Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana “Santa Caterina da Siena” Laurea triennale in Scienze Religiose L’ordine cistercense: origini e ideali di riforma. studente: VALENTINA BANDINI, matricola: LR17161 Relatore: Prof. Flavio Belluomini. Correlatore: Prof. Roberto Fornaciari. Pisa Anno Accademico 2019/2021
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L’ordine cistercense: origini e ideali di riforma.
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Istituto Superiore di Scienze Religiose della
Toscana
“Santa Caterina da Siena”
Laurea triennale in Scienze Religiose
L’ordine cistercense: origini e ideali di riforma.
studente: VALENTINA BANDINI, matricola: LR17161
Relatore: Prof. Flavio Belluomini.
Correlatore: Prof. Roberto Fornaciari.
Pisa
Anno Accademico 2019/2021
ii
INDICE
Introduzione pag. 1
1. Uno sguardo sulle riforme dell’XI secolo
2. Le Origini dell’Ordine cistercense nel contesto riformatore
3. Gli ideali originari e la Charta Caritatis nel contesto dei testi
legislativi dell’Ordine
Conclusioni pag. 28
Bibliografia pag. 30
Ringraziamenti pag. 32
1
INTRODUZIONE
La scelta di questo argomento prende origine da un’esperienza personale che
mi ha portato ad incontrare le monache Trappiste di Valserena. Non conoscevo né
il posto né l’Ordine quindi tutto mi sembrava strano e particolare: la clausura, la
loro operatività, il fatto che producono olio ed ortaggi, che abbiano un laboratorio
di cosmesi e siano autosufficienti economicamente ed anche che non solo offrono
ospitalità a chiunque bussi alla loro porta chiedendo solo un’offerta secondo la
possibilità di ognuno. Altra cosa strana per me era la liturgia:1 loro pregano sette
volte al giorno, si svegliano alle tre del mattino e tutta la loro giornata è scandita
dal suono della campana che chiama appunto alla preghiera. Nel tempo
intermedio tra una preghiera e l’altra lavorano o studiano per cui la loro giornata è
piena ma improntata anche sul lavoro manuale che diviene così parte integrante
della preghiera.
Tutto questo per me era nuovo e inusuale visto che non è facile incontrare tutti
i giorni e da vicino una realtà del genere. Col passare del tempo e delle mie
frequentazioni conobbi anche alcune di loro, tra cui suor Patrizia e parlando con
lei e ascoltandola capii che il loro approccio alla fede e alla spiritualità era diverso
da quello che avevo conosciuto sino a quel momento non solo ma Patrizia, donna
colta e intelligente, ha fatto sì che mi appassionassi alla storia dell’Ordine. Anzi
Lei, e tutta Valserena, hanno fatto sì che indirizzassi la scelta della mia tesi verso
la storia dell’Ordine cistercense dal momento che la loro vita e il loro approccio
alle problematiche sia spirituali sia pratiche, hanno fatto sorgere in me domande
quali: chi sono queste monache? Qual è la storia del loro Ordine? Su quali principi
è nato? Durante il suo sviluppo come è cambiato? Quali fattori hanno fatto sì che
si evolvesse? E infine quali problematiche ha dovuto affrontare l’Ordine nell’XI e
nel XII secolo? Con quali mezzi vi è riuscito?
Per dare una risposta a queste domande ho iniziato il mio approfondimento a
partire dal contesto generale dei secoli X e XI, nel quale si evidenzia come lo
1 La liturgia a cui mi riferisco è soprattutto quella espressa dal canto gregoriano ormai così difficile
da ascoltare in comunità che non siano quelle monastiche e che esprime con la sua potente carica
espressiva una particolarità irripetibile.
2
spirito riformatore pervadesse ogni ambito della società; da questo spirito
riformatore ebbero origine vari movimenti, spesso disomogenei tra loro, ma che in
qualche modo riuscirono ad influenzarsi gli uni gli altri, fino ad arrivare alla
nascita dei cistercensi i quali si vollero differenziare in modo particolare dai
cluniacensi. Questo è uno dei tratti che ho voluto sottolineare nel corso del mio
lavoro.
Il filo conduttore delle tematiche che ho cercato di sviluppare riguarda proprio
la volontà riformatrice che ha portato alla nascita dell’Ordine cistercense e al suo
successivo sviluppo. Questo spirito riformatore è rimasto immutato o ha avuto dei
cambiamenti causati dalle condizioni storiche, politiche e sociali? Quanti di quei
sentimenti iniziali sono perdurati e hanno mantenuto la propria forza durante i
secoli XI e XII?
Più leggevo e mi addentravo nella conoscenza della storia dell’Ordine più ne
ero appassionata anche perché la mia interlocutrice, suor Patrizia, aveva scritto
diversi articoli sul tema pubblicati sulla Rivista “Vita Nostra” e poi condivisi a
livello più ampio. Questo intenso scambio alimentava sempre di più il bisogno di
un approfondimento visto che le domande invece di diminuire aumentavano e non
si collocavano solo su un piano di spiritualità ma si incarnavano su di un piano
storico che le rendeva pienamente affascinanti. In realtà durante lo sviluppo di
questo lavoro mi sono accorta che i due piani, quello spirituale e quello storico e
concreto, sono sempre più risultati sinergici tanto da fondersi l’uno nell’altro.
Questo modesto contributo perciò desidera offrire qualche ulteriore spunto di
riflessione tenuto conto della vastità dell’argomento e della difficoltà di attingere
a documenti più ampi.
3
Capitolo primo
UNO SGUARDO SULLE RIFORME DELL’XI SECOLO
I secoli X e XI conobbero profondi mutamenti a livello economico e culturale
e, contemporaneamente, furono pervasi da una spiritualità nuova2 che
trasversalmente, toccò molti settori della societas christiana.
Si assiste ad un lento ma inesorabile indebolimento del potere imperiale a
causa della vastità dei territori dell’impero di cui è divenuto difficile il controllo.
