ogni modo si ha che:

ds2 = dρ2 + ρ2dθ2, da cui ricaviamo che il tensore metrico G =

1 00 ρ2

non

e costante. Abbiamo ora tre metodi per calcolare i simboli di Christoffel.Primo metodo. Possiamo calcolare i Γ mediante le equazioni di Gauss.Infatti, derivando i vettori della base prima per ρ, poi per θ, otteniamo che:8>>>>>>>>>>><>>>>>>>>>>>:

∂~gρ

∂ρ=∂~eρ(θ)

∂ρ= 0 · ~gρ + 0 · ~gθ

∂~gθ

∂ρ=∂ρ~eθ

∂ρ= ~eθ = 0 · ~gρ +

1

ρ~gθ

∂~gρ

∂θ=∂~eρ(θ)

∂θ= ~eθ = 0 · ~gρ +

1

ρ~gθ

∂~gθ

∂θ=∂ρ~eθ

∂θ= ρ(−~eρ) = −ρ · ~gρ + 0 · ~gθ

(9.63)

da cui ricaviamo immediatamente che:8><>: Γρρρ = 0 Γθ

ρρ = 0

Γρθρ = 0 Γθ

θρ =1

ρ

8><>: Γρρθ = 0 Γθ

ρθ =1

ρ

Γρθθ = −ρ Γθ

θθ = 0

(9.64)

17Tale superficie, volendo essere precisi, non e esattamente il piano R2, poiche stiamoescludendo il semiasse polare.

18Possiamo dire questo dal momento che la base associata alle coordinate e una baseortogonale.

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9.4. PERCHE “TENSORE”? 145

Come possiamo notare, tali simboli non sono tutti nulli, sebbene lo fosseroin coordinate cartesiane (a conferma del fatto che la legge di trasformazionedei Γ non e lineare).Secondo metodo. Possiamo calcolare i Γ servendoci del Lemma di Ricci edelle sue conseguenze, vale a dire dell’equazione (9.16). Abbiamo che

Γpjl =

1

2gpk∂gjk

∂ul+∂gkl

∂uj− ∂glj

∂uk

ma inv(G) = G−1 =

1 00 1/ρ2

, e dunque, ad esempio:

Γρθθ =

1

2gρs∂gθs

∂θ+∂gθs

∂θ− ∂gθθ

∂us

=

=1

2gρρ∂gθρ

∂θ+∂gθρ

∂θ− ∂gθθ

∂ρ

+

1

2gρθ∂gθθ

∂θ+∂gθθ

∂θ− ∂gθθ

∂θ

=

=1

2

− ∂ρ2

∂ρ

= −ρ (9.65)

e analogamente si opera con tutti gli altri simboli. Questo metodo tuttavia,sebbene semplice in linea teorica (abbiamo una formula esplicita), e piuttostodispendioso quanto a calcoli.Terzo metodo. Quanto a praticita ed efficienza, conviene invece utilizzarequesto terzo metodo, detto metodo di Lagrange o metodo delle equazionigeodetiche. Si costruisce19 una funzione analoga all’energia cinetica (dettalagrangiana):

L(uj, uj) =1

2v2 =

1

2

dsdt

2

=1

2(ρ2 + ρ2θ2) (9.66)

e si costruiscono n equazioni differenziali del second’ordine (in questo cason = 2) nel seguente modo:

Ej :d

dt

∂L

∂uj− ∂L

∂uj= 0 (9.67)

quindi si riconducono tali equazioni differenziali alla forma normale

uj + Γjlmu

lum = 0 (9.68)

e si osservano i coefficienti della forma quadratica in ρ e θ. In questo casoabbiamo che:

Eρ :

Eθ :

8><>: d(ρ)dt− ρθ2 = 0

d(ρ2θ)dt

− 0 = 0⇒

8<: ρ− ρθ2 = 0

ρ2θ + 2ρρθ = 0(9.69)

19Vedremo piu avanti (paragrafo 11.4.1) da dove deriva questo metodo.

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146 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

E dunque le due equazioni in forma normale sono:8>><>>: ρ+ 0 · ρ2 + 0 · ρθ − ρθ2 = 0

θ + 0 · ρ2 +2

ρρθ + 0 · θ2 = 0

(9.70)

Dato che la struttura generale delle equazioni ridotte in forma normale e laseguente: 8<: ρ+ Γρ

ρρρ2 + 2Γρ

θρρθ + Γρθθθ

2 = 0

θ + Γθρρρ

2 + 2Γθθρρθ + Γθ

θθθ2 = 0

(9.71)

deduciamo immediatamente che8>>><>>>:Γρ

ρρ = 0

Γρθρ = 0

Γρθθ = −ρ

8>>>><>>>>:Γθ

ρρ = 0

Γθθρ =

1

ρ

Γθθθ = 0

(9.72)

Infine, non vi e bisogno di calcolare nuovamente il tensore di Riemann in coor-dinate polari: dato che era nullo in coordinate cartesiane, e dato che si trasfor-ma linearmente al cambiare delle coordinate, tale tensore sara identicamentenullo in qualsiasi sistema di coordinate.

9.4.2 A cosa serve il calcolo tensoriale?

Lo scopo del calcolo tensoriale, in definitiva, e quello di riscrivere le equazionidell’analisi, della geometria e della fisica in maniera indipendente dalla sceltadelle coordinate. Facciamo ancora qualche esempio.

Esempio. Tensore di Ricci. Consideriamo l’equazione tensoriale Rpqjk =

0: essa vale per qualsiasi scelta di parametrizzazione. Da essa si deduce ancheche:

Ric(g) := Rqk = Rjqjk = 0

Dunque il tensore di Ricci, costruito con le derivate seconde della metricae anch’esso nullo. Nello spazio-tempo quadridimensionale, affermare che siannulla il tensore di Ricci Ric(g) = Rqk equivale a dire che si annullano tuttele sue componenti, per ogni scelta di q, k ∈ 1, 2, 3, 4. E dunque, tenendoconto delle simmetrie, tale annullarsi ci fornisce 10 equazioni differenziali,che sono le equazioni di Einstein del campo gravitazionale. Avremo, dunque,10 potenziali, anziche uno (come nella fisica newtoniana).

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9.4. PERCHE “TENSORE”? 147

Esempio. Equazione di Laplace. Scriviamo nel piano, in coordinatecartesiane, l’equazione di Laplace:

4f(x, y) =∂2f

∂x2+∂2f

∂y2= 0 (9.73)

Tuttavia questa scrittura dipende dalla scelta di coordinate: in coordinatepolari infatti, sostituendo (ρ, θ) in luogo di (x, y), troviamo che:

f(x, y) = f(ρ cos θ, ρ sin θ) = F (ρ, θ)8>><>>:∂F

∂ρ=∂f

∂xcos θ +

∂f

∂ysin θ

∂F

∂θ= ρ

− ∂f

∂xsin θ +

∂f

∂ycos θ

(9.74)

8>>>>>><>>>>>>:∂2F

∂ρ2=∂2f

∂x2cos2 θ + 2

∂2f

∂x∂ysin θ cos θ +

∂2f

∂y2sin2 θ

∂2F

∂ρ∂θ= −ρ

∂2f

∂x2cos θ sin θ − ∂2f

∂x∂y(cos2 θ − sin2 θ) +

∂2f

∂y2sin θ cos θ

∂2F

∂θ2= ρ

∂2f

∂x2ρ sin2 θ − 2

∂2f

∂x∂ysin θ cos θ +

∂2f

∂y2ρ cos2 θ − ∂f

∂xcos θ − ∂f

∂ysin θ

(9.75)

e risolvendo il sistema (9.74) rispetto a ∂f∂x

, ∂f∂y

, e risolvendo il sistema (9.75)

rispetto a ∂2f∂x2 ,

∂2f∂x∂y

, ∂2f∂y2 , e sostituendo nel laplaciano (9.73) i valori trovati,

si ottiene l’equazione di Laplace in coordinate polari:

4F =∂2f

∂ρ2+

2

ρ

∂f

∂ρ+

1

ρ2

∂2f

∂θ2= 0 (9.76)

Come si vede, tale forma e diversa dall’originale in coordinate cartesiane.Beltrami, nel 1868, ha scoperto la forma tensoriale dell’equazione di Lapla-ce, ovvero la forma indipendente dalla scelta di coordinate. Date infatticoordinate uj qualsiasi:

4f =1

det bI ∂

∂uj

det bI · gjk ∂f

∂uk

(9.77)

In altre parole, per scrivere il laplaciano indipendentemente dalle coordinate,bisogna conoscere quantomeno la metrica ds2 = gjkdu

jduk nelle coordinatescelte. Ad esempio, ricalcoliamo il laplaciano in coordinate polari. Abbiamogia trovato che la metrica in coordinate polari e ds2 = dρ2 + ρ2dθ2, dunque

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148 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

G =

1 00 ρ2

, inv(G) = G−1 =

1 00 1/ρ2

e det bI = ρ2.

Allora, dall’equazione (9.77), ritroviamo:

4f =1

ρ2

∂ρ

ρ2gρρ∂f

∂ρ+ ρ2gρθ ∂f

∂θ

+

1

ρ2

∂θ

ρ2gθρ∂f

∂ρ+ ρ2gθθ ∂f

∂θ

=

=1

ρ2

∂ρ

ρ2∂f

∂ρ

+ 0 + 0 +

1

ρ2

∂θ

ρ2 1

ρ2

∂f

∂θ

=

=∂2f

∂ρ2+

2

ρ

∂f

∂ρ+

1

ρ2

∂2f

∂θ2(9.78)

Una scrittura come quella della formula (9.77), e essenziale per la fisica,poiche e il nocciolo stesso del principio di relativita.

9.4.3 Interpretazione moderna

Consideriamo i due tensori costituiti dai vettori e dai differenziali delle coor-dinate:

~v = vj~gj = vj′~gj′

da cui20 vj′ = Aj′

j vj e ~gj′ = Aj

j′~gj. Si noti che le coordinate cambiano secondola legge dettata da una certa matrice, mentre i vettori della base cambianosecondo la legge dettata dall’inversa di tale matrice21. Prendiamo ora, alposto del vettore ~v, il differenziale di una qualche funzione f . Il procedimentoe analogo:

df =∂f

∂ujduj =

∂f

∂uj′duj′

da cui duj′ = Aj′

j duj.

Utilizzando queste leggi di trasformazioni elementari, e possibile interpretareil tensore come una forma multilineare sui vettori ~v e sulle forme differen-ziali df . Consideriamo due forme differenziali df , dg, e un campo vettoriale~v. Consideriamo la funzione lineare:

T : (df, dg;~v) → T (df, dg;~v)

Partiamo dal concetto di forma multilineare ed arriviamo alla nozione di ten-sore come ente rappresentato dalle sue componenti. In particolare possiamovalutare T sugli elementi della base. Definiamo:

T jkl := T (duj, duk;~gl)

20Ed ecco l’importanza di scrivere in posizione controvariante gli indici per le vj , cosicome per le uj .

21Cio e fondamentale e, ripetiamo, manifesta l’importanza della scrittura tensoriale.

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9.4. PERCHE “TENSORE”? 149

le componenti del tensore sulla base considerata. Dalla legge di trasforma-zione dei differenziali della base segue che:

T j′k′

l′ = T (duj′ , duk′;~gl′)

= T (Aj′

j duj, Ak′

k duk;Al

l′~gl)

= Aj′

j Ak′

k All′T (duj, duk;~gl)

= Aj′

j Ak′

k All′T

jkl

Concludendo, le componenti delle forme multilineari si trasformano con leggetensoriale. Possiamo dunque concepire i tensori come forme multilineari: ilcalcolo tensoriale si configura quindi come l’algebra e l’analisi delle funzionimultilineari sullo spazio tangente e sul suo duale.