Si determina così contemporaneamente la disgregazione delle istituzioni
politiche ed ecclesiastiche, favorendo l’insorgere di una varietà di privilegi
signorili le cui cariche pubbliche divengono pian piano ereditarie dando vita al
fenomeno dell’incastellamento.
L’ordinamento ecclesiastico, privo dell’effettivo potere imperiale, visse un
momento di crisi istituzionale che si ripercuoteva sulla vita spirituale. Nell’XI
secolo si cominciò a sentire la necessità di procedere a riforme effettive che
intervenissero per rinnovare la vita della chiesa e delle sue istituzioni. Le varie
correnti spirituali avrebbero preso di mira soprattutto la simonia (compravendita
di cariche ecclesiastiche) ed il nicolaismo (avversione del clero per il celibato) alla
base delle quali vi era il basso livello culturale e morale del clero.
Prelati, i canonici delle cattedrali e gli abati delle abbazie più ricche, erano
spesso reclutati con metodi che, in seguito, potranno essere visti quasi come frutto
di corruzione.
2 Cfr. VIOLANTE C., La pataria milanese e la riforma ecclesiastica, I: Le premesse (1045-1057),
Roma 1955 (Studi storici, 11-13), p. 103.
4
La Chiesa cercò di intervenire in queste situazioni con concili provinciali che
comminando ammende o sanzioni più gravi a tutti coloro che venivano giudicati
colpevoli.
È in questo clima pieno di contraddizioni che si possono ritrovare, insieme agli
abusi più scandalosi, i segni dei primi movimenti riformatori.
Le varie riforme che procedevano nel desiderio di un rinnovamento della vita
della chiesa erano differenti tra loro e spesso contrastanti ma trovarono un
momento di coagulo quando Enrico III di Franconia (asceso al trono di Germania
nel 1039), dimostrò la sua volontà riformatrice cercando di prendere sotto la sua
tutela le riforme, intervenendo anche nel papato romano.
Enrico III, spinto dalla tradizione germanica del X secolo che gli apriva la
prospettiva di succedere anche nel regno italico, scese a Roma, convocò un
concilio a Sutri (1046). Con questo sinodo fece destituire i tre contendenti al trono
papale, eleggendo poi un riformatore Clemente II.
L’operato dell’ormai imperatore – Clemente infatti procedette
all’incoronazione di Enrico- attirò a sé le lodi di Pier Damiani: «l’insigne eremita
ravennate di tradizione romualdina, grande zelatore di una purificazione del clero
dai vizzi e dall’avarizia»3, e i consensi degli ambienti religiosi sensibili al primato
ecclesiale. Infatti Enrico III aveva preso su di sé quei movimenti di riforma che
già si erano originati agli inizi del XI secolo, tra cui possiamo includere quello
eremitico e quello monastico4.
Il monachesimo fu pervaso da un forte spirito rinnovatore dove riemerse con
vigore la riflessione, già elaborata in precedenza, sull’idea della somiglianza tra la
comunità degli apostoli di Gesù e le comunità dei monaci, l’idea cioè di una
chiesa delle origini a cui si dovesse guardare, per soddisfare le istanze di
rinnovamento che venivano dalla societas, la quale ormai aveva sempre più
coscienza della dimensione storica grazie alla riscoperta della filosofia, del diritto
e delle scienze del mondo antico5.
Quest’ideale fu fatto proprio da tutti coloro che provavano insoddisfazione
verso le forme cenobitiche tradizionali.
3 G. TABACCO, Il cristianesimo latino altomedioevale, in G. FILORAMO E D. MENOZZI La Terza,
Storia del cristianesimo, II, Bari, 20115, 93.
4 Cfr. IBIDEM, 91-93.
5 Cfr. A. RAPETTI, storia del monachesimo medievale, il Mulino, Bologna, 2020, 94.
5
Infatti coloro che proponevano le riforme credevano che tre forme di vita
aderissero meglio a questo ideale: la vita eremitica che, in molti casi, non
escludeva il cenobio; la «vita apostolica», che doveva riflettere la chiesa primitiva,
in cui la povertà, la condivisione, la preghiera comune e in ultimo
l’evangelizzazione propria delle forme di vita di tipo canonicale. Il monachesimo
doveva avere come faro e testo normativo la regola di San Benedetto 6.
Per servire i bisogni spirituali dell’impero, già Carlomagno (768 – 814), aveva
cercato di uniformare l’osservanza monastica. Grazie alla collaborazione e
all’opera di Benedetto di Aniane (ca 750-821) «un monaco che proveniva dal sud
e divenuto zelante nella stretta osservanza della regola benedettina»7, e Ludovico
il Pio, successore di Carlomagno, la Regola venne fatta rispettare con un atto
d’imperio in tutti i monasteri carolingi.
Fu così che nell’IX secolo la Regola di san Benedetto divenne l’unico modello
di osservanza monastica, per tutto l’Occidente, anche se la crescente distanza dalla
sua epoca d’origine renderà necessario l’integrazione mediante i diversi testi delle
Consuetudines8.
Da questo fenomeno riformatore nacque un luminoso esempio come Cluny
(910) che infatti integrò, durante il suo sviluppo, un ampio corpus di
consuetudines, che ampliava soprattutto l’importanza della celebrazione degli
uffici divini, sacrificando elementi importanti della Regola, come il lavoro.
Questo fu proprio uno dei motivi per cui si attirò le aspre critiche di uno degli
altri movimenti riformatori nati nell’XI secolo ovvero Citeaux 9.
Da questo nuovo fervore riformista, diffuso ormai in tutto l’Occidente si
sviluppò una forte tendenza eremitica, che considerava il monachesimo eremitico
appunto, superiore a quello cenobitico, visto quasi come una tappa preparatoria
alla scelta della completa solitudine.
L’ideale eremitico così si istituzionalizzò entro precise strutture ed anche la
chiesa stessa ne favorì l’espansione e la diffusione, superando l’iniziale
diffidenza.
Vi erano infatti uno stretto collegamento tra le correnti
radicalmente eremitiche e il moto di riforma istituzionale della
6 Cfr. IBIDEM, 94-96.
7 C. H. Lawrence, Il monachesimo medievale, San Paolo, Milano, 1993, 115.
8 G. PENCO, Cîteaux e il monachesimo del suo tempo, Milano, Jaca Book, 1994, 22.
9 IBIDEM, 22-23.
6
chiesa: molti degli eremiti di queste prime generazioni si
impegnarono personalmente e a fondo in favore del rinnovamento
del clero. Dall’isolamento degli eremi, molti uomini manifestarono
una forte volontà di intervenire sia nella società laica sia nella vita
ecclesiastica, per correggere le deviazioni religiose e morali,
utilizzando anche lo strumento della libellistica polemica10
.
Camaldoli fu fondata da Romualdo, un adulto convertitosi alla vita ascetica.
Entrato in un primo tempo nel monastero di Sant’ Apollinare in Classe a Ravenna,
dopo aver sperimentato che la vita che vi si conduceva non rispecchiava a pieno il
suo desiderio, ne uscì e affrontò svariate esperienze eremitiche fino ad arrivare
appunto a Camaldoli nella foresta casentinese dove nel il 1023 fondò un eremo
con l’aiuto dell’ordinario del luogo.
Altro centro tra i più famosi del movimento eremitico, fu poi l’eremo di Santa
Croce Fonte Avellana, di cui fu priore Pier Damiani (1007-1072), uno dei
principali esponenti della corrente riformatrice eremitica dell’XI secolo,
idealmente discepolo di Romualdo pur non essendosi mai incontrati
personalmente. Pier Damiani diede vita ad altri eremi e monasteri in Emilia, in
Toscana, Umbria e Veneto, fino a formare una congregazione riconosciuta da
Pasquale II nel 1113.
Pier Damiani dette ulteriore impulso alla diffusione e organizzazione della vita
eremitica, proseguendo idealmente l’opera iniziata da Romualdo.
La sua reputazione e la sua penna, che sapeva usare con grande
forza, procurarono a Pier Damiani amici nel gruppo dei riformatori
alla corte papale. Divenne amico e corrispondente del cardinale
Umberto da Silva Candida, dell’arcidiacono Ildebrando e di Ugo di
Cluny, e benché prendesse le distanze dalla ierocratica dottrina
politica di Ildebrando, egli giocò una parte attiva nella campagna
contro la simonia e il matrimonio del clero11
.
Lo stesso tipo di fervore diede origine al monastero di Vallombrosa il cui
fondatore fu Giovanni Gualberto, anch’egli fuoriuscito per insoddisfazione da un
monastero cluniacense fiorentino.
Vallombrosa era un monastero di tipo cenobitico nel quale si seguiva
letteralmente la regola benedettina; l’isolamento veniva mantenuto grazie ai
fratelli laici, monaci a tutti gli effetti che però non condividevano i doveri del coro
ma amministravano il monastero a livello economico.
10
A. RAPETTI, Storia del monachesimo medievale, il Mulino, Bologna, 2020, 98. 11
C. H. Lawrence, Il monachesimo medievale, San Paolo, Milano, 1993, 208.
7
Come abbiamo già accennato, dalla corte imperiale di Enrico III venne un forte
impulso di rinnovamento alle istituzioni ecclesiastiche, con- in particolare-
un’intensa lotta alla simonia, perché proprio dagli ambienti imperiali provenivano
i vescovi e gli abati in grado di ridare efficacia al sistema riformatore, proponendo
interventi adeguati. Anche l’aristocrazia fu investita da questo movimento tanto
da non voler più conservare i propri monasteri in una forma di cenobitismo
tradizionale contrario alla riforma, e da invocare.
L’intervento degli specialisti della vita monastica, quali certamente
furono personaggi come Romualdo di Ravenna, Pier Damiani o
Giovanni Gualberto, che a loro volta nelle aristocrazie disperse nel
regno italico trovarono il principale sostegno ai loro disegni di
rigenerazione del monachesimo12
.
Pertanto possiamo osservare che le varie riforme si intrecciarono non
raggiungendo sempre più forme omogenee.
Un altro interessante movimento riformatore dell’XI secolo che, nato in
Germania, arrivato in un secondo momento in Francia e solo in ultimo in Italia, ci
aiuta a comprendere quanto -in un panorama di estrema varietà di esperienze
istituzionali- all’interno del nuovo monachesimo italico si collochi anche una
profonda differenza, sia sul piano teologico che pratico, fu quello dei Certosini.
La loro nascita però denota anche una forte crisi del cenobitismo; infatti i
Certosini, a cui diede inizio Brunone di Colonia (1027), evidenziano come fosse
presente un sentimento di completo rifiuto del monachesimo precedente, perché vi
era una «volontà di fuggire il mondo per lo schifo che le sue bruttezze
suscitavano»13
ed in una lettera scritta a Rodolfo il Verde Brunone insiste
sull’eremo e non accenna minimamente ad alcuna forma di esperienza cenobitica,
anzi non sembra neanche sia stato influenzato da grandi maestri come Cassiano o
Benedetto. I Certosini infatti erano legati da un sentimento fraterno e non da
regole o costituzioni come poteva essere la Regola di San Benedetto.
Ma fu Guigo du Pin il vero architetto dell’ordine, che nel 1109, tre anni dopo il
suo arrivo eletto priore con la sua vasta cerchia di amici (che comprendeva tra gli
altri Bernardo e Pietro il Venerabile) fece conoscere l’ordine. Grazie a questo i
Certosini crebbero e si conformarono ad una struttura più istituzionalizzata,
12
IBIDEM,208-209. 13
Cfr. R. MANSELLI, Certosini e Cistercensi, in Il monachesimo e la riforma ecclesiastica.
Atti della quarta Settimana internazionale di studio: Mendola, 23-29 agosto 1968, Milano,
Vita e Pensiero, 1971, 82.
8
adottando anche delle consuetudini prese dalla Regola di San Benedetto. A mano
a mano però che l’ordine cresceva assunse alcuni tratti caratteristici dei
Cistercensi come ad esempio il capitolo generale14
.