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150 CAPITOLO 9. IL THEOREMA EGREGIUM

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Parte IV

Parallelismo superficiale egeodetiche

151

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Capitolo 10

Parallelismo

La teoria del parallelismo superficiale da un’altra interpretazione del concet-to di curvatura di una superficie. Fino ad ora abbiamo definito la curvaturain modo estrinseco, e solo a posteriori abbiamo scoperto che K ha un signifi-cato intrinseco. Significato che non abbiamo mai detto esplicitamente qualee: non abbiamo spiegato, insomma, come si puo, “vivendo sulla superficie”,capire e comprendere il concetto di curvatura della superficie stessa.Per capire cio, ci si pone il problema di dare un criterio che permetta distabilire quando e se vettori in spazi tangenti a punti distinti siano da con-siderarsi paralleli1. Vedremo che, se K 6= 0, non sara possibile definire unanozione univoca di parallelismo.

10.1 Dal caso piano al caso generale

10.1.1 Caso piano

Ripartiamo dal caso piano. Qui abbiamo gia a disposizione una nozione diparallelismo: un campo vettoriale e parallelo se ha componenti costanti suun riferimento affine. Da questa definizione facciamo discendere la nozionedi derivata direzionale di un campo vettoriale ~X lungo il vettore ~v, dovesolitamente ~v e il vettore che ci da direzione di una curva (fig. 10.1). Adogni modo in generale:

∇~v~X = (∇~vX

1)~i+ (∇~vX2)~j (10.1)

e diciamo che il campo X e parallelo a ~v se ∇~v~X = 0, ossia se la derivata

direzionale lungo ~v del campo e nulla. Tale definizione e assolutamente intui-

1Quando si dice che lo spazio euclideo e uno spazio “affine”, si fa appunto riferimentoal fatto che esso e caratterizzato dalla nozione di parallelismo e di traslazione di vettori.

153

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154 CAPITOLO 10. PARALLELISMO

Figura 10.1: Campo vettoriale parallelo nel caso piano

tiva: un campo e parallelo a un vettore se, lungo la direzione di quel vettoreil campo non cambia. Dalla nozione di parallelismo che avevamo abbiamodunque introdotto la nozione di derivata direzionale.

10.1.2 Caso generale: derivata covariante

Per passare al caso generale delle superfici si agisce invece in modo opposto.Si definisce innanzitutto la nozione di derivata direzionale superficiale(altrimenti detta derivata covariante) e da questa facciamo discenderela nozione di trasporto per parallelismo. Il concetto di parallelismo edunque una conseguenza dell’introduzione della nozione di derivata.

Derivata covariante

Si consideri un campo ~X(P ) superficiale, ovvero tangente al supporto Sdella superficie, pensata immersa nello spazio euclideo. Si consideri inoltreuna curva γ passante per P con velocita ~v. Si restringa il campo ~X(P ) sullacurva γ, ottenendo:

~X(t) = ~X(P (t))

Tale campo puo essere pensato2 come immerso in E, e come tale puo esserederivato con la solita regola:

∇E~v~X(t) =

d

dt~X(t)

γ

=d

dtXα(t)

γ~eα (10.2)

Il problema e che la derivata di un campo tangente alla superficie non e ingenerale un vettore tangente alla superficie.

2Utilizziamo la notazione E per indicare lo spazio euclideo in generale, disinteressandocidel numero di dimensioni. Il lettore puo pensare sempre di riferirsi a E3 per fissare le idee.Utilizziamo inoltre la notazione ~eα per riferirci ai vettori della base canonica.

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10.1. DAL CASO PIANO AL CASO GENERALE 155

Figura 10.2: Derivata covariante sulla circonferenza

Esempio. Derivata covariante sulla circonferenza. Consideriamo unacurva (superficie monodimensionale) pensata immersa nello spazio euclideobidimensionale. In particolare consideriamo la circonferenza unitaria, diequazione parametrica:

P (θ) = cos θ~i+ sin θ~j

Consideriamo il campo tangente alla curva

~eθ =dP

dθ= − sin θ~i+ cos θ~j

e la sua derivata direzionale lungo il vettore ~v (il vettore velocita della curva):

∇~v~eθ =d

dt(− sin θ~i+ cos θ~j) = −θ(cos θ~i+ sin θ~j) = −θ~eR(θ)

Cio che otteniamo e un vettore che non e per nulla tangente alla curva; anzi:e normale ad essa.Con questo caso estremo abbiamo mostrato che in generale non e vero chela derivata direzionale di un campo superficiale e un vettore tangente allasuperficie.

Si conviene allora di chiamare derivata direzionale superficiale la migliorapprossimazione della derivata precedente.

Definizione 10.1. Si chiama derivata direzionale superficiale (o de-rivata covariante) la proiezione sul piano tangente alla superficie della

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156 CAPITOLO 10. PARALLELISMO

derivata direzionale euclidea. In simboli:

∇~v~X(t) :=

YTP S

ddt~X(t)

dove

YTP S

indica appunto la proiezione sul piano tangente.

Questa equazione associa dunque a un campo tangente ~X(t) un altro

campo tangente ∇~v~X(t).

Analizziamo il processo di proiezione sul piano tangente e mostriamo che ilrisultato non dipende dall’immersione, ma che la costruzione e intrinseca edipende soltanto dalla conoscenza della metrica.Usiamo la rappresentazione superficiale del campo:

~X(t) = Xα(t)~eα = Xj(t)~gj

Abbiamo scelto, in altre parole, come base la base naturale calcolata nei varipunti della superficie. Dunque, dato che ~v e il vettore velocita, di componentiuk:

∇E~v~X =

dX(t)

dt=

d

dt(Xj~gj)

Si considerino ora, pero, che essendo la base ~gj mobile sulla superficie, essadipende dal punto su S e dunque in definitiva dalle coordinate ui. D’altrocanto, se forziamo tale base a rimanere lungo la curva abbiamo che:

~gj = ~gj(ui(t))

dove, all’interno della parentesi, e sottointesa una somma sugli i; e dunque:

~X(t) = Xj(t)~gj(ui(t))

Deriviamo dunque ~X(t) con la regola di Leibniz e abbiamo che:

∇E~v~X =

dX(t)

dt= Xj(t)~gj +Xj(t)

d~gj

dt= Xj(t)~gj +Xj(t)

∂~gj

∂ukuk (10.3)

Notiamo cosı che la derivata euclidea3 non ha solo componenti sulla basenaturale (la sommatoria al primo addendo), bensı anche un altro termine (ilsecondo addendo) di cui dobbiamo considerare solo la parte tangente, al fine

3Per rimarcare il fatto che tale derivata e la derivata direzionale euclidea, e stato postoil simbolo E come apice del simbolo di derivata direzionale ∇.

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10.1. DAL CASO PIANO AL CASO GENERALE 157

di ottenere l’espressione esplicita della derivata covariante. D’altro canto,dalle equazioni di Gauss, sappiamo che

∂~gj

∂uk= Γl

jk~gl + ajk~N

da cui ricaviamo facilmente, con un cambio di indici alla prima sommatoriache4:

∇E~v~X = X l~gl+X

juk(Γljk~gl+ajk

~N) = (X l+ΓljkX

juk)~gl+(ajkXjuk) ~N (10.4)

In questa forma risulta chiarissima la scissione tra la parte tangente e laparte normale del vettore. La derivata direzionale superficiale (o derivatacovariante) si ottiene considerando solamente la parte tangente della derivataeuclidea:

∇~v~X := (X l + Γl

jkXjuk)~gl (10.5)

Dunque le due derivate (euclidea e covariante) differiscono per una quantitapari a:

∇E~v~X = ∇~v

~X + (ajkXjuk) ~N (10.6)

D’altro canto dalla (10.5) si nota immediatamente che la derivata covariantee una grandezza intrinseca, dal momento che e costruita con le derivate dellecomponenti uk e con i simboli di Christoffel Γl

jk.Inoltre, se ne ricava un altro significato dei simboli di Christoffel (detti anche

coefficienti di connessione): tra tutti i campi ~X, infatti, abbiamo anchei campi dati da ciascun vettore della base naturale. Cosı come, tra tuttele direzioni possibili ~v, abbiamo anche le direzioni date dalle linee coordi-nate rispetto a ciascun parametro (ovvero le direzioni dei vettori della basenaturale). Dalla (10.5) segue immediatamente che:

Teorema 10.1.

∇~gq~gp = Γlpq~gl

Dimostrazione. Infatti5 si ha che il campo ~X = ~gp, da cui X l = 0 ∀l, poichela variazione del campo nel tempo e nulla, rispetto alle coordinate della base

naturale; inoltre si ha che

¨Xj = 1 se j = pXj = 0 se j 6= p

(l’unica coordinata del campo

e quella rispetto al vettore ~gp). D’altro canto, per quanto riguarda la curvalungo cui stiamo derivando, essa e la linea coordinata rispetto al parametro

4Trascuriamo, per chiarezza di scrittura di notare esplicitamente le dipendenze daltempo. Si sottointende sempre Xj = Xj(t) e ~gj = ~gj(ui(t)).

5Sovente, anziche scrivere si ∇~gq~gp, si abbrevia con ∇q~gp.

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158 CAPITOLO 10. PARALLELISMO

uq, che percorsa con velocita unitaria ha equazioni:

¨uk(t) = t se k = quk(t) = cost se k 6= q

.

Abbiamo dunque immediatamente che

¨uk = 1 se k = quk = 0 se k 6= q

. Cio forza la som-

matoria ΓljkX

juk a collassare ad un solo elemento, quello che ha Xj = 1 euk = 1, ossia l’elemento che ha j = p e k = q, vale a dire Γl

pq · 1 · 1 = Γlpq, da

cui, considerando la (10.5), segue immediatamente la tesi

Questo che abbiamo enunciato come un teorema, in realta potrebbe ancheessere scelto per definire i simboli di Christoffel; inoltre, sempre da questaformula, si ricava l’espressione generale della derivata covariante, osservandoche la derivata covariante gode di tre proprieta, dette assiomi di Koszul.

10.2 Procedimenti di derivazione

10.2.1 Assiomi di Koszul

Proprieta

Le tre proprieta di ∇~v~X notate da Koszul sono le seguenti:

i. additivita in ~X e in ~v:

∇~v( ~X1 + ~X2) = ∇~v~X1 +∇~v

~X2

∇~v1+~v2~X = ∇~v1

~X +∇~v2~X

Si noti come quest’ultima espressione (principio di sovrapposizione) diala derivata lungo lungo la diagonale del parallelogramma avente per lati~v1 e ~v2;

ii. f-linearita in ~v:∇f ·~v ~X = f · ∇~v

~X

con f una qualsiasi funzione scalare differenziabile;

iii. leibnitzianita in ~X:

∇~v(f · ~X) = f · ∇~v~X + (∇~vf) · ~X

Verifichiamo brevemente queste tre proprieta, partendo dalla definizione diderivata covariante:

∇~v~X := (X l + Γl

jkXjuk)~gl =

∂X l

∂ukuk + Γl

jkXjuk

~gl

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10.2. PROCEDIMENTI DI DERIVAZIONE 159

e dalla scomposizione sulla base naturale dei vettori:

~v = uk~gk

~X = Xj~gj

Dunque abbiamo che:

i.

∇~v( ~X1 + ~X2) =∂(X l

1 +X l2)

∂ukuk + Γl

jk(Xj1 +Xj

2)uk~gl =

=∂X l

1

∂ukuk + Γl

jkXj1 u

k~gl +

∂X l2

∂ukuk + Γl

jkXj2 u

k~gl = ∇~v

~X1 +∇~v~X2

∇~v1+~v2~X =

∂X l

∂uk(uk

1 + uk2) + Γl

jkXj(uk

1 + uk2)~gl =

=∂X l

∂ukuk

1 + ΓljkX

juk1

~gl =

∂X l

∂ukuk

2 + ΓljkX

juk2

~gl = ∇~v1

~X +∇~v2~X

ii.