Resta il fatto che la Certosa fu l’unica ad aver trasformato con
successo l’ideale del deserto nella forma di un’istituzione
permanente: essa non conobbe rilassatezze né compromise il suo
caratteristico modello di vita, così che alla fine del Medioevo non
ci fu bisogno dell’attenzione dei riformatori15
.
La riforma poi raggiunse anche il clero, visto che nella prima metà dell’XI
secolo era fortemente sentito il valore della spiritualità personale in relazione alla
morale.
Le critiche più accese furono verso la nomina dei chierici da parte dei laici,
cosa che fino ad ora era stata normale con un duro attacco alla simonia e alla
decadenza dei loro costumi.
In questo contesto fu significativa l’esperienza delle canoniche dei chierici che
conducevano vita comune. I riformatori cercarono di mettere fine alla
secolarizzazione degli uffici ecclesiastici, tentando di ridare uno spirito morale al
clero e si pensò che la vita comune fosse la via migliore per raggiungere questi
obiettivi perché era espressione della vita apostolica delle prime comunità
descritte negli Atti degli Apostoli.
La fallimentare esperienza della vita comune del clero nelle diocesi, fu una
delle cause che portarono alla nascita dei canonici regolari, la cui forma di vita di
stampo monastico, adottò la regola Agostiniana: voto di povertà, di castità, di
obbedienza.
Nell’XI si formeranno case di canonici: gruppi di membri del clero che
vivevano insieme osservando l’organizzazione monastica della giornata,
condividendo coro, refettorio e dormitorio, rinunciando a qualsiasi forma di
proprietà privata. Questo modello di vita era supportato e incoraggiato da molti
vescovi e coinvolse anche i capitoli cattedrali, che spesso decideranno
autonomamente di trasformarsi in una comunità di canonici, mentre altre volte vi
si opporranno fortemente quando ciò nascerà dalla proposta di un vescovo
riformatore. Nonostante ciò i canonici ebbero un significativo sviluppo, grazie
all’appoggio dei vescovi che li vollero “omologare” alle comunità propriamente
14
Cfr. C. H. Lawrence, Il monachesimo medievale, San Paolo, Milano, 1993, 214-215. 15
IBIDEM, 215.
9
monastiche, restringendo la loro attività di predicazione. La loro vocazione però si
espresse soprattutto nel campo dell’istruzione dove i canonici si impegnarono in
particolar modo nell’insegnamento universitario16
.
Se parliamo di riforma, non possiamo non ritornare a citare Cluny che fino al
papato di Leone IX, con la sua poderosa rete di monasteri sparsi in tutta Europa,
fu il centro propulsivo della riforma.
Con Leone IX (1048) la riforma infatti inizia ad avere la sua centralità a Roma,
perché egli vi crea un collegio cardinalizio17
, composto da riformatori, che
detteranno le linee guida delle azioni riformatrici future il che determinerà il fatto
che Cluny perdesse gran parte della sua influenza sulla riforma monastica18
.
Come abbiamo già accennato parlando della nascita di Citeaux, fin dalle origini
con la Carta Caritatis dell’Ordo, emanata da Stefano Harding, si pone in forte
contrasto con l’ordine cluniacense, a cui i seguaci di Roberto di Molesm
rimproverano di osservare la regola benedettina in modo troppo tiepido, e di aver
lasciato che le consuetudines sovrastassero la Regola. Gli attacchi a Cluny
continuano con Bernardo di Clairvaux il quale sottolineava come essi avessero
adottato «cibi raffinati, ricchi abiti, ostentazione nella decorazione delle chiese,
eccessiva commistione con il mondo: ecco alcune delle debolezze a chi si
concedono i monaci cluniacensi e che invece sono intollerabili per Bernardo»19
20
.
Da tutto questo i cistercensi si volevano distaccare e differenziare sia nella
struttura dell’Ordine sia nella modalità di osservanza della Regola.
A metà dell’XI secolo infine assistiamo anche ad una mobilitazione anti-
simoniaca e anti-concubinaggio anche da parte dei laici, la cui manifestazione più
clamorosa si ebbe con la pataria milanese guidata dal diacono Arialdo che
scatenò una forte ribellione verso il clero ambrosiano. Il movimento, sostenuto dai
riformatori romani, durò per molto tempo e si espanse raggiungendo Firenze dove
furono i monaci vallombrosani a ribellarsi al vescovo locale. È interessante vedere
che su richiesta dei patarini i vallombrosani inviarono a Milano monaci santi per
16
C. H. LAWRENCE, Il monachesimo medievale, San Paolo, Milano, 1993, 218-223. 17
G. TABACCO, Il cristianesimo latino altomedioevale, in G. Filoramo e D. Menozzi, la Terza,
Storia del cristianesimo, II, Bari, 20115,94.
18 Cfr. C. H. LAWRENCE, Il monachesimo medievale, San Paolo, Milano, 1993, 125-126.
19 S. ZUCCHINI, “Vecchio” e “nuovo” monachesimo a cavallo tra il primo ed il secondo millennio,
in Atti del XXVI Convegno del Centro Studi Avellani Fonte Avellana 29-30 agosto 2004,91-92. 20
Cfr. IBIDEM,91.
10
celebrare messa il che sottolinea l’apertura dei monaci ai laici e la loro comune
condivisione di ideali.
Nel XII secolo però i patarini divenuti troppo radicali verso i principi
riformatori vennero dichiarati eretici21
.
La riforma dell’XI secolo non fu, come si poteva pensare fino a pochi decenni
fa, un movimento monolitico, ma bensì una molteplicità di movimenti spesso
disomogenei non prevedibili. Infatti, se pur centrale e determinante, il pontificato
di Gregorio VII (1073-1085) fu il risultato del confluire di ciò che già si era
mosso tra il X e gli inizi del XI secolo22
.
21
Cfr. G. MERLO, Il cristianesimo latino bassomedievale, in G. Filoramo e D. Menozzi, La Terza,
Storia del cristianesimo, II, Bari, 20115,226.
22 Cfr. IBIDEM, 228-229.
11
Capitolo secondo
LE ORIGINI DELL’ORDINE CISTERCENSE NEL
CONTESTO RIFORMATORE
Le origini dell’ordine cistercense.
Il luogo di nascita del primo monastero cistercense fu nei pressi di Digione
dove Roberto di Molesme giunse nel 1098 con alcuni compagni e, grazie ad un
nobile particolarmente devoto, riuscì ad ottenere un appezzamento di terreno, in
un luogo detto Cistercium, isolato e boscoso, dove fu costruito il primo edificio
monastico23
.
Ma chi era l’abate Roberto? Di nobili origini, ancora giovinetto entra nel
monastero cluniacense di Montier-la-Celle. Desideroso di una vita più ascetica
rispetto a quella che si conduceva a Cluny, e desideroso di una fuga dal mondo
assoluta, si ritira qualche tempo dopo nella foresta di Molesme e fonda un
monastero che ben presto grazie alla sua guida si amplierà, sia in vocazioni sia
donazioni.
I fondatori di Molesme erano eremiti della foresta di Colan trasformati da
Roberto, per volontà di Ugo, signore di Maligny, in una comunità benedettina.
Ugo e i suoi familiari avevano decisero di donare un fondo per la costruzione di
un monastero, affidando a Roberto il compito di riunire gli eremiti di Colan
proprio in questo nascente monastero, e di essere la loro guida come abate (1075).
La nuova comunità non si fondava sulle regole di un’abbazia preesistente, e
anche gli usi adottati furono compilati dall’abate Roberto sulla base delle sue
23
Cfr. A. RAPETTI, Storia del monachesimo medievale, il Mulino, Bologna,117-118.
12
esperienze pregresse24
. Possiamo dedurre da ciò che l’approccio alla Regola non
fosse di tipo integrale bensì molto mitigato.
Questa sarà una scelta che avrà conseguenze negli anni successivi, perché con
l’andare del tempo Roberto nominerà priore Alberico, uomo colto e di grande
esperienza sia spirituale che mondana e lo incaricherà di approfondire lo studio
della Regola.
Sulla base di questo studio ci si rese conto della grande distanza che vi era tra
le prescrizioni della Regola e gli usi del monastero. Roberto cercò quindi di
apportare cambiamenti a quegli usi ritenuti troppo lontani dalla Regola, ma che
ormai erano considerati prassi nella comunità di Molesme. Però i monaci si
ribellarono, ritenendo ingiuste le ammonizioni che l’abate riservava a chi
continuava a mantenere attive quelle prassi considerate legittime mitigazioni della
Regola.
L’intenzione del priore Alberico era quella di ripristinare integralmente la
Regola senza mitigazioni; come si è appena detto molti monaci lo osteggiarono,
ma ve ne furono alcuni che lo appoggiarono, tra i quali Stefano Harding entrato in
monastero dodici anni prima e divenuto ora uno dei più ferventi promotori della
riforma.
Alberico e Stefano furono accusati da una parte dei loro confratelli che
ritenevano illegittimo il cambiamento che l’abate ed il priore volevano apportare
alla comunità.
Dobbiamo considerare che proprio prima di questi contrasti Molesme aveva
fondato il monastero di Aulpus in Savoia dove furono mandati i monaci più
operosi, così che i fratelli favorevoli alla riforma si trovarono in minoranza.
A questo punto, Stefano e Alberico ebbero la consapevolezza di non poter
applicare la riforma a Molesm. Desiderosi però di portare avanti il loro progetto
andarono dall’Abate Roberto proponendogli di fondare un nuovo monastero.
Roberto accettò con gioia, considerando le grandi difficoltà che stava
attraversando. Fu così che si giunse a Cisterrcium 25
.
Dagli accesi confronti che iniziarono nel monastero di Molesme, possiamo
dedurre che esso fu un vivaio della riforma monastica dei secoli XI- XII e da
24
Cfr. G MÜLLER, Sant'Alberico di Cîteaux. Il suo contributo alla nascita dell'ordine cistercense,
in Rivista Cistercense 24 (2007) 234. 25
Cfr. IBIDEM,234- 235.
13
questo fenomeno, oltre che i fondatori di Citeaux, prese spunto anche Bruno, il
fondatore dei Certosini che visse lì per qualche tempo26
.
Lo spirito di rinnovamento monastico che pervadeva l’XI secolo si basava su
una riforma che metteva al centro la povertà, la fuga mundi e la Regola, quindi le
degenerazioni percepite a Molesme comportarono l’allontanamento dell’abate
stesso grazie a una agguerrita minoranza che promosse il ritorno alla stretta
osservanza della Regola benedettina, basata e corroborata dalla solitudine, dalla
carità e dal lavoro, libera da ogni ingerenza feudale27
.Perciò chi si stabilì a
Cistercium era sorretto da ferventi ideali, cercava un luogo appartato e certo non
aveva la consapevolezza di aver dato origine ad un nuovo ordine28
.
Cistercium era un luogo inospitale e i monaci giunti lì lavorarono molto per
poter iniziare la costruzione di un monastero; i lavori procedevano con estrema
lentezza e ci volle l’intervento del vescovo di Colan e del duca di Borgogna,
proprietario del luogo e loro benefattore, perchè il monastero fosse portato a
compimento. Il duca li aiutò anche con donazioni di terre e di bestiame, affinché
superassero l’estrema indigenza del momento iniziale.
Roberto, abate dimissionario di Molesme, divenuto abate del Novum
Monasterium, – e questo avvenne su disposizione del vescovo locale Gualtiero
(1080) – fece professare a tutti i suoi fratelli la stabilità in quel luogo, secondo la
Regola; a distanza di poco tempo il Novum Monasterium fu eretto canonicamente
in abbazia con approvazione apostolica. Alberico mantenne la carica di priore e
Stefano divenne sotto priore del nuovo monastero.