∇f ·~v ~X = ∇(fuk)~gk~X =

∂X l

∂uk+ Γl

jkXj(fuk)~gl =

= f ·∂X l

∂ukuk + Γl

jkXjuk

~gl = f · ∇~v

~X

iii.

∇~v(f · ~X) = ∇~vXj~gj =

∂(f ·X l)

∂ukuk~gl +

Γl

jk(fXj)uk

~gl =

=f · ∂X

l

∂ukuk~gl +

X l ∂f

∂ukuk~gl +

fΓl

jkXjuk

~gl =

= f ·∂X l

∂ukuk + Γl

jkXjuk

~gl +

∂f∂uk

uk(X l~gl) = f · ∇~v

~X + (∇~vf) ~X

Ricostruzione

Tuttavia si puo anche scegliere di partire dagli assiomi di Koszul che, appun-to, possono essere considerati come veri e propri assiomi. Servendoci solo diquesti ultimi, infatti, riusciamo a ricostruire completamente la definizione diderivata covariante; dunque si puo indifferentemente definire ∇~v

~X per via

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160 CAPITOLO 10. PARALLELISMO

assiomatica o mediante la (10.5). Tuttavia se la si definisce per via assioma-tica, si abbia cura di definire anche i simboli di Christoffel mediante quelloche noi abbiamo enunciato come Teorema 10.1.Vediamo come si ricostruisce la definizione:

∇~v~X = ∇uk~gk

~X = uk∇~gk~X = uk∇~gk

Xj~gj =

= uk(Xj∇~gk~gj + ~gj∇~gk

Xj) = uk(XjΓljk~gl + ~gj

∂X l

∂uk~gl) =

= (~gj∂X l

∂ukuk + Γl

jkXjuk)~gl

e ci siamo. Si noti che la prima uguaglianza vale per la scomposizione delvettore velocita, la seconda uguaglianza vale per l’assioma di f-linearita in ~v eper la linearita in ~v, la terza uguaglianza vale per la scomposizione del campo~X rispetto alla base naturale, la quarta uguaglianza vale per la leibnitzianitain ~X, la quinta uguaglianza e vera dal momento che la derivata lungo ladirezione ~gk di una componente scalare Xj e la sua derivata parziale (sipresti attenzione al cambio di indici j → l), infine l’ultima uguaglianza evera per la definizione dei coefficienti di connessione.

10.2.2 Derivazione covariante alla Koszul

Definizione 10.2. Si chiama derivazione covariante alla Koszul (al-trimenti detta connessione lineare) su una varieta un’operazione di com-posizione sui campi vettoriali che a due campi ne associa un terzo e che godedelle proprieta descritte dagli assiomi di Koszul.Si ha:

(~v, ~X) → ~Z = ∇~v~X

o piu in generale:

( ~X, ~Y ) → ~Z = ∇ ~X~Y

Dunque sono gli assiomi che definiscono l’operazione di derivazione; inol-tre tale operazione e definita, in un qualsiasi sistema di coordinate, dai coef-ficienti di connessione, ossia dai coefficienti dello sviluppo di ∇~gk

~gj sulla base~gi. Si ha che:

∇~gk~gj = Ll

jk~gl (10.7)

Si badi che in generale i coefficienti di connessione non sono necessariamentei simboli di Christoffel: fissato un sistema di coordinate, dare una derivazionecovariante significa dare le n3 funzioni Ll

jk che descrivono il comportamentodei vettori della base naturale associata alle coordinate.

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10.2. PROCEDIMENTI DI DERIVAZIONE 161

10.2.3 Derivazione covariante alla Levi-Civita

La derivazione covariante alla Levi-Civita (o connessione di Levi-Civita)e un caso particolare di derivazione alla Koszul, precisamente il caso in cuii coefficienti di connessione Ll

jk siano proprio i simboli di Christoffel di unametrica:

Lljk = Γl

jk (10.8)

Tra tutti i modi di derivare i campi vettoriali tangenti, ve n’e uno solo cheha torsione nulla e conserva la metrica. Definiamo infatti la torsione T didue campi ~X, ~Y come

T ( ~X, ~Y ) = ∇~Y~X −∇ ~X

~Y − [ ~X, ~Y ] (10.9)

dove [ ~X, ~Y ] e il commutatore6: [ ~X, ~Y ] = ~X~Y − ~Y ~X. Una connessione diLevi-Civita e dunque una connessione che, oltre ai tre assiomi di Koszul,verifica anche le seguenti proprieta:

iv. torsione nulla:

T ( ~X, ~Y ) = ∇~Y~X −∇ ~X

~Y − [ ~X, ~Y ]

∇~Y~X −∇ ~X

~Y = [ ~X, ~Y ]

v. compatibilita con la metrica (conserva angoli e prodotti scalari):

~X(~Y · ~Z) = (∇ ~X~Y ) · ~Z + ~Y · (∇ ~X

~Z)

L’unicita di tale connessione ci e garantita dal seguente teorema (che nondimostriamo):

Teorema fondamentale della geometria riemanniana. In una varietariemanniana vi e un’unica connessione che ha torsione nulla ed e compatibilecon la metrica.

Tale connessione e proprio la connessione di Levi-Civita (talvolta dettaanche connessione di Riemann), che dalla proprieta (v.) acquisisce il nomeanche di “connessione metrica”. Dato che i coefficienti di connessione coin-cidono con i simboli di Christoffel, la derivata covariante alla Levi-Civita edunque proprio la parte tangente della derivata euclidea ed e dunque la deri-vata che abbiamo trovato e analizzato nei paragrafi precedenti, e sara anchela derivata che utilizzeremo.

6Talvolta anche detto parentesi di Lie. Si noti che ~X~Y e ~Y ~X non sono in generalecampi vettoriali tangenti; tuttavia si puo dimostrare che [ ~X, ~Y ] e un campo vettorialetangente.

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162 CAPITOLO 10. PARALLELISMO

10.3 Parallelismo

10.3.1 Definizione

Torniamo al problema di definire un criterio di parallelismo per un campovettoriale. Avendo a disposizione, ora, la nozione di derivata covariantepossiamo anzitutto definire la nozione di parallelismo per un campo definitolungo una linea.Diamo dunque la seguente definizione:

Definizione 10.3. Diciamo che ~X e un campo vettoriale parallelo lungo unacurva γ se

∇~v~X = 0

dove ~v indica la velocita della curva.

Ricorrendo alla definizione di derivata covariante, troviamo che la condi-zione di parallelismo e espressa da un sistema differenziale:

∇~v~X = 0 ⇔ X l(t) + Γl

jkXj(t)uk = 0 ∀l (10.10)

Dunque, data una base e date le componenti Xj(t) del campo lungo talebase, riusciamo a ricavare i coefficienti di Christoffel, e dunque a studiarel’equazione (10.10). Segue immediatamente dunque la nozione di trasportoper parallelismo.

10.3.2 Trasporto per parallelismo

Figura 10.3: Il problema del trasporto per parallelismo

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10.3. PARALLELISMO 163

Consideriamo su una superficie S due punti P , Q e una curva regolare γche li unisce (fig. 10.3). Sia ~X0 un vettore applicato in P . Consideriamo ilseguente problema di Cauchy:(

X l + (ukΓljk)X

j = 0X l(0) = X l

0

(10.11)

dove la seconda equazione rappresenta il dato iniziale (e semplicemente la

scrittura per componenti dell’identita ~X(0) = ~X0). Poiche tale sistema e unsistema lineare di equazioni differenziali con coefficienti non singolari (con-tinui per t ∈ [0, 1], con 1 il valore7 del parametro t in Q), tale problemaammette, per il teorema di esistenza globale delle soluzioni, una e una solasoluzione globale definita per tutti i tempi.

Possiamo dunque affermare l’esistenza e unicita della soluzione:

X l(t) con t ∈ [0, 1]

Definizione 10.4. Il vettore ~X1 ∈ TQS definito dalle funzioni X l(1) e detto

il vettore trasportato per parallelismo di ~X0 da P a Q lungo la curvaγ, avente ~v = uk~gk.

Il trasporto per parallelismo e metrico, vale a dire conserva il prodottoscalare e la norma dei vettori trasportati per parallelismo (in forma equiva-lente, si puo dire che per il prodotto scalare vale la regola di Leibniz delladerivazione). La definizione, tuttavia, di vettore trasportato per parallelismodipende fortemente dalla curva γ, ossia dal cammino che abbiamo seguitoper trasportare il vettore. Possiamo liberarci di tale dipendenza?

Esempio: sfera e derivate covarianti. Primo punto. Su S2 si consideriun arco γ di parallelo, e i campi ~X = ~eϕ e ~Y = ~eθ.Le equazioni di γ si ottengono dalle equazioni della sfera, fissando la colati-tudine θ = θ0. Dunque si ha (parametrizzando con ϕ = t):

γ : P (ϕ) =

8><>: x = R sin θ0 cosϕy = R sin θ0 sinϕz = R cos θ0

⇒ ~v =

8><>: x = −R sin θ0 sinϕy = R sin θ0 cosϕz = 0

7Cio non e restrittivo: si puo sempre riparametrizzare la curva facendo in modo che ilparametro t sia nullo in P e unitario in Q.

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164 CAPITOLO 10. PARALLELISMO

dove il punto designa la derivata rispetto al parametro ϕ (che svolge qui lastessa funzione del parametro t). D’altro canto, considerando che8>><>>:

∂P

∂θ= ~gθ = R cos θ cosϕ~i+R cos θ sinϕ~j −R sin θ~k

∂P

∂ϕ= ~gϕ = −R sin θ sinϕ~i+R sin θ cosϕ~j8>>>>>><>>>>>>:

~eθ = vers(~gθ) = cos θ cosϕ~i+ cos θ sinϕ~j − sin θ~k

~eϕ = vers(~gϕ) = − sinϕ~i+ cosϕ~j

~N = vers(~gθ ∧ ~gϕ) = vers

~i ~j ~kR cos θ cosϕ R cos θ sinϕ R sinϕ−R sin θ sinϕ R sin θ cosϕ 0

=

= sin θ cosϕ~i+ sin θ sinϕ~j + cos θ~k

e dunque abbiamo subito che ~v = R sin θ0~eϕ. Ci chiediamo: quanto vale

la derivata covariante dei campi ~X e ~Y lungo γ? Il trucco e ricondursi,attraverso le proprieta della derivata covariante (linearita in ~X e ~v, f-linearita

in ~v, leibnizianita in ~X), a calcolare una derivata covariante avente comeargomenti vettori della base naturale. A quel punto, grazie al Teorema 10.1,abbiamo a disposizione uno strumento a noi noto: i simboli di Christoffel(cheabbiamo gia calcolato, per la sfera, nel paragrafo 9.3.1).

∇~v~X = ∇R sin θ0~eϕ~eϕ = ∇~gϕ

~gϕ

R sin θ0

=

1

R sin θ0

∇~gϕ~gϕ =1

R sin θ0

(Γlϕϕ~gl) =

=1

R sin θ0

(Γθϕϕ~gθ +Γϕ

ϕϕ~gϕ) =1

R sin θ0

(− sin θ0 cos θ0~gθ +0 ·~gϕ) = −cos θ0

R~gθ

Verifichiamo tale risultato con l’immersione euclidea: proviamo a calcolarela derivata direzionale euclidea di ~X lungo γ, e valutiamo se effettivamentela parte tangente di tale derivata e la derivata covariante precedentementetrovata. Ricordandoci nuovamente che ϕ svolge qui la funzione del parametrot, abbiamo che:

∇E~v~X = ∇E

~v~eϕ = ∇E~v (− sinϕ~i+ cosϕ~j) =

=d

dϕ(− sinϕ~i+ cosϕ~j) = − cosϕ~i− sinϕ~j

Sotto in questa forma, non sapremmo distinguere la parte tangente da quellanormale. D’altro canto e anche vero che possiamo sviluppare la derivata sulpiano tangente, con (~eθ, ~eϕ, ~N) base ortonormata:

∇E~v~X =

d ~X

dϕ=~eθ ·

d ~X

~eθ +

~eϕ ·

d ~X

~eϕ +

~N · d

~X

dt

~N

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10.3. PARALLELISMO 165

dove nelle parentesi vi sono le coordinate rispetto alla base ortonormata. Sinota immediatamente che la parte normale e l’ultimo termine. E quindi laderivata covariante deve limitarsi alla somma dei primi due termini, ovvero:

∇~v~X =

~eθd ~X

~eθ +

~eϕd ~X

~eϕ =

= (cos θ0 cosϕ~i+ cos θ0 sinϕ~j − sin θ0~k)(− cosϕ~i− sinϕ~j)~eθ+

+ (− sinϕ~i+ cosϕ~j)(− cosϕ~i− sinϕ~j)~eϕ =

= − cos θ0~eθ = −cos θ0

R~gθ

e ci siamo.Calcoliamo ora la derivata covariante del campo ~Y (i simboli di Christoffelper la sfera li abbiamo gia calcolati al paragrafo 9.3.1):

∇~v~Y = ∇R sin θ0~eθ

~eθ = ∇~gϕ

~gθ

R

=

1

R∇~gϕ~gθ =

1

R(Γl

θϕ~gl) =

=1

R(Γθ

θϕ~gθ + Γϕθϕ~gϕ) =

1

R(0 · ~gθ + cotanθ0~gϕ) =

cotanθ0

R~gϕ

Secondo punto. Si consideri un arco α di meridiano e il campo ~Z = ~eθ. Cal-coliamo la derivata covariante di ~Z lungo α.Essendo ~eθ un versore, la sua derivata sara perpendicolare al versore stes-so. D’altro canto non e difficile vedere che tale derivata e perpendicolarealla superficie della sfera, poiche e diretta sempre come la normale ~N . Laderivazione euclidea ci da un vettore completamente normale alla superficie:allora la derivata covariante deve necessariamente essere nulla (visto che lecomponenti tangenti della derivata euclidea sono nulle). Dunque:

∇~v ~eθ = 0

Notiamo inoltre che la velocita ~v sul meridiano e diretta come il versore ~eθ,da cui:

∇~v ~eθ = ∇λ~eθ~eθ = λ∇~eθ

~eθ = 0

Ma allora∇~eθ

~eθ = 0

o, in alternativa, visto che ~eθ e il versore tangente al meridiano:

∇~t~t = 0

Questa equazione e nota sotto il nome di equazione geodetica: vedremomeglio piu avanti il suo significato.

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166 CAPITOLO 10. PARALLELISMO

10.4 Dipendenza del trasporto dalla curva

La derivazione covariante ci permette di trasportare un vettore lungo unacurva. Proviamo a trasportare lo stesso vettore lungo due linee diverse,tenendo fissi i punti di partenza e di arrivo.Consideriamo un vettore ~X0 in P0 e due curve γ1 e γ2 entrambe passanti siaper P0 sia per P1. Trasportando per parallelismo P0 lungo γ1 o γ2, otteniamoil medesimo vettore finale?

Figura 10.4: Trasporto per parallelismo lungo un triangolo geodetico di S2

Esempio: triangolo geodetico su S2. Consideriamo su una sfera trearchi di cerchi massimi (γ1, γ2, γ3) uniti a formare un circuito chiuso; talefigura e detta “triangolo geodetico” (si capira meglio piu avanti il perche). Ivettori tangenti a (γ1, γ2, γ3) sono vettori superficiali (ossia giacenti nel pianotangente alla sfera). Cosa succede se trasportiamo un vettore lungo il cammi-no chiuso formato da (γ1, γ2, γ3)? Il risultato, anche intuitivamente, e che aogni circuito chiuso corrisponde una rotazione del vettore (fig. 10.4): quandoritorna al punto iniziale non coincide piu con il vettore originario, ma risultaruotato di un certo angolo α. Tale angolo dipende, naturalmente, dalla sceltadegli archi di cerchi massimi: maggiore e l’area tra tali archi, maggiore saral’angolo di cui il vettore risulta ruotato. In particolare, se consideriamo lospicchio di sfera nel primo ottante, abbiamo che la rotazione e di π/2; duegiri daranno una rotazione di π, n giri una rotazione di nπ/2.Il trasporto lungo una curva chiusa, dunque, non e un’identita: questo ca-so mostra come il trasporto dipenda fortemente dalla curva scelta. Mostrainoltre che ad ogni “laccio” (chiamiamo cosı i circuiti chiusi) e associata una

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10.4. DIPENDENZA DEL TRASPORTO DALLA CURVA 167

rotazione e che alla composizione dei “lacci” corrisponde il prodotto di ro-tazioni. Infine, mostra che l’angolo di rotazione dipende dall’area racchiusadal “laccio”.

10.4.1 Condizione di teleparallelismo

Abbiamo visto che il trasporto in generale dipende fortemente dalla cur-va scelta. Sotto che condizioni, ci chiediamo, il trasporto non dipende dalcammino γ? Iniziamo con il dimostrare un importante risultato:

Lemma 10.2 (Formula di Ricci). Dato un campo vettoriale ~X si ha che:

(∇~gi∇~gj

−∇~gi∇~gj

)Xh = RhkijX

k

Dimostrazione. Calcoliamo due volte la derivata covariante rispetto a duevettori della base naturale. Notiamo che:

∇~giXh =

∂Xh

∂upup + Γh

kpXkup =

∂Xh

∂upδip + Γh

kpXkδip =

∂Xh

∂ui+ Γh

kiXk

dal momento che la velocita ha componenti solo lungo ~gi; e dunque:

∇~gi∇~gj

Xh =∂∇~gj

Xh

∂ui+ Γh

ik∇~gjXk =

=∂2Xh

∂ui∂uj+∂Γh

jkXk

∂ui+ Γh

ik

∂Xk

∂uj+ Γk

jrXr

=

=∂2Xh

∂ui∂uj+Xh∂Γh

jk

∂ui+ Γh

jk

∂Xk

∂ui+ Γh

ik

∂Xk

∂uj+ Γh

irΓrjkX

k

e scambiando gli indici i e j:

∇~gj∇~gi

Xh =∂2Xh

∂uj∂ui+Xh∂Γh

ik

∂uj+ Γh

ik

∂Xk

∂uj+ Γh

jk

∂Xk

∂ui+ Γh

jrΓrikX

k

Nella differenza membro a membro tra le due eguaglianze, per l’uguaglianzadelle derivate seconde miste (teorema di Schwarz) e per la simmetria dei sim-boli di Christoffel negli indici covarianti, diversi termini al secondo membrosi elidono e rimane:

∇~gi∇~gj

Xh −∇~gj∇~gi

Xh =∂Γh

jk

∂ui− ∂Γh

ik

∂uj+ Γh

irΓrjk − Γh

jrΓrik

Xk

e ricordandosi della definizione di Rhkij, si ha:

(∇~gi∇~gj

−∇~gj∇~gi

)Xh = RhkijX

k (10.12)

cioe la tesi.

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168 CAPITOLO 10. PARALLELISMO

Teorema 10.3. Condizione necessaria e sufficiente affinche il trasporto siaindipendente dalla curva e che:

Rhkij = 0

Corollario 10.4. Per n = 2 (spazio euclideo tridimensionale) condizionenecessaria e sufficiente affinche il trasporto sia indipendente dalla curva eche:

K = 0

Dimostrazione. Se il trasporto non dipende dalla curva, ogni vettore ~X0 in P0

definisce in un aperto stellato centrato in P0 un campo vettoriale che verificala condizione dell’indipendenza del trasporto dalla curva scelta. ChiamiamoXj(u1, . . . , un) le componenti di questo campo. Per costruzione il campo eparallelo lungo ogni linea nell’aperto. Dunque, comunque scelto il vettore ~v,deve essere:

∇~v~X = 0

o, in componenti:

vk∂Xj

∂uk+ Γl

jkXj

= 0

Ma per l’arbitrarieta di ~v, deve essere:

∂Xj

∂uk= −Γl

jkXj (10.13)

Tale condizione e detta condizione di teleparallelismo (vale a dire: diparallelismo a distanza). Le funzioni Xj(u1, . . . , un) devono necessariamenteessere soluzioni di questo sistema di equazioni alle derivate parziali, chiamatosistema ai differenziali totali. Esso equivale alla richiesta che le formedifferenziali

dXj = −ΓljkX

jduk

siano integrabili, cioe differenziali esatti. L’integrabilita dipende da condizio-ni necessarie per le Xj, in particolare dall’uguaglianza delle derivate secondemiste (Teorema di Schwarz). Se tali condizioni sono indipendenti dal campo~X scelto, allora esse sono naturalmente anche sufficienti e il sistema si diceillimitatamente integrabile.L’imporre l’uguaglianza delle derivate miste equivale a imporre la commuta-bilita delle seguenti derivate covarianti:

∇~gi∇~gj

~X = ∇~gj∇~gi

~X

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10.4. DIPENDENZA DEL TRASPORTO DALLA CURVA 169

o anche, per componenti:

∇~gi∇~gj

Xh −∇~gj∇~gi

Xh = 0

Ma allora dal Lemma 10.2 (Formula di Ricci) si ha che RhkijX

k = 0, e per la

generalita di ~X, in definitiva:Rh

kij = 0

e dunque la condizione necessaria e dimostrata.D’altra parte se il tensore di Riemann e nullo, l’annullarsi identico di Rh

kij eindipendente dal campo scelto: il sistema (10.13) e illimitatamente integra-bile e dunque si ha la condizione sufficiente della tesi.Il corollario segue direttamente dal Lemma 9.2 e dal Theorema Egregium.

Abbiamo dunque dato al tensore di Riemann un significato nuovo: essomisura la dipendenza del trasporto per parallelismo dalla curva scelta.

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170 CAPITOLO 10. PARALLELISMO

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Capitolo 11

Geodetiche

11.1 Definizioni e esempi

Il concetto di geodetica nasce come naturale estensione del concetto di rettanel piano. Le geodetiche sono le curve principali su una varieta riemannianamunita della prima forma fondamentale (vale a dire: del prodotto scalare),una varieta che possiamo denotare (S, g) ove g indica la metrica.

Esempio: spazio-tempo di Einstein. Sia S lo spazio-tempo einsteinia-no (varieta riemanniana quadridimensionale munita di una metrica1). Si puoad esempio parlare di spazio-tempo associato al Sole: quale e il movimentodi un generico pianeta nello spazio-tempo S munito della metrica g definitadal Sole? Si ha che tale movimento avviene lungo le geodetiche di (S, g).In breve: il sole genera un campo che fornisce una metrica ds2, la quale asua volta determina delle geodetiche che forzano il moto del generico pianeta.

Esistono tre possibili definizioni di geodetica, in sostanza tutte e tre (quasi)equivalenti. Tutte e tre sono naturali estensioni del concetto di segmentonel piano: in E2, infatti, le geodetiche sono segmenti di retta, che hanno leseguenti tre proprieta (o caratterizzazioni):

i. sono le curve di minima lunghezza che congiungono due punti (carat-terizzazione variazionale2);

ii. sono le curve con curvatura nulla (caratterizzazione geometrica)

1Tale metrica, determinata dalla distribuzione di materia e energia, fissa la prima formafondamentale della geometria intrinseca della varieta S, pur non essendo tale metricadefinita positiva.

2Tale caratterizzazione delle geodetiche e detta “variazionale” poiche si basa su unprincipio di “minimo”.

171

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172 CAPITOLO 11. GEODETICHE

iii. sono le traiettorie delle particelle libere che si muovono con accelera-zione nulla (caratterizzazione meccanica3).