L’abbandono da parte di Roberto, di Alberico e degli altri, non fu accolto bene
dai monaci rimasti a Molesme; essi si accorsero ben presto che la mancanza di
quelli causava danni e diminuiva l’attrattiva esercitata dal monastero. La comunità
quindi, guidata dall’abate Goffredo, il successore di Roberto, decise di farlo
tornare a Molesme.
Gli scontenti si rivolsero a papa Urbano II accusando quelli che erano partiti di
aver infranto il voto di stabilità professato a Molesme e quindi di aver messo in
discussione, loro per primi, l’applicazione della Regola benedettina29
. Il papa
26
H. BREM, Die Carta Caritatis, in Cistercienser Chronik, 126 (2019) 198-199. 27
Cfr. F. FARINA. – Vona I., L'organizzazione dei Cistercensi nell'epoca feudale, Casamari,
Casamari, 1988.10. 28
Cfr. C. H. LAWRENCE, Il monachesimo medievale, San Paolo, Milano, 1993. 231. 29
Cfr. M. PACAUT, Monaci e religiosi nel medioevo, Il Mulino, Bologna,2014, 193-194.
14
diede incarico all’arcivescovo di Lione di risolvere il conflitto che si era creato tra
Molesm e Citeaux e questi lo fece convocando un sinodo nel giugno del 1099, nel
quale invitava Roberto a tornare a Molesme con i compagni che ne avessero avuto
desiderio e vietava ad ognuno dei due monasteri di accogliere i fuggiaschi
dell’altro, confermando la fondazione di Citeaux che sarà poi approvata
definitivamente da papa Pasquale II30
. Roberto, costretto, tornò a Molesme,
mentre a Citeaux fu eletto nel 1099 come nuovo abate Alberico al quale nel 1109
successe Stefano Harding.
In questi anni Citeaux non ebbe però un grande sviluppo visto che il luogo era
malsano, era composto da baracche e le nuove entrate stentavano ad arrivare, fino
a quando a Cistercium giunse il giovane Bernardo, che portava con sé un gruppo
di trenta giovani tra i quali alcuni dei suoi fratelli 31
.
Bernardo di Fontaines (1091-1153), fu quindi decisivo per Citeaux; l’indefesso
impegno profuso, unito alla sua personalità vivace ed energica, fece sì che lo stile
di vita cistercense si diffondesse grandemente e fosse sempre chiaramente
ricondotto a Bernardo32
.
Tra 1113 e il 1116 sorsero le prime quattro abazie figlie di Citeaux, (La Fertè,
Pontigny, Clairvaux e Morimond) delineandone la linea istituzionale per cui esse
divengono quattro linee generative in un sistema di filiazione, nel quale le madri si
assumevano impegni di controllo e di cura spirituale nella crescente espansione
del sistema cistercense. Infatti una delle novità più significative della
congregazione fu che le singole abbazie mantenevano rapporti verticali con la
propria abazia madre pur mantenendosi in un rapporto radiale con le varie abbazie
figlie godendo tutte di una totale autonomia e di uguale dignità entro l’Ordine.33
.
Ogni monastero eleggeva il proprio abate e si distingueva così dalla
congregazione di Cluny, ordine predominante del tempo, all’interno del quale
vigeva un impianto organizzativo fortemente gerarchico, attraverso il quale si
manteneva l’ordine e la disciplina. Il sistema di filiazione adottato invece
dall’Ordine cistercense, per ovviare al rischio di disgregazione, istituì il capitolo
generale, che si riuniva una volta l’anno per prendere decisioni che coinvolgevano
30
Cfr. G MÜLLER, Sant'Alberico di Cîteaux. Il suo contributo alla nascita dell'ordine cistercense,
in Rivista Cistercense 24 (2007) 236-240 31
Cfr. C. H LAWRENCE, Il monachesimo medievale, San Paolo, Milano, 1993, 232. 32
Cfr. A. RAPETTI, Storia del monachesimo medievale, il Mulino, Bologna,2013,121. 33
Cfr. IBIDEM, 119.
15
tutto l’Ordine. Il capitolo era dunque l’organo centrale del governo della rete
cistercense avendo potere legislativo e emanando provvedimenti per tutto
l’ordine.
I cistercensi continuarono a distinguersi per molti aspetti dai cluniacensi, che
rappresentavano il monachesimo tradizionale, come ad esempio l’abito, bianco o
grigio per i primi, nero per i secondi. I monaci bianchi rifiutavano le rendite e il
possesso, rifuggivano dallo sfarzo degli edifici monastici, aborrivano la
ridondanza delle cerimonie liturgiche. Infatti accusavano i Cluniacensi, di aver
tradito lo spirito della Regola con le molte riletture e le varie interpretazioni, fra
cui quella di non lavorare34
.
Citeaux non rinunciò infatti al ruolo sociale del monachesimo come
punto di riferimento, come forza d’appoggio, come possibilità di
pressione svolta prima da Cluny, ma purificò l’ideale monastico con la
rinuncia alle rendite feudali come presupposto al ritorno allo spirito di
povertà, di laboriosità di vita fortemente ascetica, di fuga dal mondo:
ad una forte tensione spirituale propria delle prime comunità cristiane
e monastiche primitive35
.
Su queste basi l’Ordine si espanse rapidamente: nell’arco di una generazione
quello sparuto gruppo di monaci ribelli divenne un Ordine poderoso, grazie
soprattutto, come già detto, all’opera instancabile di San Bernardo. Alla sua
morte, dopo quarantun anni dalla sua ammissione nell’ordine (1112), erano state
impiantate filiazioni in tutta Europa, sessantotto delle quali fondate direttamente
da Clairvaux, monastero di cui Bernardo fu abate per tutta la vita.
Si può intuire da tutto ciò come i monaci bianchi avessero superato in breve
tempo i monaci neri, rispetto all’influenza morale sia nel mondo ecclesiale sia in
quello secolare36
.
Il riconoscimento pontificio del 1119 diede grande slancio all’opera di
espansione messa in atto da Bernardo e da tutti i cistercensi, tanto che in un
cinquantennio si arrivò ad avere oltre trecento filiazioni sparse ai quattro angoli
del continente: dalla Sicilia alla Scandinavia e alle isole britanniche, dalla
Penisola iberica all’Ungheria e alla Polonia, con una particolare concentrazione
nell’area francese37
.