Vediamo ora di estendere queste tre caratterizzazioni dal caso piano al casogenerale, al fine di definire coerentemente il concetto di “geodetica”.

11.2 Geodetiche come moti inerziali

Iniziamo dall’estensione di [iii].

Definizione 11.1. Chiamiamo geodetiche le traiettorie di moti inerziali.

Come naturale estensione del caso piano, possiamo concepire le geodeti-che quali traiettorie di moti inerziali, moti cioe percorsi a velocita costante(diventa dunque importante la parametrizzazione delle curve). Al fine dichiarire meglio i concetti su cui stiamo operando, diamo anche la seguentedefinizione:

Definizione 11.2. Diciamo che una particella si muove di moto inerziale suuna superficie immersa in En+1 (in particolare in E3), se la sua accelerazionetangenziale e nulla.

Cio significa che un osservatore “vivente” sulla superficie vede la parti-cella muoversi con accelerazione nulla (dal momento che egli puo osservareunicamente l’accelerazione tangenziale): equivalentemente si puo affermareche non vi siano forze tangenti alla superficie (assenza di forze che lavorinosulla superficie).Procuriamoci, in base a questa caratterizzazione, l’equazione delle geodeti-che. Partiamo dall’accelerazione nello spazio euclideo e imponiamo l’annul-larsi della parte tangente. Si ha che:

~v =∂P

∂ujuj (11.1)

e dunque l’accelerazione di una particella che si muove su una superficien-dimensionale immersa in uno spazio n+ 1-dimensionale e:

~a =d

dt~v =

d

dt

∂P∂uj

uj

=d

dt

∂P∂uj

+∂P

∂uj

duj

dt=

=∂2P

∂uj∂ukujuk +

∂P

∂ujuj =

∂~gk

∂ujujuk +

∂P

∂ujuj =

= Γljku

juk~gl + ajkujuk ~N + ul ∂P

∂ul= (ul + Γl

jkujuk)~gl + ajku

juk ~N (11.2)

3In sostanza, traduce il principio di inerzia.

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11.2. GEODETICHE COME MOTI INERZIALI 173

Imporre l’annullarsi della parte tangente significa imporre:

ul + Γljku

juk = 0 (11.3)

che, al variare di l, sono n equazioni differenziali del second’ordine, le equa-zioni di Newton proiettate sul piano tangente alla superficie.

11.2.1 Conseguenze

Nel caso del piano (n = 2), in coordinate cartesiane, si ha che Γ = 0, e leequazioni (11.3) diventano:

ul = 0 (11.4)

ovvero: il moto e lineare nel tempo, e si ha dunque un moto rettilineo uni-forme.Inoltre, ritornando al caso generale, si vede immediatamente che la nozionedi geodetica e una nozione intrinseca (l’equazione e costruita con i simboli diChristoffel): cio significa che se “flettiamo” (bending) la superficie manten-dendo invariate le distanze, le geodetiche non cambiano.Dimostriamo poi questa importante proprieta:

Teorema 11.1. Nel moto geodetico, la velocita ha modulo costante:

‖~v‖ = cost

Corollario 11.2. Il parametro t che parametrizza il moto geodetico e legatoall’arco dalla relazione:

s = At+B

Il corollario discende banalmente dal teorema in virtu delle leggi dellameccanica; diamo dunque due dimostrazioni equivalenti per il teorema: unaestrinseca, l’altra intinseca.

Dimostrazione. (Estrinseca) Siccome la metrica ds2 della superficie e indottadallo spazio euclideo, basta dimostrare che ‖~v‖2

E = v2 e costante. Ma si hache:

d

dtv2 =

d

dt(~v · ~v) = 2~v · ~a = 2~v · ~a⊥ = 0

dove la penultima uguaglianza vale perche l’accelerazione ha solo componentenormale alla superficie, e l’ultima uguaglianza vale per la perpendicolarita di~v (giacente sul piano tangente) e ~a⊥ (normale alla superficie).Avendo derivata prima nulla, v2 deve essere costante, e dunque sono costantianche ‖~v‖2 e, in definitiva, ‖~v‖.

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174 CAPITOLO 11. GEODETICHE

Dimostrazione. (Intrinseca)

‖~v‖2 = v2 = ~v · ~v = gjkujuk

da cui:

d

dtv2 =

d

dt(gjku

juk) = ujuk d

dtgjk + gjku

juk + gjkujuk =

= ujuk d

dtgjk + gjku

juk + gkjukuj = ujuk d

dtgjk + 2gjku

juk =

=∂gjk

∂ululujuk + 2gjku

juk =∂gqk

∂upupuquk − 2gjkΓ

jpqu

puquk =

=∂gqk

∂up− 2gjkΓ

jpq

upuquk = 0

dove la terza uguaglianza vale avendo scambiato, nell’ultimo addendo, gliindici j, k; la quarta uguaglianza vale per la simmetria del tensore metrico;

la quinta per la derivazione di funzione composta ( ddtgjk = d

dt

∂~gj

∂uk = ∂2~gj

∂uk∂ul ul);

la sesta vale per l’uso dell’equazione geodetica (11.3) (uj = −Γjpqu

puq) uni-tamente a un cambio di indici, e infine, nell’ultima uguaglianza, la paren-tesi si annulla per il Lemma di Ricci, o per la definizione dei simboli diChristoffel.

Dal corollario segue immediatamente che la piu generale trasformazionedel parametro t che non distrugge il carattere geodetico del moto4 e

t′ = At+B (11.5)

Tutti e soli i parametri che verificano questa relazione sono parametri checonservano il carattere geodetico del moto: per come sono costruiti, essisono detti parametri affini.

11.2.2 Geodetiche e parallelismo

Se confrontiamo le equazioni (11.3) delle geodetiche:

ul + Γljku

juk = 0

con le condizioni di parallelismo (10.10) di un campo vettoriale ~X lungo unacurva γ:

X l(t) + ΓljkX

j(t)uk = 0

4Non e un eccessivo abuso di linguaggio parlare per estensione, oltre che di curvegeodetiche, anche di moti geodetici e di carattere geodetico del moto.

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11.3. GEODETICHE COME CURVE DI CURVATURA NULLA 175

si osserva che le equazioni dei moti geodetici non affermano altro che il pa-rallelismo del vettore velocita ~v = ~X = (uj) lungo la curva stessa. Dunquela forma intrinseca dell’equazione dei moti geodetici e

∇~v ~v = 0 (11.6)

A riprova, vediamo che tale equazione implica l’equazione (11.3) delle geo-detiche:

∇~v ~v = ∇~vuk~gk = uk∇~v~gk+(∇~vu

k)~gk = uk∇~v~gk+uk~gk = uk∇uj~gj

~gk+uk~gk =

= ujuk∇~gj~gk + uk~gk = ujukΓl

jk~gl + ul~gl = (ujukΓljk + ul)~gl

e l’annullarsi del primo membro implica l’annullarsi dell’ultima parentesi, eci siamo.Poiche il moto e uniforme, abbiamo dunque subito la caratterizzazione dellatraiettoria: infatti ~v = a~t, con ~t versore tangente alla traiettoria e a costantereale. Dunque:

∇~v ~v = 0 ⇒ ∇a~t a~t = a2∇~t~t = 0

da cui si ha immediatamente:

∇~t~t = 0 (11.7)

Quest’ultima e l’equazione delle curve geodetiche che caratterizza non tan-to il moto o la meccanica, quanto la vera e propria geometria della traiettoria.Possiamo dare allora la cosiddetta definizione affine5 di curva geodetica:

Definizione 11.3. Le curve geodetiche sono le curve autoparallele

Cio e vero dal momento che il versore tangente si mantiene sempre paral-lelo lungo la curva. Le geodetiche sono, quindi, quelle curve in cui il trasportoper parallelismo conserva il vettore tangente: in ogni punto, il trasportatoper parallelismo del vettore tangente e ancora il vettore tangente.

11.3 Geodetiche come curve di curvatura nulla

11.3.1 Curvatura geodetica

Abbiamo sviluppato (paragrafo 6.1) la teoria della curvatura normale diEulero:

kN = ~k · ~N =d~t

ds· ~N

5L’aggettivo “affine” e dovuto al fatto che tale definizione si basa sul concetto diparallelismo, e non sul concetto di angolo o distanza.

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176 CAPITOLO 11. GEODETICHE

che abbiamo utilizzato per introdurre la nozione di curvatura gaussiana Kdella superficie.Studiamo adesso la parte complementare, vale a dire la parte tangente delvettore curvatura ~k, detta curvatura geodetica. Riprendiamo infatti laseguente definizione:

Definizione. 6.2. Si chiama curvatura geodetica di una curva γ giacentesu S e passante per P , la componente tangente del vettore curvatura di γ inP :

~kg = ~k − kN~N

Si noti che, mentre per la curvatura normale era sufficiente avere kN comescalare, essendo la direzione normale univocamente determinata6, quanto allacurvatura geodetica, e necessario definirla come vettore (differenza di vettori),in quanto e combinazione lineare dei vettori della base naturale.Non abbiamo fatto altro che scomporre il vettore curvatura in una partenormale e in una parte tangente:

d~t

ds= ~k = ~kg + kN

~N (11.8)

Nel caso di una curva piana (kN = 0) si ha che la curvatura geodetica coin-

cide con il vettore curvatura (~kg = ~k).Da questo punto di vista, possiamo dare la seguente definizione, come esten-sione del punto [ii] del paragrafo 11.1:

Definizione 11.4. Si chiamano curve geodetiche le curve su S aventi cur-vatura geodetica nulla (~kg = 0).

Dimostriamo che tale definizione e compatibile con l’equazione geodetica(11.3) data precedentemente (e dunque anche con la condizione di autopa-rallelismo che da essa deriva).

Teorema 11.3.~kg = 0 ⇔ um + Γm

jkujuk = 0

Corollario 11.4. ~kg e una grandezza intrinseca.

6Infatti stiamo sempre operando con superfici di dimensione n in spazi di dimensionen + 1.

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11.3. GEODETICHE COME CURVE DI CURVATURA NULLA 177

Dimostrazione. Utilizziamo per comodita il parametro arco al posto del ge-nerico parametro t. Dire che ~kg = 0 significa dire che ∀j:

0 = ~k · ∂P∂uj

=

=d~t

ds· ∂P∂uj

=

=d

ds

~t · ∂P∂uj

− ~t · ∂2P

∂uj∂uk

duk

ds=

=d

ds

dul

ds

∂P

∂ul

∂P∂uj

− dul

ds

∂P

∂ul

Γm

jk

∂P

∂um+ ajk

~Nduk

ds=

=d

ds

dul

ds

∂P

∂ul

∂P

∂uj

− dul

ds

∂P

∂ul

Γm

jk

∂P

∂um

duk

ds=

=d2ul

ds2

∂P

∂ul

∂P

∂uj+dul

ds

dds

∂P

∂ul

∂P∂uj

+dul

ds

∂P

∂ul

dds

∂P

∂uj

− dul

dsΓm

jk

∂P

∂ul

∂P

∂um

duk

ds=

=d2ul

ds2glj +

dul

ds

dds

∂P

∂ul

∂P∂uj

+dul

ds

∂P

∂ul

dds

∂P

∂uj

− dul

dsΓm

jkglmduk

ds=

=d2ul

ds2glj +

dul

ds

dds

∂P

∂ul

∂P∂uj

+∂P

∂ul

dds

∂P

∂uj

− Γm

jkglmduk

ds

=

=d2ul

ds2glj +

dul

ds

∂2P

∂uk∂ul

duk

ds

∂P∂uj

+∂P

∂ul

∂2P

∂uk∂uj

duk

ds

− Γm

jkglmduk

ds

=

=d2ul

ds2glj +

dul

ds

Γm

lk

∂P

∂um+ alk

~Nduk

ds

∂P

∂uj+∂P

∂ul

Γm

jk

∂P

∂um+ ajk

~Nduk

ds− Γm

jkglmduk

ds

=

=d2ul

ds2glj +

dul

ds

Γm

lk

∂P

∂um

∂P

∂uj

duk

ds+ Γm

jk

∂P

∂ul

∂P

∂um

duk

ds− Γm

jkglmduk

ds

=

=d2ul

ds2glj +

dul

ds

Γm

lkgmjduk

ds+ Γm

jkglmduk

ds− Γm

jkglmduk

ds

=

=d2ul

ds2glj +

dul

dsΓm

lkgmjduk

ds=

=d2um

ds2gmj +

dul

dsΓm

lkgmjduk

ds=

= gmj

d2um

ds2+ Γm

lk

dul

ds

duk

ds

dove abbiamo usato pesantemente la scrittura delle equazioni di Gauss ela perpendicolarita tra ~N e ∂P

∂uj , che forza molti prodotti scalari a esserenulli. Questa relazione deve valere per ogni scelta di j: per le ipotesi diregolarita il tensore metrico gmj non puo essere identicamente nullo, dunquedeve necessariamente annullarsi cio che si trova all’interno della parentesi.Ma porre uguale a zero tale quantita fornisce esattamente le equazioni delle

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178 CAPITOLO 11. GEODETICHE

geodetiche:d2um

ds2+ Γm

lk

dul

ds

duk

ds= 0

u′′m + Γmlku

′lu′k = 0

Il corollario discende immediatamente dall’intrinsecita di u′′m+Γmlku

′lu′k.7

Ne deriva una semplice caratterizzazione estrinseca delle geodetiche:

Teorema 11.5 (Clairot). Una curva γ e una geodetica se e solo se in ognipunto la normale principale e diretta come la normale alla superficie.

Dimostrazione. La dimostrazione e immediata; dalla definizione (11.4) infatti

si ha che γ e una geodetica se e solo se ~kg = 0, ma dall’equazione (11.8):

~kg = 0 ⇔ ~k = kN~N ⇔ ~n ∧ ~N = 0

dove l’ultima coimplicazione vale dal momento che ~k e ~n hanno la stessadirezione.

Esempio: sfera. Dal Teorema di Clairot vediamo immediatamente gliarchi di meridiani sono geodetiche su una sfera (infatti la normale principaledei meridiani e diretta sempre come il raggio e dunque, in definitiva, comela normale alla superficie).

11.4 Geodetiche come curve di minima lun-

ghezza

Possiamo dare un’ulteriore caratterizzazione equivalente delle geodetiche (de-rivante dalla [i.] del paragrafo 11.1, forse la piu appariscente:

Definizione 11.5. Le geodetiche sono le curve di minima lunghezza.

7In alternativa, si puo dedurre piu rapidamente l’intrinsecita di ~kg notando che:

~kg =YTP S

d~t

ds

=YTP S

(∇E~t~t) = ∇~t

~t

dove la seconda uguaglianza e vera per la definizione di derivata direzionale in uno spazioeuclideo e la terza vale per la definizione di derivata direzionale superficiale (o di derivatacovariante alla Levi-Civita). Dall’intrinsecita della derivata covariante discende subitol’intrinsecita della curvatura geodetica.

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11.4. GEODETICHE COME CURVE DI MINIMA LUNGHEZZA 179

Infatti possiamo mostrare che:

uj(t) + Γjhku

huk = 0 ⇔ ∀uj, u

k:Z t1

t0

Ègjkujuk dt ≤

Z t1

t0

qgjku

ju

kdt (11.9)

il che equivale a dire che la lunghezza della geodetica e minore o uguale dellalunghezza di una qualsiasi altra curva. Per far vedere l’equivalenza (11.9),serviamoci della meccanica e in particolare delle equazioni di Lagrange.

11.4.1 Equazioni di Lagrange

Osserviamo infatti che possiamo riscrivere le equazioni delle geodetiche cometraiettorie di particelle che si muovono in assenza di forze. Questo risultato eovvio, dal momento che le equazioni delle geodetiche sono le proiezioni delleequazioni di Newton in assenza di forze attive. Formalmente definiamo lalagrangiana L:

L(u, u) =1

2v2 =

1

2gjku

juk (11.10)

o, piu esplicitamente, nel caso bidimensionale:

L(u, u) =1

2v2 =

1

2

E(u1)2 + 2Fu1u2 +G(u2)2

(11.11)

Scriviamo ora le equazioni di Lagrange per la coordinata uk:

d

dt

∂L

∂uk− ∂L

∂uk= 0 (11.12)

E dato che:∂L

∂uk= gjku

j;∂L

∂uk=

1

2

∂glj

∂ukuluj

e inoltre:

d

dt

∂L

∂uk= gjku

j +dgjk

dtuj = gjku

j +∂gjk

∂ululuj = gjku

j +1

2

∂gjk

∂ululuj +

1

2

∂glk

∂ujujul

dove l’ultima uguaglianza vale per la scissione della sommatoria e lo scambiodi indici tra l e j. Le equazioni di Lagrange dunque diventano:

gjkuj +

1

2

∂gjk

∂ul+∂glk

∂uj+∂glj

∂uk

uluj = 0

Moltiplichiamo ora per ghk, al fine di ricondurre tali equazioni in formanormale8:

ghkgjkuj +

1

2ghk

∂gjk

∂ul+∂glk

∂uj+∂glj

∂uk

uluj = 0

8Ovvero facendo in modo che il coefficiente della derivata di grado massimo sia 1.

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180 CAPITOLO 11. GEODETICHE

Ma ghkgkj e il prodotto righe per colonne del tensore metrico con il suoinverso: ne risulta l’identita e, visto che il generico elemento di tale matricee (h, j), si ha immediatamente che ghkgkj = δjh, indicando con δjh il delta diKronecker. Dunque:

δjhuj +

1

2ghk

∂gjk

∂ul+∂glk

∂uj+∂glj

∂uk

uluj = uh + Γh

jluluj = 0 (11.13)

dove l’ultimo passaggio vale per la definizione dei simboli di Christoffel. Que-ste sono dunque le equazioni di Lagrange in forma normale: tali equazioni ciforniscono un modo veloce per ricavare i simboli di Christoffel, come peraltroavevamo gia fatto in un esercizio del paragrafo 9.4.1. Infatti, basta calcolareL = 1

2v2 nelle coordinate assegnate, scrivere le equazioni di Lagrange del

sistema e risolverle rispetto alle derivate seconde (ossia, metterle in formanormale): i coefficienti dei termini quadratici nella velocita risultano essereproprio i simboli di Christoffel (prestando attenzione ai termini misti, il cuisimbolo di Christoffel e logicamente la meta del coefficiente).Siamo cosı passati dalle equazioni geodetiche alle equazioni di Lagrange. Dal-le conoscenze di meccanica sappiamo che tali condizioni sono condizioni diminimo del funzionale di Hamilton. Passando al formalismo hamiltoniano,

per il principio di Hamilton e minimo anche δZ t1

t0Ldt e dunque δ

Z t1

t0

√Ldt.

Ma d’altra parte:√L =

Ê1

2v2 =

1√2v

e dunque dire che δZ t1

t0

√Ldt e minimo significa dire che e minimo

δ√2

Z t1

t0v dt

o, in definitiva, che e minima la lunghezza s =Z t1

t0v dt, e ci siamo.

Esempio: piano in coordinate polari Ricalcoliamo, alla luce della spie-gazione teorica, le equazioni di Lagrange e i simboli di Christoffel per il pianoin coordinate polari.

ds2 = dρ2 + ρ2θ2

v2 =dsdt

2

= ρ2 + ρ2θ2

Dalla Lagrangiana:

L =1

2v2 =

1

2

dsdt

2

=1

2(ρ2 + ρ2θ2)

si ha che:∂L

∂ρ= ρ;

∂L

∂ρ= ρθ2;

∂L

∂θ= ρ2θ;

∂L

∂θ= 0

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11.4. GEODETICHE COME CURVE DI MINIMA LUNGHEZZA 181

dove l’ultima equazione ci mostra che la Lagrangiana e ciclica in θ; le equa-zioni di Lagrange sono:

ρ :

θ :

8>><>>:dρ

dt− ρθ2 = 0 ρ− ρθ2 = 0

d(ρ2θ)

dt= 0 ρ2θ + 2ρρθ = 0

La prima equazione e gia in forma normale. Per portare in forma normale laseconda equazione basta dividere per ρ2:

θ +2

ρρθ = 0

Dunque abbiamo immediatamente che:

Γρρρ = 0 Γρ

ρθ = 0 Γρθθ = −ρ

Γθρρ = 0 Γθ

ρθ = 1ρ

Γθθθ = 0

in accordo con quanto gia trovato precedentemente.

Esempio: semipiano iperbolico di Poincare. Il semipiano iperbolico diPoincare e un esempio di geometria non euclidea, di varieta riemanniana nonimmersa in cui e violato il postulato delle parallele, poiche non e garantito ilparallelismo di due rette che non si intersecano mai. Definiamo innanzituttotale varieta come l’insieme dei punti (x, y) ∈ R2 tali che y > 0, che e ilsemipiano positivo del piano cartesiano (e dunque le coordinate cartesianesono un sistema globale di coordinate). Cambiamo pero arbitrariamente ladefinizione di distanza su questo piano definendo:

ds2 =dx2 + dy2

y2(11.14)

che e la distanza euclidea pesata, pero, con la distanza dei punti dall’asse x.

Il tensore metrico e

1/y2 0

0 1/y2

; e importante tenere presente che questa

metrica non e indotta da alcuna immersione: il semipiano di Poincare noneredita alcuna nozione di distanza dal piano euclideo (dal momento che talevarieta riemanniana non e immersa).Le geodetiche sono le semirette (o i segmenti) paralleli all’asse y e le semi-circonferenze (o loro archi) aventi centro sull’asse x (si noti che l’asse x non

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182 CAPITOLO 11. GEODETICHE

e incluso nella varieta). Per verificarlo utilizziamo ancora una volta la ca-ratterizzazione delle geodetiche come moto inerziale. Dunque scriviamo leequazioni di Lagrange.

ds2 =dx2 + dy2

y2⇒ v2 =

x2 + y2

y2

L =1

2v2 =

x2 + y2

2y2

La Lagrangiana e ciclica in x. Le sue derivate parziali sono:

∂L

∂x=

x

y2;∂L

∂x= 0;

∂L

∂y=

y

y2;∂L

∂x= − x

2 + y2

y3

e le equazioni di Lagrange sono:

x :

y :

8>><>>:d

dt

xy2

= 0

d

dt

yy2

+x2 + y2

y3= 0

x :

y :

8>><>>:x

y2− 2xy

y3= 0 x− 2

yxy = 0

y

y2+x2 + y2 − 2y2

y3= 0 y +

1

yx2 − 1

yy2 = 0

da cui:Γ1

11 = 0 Γ112 = − 1

yΓ1

22 = 0

Γ211 = − 1

yΓ2

12 = 0 Γ222 = − 1

y

Gia che abbiamo i simboli di Christoffel, calcoliamo la curvatura gaussianaK: dato che abbiamo la prima forma (seppure questa volta non riconducibilealla restrizione di alcun prodotto scalare) cio e possibile. Infatti:

R1212 =

∂Γ121

∂y− ∂Γ1

22

∂x+ Γs

21Γ1s2 − Γs

22Γ1s1 =

1

y2+

1

y2− 1

y2=

1

y2

R1212 = g1sRs212 = g11R

1212 + g12R

2212 =

1

y2

1

y2=

1

y4

K = −R1212

det bI = −1/y4

1/y4= −1

Troviamo dunque che il semipiano di Poincare ha curvatura gaussiana nega-tiva (K = −1): per tale ragione e detto semipiano iperbolico.