34
Cfr. A. RAPETTI, storia del monachesimo medievale, il Mulino, Bologna,121. 35
F. FARINA, – VONA I., L'organizzazione dei Cistercensi nell'epoca feudale, Casamari, Casamari,
1988. 11. 36
Cfr. C. H. LAWRENCE, Il monachesimo medievale, San Paolo, Milano, 1993, 241-242. 37
Cfr. A. RAPETTI, Storia del monachesimo medievale, il Mulino, Bologna,120.
16
Ma questo poderoso sviluppo da cosa dipese?
Inizialmente fu la scelta rigorista e pauperistica ad attirare la devozione e
l’interesse dei laici che vivevano nei territori circostanti i monasteri;
successivamente la scelta di insediarsi in luoghi lontani dai centri abitati
permetteva di creare nuclei patrimoniali senza destare invidie. I monaci andavano
ad abitare i terreni donati, ma tali appezzamenti spesso e volentieri erano i più
poveri e disagiati e i cistercensi di fatto operarono un grande lavoro di bonifica,
rendendo fruttuoso ciò che non lo era con un duro lavoro della terra, tratto
caratteristico dell’Ordine in quel tempo.
Bernardo di Chiaravalle divenne una figura importante nella Chiesa di allora:
la sua influenza fu enorme visto che egli si interessò, divenendo consigliere di
cardinali e papi, delle questioni più spinose che afflissero la Chiesa in quegli anni.
Viaggiò molto, predicò molto, sostenne Innocenzo II durante lo scisma, presenziò
ad assemblee di ecclesiastici e laici, si adoperò per sanare dispute e faide
cittadine38
.
In tutto ciò che faceva, Bernardo non perdeva mai di vista il fulcro: l’Ordine
cistercense e la sua espansione e fece sì che il papato riconoscesse l’importanza
dell’Ordine nella storia della salvezza39
.
Federico Farina infatti descrive così l’opera di San Bernardo:
L’attività a cui sarà chiamato direttamente è quella dell’abate nel suo
monastero; quando lavorerà nel mondo tra i popoli, i principi, il clero,
con il papa, egli farà in modo che questa attività esteriore tragga
ispirazione, alimento e forza unicamente dalla vita interiore. Ed ogni
aspetto della sua personalità è dominato dall’ideale cistercense; è in
funzione di questo ideale, vissuto in tutte le sue esigenze, che bisogna
giudicarlo40
.
Ma non è facile pesare l’influsso che Bernardo ebbe dentro l’Ordine:
sicuramente partecipò alla stesura della Carta di Carità, contribuì ad alcuni
cambiamenti nell’ambito del canto e dello stile architettonico, tanto che nelle
chiese della filiazione di Clairvaux, si passò per un suo suggerimento, dalla pianta
tipicamente cistercense a quelle chiamate a pianta bernardina, con l’apside
rettangolare. Anche nell’arte si coglie l’influsso dell’Abate, non tanto in questioni
38
Cfr. IBIDEM, 120. 39
Cfr. IBIDEM, 121. 40
F. FARINA, – Vona I., L'organizzazione dei Cistercensi nell'epoca feudale, Casamari, Casamari,
1988. 169
17
puramente estetiche, quanto per riaffermare l’esigenza di povertà, la forte
interiorizzazione della pietà monastica e il diritto dei poveri sui beni della Chiesa.
L’Europa conobbe i cistercensi tramite Bernardo e la lotta appassionata e
tenace da lui condotta per la riforma, per la libertà e per l’unità della Chiesa.
Grazie a questo l’Ordine ricevette una grandissima richiesta di fondazioni
monastiche41
.
Colonne portanti dei cistercensi furono i così detti conversi, laici religiosi,
presenti anche in altri Ordini ma tenuti in conto marginale mentre qui assunsero
una grande importanza.
I cistercensi li accolsero in gran numero, dando prova di interpretare le
esigenze del tempo, cioè il desiderio di un laicato che voleva assumere i ritmi e lo
stile di vita monastico, pur con un ruolo distinto da quello dei monaci. I fratres
barbati chiamati così per distinguerli dai monaci, ai quali non era permesso farsi
crescere la barba, erano a tutti gli effetti membri della comunità; vivevano nel
monastero e pronunciavano i voti perpetui. Il loro compito era occuparsi delle
Grange, aziende fondiarie caratteristiche dell’ordine cistercense, sia a livello
amministrativo sia a livello gestionale, mentre per i lavori puramente manuali ci si
avvaleva di braccianti salariati. I monaci solo in casi eccezionali si dedicavano ai
lavori manuali, considerando che nel trascorrere del tempo, in ambito benedettino,
si era giunti a ritenere che il lavoro distraesse dalla preghiera e dall’ascesi e
pertanto anche i cistercensi non si distaccarono da quest’ idea.
I cistercensi si differenziavano invece dalla tradizione benedettina, circa
l’abitudine di accogliere bambini, perché auspicavano da parte dei propri membri,
un’adesione matura e responsabile.
Gli elementi elencati fino ad ora concorrono a spiegare la grande e veloce
espansione dell’Ordine, non solo relativamente a livello di fondazioni, ma anche a
livello economico. Benché i cistercensi cercassero sempre di non tradire gli ideali
della loro fondazione: visione eremitica, ascetismo e pauperismo, nel corso del
loro sviluppo non mancarono le contraddizioni. L’enorme diffusione valse loro
l’appellativo di proprietari fondiari insaziabili, di distruttori dei villaggi e delle
collettività rurali, visto che il loro sistema, secondo il modello della grangia,
41
Cfr. F. FARINA, – Vona I., L'organizzazione dei Cistercensi nell'epoca feudale, Casamari,
Casamari, 1988. 170-172.
18
aveva come effetto quello di scardinare l’assetto economico e insediativo delle
campagne circostanti.