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11.4. GEODETICHE COME CURVE DI MINIMA LUNGHEZZA 183

Le geodetiche sono le soluzioni delle equazioni di Lagrange. Le rette

¨x = costy = t

sono soluzioni? Riparametrizziamo la retta in modo tale che abbia velocitacostante. Per far cio calcoliamone la metrica:

ds2 =dx2 + dy2

y2=dt2

t2⇒ ds =

dt

t

e risolvendo l’equazione differenziale, ricaviamo s = ln t, da cui t = es. La ri-

parametrizzazione della retta avente velocita unitaria e dunque:

¨x = costy = es ,

che verifica banalmente la prima equazione di Lagrange e verifica anche laseconda (es + 0− e−se2s = 0). Dunque tale curva e una geodetica. Analoga-mente si puo verificare con le circonferenze aventi centro sull’asse x.Si noti che la lunghezza delle geodetiche e infinita, dal momento che all’av-

Figura 11.1: Geodetiche nel semipiano di Poincare

vicinarsi della curva all’asse x, ds → +∞. Inoltre si nota immediatamenteche la parallela a una geodetica passante per un dato punto non e unica,anzi, ve ne sono infinite (dunque non e verificato il postulato delle parallele).

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184 CAPITOLO 11. GEODETICHE

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Capitolo 12

Il Teorema di Gauss-Bonnet

Il Teorema di Gauss-Bonnet e un teorema riassuntivo che raccorda diversiambiti dello studio delle superfici. Nella sua forma piu generale puo esserevisto come la generalizzazione del Teorema di Euclide1, piu specificatamentesi traduce in una relazione integrale tra la curvatura geodetica di un contornoe la curvatura gaussiana della superficie su cui il contorno e tracciato.

12.1 Curve regolari

Il teorema ha diverse formulazioni; la piu semplice riguarda curve semplici,regolari, senza punti angolosi e contraibili con continuita sino ad un punto.

Teorema 12.1 (Gauss-Bonnet). Se γ e una curva chiusa semplice su una

1Euclide affermava che la somma degli angoli interni di un triangolo e pari a un angolopiatto.

185

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186 CAPITOLO 12. IL TEOREMA DI GAUSS-BONNET

superficie regolare S e A e la superficie racchiusa da tale curva, allora2:Z∂Akg ds = 2π −

ZZAK dA

dove ∂A indica la frontiera di A.

Dimostrazione. Per dimostrare il teorema, facciamo uso della teoria dellabase mobile di Cartan: consideriamo dunque nel piano tangente una baseortonromata (~e1, ~e2, ~N) scorrelata in base alle coordinate. Ovvero, data unasuperficie parametrizzata con (u, v), l’idea e di sostituire alla base di Gauss(~gu, ~gv) una base ortonormata3 e equiorientata, in modo tale che4:

~e1 ∧ ~e2 = ~N = vers(~g1 ∧ ~g2) =~g1 ∧ ~g2√EG− F 2

dove la prima uguaglianza ci assicura la perpendicolarita di (~e1, ~e2, ~N) e laseconda l’equiorientazione.Operare con una base ortonormata semplifica la scrittura delle equazionidi struttura (il corrispettivo delle equazioni di Frenet per le curve). Infatti,la matrice di Cartan delle derivate dei vettori della base mobile sviluppaterispetto alla base stessa deve essere antisimmetrica a causa dell’ortonormalitadella base5. Dunque la diagonale principale deve essere nulla e, in particolare,abbiamo che:8>>>>>><>>>>>>:

∂~e1∂u

= + α~e2 + λ1~N

∂~e2∂u

= −α~e1 + λ2~N

∂ ~N

∂u= −λ1~e1 − λ2~e2

8>>>>>><>>>>>>:∂~e1∂v

= + β~e2 + µ1~N

∂~e2∂v

= −β~e1 + µ2~N

∂ ~N

∂v= −µ1~e1 − µ2~e2

2Si puo anche scrivere: Zγ

kg ds = 2π −ZZ

int(γ)K dA

sostituendo a ∂A la curva γ e, al posto di A, int(γ), intendendo con tale notazione laporzione di superficie interna a γ.

3Cio e sempre possibile mediante, ad esempio, l’ortogonalizzazione di Gram-Schmidt.4Si ricordi che:

‖~gu ∧ ~gv‖ =∂P

∂u∧ ∂P

∂v

=pEG− F 2

5Il ragionamento e del tutto analogo a quello compiuto al paragrafo 3.2.

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12.1. CURVE REGOLARI 187

Le precedenti equazioni definiscono i coefficienti (α, β, λ1, λ2, µ1, µ2): l’idea edi cercare le condizioni di compatibilita a cui tali coefficienti sono vincolati. Ilprocedimento e analogo a quanto fatto per le condizioni di Gauss-Mainardi-Codazzi: imponiamo l’uguaglianza delle derivate seconde miste.

∂2~e1

∂v∂u=∂α

∂v~e2 + α

∂~e2∂v

+∂λ1

∂v~N + λ1

∂ ~N

∂v=

=∂α

∂v~e2 + α(−β~e1 + µ2

~N) +∂λ1

∂v~N − λ1(µ1~e1 + µ2~e2)

∂2~e1

∂u∂v=∂β

∂u~e2 + β

∂~e2∂u

+∂µ1

∂u~N + µ1

∂ ~N

∂u=

=∂β

∂u~e2 + β(−α~e1 + λ2

~N) +∂µ1

∂u~N − µ1(λ1~e1 + λ2~e2)

Dall’uguaglianza di tali quantita ricaviamo che:

∂α

∂v~e2 + µ2

~N +∂λ1

∂v~N − µ2~e2 =

∂β

∂u~e2 + λ2

~N +∂µ1

∂u~N − λ2~e2

e per l’unicita di scrittura di un vettore su una base i coefficienti di ~e2 e di~N devono essere uguali, da cui:8>><>>:

∂α

∂v− ∂β

∂u= λ1µ2 − λ2µ1

∂λ1

∂v− ∂µ1

∂u= βλ2 − αµ2

(12.1)

Il Teorema di Gauss-Bonnet e legato alla prima di queste due equazioni.L’idea e che, per analogia con la la formula (9.3):

∂Γpqj

∂uk−∂Γp

qk

∂uj+ Γl

qjΓplk − Γl

qkΓplj = aqkb

pj − aqjb

pk

la prima equazione del sistema (12.1) potrebbe avere lo stesso significatodell’equazione di compatibilita di Gauss. Il confronto tra le due suggerisceche ∂α

∂v− ∂β

∂upotrebbe rimandare al tensore di Riemann mentre invece il

termine λ1µ2 − λ2µ1 potrebbe essere una misura della curvatura gaussianadella superficie (studiata da un punto di vista estrinseco, mediante il variare

della normale ~N).Punto 1: formula della curvatura gaussiana. Riscriviamo lo sviluppo dellederivate della normale sulla base mobile:

∂ ~N

∂u= −λ1~e1 − λ2~e2

∂ ~N

∂v= −µ1~e1 − µ2~e2

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188 CAPITOLO 12. IL TEOREMA DI GAUSS-BONNET

e ricordiamo le equazioni di Weingarten6

∂ ~N

∂u= −S1~gu − S2~gv

∂ ~N

∂v= −S3~gu − S4~gv

Calcoliamo in entrambi i casi il prodotto scalare∂ ~N

∂u∧ ∂ ~N

∂v:

∂ ~N

∂u∧ ∂ ~N

∂v= (λ1µ2 − λ2µ1)~e1 ∧ ~e2 = (λ1µ2 − λ2µ1) ~N

∂ ~N

∂u∧ ∂

~N

∂v= (S1S4− S2S3)~gu ∧~gv = detS · ‖~gu ∧~gv‖ · ~N = K

√EG− F 2 · ~N

Dunque, dal confronto, otteniamo che:

λ1µ2 − λ2µ1 = K√EG− F 2 (12.2)

e quindi λ1µ2−λ2µ1 e una misura intrinseca la curvatura gaussiana. L’equa-zione di compatibilita

∂α

∂v− ∂β

∂u= K

√EG− F 2 (12.3)

e quindi una sorta di riformulazione del Theorema Egregium.Punto 2: formula della curvatura geodetica. Rispetto alla base mobile, ilversore tangente a γ e il suo complemento ortogonale sul piano tangente~N ∧ ~t hanno espressione:

~t = cos θ~e1 + sin θ~e2

~N ∧ ~t = − sin θ~e1 + cos θ~e2

con θ angolo individuato dal versore ~e1 e il versore ~t tangente alla curva. Lacurvatura geodetica di γ e vincolata dalla formula:

~k =d~t

ds= kN

~N + kg( ~N ∧ ~t) + 0 · ~t

6Si ricordi che i termini blk non erano altro che gli elementi della matrice dell’operatore

di forma S =

S1 S3

S2 S4

, con l indice di riga e k indice di colonna.

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12.1. CURVE REGOLARI 189

dal momento che la derivata del versore tangente non ha componenti sulversore stesso; e dunque:

kg = ( ~N ∧ ~t ) · d~t

ds=

= (− sin θ~e1 + cos θ~e2) ·cos θ

d~e1ds

+ + sin θd~e2ds

+dθ

ds(− sin θ~e1 + cos θ~e2)

=

=dθ

ds− sin θ cos θ~e1 ·

d~e1ds

+ cos2 θ~e2 ·d~e1ds

− sin2 θ~e1 ·d~e2ds

+ sin θ cos θ~e2 ·d~e2ds

=

=dθ

ds+ cos2 θ~e2 ·

d~e1ds

− sin2 θ~e1 ·d~e2ds

=

=dθ

ds− ~e1 ·

d~e2ds

=

dove la penultima uguaglianza vale per la perpendicolarita di ~ei ed~ei

ds, mentre

l’ultima uguaglianza vale dal momento che ~e1 ·d~e2ds

= −~e2 ·d~e1ds

(fatto che si

deduce dalla regola di Leibniz applicata sul prodotto scalare nullo ~e1 · ~e2).

Ma allora, ricordandoci ched~e2ds

=d~e2ds

(u, v):

kg =dθ

ds− ~e1 ·

∂~e2∂u

∂u

∂s+∂~e2∂v

∂v

∂s

=

=dθ

ds+ ~e1 ·

(−α~e1 + λ2

~N)∂u

∂s+ (−β~e1 + µ2

~N)∂v

∂s

e dunque:

kg =dθ

ds+ α

∂u

∂s+ β

∂v

∂s(12.4)

Per le curve nel piano avevamo definito la curvatura di una linea (che inquesto caso coincide, logicamente, con la curvatura geodetica, non essendocialcuna curvatura normale) come k = dθ

ds. La formula (12.4) e la naturale

estensione alle superfici - il “prezzo da pagare” e l’utilizzo della base mobile:non sarebbe possibile ottenere un risultato analogo con una base fissa.Punto 3: Teoremi di Green e Hopf. Possiamo facilmente riscrivere le dueformule fondamentali (12.3) e (12.4) come7:∂β

∂u− ∂α

∂v

dudv = −K

√EG− F 2 dudv = −K dA

αdu+ βdv = kgds− dθ

(12.5)

7Si ricordi che√

EG− F 2 dudv e l’elemento infinitesimo di area.

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190 CAPITOLO 12. IL TEOREMA DI GAUSS-BONNET

Dall’analisi, sappiamo che il Teorema di Green mette in relazione le gran-dezze ai primi membri del sistema del sistema. Infatti, detta A la superficieracchiusa dalla curva γ (orientanta positivamente):Z

∂Aα du+ β dv =

ZZA

∂β∂u

− ∂α

∂v

dudv (12.6)

Ma allora, naturalmente:Z∂Akg ds− dθ = −

ZZAK dA (12.7)

o ancora: Z∂Akg ds =

Z∂Adθ −

ZZAK dA (12.8)

Inoltre, per il Teorema di Hopf, se la curva γ e semplice e contraibile concontinuita ad un punto, allora facendo ruotare il vettore tangente alla curvasu tutta la curva, alla fine del giro, tale vettore e ruotato di un angolo paria 2π; o, in simboli: Z

+γdθ = 2π (12.9)

dove con +γ si intende la curva γ orientata positivamente. Ricordandoci cheγ = ∂A, possiamo inserire tale risultato nell’equazione (12.8), ottenendo latesi.