L’accorpamento e la ricompattazione degli appezzamenti che si
accompagnava alla fondazione delle grange, presupponevano l’allontanamento o
lo spostamento di villaggi e degli antichi proprietari che avessero avuto la sfortuna
di trovarsi entro il perimetro della grangia monastica.
I monaci bianchi rifiutavano gli elementi costitutivi dell’economia signorile,
accettati invece dai monasteri benedettini; non ritenevano aderenti alla Regola i
diritti signorili, le rendite e tutto ciò che ne derivava. Ancora una volta sembra di
cogliere qui una polemica con l’Ordine cluniacense e con il suo impianto
tradizionale amministrativo.
La coltivazione delle terre – come si è detto- competeva direttamente alla
comunità, e precipuo dell’ordine fu che i monaci dovessero guadagnarsi il vitto
con il lavoro. Ma la proprietà delle terre aveva anche altre caratteristiche che
stridevano con gli ideali pauperistici degli esordi, come quello dell’assoluto
divieto di possedere beni che producessero rendite. I cistercensi per ovviare a
questo, visto che spesso i benefattori donavano le decime ma non i terreni da cui
esse derivavano, entrarono in conflitto con i proprietari terrieri laici ed
ecclesiastici.
Tanto più l’Ordine si espandeva, tanto più i conflitti aumentavano, questo fece
sì che la potenza economica cistercense fosse aspramente contestata da parte di
coloro che ne furono danneggiati. L’impressionante crescita dell’Ordine fu però
largamente favorita anche dalla grande quantità di privilegi elargiti dai pontefici
lungo tutto il XII secolo, ma anche questo non consonava con gli intenti dei primi
abati di Citeaux che, per distinguersi da Cluny, non avevano chiesto nessun tipo di
esenzione. La concessione di privilegi però era dovuta alla necessità di mantenere
la tenuta della rete congregazionale e la disciplina delle singole abbazie, limitando
le ingerenze esterne. Durante tutto il XII secolo si assiste così da parte dei
cistercensi, ad una continua richiesta di esenzioni, culminate nel 1184 con
l’estensione dell’esenzione di tutti i cistercensi e di tutte le loro abbazie
dall’autorità dei vescovi locali42
.
42
Cfr. A. RAPETTI, Storia del monachesimo medievale, Il Mulino, Bologna, 123-127.
19
Capitolo terzo
UGLI IDEALI ORIGINARI E LA CARTA CHARITATIS NEL
CONTESTO DEI TESTI LEGISLATIVI DELL’ORDINE
La nascita dei cistercensi non fu soltanto la nascita di un Ordine, ma una vera
rivoluzione spirituale. Sin dalla metà del XII secolo si sviluppò una rete di
filiazioni che aveva come punto di origine Citeaux, guidate da ideali precisi come
carità, unanimità e pace volti a raggiungere la pax Christi. I cenobi furono fondati
e mantenuti uniti sulla base di una cooperazione collegiale di tutte le abbazie,
sull’unità spirituale e sull’unità temporale. Ci si volle differenziare, in parte, dal
Klosterverbande (federazioni monastiche) tradizionale dove l’abate della casa
madre era visto come il dominus che manteneva il primato sulle altre abbazie. Il
patto che si stipulò tra le varie fondazioni volle far sì che vi fosse una reciproca
assistenza spirituale e materiale tra le abbazie ma, allo stresso tempo, si delineava
l’indipendenza delle une dalle altre.
Una delle particolarità di Citeaux è proprio quella di voler far sì che questo
patto tra filiazioni e casa madre basato sulla unanimitas (consenso e adesione
comune, sia di monaci che di abbazie di abbandonarsi alla carità), fosse
riconosciuto ad intra e ad extra dell’Ordine e che avesse una rilevanza sia
spirituale sia legale, ma anche una rigorosa applicazione. Due elementi
caratterizzarono questa nuovo Klosterverbande (associazioni di monasteri): la
20
visita monastica e il capitolo generale degli abati atti a mantenere l’unità della rete
di filiazioni43
.
Ma quali furono le fonti della Carta Charitatis? Vi si nota indubbiamente la
dipendenza dalla Sacra Scrittura e dalla Regola di San Benedetto ed inoltre gli
esperti evidenziano gli influssi derivati da raccolte di legislazione ecclesiastica,
molto diffuse in quei tempi. Anche i rapporti che i primi cistercensi avevano con
le altre comunità monastiche possono aver contribuito ad ispirarli.
Come già detto nel primo capitolo, vi è un parallelismo tra le strutture dei
monasteri riformati, in special modo Camaldoli, Vallombrosa e Citeaux. Le
somiglianze soprattutto tra Citeaux e Vallombrosa sono così evidenti che è
difficile pensare che non vi siano stati contatti, anche se non abbiamo fonti certe a
questo riguardo. Molto interessante è il lavoro di Roger Duvernay44
, in cui
l’autore fa emergere come i principi fondanti la Carta Charitatis fossero già noti a
Vallombrosa: l’amore come fonte e come centro interiore di tutto il sistema, il
primato del monastero madre, i capitoli generali, le visite annuali e l’unità delle
osservanze. Ma l’autore individua non solo le somiglianze ma anche le
discrepanze: Vallombrosa era decisamente meno grande dell’ordine Cistercense,
non si diffuse così rapidamente, Giovanni Gualberto occupa uno spazio
decisamente maggiore di Stefano Harding e a Vallombrosa solo l’abate del
monastero madre è responsabile di tutti i monasteri che supervisionava
direttamente anzi suggeriva anche le questioni da discutere durante il capitolo
generale che poi venivano riguardanti sia le questioni interne ai singoli monasteri
che quelle generali.
La Carta Charitatis invece con il sistema di filiazione permetteva di regolare
singolarmente le situazioni interne ai vari monasteri che mantenevano una
autonomia a differenza di quelli vallombrosani. Secondo la Brem, Duvery ipotizza
che Stefano Harding, durante un viaggio in Italia sia entrato in contatto con la
realtà vallombrosana e che si sia ricordato di alcuni statuti durante la stesura della