Si noti che la tesi del Teorema di Gauss-Bonnet mette in relazione lacircuitazione di kg sul contorno γ e il flusso della curvatura gaussiana K.

12.2 Estensione: curve con punti angolosi

Estendiamo ora il teorema al caso di curve con punti angolosi. Se infattiprima su una curva senza spigoli il vettore tangente, in una giro completo,descriveva un angolo pari all’angolo giro, nel caso in cui la curva abbia puntidi non derivabilita, tale risultato non vale piu. In corrispondenza di ognipunto angoloso, infatti, il vettore tangente compira un certo “salto” (fig.12.1). Chiamiamo δk l’angolo esterno del “salto” in corrispondenza dell’k-esimo punto angoloso. L’enunciato del Teorema di Hopf, sotto queste ipotesi,va rivisto nel modo seguente:

nXk=1

δk +Z+γdθ = 2π (12.10)

ove n e il numero dei punti angolosi. Al primo membro la sommatoria rendeconto della curvatura concentrata ai vertici (dei “salti”), l’integrale invece

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12.2. ESTENSIONE: CURVE CON PUNTI ANGOLOSI 191

Figura 12.1: Curva con un punto angoloso

rende conto della curvatura distribuita lungo γ. Se la curva non e semplice,allora, l’enunciato del Teorema di Gauss-Bonnet va corretto nel seguentemodo: Z

∂Akg ds = 2π −

nXk=1

δk −ZZ

AK dA (12.11)

Infinte, se invece degli angoli esterni δk consideriamo i loro corrispondendiangoli interni αk, si ha che, naturalmente:

δk = π − αk

e dunque:nX

k=1

δk =nX

k=1

(π − αk) = nπ −nX

k=1

αk

da cui, l’enunciato del Teorema di Gauss-Bonnet diventa:Z∂Akg ds = (2− n)π +

nXk=1

αk −ZZ

AK dA (12.12)

Esempio: poligonali geodetiche.

Definizione 12.1. Chiamiamo poligonali geodetiche le figure il cui contornoe una curva chiusa γ a tratti costituito da geodetiche.

Consideriamo ad esempio un triangolo geodetico sulla sfera, per fissarele idee il triangolo corrispondente alla parte di sfera che si trova nel pri-mo ottante. Esso ha tre punti angolosi, e in corrispondenza di tali pun-ti il vettore tangente descrive dei “salti”. Per misurare gli angoli di que-sti “salti” dovremmo servirci della nozione di prodotto scalare sulla sfera;tuttavia sappiamo che tale prodotto scalare e indotto dal prodotto scala-re euclideo. Osserviamo dunque immediatamente che in corrispondenza di

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192 CAPITOLO 12. IL TEOREMA DI GAUSS-BONNET

Figura 12.2: Teorema di Gauss-Bonnet per il triangolo geodetico su S2

ogni “spigolo” il vettore tangente compie una rotazione di un angolo retto(∀k ∈ 1, 2, 3 αk = δk = π/2). Sommando i tre “salti” otteniamo che:

3Xk=1

αk =3

Notiamo che dunque la somma degli angoli interni non e piu pari a π (teoremadi Euclide), bensı esiste un eccesso (in questo caso di π/2 legato all’area deltriangolo geodetico. Il teorema di Gauss-Bonnet ci fornisce appunto il legametra quest’eccesso e l’area della figura racchiusa dalla curva. Dato che le curvesono tutte geodetiche, kg = 0, e dunque (per Gauss-Bonnet):ZZ

AK dA+ (n− 2)π =

nXk=1

αk (12.13)

Questo risultato vale per ogni poligonale geodetica; se consideriamo il casodi un triangolo piano, K = 0, n = 3, ritroviamo il Teorema di Euclide:nX

k=1

αk = π. Se invece consideriamo il caso del triangolo geodetico sulla sfera,

K 6= 0, e dunque esiste un eccesso che dipende dall’area della poligonalegeodetica.

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12.2. ESTENSIONE: CURVE CON PUNTI ANGOLOSI 193

Esempio: geodetiche nel semipiano di Poincare. Cosa accade persuperfici a curvatura negativa? Consideriamo l’esempio gia discusso del se-mipiano di Poincare, in cui le geodetiche erano i segmenti verticali e gli archidi circonferenze aventi centro sull’asse x. In questo caso (diversamente dallasfera), la metrica del semipiano non e indotta dalla metrica euclidea (infatti

si ha che ds =dx2 + dy2

y2). Tuttavia, pur non essendo uguale alla metrica

euclidea, la metrica del semipiano di Poincare e conforme ad essa, inten-dendo che e ad essa proporzionale: ds2 = λ(x, y)(dx2 + dy2). Cio implica chela valutazione delle distanze differira di un fattore λ, mentre inevitabilmentegli angoli saranno preservati. Possiamo cosı utilizzare la metrica euclidea permisurare gli angoli nel semipiano di Poincare.

Consideriamo allora la seguente poligonale geodetica (fig. 12.3): la se-

Figura 12.3: Teorema di Gauss-Bonnet nel semipiano di Poincare

micirconferenza di raggio 1 avente centro in (3, 0), il segmento verticale dilunghezza 2 spiccato dal punto (2, 0) e infine l’arco di circonferenza che uni-sce i punti (2, 2) e (4, 0). Abbiamo che, in questo caso, due dei tre angoliinterni dei salti sono nulli, mentre uno vale π/2 (precisamente quello tra il

segmento e la circonferenza piu esterna). Dunque3X

k=1

αk =π

2e in questo caso

abbiamo che la somma di angoli interni e minore di π. Dunque, dal Teoremadi Gauss-Bonnet abbiamo che:Z

AK dA+ π =

π

2

o anche, ricordandoci che K = −1 e che dA e l’elemento infinitesimo di area:ZA

√EG− F 2 dudv =

π

2

che e la relazione che lega la circuitazione della curvatura geodetica sulcontorno e il flusso di K.

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194 CAPITOLO 12. IL TEOREMA DI GAUSS-BONNET

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Indice

I Geometria delle curve 3

1 Curve nel piano 5

1.1 Definizione e primi esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

1.1.1 Curve parametrizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

1.1.2 Curve date per equazione . . . . . . . . . . . . . . . . 6

1.2 Lunghezza di una curva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

1.2.1 Parametro arco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

1.3 Curvatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

1.3.1 Calcolo di k con la parametrizzazione naturale . . . . . 15

1.3.2 Calcolo di k con parametrizzazione arbitraria . . . . . 16

1.4 Formule di Frenet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

1.5 Teorema fondamentale di Bonnet (caso piano) . . . . . . . . . 21

2 Evoluta, evolvente e inviluppo 25

2.1 Evoluta ed evolvente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.1.1 Equazione vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

2.1.2 Proprieta dell’evoluta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

2.1.3 Equazioni parametriche . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

2.2 Inviluppo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

3 Curve nello spazio 37

3.1 Da E2 a E3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

3.2 Il triedro di Frenet: curvatura e torsione . . . . . . . . . . . . 38

3.2.1 Calcolo di k(s) e t(s) con la parametrizzazione naturale 41

3.2.2 Calcolo di k(s) e t(s) con parametrizzazione arbitraria 42

3.3 Teorema fondamentale di Bonnet (nello spazio) . . . . . . . . 48

3.4 Equazioni canoniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49

195

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196 INDICE

II Geometria locale delle superfici in E3 53

4 Introduzione 554.1 Tratti generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 554.2 Analisi introduttiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

4.2.1 Superfici e parametrizzazioni . . . . . . . . . . . . . . . 564.2.2 Piano tangente e base naturale . . . . . . . . . . . . . 574.2.3 Composizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 584.2.4 Indipendenza del piano tangente dalla parametrizzazione 59

5 Prima forma fondamentale 615.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 615.2 Applicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62

5.2.1 Velocita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 625.2.2 Distanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 635.2.3 Area . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64

6 Curvatura e seconda forma 696.1 Metodo euleriano: curvatura normale e curvatura gaussiana . 696.2 Seconda forma fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

6.2.1 Calcolo dei coefficienti di II in notazione scalare . . . . 756.2.2 Curvatura normale per parametrizzazione arbitraria . . 776.2.3 Calcolo della curvatura gaussiana . . . . . . . . . . . . 816.2.4 Curvatura media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 846.2.5 Calcolo delle curvature principali . . . . . . . . . . . . 856.2.6 Proprieta di invarianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86

6.3 Metodo gaussiano: operatore di forma . . . . . . . . . . . . . 876.3.1 Mappa di Gauss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 876.3.2 Operatore di forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

6.4 Metodo tayloriano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 946.5 Cenno alla terza forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99

III Geometria intrinseca delle superfici 101

7 Introduzione 1037.1 Estrinsecita e intrinsecita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103

8 Condizioni di compatibilita 1058.1 Condizioni di Gauss-Mainardi-Codazzi . . . . . . . . . . . . . 1058.2 Equazioni di Gauss-Weingarten . . . . . . . . . . . . . . . . . 106

8.2.1 Analogia: rotore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111

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INDICE 197

9 Il Theorema Egregium 115

9.1 Tensore di Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115

9.1.1 Struttura delle condizioni di risolubilita . . . . . . . . . 115

9.1.2 Significato del tensore di Riemann . . . . . . . . . . . . 117

9.2 Calcolo dei coefficienti di Gauss-Weingarten . . . . . . . . . . 118

9.2.1 Tavola riassuntiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128

9.3 Dimostrazione del Theorema Egregium . . . . . . . . . . . . . 128

9.3.1 Formula di Brioschi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130

9.4 Perche “tensore”? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139

9.4.1 Il problema delle parametrizzazioni . . . . . . . . . . . 139

9.4.2 A cosa serve il calcolo tensoriale? . . . . . . . . . . . . 146

9.4.3 Interpretazione moderna . . . . . . . . . . . . . . . . . 148

IV Parallelismo superficiale e geodetiche 151

10 Parallelismo 153

10.1 Dal caso piano al caso generale . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

10.1.1 Caso piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153

10.1.2 Caso generale: derivata covariante . . . . . . . . . . . . 154

10.2 Procedimenti di derivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158

10.2.1 Assiomi di Koszul . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158

10.2.2 Derivazione covariante alla Koszul . . . . . . . . . . . . 160

10.2.3 Derivazione covariante alla Levi-Civita . . . . . . . . . 161

10.3 Parallelismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162

10.3.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162

10.3.2 Trasporto per parallelismo . . . . . . . . . . . . . . . . 162

10.4 Dipendenza del trasporto dalla curva . . . . . . . . . . . . . . 166

10.4.1 Condizione di teleparallelismo . . . . . . . . . . . . . . 167

11 Geodetiche 171

11.1 Definizioni e esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171

11.2 Geodetiche come moti inerziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172

11.2.1 Conseguenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173

11.2.2 Geodetiche e parallelismo . . . . . . . . . . . . . . . . 174

11.3 Geodetiche come curve di curvatura nulla . . . . . . . . . . . . 175

11.3.1 Curvatura geodetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175

11.4 Geodetiche come curve di minima lunghezza . . . . . . . . . . 178

11.4.1 Equazioni di Lagrange . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179

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198 INDICE

12 Il Teorema di Gauss-Bonnet 18512.1 Curve regolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18512.2 Estensione: curve con punti angolosi . . . . . . . . . . . . . . 190

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Bibliografia

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